Nothing's gonna hurt you baby

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    "E' quasi divertente, non trovi?" con un luccichio di puro giubilo negli occhi, mostrò la dentatura d'avorio alla compagna, indicandole con un cenno del capo la scena che si stava dispiegando sotto i loro occhi. Sono carini. Come era carino Bambi quando ha visto il cacciatore sparare in faccia a sua madre. Sguazzavano in quel bagnetto come due bimbi all'asilo, facendosi promesse, guardandosi intensamente negli occhi, scambiandosi coccole e bacini. Un po' stucchevole, nella sua opinione, ma pur sempre tenero. "Cioè, sembra che lo faccia proprio apposta. Guardalo: me le serve tutte su un piatto d'argento, una a una." rise di gusto, genuinamente divertito dall'intera situazione che si srotolava di fronte a lui come un rotolo di pergamena su cui tratteggiare qualsiasi storia preferisse. "Oh se me la renderà facile. Grazie Albus, grazie di cuore. Non potevo chiedere persona migliore a cui fare da doppio." Ancora una volta si voltò verso la propria compagna di malefatte, avventandosi in un moto di pura eccitazione a stringerle la guancia in un morso, accompagnando quel movimento con un ringhio divertito. "Piccola mia, sarà una passeggiata."
    [...]
    Alla fine l'occasione era arrivata. C'era voluto un po', ma soprattutto aveva richiesto pazienza. Era da quel giorno al bagno, quando Albus si era guardato allo specchio, che la sua controparte aveva desiderato compiere la propria mossa, ma tra una cosa e un'altra non ne aveva mai avuto occasione. O meglio, c'era sempre stato qualcuno pronto a dirgli che non era il momento. Si deve prima rimettere in piedi. Aveva detto così l'altro, più e più volte, per frenarlo dall'intervenire. Ma alla fine anche il suo stoico compare, una volta visti i due uscire dalle celle, aveva dato il suo cenno d'assenso, facendogli capire che era il momento più adatto per agire. Come dare un oggetto delicato in mano a un bambino, il mefistofelico doppio di Potter aveva sorriso contento, preparandosi assieme alla compagna al grande show che ormai da tempo non vedevano l'ora di imbastire. "Ti avviso: la tua controparte ingenuotta non mi dispiace. Ha un che di..." ci pensò, stringendo le labbra con fare pensieroso "..quasi verginale. E ho come l'impressione che potrei piacerle più dell'originale. Quindi.." Donna avvisata mezza salvata. Sollevò ritmicamente entrambe le sopracciglia, scoccandole un'occhiata eloquente prima di stringersi nelle spalle. Si sciolse infine in una veloce risata, dividendosi dalla sua Mun non prima di averle fatto un'approfondita laringoscopia con la propria lingua. "In bocca al lupo.." sospirò, sulla punta di un sorriso "..per loro." Doveva di certo essere divertente agli occhi dello spirito, vedere quanto effettivamente esigua fosse la distanza che lo divideva da colui di cui aveva le sembianze. E lo era, era estremamente divertente. Lo era perché il povero ingenuo Albus, durante il ballo di Halloween, si era calato sul volto una maschera che non era totalmente sua: Puck, lo spiritello dispettoso della corte di Oberon. E il ragazzo, del Puck, ne aveva effettivamente la stoffa, ma la teneva relegata a una parte di sé che non sembrava disposto ad assecondare. Quella parte, tuttavia, aveva preso forma ben presto, e ora camminava per i corridoi del castello con quell'aria beffarda e perennemente divertita da tutto.
    "Guarda che sono perfettamente in grado di percorrere cento metri da sola." Che inizi lo spettacolo. Sospirò a fondo, mordendosi l'interno del labbro inferiore con ben simulata incertezza, e muovendo qualche passo in avanti per stringere le mani della ragazza tra le proprie. "Scusa. Questa situazione mi sta mettendo sotto pressione, e la mia paranoia ne risente." Perché sono un cretino con il complesso dell'eroe e non c'è nulla che mi farebbe più felice di salvarti in pieno stile da damigella in difficoltà. Ciao, sono Albus Potter e vivo nel seicento: se offendi l'onore della mia dama ti sfido a duello con tanto di guanto, rozzo fellone. No serio, spiegami come faccia a piacerti. A parte per la bellezza assassina, chiaro. "La mappa si è sbagliata. Non c'era nessuno." Aggrottò la fronte, stupefatto. Naaaah, non ci credo. Dimmi di più. "Strano. La Mappa non sbaglia mai." Cosa che direbbe sicuramente Albus. Perché ti pare che suo nonno coglione, con i suoi amici più coglioni di lui, con a malapena la terza elementare, possa aver sbagliato qualcosa nella mappa che ha fatto a sedici anni? Impossibile. A interrompere la magia, però, fu non tanto il tentativo di Mun di aprire la porta bloccata, quanto piuttosto il suono delle note melliflue che sembrarono stendere i tratti del suo volto quasi automaticamente. Ho sempre amato questa canzone. "Ehm.." riprese subito un'aria confusa, più adatta alla situazione. "Vuoi.. spiegarmi?" Ora, si sa, Albus Potter le bugie non le sa dire nemmeno per sbaglio. La sua controparte, d'altro canto, ne è un vero e proprio maestro, al punto da poter quasi essere definito bugiardo patologico. Gli vengono naturali, veloci. E infatti fu immediata la sua reazione: stringersi nelle spalle con aria serena. "Ho pensato di incantare il pianoforte. Sulla soglia ho fatto l'aguamenti." disse, indicando i rivoli d'acqua che scivolavano da sotto la porta "In questa maniera lui sta dentro e noi stiamo fuori." Le rivolse un veloce occhiolino gioco, inclinandosi meglio verso di lei. "Facciamolo bollire un po' nel suo brodo. Magari starsene per qualche minuto in isolamento gli schiarisce le idee." Una breve risata fuoriuscì cristallina dalle sue labbra prima di pendere a poggiare una spalla contro il muro, lanciando un'occhiata segretamente divertita a quel lavacchio che il suo originale aveva fatto per terra. Se ragiona con quest'ottica, pure una casalinga che lava il pavimento dovrebbe essere un'esorcista. Bo. I neuroni mai? "Allora, procediamo con il classico sbirro buono-sbirro cattivo? Prepariamoci prima qualche domanda, giusto per capire dove vogliamo andare a parare nella precisione e organizzarci una strategia."

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    Non rispose alle parole di Ryuk, non rispose alle sue provocazioni, limitandosi semplicemente a serrare la mascella e stringere i pugni. Fin da quando Mun aveva avanzato la proposta di invocarlo, Albus aveva cominciato a prepararsi all'idea che la prima strategia che il demone avrebbe usato sarebbe stata proprio quella della pentola a pressione. Aveva senso: instillare il dubbio, provocarlo, metterli l'uno contro l'altra. Era la cosa più logica, e il giovane Potter non si aspettava niente di meno dal suo avversario; d'altro canto, però, non era intenzionato a cedere, sebbene il suo primo istinto fosse quello di prendere il pugnale e conficcarglielo in quel cuore marcio che si ritrovava. "Diglielo! Digli la verità, Mun." Scosse il capo, Albus, come a far capire alla ragazza che non ne aveva bisogno. "Mun, tranquilla. Non.." "Ryuk.. questa storia proprio non riesci a superarla. Proprio non riesci ad ammettere che Albus ha vinto. E tu, la tua bambina, l'hai persa. Basta. Vai avanti. Non sei più un pezzo grosso. Ti avevo portato qui per fare la pace, stringervi la mano, magari farvi due chiacchiere e ammettere che sono carini. E tu invece niente. Sparisci." Sparisce Ryuk e sparisce l'acqua, lasciando Albus esterrefatto a guardare la compagna con un che di interrogativo. Tutto qui? "Scusalo. Questa storia gli brucia davvero tanto. Però c'è da dire che anche tu sei stato un po' maleducato con lui. Voglio dire.. addirittura metterlo in gabbia? A casa sua? Credi davvero che tutti i vostri trucchi funzionino qui? Senza offesa Albus, ma se qui dentro vedete un goccio d'acqua ogni tanto è solo perché Edmund Kingsley preferisce vedervi morire in modo diversi, non perché voi siate particolarmente bravi con i vostri stecchini. E poi, non capisco davvero.. potevate farci uno squillo, non so.. non c'era bisogno di tutta questa sceneggiata. Ovunque siete voi.. noi non siamo troppo lontani, tesoro." Man mano che parlava, iniziò a percepirla. La stranezza, la nausea, quella naturale e illogica repulsione che lo faceva protendere tutto all'indietro sullo sgabello, come se toccarla potesse ustionarlo. "Dov'è Mun?" chiese in un soffio, titubante, stringendo le palpebre a due fessure. "Ora; ricominciamo da capo. E potresti per esempio riprendere con un paio di quei bellissimi complimenti. Ti giuro.. li adoro! Ecco, facciamo così.. se sei carino con me, potrei dirti ciò di cui hai bisogno, Albus. Se decidi invece il contrario.. il mio ragazzo, potrebbe sottoporre agli stessi trattamenti la tua di ragazza." Un'ansia strisciante cominciò a martellargli nel petto a quelle parole, all'idea che Mun fosse tra le grinfie di qualcuno in tutto e per tutto identico a lui, ma con scopi diametralmente opposti ai suoi. Le iridi iniziarono pian piano a scurirsi fino a tingersi di nero, guizzando immediatamente ad adocchiare la porta chiusa della stanza. "Non fare mosse azzardate, angelo. Vogliamo tutti la stessa cosa." Di scatto scivolò più indietro con lo sgabello, allontanandosi ulteriormente dalla ragazza ma senza allontanarsi davvero dal pianoforte. "No, non vogliamo la stessa cosa." sputò velocemente, cominciando a tamburellare con nervosismo le dita sul bordo di legno, senza alcuna logica se non quella di sfogare la tensione. "E mi pare piuttosto chiaro, dato che il vostro amico ha cercato di farmi fuori in svariate occasioni." Continuò a tamburellare le dita nervosamente, incontrando presto un tasto, uno solo. E su quello cominciò a battere una sequenza ben precisa, ripetendola più e più volte in un tentativo che aveva del disperato. Doppio. Non sapeva se Mun potesse sentirlo, non sapeva se fosse anche solo a portata d'orecchio, ma lo fece lo stesso, nella vana speranza che quel blando avvertimento potesse raggiungerla. Scansò poi prontamente la mano, alzandosi di scatto dallo sgabello come in un moto di rabbia. "Va bene, hai vinto. Mi hai messo in trappola." Alzò le mani in atto di resa, senza tuttavia nascondere tutto il veleno che sentiva. Prese la bacchetta dalla tasca, gettandola a terra. "Ha senso fingere che serva? Eccola." la scalciò verso un angolo della stanza, uno a caso, lontano da entrambi. "Avete Mun. Sai bene che farei e direi qualsiasi cosa pur di tenerla al sicuro." E nel dire quelle parole, estrasse l'altra unica arma a sua attuale disposizione: il pugnale. Glielo mostrò con sguardo eloquente, gettando anch'esso a terra e calciandolo via. Questa volta, però, sperò che il calcio fosse venuto preciso. "Avete quello che volete: me, da solo, disarmato. Vi darò tutto ciò che mi chiederete, ma lasciatela andare."

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    Un sibilo veloce lo portò ad abbassare lo sguardo, facendogli morire il sorriso sulle labbra nel momento in cui vide una lama scivolare da sotto la porta nel corridoio, ai piedi di Mun. Istintivamente si ammutolì, facendo un passo indietro. Maledetto bastardo. Fu un istante, uno solo, prima di risollevare lo sguardo negli occhi della ragazza, plasmando la propria espressione in un fare costernato. Ok, piano b. Tutte in fila, ragazze: paura, vergogna, pentimento, supplica. Emozioni che si susseguirono nello sguardo dello spirito prima che cominciasse a scuotere il capo, come a volerla fermare da qualunque cosa volesse dire o fare. "Mun..posso spiegare, lo giuro." Se non mi danno l'Oscar alla fine di questa è uno scandalo. Rimase in silenzio per qualche istante, mordendosi il labbro inferiore con aria di colpevolezza prima di scoppiare in un moto di pura esasperazione, riversando negli occhi di lei lo sguardo più sincero che potesse produrre. "Sono io. Sono sempre stato io." ammise, falsamente, in un soffio. "Volevo dirtelo, ma avevo paura che ti saresti allontanata. Stavo così bene con te. Stavamo così bene." And the winner for Best Actor is... "Ti ho guardata così a lungo, tramite Ryuk, e quando ti ho visto la sera Natale, quando ho visto come lo guardavi, ho pensato che fosse la mia occasione. Sapevo che in ogni caso Albus non ti avrebbe voluta, come avrebbe potuto? Dopo tutto quanto, con tutte le persone che avrebbe fatto soffrire..non era semplicemente da lui." fece una breve pausa "La sera di Natale è stata l'ultima cosa reale. Nel bagno c'ero io. Nell'aula con Fred e Betty, io. Nei sotterranei, quando ti ho detto che non mi ero pentito..io." altra pausa, leggermente più lunga. "Credevi fosse un caso l'assenza di Ryuk? O il fatto che non abbia più vomitato?" Scosse il capo, come a dare risposta a quei dubbi. "Non lo era. Sono io ad averti promesso di portarti via, e quella promessa è ancora valida." Si preparò alla stoccata finale, compiendo un piccolo passo in avanti. "Sono io che provo quelle cose per te. Albus..quello vero..ti vedrà sempre come l'ex del suo migliore amico, quella con cui non è mai andato d'accordo. Dovresti saperlo, ormai, che non sei il suo tipo, e che non sarebbe mai capace di certe cose. Solo io ti capisco." Un'altra breve pausa, colma di uno sguardo implorante. "Vieni con me. Andrà tutto bene."
     
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    Slytherin pride

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    « Scusa. Questa situazione mi sta mettendo sotto pressione, e la mia paranoia ne risente. » Mun è tutt'altro che tranquilla dal canto suo e capisce perfettamente il suo stato d'animo, ma quello è troppo persino per lei. Si annota mentalmente di parlarne in un secondo momento di quelle manie di controllo che chiaramente riescono solo a metterle ulteriore ansia. Finché Albus ostenta sicurezza, è sicura anche lei. Quando inizia a tentennare, comportandosi in modo strano, la linearità di quel poco equilibrio che le è rimasto, viene meno. « Andrà tutto bene.. » Asserisce quindi, nell'atto di aprire la porta, pronta a iniziare ciò che si sono prestabiliti di fare. Almeno spero. Ma quando si accorge che la porta è bloccata, ha come uno strano presentimento. Chiamatelo sesto senso, chiamatela paranoia. « Ho pensato di incantare il pianoforte. Sulla soglia ho fatto l'aguamenti. In questa maniera lui sta dentro e noi stiamo fuori. Facciamolo bollire un po' nel suo brodo. Magari starsene per qualche minuto in isolamento gli schiarisce le idee. » Ed ecco che al cospetto di Mun crolla un'altra maschera di Albus Potter, una che non si aspettava di vedere, un tratto del suo carattere con cui non è certa di trovarsi a proprio agio. Un maestro mentalista? Corruga appena la fronte piuttosto confusa, mostrandogli un'espressione mista di sorpresa e confusione. « No. » Asserisce infine, compiendo un passo nella sua direzione. « Non è questo il modo. » Scuote la testa. « Tu non lo conosci. Avresti dovuto aspettarmi. Ti sembra il caso di mettere con le spalle al muro un traghettatore? » Sbuffa pesantemente passandosi le mani tra i capelli, iniziando a camminare piuttosto nervosamente di fronte alla porta. Un'occasione d'oro sprecata così. Ne avevamo una sola, e ora dovremmo fare i conti con un dio della morte irritato. « Credi davvero che torturandolo otterremo qualche risposta? » E anche se fosse.. la scelta era mia. Spettava a me decidere. Non me lo hai nemmeno chiesto, come se lui fosse diventato unicamente un problema tuo. Come se improvvisamente la mia opinione non conta più niente. « Allora, procediamo con il classico sbirro buono-sbirro cattivo? Prepariamoci prima qualche domanda, giusto per capire dove vogliamo andare a parare nella precisione e organizzarci una strategia. » Scuote la testa ispirando profondamente. Non mi stai neanche ascoltando. C'è una parte di lei che trova stia prendendo quella cosa con sin troppo leggerezza. Non saprebbe davvero spiegarlo, ma per la prima volta dopo tanto tempo accanto ad Albus si sente.. a disagio. Semplicemente strana. « Non lo so.. a questo punto credo dovremmo.. » Ma proprio mentre sta cercando di proporgli un piano che possa arginare i danni, ecco che i rivoli d'acqua, cessano di punto in bianco. Assottiglia lo sguardo, prima di lasciarlo saettare in quello del ragazzo. La musica è cessata a sua volta, già da un po', e ora, dopo un silenzio assordate di qualche minuto, sente un distinto suono che si ripete più e più volte. Inizialmente non collega. Non riesce a capirci nulla e tutto ciò che ottiene è agitarsi e sbattersi inutilmente nella speranza di arrivare a capirci qualcosa. « Sto iniziando a perdere la pazienza. » Asserisce di scatto, mentre quegli occhi di ghiaccio si ergono su di lui con un'intensità non indifferente. « Cosa ti prende? Cristo santo Albus, apri questa porta! » Dice mentre cerca di gettare da sé un Alohomora che non ha alcun effetto. E poi da sotto l'uscio ecco arrivare il primo indizio. Il pugnale. Lo sguardo dai grandi occhi colmi di domande si abbassano sull'arma impugnandola istintivamente prima di tornare a guardare la creatura che ha di fronte. Ommioddio come ho fatto a essere così stupida. Non a caso ora è in grado di capire e istintivamente indietreggia, alzando il coltello di fronte a sé con una chiara espressione eloquente da ti avverto, non avvicinarti. « Mun..posso spiegare, lo giuro. » Lo sguardo di lei colto da rabbia e diffidenza osserva il volto di lui con un'estraneità unica. Capisce e prova disgusto, una forma di paura che cela dietro occhi fieri colmi di una genuina forma di sfida. « Cosa hai fatto di Albus? Riportalo qui adesso. TIRALO FUORI DA Lì! » E' lì dentro vero? E' lì dentro! Cosa gli stai facendo? Ed eccola, la forma di autorità e supponenza tipica di quella Mun che sembrava essersi persa nelle pieghe di una dolcezza e un'innocenza che aveva mostrato ultimamente solo in compagnia del giovane Potter. « Sono io. Sono sempre stato io. » Cosa? Indietreggia ulteriormente, mentre il tormento compare vivido sul suo volto. La lama tremante ancora ben tesa di fronte a lei. « Volevo dirtelo, ma avevo paura che ti saresti allontanata. Stavo così bene con te. Stavamo così bene. Ti ho guardata così a lungo, tramite Ryuk, e quando ti ho visto la sera Natale, quando ho visto come lo guardavi, ho pensato che fosse la mia occasione. Sapevo che in ogni caso Albus non ti avrebbe voluta, come avrebbe potuto? Dopo tutto quanto, con tutte le persone che avrebbe fatto soffrire..non era semplicemente da lui. » Quelle parole le arrivano con la stessa violenza di centinaia di coltellate alla schiena. No. Non è vero. Tentenna, perdendo letteralmente la presa sulla situazione, mentre continua a indietreggiare con il respiro sempre più pesante e una frustrazione corrosiva negli occhi che sembrano già pronti a velarsi di una pattina lucida. Fa male sentirselo dire. Fa male esporla a tutte le sue peggiori paure in quel modo. E in quelle parole c'è tutto ciò che temeva. Il rifiuto. La menzogna. « Smettila.. » Asserisce in tono che le si spezza in gola non appena dischiude le labbra. E continua a indietreggiare ancora e ancora lungo il corridoio. Una parte di sé cerca di trovare appigli logici, ma posta di fronte a quell'incubo, pare sia lì lì per impazzire, colta in pieno dall'irragionevolezza delle sue stesse insicurezze. Il sonno della ragione genera mostri. « La sera di Natale è stata l'ultima cosa reale. Nel bagno c'ero io. Nell'aula con Fred e Betty, io. Nei sotterranei, quando ti ho detto che non mi ero pentito..io. Credevi fosse un caso l'assenza di Ryuk? O il fatto che non abbia più vomitato? Non lo era. Sono io ad averti promesso di portarti via, e quella promessa è ancora valida. » Scuote la testa vertiginosamente mentre una prima lacrima solca il suo volto, colta da una serie di brividi che le attraversano la schiena. « Sono io che provo quelle cose per te. Albus..quello vero..ti vedrà sempre come l'ex del suo migliore amico, quella con cui non è mai andato d'accordo. Dovresti saperlo, ormai, che non sei il suo tipo, e che non sarebbe mai capace di certe cose. Solo io ti capisco. Vieni con me. Andrà tutto bene. » Quelle ultime frasi mandano letteralmente in tilt il suo cervello. Si porta le mani sulle tempie cercando di scacciare ognuna delle sue parole. Chiude gli occhi e cerca di ritrovare se stessa in mezzo a quella follia. Le sembra di essere stata gettata in un incubo, solo che è reale. « Quindi era tutto una bugia..? » Asserisce di scatto; gli occhioni colmi di lacrime mentre continua a indietreggiare osservandolo dalla testa ai piedi con uno sguardo colmo di delusione. Sembra così vero. Così sincero. Ma Mun scava, scava nei suoi ricordi mentre gli rivolge le spalle e prende a camminare con una certa velocità nella direzione opposta. « Mi hai mentito. Per tutto questo tempo.. mi hai mentito. E io come una stupida ti ho creduto. Mostro. » Inizia a scendere le scale e dirigersi verso l'esterno; è l'unica cosa logica che le venga in mente. Ha bisogno di aria. Ha bisogno di respirare. Ha bisogno di stare lontana da lui. « Stammi lontano! Mi fai schifo.. »

    « Davvero non possiamo ucciderli? » No. Non si può. Sono preziosi. « Ma allora non è divertente. » Il suo lamento infantile s'infrange tra gli alberi della foreste mentre sbatte i piedi come una bambina a cui è stato negato il privilegio del suo giocatolo preferito. « Luce dei miei occhi, davvero non possiamo fare niente? » Gli chiede quindi spalmandoglisi letteralmente addosso, mostrandogli quel delizioso broncio che adora, prima di spostare a sua volta lo sguardo sui due, colti in un tenero momento sul divano, a farsi le coccole. « E' che guardalo.. è così delizioso. Le dedica poesie. Tu non mi dedichi mai poesie. » A dirla tutta, quei due sono sin troppo zuccherosi per i suoi gusti, quasi diabetici. Ma un giorno coi zuccheri alle stelle nel sangue, non può mica far troppo male. Posso sempre dichiararlo il pasto della domenica. « Sarà difficile non mangiarlo. Davvero. » Sospira con fare molto teatrale mettendosi in testa che no, a quanto pare alle loro controparti stupide non potevano nuocere. Al massimo giocarci tipo topolini in gabbia, magari illuminarli su come fare per tirare fuori tutti quanti da lì dentro - loro due per primi - e traumatizzarli a morte. « Uffa ma poi lo vedi che non c'è giustizia nel mondo? A Fred affidano quella gatta morta che potrebbe ammazzare a sprangate ogni qual volta voglia, e a noi questi due imbecilli. » Un dramma, davvero. [...] « Dov'è Mun? » No va beh ma posso prendermi lui? E' un giocattolino perfetto! Starebbe un sacco bene in gabbia assieme ai miei cuccioli! E poi ha quegli occhioni sinceri che proprio di dir cazzate non ne vogliono sapere. E' colta in pieno da una forma di tenerezza che non riesce a nascondere.
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    « No, non vogliamo la stessa cosa. E mi pare piuttosto chiaro, dato che il vostro amico ha cercato di farmi fuori in svariate occasioni. » Beh certo pesante però. Ecco.. se parlasse un filino di meno, potrei quasi pensare di non mangiarlo.. per qualche giorno. Ecco, potrei cominciare col strappargli la lingua. No ok, la lingua no. Andiamo di corde vocali. Mi sembra più adatto. « Oh andiamo Albus, non esagerare. Rendi tutto decisamente troppo drammatico. » Compie una leggera pausa stringendosi nelle spalle con noncuranza, prima di sollevare lo sguardo verso l'alto, come se cercasse di raccogliere qualche riflessione particolare nell'etere. « Non prendertela con Ryuk. E' stato un fedele animaletto domestico per Mun. Le ha tenuto compagnia in così tante occasioni. Non puoi biasimarlo per sentirsi ferito dal suo abbandono. Si sente tradito, solo, abbandonato. Pensa come ti sentirai tu.. quando ti succederà. Perché lo sai che succederà, vero? Soprattutto se non metti su qualche sorriso tesoro bello. Sei troppo pensante. » Sospira con aria costernata, prima di rivolgergli un sorriso affettuoso, sbattendo le palpebre con una certa intensità. « Va bene, hai vinto. Mi hai messo in trappola. Ha senso fingere che serva? Eccola. Avete Mun. Sai bene che farei e direi qualsiasi cosa pur di tenerla al sicuro. » Solleva un sopracciglio, appoggiando la schiena alla parete alle sue spalle, restando in silenzio, e lasciandogli completare quella scenetta. Non le sfugge il lancio della lama, gesto al quale sorride piuttosto divertita. Secondo me, amore, ti stai divertendo molto più di me. Bisognerà in qualche modo alzare la posta in gioco. E OH PER CARITA' che ci vedrai mai in quella non lo so! Guadala fagottino mio, è così insipida. Cioè, non puoi amare me e pensare di farti lei. Mi offendo. « Avete quello che volete: me, da solo, disarmato. Vi darò tutto ciò che mi chiederete, ma lasciatela andare. » Poco egocentrico "il bimbo". Alza gli occhi al cielo leggermente spazientita, mentre con uno slancio, pone le distanze tra lei e il muro alle sue spalle, iniziando a muoversi nell'ambiente circostante. Una figura fuori dalla finestra la porta ad abbozzare un leggero sorriso. Seh va beh, adesso pure bagnata! « Io non voglio niente da te, Albus. » Asserisce di scatto in un tono maledettamente sincero, mentre gli occhi di ghiaccio, leggermente più scuri di quelli della sua controparte, inglobano quelli neri di lui. « Non c'è niente che tu possa darmi. » Lo sguardo si perde nel vuoto, stringendosi le braccia al petto. Vulnerabilità, sensibilità e melanconia. Le tre grazie della Carrow che insieme completano lo spettacolo del melodramma per eccellenza. A quel punto prende ad avvicinarsi, lo sguardo colmo di un'innocenza strappacuore, che si infrange tutta su Bambi, lì di fronte a lei. « Puoi per caso ridarmi la libertà? Puoi forse strapparmi dalle fiamme dell'inferno? Puoi farlo smettere? Puoi liberarmi da Lui? » Un passo alla volta, lentamente e con cautela e nuovamente si ritrova a pochi centimetri da Albus Potter. Andiamo sono più carina dell'inspidona, ammettilo. Azzarda alzare una mano nella sulla direzione solleticandogli appena il viso coi polpastrelli tremanti per pochi istanti, prima di indietreggiare, colta da un'improvvisa vergogna. Beccati questo visetto d'angelo. Ed è proprio in quel momento, mentre si allontana che viene colta da una serie di spasmi, mentre la camicia di flanella identica a quella della sua controparte, si tinge di rosso al livello dell'addome. Lo sguardo dell'arpia colto dal panico, mentre cerca quello di Albus in una mossa di pura emergenza. Dischiude appena le labbra mentre scuote la testa. E così facendo, si precipita incerta verso la porta iniziando a battere il pugno contro la sua superficie con una certa veemenza. « No Albus! Fermati! LASCIALA ANDARE! » Urla contro la porta bloccata con il panico nel tono di voce. mentre rivoli di sangue sgorgano da una ferita all'addome. Un secondo taglio sul braccio che la obbliga ad accasciarsi a terra. « Stai uccidendo anche me, bastardo! » Urla ancora e si dispera, mentre il miglior pianto della storia della drammaturgia classica riempie l'atmosfera tesa dell'aula. « Io ti amo! Non puoi farmi questo! » Già. Perdonami, ma sono più convincente di te. [...] Sa con precisione quanto tempo ha passato accasciata a terra con la mano stretta attorno alla ferita. Il volto sempre più pallido, le labbra di un colorito purpureo. Mezz'ora. E' precisamente mezz'ora che piange silenziosamente nel suo angolo, colta dalla finta consapevolezza che la sua vita sta per finire. « Non volevo che andasse così. Mi dispiace per la tua ragazza. » Se non posso mangiarlo, quanto meno lasciatemelo torturare. « So cosa significa una perdita del genere.. un tempo anche io ero umana. Tanti secoli fa. » Parte la storia strappalacrime da ultimi momenti prima di crepare. « Il mio uomo lo hanno ucciso a colpi di frustrate per aver rubato una pagnotta per la sua famiglia. » Chiude gli occhi, momento tragico in via di sviluppo. « E poi qui ho incontrato Lui. Credevo mi amasse. E invece guarda cosa mi sta facendo. Ti prego fallo smettere, Albus! » Oh, quel ti prego a cui non si può resistere. Il risveglio dell'eroe. Ridicolo! Tu avrai pure il visino d'angelo dalla tua, luce dei miei occhi, ma la regina delle donzelle in difficoltà resto sempre io. Competi con questo!

    « Expecto Patronum! » Ha ripetuto quella formula, misurando la tenuta del castello in lungo e in largo. Non aveva avuto il coraggio di guardarsi indietro per paura che altre parole in grado di farla tentennare potessero riversarsi su di lei. Il dubbio continuava ad attanagliarla, e man mano che continuava a ripetere la stessa formula senza nessun risultato, la sua speranza tentennava un po' di più. Intrappolata tra l'incredulità e l'assurdità di tutto ciò che ha visto e sentito, inizia a rimettere insieme i puntini. E per quanto il potere di quelle parole riesce a farla dubitare di tutto, ci sono tra gli sprazzi della sua memoria una serie infinita di indizi che riconducono al contrario. L'incontro con Fawn, l'incontro con Maze, il fatto che lo avesse visto eseguire più di un incantesimo, il suo battito pulsante, il suo passo a tratti così trascinato da risultare quasi fastidioso. E se mi avessero fatto immaginare anche questo? Se fosse tutto frutto di allucinazioni? Ecco l'unico punto che diverge. Mun ha visto e sentito così tante volte cose che in realtà non esistevano. Ha provato dolore quando fisicamente stava bene. E' stata cieca quando i suoi occhi sono sempre rimasti in grado di vedere. Le avevano incasinato la testa a tal punto da non riuscire più a capire cosa fosse effettivamente reale e cosa non. E quindi eccola tentare la strada più disperata. Una delle poche cose che è certa le tenebre non possono controllare. La magia bianca. Quella stessa formula che per anni l'ha tormentata e che le ha quasi fatto rischiare una bocciatura in DCAO. Perché lei non ci riusciva! Lei non poteva farlo; strappata alla luce, incatenata completamente nelle tenebre, si era abbandonata all'idea che il suo patronus non avrebbe mai visto la luce. Continua ancora e ancora, a pronunciarla, mentre ripensa ai suoi ricordi più felici. Uno in particolare le riempie il cuore di gioia allo stato puro più di molti altri. Tu hai fatto la cosa più bella che chiunque abbia mai fatto per me. Mi hai chiesto se potessi portarti via. Lo farò. Ovunque tu voglia andare, ti ci porterò. Se l'altro lo ha inficiato con la sua presenza, allora non funzionerà. E infatti non funziona, per quanto ci provi, ancora e ancora non funziona. Se lei di Ryuk non si è mai liberata, che possa compiere quel incantesimo non c'è speranza. Si passa le mani sul viso e riprova ancora. « Expecto Patronum! » Ed ecco che, dopo una serie infinita di tentativi qualcosa accade. Si lascia coinvolgere da quel ricordo, dal sollievo di vederlo tornare, dalla stretta morbosa con cui avvolge il suo busto, quelle lacrime di gioia silenziose che le hanno circondato il viso, ed ecco che una debole luce fuoriesce dalla sua bacchetta. Si guarda attorno con fare paranoico, prima di alzarsi di scatto dal prato e provarci ancora. Si concentra, riponendo tutte le sue forze in quel gesto, nel liberare la mente ed esulare quel ricordo da qualunque influenza possa aver subito di fronte alle parole che si è appena sentita gettare addosso. E la prova ancora e ancora mentre la luce azzurrognola si fa sempre più persistente. Ispira affondo e man mano che la tenacia aumenta pronuncia per un'ultima volta: « Expecto Patronum! » E quella candida luce tinta di blu fluisce fuori dalla bacchetta prendendo la forma di una meravigliosa lince, snella, elegante, fiera. Vai! Trovalo! Io sto bene. Guidalo da me. Non è certa che il messaggio gli verrà recapitato, ma spera, Mun che l'insolita comparsa possa bastare perché capisca. O aiutami a trovarti. La magnifica bestia scompare dietro l'angolo e lei resta nuovamente sola. Ed è allora che lo vede, in lontananza sotto la pioggia, poco lontano dall'ingresso principale. Deglutisce e ispira affondo, prima di armarsi di tutto il coraggio che possa trovare nel proprio animo; i pugni ben stretti lungo il busto. « Se tu sei sempre stato con me, dov'è Albus? Che cosa ne hai fatto? » Perché sì, in fin dei conti, sta vagliando anche quella tesi. Forse l'ha fatto scomparire, ad un certo punto, quando era troppo presa da se stessa, troppo presa da quella favola estemporanea. E poi di scatto, in un momento di piena lucidità, gli occhi di lei guizzano in quelli di lui. « Se tu sei sempre stato con me, ieri sera.. cosa mi hai detto sotto la doccia? Cosa ci siamo detti? » Compie un ulteriore passo nei suoi confronti, obbligandolo a rientrare. « Se sei sempre stato tu, dimostramelo. Portami da lui! ADESSO. » Pausa. « Apri. Quella. Porta. »

     
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    "Io non voglio niente da te, Albus. Non c'è niente che tu possa darmi." scattò, il suo capo, scuotendosi come a voler forzatamente negare quelle parole. Non è vero. Già il semplice fatto che tu sia qui ne è una prova. Eppure quel senso di strisciante impotenza, quella paura ancestrale che aveva da sempre paralizzato Albus, non poteva fare a meno di risalire a galla in momenti come quello. Momenti che riportavano sin troppo prepotentemente alla sua memoria la parola che, la notte del ballo, era passata sullo specchio rivolta a lui. Debole. Il giovane Potter si era sempre sentito tale, ondeggiando tra picchi di completo narcisismo e altri di più sconfortante dubbio introspettivo. La classica maledizione di chi, per un motivo o per un altro, per nobiltà o egocentrismo, ha la propensione a mettersi sulle spalle più di quanto possa effettivamente portare; prima o poi, da quel peso, ne vieni schiacciato, oppure, se sei fortunato, ti ritroverai soltanto a sentirti cedere le gambe ogni cinque passi. L'angosciante senso di impotenza era un qualcosa che il ragazzo conosceva sin troppo bene, e che aveva cominciato a sperimentare nel momento in cui la sua vita aveva cominciato a intrecciarsi indipendentemente nelle sue tasche come i fili di un paio di cuffie: quando aveva saputo di aspettare un bambino. Da lì, tutto quanto era stato una giostra, un continuo alternarsi di deliri di titanismo e di paralizzante terrore di non farcela. Tante erano state le cose che aveva sbagliato, tante le illusioni in cui si era cullato per giustificare quella più grande: il poter mettersi il mondo sulle spalle come un novello Atlante. E altrettante erano state le volte in cui la vita aveva smentito queste sue folli convinzioni. Le parole del doppio di Mun andarono a colpire proprio in quel substrato, su quell'insicurezza coatta che aveva sempre costituito il nocciolo della sua debolezza. Un nocciolo che, fondamentalmente, si riassumeva in una semplice domanda: e se non fossi abbastanza? Dubbio che, direte voi, tutti possiedono, giustamente. Ma tale dubbio assume caratteri ben più scuri nel momento in cui qualcuno che dipende da te esiste davvero. E a quel punto le strade sono due: o vieni schiacciato, oppure, ad essere abbastanza, ti devi obbligare. Magari non lo vuoi, magari non ne hai le forze, magari preferiresti semplicemente gettare le armi e lasciare che ognuno pensi a se stesso, ma assieme a queste tentazioni si accompagna quasi sempre la consapevolezza che, assecondandole, potresti condannare qualcuno a un destino dal quale tornare indietro non è possibile tanto quanto non è possibile scaricare il barile su qualcun altro come hai fatto tu. "Puoi per caso ridarmi la libertà? Puoi forse strapparmi dalle fiamme dell'inferno? Puoi farlo smettere? Puoi liberarmi da Lui?" Chinò il capo, abbassando lo sguardo. Un solo sussurro uscì dalle sue labbra. "No. Non posso." E per qualcuno che si è sempre obbligato ad essere abbastanza, non è semplice ammetterlo. Non è semplice convivere con l'idea che esista qualcosa che non puoi risolvere, un problema di cui non ti puoi caricare, un nodo che non puoi sciogliere. Sei tanto ubriaco di quella continua corsa verso il limite, di quello strenuo sforzo a metterti sulla schiena un altro peso, che quando ti rendi conto di non aver più spazio ne' forze, è destabilizzante. E non importava che la persona di fronte a lui fosse un'entità malvagia, nemmeno umana, con lo scopo diretto di scalfirlo. Le debolezze esistono per una ragione, e non seguono le regole della logica: sono lì, sono delle piccole falle in un sistema altrimenti infallibile. Ma siamo umani e, dunque, per nostra costituzioni, fallibili. Albus non era Atlante, ma piuttosto, come Achille, aveva un tallone che poteva facilmente farlo crollare su se stesso. Chiuse gli occhi al tocco delle dita di lei, volendo ritrarsi ma senza riuscire a muoversi, come fosse letteralmente paralizzato. Li chiuse e li tenne ben serrati, scostando appena il capo di lato come in un atto di muto ribrezzo a cui non trovava il modo di dar voce. Li riaprì tuttavia di scatto, nel sentirla boccheggiare, trovandosi di fronte l'immagine di una chiazza rossa che andava velocemente ad espandersi sulla camicia di lei a livello addominale. Spalancò le palpebre, colto non tanto da panico, quanto piuttosto dal vuoto di un qualcosa che non riusciva a comprendere. "No Albus! Fermati! LASCIALA ANDARE!" urlava, sbattendo i pugni contro la porto, sotto lo sguardo immobile di un Albus che, di quella situazione, stava capendo poco o nulla. "Stai uccidendo anche me, bastardo! Io ti amo! Non puoi farmi questo!" Una scintilla di panico fece tremare le sue iridi, ma per le ragioni sbagliati. Per un istante credette che il doppio di Mun stesse mettendo in scena quella farsa per portare qualcuno, dall'esterno, a intervenire, e dunque incastrarlo in un atto che non aveva compiuto. Un ragionamento del tutto privo di senso, direbbe chi guarda la cosa dall'esterno, sorseggiando la propria bevanda di scelta dal calduccio della propria casa protetta. Ma che lì, in una situazione che del paradossale già lo aveva di suo, e ulteriormente aggravata da uno sconvolgimento psicologico di rara portata, poteva apparire come assolutamente plausibile. Tuttavia, ancora una volta, Albus non fece nulla. Pur sapendo, da qualche parte dentro di sé, che lei lo stesse manipolando, rimase immobile. Rimase semplicemente lì, fermo, in stato di shock, senza muoversi ne' parlare, dando come unico segno di vita lo sbattimento delle palpebre e il tremolare delle iridi da una parte all'altra senza logica alcuna. "Non volevo che andasse così. Mi dispiace per la tua ragazza." furono solo quelle parole a riportarlo alla vita. A fargli capire il nesso: che qualcosa stesse accadendo alla vera Mun. "So cosa significa una perdita del genere.. un tempo anche io ero umana. Tanti secoli fa. Il mio uomo lo hanno ucciso a colpi di frustrate per aver rubato una pagnotta per la sua famiglia. E poi qui ho incontrato Lui. Credevo mi amasse. E invece guarda cosa mi sta facendo. Ti prego fallo smettere, Albus!" Fu istantaneo come un colpo di frusta, il click psicologico che lo portò a muoversi. Scatti meccanici, per lo più. Fece correre la mano verso la propria bacchetta, accasciandosi accanto al doppio della mora per castarle sull'addome l'incantesimo atto a fasciarle la ferita. Non disse nulla, agì semplicemente, senza rendersi conto di ciò che effettivamente stava facendo e di chi avesse di fronte. Era come se il suo cervello fosse stato resettato, portato a una tabula rasa con solo la memoria muscolare a fargli da ausilio. Vedi una ferita e dunque la tamponi. Pensieri semplici, veloci, monosillabici come i comandi di un computer. Pensieri che dunque ci misero più del dovuto ad elaborare le parole della mora, recuperando quel concetto che lo aveva mosso all'azione: stava accadendo qualcosa a Mun, e quella poteva essere una ferita inferta alla vera lei. Di scatto si alzò in piedi, correndo verso la porta senza riuscire tuttavia ad aprirla. Nulla. "Apri questa cazzo di porta." Urlò ferocemente contro il doppio della Carrow, ripetendole il comando più e più volte senza ottenere nulla. "Alohomora." Niente. Ti stai divertendo, vero? Doveva essere molto divertente, per lei, la visuale di un Albus che si gettava disperatamente contro l'uscio chiuso, sbattendosi come un animale in gabbia, totalmente preso dal panico. E probabilmente avrebbe continuato in quella maniera fino a perdere del tutto la propria lucidità, se solo la porta non fosse stata attraversata da un essere luminescente. Un patronus che Albus rimase a fissare incantato senza battere ciglio per alcuni istanti. Una lince. Chiamatela speranza del pazzo, chiamatela intuizione, chiamatelo legame tra due spiriti affini: non saprebbe dire, Albus, di cosa si fosse trattato, ma fu una coincidenza fortunata, e poco importa se a muoverlo fu l'autocondizionamento o una vera consapevolezza. Capì, o forse si convinse, che quello doveva essere il patronus di Mun. E dunque, rianimato da quella flebile speranza, vi si aggrappò con tutte le forze, puntando la bacchetta contro il muro di pietra. "Bombarda maxima." Non appena il fumo polveroso si diradò, gli occhi smeraldini del ragazzo si ritrovarono a fissare la parete del corridoio antistante tramite un discreto buco nella pietra, sorridendo con fare vittorioso prima di voltarsi verso il doppio di Mun. "Anche questo mi hanno insegnato al riformatorio: se non puoi scassinarla, sfondala." accompagnò quelle parole con una stretta di spalle prima di saltare oltre il buco nel muro, lanciandosi in corsa come un proiettile per i corridoi, al seguito della lince azzurrognola.

    "Mi hai mentito. Per tutto questo tempo.. mi hai mentito. E io come una stupida ti ho creduto. Mostro. Stammi lontano! Mi fai schifo.." Gli bastò che la ragazza voltasse l'angolo per sciogliere la propria espressione da una falsa costernazione a una potentissima alzata di occhi al cielo, ritrovandosi a ripetere le parole di lei in uno sfottente falsetto. "..mio Dio, il melodramma!" Sbuffò pesantemente, cominciando a trascinarsi per i corridoi con evidente insofferenza. Ok, carina, ingenua e tutto quanto, ma che stracciacazzi! Cioè, non è che mi aspettassi che accettasse subito di galoppare verso il tramonto, ma quest'uscita? Dai, per favore, la donzella che fugge fa molto anni cinquanta - e non in senso buono. Oh, però si spiega cosa ci trova nella mia controparte scialba: si sono trovati nel loro insopportabile buonismo. Suvvia, ti ho appena fatto una dichiarazione d'amore e tu prendi e te ne vai così? Oh tempora, oh mores! Una volta varcato il limitare del castello si ritrovò sotto una pioggia battente che, di certo, avrebbe preferito non ci fosse. Ma ehi, crepi l'avarizia, ci facciamo una scenetta a la Mr Darcy che vi dico proprio levatevi tutti. E infatti fu così che si fece largo lentamente in quell'ambientazione molto poetica, mettendo su il suo miglior sguardo da cane bastonato mentre lasciava che lo scrosciare della pioggia gli appiccicasse i capelli al viso e gli indumenti al corpo. Dio benedica questa fortunata scelta delle camicie! Guarda tu! Beccati questa, Carrow! Se non mi lanci le mutande così, davvero, la vista non te la meriti. "Se tu sei sempre stato con me, dov'è Albus? Che cosa ne hai fatto?" Cane bastonato intensifies. Prese un respiro profondo, simile a un singhiozzo, sfarfallando lo sguardo con incertezza, per poi posarlo a fissare il suo volto da sotto le ciglia imperlate di goccioline di pioggia. "E' vivo, sta bene." ammise, con una nota di dolorosa supplica nella voce, plasmando i propri lineamenti in una smorfia di profondo dolore. "Lo abbiamo noi, ma te lo giuro, non gli abbiamo torto un capello. Il semplice fatto che io esista lo devo a lui. Se dovesse venire a mancare, morirei anche io." Fece un passo in avanti, cercando di avvicinarsi ulteriormente a lei. "Ti prego.." riprese, ma non fece in tempo a finire. "Se tu sei sempre stato con me, ieri sera.. cosa mi hai detto sotto la doccia? Cosa ci siamo detti?" Vabbè, ciao, l'interrogazione. Non mi meriti, Carrow, è evidente. Io bello, aitante, simpatico, intelligente. Tu proprio un palo nel culo. Si morse il labbro inferiore, decidendo di giocarsela in casa. Avanzò un altro passo, rivolgendole un sorriso così dolce da strappare il cuore, e allungando una mano volutamente tremante ad accarezzarle la guancia con leggerezza. "Andrà tutto bene." Tanto lo dice ogni tre per due. Perdi la vista? Andrà tutto bene. Finisce la carta igienica? Andrà tutto bene. Hai le mestruazioni? Andrà tutto bene. // "In realtà.." urlò in direzione della schiena del proprio doppio, fermando la propria corsa a pochi passi di distanza dai due, stringendo la mano attorno alla bacchetta. La tenne bassa, nel muovere alcuni lenti passi nella direzione del suo gemello, ma la stretta salda la si intuiva dalle nocche bianche, a simboleggiare la prontezza con cui l'avrebbe alzata. Aspettò che l'altro si voltasse prima di finire la frase, guardandolo dritto negli occhi quando finalmente incontrò il suo sguardo. E lì, un piccolo sorriso andò a incurvare le sue labbra, lasciandovi scorrere i rivoli di pioggia. "..le ho detto che aveva un bel culo." // E fu in quel momento che la maschera del doppio cadde, sciogliendosi in un sorriso beffardo nell'incontrare finalmente gli occhi del suo originale. Lo vedete? E' questo il problema di essere intelligenti come il sottoscritto: che i tuoi polli li conosci. Eccolo, è arrivato. Dal seicento con furore. Mado', un bagnetto di umiltà proprio mai. Ma soprattutto: sempre sobrio, amico caro, mi raccomando. Una risata di scherno fuoriuscì velocemente dalle sue labbra, indicando la bacchetta con un cenno del mento. "Ancora con quello spiedo? La mia dolce metà non ha avuto modo di farti capire quanto poco effetto abbia su di noi?" Mosse un paio di passi verso di lui, alzando una mano e muovendo il capo in un gesto che sembrava dire: no, ok, ritratto. "E' vero, perdonami. Sei troppo nobile per colpire una donna. Lapsus. Mi sono dimenticato che la differenza, tra noi due, è che tu sei stupido." Altri passi, lenti, senza alcuna fretta ne' paura, in totale consapevolezza del fatto che ogni colpo del ragazzo sarebbe stato un buco nell'acqua. Si rivolse solo un veloce sguardo alle spalle, giusto il tempo per accertarsi che la vera Mun - e dunque l'unica arma efficace - fosse lontana. Lo era. Si ritrovò dunque faccia a faccia col proprio gemello umano, sorridendogli come un genitore sorriderebbe al proprio bambino che fa le bizze. "Avanti, Massimo Decimo Meridio. Sei venuto fin qui, ti sei fatto l'entrata ad effetto, hai il tuo scenario epico, la musica purtroppo ci manca ma se la tua ragazza ci sta si può sempre fischiettare..ahimè, ti manca solo una cosa." E nel dire quelle parole alzò un dito a picchiettargli sulla fronte. Sì, pure il cervello, ma non intendo quello. "Non vedo nessuna cicatrice qui." Sorrise, mefistofelico, scoprendo le due file di denti bianchissimi. "Essere figlio di un eroe non ti rende, a tua volta, un eroe. E' tempo che lo accetti, Albus. Tutte queste nobili gesta, tutti questi atti di ridondante eroismo, questo tuo enorme ego, persino l'unica cosa che ti rende effettivamente, in qualche misura, speciale - l'essere sin eater - ..non coprirà mai quello che è evidente agli occhi di tutti, pure ai tuoi, in fondo al cuore: che non sei, e non sarai mai, abbastanza." // Forse a volte abbiamo bisogno di sentircelo dire, non tanto dagli altri, quanto da noi stessi. Che
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    gli piacesse o meno, la persona che si trovava di fronte era pur sempre una parte di lui. Era l'incarnazione vivente di quanto di peggiore albergasse all'interno del suo cuore, l'antropomorfizzazione di quel liquido nero che vomitava contro la propria volontà. Era come guardarsi allo specchio e vedersi finalmente per ciò che si è, in maniera completa. E a quel punto sei costretto ad accettarlo: ad accettare di non essere perfetto, di avere dentro tanta merda quanta ne spali addosso agli altri, di essere fallibile, debole, incompleto e storto. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice una frase nel particolare, che in seguito i cavalieri templari presero come proprio motto personale: « Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi ». E fu questo, ciò che Albus sentì rimbombare nella propria testa. Per molto tempo, e per così tante volte - non per ultima qualche minuto fa -, il giovane Potter era stato messo di fronte a quella sua insicurezza. Ogni volta era stata una ferita, ogni volta l'aveva fatto crollare in una qualche misura. E questo perché a dirglielo, o a farglielo capire, era sempre stato qualcun altro. L'altro, proprio per il suo essere altro da noi, ci dà modo di fuggire, di giustificarci con noi stessi; perché alla fine dei giochi, gli unici osti con cui fare i conti siamo solo noi. Nessuno ti può dare una sicurezza che non hai o che non permetti: tutto passa attraverso il nostro personale e intoccabile filtro. E quindi sì, Albus quelle parole aveva bisogno di sentirsele dire, ma dalla propria stessa voce, dai propri stessi occhi. Aveva bisogno di dire a se stesso: accettalo, questo tuo arrampicarti e sbatterti a destra e a manca per sfuggire dalla tua stessa ombra, non funzionerà mai. E fu quindi accettazione, il sentimento che prevalse nel suo cuore. Un'accettazione che sapeva di libertà. E forse non gli avrebbe dato comunque pace, ma consapevolezza, quella sì. E finalmente poteva dare risposta a quella domanda che si era sempre fatto, che si era posto nuovamente nell'entrare, a Settembre, nell'ufficio di Alaric: qual'è il momento esatto in cui un uomo smette di essere figlio e diventa padre? Quando capisce che non ci si può prendere la responsabilità di qualcun altro se prima non la si prende su se stessi. Fu questo, dunque, il ragionamento che lo portò ad annuire. "Hai ragione." mormorò, abbassando lo sguardo sulla mano che stringeva la bacchetta, lasciandola andare. "Non sono lui." un altro mormorio a sguardo basso, mentre la pioggia scorreva sul suo viso, lavandolo di quella parte di infantilità che per troppo tempo si era ostinato a tenere stretta. Perché è facile, essere figli. E' facile dipendere da qualcuno, giustificandoti tramite esso. Ed era ormai giunto il tempo che Albus smettesse di farlo: era una scarpa che, ne aveva avuto la prova svariate volte, non gli calzava più. Kill the boy and let the man be born. Chiuse dunque le palpebre, esprimendo mentalmente il suo ultimo desiderio. Non sono lui. E tu ne sei la prova vivente. Sei la prova del fatto che non sono un eroe, che non ho la sua stessa compassione, che la mia predestinazione è solo una beffa, e che bisogna capire quando accettare i propri limiti. Sarò sempre suo figlio, ma non sono più un figlio. La mano che prima aveva stretto la bacchetta andò dunque a immergersi nella tasca interna della giacca. Aveva espresso il suo secondo desiderio, e quando le dita si intrufolarono nella calza, andarono a stringersi attorno all'elsa della nuova arma. Era stato quello il suo desiderio: qualcosa che potesse ucciderli, ricalcando ciò che Mun aveva già chiesto. Ma non fu un pugnale ad apparire per lui, quando una lunga spada di acciaio lucente, che estrasse fluidamente. E mentre la mano destra si poggiava sulla spalla del doppio, la sinistra andò per l'affondo, trafiggendolo in pieno petto. Alcune lacrime cocenti si confusero alla pioggia nello scivolare lungo il suo viso, mentre gli occhi guardavano la luce scivolare via da quelli del suo gemello, boccheggiante, che si accasciava piano, abbandonando ogni resistenza contro il liquido scuro che la ferita faceva sgorgare lungo la spada e giù dalla bocca. "Grazie." Mormorò, solo a lui, poco prima che quegli occhi si trasformassero in due vuoti contenitori esanimi. Quando estrasse la lama, sporca di quel viscoso liquido nero in tutto e per tutto simile a quello che vomitava, rimase per qualche istante ad osservare il corpo del doppio. Addio. Solo allora, con il battito cardiaco ancora a mille, sollevò le iridi in quelle di Mun, rimanendo per un momento fermo dove stava. Un momento, uno solo. Dopodiché si precipitò incontro a lei, stringendola al petto con tanta forza da poterla tranquillamente soffocare. La mano libera si poggiò sulla sua nuca, lasciandogli modo di stampare un bacio disperato sulla sua tempia, serrando le palpebre con forza. "E' finita, sono io. Andrà tutto bene." sussurrò al suo orecchio, stampandole prontamente altri veloci baci sulla fronte, poi sulla guancia, e in seguito all'angolo delle sue labbra. Solo allora si prese il tempo di tirare un respiro profondo, appoggiando la fronte contro la sua. "Ci manca solo lei. Ce la puoi fare." E sarò con te, in ogni momento.


     
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    « E' vivo, sta bene. Lo abbiamo noi, ma te lo giuro, non gli abbiamo torto un capello. Il semplice fatto che io esista lo devo a lui. Se dovesse venire a mancare, morirei anche io. Ti prego.. » Indietreggia istintivamente, stringendo i pugni intestardita da quelle parole che le suonano così fuori da ogni logica. Una rabbia cieca, tipica dell'età dell'innocenza, s'insinua nelle sue vene, mentre lo fissa dritto negli occhi con la diffidenza di un cucciolo ferito e frustrato e la sfida di un'arpia pronta a scagliarsi contro una vittima sacrificale. Non è vero. No. Non ti credo. Una parte di Mun sa che sarebbe più facile abbandonarsi a quella convinzione. Sa che tutto avrebbe più senso ai suoi occhi accecati da un'insicurezza irrazionale, se solo si lasciasse coinvolgere dalle menzogne del doppio. Non è mai stata una persona speranzosa, Mun, e abbandonarsi alla via più facile è sempre stata la cosa migliore per lei. Crogiolarsi nella propria miseria, nella sfiga impressionante di cui sapeva farsi portatrice era semplicemente più razionale dal suo punto di vista. Se non hai nulla che possa deluderti, puoi sempre convincerti che peggio di così non può andare. Scappare è più facile, negare, mentire, non ammettere mai che una speranza esiste al di là del grigiume generale del mondo. « Andrà tutto bene. » Beccato.E non solo perché il suo quesito non aveva trovato risposta ma anche perché ancora una volta la sensazione non è quella giusta, quasi come se quelle parole le fossero entrate sotto la pelle, come se fossero assorbite dal suo DNA e ne accettasse un'unica provenienza. La testa voleva crederci, il cuore tuttavia, rigettava tutto quel ammasso di menzogne a cui era sottoposta. E di scatto, quegli occhi incupiti, s'illuminarono, nel veder muoversi nel buio una figura che riconobbe all'istante. Il sollievo le esplose nel petto, mentre si passava una mano sul volto imperlato dalle centinaia di goccioline di pioggia; sospiro affondo, mentre gli occhi tornavano sulla figura del doppio. « Si.. andrà tutto bene. » Fu l'unica cosa che disse, in un tono colmo di dolcezza e paradossalmente imperniato da una convinzione che ormai dominava la sua vita. Non era che Mun fosse convinta che le cose sarebbero andate per forza bene. E' solo che con te voglio crederci. « In realtà.. le ho detto che aveva un bel culo. » E a quelle parole Mun sorrise, con gioia e un sollievo che sembrava perpetrarsi nelle sue vene alla velocità della luce. La conferma. Quella è la sua conferma: la conferma che a volte, bisogna semplicemente avere fiducia, ammettere che non tutto deve essere necessariamente buio. Quando ci sei, io qualche raggio lo vedo comunque. Man mano che si allontanavano in quello scontro tra titani, Mun riusciva a percepire sempre meno la loro conversazione. La pioggia torrenziale sovrastava il suono delle loro voci, a tal punto che la ragazza difficilmente riesce a carpire il senso della loro conversazione. Che il doppio non può nuocere al suo originale lo ha ormai appurato, ma questo non le impedisce di stringere le dita attorno all'impugnatura dell'arma che la calza le ha regalato come ultimo desiderio. Osserva i movimenti dei due con attenzione, cercando di mantenersi a debita distanza. In cuor suo Mun sa di essere l'anello debole. Sa di non essere un punto di forza, sa che piuttosto che un elemento atto a spronare, è un punto debole, uno che l'altro sfrutterebbe ben volentieri a discapito di Albus. E così, tenta di non dargli pretesti, seppur in cuor suo, sappia che rivolto di spalle com'è rispetto a lei, le sta dando il pretesto perfetto per testare quell'arma. Ma non ce ne è bisogno. Per un istante il panico si insinua tanto nella mente quanto nel cuore. Cosa stai facendo? vorrebbe urlargli contro, mentre osserva la bacchetta cadere a terra. Ma poi, sorprendentemente un'altra arma prende il suo posto, obbligandola a corrugare la fronte. Successe tutto in un secondo; prima che Mun potesse capire cosa stesse accadendo l'essere che aveva tentato di ingannarla, cade in ginocchio, trafitto da una parte all'altra dalla scintillante arma. E poi il nulla. Solo stupore, e vuoto. Silenzio e la pioggia a scendere sulle loro teste, mentre lo sguardo confuso continuava a fissare la figura specchio del suo Albus. Le fece impressione quell'immagine. Ecco com'è essere posti di fronte al peggior scenario che la vita può offriti. Ecco com'è assistere alla morte di una delle cose più importanti che hai, consapevole che non è successo ma potrebbe succedere. Qui dentro è facile.. finire così. Deglutisce, compiendo un ulteriore passo all'indietro. Ma quando i loro sguardi si incontrano svanisce tutto. E finalmente, Mun lo riconosce. Rivive quella sensazione provata centinaia di volte nelle ultime settimane. Sicurezza. Protezione. Si lascia inglobare andandogli a sua volta incontro, mentre il calore da lui emanato le ricorda ancora una volta di essere nel posto giusto. Il cuore le martella in petto, mentre si stringe a lui con tutta la forza che si ritrova nel corpo. « E' finita, sono io. Andrà tutto bene. » E lei di rimando gli tasta le braccia, le guance, le spalle, in un moto colmo di veemenza, con approssimazione, quasi come se non sapesse da dove iniziare per accertarsi che stesse bene, che non gli avevano fatto nulla. Lo abbiamo noi alla sola idea si stringe nuovamente al suo petto con maggiore emergenza. « Stai bene.. » Sussurra tra se e se, quasi come se volesse convincersene. « Sei tu. » Continua come colta da un leggero trauma da cui tenta di scuotersi. « Ci manca solo lei. Ce la puoi fare. » E nonostante non ne abbia la certezza, qualcosa le dice che allo specchio dovrà guardarsi anche lei.

    No. Non posso farcela. Io sono dipendente di questo posto. Scommetto che mi mancherà. Qui dentro ci marcio sopra alle mie debolezze. Io credo di appartenervi, in un certo modo. « Senti, lasciamo perdere.. » Asserisce di scatto una volta attraversata la tenuta e imboccata l'entrata delle celle. Si passa una mano tra i capelli bagnati mentre scioglie la salda presa che ha tenuto attorno al suo braccio fino a quel momento. « Io non voglio vederla. » Ed è una paura irrazionale quella che si staglia nel suo cuore. Il desiderio di scappare, per non dover stare mai faccia a faccia con Lei. Leggeri spasmi colgono le sue spalle, mentre si toglie con un certo nervosismo il cappotto, abbandonandolo a terra in un gesto che denota puro sconforto. Io non ho la tua faccia tosta, e nemmeno il tuo coraggio. E probabilmente anche lei riuscirebbe a far leva su di me in qualche modo. Non a caso, Mun aveva consegnato la lama che ora giaceva assieme alla bacchetta nella tasca posteriore dei suoi jeans ad Albus. Con la Loggia di mezzo, Mun non si fidava di se stessa. Poteva escogitare piani su piani su come uscire, su come combatterli, su come minimizzare il rischio di un eventuale scontro, ma quando si trattava di metterci la faccia in prima persona esitava, semplicemente perché aveva paura di cadere di nuovo vittima del fascino di quel mondo sotterraneo. « Io non sono come te, capisci? » Gli dice di scatto alzando la voce con una certa frustrazione. « Ne sono attratta. Mi affascinano. E' come il canto di una sirena io.. » Abbassa lo sguardo colmo di vergogna. « ..non so resistere. E' come un tumore. Anche quando non è lì, è come se ci fosse. Ero sul punto di credergli. » Capisci? Capisci quanto cazzo sono sbagliata? Mi danno un biglietto gratis d'entrata, e io sono pronta a cascarci con entrambe le scarpe. « Per te è.. naturale. » Ed è allora che la sente. E' una risata in lontananza. Corruga la fronte, mentre brividi la sua schiena. Lo sguardo cerca istintivamente il suo, prima di iniziare a guardarsi attorno. « Oh, carini.. » Non è chiaro da dove provenga la voce, tant'è che Mun prende a muoversi tra i corridoi, affacciandosi in ogni cella, alla sua ricerca. « ..le cose non dovevano andare così, cuccioli. Ma a quanto pare, piccola cerbiatta, alla fine io te dovremmo farci una piccola chiacchierata. » Panico. Dove sei. « Se solo il tuo ragazzo non se la fosse presa col mio.. lo sai cosa si prova a veder trafitti i propri cari Mun? » Un'altra risata. « Errore mio. Certo che lo sai. Ma evidentemente non abbastanza. Quindi se non ti dispiace, ora credo che ne darò una dimostrazione anche al tuo.. bimbo. » Sta' zitta. Non riesce a sopportarne nemmeno il suono della voce, e come impazzita continua a girare in tondo, senza far caso a nulla e nessuno.« Mun, piccina mia. Fermati. Sono qui. » E per la prima volta non sente più la voce come un eco. E' alle sue spalle. La mano scivola istintivamente in quella di Albus, mentre il soffio si fa pesante. Nel guardarla negli occhi prova una sorta di paura folle, qualcosa di irrazionale e struggente. Mun, si riconosce. « Sai che giorno è Mun? » Corruga la fronte. Non capisce. « E' fine febbraio. A quando risale l'ultimo. » Deglutisce la Carrow, colta da un'improvviso panico che la porta a tremare. Per un istante l'ipotesi più plausibile e naturale che le passi per la testa è che è già morta; sono tutti morti e sono finiti all'inferno. Quello è davvero l'inferno, ma non ci sono finiti da vivi. Dicembre, si risponde mentalmente. L'ultimo risale a dicembre. « Due mesi.. e ancora respiri. Ma allora è un miracolo! Come la tua vista, non è vero? Ormai vedi senza dover per forza morire un po' ogni volta. » Quella consapevolezza la coglie di sorpresa. Presa da mille altre cose, a quello non ci ha nemmeno più pensato. Si è lasciata distrarre da altro, a tal punto che dei suoi problemi non si è più curata. Non del Death Note, non della cecità. « Per una sporca assassina, sei soggetta a un sacco di.. miracoli. Lascia che ti dica chi li ha voluti, quei miracoli, Mun, così che tu ti ricordi che l'unica che ha voluto credere ciecamente in noi, sei stata esclusivamente tu. Vuoi raccontarti un sacco di cazzate, ma di noi non hai mai dubitato. Ryuk ti ha rigirato come un calzino, e tu, stupida, piccola, inutile, umana, hai creduto a ogni cazzata che ti ha raccontato. » No. Indietreggia di un passo, aggrappandosi alle grate alla sua destra. « Sai cosa mi fa godere di più di tutto questo? Che quei giorni che pensavi di aver perso, li spenderai ricordandoti di aver ucciso a sangue freddo convinta di esserne costretta. Ma non mentire. Ti piaceva. Lo faresti ancora se questo lurido mezzosangue non si fosse frapposto tra noi. » Scioglie la presa sulla mano del ragazzo, non degnandolo nemmeno di uno sguardo, mentre si passa le mani tra i capelli, colta da uno di quei momenti in cui l'autocontrollo vacilla. « Perché non finisci quello che hai iniziato Mun? Perché non torni da me? Questa volta per davvero. Scegli di essere nostra. » Trattiene il respiro mentre le dita si stringono attorno al manico della bacchetta. E' colta in pieno da quella consapevolezza; dal fatto che aveva scelto di credere ciecamente, quando in realtà, il suo debito l'aveva pagato nel momento stesso in cui aveva reso l'anima del padre alla Loggia. Uccidilo e puoi averlo. Un patto equo, di cui chiaramente Ryuk si era approfittato per farle sottrarre più anime possibili. Era come aveva detto Maze. Si erano serviti di lei, per ascrivere altri punti alla Loggia Nera. « Uccidilo. » Sussulta di scatto. « Adesso. » Il massimo della sopportazione arriva per tutti. E Mun pensava di averlo già raggiunto. Lo ha raggiunto quando ha deciso di combattere Ryuk, e ancora pensava di averlo raggiunto a Natale. Pensava di aver raggiunto il limite massimo della sopportazione in quel bagno. Ma voi non ne avete mai abbastanza. Non vi basta mai. « Ora, Mun. » Ogni parola del serpente è una nuova fitta, un nuovo sussulto. E alla fine, con un movimento circolare della bacchetta esegue un Incarceramus non verbale sul ragazzo. Lo sguardo corre sul suo volto mentre estrae la lama dalla tasca, lasciandola brillare sotto la luce fiocca delle fiaccole che illuminano appena il corridoio. Una lunga pausa in cui il silenzio rimangia la stanza. Lo sguardo velato da lacrime che non riesce a controllare e che le provocano ulteriori tremori. « Mi dispiace. Ti avevo avvertito. » Ma gli occhi sembrano dirgli tutt'altra cosa. Di scatto, la lama scivola lunga il proprio palmo, creando un taglio netto che le istiga una non indifferente smorfia di dolore, mentre il doppio indietreggia appena. Il palmo di lei colto da una leggera luce bianca. Il semplice fatto che io esista lo devo a lui. Se dovesse venire a mancare, morirei anche io. Ecco il punto. « Io non dipendo da te, Amunet. » Asserisce di scatto, pur non distogliendo lo sguardo da quello smeraldino di Albus. « Ma tu si. » Il ringhio di dolore di lei, le conferma che quella ferita fa più male alla sua versione speculare di quanto non ne faccia a lei. Ti prego, non fermarmi, so quello che sto facendo. Vorrebbe poterglielo dire davvero. Vorrebbe persino rassicurarlo che andrà tutto bene, ma a dirla tutta non ne è nemmeno lei sicura.
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    « Come usciamo di qui, Amunet? » Chiede quindi mentre preme ulteriormente la lama contro il palmo, provocando ad entrambe altre fitte di dolore. Ma Mun non sente niente. Tutto ciò che che sente è il freddo di quelle menzogne, la forza di quella rabbia che le entra in circolo e si estrinseca nella più pura forma di razionalità. Lei ride. « E' tutto ciò che sai fare? » E di rimando, Mun lascia scivolare la lama verso l'alto, dal polso sempre più sopra sull'avambraccio, mentre rivoli di sangue scorrono giù lungo il suo braccio sul pavimento. « Ho tempo.. fai con calma » Una risata gutturale questa volta, seguita da un suono che sembra fuoriuscire dalle sue viscere. Qualcosa di estremamente spaventoso, infernale. « Non moriresti mai davanti a lui.. io ti conosco. Non hai spina dorsale, tu. Siamo noi ad averti reso ciò che sei. » Mun avanza. Un passo, due, tre. mentre la lama scorre lungo la vena principale sul suo braccio. Afferra la lama e compie lo stesso gesto sul braccio sinistro. « Non ho tutta la notte, Amunet. » Continua freddamente seppur il dolore è tale da farla tremare tutta dalla testa ai piedi. Non demorde. « Come usciamo di qui. » Le urla di lei che si accascia a terra, colta dai tormenti di un'arma che la sta letteralmente torturando, non riescono a sovrastare la voce di Mun, che avanza ancora. « Andiamo Amunet, tra massimo un quarto d'ora potrei prendere il tuo posto. Rispondi e forse, farò in modo che tu sopravviva. » E lei di rimando, getta lo sguardo alle spalle di Mun. « FAI QUALCOSA BASTARDO! » « No, Amunet. Lui non farà niente. E visto che mi hai resa tu ciò che sono, dovresti saperlo ormai: uccidi uno per salvarne mille. » Sacrificio. Forse il punto era proprio questo. Mun non si era mai esposta in prima persona. Si era nascosta dietro una scusa, impartendosi da sé quella lezione sul sacrificio. Ma del sacrificio, Mun, che cosa ne sapeva. Il doppio esita, la guarda negli occhi e per la prima volta Mun ne scorge terrore. Allora anche voi avete paura di morire. « Il tempo scorre.. » E lei se lo sente. Man mano che le goccioline scivolano sul pavimento, si ente quella forte pressione nelle tempie, che inizia a farle perdere equilibrio. « ..e noi non abbiamo più tempo. Un minuto. » E dicendo ciò posiziona la lama sulla gola. Per incentivarla ulteriormente, la lascia scorrere a malapena, mentre una smorfia di dolore, imperla il suo volto. Grondante di quel liquido nero, anche lei si mette le mani alla gola. Andiamo, è solo un graffietto. « Come usciamo di qua? » Chiede premendo appena, prima di stringere i denti. E alla fine, l'altra si convince. Si convince che l'ha portata al punto in cui è disposta a tutto. E Mun lo è davvero; lo è davvero dopo il modo in cui l'hanno deturpata di tutta la sua innocenza.. Quindi preme e attende. « Dieci secondi. Nove, otto, sette.. » « Loro. Sono loro! » Dice indicando di conseguenza Albus. Sin eater. « Insieme. Insieme aprono varchi. » La voce di lei ormai strozzata dal dolore. A quel punto Mun la afferra per i capelli, e senza pietà alcuna, non distogliendo nemmeno per un istante lo sguardo, le conficca il pugnale nel cuore. « Un'ultima cosa, Amunet. Io mi sono fatta da me. Manda i miei saluti a Ryuk. » E dicendo ciò, gira il pugnale, obbligandola a spalancare gli occhi, mentre altro fluido nero come il petrolio sgorga dal suo petto. La figura cade a terra, e Mun crolla automaticamente in ginocchio, colta da improvvisi tremori. La lama le scivola di mano, ma trova comunque la buona volontà per afferrare la bacchetta ed eseguire un fine incantate, mentre la mano destra si precipita sul braccio sinistro nell'intento di fermare il flusso del sangue. Pallida come non mai, la testa penzolante, e un silenzio assordante. Sa che dovrà ripercorrere tutta la sua storia dall'inizio per capire effettivamente tutte le parole di lei, sa che in quel momento non riesce a realizzare nemmeno fino fondo che cosa le è stato riferito. Sa solo che si sente usata. Usata per nessuna ragione apparente. Peggiore di essere sotto scacco, è avere solo la parvenza di esserlo, quando in realtà si è solo a inizio partita. E quindi alla fine crolla. Crolla su se stessa, e da quel silenzio durato relativamente poco, seppur a lei sia sembrato un infinito, scoppia in un pianto disperato. Sente freddo, trema e le ferite bruciano, ma tutto ciò a cui riesce a pensare è che, ha perso due anni della propria vita. Due anni passati a non vivere. A uccidersi da sé, mentre assassinava qualcun altro. « Lasciami andare.. » Un sussurro appena accennato, prima di deglutire con la bocca stranamente impastata. Un lamento gutturale. « Sono stata io. Sono.. » Singhiozza presa dal panico, infreddolita, insanguinata dalla testa ai piedi, colta da spasmi sempre più violenti. « ..sono io.. » Volevo essere libera. A quanto pare lo sono sempre stata. Ma io libera non so starci. Conosco solo la gabbia.

    Lay down next to me
    Don't listen when I scream
    Bury your thoughts (doubts)
    And fall asleep
    Find out
    I was just a bad dream






    Edited by blue velvet - 25/2/2018, 22:08
     
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    "Senti, lasciamo perdere..Io non voglio vederla." ruotò velocemente sui tacchi, voltandosi per guardarla meglio in viso nell'atto di metterle entrambe le mani sulle spalle in quello che doveva essere un moto rassicurante. Inclinò appena il capo, cercando con forza lo sguardo di lei, quello sguardo sfuggente che tremava sotto il suo. "Ehi, ce la puoi fare, ok? Credo in te. E in ogni caso, sarò al tuo fianco." Il punto era che Albus avrebbe anche potuto risolvere quella situazione da solo. Avrebbe potuto aspettare l'arrivo del doppio di Mun e non darle tempo di dire nemmeno una parola. Uscire di lì, sì, era importante, ma se doveva essere la sua ragazza a rimetterci, allora avrebbe atteso un'occasione migliore, o avrebbe trovato un altro modo per ottenere le informazioni che cercavano. Tuttavia il problema non era nemmeno quello, quanto piuttosto la consapevolezza che quella non fosse la sua battaglia, come non lo era stata quella contro Ryuk. Il proprio doppio era affar suo, ma quello di Mun..non poteva, semplicemente non poteva e non voleva. Solo in caso di estrema necessità sarebbe intervenuto. "Io non sono come te, capisci? Ne sono attratta. Mi affascinano. E' come il canto di una sirena io..non so resistere. E' come un tumore. Anche quando non è lì, è come se ci fosse. Ero sul punto di credergli." Un velo di frustrazione andò ad appannare il suo sguardo, piegando le iridi in una sfumatura di muta sofferenza. "Non è una colpa, Mun. Sono fatti apposta per..per questi giochini mentali. Per quanto mi piacerebbe far vivere dentro di te questa immagine bellissima con cui mi ritrai..non è reale. Non è semplice. E al loro cospetto, io non sono migliore o più forte di nessun altro." "Per te è.. naturale." Scosse il capo con veemenza, facendosi di un passo più vicino. Stava per aprir bocca e risponderle, quando ogni parola venne stroncata sul nascere da una gelida risata in lontananza che sembrò far scattare nel Serpeverde ogni campanello d'allarme. Fu un istinto immediato, quello di tuffare la mano oltre la propria spalla per afferrare l'elsa della spada, sistemata in un'approssimativa tracolla che aveva imbastito su temporaneamente con la propria cintura e una sua copia magica. Con la lama ben alzata di fronte a sé cominciò a guardarsi intorno con aria predatoria, seguendo ogni passo di Mun con l'intento preciso di non perderla di vista. "Oh, carini..le cose non dovevano andare così, cuccioli. Ma a quanto pare, piccola cerbiatta, alla fine io te dovremmo farci una piccola chiacchierata. Se solo il tuo ragazzo non se la fosse presa col mio.. lo sai cosa si prova a veder trafitti i propri cari Mun? Errore mio. Certo che lo sai. Ma evidentemente non abbastanza. Quindi se non ti dispiace, ora credo che ne darò una dimostrazione anche al tuo.. bimbo." Serrò la mascella a quelle parole, alzando ulteriormente l'arma mentre le iridi scure vagavano incessantemente alla ricerca della figura da cui quella voce proveniva. "Mun, piccina mia. Fermati. Sono qui." ruotò assieme a Mun, affiancandola di fronte alla sua controparte, un essere che, per quanto identico alla persona che più strenuamente stesse cercando di proteggere, non poteva che fissare con uno sguardo di intenso odio, sentendo la mano tremargli dall'impulso a trafiggerla lì sull'istante. Lasciò scivolare le dita di Mun tra le sue, stringendo saldamente la presa senza alcuna intenzione di lasciarla andare. Ogni successiva provocazione del doppio non fece altro che provocare in lui la reazione naturale di corrugare con più forza la fronte e stringere i denti, scoprendoli come un lupo in procinto di scattare alla giugulare del proprio opponente. "Perché non finisci quello che hai iniziato Mun? Perché non torni da me? Questa volta per davvero. Scegli di essere nostra. Uccidilo. Adesso." Non si mosse. Per quanto l'istinto gli urlasse di fare tutto il contrario, rimase immobile. Non era la sua battaglia. Si limitò semplicemente a far correre lo sguardo verso Mun, veloce, tenendo la lama ben alta in direzione del suo doppio. "Mun.." Puoi farcela. "Ora, Mun." La fissava, la vera Mun, la fissava intensamente, cercando con tutta la disperazione che aveva di spingerla a fare qualcosa. Ti prego, non farmelo fare. Ti supplico, Mun. "Mi dispiace. Ti avevo avvertito." E prima che potesse proferire parola, o anche solo capire cosa stesse accadendo, si ritrovò ad essere avviluppato da un groviglio di corde magiche, cadendo a terra come un sacco di patate. La spada scivolò dalla presa delle sue dita, tintinnando fragorosamente sulla dura pietra umida del pavimento, mentre i suoi occhi spalancati scandagliavano incapaci la situazione: le corde, Mun, il doppio, e poi di nuovo Mun. Il terrore si insinuò nel suo sguardo con prepotenza, veloce, mentre cercava in ogni maniera di dimenarsi col solo risultato di sentire la presa scavargli con più ferocia nella carne. "Io non dipendo da te, Amunet. Ma tu si." E in un istante, capì. Gli bastarono quelle parole, gli bastò vedere la lama, per comprendere cosa Mun stesse tentando di fare. E in quel preciso momento, il terrore si mischiò al panico, portandolo a dimenarsi ancora più forte, contro ogni logica, come un pazzo. "No, Mun, ci stanno altri modi." esalò disperato, in una preghiera che ricercava lo sguardo di lei pur non riuscendo a incontrarlo. E lo sapeva, che non avrebbe potuto fare nulla. La sentiva, quell'impotenza. Ma semplicemente non la accettava, divincolandosi inutilmente contro quella morsa che lo stringeva di più ad ogni movimento. La guardava, e i suoi occhi iniziarono a grondare di lacrime, appannandogli la visuale nel mentre di scolorire le iridi fino a farle diventare pallide come un foglio di carta, quasi bianche. Un nuovo colore, per Albus Potter, una nuova meta raggiunta: essere spettatore inerme del tuo peggior incubo. E non importava quanto strattonasse, non importava quanto urlasse, quanto la pregasse di smettere: lei non si fermava, continuava a infliggersi quelle ferite, a torturarsi per torturare l'altra. Preferisco rimanere qui per altri dieci anni, piuttosto che uscire domani senza di te. "FAI QUALCOSA BASTARDO!" Avrebbe voluto, probabilmente non avrebbe desiderato altro, ma ogni lotta era inutile e controproducente. "Ti imploro, Mun..non farlo. Ti prego." esalò in un singhiozzo disperato, cercando ancora una volta il suo sguardo. La testa iniziò a girargli vorticosamente nel sentire ogni speranza crollare. Albus aveva sempre sofferto di vertigini: se si trovava in un punto troppo alto, specialmente se all'aperto, veniva colto da un attacco di panico che lo paralizzava dal terrore. Si sentiva cadere in quel vuoto che trovava di fronte ai suoi occhi, e di quella caduta psicologica ne sentiva tutti i sintomi: sentiva gli organi in gola, sentiva la pressione sfondargli la cassa toracica, sentiva il sibilo dell'aria che il peso del suo corpo rendeva sempre più tagliente. Una caduta infinita, senza mai incontrare il suolo. Ma si sa: se ti butti da un punto abbastanza alto, non è l'impatto ad ucciderti, ti si schiacciano le pareti cardiache fino a farti letteralmente esplodere il cuore nel petto. Ecco, quella assomigliava a una delle sue crisi, con l'unica differenza che quelle sensazioni parevano moltiplicarsi all'ennesima potenza rispetto al normale.

    "Dieci secondi. Nove, otto, sette.." un conto alla rovescia che sembrava contare i secondi di distanza dall'impatto, o dal momento in cui le sue pareti cardiache si sarebbero schiacciate. Sudato, col corpo scosso da tremiti di terrore e freddo, si ritrovò a boccheggiare alla ricerca d'aria, di anche solo un unico respiro che potesse portare al suo cervello un po' di ossigeno. Ma non ci riusciva, paralizzato tanto nei movimenti quanto nelle funzioni più semplici, mentre pian piano quella mancanza di ossigeno iniziava a punteggiare la sua visuale di pallini grigi, riempiendo il silenzio con i rantoli di quell'insufficienza respiratoria. Ogni minima sfumatura cromatica sul suo corpo andò velocemente a scolorirsi: la pelle pallida come un foglio di carta che lasciava spiccare sin troppo il viola delle vene, le iridi bianche al punto della trasparenza, e i capelli, anch'essi, si sbiadirono a una pallida sfumatura argentea. I due bulbi oculari si rigettarono all'indietro in quello che pareva essere l'istante direttamente antecedente al collasso prima dell'urlo del doppio. "Loro. Sono loro! Insieme. Insieme aprono varchi." "Un'ultima cosa, Amunet. Io mi sono fatta da me. Manda i miei saluti a Ryuk." Fu tutto troppo veloce da immagazzinare. La risposta, lo scatto di Mun, la morte del doppio, lo sciogliersi delle corde. Il corpo in libera tensione si slanciò in avanti a raggiungere carponi quello di Mun, raccogliendo tra le proprie braccia il peso morto della ragazza mentre un pianto liberatorio scendeva incontrollato lungo quel viso che pian piano ricominciava ad acquistare alcune sfumature. "Lasciami andare..Sono stata io. Sono..sono io.." Le dita gelate andarono alla ricerca della bacchetta, stringendovisi intorno meccanicamente. Chiuse gli occhi, tremando disperatamente nel tentativo di ricordare una di quelle tante storie che suo padre raccontava in continuazione e che lui, stupidamente, aveva sempre scansato con un'alzata di occhi al cielo. Lo sapeva, che un ferula non sarebbe bastato, e che il tempo di fare una pozione o chiamare aiuto non c'era. Nel pianto incontrollato si ritrovò a stringere ulteriormente le palpebre, sforzandosi di ricordare un qualcosa che non aveva mai davvero ascoltato, ma che aveva sentito sin troppe volte. "Non sapevo cosa stessi facendo. Sul libro era scritto che quell'incantesimo era destinato ai nemici, e Draco Malfoy in quel momento era mio nemico. Non lo immaginavo, non avevo idea di cosa si trattasse. Era scritto da uno studente, a margine di un libro di pozioni. Quanto grave avrebbe mai potuto essere. E invece, quando lo vidi dissanguarsi per terra, capì di aver fatto qualcosa di irreparabile, qualcosa a cui non sapevo come porre rimedio. Draco, ora, sarebbe morto, se Piton non fosse entrato in quel bagno, inginocchiandosi accanto a lui per guarirlo con un.." Spalancò gli occhi, puntando la stecca sul braccio di Mun in un tentativo disperato "Vulnera Sanentur." Un incantesimo che conosceva solo di nome, che a scuola nemmeno si studiava. Un incantesimo da medimaghi, non da ragazzini. E infatti non funzionò. Non funzionò la prima, ne' la seconda, ne' la terza volta. E quello sconforto spinse le lacrime ancor più pesantemente lungo il suo volto, portandolo ad accasciarsi sul corpo della ragazza che teneva ancora stretta a sé. Singhiozzò, in silenzio, contro il suo collo. "Mi dispiace." Non sono riuscito a salvarti. Le labbra tremanti si incollarono sulla tempia di lei, in un ultimo atto disperato. Ti amo, Mun. Non volevo dirtelo così, ma ti amo. Parole che sussurrò al suo orecchio tra i singhiozzi, con la visuale appannata da quelle lacrime. Una disperazione che lo rendeva talmente cieco e folle che, con ogni probabilità, avrebbe continuato a castare quell'incantesimo a ripetizione, anche quando il suo corpo sarebbe stato freddo e il suo battito cardiaco fermo. E dunque provò un'altra volta, senza riuscirci. E un'altra, ancora a vuoto. Fin quando, all'ennesimo tentativo, non vide le ferite pian piano riassobirsi, chiudendo quei tagli quasi non ci fossero mai stati. E lì, in un ultimo singhiozzo a metà tra il sollievo e l'esausto, crollò.
    [...]
    Non saprebbe dire quante ore passarono. Potevano essere minuti come giorni interi. Percival Watson e Beatrice Morgenstern lo avevano trovato sotto shock, incapace di rispondere anche alle più semplici domande, trincerato nel silenzio e nel perenne sguardo vacuo puntato di fronte a sé, sul nulla. Percepì il vuoto tra le sue braccia nel momento in cui l'ex caposcuola sollevò Mun di peso per stenderla su una brandina. Percepì una sensazione simile al calore quando la Morgenstern gli buttò una coperta attorno alle spalle, aprendogli la bocca a forza per buttargli giù nella gola una pozione revitalizzante. Li sentiva parlare tra loro, o rivolgergli domande, ma le parole non venivano realmente processate dal suo cervello, che avvertiva quelle voci come un mormorio distante, un sottofondo a quell'immagine che si era bloccata nel suo cervello nel momento in cui aveva capito di star perdendo Mun per sempre, quando ogni speranza era semplicemente svanita. Quella era la sola cosa che i suoi occhi riuscivano a vedere, come se il video si fosse inceppato su quel fotogramma mentre la traccia audio continuava a scorrere. Gli effetti della pozione furono lenti e tardivi, manifestandosi inizialmente solo col movimento delle iridi, un movimento appena percettibile. "Si sta cominciando a riprendere." Quelle parole le sentì, per quanto continuassero comunque a rimanere piuttosto distanti ai suoi sensi. "Digli che è stabile." "Albus..Mun sta bene. Ce l'hai fatta. E' finita." Altro silenzio, pesante come un sacco pieno di mattoni. "Trema come una foglia." disse, rivolta probabilmente a Percy. "E' sotto shock. La pozione potrebbe metterci un po' di più, dagli qualche minuto." E qualche minuto passò. Forse ore. Rimase lì, per terra, immobile, senza muovere nemmeno un muscolo, fino a quando all'improvviso non alzò lo sguardo, cercando la prima presenza viva nel proprio campo visivo. "Acqua." fu la prima parola roca che disse, l'unica per altri venti minuti solidi. Ci mise una vita a raccontare, tra un monosillabo e l'altro, cosa fosse accaduto. Un racconto sconnesso, ma che pian piano riuscì a toccare più o meno tutti i punti salienti e a dare ai due il quadro della situazione. "I sin eater aprono varchi. Bisogna trovare gli altri." Lo sguardo si mosse confuso, come in un tremito, prima di rialzarsi negli occhi dei due interlocutori. "Dobbiamo uscire di qui." soffiò, disperato, con gli occhi colmi di una preghiera piena di sofferenza. Devo portarla il più lontano possibile da questo posto. Non ce la faccio più.
    Alla fine Watson gli aveva fatto mandare giù un'altra pozione. L'aveva spacciata come una revitalizzante, ma evidentemente era una soporifera, perché crollò come un sasso. Un'ottima mossa: non avrebbe chiuso occhio nemmeno sotto tortura, se glielo avessero detto. E invece ne aveva bisogno, e pure loro necessitavano di un Albus dormiente per sistemare la situazione e aiutare Mun. Quando si svegliò, il giorno seguente, c'era solo Watson, seduto fuori dalla cella su uno sgabello decisamente non idoneo alla sua stazza. "Ho ripulito." disse, piatto "Anche quella." gettò un cenno del mento alla spada. In risposta, Albus si limitò ad annuire, guardandosi intorno con una certa confusione, come se non riuscisse ancora del tutto a capire dove si trovasse o che giorno fosse. "Mun?" "Sta bene. Dorme, ma è stabile. Ha ripreso colore, ha il respiro regolare. Ha evitato il coma per un pelo, con tutto il sangue che aveva perso, ma non avrà ripercussioni. Ha solo bisogno di riposare un po'." fece una pausa, guardandolo negli occhi "Hai fatto un ottimo lavoro." Non rispose a quelle parole, limitandosi semplicemente ad alzarsi a fatica dal letto, cambiandosi gli indumenti sporchi con qualcosa di più accettabile. "Puoi andare, sto bene. Sono sicuro che c'è molto più bisogno di te da altre parti." lanciò un veloce sguardo nel pronunciare piattamente quelle parole, sforzandosi poi di stirare un piccolo sorriso. "Grazie." L'ex serpeverde sorrise di rimando, inclinando appena il capo poco prima di alzarsi dallo scomodo sgabello. "Non c'è di che." disse, le labbra incurvate in una linea divertita nel dire quelle parole. "Ah..Albus?" Sì? "Usciremo presto, te lo prometto." Sorrise di rimando, annuendo. Mi ha chiamato per nome. L'ho conquistato. Ogni momento felice, in futuro, sarà sempre secondo a questo. Sono soddisfazioni.
    Non c'era molto che potesse fare nell'attesa del risveglio di Mun. Watson e la Morgenstern sembravano essersi occupati praticamente di tutto: rimettere in ordine, pulire, aggiornare la bacheca. Non c'era nulla che lui potesse fare se non, semplicemente attendere. E questo fece, trascinando lo scomodissimo sgabellino accanto alla brandina su cui la ragazza dormiva pacificamente. Nel rivedere il suo viso, un tenero sorriso incurvò le labbra del ragazzo, portandolo a lasciarle una dolce carezza sulla guancia prima di stringerle la mano. E così rimase, fino a quando non sentì le dita di lei iniziare a muoversi e il respiro modificarsi tra alcuni piccoli gemiti dell'imminente risveglio. Come avesse preso una scossa, il moro si rizzò meglio a sedere, spostandosi dallo sgabello al bordo del letto per starle più vicino. Quando finalmente incontrò il suo sguardo, un profondo sospiro si infranse contro le sue labbra, plasmandogli il volto ad esprimere quanto dolore ci fosse dietro quel sollievo. "Buongiorno, principessa." disse piano, con la voce rotta nel cercare di comportarsi in maniera normale, quando in realtà, normale, non ci si sentiva affatto. Tirò su col naso, cercando di scacciare via quel vortice emotivo che lo aveva travolto come un camion in piena autostrada. Forse non dovevo mandarlo via, Watson. Non sto bene, è evidente. E infatti la mano che teneva stretta quella di Mun aveva ripreso a tremare incontrollata, lasciando sul suo corpo i segni della pelle d'oca. "Hai sentito l'ultima?" si affrettò a dire, scacciando le lacrime "Usciamo. Da qui. Da questo delirio. Ce ne andiamo. Manca pochissimo, e poi potremo finalmente lasciarci tutto alle spalle." Disse quelle parole velocemente, sentendosele pian piano morire in gola mentre gli riusciva sempre più difficile nascondere quale fosse il suo sentimento principale in quel momento. Lasciò dunque che quel disagio si palesasse nel silenzio, fissandola per alcuni istanti come se stesse cercando qualcosa, nella sua mente, che gli sfuggiva. "Non farlo mai più." soffiò, a voce appena udibile, senza tuttavia distogliere lo sguardo dai suoi occhi nemmeno per un istante. "Ti ha quasi uccisa..e ha quasi ucciso anche me."

     
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    Slytherin pride

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    Fa freddo. L'unico pensiero lucido che le attraversa la mente è l'idea di quella sensazione gelida. Sin dal primo momento in cui la lama ha toccato la sua pelle, Mun ha mai voluto morire. Questo ciò di cui si è convinta. Farò abbastanza per portarla al limite. La costringerò a darmi ciò di cui ho bisogno. Nessuno vuole davvero morire, nemmeno quando sa cosa c'è dall'altra parte. Specialmente quando sa che cosa c'è dall'altra parte. Si pensa spesso che la parte peggiore sia non sapere, ma la giovane Serpeverde dal canto suo ha sempre pensato che sapere fosse mille volte peggio. E ora sapeva; sapeva così tante cose che avrebbe semplicemente voluto sradicare dalla sua testa. Aveva continua a scopercchiare e ancora scopercchiare, finché tutta la verità non era venuta a galla, e ora che era tutto lì, capiva fino in fondo per quale motivo si fosse ostinata a celare così tante cose agli occhi di così tante persone. La verità, nuda e cruda, non importa quanto necessaria, a tratti indispensabile, è irriverente, insensibile. A nulla erano servite le preghiere di Albus, il suo divincolarsi; una volta giunta a fondo, Mun si era sentita come se non avesse più nulla da perdere. Spogliata di tutta la sua innocenza, della sua volontà di essere e di agire, si era persa in quella convinzione che uscire di lì valesse più di ogni altra cosa. O la va, o la spacca; o usciamo o non voglio più vivere. Il castello le aveva tolto tutto ciò che avesse; ogni convinzione, ogni sprazzo di orgoglio e superiorità che avesse, l'aveva spodestata della sua ambizione. Ogni punto cardinale che aveva regolato la sua vita fino a quel momento era stato sepolto sotto un mucchio di incertezze e debolezze, sotto troppe insicurezze, sotto quel bisogno incessante di rovinare tutto. E rovinerò anche te, si era forse detta ad un certo punto mentre le urla di lui le scivolavano pesantemente sotto la pelle, man mano che il sangue sgorgava. Forse è meglio così. Mun; sempre pronta a scegliere per gli altri. Pur nella sua condizione di massima insicurezza, pur sempre crudele, pronta a calpestare i desideri altrui col solo intento di scegliere il bene superiore. Per una che della giustizia aveva fatto il suo principale punto di forza, scusa indelebile per ogni comportamento, sapeva essere davvero ingiusta. « Mi dispiace. » La sua voce le giunge lontana, come dal fondo di un tunnel. Albus è la luce alla fine del tunnel e Mun sta viaggiando nella direzione opposta. Perché ti dispiaci, vorrebbe chiedergli. Ce l'abbiamo fatta. Ma non sa esattamente quando quel bisogno di lottare incessante per restare a galla si trasforma in un lasciarsi completamente alla deriva. C'è un momento in cui si rende conto che non ce la fa più a correre controcorrente, che forse in fin dei conti smettere di sbattersi contro la vita, sarebbe più facile. Un momento di debolezza, in cui si vede chiudere la finestra sulla vita, nonostante le continue preghiere del ragazzo. E in quel frangente, sotto il peso di tutto quel freddo, quasi non sente niente; la vista si annebbia e il buio e lì lì per sopraggiungere. E Mun ne sembra quasi contenta; inconsapevolmente, forse in fondo, era questo ciò che voleva arrivare sin dall'inizio. Forse, nonostante si convincesse che lei tanto debole non lo sarebbe mai diventata, forse in fondo lo era. Lasciami andare, perché se mi rimetto, non so che cosa resterà di me. Ed è quello ciò di cui ha paura. Di cosa rimane, di quale substrato resterà a forza di togliere strati e strati, a forza di crepare uno alla volta ogni muro e corazza si sia costruita attorno a lei. Cosa rimane? Cosa siamo, oltre tutte queste belle maschere infiocchettate? Ti amo, Mun. Non volevo dirtelo così, ma ti amo. La chiamano wake up call. Tutti ne abbiamo una. Forse addirittura più di una; le sveglie sono multiple e il più delle volte violenti. Accecati, assordanti, atte alla sopraffazione. Ed è così che si sente in quel momento, Mun. Di scatto si ricorda dove sta, che cosa ha fatto, che cosa ha sentito. Quel fottuto buio è la morte, il freddo è l'annientatone, il tunnel è la fine e la finestra l'ultimo suo sprazzo di luce prima del eterno nulla. Quello non è dannato sogno, non è la sublimazione di un idilliaco paradiso. Quella è la morte, quella vera, definitiva. E' l'unico vero nemico. L'unico che non possiamo sconfiggere ma al massimo ritardare. Ed è proprio nel momento in cui quelle parole sopraggiungono lontane, che Mun realizza; è proprio quando contemporaneamente a esse la sua finestrella si chiude, che la sveglia arriva. No, no, no, no, no. Non voglio morire. Non posso morire. Non adesso. Non così. Graffia contro quel vetro appannato, ben consapevole che dall'altra parte c'è tutto ciò che non ha ancora vissuto, ciò che la vita ancora da offrirle, tutto ciò che ha sognato e non ha mai realizzato. Dall'altra parte ci sono i suoi fratelli, i suoi amici e poi c'è lui. Ci sono tutte quelle combinazioni di scelte che non ha mai avuto l'occasione di fare e che ora, non più condizionata da nulla al di fuori di sé potrebbe fare. La possibilità di una caduta ancor più disastrata tanto quanto l'idea di un altrove oltre l'arcobaleno. Non sa come e perché, ma realizza Mun che è la prima volta che la vita le passa davanti; è la prima volta che volti e situazioni le si dispiegano di fronte agli occhi mentre continua a urlare intrappolata nel buio tentando disperatamente di uscirne. E' la prima volta che il buio le fa paura, che quello spazio intermedio tra vita e morte, in cui si è già trovata in passato, la sta davvero terrorizzando.

    « Che cosa pensi che ha combinato? » La voce è assente; osserva quella scena con la terzietà mentre la pioggia scende su di loro. Da quella casetta sull'albero, celata tra gli alberi del bosco che circondava il campo estivo, osserva gli innumerevoli colpi inflitti al ragazzo. E' come se ognuno di loro venisse inevitabilmente inflitto anche a lei, ma nonostante ciò non si muove. Non fa niente. « Quel ragazzo ha un sacco di problemi. » « Perché è stupido e si caccia sempre nei guai. » Questa la sua sentenza di fronte alla sofferenza del ragazzo, il cui sangue sgorga dal naso, mentre una serie infinita di lividi compaiono sul suo volto. Ryuk ride. Sa molto più di quanto lascia intendere. Ryuk sa tutto, quasi tutto; riesce a essere in centinaia di posti contemporaneamente, ha visto così tanti essere umani, li ha seguiti, consigliati, tratti in inganno. Anche se non avesse Albus Potter a portata di mano quasi sempre, riuscirebbe a fiutare cos'è che non va in lui. « Nasconde qualcosa. » « Disse la Signorina Trasparenza. » Si stringe inevitabilmente nelle spalle con una certa noncuranza, tipica di chi ormai quelle parole se l'è ripetute così tante volte che ormai offendersi risulta insensato. « Grazie al cazzo. Sono costretta da un dio della morte a uccidere una persona ogni mese, scrivendo il suo nome sul diario di bordo. Ti sembra una storia che possa raccontare a qualcuno? » Lui ride ancora, mentre i colpi continuano. E più lo colpisce, più Mun sembra trasportata nuovamente in quei maledetti sotterranei di casa sua, costretta a restare immobile, mentre decide di aghi si conficcavano nella sua schiena, senza poter fare nulla per desistere. Ecco, la situazione non era diversa; sottraendo loro le bacchette, Edmund Kingsley li aveva messi nella stessa condizione di impotenza. Nessun modo per difendersi da qualunque cosa potesse nuocere loro. « Magari ne ha uno anche lui. Voi umani siete divertenti. Sputate sentenze l'uno sull'altro senza cognizione di causa. Avete bisogno di darvi una spiegazione a tutto, qualcosa che vi vada a genio, che corrisponda alla vostra idea di una determinata cosa. Ciò che mi piace di te bambina, è che lo stai facendo mentre il tuo compagno viene pestato a sangue da uno sconosciuto che ti ha quasi stuprata. Sei interessante. » Ed è allora che viene investita dalla sua impossibilità di vedere. Un colpo dopo l'altro, Judas Leroy sta sfigurando la faccia di Albus Potter. Un ragazzo molto più piccolo e debole di lui. Non sa se sia ingiustificato o gli abbia fatto qualcosa, ma una cosa è chiara: Judas Leroy non è innocente. « Non ci lascerà mai in pace non è così? Continuerà a fare ciò che ha quasi fatto a me.. e a lui. » « Non è uno stinco di santo ecco.. » Se le ricorda, le mani di Judas Leroy, aggrappate alla sua camicetta. Lo sguardo famelico con cui l'aveva inchiodata contro la superficie in legno sul retro dell'abitazione che condivideva con Maze. « Puoi assicurarti che là giù soffra? » « Posso assicurarti che non avrà una vita facile. Quello lì ne ha combinate di cotte e di crude. Trent'anni di bravate che gli costeranno un girone molto speciale. » « Bene. Fai ripartire il cronometro, Ryuk, perché questo mese il tuo pezzo di merda arriva prima.. » Mancano cinque giorni allo scadere del tempo. Può andare. Prende tra le mani il Death Note dalla tracolla che porta sempre con sé, lo apre esitando per un istante. E' sempre così. Ogni volta questo rituale le provoca sensazioni contrastanti. Eccitazione e paura, soddisfazione e dolore. Sospira e lo sguardo torna per un istante sui due contendenti. Albus è incosciente, ma Judas Leroy non si ferma. E lei la sente l'emergenza di scrivere quel nome. Subito. Gli occhi del dio della morte si fanno sempre più impazienti, mentre scopre la dentatura mostruosa che nasconde sotto le pieghe di quel volto mostruoso. La piuma bianca stretta tra le mani, attende solo di essere poggiata sul foglio ingiallito dal tempo. Sa cosa segue. Sa cosa succede in seguito. Sa qual è la sensazione di quella morte e sa quali conseguenze porta. E sa che se non lo facesse, probabilmente nulla di ciò che lei e Albus hanno vissuto non succederebbe mai. Non ci sarebbe quel riconoscimento necessario a incanalarli sullo stesso binario, non ci sarebbe la confessione di quel momento e nemmeno tutto il resto. Ti amo, Mun. Non volevo dirtelo così, ma ti amo. Ancora una volta Ryuk ha una leva su di lei. Se non lo faccio, ti perdo. Le dita tremano, prima che gli occhi chiari di lei si voltino verso il dio alle sue spalle. Solo ora vede la sua impazienza nel vedersi consegnare un'altra anima. L'emergenza di portare a termine un lavoro. Per molto tempo Mun si è convinta che Ryuk dipendesse da lei e non viceversa, ma paradossalmente, era certa in cuor suo che quella fosse solo una delle tante bugie che si raccontava per stare meglio con se stessa. Ora lo vede. Vede quanto in realtà si sbagliasse nel pensare che il suo istinto la ingannasse per proteggerla dall'idea di una schiavitù forzata. Io sono diventata consapevolmente la tua schiava. E ora, vorresti che continuassi a esserlo, perché altrimenti mi perderei tutto il resto. Tu vuoi che io da questo limbo esca. Probabilmente sai che sta già avvenendo, ma vuoi che esca marchiata di nuovo. Non è una pensiero prettamente logico e lucido quello, più una sensazione. La sensazione che il rifarei tutto da capo in questo caso non funziona. Il quaderno scivola via dalle sue mani, ma non altrettanto succede con la piuma, mentre lo sguardo scivola in quello del dio della morte. E' questo ciò di cui avevi paura non è vero? Non era la tua opera d'arte a preoccuparti, non era l'anima di questo scarto umano. Non davi quattro soldi nemmeno tu a questo qua. Il problema è che sapevi che sarei arrivata a volere più lui di quanto volessi compiacerti. Il problema dei cuccioli feriti, Ryuk, è che hanno la potenzialità di mordere la mano che li ha nutriti. « Vorrei dire che è stato un piacere ma.. » ..ma questa volta sarà un piacere fare a modo mio. Si stringe nelle spalle, prima di imboccare la scaletta che porta a terra. « LASCIALO STARE! » Urla sotto la pioggia mentre afferra una legno da terra abbastanza lungo e spesso da far male una volta scagliato contro la propria vittima. E prima che Judas Leroy capisca, viene colpito alla nuca e cade incosciente a terra. [...] Silenzio e un corridoio dalle accese tende in velluto rosso. Un pavimento a zig zag, bianco e nero, il cui motivo era facilmente disorientante. Non sente niente, eppure la curiosità di scostare il sipario è tale che non riesce a resistere. E dall'altra parte c'è gente, tanta gente, rivolta di spalle, intenta a sentire la stessa melodia, che Mun dal canto suo sembra sentire a malapena. E' bellissima, ma troppo sorda perché possa effettivamente coinvolgerla. Come la canzone di una radio in lontananza, seppur si trovi a qualche passo dal sassofonista che si esibisce per tutti loro. Cammina tra gli spettatori, osservandoli con curiosità, tutti presi dallo spettacolo che si dispiega di fronte ai loro occhi. Alcuni riesce persino a riconoscerli. Sono finiti inevitabilmente tra i punti interrogativi della sua lista. Tallulah, Edric, Arthur; altri volti invece non li ha mai visti, ma li sente come se in un sogno lontano si fossero tutti conosciuti. Poi qualcosa accade. Le tende si scostano nuovamente e un nuovo volto compare sulla scena. Lei erta in mezzo alla sala, tra le decine di divanetti e tavolini che accolgono gli spettatori, alcuni più vicini alla fonte della musica, altri più lontani. Si avvicina al sipario sempre di più mentre lo vede lì lì pronto a compiere il primo passo all'interno della stanza. Tu la senti? Vorrebbe parlare, ma è come se le avessero tolto la capacità di parlare. Tutto ciò che fuoriesce dalle sue labbra sono suoni inquietanti, che non hanno alcun senso. Come una lingua infernale che si dispiega nell'ambiente senza dare un senso compiuto alle sue parole. Albus non la guarda, intento prima ad attirare l'attenzione dei suoi amici ammassati su un divano, e poi.. Non sa in quale momento e come, si sente picchettare sulla spalla pur non essendo niente là alle sue spalle. E allora lo sguardo si erge nuovamente sul ragazzo celato in parte dal velluto scarlatto. Sta picchettando contro l'informe spalla dell'abominio che ha avuto al seguito per più di due anni. Scuote di scatto la testa, e poiché pare lui non la veda e non la senta, fa l'unica cosa che possa fare. Si precipita verso di lui e lo spinge via oltre il sipario. FUORI! E nell'impeto inciampa contro la cortina aggrappandovisi per mantenere l'equilibrio. Riesce a malapena a ritrovare lo stesso squarcio per uscire dalla stanza. Un leggero pizzicore nel palmo della mano ad attirare la sua attenzione. La punta della piuma rimasta per tutto quel tempo tra le sue mani preme contro la sua pelle, rimasta spezzata. E quindi? E quindi le tende si scostano di scatto, lasciandole intravvedere alla fine del corridoio uno squarcio su un ambiente che ben conosce. Sta dormendo, e lui è lì a vegliare su di lei. Non sentì mai un bisogno così impellente di tornare a casa. E quindi un passo alla volta percorse lo spazio che la divideva da quello spazio.

    « Buongiorno, principessa. » Si sente frastornata e per un istante non capisce dove si trova. Tutto le appare lontano, fiacco. Boccheggia appena colta dalla debolezza e lo sfiancamento. Man mano che apre gli occhi, lo vede, è lì, e la sua immagine è solo l'ombra del ragazzo che ha lasciato prima di addormentarsi. Se l'avesse investita un treno, sarebbe stata meglio, e per quanto cerchi di eludere quelle smorfie di fastidio generale, non ci riesce. No, no, no, non piangere. Scuote la testa colta dal tormento di saperlo in quello stato, mentre le dita tentato di stringere le sue con emergenza, seppur i suoi riflessi funzionino a rallento. Piano piano, l'altra mano raggiunge quella di lui, tentando di arginare quel tremore che sembra cogliere istantaneamente anche lei. Più di un verso fuoriesce dalle labbra secche senza produrre alcun suono di senso compiuto. E allora gli indica in un gesto confuso il bicchiere d'acqua sul comodino. « Hai sentito l'ultima? Usciamo. Da qui. Da questo delirio. Ce ne andiamo. Manca pochissimo, e poi potremo finalmente lasciarci tutto alle spalle. » E quelle parole, non sa come, non sa perché ma le provocano un tale sollievo che non riesce a fare a meno di sorridere. Un sorriso che ben presto viene sostituito da un pianto convulso e silenzioso, tra sospiri spezzati e verso incomprensibili. Ha funzionato.. ma a quale prezzo? Di quegli ultimi istanti sembra ricordarsi tutto, eppure non riesce a prefigurarsi nemmeno uno nello specifico nella sua mente. « Non farlo mai più. Ti ha quasi uccisa..e ha quasi ucciso anche me. » E Mun, lo percepisce tutto, quel dolore, quel tormento. Quasi come se fosse il proprio. Di scatto, si muove sulla brandina, spostandosi di lato, più vicina al muro per fargli spazio. Allarga appena le braccia permettendogli di stendersi accanto a lei, guidando la testa di lui a poggiarsi sulla sua spalla. « Mi dispiace.. » Asserisce infine; la voce si spezza, infrangendosi contro i suoi capelli, prima di poggiare un leggero bacio sulla sua testa. Lo so. E' la cosa che dico più spesso. Mi dispiace. « Non vado da nessuna parte. » Asserisce nuovamente in un sussurro, mentre stringe le dita attorno alla sua mano tremante. « Andrà tutto bene. » Tossicchia appena prima di prendere ad accarezzargli i capelli, cullandolo dolcemente. Dormi, Albus, a te ci penso io, sussurra tra i suoi capelli, mentre lo copre per bene riparandolo dal freddo. Riposati. E a tratti anche lei riesce a riprendere sonno, stretta contro di lui, in una morsa che ha dell'ossessivo. Restano lì per un tempo indefinito, atto a far riprendere loro le forze, con la consapevolezza di essere liberi. Ma liberi davvero. Non una qualche forma di libertà supposta o in dirittura di arrivo. Potrà pur volerci ancora un po' per uscire, ma liberi lo siamo già. [...] Alla fine sono i bisogni primari a obbligarla a lasciare il letto. Lo fa con cura, tentando di non svegliarlo, coprendolo ancora una volta come un fagottino, stretto in quel sonno per la prima volta disteso. Istintivamente, poggia un bacio sulla guancia prima di trascinarsi a rilento verso i bagni. L'immagine che riceve di rimando dallo specchio fa più schifo del solito. Pallida come una morte vivente, con profonde occhiaie nere a circondarle gli occhi incavati e un'espressione tipica di chi ha visto letteralmente la morte in faccia. Chiusasi la porta del bagno alle spalle, e il fuocherello nell'area comune ad attirare la sua attenzione e così, ancora una volta, con la lentezza che ormai la contraddistingue, si trascina verso lo spazio aperto, che è stato completamente messo in ordine e ripulito. Sul solito tavolino spoglio, giacciono un paio di scatole di plastica colme zeppe di cibo. Cibo fresco e acqua, accompagnate da un biglietto. "Se trovate altri modi per crepare, sarà stato un desiderio sprecato. Fate in modo che ne valga la pena." Un più che evidente grazie, arriva dalla persona più insospettabile. Sorride tra se e se, mentre si dirige verso la loro cella. Poggia una mano sulla sua spalla mentre le labbra sfiorano la sua guancia.
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    « Ehi! Sveglia, dormiglione. » Asserisce dolcemente in un sussurro mentre si siede al bordo del letto lasciandosi cadere pesantemente con la testa contro la sua spalla. « C'è una cosa che non vuoi perderti! La kapò ci ha mandato cibo. Cibo vero, Albus. » Scosta le coperte prima di prendere a trascinarlo pigramente fuori dalla cella. Ha ancora la sensazione di sentirsi come svuotata ed è certa che non riuscirebbe a fare movimenti bruschi, ma in quel lento trascinarsi di qua e di là sentiva di essere piuttosto brava. Si lascia cadere pesantemente sul divano, prima di scoperchiare i vari contenitori prendendosi tempo per annusare gli svariati odori. Romanticona fino al midollo, la kapò si è persino premurata di accendere una candela sul tavolo. La indica prima di afferrare un mezzo panino farcito di quello che pare prosciutto. « Sii sincero: in realtà la matrona stava preparando la mia veglia. » Tenta di sdrammatizzare, nella speranza di strappargli un piccolo sorriso, prima di appoggiare la testa contro la sua spalla, addentando senza poi molti complimenti il proprio panino. Si sente la bocca impastata, ma ha così tanta fame che non ci pensa neanche; lo divora in silenzio pezzo dopo pezzo a grandi morsi che non è nemmeno certa di dove entrino precisamente, sentendosi sempre più rinvigorita. Non sa per quanto tempo l'hanno tenuta in vita a forza di pozioni, ma certo è che il suo stomaco era talmente vuoto che sarebbe stata in grado di mangiarsi una mucca e tutti i suoi vitelli e comunque avere spazio per il dessert. Mastica si e no, mentre tenta di fare uno sforzo di memoria, nella speranza di poter iniziare a metabolizzare quanto è successo. Il caldo del fuocherello la rilassa, così come il battito regolare del cuore di Albus, in prossimità del suo orecchio. E poi di scatto si ferma, solleva la testa e cerca il suo sguardo, come colta da un'improvvisa consapevolezza. « Sei arrabbiato con me? » Il tono è apprensivo, mentre abbassa lo sguardo colpevole colto da un improvviso imbarazzo. « Perché avresti tutte le ragioni per esserlo e.. » ..scusa ben assestata tra tre, due, uno. Sospira scuotendo la testa. « ..e io non ho scuse. Ma.. » ..ma c'è sempre un ma. « ..non ce la faccio più. Ogni giorno soffoco, e scalpito e.. » Deglutisce fortemente mentre disegna cerchi concentrici nel palmo della sua mano. « ..e so che probabilmente siamo in grado di restarci ancora per molto, perché lo conosciamo. Ma anche basta. » Pausa. « Voglio solo che tu sappia che non era l'ennesimo modo per scappare. C'è stato momento in cui forse l'ho pensato.. ma mentre ero via non volevo altro che tornare. » Gli occhi si velano di una leggera pattina lucida.


     
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    Si era addormentato, ancora una volta. Un sonno che non veniva tanto da un bisogno fisico - dato che, a ben vedere, si era svegliato poc'anzi da una lunga e profonda dormita -, quanto piuttosto da uno psicologico. Per chi ha la cartella clinica che si ritrova Albus è piuttosto normale: o dormi troppo, oppure soffri di insonnia. Di solito le due cose si alternano nei periodi critici, lasciando spazio affinché quello squilibrio psicologico diventi ben presto fisico: va a incidere sulle tue abitudini alimentari, sul tuo umore, sui tuoi nervi, sulle tue capacità..un po' su tutto quanto, insomma. Quella volta, forse, sarebbe stato diverso, più che altro perché poteva rintracciare con precisione quale fosse stato l'innesco; altre, però, non era andata così di lusso. Il sonno in cui scivolò fu senza sogni, ma non per questo meno inquieto. Si era rigirato spesso, senza riuscire a mandare il suo cervello in un vero e proprio stato di riposo, mentre i pensieri vi si rincorrevano e accavallavano all'interno in una massa caotica senza fine. Pensieri che, più che riflessioni lucide, avevano la parvenza di essere dei non sequitur belli e buoni. "Ehi! Sveglia, dormiglione." aprì gli occhi di soprassalto, sussultando appena al tocco delle labbra di Mun sulla sua guancia. Quando si rese conto che era lei, tuttavia, i muscoli del suo corpo e la stessa espressione in volto si addolcirono pian piano, facendole pigramente spazio accanto a lui e sulla propria spalla. "C'è una cosa che non vuoi perderti! La kapò ci ha mandato cibo. Cibo vero, Albus." Stirò un sorriso stanco, passandosi una mano sul volto. Non aveva realmente fame, o quanto meno non ne sentiva lo stimolo, ma sapeva da solo di averne più bisogno di quanto potesse anche solo lontanamente immaginare. Tante volte si era trovato in quella situazione, troppe per non sapere ormai come gestirla almeno in minima parte. Si lasciò dunque trascinare da lei verso l'area comune, muovendo distrattamente lo sguardo nell'ambiente per analizzare i cambiamenti fatti dai due ex caposcuola. Persino la candela. Wow. Non ti facevo così romantica, Morgenstern. Un piccolo sorriso andò a tratteggiarsi sul suo volto a quel pensiero, mentre si lasciava cadere pesantemente sul divano. "Sii sincero: in realtà la matrona stava preparando la mia veglia." Penso lo stessero facendo per entrambi. La possibilità di ritrovarsi una persona in coma e un'altra in prolungato stato di shock ti mette di fronte a scelte piuttosto serie, nelle circostanze in cui ci troviamo a vivere. Tuttavia, quelle parole, non le disse..ovviamente. Si limitò a rigirarsi un pezzo di panino tra le mani, scuotendo il capo come a volerle far intendere quanto stupida fosse quell'affermazione. Stava scherzando, lo sapeva, ma al momento gli riusciva un po' difficile sdrammatizzare proprio su quell'argomento. E dunque, per evitare di appesantirle l'umore o dire qualcosa di cui si sarebbe pentito, sfruttò la tattica migliore che avesse a disposizione: fare in modo che la propria bocca fosse troppo occupata per far uscire alcuna parola. Così, pur se controvoglia, diede un grosso morso al panino, così grosso da arrivare vicino a slogarsi la mascella per masticare quel malloppone. Come di riflesso, quando Mun poggiò la testa sulla sua spalla, fece passare un braccio attorno a quelle di lei, accarezzandole distrattamente il braccio nell'atto di rivolgerle un veloce sguardo. Ho creduto di perderlo, tutto questo, per un momento. E ora che sono riuscito a recuperarlo, non riesco a far altro che pensare a cosa sarebbe accaduto se non ce l'avessi fatta. Una parte di me, forse, è ancora bloccata in quel momento, in quella convinzione, in quel ritrovarsi ad accettare una realtà orribile. E io di realtà orribili ne ho accettate sin
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    troppe.
    "Sei arrabbiato con me?" Aggrottò la fronte, improvvisamente riportato alla realtà da quella domanda. "Perché avresti tutte le ragioni per esserlo e..e io non ho scuse. Ma..non ce la faccio più. Ogni giorno soffoco, e scalpito e..e so che probabilmente siamo in grado di restarci ancora per molto, perché lo conosciamo. Ma anche basta. Voglio solo che tu sappia che non era l'ennesimo modo per scappare. C'è stato momento in cui forse l'ho pensato.. ma mentre ero via non volevo altro che tornare. " Non disse nulla, guardandola per tutto il tempo con aria vacua. E quando finì di parlare, tutto ciò che fece, in un primo momento, fu rimettersi a mangiare in silenzio..come se non avesse detto nulla. Distolse lo sguardo e diede un altro morso al panino, masticando lentamente, con le iridi verdi scure intente a fissare il fuoco che scoppiettava nel caminetto. E quando deglutì, diede un altro morso. E così via, fino a quando non finì il panino. "Non te ne faccio una colpa." disse, infine, tranquillo, a spezzare quell'interminabile silenzio pur rimanendo con lo sguardo fisso sul caminetto "Sarebbe ipocrita da parte mia." Con un movimento secco alzò la manica sinistra della camicia, indicando senza nemmeno guardare il punto del tatuaggio in cui sapeva essere raffigurata la lametta. Quella lametta che aveva cercato di usare la sera di Natale. Le lasciò giusto il tempo necessario a vederla, dopodiché ritirò giù di scatto la manica. Rimase per qualche altro istante in silenzio prima di riprendere. "Non ti nascondo, però, che bene non l'ho presa." Stupidamente, ed egoisticamente, forse, mi sarebbe piaciuto pensare che in qualche misura avresti scelto me. Ma questo non posso dirlo perché io, dal mio canto, non so cosa avrei fatto al tuo posto: non so se mi sarei altruisticamente sacrificato per farti uscire, o se il mio egoismo mi avrebbe portato a scegliere di rimanerti accanto anche a costo di morire entrambi qui dentro. Non lo so. E forse è per questo che sto così. Sospirò profondamente, facendosi forza sulle gambe per alzarsi dal divano e raggiungere il pacchetto di sigarette lasciato sul tavolo. Ne estrasse una, accovacciandosi accanto al fuoco per accenderla, e poi rialzarsi, appoggiandosi con la spalla contro la pietra del caminetto, lo sguardo basso sulla cicca tenuta in bilico tra indice e medio. Aspirò un tiro distratto, mandando giù la nicotina per poi sbuffarne una nuvoletta nell'aria tesa del salottino. "Io lo so.." riprese, piano, come se stesse masticando a fatica quelle parole "..di non essere una persona a cui è semplice stare accanto." Sono più un peso che un piacere persino per la mia stessa famiglia, figuriamoci! Il figlio nato storto, che ha sempre bisogno di qualcosa, che non puoi mai perdere di vista perché non sai cosa farà. Riformatorio e fior fior di psicologi non sono riusciti a raddrizzarmi. "E proprio perché lo so, non pretendo nulla da nessuno. Non pretenderò mai nulla da te. Non è nella mia natura.." un altro tiro, un'altra pausa "..pretendere." Nel dire quella parola, stizzò la prima cenere nel camino, facendo sfrigolare le fiamme all'impatto prima di riportare la sigaretta alle labbra e aspirarne una lunga boccata pensierosa. Solo a quel punto, schioccando la lingua sul palato, riportò lo sguardo a Mun. "Quindi no, non sono arrabbiato con te, perché non pretendo di essere la ragione dietro ogni tua scelta, e non lo farò mai. Avrei preferito diversamente? Su questo non c'è dubbio. Ma così è andata, e mi sento solo di ringraziare qualunque Dio ci sia lassù per il semplice fatto di averti su quel divano ad ascoltare un discorso che, con ogni probabilità, non ha nemmeno un vero punto." lasciò scivolare quelle parole fuori dalle sue labbra con una certa amara noncuranza, come se non fosse nemmeno sicuro di quale senso avesse, a quel punto, parlare di un'eventualità che fortunatamente non si era verificata. "Solo una cosa pretendo." La fissò, per qualche istante, lasciando che il silenzio si riempisse solo di quel flebile sfrigolio della carta combusta nell'atto di aspirare un nuovo tiro. "Che tu me lo dica adesso, se hai intenzione di cavarmi un'altra volta il cuore dal petto. Perché potrebbe essere quella buona." L'unico rumore successivo fu l'ennesimo sfrigolio, questa volta del mozzicone che veniva lanciato tra le fiamme, mentre Albus stringeva le braccia al petto in eloquente attesa di una risposta.
     
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    Mangia in silenzio, Mun, e attende di avere una risposta, pur sapendo già quale possa esserne il tasso. Si getta consapevolmente tra le fauci del lupo, forse anche un po' nella speranza di snocciolare una situazione che in cuor suo sa è stata tutto fuorché giusta. Oh, al solito Carrow, riesci sempre a prendere le decisioni sbagliate per le giuste motivazioni. La strada per l'inferno, d'altronde, è lastricata di buone intenzioni, lo diceva anche Marx. E così attende, mentre dal canto suo mangia il proprio panino con una certa ingordigia così poco nelle sue corde. « Non te ne faccio una colpa. Sarebbe ipocrita da parte mia. » E così lo sguardo di lei cade sul pezzo di tatuaggio che Albus scopre alla sua vista. La lametta. Deglutisce, buttando giù il boccone quasi intero, bloccandosi di scatto da qualunque cosa stia facendo o pensando. Il malessere comincia a farsi sentire; il disagio, la tensione, la sensazione che forse scopercchiare quel vaso di Pandora non è stata la cosa migliore. « Non ti nascondo, però, che bene non l'ho presa. » Non c'è rabbia nel suo tono di voce. Piuttosto apatia, una strana forma di noncuranza che si traduce ai suoi occhi nella più pura forma di delusione. Abbandona il panino sul coperchio di una delle scatole e si porta le ginocchia al petto mentre lo vede alzarsi, allontanandosi da lei. « Io lo so.. di non essere una persona a cui è semplice stare accanto. E proprio perché lo so, non pretendo nulla da nessuno. Non pretenderò mai nulla da te. Non è nella mia natura.. pretendere. » Abbassa istintivamente lo sguardo, mortificata dalla direzione che sta prendendo quel discorso. Ed ecco, per un secondo, le sue peggiori paure si stanno avverano: mi sta lasciando. Questo è il discorso preliminare di qualcuno che sta gettando la spugna. E Albus Potter, chiaramente, agli occhi della Carrow, sta gettando la spugna. « Quindi no, non sono arrabbiato con te, perché non pretendo di essere la ragione dietro ogni tua scelta, e non lo farò mai. Avrei preferito diversamente? Su questo non c'è dubbio. Ma così è andata, e mi sento solo di ringraziare qualunque Dio ci sia lassù per il semplice fatto di averti su quel divano ad ascoltare un discorso che, con ogni probabilità, non ha nemmeno un vero punto. »
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    Il respiro pesante sembra spezzarlesi nei polmoni più di una volta, mentre cerca un appiglio su cui concentrarsi in attesa che lui finisca. Mentalmente tenta di analizzare ogni sfumature della noncuranza con cui getta tutte quelle parole. ..non pretendo di essere la ragione dietro ogni tua scelta, e non lo farò mai. Quelle parole, non sa perché, sono una coltellata, un pugno allo stomaco che riesce in un certo qual modo a sortire un effetto completamente diverso da quello che dovrebbero avere. « Solo una cosa pretendo. Che tu me lo dica adesso, se hai intenzione di cavarmi un'altra volta il cuore dal petto. Perché potrebbe essere quella buona. » Resta in silenzio, Mun, per un tempo infinito, fissando le fiamme come paralizzata. Quelle parole, la sofferenza che lasciavano trasparire volenti o nolenti, l'avevano semplicemente bloccata. Molto più di qualunque informazione avesse ricevuto nei giorni scorsi. Oh, e la pillola che il suo doppio le aveva fatto ingoiare era davvero amara. Davvero cruente. Per la prima volta, Mun aveva sperimentato sulla propria pelle quanto facesse la differenza il non sapere dal sapere troppo. La verità a volte, è meglio resti sepolta, lo sapeva bene Mun, ora come ora. Ci pensa, Mun. Ci pensa davvero a lungo a quale risposta dargli per non mentirgli o dargli false promesse. Se da una parte sa di non volerlo fare, dall'altra sa anche che non tutte le circostanze della vita possono essere previste. E allora, decide di seguire l'unico approccio che possa ricambiarlo della sua sincerità e del suo restarle sempre accanto nonostante tutto. « Non posso. » Un sussurro prima di compiere una lunga pausa, mentre fissa ancora le fiamme. « Non più. » Solo un paio di settimane prima, Amunet Carrow parlava di falde nel sistema, di punti di rottura, di regole da comprendere; ma la verità è che, presa in quel gioco di luci e ombre, si era scordata che la falda più grossa l'aveva scoperta su se stessa. « Te l'ho chiesto perché al tuo posto sarei stata una belva. » Non pensare che non me ne accorgo di ciò che ho fatto. Non credere di non aver compreso di averti messo in una situazione di merda. E il fatto che tu non lo sia, rende tutto ancor più difficile. Si porta le ginocchia al petto, rabbrividendo appena mentre lentamente si lascia coinvolgere da quel flusso di pensieri che già da sé non ha la più pallida idea di dove la porterà. « L'hai sentita. La mia vita è una bugia, Albus. » Perima che lei me lo sbattesse in faccia, era solo una sensazione. Le sue parole l'hanno reso un incubo diventato realtà. Comincia senza sapere nemmeno lei cosa vuole dirle. Brividi le scorrono lungo la schiena mentre lo sguardo si tinge sempre di più di una pattina lucida che non riesce a controllare. E dio se vorrebbe frenarle quelle lacrime in quel momento. « In questo marciume generale, tu avresti dovuto deludermi. E non l'hai fatto. » Scuote la testa mentre pensa e ripensa a quanto volte si è chiesta cosa avesse fatto di buono per meritarselo. Ripensa a tutte le volte in cui si è detta ostinatamente quanto Albus Potter le facesse paura. « Ogni qual volta ne avessi modo, mi chiedevo quanto prima che il karma mi ripagasse con la stessa moneta. » Quanto prima ce io finisca come coloro che ho fregato? « Quanto prima che tu vedessi finalmente che non ne valeva la pena. » Si stringe nelle spalle mentre una prima lacrima solca il suo volto, scacciata dall'intervento della manica del maglione. « In cuor mio ho sempre pensato che per te il gioco non valesse la candela e che prima o poi te ne saresti accorto. In fin dei conti, io ho ben poco da perdere.. ma tu? Ti sei lasciato alle spalle più di una persona per finire a tre metri sotto terra con me. » E quindi quanto prima ce te ne accorgessi che davvero questo non sarebbe mai stato abbastanza per sostituire tutto ciò che stai perdendo? « In cuor mio, la convinzione che prima o poi avresti ceduto, tornando alla tua vecchia vita mi ha sempre giustificato dal pensare qualunque cosa.. » Mi ha giustificato dal pensare tutto ciò che volessi, quasi eludendo qualunque forma di dimostrazione tu mi abbia dato. Non perché non ci credessi, ma perché ci credevo troppo. Ingenuamente, a onor del vero, la Carrow ci ha pure provato di andarci coi piedi di piombo, di non lasciarsi del tutto andare, ma la verità è che qualunque meccanismo adottasse sembrava esserle più controproducente di quello precedente. Getta lì tutta quella scia di pensieri senza nemmeno pensarci. Ormai esausta di restare perennemente in tensione in sua presenza, di guardare con sospetto ogni suo movimento, quasi come se fosse una ladre in casa propria, lascia che tutto ciò che non gli detto fluisca tra loro in un flusso di coscienza che non sa nemmeno se avrà senso alle sue orecchie. « E lì per lì ho pensato che volevo altro per te. Che comunque fosse andato, se non ci fossi stata io, una volta fuori avresti trovato la tua strada. Anche senza di me. » Con Jay. Con qualcun'altra. Qualcuno che avrebbe preso il posto che non so se mi sono mai meritata. E a quel punto si alza in piedi, mentre le lacrime iniziano a scorrere una dietro all'altra, mentre non riesce a fare a meno questa volta di inchiodare il suo sguardo, quasi per paura che ogni passo possa solo portarla a farsi sbattere fuori da quegli sotterranei. « Oh ma tu, Potter, non riesci proprio a lasciarmene nemmeno una di convinzione. Non vuoi proprio concedermi nulla. Dovevi proprio dirlo! » E in quel momento scoppia a piangere, questa volta sul serio. Mentre ripensa a una delle immagini che ancora ricorda, prima che il buio sopraggiunga. « Dovevi renderlo reale. Fino in fondo. » L'immagine delle unghie che graffiano contro la superficie appannata di un vetro immaginario le torna nella mente. Da una parte c'è lei, dall'altra la vita che era sul punto di non avere più. « E quindi no. Non posso. Ora non posso più. Non ho più uno straccio di scusa per fare il cazzo che mi pare, perché tu hai ben pensato di inchiodarmi per bene. » Mi hai chiuso in una cella e ci hai gettato la chiave. Ora il tuo discorso sul non saper pretendere, vale ben poco. « E adesso l'unica cosa a cui riesco a pensare e a quanto mi uccida vederti così e a quanto in realtà non abbia nemmeno lontanamente il diritto di rinfacciartelo. » Perché io ho fatto molto di peggio. Si avvicina ulteriormente superando il tavolino fino a essergli davanti. « Stavo cercando così disperatamente una scusa a cui aggrapparmi per non crederti che quando ti ho sentito mi sono sentita stupida, e sciocca. » E' facile superare qualunque botta, quando tu per primo non ci credevi sin dal principio. Quando una chance non te la sei mai data fino in fondo. « E da quel momento non ho pensato ad altro che al fatto che.. volevo tornare a casa. » Stringe i pugni mentre compie un ulteriore passo avanti e un altro ancora, e poi un terzo che annulla completamente le distanze. A quel punto la voce diventa un sussurro quasi impercettibile, mentre alza la testa per cercare il suo sguardo. « Io ti ho visto dall'altra parte.. » Le lacrime continuano a scorrere sul volto di lei mentre la vista si annebbia. « Ho visto.. una casa. » Un nido come lei stessa lo ha definito. A quel punto le parole si trasformano in sussurri appena percettibili.« Ho dovuto quasi morire per realizzare di amare te, più di quanto ami me stessa. » Ammette a quel punto chiudendo gli occhi. « E mi uccide. Perché non so più gestirlo, perché è diverso, perché non so più come si faccia. » Questa nuova versione di me stessa non sa come sia l'amore. « E perché mi fa paura. Mi fa così tanta paura che non so come gestirlo. Non so come tenerlo a bada, come metterlo a tacere, come quantificarlo. Mi fa paura perché è successo in così poco tempo e mi ha reso così.. » Sospira tra un singhiozzo e un altro. Io non ero così. Non ero una tipa da grandi gesti. Cazzo, piuttosto che tirarmi fuori tutte queste parole mi avresti ammazzato. E a quel punto si rende conto che niente altro ha importanza. Non in quel momento, non di fronte a tutte quelle realizzazioni, che invece che fare tra se e se ha esposto a voce alta senza nemmeno pensarci. « Io ti amo. » Pausa. « Perciò mi perdonerai se pretenderò che tu non mi faccia mai la stessa cosa. » Intreccia le dita alle sue mentre tira su col naso. « Non hai bisogno di essere la ragione dietro ogni mia scelta. » Posa l'altra mano sulla sua guancia, accarezzandogliela con gentilezza. « Sei la ragione per cui ci sono ancora.. » E questa non è ogni scelta. E' la scelta. Chiude gli occhi posando anche l'altra mano sulla sua guancia. « Ti amo.. » E lo disse ancora e ancora, quasi per paura che quelle parole potessero sfuggirle come tutto il resto, e non avesse abbastanza tempo per dirle. Ora lo sai.




    Edited by blue velvet - 1/3/2018, 12:41
     
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