Pretty when I cry

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    It's like you're screaming
    and no one can hear.



    Comincia sempre tutto per gioco, come ogni cosa. E di solito c'è un complimento, c'è sempre un complimento che mette di buon umore, che mette l'anima nella giusta predisposizione. E c'è un sorriso. Quel maledetto sorriso. «Sei incantevole, Maze. Ti sei ripresa alla grande mi dicono.» E Maze sorride a Tom, guardandolo dritto negli occhi, mentre lo lascia entrare in camera, facendosi da parte. «Ho pensato di venire a controllare di persona come stessi, ho sentito dire che non te la sei vista troppo bella con uno di quei cosi, qualche giorno fa.» Maze arriccia il naso e cerca di non pensare. Perché sì, se l'è vista brutta, ma non con uno di quei cosi. Con qualcuno di molto peggiore. «Mi hai fatto preoccupare, sono stato in pensiero per te, da quando ho saputo la notizia. Sono venuto anche a farti visita, ma hai dormito per un giorno e mezzo di fila, a quanto pare.» Preoccupazione. Tom si è preoccupato per lei e questo le fa strano. Tom ha pensato a lei, è andato pure a trovarla, sperando di poterla vedere e per sincerarsi che stesse bene. E' strana, è un'emozione particolare ma anche piacevole quella che la prende nel sentire qualcun altro dirle che si è preoccupato per lei, tanto da scomodarsi ad andarla a cercare. Così si stringe nelle spalle, mentre si siede a terra, invitandolo a fare lo stesso, proprio vicino a lei. «Però, chi l'avrebbe mai detto che sarei stata così tanto nei tuoi pensieri. Ne sono lusingata.» Sorride e il sorriso riesce a prendere le tipiche note ammiccanti che la caratterizzano così tanto. Non ci pensare, non pensare ad altro, Trixie. Lei è lì, presente, ma non apre bocca. E' in silenzio da quella sera. E' ancora traumatizzata, ha avuto paura e in quelli che entrambe pensavano sarebbero stati gli ultimi istanti della loro vita, le ha urlato contro, si è sbattuta, ha pianto, fin quando non hanno perso conoscenza, volando a peso morto verso la loro morte. «Sei una stronza, totalmente allo sbando e nemmeno te ne accorgi. Non ti interessa niente degli altri, pensi soltanto a te stessa e al tuo insano istinto suicida. La vai cercando, la morte, perché non sai vivere, perché è così che sei fatta. Perché tu non sei umana, NON LO SEI E NON LO SARAI MAI.» E' in silenzio da quel momento. Non ha aperto più bocca e in quel momento osserva soltanto la scena. Di tanto in tanto le sfugge qualche ricordo di quella notte, ricordo che Maze censura, bloccandola per qualche istante, fin quando non si calma. «Ti ho portato anche qualcosa..» riprende Tom, aprendo il suo zainetto, come un bravo scolaro. La mora lo osserva, piuttosto incuriosita, mentre lo vede tirar fuori un paio di birre. E' stupore quello che si vede trasparire sul volto della ragazza, mentre tenta di capire le intenzioni del ragazzo. «Sono riuscito a fregarle alla scorta di Carrow, il maschio, quello poco sveglio.» Trixie si smuove appena, incuriosita e infastidita allo stesso tempo da quella sua affermazione. Non vede Ares da un po' e quella è la sua reazione a qualsiasi cosa, nell'ultimo periodo, che concerne il suo ragazzino. «Un piccolo regalino per augurarti una pronta guarigione, anche se stai proprio benissimo, devo dire» le dice, passandole la sua bottiglia già stappata da lui. Maze gli sorride, quasi grata del piccolo diversivo che quel ragazzo dai capelli scuri e gli occhi verdi le sta offrendo. I vetri delle due birre cozzano tra di loro, in un tacito brindisi. «E per ricordarti che la prossima volta dovresti stare con me, invece che gironzolare da sola e trovarti in certe situazioni da sola.» Gli lancia un'occhiata di traverso, mentre manda giù un goccio di birra, stringendo appena gli occhi, quasi a volerlo osservare meglio, in ogni sua sfaccettatura. In altre circostanze, Maze si sarebbe accorta di quanto la situazione stia vertendo per il verso sbagliato. In altre circostanze, nella sua testa avrebbe cominciato a suonare il campanello d'allarme già da un bel pezzo, accorgendosi immediatamente dello scatto della serratura, appena Tom ha chiuso la porta dietro di sé. Ma in quel momento ha un po' di svago, un momento tranquillo da passare con una birra in mano, un ragazzo a cui sembrano veramente stargli a cuore le sue condizioni e non può chiedere niente di più, in un periodo come quello che sta vivendo. «La prossima volta vedrò di ricordarmelo. Team che vince non si cambia, dico bene?» Si cita, mentre beve un altro sorso di quella birra fredda che scende così velocemente lungo la sua gola. E sembra tutto così facile, forse perché lo è davvero. Solo lei, un ragazzo e nessuna pretesa strana, nessun sentimento d'odio represso, nessun amore malato, ma solo delle semplici chiacchiere che non sembrano però essere di circostanza, no. Sono più profonde, più sentite e a lei fa piacere essere semplicemente una ragazza, senza drammi, senza paure, senza tutto quello che ha sempre avuto con lui. Si porta una mano al collo, in un gesto involontario, sfregandosi la pelle con energia, lì dove le sue mani avevano stretto e stretto ancora, sperando nella preghiera di lei. E mentre si perde in quel suo silenzio, non si accorge della mano di lui che prende a risalirle la gamba, delicatamente. Non si accorge, o forse fa semplicemente finta di non farlo, perché non vuole rovinarsi il suo bel momento facile. Magari, quando vedrà che non è veramente interessata all'acquisto, toglierà la mano. Questo è quello che si dice, mentre guarda da un'altra parte, bevendo ancora. Tom però non desiste e la mano prende a salire lungo il busto, mentre lo sente farsi strada con il volto verso il proprio collo ed è allora che Maze comincia a sentirsi a disagio, per la prima volta da quando ha deciso di mettere piede in quella stanza. Si volta a guardarlo, fulminante, costringendolo a ritrarsi per qualche secondo. «Cosa credi di ottenere questa sera, Tom?» Gli domanda e lui sorride, beffardo, e a Maze quel viso non piace più tanto. Ha qualcosa di raccapricciante, così come è strana la sua risata gutturale. «Beh, io sono stato gentile con te, tu potresti fare altrettanto con me. Un do ut des, n0?» La mano di lui si avvicina nuovamente e lei la scaccia non appena si posa sopra la propria gamba. «Mi sa proprio che non hai capito nulla.» Fa per strisciare lontano da lui, ma Tom è più veloce e le blocca un polso con una mano, stringendolo abbastanza forte da farle provare fastidio. «No, io credo di aver capito benissimo invece. Tutte le risatine, tutte le occhiate, il farmi partecipe che qualcuno ti ha disegnata nuda, solo per avere una mia reazione...vi capisco a voi donne, sai? E so quello che si dice in giro su di te, arrivano anche alle mie orecchie certe voci succulenti.» Lui si avvicina, lei cerca di liberarsi, ma lui è il doppio della sua stazza e si impone su di lei con supremazia. Le accarezza il volto con la punta del naso, per annusarne l'odore e Trixie prende ad urlare, dopo giorni di silenzio. L'avverte del pericolo, ma Maze sa di essere in pericolo, lo sa bene. «Dio, sai così di buono» le sussurra, dopo averle leccato la guancia. «No dai, Tom, non mi va.» Scuote la testa, facendo pressione sul suo petto con entrambe le mani, per allontanarlo. Ma lui non lo fa, anzi, prende ad accarezzarle le mani, mentre la guarda negli occhi. «Come non ti va? Vuoi dirmi che apri le gambe con tutti e proprio con me decidi di fare la santarellina? Mi sembra un tantino ipocrita e mi ci fai rimanere male.» Lei rabbrividisce d'istinto, per poi tirargli un ceffone in piena faccia, quando il suo cervello prende a girare nuovamente. Lo schiaffo lo fa allontanare quel che basta per permetterle di mettersi in piedi e cominciare ad avviarsi verso la porta. Ma non valuta le conseguenze, non valuta le contromosse e non valuta che Tom possa avere ancora la meglio, allungando una mano ad avvolgerle la gamba con forza, facendola cadere con la faccia in avanti. Ed è subito su di lei, nemmeno il tempo di battere le ciglia, che lui le si avventa con tutta la sua forza. La costringe a terra con il suo peso, mentre cerca di rilassare la situazione. «E dai, Maze, lo so che ti va, lo so che mi vuoi.» Le sussurra all'orecchio, spostandole i capelli di lato, qualche secondo prima che lei riesca a mettersi a pancia in su, ritrovandoselo sopra. «Tu stai male di testa, cazzo! Togliti di dosso o giuro su quella faccia da stronzo che hai che ti scuoio vivo.» Richiama a sé il fuoco e gli imprime le proprie dita contro il viso, proprio nel momento in cui lui si avvicina per provare a baciarla. Per provare a fare le cose per bene, come Dio comanda. Tom urla e per un attimo sembra distogliere la sua attenzione da lei, lasciandole campo libero per liberarsi ancora una volta. Striscia via e fa per rialzarsi, ma ancora una volta rimane con le spalle scoperte e Tom ferma la sua corsa. «Ma sei proprio una stronza allora, che ti costa? Una volta in più, una volta in meno. Su, non fare la schizzinosa.» Maze striscia verso l'altro letto e d'improvviso si sente avvolgere mani e piedi da corde forti e asfissianti e per la prima volta le prende il panico, perché capisce che sta per succedere ciò che non dovrebbe succedere, non senza il suo consenso perlomeno. Ha poco tempo per
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    reagire, si dimena sotto la sua presa, ma lui la sovrasta con il suo corpo possente e le sbatte la faccia contro il pavimento. Prova ad urlare, ci prova una volta, ma le sue corde vocali sono ancora troppo provate dalla sera della Torre di Corvonero, dalla sua stretta ferrea, e non esce altro che un flebile e stridulo lamento. C'è un momento in cui crede che tutto andrà bene, che non le può succedere nulla di male, che Tom capirà di star facendo un errore, e allora la lascerà andare. Ma non succede niente di tutto questo. Il tempismo, dopotutto, non è mai stato il suo forte e ciò che c'è di più male al mondo è ciò che si è sempre meritata la sua anima dannata. Avrebbe dovuto sapere, lo avrebbe dovuto immaginare Per questo c'è un momento in cui prova a ribellarsi, si muove, tentando di non permettergli di abbassarle i pantaloni, ma quando capisce che è tutto inutile, che Tom non capirà di star facendo una cosa abominevole, che lei non riuscirà a salvare se stessa e che nessuno verrà in suo aiuto, è in quel momento che abbandona ogni resistenza e diventa molle, diventa indifferente, si aliena per non sentire. Con una guancia schiacciata a terra e il suo respiro caldo contro il collo, Maze ripensa a quella sera. L'ha visto il suo sguardo mentre lei precipitava nell'oblio, andando incontro alla morte. L'ha visto rimanere fermo, impalato e serio sulla cima della torre, mentre la guardava morire perché, non amandolo più, era ormai inutile. «Mi guarderai morire, così come ha fatto lui, senza alzare un dito. Sei come Tristan, pieno di odio, di rancore, di risentimento per la persona sbagliata. Lo sei sempre stato!» E così alla fine aveva fatto. L'aveva guardata finire, spegnersi. L'aveva buttata di sotto, l'aveva uscita. Eppure l'aveva anche salvata, così le è stato detto dal professor Wilde, una volta risvegliatasi. Non ha voluto sapere altro, Maze, ma una volta riaperti gli occhi, ha avuto come l'impressione di aver vissuto in un sogno, in quei giorni. Aveva portato le dita alle labbra, avendo la netta sensazione di essere stata baciata, di aver sentito le sue labbra sulle proprie. Ed era stato tutto così strano, perché lui l'aveva gettata nel vuoto, ma era stato comunque sempre lui a tirarla via da quella morte certa che l'attendeva alla fine di quel volo. Senso di colpa. Forse anche lui era in grado di provarlo, ma Maze non ne è sicura. Probabilmente non voleva soltanto sporcarsi le mani del sangue di famiglia. « Vorrei farlo, Maze, vorrei farlo davvero..Ma non so da dove cominciare, non so come si fa. » Quelle parole le rimbombano in testa in quel momento, mentre le unghie graffiano il pavimento, tentando di allungarsi in quell'istinto umano alla sopravvivenza. Il suo corpo vuole scappare, mentre Tom cerca di far sembrare meno orrido ciò che sta facendo, sussurrandole parole palliative all'orecchio e baciandole la spalla, di tanto in tanto. La sua mente però è stanca, è affranta, è rotta, completamente fatta a pezzi. Lui la voleva morta ed è la morte che si sta donando. La vai cercando, la morte, perché non sai vivere. Perché è così che sei fatta. Forse perché non l'ha saputo mai fare, né con lui, né senza di lui. Gli occhi si chiudono e si riaprono ad intermittenza regolare, mentre l'unico pensiero è il "Vi prego, qualcuno lo faccia smettere" che le tartassa la mente. Una leggera patina lucida le si forma davanti alle iridi chiare, quando le forze l'abbandonano del tutto, le mani si accartocciano su se stesse, non raschiando più il legno caldo e Trixie si rintana nel suo angolo di testa, perché non le vuole parlare. Perché Tom sta profanando il suo corpo e Maze glielo sta lasciando fare, non potendo fare altrimenti. Se lo merita. Te lo meriti. Non si è mai sentita più umana di così, più piccola, inerme e indifesa. Eppure non è mai stata umana, non umana del tutto. « Mi dispiace. » E' tutto un sogno, un incredibile bruttissimo sogno. Nulla di questo è reale, nemmeno la voce di Lucien nella propria testa. Nulla. Tra pochi minuti mi sveglierò e capirò che niente di tutto questo è vero. Niente. «Lasciami, ti prego, lasciami andare.» Un sussurro lieve, una preghiera sussurrata. Ti prego, fermati, ti scongiuro. Lo sguardo spento di chi ha smesso di lottare e di chi sa di meritarsi quella punizione, la guancia escoriata per il brusco strusciare contro le assi di legno, le scarpe che slittano l'una sull'altra, in un disperato bisogno di salvezza e alla fine lo sente scivolare via, veloce com'è le è saltato addosso. E lei rimane lì, con la faccia a terra, immobilizzata, logora, malconcia e completamente spezzata.

    It's not your fault
    It's my own fault
    I'm not human at all
    I have no heart.


     
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    « Certo che la tua ex è una tipa tosta. » La voce di Vlad irrompe nei suoi pensieri, mescolandosi alla sua coscienza. Non riesce a scrollarselo di dosso da quella sera, ormai. A volte scompare per qualche ora, gli fa credere di averlo lasciato andare, ma poi eccolo che riappare, a rompere le palle con le sue opinioni delle quali nessuno ha chiesto nulla. A Lux quella condivisione non piace. Ha già troppe voci nella sua testa, un'ulteriore non era certo ciò di cui aveva bisogno. Eppure più si sforza per ricacciarlo dentro, più non ci riesce. Qualcosa è cambiato, da quella sera. Qualcosa è decisamente cambiato. « Non è la mia ex. E' mia moglie. » Mormora il demone, lo sguardo che vaga lungo il suo riflesso allo specchio. Si trova nel proprio ufficio, la camicia scura sollevata. Le dita gelide sfiorano quelle cicatrici sul costato e sul petto, con una certa delicatezza. Le stesse cicatrici che lei gli ha recato. Ricorda tutto, di quella notte, nonostante una parte di sè vorrebbe non ricordare nulla. E' stata...Beh, strana. Come si sente strano lui, al momento. Diavolo, è strano davvero. Lucien Kai Parker, quella presenza molesta a tutte le ore del giorno e della notte, sono giornate intere che trascorre il suo tempo rinchiuso in quel suo ufficio, senza dare disturbo a nessuno. Lo si trova lì, la maggior parte del tempo sdraiato su quel divanetto in pelle, immerso in un sonno privo di qualsiasi sogno. Non dorme, Lucien, non davvero. Non è capace di farlo. Quando chiude gli occhi, quando si lascia andare al sonno, gli incubi sopraggiungono. I demoni, i suoi demoni, si impossessano di tutto ciò che gli appartiene. La sua mente, in primis. Tutte le volte che chiude gli occhi, la vede. Tutte le volte che si lascia un attimo andare, abbandonando quel suo continuo lottare contro una psiche già di per sè fin troppo complessa, eccola che ritorna. Rivede il suo sguardo, quei suoi occhi smeraldini a guardarlo, mentre precipita nel vuoto più totale. Riascolta le sue parole, sente di nuovo tutto quel dolore fisico che è riuscita a fargli provare. E non solo. « Ah già, tua moglie. Quella che tradivi ogni giorno, giusto? » E Vlad, ovviamente, non lo aiuta. Vlad è uno stronzo. Vlad sa qual'è la cosa più sbagliata da dire al momento più sbagliato per dirla. Tale padre, tale figlio. « Hai rotto il cazzo. Guarda che- » Ringhia, riabbassandosi la camicia ed avvicinandosi allo specchio per ricontrollare quei piccoli tagli ormai quasi completamente rimarginati sul naso e sul labbro inferiore. « -"non ci metto niente a rispedirti a fanculo" sei ripetitivo, lo sai? Se non ci metti niente, perchè ancora non l'hai fatto? » Perchè non ci riesco, porca troia. Non ci riesce davvero. E non è solo Vlad, in problema. Il problema è che sono giorni, che Lucien è..diverso. Sente..cose, e non gli piace. Percepisce sensazioni che non ha mai provato prima. Sta diventando più umano ogni giorno che passa, abbandonando parte di quell'essere divino che l'ha sempre caratterizzato, e questo proprio non riesce ad accettarlo. Che cazzo mi sta succedendo? « Lei come sta? » Si stringe nelle spalle, andandosi a sedere sul divano di fronte allo specchio. Quello stesso specchio. Vi sono ancora quelle leggere crepe che ha lasciato lui, stretto contro al suo corpo. Quasi la rivede, minuscola rispetto alla sua stazza, nuda, a respirare affannosamente contro di lui. E allora distoglie lo sguardo, piantandolo in un punto non ben definito della stanza. Non lo sa davvero, come sta. Sa che è viva, perchè non ha perso d'occhio il battito del suo cuore neanche per un istante. Ma non sa null'altro. Da quella sera, l'ha lasciata in pace. Certo, non è stato facile. Quando possiedi una mente come quella di Lucien, nulla è facile. L'istinto di andarla a cercare, sin dal primo istante in cui l'ha lasciata andare, è stato forte. L'istinto di continuare a far parte della sua vita, nonostante tutto, nonostante la sua volontà, non l'ha mai abbandonato e non lo abbandona nemmeno adesso. Basta considerare come ancora si riferisca a lei chiamandola sua moglie, dopotutto. Crede ancora che lei gli appartenga. Ma ormai sa che se anche lo crede, non vuol dire che sia per forza così. E questo è un fattore con il quale deve ancora entrare a far patti. Il libero arbitrio, che gran bella stronzata. Ciò nonostante, al di là di tutto, ha interrotto qualsiasi contatto. Almeno per un po'. Interrompendoli, limitandosi ad ascoltare solo e soltanto il suo cuore, è tutto più facile. Non sa cosa fa, non sa con chi è, non sa quello che dice, niente di niente. Non è niente, per lei. Perché, ricordatelo Lux, qui tu non sei proprio un cazzo. Sei soltanto uno qualunque. Si passa una mano fra i capelli, prima di lasciarsi andare con il collo reclinato lungo la spalliera del divano. Osserva il soffitto per qualche attimo di silenzio, poi batte i piedi per terra. Una prima volta, una seconda ed una terza, accompagnandoli con i pugni, che battono contro il divano ripetutamente. « Non mi piace. Non mi piace, non mi piaceeeee! » Si lamenta, alla stregua di un bambino capriccioso. Afferra un cuscino e se lo pressa sulla faccia, continuando a dimenarsi. Izzie gli avrebbe già mollato una cinquina in pieno viso, in un momento del genere. Ma Izzie lì non c'è, e l'unico che gli rimane è...« Hai finito? » « No. » Squittisce, indispettito, prima di scagliare il cuscino chissà dove, causando un rumore non troppo raccomandabile. Sente Vlad sospirare, da qualche angolo recondito del loro cervello, e ciò lo fa innervosire ancora di più. « Lo sai che ci sarebbe una soluzione, vero? » Chiederle scusa. Scuote la testa, incrociando le braccia, visibilmente imbronciato. Vlad ci prova, ci prova davvero a consolarlo. Non sa esattamente perchè, forse perchè se è depresso lui, lo sono entrambi. Ma comunque ci prova, e non ci riesce. Chiedere scusa è da semplici umani. Potrebbe provarci, Lucien, ma sa che non servirebbe a nulla. Le questioni tra lui e Mazikeen non sono risolvibili con un semplice scusa, mi dispiace. Ci ha provato, gliel'ha pure detto, ma sa già che è inutile. Perchè loro sono anime dannate, perchè il loro mondo è fin troppo complesso per esser compreso. E quindi, è questo ciò a cui sono e saranno condannati per sempre: la sofferenza. Ed è una sofferenza che fa male. Diavolo se fa male. E' insopportabile, davvero. A volte gli sembra quasi di esser precipitato in chissà quale sonno profondo, ed esser stato intrappolato in uno dei suoi peggiori incubi. Io non ti amo più, ed è tutto vero. E' il tuo peggiore incubo, perché persa me, non hai nessun'altro. « E comunque, mi ha pugnalato. » Mormora ad una certa, dopo minuti di completo silenzio. Eccolo che ritorna, il buon vecchio Lux. Sempre pronto ad additare i peccati degli altri, senza mai contare i propri. Sempre pronto a mettersi al centro delle attenzioni, considerando ciò che succede a lui molto più grave ed importante di ciò che succede a chiunque altro incontri sul suo cammino. « Tu hai abusato di lei. Direi che siete pari? » Sbuffa, Lucien, gettando gli occhi al cielo. « Ma tu da che parte stai? » Asserisce, il tono di voce inacidito. « Vorrei stare dalla tua, davvero, ma non ti capisco. Dici che è tua moglie, e per poco non l'hai uccisa. La vuoi, perchè è evidente che la vuoi, e non stai facendo nulla per andare a riprendertela e no, non rapendola o facendo dio sceso in terra, al solito tuo. » Scuote la testa, Lux, le mani che si pressano contro le tempie. Diavolo quanto lo odia. « Fa' silenzio, silenzio, silenzio. » Ringhia, ma Vlad non sembra intimidito. « Devi smettere di avere paura, Lucien. Quì è diverso, è tutto diverso dal tuo mondo. Devi solo accettare ciò che provi. » « Io non provo nulla. » « E allora perchè stai così? » Perchè mi sono dovuto scegliere proprio quello filosofico? Perchè? « Non lo so, okay? NON.LO.SO. So solo che lei non mi ama più e... » Questo fa male. Per anni ho considerato il suo amore come un semplice ornamento al nostro divertimento, ed ora che non ce l'ho più, mi manca. Ma non completa la frase, Lucien, perchè qualcosa attira la sua attenzione. Si mette a sedere, la schiena diritta, l'espressione attenta. C'è qualcosa che non va. Un mutamento nel battito di lei. Lo sente, lo percepisce, pericolo.
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    E allora riapre il contatto, la cerca in quel marasma generale di voci. « E? » « Silenzio. » « Andiamo Lucien smettila di- » « HO DETTO FA' SILENZIO! » Ruggisce, ed è allora che la individua, in un sussurro flebile, quasi inudibile. Lasciami, ti prego, lasciami andare. Avviene tutto in fretta, automaticamente. In pochi attimi, Lux è lì. Lo sguardo che saetta di fronte a sè, e la vede. Li vede. E allora lo sente, lo sente quel diavolo che gli rimonta dentro. La sente tutta la potenza di quel dio, mentre balza in avanti, le mani che si arpionano alle spalle del ragazzo, per scaraventarlo con forza contro il muro. Questi prova a rialzarsi, seppur sia stordito dall'impatto violento, ma Lucien è più veloce. E' una furia, mentre si avventa contro di lui, la mano che va a stringersi contro il suo collo, sollevandolo da terra e sbattendolo contro il muro una prima, una seconda ed una terza volta. Gli sta rompendo tutte le ossa del corpo probabilmente, mentre continua a sbatterlo contro la pietra, causandovi sopra numerose crepe. Non vede nulla al momento, Lucien. E' completamente accecato dall'ira, completamente fuori controllo. La rabbia rimonta dentro di lui ed un marasma generale di voci urla dentro la sua testa. « Uccidilo. » Quella di Vlad riesce a sovrastare tutte le altre, mentre lascia scivolare via il malcapitato, chinandosi su di lui a cavalcioni. Striscia, il verme, per quel poco che gli è possibile fare. Il battito del suo cuore è così accelerato da risultare assordante. Ha paura, glielo legge in faccia. Sputa sangue, si dimena, cerca inutilmente di colpirlo con qualche pugno, urla seppur tutto ciò che fuoriesce dalla sua gola sia soltanto un rantolio incomprensibile e disperato. Probabilmente, se lo lasciasse adesso, morirebbe comunque per via di tutte quelle lesioni che deve avergli causato sbattendolo con così tanta forza contro il muro. Ma a Lucien una morte lenta e dolorosa non basta. Deve soffrire, e deve farlo sotto i suoi occhi. Deve pregarlo, per non ottenere nessuna pietà. Deve morire nella maniera più cruenta e brutale possibile. E questo sarà nulla, rispetto a ciò che lo spetterà all'altro mondo. E allora ringhia, il vampiro, chinandosi su di lui, la mano che scivola in basso lungo quel corpo tremante. Lo avvolge tra le proprie dita, il centro di quel desiderio deviato e profano. L'ha oltraggiata. L'ha profanata. Ha disonorato la sua regina. « Ti prego, ti prego, ti prego... » God helps anyone who disrespected the queen. Scuote la testa, mentre un sorriso sadico gli dipinge il volto. Gli occhi rossi, i lunghi canini ben visibili. Nemmeno Dio ti aiuterà. « Ohhh questo è niente rispetto a ciò che ti aspetta. Hai scelto la donna sbagliata. Hai scelto la mia donna. E nessuno può mancare di rispetto alla mia donna. » Sibila, ed è allora che, esercitando un po' di forza, lo priva della propria virilità, violandolo a sua volta. Riesce ad urlare questa volta, il ragazzo, ma Lucien non si ferma, tappandogli la bocca con l'altra mano. « Cosa si prova, mh? Ti piace adesso? Ti piace? » La sua voce è graffiante, metallica, sovrumana. Il suo sangue lo macchia ovunque, sui vestiti, sulle mani, sul viso, ma a Lucien non importa. Io ti condanno alle pene peggiori. Marcirai tra le fiamme dell'inferno, spererai ogni giorno in una salvezza che non arriverà mai. La tua anima verrà abusata, umiliata e violentata ogni istante della tua squallida esistenza nell'aldilà. Per sempre. Sussurra al suo orecchio, mentre la mano si sposta dalla sua bocca al suo petto, segnandolo a sangue con le unghie, in un simbolo oscuro allo scibile umano. L'ha marchiato, mentre pronuncia delle parole in una lingua sconosciuta, le dita di entrambe le mani che adesso vagano sul suo viso. I pollici pressano sui bulbi oculari, le dita si arpionano alla testa. Spinge, spinge e ancora spinge, mentre il ragazzo utilizza le sue ultime forze per dimenarsi sotto di lui, le gambe che si agitano, le braccia che tentano di bloccarlo, graffiandolo. Ma Lucien non si ferma, mentre i pollici continuano ad affondare nelle sue orbite, fino a far zampillare il sangue. Urla disperate ed agghiaccianti accompagnano quei suoi movimenti, fino ad affievolirsi sempre di più. Smette di dimenarsi non appena oltrepassa la poltiglia ormai rimasta dei suoi bulbi oculari ed arriva al cervello. Esercita infine ancora più forza, sino ad annientarlo completamente, distruggendo ossa e materia organica in un intruglio informe e raccapricciante. Rimane qualche istante ad osservare quello scempio, la rabbia che ancora non lo abbandona fin quando non sente il suo cuore smettere di battere. Ora tocca a loro, darti ciò che ti meriti. E allora alza il capo verso di lei, e si sente morire. Può un vampiro farlo, sentirsi morire? Non lo sa, ma è ciò che prova. Senso di colpa, rabbia, disperazione, impotenza. Lui non era lì, lui non l'ha previsto. Lui non l'ha impedito prima ancora che tutto iniziasse. Si scosta da quel corpo ormai irriconoscibile. Lo farà a pezzi, lo sevizierà, lo umilierà in ogni modo possibile e immaginabile, ma adesso... Lei è più importante. Si ripulisce le mani sporche di quel sangue lurido sui pantaloni, e si avvicina a lei, chinandosi. E' logora, è esausta, è completamente spezzata. Lo sguardo vacuo, il viso insanguinato, il corpo malridotto. La sfiora, per provare a sollevarla dal pavimento, lo sguardo che cerca il suo, nonostante sappia che quando lo troverà, ciò che vi leggerà attraverso, di qualsiasi cosa si tratti, farà male. « Maze.. » Si sente mormorare, il tono di voce esitante. L'adrenalina dovuta a tutta quella rabbia cieca lo sta abbandonando pian piano, e la consapevolezza di quanto accaduto a Maze, la sua Maze, inizia a palesarsi sempre di più. Hai scelto la mia donna, e nessuno può mancare di rispetto alla mia donna. Eppure è successo. L'umano ha sfidato il divino, ed ha vinto. Sta diventando tanto debole, Lux? Lo stanno diventando entrambi, in quel mondo? « E' morto, è andato dov'è giusto che vada. » Le sfiora un braccio con le dita gelide « E' finito. E' tutto finito, ci sono qua io adesso. » Ci sono qua io, lo stesso uomo che ti ha spinto giù da una torre. Ha così tanti motivi per non fidarsi di lui. Così tanti motivi per odiarlo. E non sarebbe nemmeno capace di biasimarla. Non potrebbe farlo. Per l'ennesima volta, è senso di colpa ciò che lo attanaglia sin dal profondo. Di atti come quelli, Lux ne ha visti tanti. Di atti come quelli, Lux ne ha fatti tanti. Ma subirlo, vederlo subire su di lei... « Scusa, se non sono arrivato prima che... » Gli mancano le parole, e allora si sente sospirare. « Per favore, parlami. Dimmi di cosa hai bisogno. Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa. » Ti prego.
     
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    Sono sott'acqua. E' distaccata dal mondo, ha l'udito ovattato, succedono cose intorno a lei, ci sono suoni nauseabondi, rumori ingombranti, che fanno a botte con le sue orecchie per entravi, per farle sentire veramente, ma la sua mente non collabora. E' come quando si è immersi sotto il pelo dell'acqua, il resto del mondo smette di esistere, si vaporizza, lasciandola lì, con i suoi pensieri, con Trixie terrorizzata che piange in un angolo della sua testa, che chiede pietà, che prega un Dio nel quale nemmeno crede, chiedendo soltanto la grazia di essere ascoltata. E' strano come un evento traumatico riesca ad unire tanto anche persone che non si parlano da anni. Ed è altrettanto strano come tragedie quanto questa riescano a mettere un muro tra due persone, come accade come con Beatrix e Mazikeen. Sentono ognuna le sensazioni dell'altra, ma non si parlano. Sentono ognuna i pensieri dell'altra, ma preferiscono soffrire ognuna a suo modo, ognuna in solitudine, ognuna lasciando l'altra da parte. Perché è più facile non parlare quando si hanno fin troppe cose da dire, parole che feriscono, parole che dilaniano senza pietà. Ed è più facile rimanere in silenzio e crogiolare nel proprio silenzio atipico, rimanendo immerse in quell'acqua che allontana da loro qualsiasi problema. E' come se fossero ibernate, è come se fossero sepolte da cumuli e cumuli di ghiaccio misto a neve fresca. Sento freddo. E' ancora lì, a terra, completamente immobilizzata dalle corde che la tengono stretta, ancora mezza svestita, il viso appoggiato al pavimento che improvvisamente è congelato. Non fa nulla per sentire meno freddo e pure ne sente tanto. Le intorpidisce i muscoli, riesce a percepirlo mentre scava all'interno delle sue ossa, tanto da congelarla e paralizzarla sul posto. Lei, la regina del calore, bloccata da un po' di freddo. Ci pensa, per qualche istante, tenta di richiamare a sé il fuoco, ma non ha abbastanza forze e, forse, nemmeno abbastanza voglia di muovere anche soltanto un centimetro del suo corpo. E se da una parte vorrebbe rimettersi in piedi, rivestirsi e urlare, urlare talmente forte da spaccare le finestre, da spaccare qualsiasi cosa di vetro nei pareggi, dall'altra parte vuole rimanere lì, immobile, nel caos generale che sente muoversi intorno a lei. Non mi importa. Non le importa di cosa che le sta accadendo intorno, eppure getta lo sguardo verso destra ed è in quel momento che lo vede. Lucien. Deve averla sentita e ora è lì, con lei. Non l'ha lasciata da sola. La sta salvando, ancora una volta, ma questa volta non è stato lui a farle del male. Questa volta non la sta salvando da se stesso, ma dal resto del mondo. Sbatte le ciglia, mentre gli occhi le si riempiono di lacrime senza volerlo. Non voglio sentire più niente. Vorrebbe tanto smettere di essere così dannatamente umana, umana a metà, ma per quella metà, fin troppo umana. Vorrebbe semplicemente smettere di sentire tutto, di farsi scivolare addosso tutto, di smetterla di addossare colpe, di smetterla di rinfacciare torti, rancori, odi repressi, dubbi che vanno crescendo nel suo cuore, involontariamente, mentre assiste come spettatore silente alla spada della giustizia che cala sulla testa di Tom Stevens. « Ohhh questo è niente rispetto a ciò che ti aspetta. Hai scelto la donna sbagliata. Hai scelto la mia donna. E nessuno può mancare di rispetto alla mia donna. » Vorrebbe semplicemente essere lasciata in paca da tutto quel caos che non è più tanto divertente. Il caos è bello quando procurato sugli altri, ma quando si abbatte su di te, non è poi così tanto bello, non è piacevole essere l'oggetto e non il soggetto dell'azione sadica. Non è bello essere il bersaglio dei colpi sferzanti del karma. E quella, Maze lo sa, è tutta opera dell'equilibrio. E' il suo effetto farfalla, nel suo ecosistema. Piccole variazioni nelle condizioni iniziali producono grandi variazioni nel comportamento a lungo termine di un sistema. E chi è abituato a sguazzare nel male, chi ha fatto solo del male per la maggior parte della propria esistenza, non può sperare di ottenere del bene a lungo termine, primo o poi il modo di riavere tutto con gli interessi è matematico. Ci sono interi attimi in cui lei non ragiona più, sembra impostare la propria mente sulla tabula rasa ed è veramente come se non vi sia nulla intorno a lei. Poi le sue orecchie non sono più invase da ovatta e sibili fastidiosi e torna a sentire e quello che sente è il silenzio. Non si è accorta nemmeno che uno spruzzo del sangue di Tom le ha marchiato il viso. Ha sentito il nulla, fin quando il nulla è diventato il suo tutto. Sente che il proprio cuore ha preso a battere nuovamente con un ritmo regolare, il petto si alza e si abbassa contro il pavimento e d'improvviso si sente libera dalle funi che l'hanno costretta a star ferma fino a quell'istante. L'incanto è cessato e questo vuol dire soltanto che Tom è morto. E il silenzio diventa per lei sinonimo della quiete dopo la tempesta. Lucien deve averlo ucciso, non si scomoda a guardarne il corpo sicuramente lacerato e ridotto ad una poltiglia informe di sostanza organica e sangue. Sa già che è così. Ricorda i suoi metodi per disfarsi di un problema. « Maze.. » Quasi non sente le sue dita gelide provare ad alzarla. Rimane lì, immobile, guardando altrove, ovunque tranne che i suoi occhi. « E' morto, è andato dov'è giusto che vada. E' finito. E' tutto finito, ci sono qua io adesso. » Il braccio che si ritrae involontariamente sotto il suo tocco, e corre verso il proprio viso, affogando nel tessuto caldo del maglione quel principio di risata che le risale la gola nell'udire quelle parole. Ci sono qua io adesso. Come se quel pensiero, quello status dovrebbe farla sentire meglio, dovrebbe confortarla, dovrebbe farla sentire al sicuro. Ma non è fiducia quella prova, mentre lo sbircia da sotto il braccio, come una bambina alla quale è toccato contare a nascondino e cerca di barare, guardando attraverso i buchi formati dalle proprie mani incrociate, di fronte agli occhi. E' sporco di sangue, da cima a piedi. E' sporco del suo sangue ed è un vampiro, eppure non sembra assolutamente interessato da ciò che gli è addosso, ma i suoi occhi bicolore sono puntati su di lei. Potrebbe quasi risultare apprensivo alla sua mente indagatrice se solo non lo conoscesse abbastanza da sapere che lui non si preoccupa mai di qualcuno al di fuori di se stesso. Eppure è lì. Perché sono sua. Sono la sua donna, deve proteggere le proprie cose dal semplice uso e consumo degli altri. « Scusa, se non sono arrivato prima che... » Forse è in quel momento che la testa di Maze riprende a girare per il verso giusto e si rende davvero conto di cosa le è appena successo. E' stata violentata. Il suo corpo, la sua mente, il suo spirito sono stati brutalmente abusati senza assoluto consenso. Tom ha violato ogni cellula del suo corpo e Maze si sente sporca. Si vergogna di se stessa perché ora c'è una voragine enorme a sostituire il suo stomaco, si sente un enorme buco nero all'interno del proprio corpo. Sono sporca e mai prima d'ora sono stata così vuota. «Prima di cosa, Lucien?» Gracchia, mentre toglie il braccio e lo guarda dritto negli occhi, seppur non vi sia alcuna luce in quelli smeraldini di lei. Completamente privi di espressione, che sembrano guardarlo, fissi, eppure non lo guardano affatto. Lo trapassano, senza soffermarsi su nulla. «Perché saresti dovuto arrivare prima? Potevi anche lasciarlo finire, cosa ti avrebbe cambiato? Era una degna punizione per aver sfidato il sommo Lucien, non credi? La usavi spesso anche tu, a casa La sua voce non ha colore, è completamente piatta, lineare come solo l'elettrocardiogramma di una persona appena deceduta può essere. Probabilmente perché un po' morta dentro sente di esserlo davvero. Ancora un altro po', un altro po'. La mano scende velocemente verso il proprio collo, lì dove ha tatuato solo qualche giorno prima la frase che rappresenta al meglio la sua essenza. "I'm a loser baby." « Tu mi appartieni. Se non mi appartieni più, allora sei inutile. E se sei inutile, muori. » Quindi perché non mi uccidi? «Non mi devi niente, come non mi hai mai dovuto niente. Sono inutile, Lucien. Non ti sono più utile ormai. Perché sei qui a salvare qualcosa di talmente inutile da averla spinta da una torre? Perché perdi il tuo prezioso tempo?» Perché sei qui? Stringe i pugni, mentre stacca il viso dal pavimento, quel tanto da permetterle di tirarsi su i pantaloni. Un gesto così naturale per lei, dopo aver fatto sesso. Si riveste, in tutta fretta, per poi scappare via e dileguarsi oltre la porta. Un gesto che le risulta così difficile ora, mentre gli occhi le si riempiono nuovamente di lacrime che fa di tutto per non far cadere. « Per favore, parlami. Dimmi di cosa hai bisogno. Dimmi qualcosa, qualsiasi cosa. » Non lo guarda nemmeno, mentre striscia come una larva senza più la sua casa sicura ad accoglierla, verso il letto più
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    vicino. Ma non si rialza, non ne ha né la voglia né la forza, così si infila sotto di esso, rimanendo per qualche istante in silenzio, crogiolandosi nella fiducia che quel nascondiglio da rifugiata riesce a donarle. Piange, silenziosamente, ma non apre bocca. Vede le scarpe di lui e non sa se sperare che se ne vada, lasciandola lì da sola, con i propri pensieri bui e per nulla rassicuranti, o che rimanga lì, a farle compagnia, seppur in silenzio. «Vorrei che smettesse tutto. Sono stanca, sono sfinita. Vorrei solo che mi venisse dato un momento di tregua. So di non meritarmelo, lo so, ma io non ho mai voluto tutto questo.» Appoggia il viso alla mano aperta contro il pavimento e respira profondamente. «Io volevo soltanto amare ed essere amata. Volevo una famiglia tutta mia, magari un figlio o due e anche un cane e un gatto. Volevo vivere in campagna, volevo addormentarmi tra le braccia della persona che amavo e volevo semplicemente invecchiare. E' chiedere tanto? No, non così tanto da essere dannata per tutte le vite che cercherò di concedermi, da qui all'eternità.» Non sa nemmeno perché le dica proprio a lui quelle cose. A lui non sono mai interessati i suoi sogni da ragazzina innamorata quale era stata. «Più ci provo, più faccio sforzi per migliorarmi, per essere una persona decente, più provo a darmi qualcosa di buono, più cerco un po' di felicità, peggiore è l'ostacolo che mi ritrovo a dovere affrontare. Non ce la faccio più. Sono esausta.» Si passa una mano sulla guancia rivolta verso l'alto e vede sulle sue dita le strisciate di sangue. E allora comincia a sfregare la pelle, con quanta forza le è rimasta in corpo. Sfrega, sfrega sempre più forte con l'orlo del maglione, tanto da farle diventare rossa la pelle e cominciare a provare dolore per quel calore che si va irradiando verso il resto del viso e giù, lungo il collo. Vuole togliersi di dosso qualsiasi cosa lui abbia effettivamente toccato e allora, in un raptus isterico, si lascia scivolare via i pantaloni, scalciandoli e poi si toglie anche il maglione, con non una certa facilità, visto il poco spazio per muoversi e poi butta fuori dal suo territorio il malloppo di vestiti, usando un piede per allontanarlo da lei. Rimane in intimo e riprende una posizione fetale, rannicchiando le ginocchia contro il petto, con le mani sotto il viso. «Ho bisogno di questo, Lucien. Ho bisogno che smetta tutto. Ho bisogno di essere felice. Tu puoi concedermelo?» Gli domanda, tirando su con il naso. Lo so, lo so che tu non puoi rendere felice nemmeno te stesso, in fondo. E' nella tua natura e non posso farci niente. Tu non puoi farci nulla. «Puoi far smettere tutto? Puoi promettermi che arriverà anche il mio tempo di essere pienamente felice?» Dimmi di sì, fingi se vuoi, come hai sempre fatto, ma fammi credere che non tutto questo dolore andrà sprecato. «Oppure puoi promettermi che smetterò di sentire? Di essere così umana? Puoi garantirmi che se morissi, smetterò di esistere e finalmente mi sarà data la pace che non mi è stata mai concessa? Che non andrò da nessuna parte, né di qua, né di là, ma non ci sarà più nulla per me? Che smetterò semplicemente di essere? Puoi darmi la vera morte Lo puoi fare per me?
     
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    «Prima di cosa, Lucien?» La voce di lei sopraggiunge dopo momenti interminabili di silenzio. E' atona, priva di qualsiasi emozione, mentre lo scruta con quegli occhi cangianti. Ha sempre adorato il suo sguardo, Lux. Vi ha sempre trovato un mondo, attraverso. Un mondo di emozioni, di sensazioni, di tutto ciò che lui -dal suo canto- non ha mai potuto vantare come proprio. Mazikeen, in fondo, è sempre stata anche questo, per lui. L'altra parte della medaglia, la luce contro la tenebra, la seconda metà della mela. E' sempre riuscita a compensare il suo vuoto con le proprie, di emozioni. Laddove Lux non provava nulla, perchè incapace ed impossibilitato a farlo, allora ci pensava lei. Forse nemmeno se ne accorgeva, forse nemmeno era capace di riconoscerlo, ma così succedeva. E questo, seppur non l'abbia mai riconosciuto sino ad ora, lui l'ha sempre apprezzato. Lui l'ha sempre notato in quegli occhi smeraldini, sempre così pieni di tutto. Sempre così pieni di vita nonostante tutto attorno a loro fosse solo e soltanto morte. Eppure adesso la vede, la morte. La vede attraverso quel verde ormai spento, reso quasi vitreo da una patina lucida, inerme e priva di qualsiasi spessore. Mai come adesso, lo sguardo di Mazikeen è somigliato al suo, di sguardo. Mai come adesso, Lux ha visto il vuoto, in quegli occhi. «Perché saresti dovuto arrivare prima? Potevi anche lasciarlo finire, cosa ti avrebbe cambiato? Era una degna punizione per aver sfidato il sommo Lucien, non credi? La usavi spesso anche tu, a casa.» Si morde il labbro inferiore, distogliendo lo sguardo. Non riesce a guardarla. Non riesce a specchiarsi in quegli occhi privi di qualsiasi calore. Non lo vede più, quel fuoco che ha sempre arso in quella distesa di smeraldi. Non lo vede, e non gli piace. E' spezzata, l'hanno spezzata. Di nuovo l'umano ha sfidato il divino, e lui non ha potuto far nulla per impedirlo. Dov'è la sua onnipotenza, adesso? Dov'era mentre quel verme si prendeva tutto, dalla sua Maze? Non lo sa. Non sa niente. Ha sempre avuto una risposta a tutto, Lucien. Ha sempre trovato una soluzione, una spiegazione. Persino nel caos, Lux è sempre stato capace di estrapolare qualcosa di altamente equilibrato e logico. Perchè il caos è equo. Il caos è fatto di regole ben precise che basta solo un minimo di intelletto in più, per poterle comprendere. Basta solo diventare caos, per capirlo appieno. Ma quel caos, a Lucien non appartiene. E' umano, è di un mondo che ha sempre pensato di conoscere, ma che più tempo vi passa, più si rende conto del contrario. Non sa nulla di quel mondo. Non sa nulla degli effetti che ha sulla gente. Degli effetti che ha su di loro, su di lei. E allora torna a guardarla, e di nuovo la sente, quella sensazione di disagio. La sente quella fitta al petto, quel nodo alla gola che gli blocca persino la parola e gli rende impossibile deglutire. E' vero, a casa, Lucien le ha riservato trattamenti molto simili, se non peggio. Ha fatto del suo corpo il suo giocattolo preferito, per il semplice motivo che lei lo amava, e lui lo trovava divertente. Non ha mai sprecato il suo tempo a chiedersi cosa fosse giusto o sbagliato, del suo comportamento. Non ha mai sprecato il suo tempo a domandarsi quanto potesse esser sadico godere delle sue lacrime, delle sue urla, del suo dolore. Ma lì, è diverso. Lì è tutto fottutamente diverso. « No, io... » Sentiti, come stai esitando. Sei ridicolo. Si morde la lingua, calando lo sguardo. Non sa che diavolo gli sta succedendo. Non sa perchè non riesce a parlare. Non sa perchè non riesce a trovare uno dei suoi soliti discorsi o metodi per svincolarsi dalle situazioni più scomode. Cerca l'aiuto di Vlad, ma questi non risponde. E' lì, da qualche parte, e Lux lo sa. Ma Vlad è fatto così, ci sono quelle volte in cui la sua presenza è così opprimente da risultare fastidiosa, e quelle volte in cui lo lascia completamente solo, seppur rimanga comunque in ascolto. Lo mette alla prova. Lo piazza di fronte a quel mondo che non conosce, e ce lo spinge dentro con forza. E Lux è lì, come un uccellino che deve imparare a spiccare il volo, ma non sa esattamente come fare. E' nel suo potenziale, volare, è nelle sue corde farlo, nel suo dna, ma come raggiungerlo? Se non trovandosi nella più bisognosa necessità per farlo? Procacciarsi il cibo, scappare da qualche predatore, o chissà cos'altro. Ecco, questo è il metodo che quello stronzo di Vlad utilizza con lui, da quando ha fatto la sua entrata in scena. Lo lascia da solo, stando a vedere cosa la necessità lo condurrà a fare. A provare, a sentire. Sei un bastardo, Vlad. Mi senti? Sei un fottutissimo bastardo.«Non mi devi niente, come non mi hai mai dovuto niente. Sono inutile, Lucien. Non ti sono più utile ormai. Perché sei qui a salvare qualcosa di talmente inutile da averla spinta da una torre? Perché perdi il tuo prezioso tempo?» La osserva, mentre le sue stesse parole lo colpiscono come fendenti in pieno viso. Lo sguardo viene catturato dalla mano di lei sul proprio collo, a celare un particolare che mai prima d'allora era riuscito a notare. Piega appena la testa di lato, assottigliando lo sguardo per poterlo decifrare. E' una scritta. I'm a loser baby, so why don't you kill me? Il peso delle sue azioni è ormai impresso sulla sua pelle. E nonostante tutto, Lucien lo sente. Lo sente calargli addosso come una coltre di gas orticante. Brucia, fa male, ma non può liberarsene. Avrebbe potuto ucciderla su quella torre, avrebbe voluto ucciderla. Quelle parole che lei gli ha detto, quell'odio con cui l'ha pugnalato e picchiato..L'hanno accecato. Avrebbe potuto metter fine a tutto, spedendola con la morte in un limbo dove lui, dal canto suo, mai avrebbe potuto raggiungerla. E allora perchè adesso è lì? E allora perchè stai così? « Ho avvertito il pericolo, il tuo pericolo, e non sono riuscito ad ignorarlo. » Mormora, il tono di voce ridotto ad un flebile sussurro. La vede rialzarsi da terra quel tanto che le basta per coprirsi, rialzandosi i pantaloni. Quel gesto, così automatico, gli fa rendere conto di cosa è successo. Di nuovo. E allora volta il capo, lo sguardo che saetta su quel corpo orribilmente sfregiato ed ormai esanime per terra. L'odore del suo sangue lurido gli mette la nausea. Non sa come sia possibile. Dovrebbe trovarsi in quel momento come un qualsiasi essere umano di fronte ad una cucina di un ristorante, immerso in tutti quegli odori succulenti ed invitanti. Ma non è fame ciò che prova al momento, Lucien. Quel sangue lo ricopre quasi interamente. Ha schizzi sul viso, ha le mani ancora sporche, ed i vestiti sono completamente andati, zuppi. Eppure l'unica cosa che vorrebbe fare, al momento, è ripulirsene. Gli fa schifo. E' sangue sporco. E' sangue impuro. Appartenente a quel bastardo che ha osato oltraggiare la sua regina. Allora si gira di nuovo verso di lei, e la vede strisciare verso il letto più vicino. Vi sguscia sotto e vi rimane, come in cerca di un rifugio di fronte a qualsiasi minaccia. La sente piangere, seppur silenziosamente, e non gli piace per niente. Quindi rimane lì, immobile, lo sguardo perso nel vuoto. E' indifesa, Maze. E' tremendamente umana e per la prima volta, si rende conto di quanto vorrebbe risucchiare via tutto quel dolore che sta provando. Non sa farlo, gli è impossibile farlo. Lui la sofferenza può darla, non impedirla. E' una cosa che va contro la sua natura, quella, eppure lo sente comunque quel bisogno. Vorrebbe andare lì, stringerle una mano ed estirpare dalla sua anima qualsiasi forma di dolore. Ma sa che non può farlo, perchè l'empatia gli è stata negata tanto, troppo tempo addietro, e allora si alza in piedi, vagando per la camera per qualche istante, prima di sedersi sopra al letto di fronte a lei, dal lato opposto della camera. Da lì sopra non riesce a vederla, ma continua a sentirla. Ogni singhiozzo è una crepa a quella sua anima che ha sempre creduto di non possedere. Ogni singhiozzo è un fendente che lo colpisce in pieno. Allora poggia i gomiti sulle proprie ginocchia, raccogliendosi il viso con le mani. Si stropiccia gli occhi, poi si passa le mani tra i capelli, e si sente sospirare. Non sa cosa dire, non sa cosa fare. E' questo che significa essere umani, mh? E' questo che significa? Permettetemi di dirlo: fa davvero schifo. Vi viene data la possibilità di comprendere le emozioni, e non solo le vostre. Vi viene data la possibilità di capire come qualcun altro si sente. E oh, quanto riuscite a sentirlo il dolore altrui. Vi scorre nelle vene, si mescola al vostro, entra a far parte di voi. E infine? Infine scoprite che non potete far nulla, per evitarlo. Per evitarglielo. Non potete far nulla per far cessare tutta questa sofferenza che non vi appartiene, ma che siete comunque capaci di sentire. Ed è una merda. Un potere così grande, capire le emozioni, che si perde in una falla di base così piccola: non poterle controllare. « C'è qualcosa che puoi fare. » Wow, adesso mi parli? La voce di Vlad irrompe nei suoi pensieri, in quei minuti di interminabile silenzio. « Resta. Non te ne andare, resta con lei. » Mi odia, si è nascosta. Resto sempre e comunque il mostro che l'ha spinta giù da quella fottutissima torre. « Devi restare comunque. E' vero, le emozioni non puoi controllarle. E hai ragione, fa davvero schifo non poter fare niente per evitarle tutto questo. Ma c'è una cosa che puoi fare: compatirla. » Non so cosa significhi. « Lo sai, io lo so che lo sai. Puoi prendere in giro chiunque, Lux, puoi prendere in giro persino te stesso. Ma non me. » Ohh perchè tu saresti? « Resta, fallo e basta. » Vlad lo abbandona di nuovo, e Lucien alza il capo. Compatire. Dal latino tardo compăti "sopportare, soffrire insieme" Può un diavolo come lui, soffrire insieme? Se l'avesse fatto per tutto quel tempo, si sarebbe annientato da solo. Se avesse compatito tutti quei peccatori, tutte le loro sofferenze e le loro condanne, avrebbe finito per impazzire. E si sente impazzire al momento, Lux. Si sente impazzire più di quanto folle non lo sia già di per sè e allora la cerca con lo sguardo, seppur continui a non vederla. «Vorrei che smettesse tutto. Sono stanca, sono sfinita. Vorrei solo che mi venisse dato un momento di tregua. So di non meritarmelo, lo so, ma io non ho mai voluto tutto questo. Io volevo soltanto amare ed essere amata. Volevo una famiglia tutta mia, magari un figlio o due e anche un cane e un gatto. Volevo vivere in campagna, volevo addormentarmi tra le braccia della persona che amavo e volevo semplicemente invecchiare. E' chiedere tanto? No, non così tanto da essere dannata per tutte le vite che cercherò di concedermi, da qui all'eternità.» Una parte di sè, quell'aspetto di Mazikeen l'ha già conosciuto. E' la Mazikeen che si ricorda. Quella sognatrice, quella innamorata, quella che un tempo gli apparteneva. Talvolta ne avevano parlato, in passato, di quei sogni sul futuro. Un futuro che a Lux, lì dov'erano, a casa, faceva ridere. Poteva esserci futuro, per chi viveva nell'eternità? No. E poteva esserci una felicità florida come quella in cui Maze sperava, per delle anime per sempre dannate come le loro? Ancora no. Quindi tante volte l'aveva sentita aprirsi con lui e raccontargli storielle del genere, ed altrettante volte l'aveva semplicemente ignorata, o riso delle sue parole. Oh tesoro, questi sono desideri che non si avverranno mai. Non farmi pentire di averti reso la mia regina comportandoti da bambina. Erano le sue parole, quasi sempre. Eppure adesso non v'è neanche la più microscopica traccia di una risata, in lui. No, rimane in silenzio, mentre per la prima volta, prova ad immaginarsi quel futuro di cui Maze gli sta parlando. Quasi la vede, in quella casa di campagna. A sorridere all'uomo che ama, con i loro bambini a girare loro attorno. E allora capisce per la prima volta che lei, quella felicità, se la merita. Lei quella felicità se l'è sempre meritata. E lui, dal canto suo, gliel'ha sempre negata. «Più ci provo, più faccio sforzi per migliorarmi, per essere una persona decente, più provo a darmi qualcosa di buono, più cerco un po' di felicità, peggiore è l'ostacolo che mi ritrovo a dovere affrontare. Non ce la faccio più. Sono esausta.» Avverte del movimento, e dopo qualche minuto la vede spingere via i vestiti con un piede. «Ho bisogno di questo, Lucien. Ho bisogno che smetta tutto. Ho bisogno di essere felice. Tu puoi concedermelo? Puoi far smettere tutto? Puoi promettermi che arriverà anche il mio tempo di essere pienamente felice?» Si morde il labbro inferiore, mentre si leva la giacca logora. Rimane in camicia e jeans, e scivola lungo il materasso, sino a sedersi per terra. Da quell'altezza riesce a vederla, seppur non perfettamente. E' rannicchiata sotto quel letto, in posizione fetale. No Maze, tu non sei questo. Non riesce a vederla così. Non riesce a vedere una dea in delle condizioni così...basse. Eppure è così che va. E' così che funziona, e lui deve solo abituarsi. «Oppure puoi promettermi che smetterò di sentire? Di essere così umana? Puoi garantirmi che se morissi, smetterò di esistere e finalmente mi sarà data la pace che non mi è stata mai concessa? Che non andrò da nessuna parte, né di qua, né di là, ma non ci sarà più nulla per me? Che smetterò semplicemente di essere? Puoi darmi la vera morte?» A quel punto sospira, istintivamente, e avanza verso di lei, rialzandosi. Si ferma solo in prossimità del letto, per poi calarsi a terra. Si siede, ed infine si sdraia. Le è accanto, al di fuori del letto, ma pur sempre vicino. Poggia la testa sul braccio piegato, mentre l'altra mano è sull'addome. E rimane così, in silenzio a guardare il soffitto per minuti che sembrano ore.

    When the sun shines, we shine together
    Told you I'll be here forever
    You can run into my arms
    It's okay, don't be alarmed
    I'll be all you need and more

    U88uskv

    « Sai, pensavo di conoscere tutto di questo mondo. » Se ne esce ad un certo punto, senza guardarla. « Vai Lucien, sarà divertente, mi ero detto. E davvero, per un primo momento, questa vita, questa umanità, mi è sembrata la cosa più divertente che mi fosse mai capitata. Ma quì, in questo mondo, nulla è eterno, e alla fine anche il divertimento finisce. E quando è finito, ho capito che io di questo posto non so proprio nulla. E lo sai, cazzo lo sai quanto non mi piace non sapere le cose. Quanto impazzisco quando non ho tutto sotto controllo. Sai quanto divento..Intrattabile. -E sì, okay, diciamocelo, piuttosto insopportabile. » Una risata amara gli scuote il petto, mentre scuote la testa in maniera quasi impercettibile. « Avevo delle certezze, prima di venire quì. Avevo la mia onnipotenza, avevo il tuo amore, avevo tutto ciò che per secoli ho sempre avuto. Ma quì..Quì è cambiato tutto. Quì mi è stato portato via tutto. Non mi sento più così divino, ogni cosa sfugge al mio controllo. Tu sei sfuggita al mio controllo. E mi hai fatto incazzare,tanto. Mi fai incazzare anche adesso, ma ciò che ho scoperto è che..non posso farci nulla. Potrò provare a distruggerti quanto voglio, ma tu non mi appartieni più, non come prima, per lo meno, e continuerai a farmi incazzare quanto ti pare e piace, perchè è quello che ti va di fare ed io non posso interferire più di tanto. » Un'amara consapevolezza, quella, che sembra diventare reale soltanto in quel momento, nominandola. « Ed ero sincero, quando ti ho detto che adoravo vederti piangere. Diavolo, amavo le tue lacrime. La tua sofferenza, le tue urla, la tua disperazione...Ma adesso.. Mi fa male vederti così. Cazzo, a casa, di fronte ad una cosa del genere ti avrei detto ben ti sta. Mi hai sfidato, hai ripagato l'affronto. Ma ora non è così. Ora vorrei resuscitare quel bastardo per ammazzarlo di nuovo. E poi di nuovo, e un'altra volta ancora. Vorrei scuoiarlo vivo, vorrei farlo urlare di dolore e disperazione per l'eternità. Ed io tutto questo non so perchè succede. Questo mondo ci rende deboli, Maze. E ci odiano, ci odiano così tanto, tutti quanti. E se siamo deboli, il loro odio ci colpisce. » Il tuo odio mi ha colpito. Ricorda ancora quelle parole. Ricorda ancora tutta quella rabbia che gli ha riversato contro. Sei contento ora? Guarda come mi hai ridotto. Guarda in cosa mi hai trasformato. Un mostro, come te! Ci sei riuscito. Sei riuscito in quella che credevo essere l'impresa impossibile. Ti odio, ti odio così tanto! « Ed avevi ragione: io ho paura. » Mormora, mentre si gira verso di lei, su di un fianco. La vede, rannicchiata lì sotto. Le ginocchia strette al petto, il viso graffiato e bagnato dalle lacrime. Si mordicchia il labbro inferiore, mentre allunga una mano verso di lei, ma non la tocca. La poggia sul pavimento gelido, a qualche centimetro dal suo corpo, poi alza il palmo verso l'alto. Se vuoi un contatto, io sono quì. Se non lo vuoi, puoi semplicemente ignorarmi. « Ho una paura fottuta di tutto questo. Ciò che non conosco mi spaventa. Quello che provo, mi spaventa. » Ti ho lasciata andare. Ti ho lasciata andare in questi giorni perchè pensavo sarebbe stata la cosa migliore. E ho sbagliato, ho sbagliato anche questa volta. Non mi piace più sbagliare nei tuoi confronti. Dovrebbe piacermi, lo adoravo così tanto, ma non mi piace. Perchè continuo a farlo? « Quello che ti potrebbe capitare, mi spaventa. Ho provato ad ucciderti, e non ci sono riuscito. Ho provato ad ignorarti, e non ci sono riuscito. Quindi no, Maze, non posso darti ciò che chiedi, vorrei davvero farlo, ma non posso perchè non so come si fa. Non sono più onnipotente. Non ho una soluzione. Non so un cazzo di niente. » Si stringe nelle spalle, l'ennesima risata amara ad aleggiare nell'atmosfera silenziosa. « Tutto questo per dirti che se un tempo avrei potuto dirti come si fa, a non provare nulla, adesso non ne sono più così sicuro. Perchè sento, sento delle cose, ne sento pure troppe ultimamente. E non so come controllarle. E noi due, io e te, siamo anime dannate, e come tali tutto ciò che possiamo sentire è solo e soltanto sofferenza. Non posso dirti che finirà, non posso illuderti su questo. Serve ad un fine superiore tutta questa sofferenza? Non lo so. Riuscirai mai a coronare i tuoi sogni ed essere felice? Non lo so. » Continua a guardarla, e più la guarda, più si sente impotente. Più la guarda, più tutto ciò gli sembra tremendamente e fottutamente sbagliato. Tu non dovresti stare così. Tu non sei questo. Alzati, vivi. Prenditi ciò che vuoi quando vuoi perchè puoi farlo. Devi farlo! Sei una regina, Maze, sei una dannatissima regina! « Tutto quello che so, è che tu sei più forte di me. Io sono stato dannato per l'eternità, e mi ci sono abituato. Mi ci sono calato così bene nella mia condanna, da non credere di poterne più uscire. Ma tu ci hai provato a farlo, e devi continuare a farlo. Perchè no, non sei come me. Non sei un mostro. Non ancora, non è ancora troppo tardi. Insomma..Guardati. Tradita da entrambi gli uomini ai quali hai dato tutto quell'amore che mai si sono meritati, e sei ancora quì, in piedi. A me è bastato un tuo semplice non ti amo più, per fottermi completamente il cervello. » Ride, facendo una piccola pausa. « Non sei una perdente. Non sei inutile. E non meriti nulla di tutta la merda che ti è successa, da parte mia o di chiunque altro. Quindi adesso, alzati. Esci da questo nascondiglio, vai in quel bagno e lavati via tutta la merda che quel bastardo ti ha lasciato addosso. Butta via tutto, il dolore, la sofferenza, l'umiliazione, qualsiasi cosa. Butta via me, butta via Tristan, butta via la dannazione eterna e vivi. Rinasci dalle tue stesse ceneri come hai sempre fatto, fenice. Brucia tutto ciò che non ti piace, e fai risorgere il mondo che più ti aggrada. Quello che ti fa stare bene, a qualsiasi costo. » Uccidimi, se vuoi. Mandami via, ignorami o distruggimi. E' tardi per me, è troppo tardi. Non ci sono preghiere, non c'è salvezza. Ma per te è diverso. « Fallo per te stessa. Non per me, non per la Loggia, non per Tristan, non per ciò che gli altri pensino che tu sia. Farlo per Mazikeen, solo per Mazikeen. Sii la regina della tua stessa vita. » Risorgi.
     
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    « No, io... » Si fa titubante. E' strano, Maze crede di non averlo mai sentito così tanto preso a tentennare su qualcosa. Ha ricordi di un Lucien autoritario, pieno di sé, superbo, talmente borioso da risultare dispotico e dittatore. Ma mai una volta l'ha sentito barcollare così nel buio. Non sa cosa risponderle, forse perché quello che lei le chiede non ha bisogno di alcuna risposta. Non può esserci una risoluzione, quando la domanda posta è già autoconclusiva da sé. Eppure Lucien è Lucien, Lucien è razionale persino nell'irrazionalità e in quel momento, dove il caos più puro ha deciso di accerchiare Maze, circondandola con una coltre di oscurità e tenebra invalicabile, Lux non trova cosa rispondere. Ed è strano, davvero tanto. In circostanze diverse, Maze si sarebbe aggrappata
    a quella sua titubanza, vedendola come una sorta di interessamento nei suoi confronti. Lui vacilla, lui non è riuscito ad uccidermi, lui mi ha salvato, deve pur voler dire qualcosa. No, non vuol dire assolutamente nulla. Un po' come in quel film che Beatrix le ha fatto vedere spesso e volentieri. La verità è che non gli piaci abbastanza. « Ho avvertito il pericolo, il tuo pericolo, e non sono riuscito ad ignorarlo. » Eppure è bello, è ancora dannatamente bello crogiolarsi nell'illusione che lui possa in qualche modo ricambiarla. Forse non nel metodo classico, forse semplicemente a modo suo, secondo la sua natura, ma è pur sempre qualcosa. Illudersi è sempre stata la caratteristica di forza di Mazikeen. Credere anche a quello che non si vede. Credere fermamente alle sue parole, pur sapendo, nella profondità di ogni sua minima cellula, che lui davvero non le pensava certe cose. E' un meccanismo sciocco, decisamente masochistico, che a Maze è sempre piaciuto usare, perché vivere in un mondo tutto proprio, fatto di convinzioni e regole dettate solamente dalla propria mente è sicuramente meno complicato e meno doloroso del vivere nella presente realtà. E' più sicuro vivere in un mondo a parte, fatto ad immagine e somiglianza dei propri desideri, dopotutto. Cosa può ferirti in una dimensione parallela, quando tutto ciò che vedi e senti, tutto ciò in cui credi, è un completo artefatto creato secondo i propri sogni? Nulla, nulla può ferirti, se non quando qualcuno decide di romperti quella bella, bellissima bolla colorata e insonorizzata, dove pensi che nessuno potrà raggiungerti e invece è proprio la realtà ad arrivare, a sbatterti tutte le sue brutture in faccia, così da farti sprofondare nell'oblio di un sogno andato in frantumi, senza aver avuto prima il tempo di potersi concretizzare, in alcun modo. Questo è un po' quello che è successo a lei, alla fine, quando il mondo reale ha bussato alla sua porta, l'ha pizzicata e solleticata, fin quando non ha aperto gli occhi e quei suoi due profondi prati smeraldini hanno visto Lucien per come è davvero. Una persona incapace di amare, incapace di qualsiasi sentimento che Maze abbia mai provato nei suoi confronti e alla fine, per quanto gliene abbia sempre fatto una colpa, per tutto il male che le ha procurato, ora che si ritrova lì, sotto quel letto a baldacchino, come una bambina che scappa dai suoi mostri e pensa di aver trovato lì sotto il rifugio perfetto, lo sa che lui non può davvero darle quello che ha sempre voluto. E ancora una volta si illude che, forse, se gli fosse data la possibilità di amare veramente, lui sarebbe pronto a mettersi alla prova con lei. Perché dopo tutti quegli anni, sarebbe soltanto la cosa più logica e matematica da fare. Ricambiare, infinitamente, quello che si è ottenuto. Come nelle favole. Cielo, quanto sei cretina! Si ritrova a pensare, stringendo i pugni, quando lo vede sdraiarsi vicino a lei, sul pavimento, al di fuori del suo territorio. « Sai, pensavo di conoscere tutto di questo mondo. Vai Lucien, sarà divertente, mi ero detto. E davvero, per un primo momento, questa vita, questa umanità, mi è sembrata la cosa più divertente che mi fosse mai capitata. Ma quì, in questo mondo, nulla è eterno, e alla fine anche il divertimento finisce. E quando è finito, ho capito che io di questo posto non so proprio nulla. E lo sai, cazzo lo sai quanto non mi piace non sapere le cose. Quanto impazzisco quando non ho tutto sotto controllo. Sai quanto divento..Intrattabile. -E sì, okay, diciamocelo, piuttosto insopportabile. » Piuttosto insopportabile.. un leggerissimo eufemismo. « Avevo delle certezze, prima di venire quì. Avevo la mia onnipotenza, avevo il tuo amore, avevo tutto ciò che per secoli ho sempre avuto. Ma quì..Quì è cambiato tutto. Quì mi è stato portato via tutto. Non mi sento più così divino, ogni cosa sfugge al mio controllo. Tu sei sfuggita al mio controllo. E mi hai fatto incazzare,tanto. Mi fai incazzare anche adesso, ma ciò che ho scoperto è che..non posso farci nulla. Potrò provare a distruggerti quanto voglio, ma tu non mi appartieni più, non come prima, per lo meno, e continuerai a farmi incazzare quanto ti pare e piace, perchè è quello che ti va di fare ed io non posso interferire più di tanto. » E fino a qui perlomeno ci sei arrivato. E' già qualcosa. Posso quasi ritenermi soddisfatta per essere riuscita a farti capire qualcosa. Lui guarda verso l'alto, per non guardarla e allora lei guarda lui, quasi in un moto di riflesso inconsapevole. Lo ascolta parlare e c'è una parte di lei che lo vorrebbe zittire, che lo vorrebbe a chilometri di distanza da lei, perché lui è il suo male, perché è lui a non essersi accorto mai di nulla, perché è lui che ha ignorato sempre tutto, anche il fatto di aver un amore tanto incondizionato al suo fianco. C'eri tu tra le mie lacrime, c'eri sempre tu. E mentre questa parte di sé urla, l'altra rimane in silenzio, perché sa di avere bisogno di quelle parole. Non del loro significato intrinseco, ma del tono della sua voce, del sentirlo lì, presente, ha bisogno della sua presenza perché se lui le parla, lei non pensa e se non pensa, riesce a risentire una forma embrionale di sicurezza. « Ed ero sincero, quando ti ho detto che adoravo vederti piangere. Diavolo, amavo le tue lacrime. La tua sofferenza, le tue urla, la tua disperazione...Ma adesso.. Mi fa male vederti così. Cazzo, a casa, di fronte ad una cosa del genere ti avrei detto ben ti sta. Mi hai sfidato, hai ripagato l'affronto. Ma ora non è così. Ora vorrei resuscitare quel bastardo per ammazzarlo di nuovo. E poi di nuovo, e un'altra volta ancora. Vorrei scuoiarlo vivo, vorrei farlo urlare di dolore e disperazione per l'eternità. Ed io tutto questo non so perchè succede. Questo mondo ci rende deboli, Maze. E ci odiano, ci odiano così tanto, tutti quanti. E se siamo deboli, il loro odio ci colpisce. » Il discorso non va a parare lì dove Maze si sarebbe aspettata. No, si fa strano, si riempie di contraddizioni, di concetti che Maze non si aspetta di sentire, che la lasciano senza parole. « Ed avevi ragione: io ho paura. » Si gira su un fianco e allunga una mano verso di lei. Non se l'aspettava, quindi si ritrova a scivolare all'indietro di qualche centimetro, ma non è per toccarla che lui l'ha mossa verso di lei. Apre il palmo verso l'alto e nella penombra nella quale è immersa, Maze lo guarda, confusa. « Ho una paura fottuta di tutto questo. Ciò che non conosco mi spaventa. Quello che provo, mi spaventa. » Quando si è abituati a giocare al gioco dell'illusione, quando si ha qualcosa di vero e reale, non riesci a godertelo appieno. E' destabilizzata da quel fiume in piena che è divenuto Lucien. Sembra aver deciso di parlare per tutte le vite e tutte le ere in cui non l'ha fatto. E ha deciso di cominciare a dire le cose giuste, quelle per le quali la vecchia Maze si sarebbe strappata tutti i capelli, uno ad uno, pur di sentirsele dire. Ma ora, beh ora è semplicemente tutto sbagliato. Perché lei non si fida. Perché è il momento sbagliato, il modo sbagliato. Lo dice solo perché sto così. Forse il suo ospite ha insegnato qualcosa di umano anche a lui e lo sta guidando nell'essere anche solo un po' empatico. Non è vero. Eppure lo sguardo si abbassa sulla sua mano, la osserva, la saggia con gli occhi, come va un animale con la ciotola del cibo nuovo che lui non conosce. Scivola di nuovo in avanti, mentre una mano si stacca dall'altra e slitta sul pavimento fin quando non è abbastanza vicina da poter allungare l'indice per poterlo toccare. Lo muove sopra il palmo, per qualche secondo, cercando di abituarsi all'idea di quella dolcezza improvvisa che sembra averlo catturato nella sua ragnatela. Quando capisce che però non può essere tutto così facile, ritira la mano di scatto, come se quel contatto l'avesse scottata irrimediabilmente. « Quello che ti potrebbe capitare, mi spaventa. Ho provato ad ucciderti, e non ci sono riuscito. Ho provato ad ignorarti, e non ci sono riuscito. Quindi no, Maze, non posso darti ciò che chiedi, vorrei davvero farlo, ma non posso perchè non so come si fa. Non sono più onnipotente. Non ho una soluzione. Non so un cazzo di niente. » Come lei, lui si mostra debole. E' vulnerabile, così come lo è lei. E' umano, tanto quanto lo è lei, in quel momento. Cerca di dire cose che non è mai stato abituato a dire e lo sente, lo percepisce il suo disagio. Però è come sentirsi prendere in giro, ancora e ancora e ancora. «Oh per l'amor del cielo, smettila con queste stronzate. Non riesci a fare tutte queste cose semplicemente perché ormai sei troppo abituato a me. Non riesci a vederti da solo perché ti sei abituato all'abitudine di avermi sempre lì, sempre pronta a colmare il tuo vuoto. Ti spaventa l'idea che possa succedermi qualcosa perché è questo ciò che accade quando una cosa di cui hai bisogno ti scivola tra le mani.» Lui prova a confortarla, lei non riesce ad apprezzare fino in fondo il suo sforzo. Perché è falso, come qualsiasi altra cosa di cui si è andata circondando sulla Terra. Tutto tremendamente fittizio e fatiscente. E le sue parole successive gliene danno ragione. Lui non sa più nulla, non riesce a rispondere alle sue stesse domande, non sa se ci sarà mai una vera fine al suo dolore, dandole la conferma che tutto ciò che ha intorno non è altro che artefatti già creati e preconfezionati dal Creatore. Che tutto è già scritto e che a loro non rimane altro che continuare a trascinarsi di qua e di là, sperando di non finire troppo male e troppo ammaccati nello sballottamento. « Tutto quello che so, è che tu sei più forte di me. Io sono stato dannato per l'eternità, e mi ci sono abituato. Mi ci sono calato così bene nella mia condanna, da non credere di poterne più uscire. Ma tu ci hai provato a farlo, e devi continuare a farlo. Perchè no, non sei come me. Non sei un mostro. Non ancora, non è ancora troppo tardi. Insomma..Guardati. Tradita da entrambi gli uomini ai quali hai dato tutto quell'amore che mai si sono meritati, e sei ancora quì, in piedi. A me è bastato un tuo semplice non ti amo più, per fottermi completamente il cervello. Non sei una perdente. Non sei inutile. E non meriti nulla di tutta la merda che ti è successa, da parte mia o di chiunque altro. Quindi adesso, alzati. Esci da questo nascondiglio, vai in quel bagno e lavati via tutta la merda che quel bastardo ti ha lasciato addosso. Butta via tutto, il dolore, la sofferenza, l'umiliazione, qualsiasi cosa. Butta via me, butta via Tristan, butta via la dannazione eterna e vivi. Rinasci dalle tue stesse ceneri come hai sempre fatto, fenice. Brucia tutto ciò che non ti piace, e fai risorgere il mondo che più ti aggrada. Quello che ti fa stare bene, a qualsiasi costo La chiama fenice e in quell'esatto istante il fuoco sembra riprendere a muoversi dentro di sé, come se non aspettasse altro che un catalizzatore per rimettersi in moto. Lo sente, va a riscaldarle ogni nucleo nervoso, ogni cellula e finalmente riacquista un po' di colore anche sul viso, rimasto pallido e incolore fino a quell'istante. Le torna in circolo un po' di vita, probabilmente anche grazie a quelle parole di conforto. Perché le fanno riflettere. Lei sa benissimo che la sua vita non finisce così, non può finire così. Ne ha viste di peggiori, è morta, due volte, una volta ci è andata vicina, l'altra è passata a miglior vita veramente. E' stata torturata, ha torturato, ha ucciso, ha sofferto ed è ancora lì, dopo 1217 anni, è ancora lì. E' viva, non sa in quanta percentuale, ma lo è. Respira, vive e per quanto il mondo o quello che dice di chiamarsi Padre possano decidere di mettergli i bastoni tra le ruote, lei continuerà a prendere a testare qualsiasi muro le si presenterà davanti. Perché è così che è fatta. Come Lucien non è capace di provare - al di là di quello che si racconta - ed è quella la sua grande forza, dopotutto, la sua forza è la sua umanità, tutto quel provare, sentire, soffrire, perché sa come canalizzare tutte le emozioni per arrivare ad ottenere quello che altri gli negano. Quello che ti fa stare bene, a qualsiasi costo La sta lasciando andare, lo sa, è incapace di esprimersi, ma quello gliel'ha detto chiaro e tondo. E dovrebbe sentirsi annientata, un po' sente di esserlo, anche per quelle parole, ma in fondo all'idea di non poter essere felice con lui lei si è rassegnata da tempo. All'idea di non poter avere quello che vuole da lui si è abituata, ci è scesa a patti e l'ha accettato, alla fine. « Fallo per te stessa. Non per me, non per la Loggia, non per Tristan, non per ciò che gli altri pensino che tu sia. Farlo per Mazikeen, solo per Mazikeen. Sii la regina della tua stessa vita. » Confessa che il paradiso non mi spetta. Annuisce, nel sentirlo parlare, mentre il suo sguardo riacquista un po' della loro luce vitale naturale. Confesa che da te risorgo anch’io. Senza dire una parola, slitta verso il fondo del letto ed esce fuori, mettendosi in piedi, per poi ritrovarsi di fronte al risultato del massacro di Lucien. Tom è morto. Tom, che è entrato dentro di lei senza permesso, è morto. Tom, che l'ha violentata senza pietà, approfittandosi della sua vulnerabilità, è morto. E ha il marchio di Lucien sulla sua pelle. Un sorriso ambiguo si piazza sulle sue labbra, mentre si avvicina quel tanto per potergli sputare, dritto lì dove doveva esserci il volto, una volta. «Che nessuno abbia pietà della tua anima immonda. Che tu possa soffrire, che tu possa essere torturato dai miei fratelli, che tu possa marcire, per poi essere riportato in vita per soffrire ancora e ancora, giorno dopo giorno, fin quando perderai la cognizione del tempo, dello spazio. Fin quando impazzirai e io sarò il tuo pensiero ricorrente. Pensa a me quando brucerai tra le fiamme dell'inferno.» Lo maledice, gli rivolge la sua personale dedica, sapendo che non rimarrà inaudita. Loro l'ascoltano, sempre e hanno sentito cosa devono fargli, qual è il trattamento che il re e la regina hanno deciso di concedergli. Si volta verso Lux, a questo punto, guardandolo da sopra la spalla, rimanendo lì impalata, seminuda e ferma, in silenzio, per qualche istante. «Non ti sei dimenticato come rendiamo omaggio ai corpi delle anime dannate, vero?» C'è una scintilla di cattiveria a prendere possesso dei suoi occhi. Accenna prima al mucchio di vestiti della quale si è liberata e poi al corpo che è lì, morto, vicino a lei. «Te ne occuperesti?» Ti sbarazzeresti di tutto, per me? Non è una vera e propria richiesta, ma più una tacita disposizione che vorrebbe venisse ascoltata. Senza attendere oltre, raccoglie da terra la borsa e si infila velocemente in bagno, facendo scattare la serratura, castando un Colloportus. E rimane chiusa lì dentro, per quelle che le sembrano delle ore, mentre scivola lungo la porta, con la pelle nuda che oppone resistenza durante il tragitto, ma che alla fine la fa arrivare in fondo. E lì piange, piange finché non ha più alcuna lacrima da versare.

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    Alla fine esce. Dopo essersi lavata. Dopo aver mischiato l'acqua alle lacrime. Dopo aver visto scivolare via da lei ogni traccia di sangue. Dopo essersi strofinata talmente forte da essersi scorticata la pelle delle braccia e del viso. E' arrossata, ha i capelli umidicci, che le ricadono sulle spalle, un nuovo paio di jeans e un maglione scuro. Dal bagno arriva un pungente odore di bruciato, lì dove ha dato fuoco ai restanti vestiti che aveva addosso e ora si ritrova lì, sul ciglio della porta a guardare l'uomo che l'ha salvata. Rimane a guardarlo per dei minuti interminabili, inclinando di lato il viso, prima di lasciar scivolare lo sguardo verso terra. Non c'è più il corpo, ma c'è ancora la chiazza che è andata ad impregnare le assi del pavimento in legno. E' pallida, quasi non si vede più, ma lei la vede. Così scrolla la testa, scivolando lungo la parete, come se non volesse nemmeno rischiare di passarvi sopra. Poi senza dire una parola, spalanca la parola e si butta sul corridoio, di corsa. Vuole allontanarsi da quella stanza. Così si avventura, sale qualche rampa di scale, lanciando un paio di occhiate oltre le sue spalle, per controllare, egoisticamente, che Lucien la stia seguendo. Vuole essere seguita, seppur non si sappia ben spiegare la motivazione principale di quel suo desiderio. Cerca una stanza vuota, pulita, che faccia al caso suo e alla fine trova l'ennesimo rifugio della sua serata in una camera sgombra. Vi si infila dentro e aspetta che Lucien faccia lo stesso, prima di puntare la bacchetta verso la porta. Per un attimo, un attimo soltanto, pensa che non sia troppo sicuro richiudersi lì dentro con lui. Così lo guarda, con sguardo apatico. «Non ti chiederò di promettermi che non mi butterai giù anche da quella finestra.» E' fredda, mentre indica con la testa la vetrata alla propria sinistra. «Sarebbe inutile, non mi fido delle tue parole, così come non mi fido di te, ma ricordati che questa è fatta di frassino Solo un piccolo reminder per la tua testolina. Agita la bacchetta e la porta si chiude a chiave, mentre lei prende posto sul primo letto che si trova davanti. Si spinge con la schiena verso il cuscino, prima di portarsi le gambe al petto, abbracciandole con un braccio. «Forse hai ragione..» prende a dire, sospirando, stanca e assorta nei suoi pensieri fin troppo cupi per essere espressi ad alta voce. «Non sai nulla di questo mondo e non riesci a comprenderlo perché, forse, non sei fatto per stare qui.» E' una considerazione alla quale non è difficile arrivare, dopo aver sentito le sue parole. «Tu non hai mai voluto niente di tutto quello che il mondo degli umani può offrirti e donarti. Il dolore, la gioia, la felicità, la sofferenza. Non sei abituato e probabilmente non ti abituerai mai a loro. E sarà sempre peggio, più ti opponi, più cerchi di contrastarle, le sensazioni, più diventa insopportabile, ai limiti dell'impossibile. E tu non puoi soffrire.» Alza lo sguardo e lo pianta in quello di lui. «Non è il posto adatto a te. Forse dovresti davvero tornare a casa. A casa tua Stringe le labbra per qualche istante, mentre, forse per la prima volta, si rende conto di quanto sia tutto così surreale. Di quanto sia assurdo che lei stia parlando tranquillamente con lui, di quanto sia fuori di testa il fatto che gli dia consigli per tornare alla sua di normalità, quella che gli è sempre calzata a pennello. Non quella dove c'è anche lei. Ma forse, si rende conto che dopo aver passato secoli al suo fianco, decidere di tagliare tutti i ponti con lui non è facile. E' come perdere una parte consistente di se stessa. E lei, in questo momento, ha bisogno di tenersi stretti tutti i suoi pezzi. Perché lei è forte, lo è davvero, ma Tom ha fatto traballare il suo essere di cristallo e ha formato delle crepe e ha fatto cadere alcuni ciottoli a terra. E lei non può permettersi di perdere altro. Non questa sera. «Ma non questa sera. Stasera voglio che resti, qui con me.» In fondo sei stato tu a chiedermi cosa voglio ed è questo ciò che voglio. «Non voglio stare da sola, non sono abbastanza in forze.» Non voglio rimanere da sola. Stanotte ho paura del buio e ho bisogno di qualcuno che rimanga a vegliarmi, che accenda una luce per me. Sente freddo, allora si stringe nel maglione, primo di far scivolare la coperta sotto il proprio corpo, per poi ricoprirvi. Un brivido congelato l'attraversa e rimane in silenzio, fin quando il calore non comincia a penetrarle nelle ossa e la sensazione paralizzante la lascia andare. «Hai parlato di sensazioni. Senti cose, provi cose a tal punto da esserne spaventato. Non ti credo, eppure sembravi esserne convinto, come se davvero le sentissi dentro di te. E' assurdo, lo è davvero. Se fossero diverse le circostanze, ti scoppierei a ridere in faccia, in questo momento.» Ma ora il suo buco nero personale sta risucchiando via ogni sua voglia di ridere o scherzare. Non ha voglia di sorridere, non ha voglia di fare assolutamente nulla, se non parlare, parlare di cose inutili, fin quando non sarà abbastanza stanca da crollare, sperando di non incontrare i mostri nei suoi sogni. «Perciò dimmi, cos'è che senti e provi di così tanto spaventoso? Qual è la tua storia?» Lo fissa, stringendo le labbra. «Raccontami qualcosa, convincimi che la tua storia, questa volta, è vera.»
     
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    Ed eccola che la vede, quella scintilla. Le illumina lo sguardo, seppur flebilmente, e Lucien sorride, di rimando. Questa è la Mazikeen che conosce, la sua regina, la sua fenice. Il fuoco rimonta in lei, e seppur non possa sentirlo, lo percepisce. Quasi riesce a vederlo. Ha sempre trovato affascinanti, questi momenti. Li ha sempre osservati, in quel suo silenzio a prima vista indifferente. Persino lì, persino a casa, Lucien notava ogni particolare. E' vero, era sempre pronto a fingere il contrario. Sempre pronto a scrollare le spalle, ostentando un'indifferenza di fondo che in realtà, di ben radicato, non aveva proprio nulla. Perchè la realtà è che Lucien, a Mazikeen, non è mai stato indifferente. E' vero, non è mai riuscito a provare amore per lei. Gli è stato negato, o quanto meno di questo è sempre stato convinto. Ma al di là di tutto, al di là di tutti quegli imperativi dispotici, dei tradimenti e degli abusi, perchè Lucien, Lux, era sempre tornato da lei? In fondo, di divertimenti lì dove vivevano ne aveva tanti. Di anime pronte ad aspettarlo, innumerevoli. Eppure Lucien tornava sempre da lei. Lucien ci passava notti intere, con lei. Le si concedeva nella sua forma primaria, originaria, che ben pochi lì conoscevano. La reputava la sua regina, la chiamava per essere al suo fianco, puniva chiunque le mancasse di rispetto, quando gli andava. Sei caduto così in basso da essere venuto sulla Terra perché avevi bisogno di avermi indietro. Sei sicuro che io sia tua e non il contrario? Chi è di chi, Lucien, a conti fattigi? Chissà, forse Maze aveva ragione. Forse era stato suo ancor prima di accorgersene. Forse dietro quell'ossessione, dietro quel suo non riuscire ad accettare una sua fuga, un suo esser fuori posto, c'era sempre stato dell'altro. Sì, ma cosa? Non lo sa, Lucien, non lo sa ed è ancora troppo presto per saperlo. Ma ciò non gli vieta di continuare a sorridere, mentre la vede rinascere, in un certo senso. Come già detto, ha sempre trovato affascinanti questi momenti. Come il fuoco si animasse dentro di lei, scorrendole nelle vene ed irradiando ogni tessuto, accendendola dall'interno. La pelle riacquista un po' di colorito, gli occhi quella scintilla che ha sempre amato. Eccoti, fenice, mi eri mancata. La vede muoversi sotto il letto, e a quel punto si scosta, per lasciarle spazio. Si regge in piedi, Maze, seminuda sotto il suo sguardo. La guarda, senza saper bene cosa dire, mentre si mette seduto, le mani poggiate per terra. Quel corpo non le appartiene, eppure in un certo senso, è come se le appartenesse comunque. Se in un primo momento gli era risultato assai complicato, ricollegarcela, ormai è quasi automatico. E allora è altrettanto automatico quell'odio di fondo nel pensare a come qualcun'altro sia stato capace di abusare, di quel corpo. Sia entrato in lei senza permesso alcuno, l'abbia toccata senza alcun diritto per farlo. Si ritrova a distogliere lo sguardo, mentre per l'ennesima volta in quella serata, quel senso di incontrollabile impotenza si impossessa di lui. Può un dio, sentirsi così debole? Quando riesci ad intaccare ciò che ha di più caro, decisamente sì. La sua attenzione viene catturata poi dalla voce di lei. Ritorna a guardarla, e la vede lì, girata di spalle, sopra il corpo di quel ragazzo. Lo maledice, gli rivolge la sua personale dedica, e Lux sa che non sarà ignorata. Li ascoltano, i loro fratelli, e quasi li sente trepidare, mentre chiude gli occhi. Non riesce ad entrare in contatto con la Loggia per come vorrebbe, ma talvolta, quando si concentra, riesce a sentire. Qualcosa di molto flebile, tremolante ed effimero, ma pur sempre un contatto. Quindi, mentre la voce della Regina continua a maledirlo, Lucien riesce quasi a sentirle, le urla disperate di quell'anima appena sopraggiunta. E allora sorride, sadico, un moto di soddisfazione ed orgoglio ad animarlo dall'interno. Non deludete la vostra regina, figli miei. «Non ti sei dimenticato come rendiamo omaggio ai corpi delle anime dannate, vero?» Ritorna alla realtà, Lux, e la vede, a rivolgergli uno sguardo da sopra la spalla. C'è una scintilla di malvagità, nei suoi occhi. C'è quella cattiveria demoniaca che Lucien conosce fin troppo bene. Accenna al cadavere, poi al mucchio di vestiti stipati per terra. «Te ne occuperesti?» Un sorriso gli piega le labbra sottili, nei suoi occhi un lampo sinistro. « Speravo me lo chiedessi. » Asserisce, rialzandosi da terra ed avanzando verso il cadavere. « Consideralo fatto, mea regina. » e non appena la porta si richiude alle spalle di lei, quel mare d'ombra risucchia ogni cosa. Se ne sbarazza facendolo a pezzi e legandolo, nella maniera più disumana ed umiliante possibile. E' questo ciò che ti meriti, non ci sarà una degna sepoltura per te. Ne abbandona infine i resti sulle sponde del Lago Nero, a divenire cibo per tutte le creature che lo abitano. Ne approfitta per lavarsi da tutto quel sangue che lo ricopre ormai interamente, e prima di tornare da lei, si preoccupa di cambiarsi i vestiti, per non avere neanche più una sola sua lurida traccia, addosso.

    Giunge di nuovo in camera, infine, ma Maze è ancora lì, in quel bagno. L'ha sentita piangere per tutto quel tempo, nonostante la lontananza. Ogni suo singhiozzo, ha fatto vacillare parti di quella sua anima dannata. Perchè deve soffrire così tanto? Ha domandato, affacciato alla finestra della camera, lo sguardo rivolto verso quel cielo buio. Dimmelo, dov'è la tua misericordia? Non ottiene risposta, ovviamente, e allora si scosta dalla finestra, lo sguardo che vaga lungo la stanza. Si domanda come sia iniziato, tutto. Si domanda con quale parole lui l'abbia attirata nella sua viscida trappola. Quali trucchi abbia usato per farla fidare di sè, tanto da farle abbassare la guardia. Cala lo sguardo dai letti a terra, là dove li ha visti, e quasi li scorge di nuovo. Lei legata, lui su di lei. Si chiede dunque cosa abbia provato, in quel momento di pura impotenza. Cosa abbia pensato, di chi abbia invocato un aiuto mancato. E allora oltre alla rabbia ormai sfumata si mischia quella che non potrebbe in altro modo esser chiamata se non tenerezza. Tenerezza nel pensare alla sua Maze trattata come una semplice umana, ingannata ed abusata. A cosa ti hanno ridotta. A cosa ci siamo ridotti, Maze? E' allora che un pungente odore di bruciato attira la sua attenzione, costringendolo ad alzare lo sguardo. E la vede, sulla porta. Si è lavata via di dosso tutto ciò che di lui le era rimasto, cambiandosi anche i vestiti. I capelli sono umidicci, e le ricadono sulle spalle. Lo sguardo cangiante di lei lo cerca nell'ombra, e Lucien lo ricambia, rimanendo in silenzio. Vorrebbe dirle qualcosa, oh vorrebbe dirle tante di quelle cose, ma non saprebbe nemmeno da dove cominciare, quindi si limita a rimanere in silenzio, mentre sente una strana sensazione di sollievo pervaderlo non appena lei distoglie la propria attenzione da lui. Da quando in qua non riesci a sostenere il suo sguardo? Si morde il labbro inferiore, vedendola oltrepassare quella leggera macchia di sangue per terra, ultimo segno tangibile di ciò che un tempo Tom era stato, ed aprire la porta. Senza dire una parola scompare alla sua vista, addentrandosi tra i corridoi bui della sala comune. Rimane per qualche momento impalato lì, poi decide di seguirla. Segue ogni sua mossa, seppur si mantenga comunque a distanza di diversi passi. Lei non sembra intenzionata a sfuggirgli, nè tanto meno a seminarlo in un qualche modo, e allora Lucien continua a camminarle dietro, nel suo stesso tragitto, sino a giungere ad una camera vuota, dove si addentrano entrambi. Si appiattisce al muro, una volta dentro, fin quando non incontra il suo sguardo. «Non ti chiederò di promettermi che non mi butterai giù anche da quella finestra. Sarebbe inutile, non mi fido delle tue parole, così come non mi fido di te, ma ricordati che questa è fatta di frassino.» La porta scatta dietro di lui, ma Lucien non si muove. Non mi fido delle tue parole, così come non mi fido di te. « No, tranquilla, non ci tengo ad esser pugnalato di nuovo. » Mormora, stringendosi nelle spalle, la mano sinistra che istintivamente va a poggiarsi sul costato. « Ho ancora le cicatrici. Sarà per la prossima volta. » Scherza, di un humor nero probabilmente fuori luogo. Ride pure, seppur debolmente, mentre la segue con lo sguardo. Si dirige verso il primo letto a portata di mano, Maze, stringendosi le gambe al petto. «Forse hai ragione.. Non sai nulla di questo mondo e non riesci a comprenderlo perché, forse, non sei fatto per stare qui. Tu non hai mai voluto niente di tutto quello che il mondo degli umani può offrirti e donarti. Il dolore, la gioia, la felicità, la sofferenza. Non sei abituato e probabilmente non ti abituerai mai a loro. E sarà sempre peggio, più ti opponi, più cerchi di contrastarle, le sensazioni, più diventa insopportabile, ai limiti dell'impossibile. E tu non puoi soffrire.» Questo è ciò che credevo anch'io, fino a poco tempo fa. Non poter soffrire, era sempre stato uno dei suoi punti più forti. Non provare alcun tipo di dolore è probabilmente la miglior arma che ti possa venire offerta. E' tutto più facile quando non provi nulla. Puoi fare ciò che vuoi esattamente come, quando e perchè vuoi farlo. E Lux, in quello stato di completa assuefazione da qualsiasi tipo d'emozione, c'è nato e vissuto. E appunto di quello stato, s'era fatto forte. Non possono colpirmi, non possono farmi nulla, di che preoccuparsi? Con una tale convinzione, era giunto sulla Terra. Con una tale convinzione aveva dato il buongiorno a quella nuova vita per poi scoprire, inevitabilmente, che aveva sbagliato tutto. Che poteva soffrire, cazzo poteva farlo eccome. «Non è il posto adatto a te. Forse dovresti davvero tornare a casa. A casa tua.» Casa tua, e non nostra. Quella sua scelta di parole, quel suo lasciarlo andare con così tanta facilità gli fa male. Ha ragione, in fondo, Mazikeen. Quel mondo non gli appartiene. Gli fa schifo. Gli fanno schifo gli umani, gli fanno schifo le loro stronzate, gli fa schifo ogni cosa. Forse lì, lui, non ci sarebbe mai dovuto giungere. Eppure sentire quelle sue parole, pronunciate da lei con così tanta consapevolezza, non gli piace. Non è la donna che ha sempre conosciuto sino a quel momento, quella. Non è la sua Maze, colei che pur di restare al suo fianco avrebbe venduto l'anima. Ma se c'è una cosa che ha imparato, è che in questo mondo, in queste nuove prospettive, in questo presente inaspettato che inizia a stargli sempre più stretto, lui deve imparare ad abituarsi. In un modo o nell'altro, che gli piaccia o meno. Quindi si limita ad annuire, con quella remissività che poco gli appartiene, ma che al momento sembra l'unica cosa che è capace di dimostrarle. «Ma non questa sera. Stasera voglio che resti, qui con me.» Eppure, nonostante tutto, quelle parole sembrano aprire uno squarcio di luce tra le tenebre. La fissa, mordicchiandosi l'interno della bocca, mentre un sorriso, seppur debole, gli distende le labbra sottili. «Non voglio stare da sola, non sono abbastanza in forze.» Annuisce, avanzando verso di lei. Si siede per terra, la schiena poggiata contro il materasso del suo stesso letto, con una certa premura a non invadere il suo spazio. Gli ha permesso di restare. Vuole che lui rimanga. Non sa cosa pensare, non sa cosa provare in quel momento, ma ciò che sente, nel profondo di quel suo animo martoriato, è un senso di..Sollievo. Forse dovrà andarsene, prima o poi. Dovrà tornarsene a casa, la sua casa. Perchè quel posto non gli appartiene, Maze non gli appartiene. Eppure Maze vuole che lui rimanga. Sente Vlad mormorare qualcosa tra i suoi pensieri, una sola parola: speranza. Ma lui, dal canto suo, non sa cosa voglia dire, quindi si scosta appena, per non darle le spalle e poterla vedere. Piega le ginocchia e vi poggia le braccia sopra, mentre Maze, dalla sua parte, si infila sotto le coperte, rabbrividendo in un primo momento. « Hai parlato di sensazioni. Senti cose, provi cose a tal punto da esserne spaventato. Non ti credo, eppure sembravi esserne convinto, come se davvero le sentissi dentro di te. E' assurdo, lo è davvero. Se fossero diverse le circostanze, ti scoppierei a ridere in faccia, in questo momento. Perciò dimmi, cos'è che senti e provi di così tanto spaventoso? Qual è la tua storia? Raccontami qualcosa, convincimi che la tua storia, questa volta, è vera.» E allora sopraggiunge, quel momento. La verità, un concetto che Lucien deve ancora comprendere appieno. Un'arma a doppio taglio, molto più pericolosa di qualsiasi bugia, molto più temibile di qualsiasi inganno, per uno che, come lui, di inganni si è sempre nutrito. Si porta entrambe le mani tra i capelli, tirando alcuni ciuffi che gli ostruiscono la vista verso dietro. Nel farlo, lo sguardo ricade sui palmi delle sue mani, e poi sui polsi. Allora abbassa le braccia, ma alza la manica della giacca, assieme a quella della camicia, scoprendo quel braccio tremendamente bianco, le vene violacee al di sotto della pelle in risalto, ma a prima vista apparentemente perfetto, marmoreo. Vi avvicina allora l'altra mano, le dita che pressano contro la pelle diafana, e allora le sente. Le cicatrici. Un numero impensabile di tagli, nascosti da un incantesimo trasfigurante, atto a celare le apparenze. Ma se ci si sofferma di più, se lo si osserva con più attenzione, si è ben capaci di vederli, tutti quegli sfregi. Percorrono l'avambraccio interamente, ogni taglio separato dall'altro, in una sequenza piuttosto ordinata, seppur macabra e decisamente antiestetica.

    I just wanna do you right, right
    I just wanna do you right
    Cuz you deserve everything and more
    You're royalty, a true queen that a king adore

    uFqazAU

    « Quattro mesi. Centoventotto giorni. Ventuno ore e quindici minuti. » Si volta per guardarla « Il tempo che ci ho messo per ritrovarti. Ho contato persino i secondi, da quando sei scappata. Da quando sono arrivato sulla Terra, per lo meno, perchè lo sai, giù il tempo funziona in modo differente. » Annuisce, senza un motivo ben preciso. Li ha contati tutti, quei giorni, dal primo all'ultimo minuto. « Ho segnato ogni giorno, quì, su questo corpo. Se guardi bene, se ti concentri, puoi vederlo tu stessa. » Si scosta appena dal letto, sollevandosi la giacca e la camicia, per scoprirsi la schiena. La pelle bianca e tatuata, nasconde una miriade di altre cicatrici. Sono diverse da quelle sulle braccia. Non sono più lineari, casuali, ma formano un disegno ben preciso. Si susseguono tra loro, tracciando il perimetro di quelle che sembrano..ali. « Ho cominciato con le braccia, poi i giorni sono aumentati ed ho finito lo spazio, allora sono giunto alla schiena, in maniera molto più teatrale, come vedi. » Si ricopre, voltandosi di nuovo verso di lei. « Mi aiutavano a sentire, a provare qualcosa. » Cita le sue stesse parole, quelle che gli ha rivolto alcune settimane prima, quando era stata lei a mostrargli i suoi marchi del dolore. « Mi aiutavano a ricordare quel dolore che mi era stato impossibile capire sino ad ora. Il dolore della perdita, la tua. » Si ricopre anche il braccio, tornando a poggiarsi contro il materasso, lo sguardo bicolore che adesso le sfugge, vagando per la stanza. « Sono venuto quì, ad Hogwarts, a patto di proteggere Kingsley dal massacro che si prospettava. Come hai potuto vedere, non l'ho rispettato, e sai quanto sia nel mio dna rispettare i patti, a qualsiasi costo. Il fatto è che quando ti ho vista, si è fottuto tutto. Sapevo che eri al castello, ma non mi aspettavo di trovarti subito. Ed in compagnia. » Di un sin eater. Ricorda tutto di quella sera. Ricorda il primo momento in cui l'ha vista. Ricorda quel brivido che gli ha percorso la schiena, il primo di innumerevoli altri. « La prima cosa che ho provato, è stata gelosia. Ti ho sentita, vi ho sentiti. Ma in fondo, la gelosia è la meno dolorosa. Ti logora da dentro, è vero, ti rende incapace persino pensare, ma c'è comunque di peggio. » Torna a guardarla, facendo una piccola pausa. « Ci sono i sensi di colpa. C'è la nostalgia. C'è il pentimento. C'è la sofferenza. In questo mondo, Maze, io posso soffrire, e a quanto pare lo faccio eccome. » Si stringe nelle spalle, un sorriso amaro ad illuminargli il volto scarno. « Ho sofferto quando mi hai detto di non amarmi più. Ho sofferto quando mi hai pugnalato. Ho sofferto prima, nel vederti... » Con Tom. Non prosegue, mordendosi la lingua. « Ed ho reagito di merda, quasi tutte le volte. Ma è questo che faccio quando qualcosa mi spaventa, attacco per non essere attaccato. » Sono una bestia, in fondo, no? Non è questo che fanno le bestie? « Il fatto è, Maze, che tutto ciò che sento di nuovo, di mai provato, lo sento con te. Solo con te. E lo so, non mi crederai, non ti chiederò di farlo. Ti ho trattato di merda per un'eternità, ti ho ingannata, ti ho gettata da una torre... » Si sente sospirare, in un riflesso ormai incondizionato. Cerca il suo sguardo, e non appena lo trova, questo gli dà la forza per proseguire. « E ti chiedo scusa. Per tutto quanto. Per tutto ciò che ti ho fatto, quì e altrove. Mi dispiace. » Si infila le mani fra quelle tasche incantate della sua giacca. Ci ha sempre nascosto di tutto, lì dentro. Le dita si muovono, tastando, fin quando non lo individuano. Un foglietto di carta, ripiegato su sè stesso così tante volte da risultare ormai minuscolo. Lo estrae, se lo rigira tra le mani per qualche istante, poi lo posa sul comodino adiacente al letto. « I bigliettini del ballo di Halloween, sì, l'hanno dato anche a me. E sì, mi è anche apparso un nome. "Il nome della persona con cui più desideravate ballare nel profondo del vostro cuore. Un desiderio per alcuni noto, per altri seppellito nell'inconscio, ma pur sempre lì." Pensavo fosse una stronzata, all'inizio. Ma ora non più. » Pensavo tante di quelle cose, e tutte sbagliate. « Ciò che provavi per me non è mai stato una stronzata. » Si poggia una mano sul petto, mentre la guarda, in un momento di silenzio. « Ho un cuore adesso, Maze, ed anche se non batte, ogni volta che sono con te, io lo sento battere comunque, in qualche modo. » Pausa. « Non so cosa voglia dire, tutto questo. Non so se mi crederai e se chissà, forse un giorno tornerai a casa con me. Ma so una cosa, che se in questo mondo mi è possibile amare, anche solo in minima parte, anche solo una percentuale microscopica.. » Avanti, dillo. « Vorrei amare te. » Come hai sempre meritato. Sorride appena, stringendosi nelle spalle. Ma so che ormai, probabilmente, è troppo tardi. E va bene così, me lo merito, in fondo. « Allora, è sufficiente come favoletta della buonanotte? »
     
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    Nell'esatto istante in cui richiude le labbra, dopo avergli fatto quella domanda, si rende conto di aver fatto un enorme cazzata. Lo capisce subito, appena lo vede muoversi, quasi innervosito da quel cambio di discorso. Perché la verità fa paura, lei per prima ha scoperto sulla sua pelle quanta ansia riesce ad accumularsi, nel momento in cui viene richiesto di dire tutta la verità e nient'altro che quella. Per esseri come lei e Lucien, dire la verità è ancora più spaventoso, se possibile. Perché quando si è forti e invincibili, quando si pensa di essere invulnerabili e spaventosamente potenti, dire la verità su chi si è davvero rende vulnerabili. E' come consegnare al proprio interlocutore la mappa precisa e dettagliata su tutti i propri punti deboli, lì dove è più facile entrare sotto pelle, fino ad arrivare all'anima. Eppure Lucien non dovrebbe avere di simili problemi. Per quanto lei abbia sempre cercato di fargli credere il contrario, lui è sempre stato categorico su una cosa: non ho un cuore. E chi non ha un cuore non può essere toccato. Non può soffrire perché non ha l'organo con il quale è possibile farlo. Lo guarda da sopra il braccio, con gli occhi semicoperti da essi e lo vede armeggiare con il polsino della camicia, fino a tirarlo su, sopra il gomito. « Quattro mesi. Centoventotto giorni. Ventuno ore e quindici minuti. » Aggrotta le sopracciglia, nel momento in cui lui si gira a guardarla. Un'altra delle tue favolette? « Il tempo che ci ho messo per ritrovarti. Ho contato persino i secondi, da quando sei scappata. Da quando sono arrivato sulla Terra, per lo meno, perchè lo sai, giù il tempo funziona in modo differente. Ho segnato ogni giorno, quì, su questo corpo. Se guardi bene, se ti concentri, puoi vederlo tu stessa. » Inclina la testa di lato, ancora più confusa, corrucciando la fronte e stringendo gli occhi, per tentare di vedere quello che lui sta cercando di farle vedere. Rimane così, per qualche istante, quasi in attesa di un'ispirazione divina. E poi eccola, dopo qualche secondo. Vede al di là del velo che lui deve aver chiesto a qualcuno di mettersi addosso, come intimorito nel far vedere come si è ridotto la pelle. Una dopo l'altra, compaiono sotto i suoi occhi chiari, salgono lungo le braccia e arrivano alla schiena. Da ordinate e quasi pulite, diventano dei graffi ruggenti e senza alcun senso logico, che però trovano un significato nel paio di ali che vanno formandosi sulle sue scapole. Delle ali fatte di dolore e sangue. « Mi aiutavano a sentire, a provare qualcosa. Mi aiutavano a ricordare quel dolore che mi era stato impossibile capire sino ad ora. Il dolore della perdita, la tua. » Strabuzza gli occhi, quando si sente citare le esatte parole che proprio lei aveva usato per spiegargli il suo modo di vedere il dolore inferto a se stessa. Eppure non riesce a capire il suo discorso. «Vuoi dirmi che quindi, così, all'improvviso, appena hai messo piede sulla Terra, hai cominciato a sentire la mia mancanza, tanto da costringerti a questa tortura..- muove la mano a mezz'aria, per indicare il campo minato che si è creato addosso - per me? Però.» Fa una smorfia impressionata, ma a dir la verità non lo è veramente perché è difficile credere a quelle parole, non dopo quanto ha fatto e detto la sera della Torre di Corvonero. « Sono venuto quì, ad Hogwarts, a patto di proteggere Kingsley dal massacro che si prospettava. Come hai potuto vedere, non l'ho rispettato, e sai quanto sia nel mio dna rispettare i patti, a qualsiasi costo. Il fatto è che quando ti ho vista, si è fottuto tutto. Sapevo che eri al castello, ma non mi aspettavo di trovarti subito. Ed in compagnia. » Albus. Le torna in mente subito quella sera, le torna in mente il fatto che lei Lucien non l'ha nemmeno notato troppo, tra le risate, lo champagne, la fuga sotto la pioggia, il trambusto e il casino finale. Eppure lui l'ha notata e osservata. Perché lui sapeva chi fosse in realtà, l'ha sempre saputo. Perché lui..«Mi vuoi forse dire che sei rinchiuso qui dentro per colpa mia? Perché tu sapevi che io ero qui..» Fa una smorfia, poco convinta. « La prima cosa che ho provato, è stata gelosia. Ti ho sentita, vi ho sentiti. Ma in fondo, la gelosia è la meno dolorosa. Ti logora da dentro, è vero, ti rende incapace persino pensare, ma c'è comunque di peggio. Ci sono i sensi di colpa. C'è la nostalgia. C'è il pentimento. C'è la sofferenza. In questo mondo, Maze, io posso soffrire, e a quanto pare lo faccio eccome. » Continua a guardarlo, senza tradire alcuna emozione, seppur il sangue cominci a ribollirle nelle vene. Perché continua a pendere, da una parte all'altra. Se c'è una parte di lei che vuole disperatamente credergli, ce n'è un'altra che fa di tutto per farle aprire gli occhi, per farle capire che non è altro che l'ennesima cazzata che lui le propina, tutta bella infiocchettata e confezionata, una cazzata che forse pensa da anni, pronta all'uso nel momento più propizio. E quando potrà trovarla più vulnerabile di quel momento? Probabilmente mai. « Ho sofferto quando mi hai detto di non amarmi più. Ho sofferto quando mi hai pugnalato. Ho sofferto prima, nel vederti... » Non riesci nemmeno a dirlo, è assurdo fin dove riesci a spingerti nel fingere. « Ed ho reagito di merda, quasi tutte le volte. Ma è questo che faccio quando qualcosa mi spaventa, attacco per non essere attaccato. » Non è una buona ragione. Non lo è mai stata. Lui parla, apertamente, e lei continua a rispondergli mentalmente, senza mai palesare anche solo uno di quei pensieri. « Il fatto è, Maze, che tutto ciò che sento di nuovo, di mai provato, lo sento con te. Solo con te. E lo so, non mi crederai, non ti chiederò di farlo. Ti ho trattato di merda per un'eternità, ti ho ingannata, ti ho gettata da una torre... E ti chiedo scusa. Per tutto quanto. Per tutto ciò che ti ho fatto, quì e altrove. Mi dispiace. » E questa volta trattiene il fiato. Se ne accorge immediatamente e cerca di tornare a respirare normalmente, ma è sicura che il proprio battito la stia tradendo nelle sue orecchie. Lui la guarda, ma lei sposta lo sguardo altrove, incapace anche soltanto di guardarlo in faccia. Non ha capito quello che le ha appena detto. Si dice questo. Eppure ha capito e la cosa la ferisce ancora di più perché lui le ha appena detto le parole che Mazikeen aspettava di sentirsi dire da un'intera esistenza. Tutto ciò che sento di nuovo, di mai provato, lo sento con te Deglutisce. E ti chiedo scusa. Per tutto quanto. Per tutto ciò che ti ho fatto, quì e altrove. Mi dispiace. Le sta chiedendo scusa, incondizionatamente, e lei non capisce più nulla. Non sa che pensare, non sa come partorire un pensiero di senso compiuto e allora semplicemente guarda altrove, mentre chiede l'aiuto di Trixie, ma lei non risponde. La lascia da sola, come fa da troppi giorni e mai prima di quel momento, Maze ha sentito forte e chiara la nostalgia in lei. Le manca Trixie, ha bisogno di lei e lei, semplicemente, non c'è. Con la coda dell'occhio, come un gatto dai riflessi sempre pronti, coglie il movimento di lui alla sua destra e allora si volta di scatto, guardando il fogliettino che ha posato sopra il comodino. Maze, per sua natura una creatura estremamente curiosa, non riesce a non lanciare un'occhiata al bigliettino che appare completamente vuoto, in quel momento. « I bigliettini del ballo di Halloween, sì, l'hanno dato anche a me. E sì, mi è anche apparso un nome. "Il nome della persona con cui più desideravate ballare nel profondo del vostro cuore. Un desiderio per alcuni noto, per altri seppellito nell'inconscio, ma pur sempre lì." Pensavo fosse una stronzata, all'inizio. Ma ora non più. Ciò che provavi per me non è mai stato una stronzata. » Sul mio bigliettino c'eri tu. Ci sei sempre stato tu, sempre. Alza appena gli occhi dal foglio a lui e rimane di sasso, impietrita nel vedere la lucentezza sincera che legge all'interno del suo sguardo. No, non puoi essere sincero. Si dice. E' tutta una farsa, una delle tue solite scenette, solo per farmi ricadere nella tua trappola. Continua. Eppure sembri così dannatamente sincero. « Ho un cuore adesso, Maze, ed anche se non batte, ogni volta che sono con te, io lo sento battere comunque, in qualche modo. » Gli occhi scivolano ad osservare la sua mano sul cuore, per poi risalire lentamente verso di lui. « Non so cosa voglia dire, tutto questo. Non so se mi crederai e se chissà, forse un giorno tornerai a casa con me. Ma so una cosa, che se in questo mondo mi è possibile amare, anche solo in minima parte, anche solo una percentuale microscopica.. Vorrei amare te. » Rimane imbambolata, di fronte alle parole. A quelle ultime tre parole. Rimane ferma, immobile, sbattendo le ciglia di tanto in tanto, ricordandosi di respirare, solo per non collassare seduta stante. Non sente nemmeno quello che lui le dice dopo, non sente più nulla. C'è un black out generale, che va ad accumularsi a tutte le sensazioni provate quella sera. Si sente scivolare fuori dalla coperta, crollare a terra con le ginocchia, di fianco a lui e nulla di tutto ciò è comandato dalla sua testa completamente in panne. No, il corpo reagisce alle sue parole involontariamente, di testa loro. «Tu..io..» Apre la bocca e le parole escono, senza che lei se ne accorga. «Tu sei impossibile.» La mano si alza e si schianta contro il suo viso e una fitta di dolore la risveglia, andando a solleticare ogni terminazione nervosa, mentre una smorfia penosa le contorce i lineamenti del viso. Sgrana gli occhi, guardandosi prima la mano, con espressione incredula, di chi non si capacita di aver fatto quello che ha appena fatto, per poi tornare a guardare lui. Passa qualche secondo di silenzio e anche i suoi occhi diventano bicolore, come quelli di lui, involontariamente. Il cielo sereno e il cielo in tempesta. «Sei un grandissimo stronzo. Tu non puoi farmi questo, hai capito? Non puoi. Tu la devi smettere di giocare con la mia testa, lo fai da secoli e io ci cado sempre, come la povera cretina che sono. Tu la devi smettere.» La sua voce si colora di qualche sfumatura di pathos, seppur rimanga essenzialmente calma. «Non puoi fare come ti pare, non ti è più concesso. Un paio di settimane fa sfogavi il dolore per la mia perdita - che doveva essere davvero tanto, si è visto - raccontandomi quanto era bello tradirmi alle tue spalle, poi mi butti da una torre e ora questo. Non è così che si fa, Lucien, non così. Io non ce la faccio più, sono sfinita.» Scrolla la testa, esasperata, mentre sente di esserlo davvero, sfinita, dentro di sé. Ha riacquistato un po' di forze e colorito grazie al fuoco, ma è comunque vuota, completamente a pezzi, stanca morta. «Ti sembra il momento giusto, questo? Perché non me l'hai mai detto quando ero viva? Ti sembra questo il momento giusto per dirmi che ti manco, che senti cose, che vorresti amare me, ora che forse ti è concesso farlo?» No cazzo, non lo è, per niente. E' il momento più sbagliato che potessi scegliere, brutto cretino. «Non puoi arrivare, dirmi certe cose e pensare che tutto tornerà al suo posto perché finalmente hai detto le paroline giuste che quella scema di Mazikeen aspetta di sentirti dire da SEMPRE.» La voce si alza appena, sull'ultima parola, mentre le mani si spingono in avanti, mentre cercano di fare..non lo sa nemmeno lei cosa. Tentano di arraffarlo, si richiudono su se stesse, lo schiaffeggiano, tutto con il minimo della forza. «Non è così che funziona. Non è così che doveva andare, niente. E' tutto sbagliato, tu sei sbagliato, tu non dovevi essere qui, dovevi rimanere dove ti è sempre piaciuto e convenuto stare. Ovunque ma non qui. Non dovevi venirmi a cercare, perché andava tutto bene prima. Era tutto perfetto.» Scrolla il capo, mentre non si rende conto di dire frasi sconnesse, senza senso e che probabilmente non pensa nemmeno del tutto. «Tu non puoi..io non posso..» Si ritira all'indietro, scivolando sul pavimento per poi abbracciare nuovamente le ginocchia. Comincia a dondolare, sul posto, completamente vaneggiante. «Io non posso permettermi di crederti, anche se quello che dici è effettivamente ciò che provi. Non farò lo stesso sbaglio un'altra volta, no.» Scuote la testa, come a doversi convincere lei in primi di quelle parole. «Tu sei stato tutto per me. Ti ho affidato il mio cuore, a te e a nessun'altro, mai a qualcun altro. L'ho messo dentro di te, così che potessi colmare il tuo vuoto, far finta che ne avessi uno anche tu, che battesse per te e che forse battesse anche un po' anche per me. Pensavo che il mio amore potesse bastare per entrambi, era talmente forte e tanto che pensavo veramente di potercela fare. Pensavo di poterti salvare.» Come ha fatto l'amore a diventare così violento? E' ancora una volta calma, mentre una smorfia amara si
    dN8Fg2H

    dipinge sul suo volto. «Non posso illudermi, non di nuovo, anche se era dannatamente bello farlo. Era piacevole, era rassicurante, per qualche ora. Ma non posso più vivere di illusioni, di ologrammi, di sentimenti artefatti che mi spezzeranno l'anima in altri mille pezzi, quando deciderai che questa cosa non fa per te. Che è tutto troppo umano per i tuoi standard divini, che tu non lo sai fare Non so quanto altro potrà sopportare, prima di uccidermi del tutto. Si rende conto, in quel momento, che sarebbe tutto così facile, come lo è sempre stato in passato. Le basterebbe allungare la mano nella sua direzione, tenderla, per poi stringerla intorno a quella di lui, che torna da lei, ancora una volta. Sarebbe facile e le risulterebbe anche così dannatamente naturale. Perché è abituata a farlo. E' abituata ad accoglierlo di nuovo tra le sue braccia, senza alcuna garanzia, senza alcuna promessa vera. Ma se si rende conto di questo, sa anche benissimo che non può permetterselo di fare. Perché lo ama, sì, è terribile, ma nonostante tutto lo fa. Ma ha anche imparato ad amare se stessa che è probabilmente la prima vera regola, per amare davvero qualcuno. Il rispetto per se stessi, l'amore viscerale per la propria persona, quell'amore che la induce a mettere prima se stessa, invece che Lucien. Non c'è più al centro del suo ecosistema, ma infine, è riuscita a metterci se stessa. «Me l'hai detto tu. Non sai nulla di ciò che ti sta accadendo. E io non posso essere sicura anche per te, non posso sperare di nuovo che le tue incertezze diventino qualcosa di concreto. Perché potresti potresti semplicemente tentando di convincerti che è questo ciò che provi solo perché, alla base, hai bisogno di me.» Alza lo sguardo e smette di dondolare, lasciandosi andare all'indietro, con le spalle contro il comodino. «Non posso insegnarti ad amarmi. Non è una cosa che si impara da qualcuno, non è una cosa che puoi studiare sui libri di scuola. Deve venire da te, devi sentirlo dentro, devi sentire l'elettricità che smuove ogni tua cellula, la testa che ti si annebbia completamente.» Scuote la testa, triste, ferita, esausta e completamente incapace di capire quanto ci sia di vero in tutto ciò che le è capitato nel giro delle ultime due ore. «L'amore è paziente, è benigno l'amore; non è invidioso l'amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine.» Sa che con ogni probabilità lui storcerà il naso, nel sentirla pronunciare quelle parole. Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, 13, 4-8. «Non tutti possono amare così. Ma quando e se riuscirai a provare qualcosa del genere, solo allora potrai dire di amare veramente. Incondizionatamente, senza alcuna costrizione personale, senza alcuna barriera.» Le labbra che si stringono impercettibilmente, mentre lo fissa dritta negli occhi, mentre i suoi tornano ad essere di un verde acqua sbiadito, talmente chiaro e pacato da sembrar andare pari passo con la sua voce basse e conciliante, leggermente distante, forse, ma pacata. «E l'amore il cuore lo fa battere, eccome se lo fa. Non è solo un'impressione, lo senti in gola, batte così forte da farti mancare il fiato. Non è solo una suggestione, batte talmente forte da terrorizzarti all'idea che l'altro lo possa sentire, tanto è assordante e visibile.» Si inumidisce il labbro inferiore, scuotendo poi la testa, come a voler allontanare un brutto pensiero. «Semplicemente non si può decidere di chi ci si innamora.» Amara, amarissima verità. Lo sente, sulla punta della lingua, quel sapore ferroso che si accompagna a quella costatazione. «Non ti viene data mai scelta, non puoi metterci bocca, non puoi scegliere la persona. Non puoi dire "Vorrei amare te". Ti succede e basta. E quando succederà, lo capirai.»

    If this was meant for me, why does it hurt so much?
    And if you're not made for me, why did we fall in love?



     
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    Non sa esattamente cosa si aspettava, dopo averle detto quelle cose. Non sa esattamente cosa avrebbe sperato trapelasse fuori dalle labbra di Mazikeen, a seguito di quelle confessioni. Eppure eccolo lì, Lucien, a sperare in qualcosa che non ha nemmeno idea di cosa sia. Ed è strano, cazzo è così strano. Per anni, per secoli, quei ti amo palesati dalle labbra carnose di lei li aveva ritenuti un semplice ornamento. Un di più a quella loro relazione, se effettivamente relazione poteva esser chiamata. Lei era la sua consorte, la sua regina, e lo amava. Cavolo lo amava sul serio. Lucien non conosceva quel sentimento, e se un tempo l'aveva conosciuto, non gliene era rimasta memoria alcuna. Ma ciò che provava Maze per lui, ciò che non si era mai tirata indietro dal dimostrargli era sempre stato così..puro. Reale, concreto, avvolgente. Se solo lui si fosse lasciato avvolgere, se solo lui...Qualcosa lo distrae. Un mutamento nel battito cardiaco di lei, che lo costringe ad alzare il capo per guardarla. Lei sfugge il suo sguardo, dirigendolo altrove. Non lo riesce a guardare in faccia, seppur non sappia esattamente perchè. Forse perchè dopo anni è riuscito a dirle qualcosa, qualsiasi cosa che riuscisse a dimostrarle anche solo un minimo di interesse da parte sua, e l'ha fatto nel momento più sbagliato che potesse mai scegliere. La vede osservare il bigliettino che ha riposto sul comodino, quello con su scritto il suo nome, prima di scivolare per terra, accanto a lui. E' piccola, Maze. Il suo corpo è esile, così facile da danneggiare. Ci ha già fatto i suoi comodi, su quel corpicino. Dall'averci fatto sesso all'averlo buttato giù da una torre. Eppure lei rimane lì, e ciò che prova lui, per l'ennesima volta in quelle poche ore, è senso di colpa misto a quello strano quanto anomalo substrato di tenerezza. Vorrebbe abbracciarla, vorrebbe stringerla, ma sa di non poter fare niente di tutto ciò, quindi rimane lì in attesa, di nuovo. «Tu..io..» La sente mormorare, esitando. E' confusa, Maze, glielo legge nello sguardo, o nell'irregolarità del suo respiro. «Tu sei impossibile.» Ed è allora che la sua mano si schianta contro il suo viso. Lo colpisce in pieno, mentre sente le ossicina delle sue dita scricchiolare contro la sua pelle di marmo. Si poggia una mano sulla guancia, istintivamente, lo sguardo fisso per terra, mentre il suo cervello cerca di ricollegare ciò che è appena successo. Le ha rivelato cose che mai avrebbe pensato di rivelarle, e lei gli ha dato uno schiaffo. Per un attimo, solo per un attimo, la rabbia di un tale affronto rimonta in lui, ma sfuma immediatamente. No, non è il momento per arrabbiarsi, quello. Non è il momento per farlo perchè se lo merita e, in fondo, sa di meritarselo. Quindi si massaggia la guancia, ancora confuso da un simile gesto e dal fatto che l'abbia sentito. In minima parte, ha sentito un leggero dolore espandersi lungo tutto il suo viso. Ma sa trattasi di qualcosa di impossibile, quindi ci mette poco ad ignorare quella strana quanto anomala situazione. « Ma perchè ce l'hai tanto contro la mia faccia? » Mormora, tornando a guardarla, in una battuta dall'ironia piuttosto debole, attua semplicemente a sdrammatizzare. Con scarsi, probabilmente nulli risultati. Seguono dei momenti di silenzio, durante i quali si accorge di un mutamento negli occhi di lei, adesso bicolore, come i suoi. Piega la testa di lato e si mordicchia l'interno della bocca, nell'osservare quelle iridi di sereno e tempesta uniti assieme. «Sei un grandissimo stronzo. Tu non puoi farmi questo, hai capito? Non puoi. Tu la devi smettere di giocare con la mia testa, lo fai da secoli e io ci cado sempre, come la povera cretina che sono. Tu la devi smettere. Non puoi fare come ti pare, non ti è più concesso. Un paio di settimane fa sfogavi il dolore per la mia perdita - che doveva essere davvero tanto, si è visto - raccontandomi quanto era bello tradirmi alle tue spalle, poi mi butti da una torre e ora questo. Non è così che si fa, Lucien, non così. Io non ce la faccio più, sono sfinita.» Ed ha ragione, Maze. Ha ragione e lui non ribatte, restando lì, inerme e vulnerabile sotto quel fiume di parole che lei è intenta a rivolgergli. E' sfinita, è stanca, è provata da tutto ciò che le ha fatto e ha continuato a farle negli ultimi tempi. Ed è vero, da quando è giunto lì, sulla terra, Lucien ha fatto tutto il contrario di tutto. E' andato a cercarla, per poi gettarla da una torre. Ha abusato di lei senza rivelarle la sua vera identità, ed ora non è nemmeno capace di sfiorarla. Le ha dato dell'inutile, ed adesso le dice che vorrebbe amarla. Perchè? Perchè deve essere tutto così fottutamente complicato? Perchè lui deve essere così complicato? Perchè non può capire semplicemente ciò che prova, rivelarglielo, e vivere entrambi felici e contenti? Perchè un lieto fine per lui, per loro, è così difficile da raggiungere? Non lo sa, e non saperlo non gli piace. Per secoli non gli è interessato saperlo quando la risposta ce l'aveva a portata di mano, ed ora che vorrebbe saperlo, la risposta gli sfugge in continuazione. «Ti sembra il momento giusto, questo? Perché non me l'hai mai detto quando ero viva? Ti sembra questo il momento giusto per dirmi che ti manco, che senti cose, che vorresti amare me, ora che forse ti è concesso farlo? Non puoi arrivare, dirmi certe cose e pensare che tutto tornerà al suo posto perché finalmente hai detto le paroline giuste che quella scema di Mazikeen aspetta di sentirti dire da SEMPRE.» Si morde il labbro inferiore, rimanendo immobile sotto di lei. Lo schiaffeggia, lo scuote, il tutto con quel filo d'energia che le è rimasta in corpo. Dal canto suo, non reagisce. Resta lì, incapace persino di guardarla in viso. E'..bloccato. Terribilmente bloccato, Lucien. Si sente così vuoto, eppure al tempo stesso così pieno di tutte quelle emozioni che mai sino ad ora era stato capace di provare. E non le controlla, lo attaccano da ogni angolo, si insinuano nei suoi pensieri, nel suo subconscio, e lo confondono. E questa confusione lo fa sentire vuoto. Le ha detto tanto, e non gli è rimasto niente, dentro. «Non è così che funziona. Non è così che doveva andare, niente. E' tutto sbagliato, tu sei sbagliato, tu non dovevi essere qui, dovevi rimanere dove ti è sempre piaciuto e convenuto stare. Ovunque ma non qui. Non dovevi venirmi a cercare, perché andava tutto bene prima. Era tutto perfetto. Tu non puoi..io non posso..» Quelle parole lo feriscono, e per qualche momento la guarda. E mentre la guarda, si rende conto che è tutto dannatamente sbagliato. Lei, a lui, non l'avrebbe mai dovuto conoscere. Lei non avrebbe mai dovuto metter piede, a casa sua. Sarebbe stato tutto così facile, sarebbe rimasto tutto alla normalità. Lui calato in quella realtà che seppur in fondo odiasse con tutto sè stesso, gli era ormai calzata a pennello per forza di cose, lei accolta da chissà quali braccia celesti, in quel mondo perfetto, puro e meraviglioso che di certo si meritava. Non ci sarebbe stato quell'amore non corrisposto. Non ci sarebbe stata sofferenza. Non sarebbe esistito niente di tutto questo. Niente torture, niente dolore, niente sofferenza. Niente guerra, niente Tom, nessun inganno. E Mazikeen ha ragione, era tutto perfetto. Era tutto perfetto prima che lui la contaminasse. Tutto perfetto prima che lui decidesse di tornare da lei, dopo il suo abbandono. Forse quella era stata una seconda possibilità che gli era stata donata. Lasciarla libera di vivere quella vita che si meritava. Ma lui, troppo egoista, troppo accecato da quella sua solita superbia, non aveva colto il segno. La superbia, quella gran brutta bestia, probabilmente il suo difetto più grande. «Io non posso permettermi di crederti, anche se quello che dici è effettivamente ciò che provi. Non farò lo stesso sbaglio un'altra volta, no. Tu sei stato tutto per me. Ti ho affidato il mio cuore, a te e a nessun'altro, mai a qualcun altro. L'ho messo dentro di te, così che potessi colmare il tuo vuoto, far finta che ne avessi uno anche tu, che battesse per te e che forse battesse anche un po' anche per me. Pensavo che il mio amore potesse bastare per entrambi, era talmente forte e tanto che pensavo veramente di potercela fare. Pensavo di poterti salvare.» Maze voleva salvarlo, e lui non gliel'ha mai concesso. Distoglie lo sguardo di nuovo, incapace di guardarla. Prova rabbia, delusione e tristezza tutte assieme. Lei ci ha provato, ci ha provato davvero. Tutto d'un tratto una miriade di flashback lo investe in pieno. La rivede, a casa, stretta contro il suo petto. La rivede rivolgergli quei sorrisi, quelle parole, quei baci e quelle carezze. Tutti quei gesti che per tanto, ahimè troppo, aveva valutato uguali a tanti altri che aveva già ricevuto. Ma che adesso, solo adesso, riconduce a qualcosa di ben più profondo. Ben più reale. Qualcosa gli vibra dentro, e lo costringe a deglutire a fatica. « Mi hai amato nel posto sbagliato al momento sbagliato. » Se solo potessimo ritornare indietro, adesso che so. Se solo potessimo ricominciare. « E mi dispiace che tu abbia tentato di salvare ciò che non poteva esser salvato. » E adesso? Adesso potrebbe? Non ne ha idea. Probabilmente no. E' sempre troppo tardi per lui. E' sicuro non basti la consapevolezza, il pentimento, per renderlo meno diavolo. Mazikeen ci ha provato, ci ha provato con tutta sè stessa per tutti quei secoli, e ciò che ha davanti, quel guscio vuoto e sfinito, è come quella missione impossibile l'ha ridotta, alla fine. Come lui l'ha ridotta. « Perchè distruggo ogni cosa che tocco? » Domanda in un flebile sussurro, quasi a sè stesso. Perchè sono così fottutamente infetto? «Non posso illudermi, non di nuovo, anche se era dannatamente bello farlo. Era piacevole, era rassicurante, per qualche ora. Ma non posso più vivere di illusioni, di ologrammi, di sentimenti artefatti che mi spezzeranno l'anima in altri mille pezzi, quando deciderai che questa cosa non fa per te. Che è tutto troppo umano per i tuoi standard divini, che tu non lo sai fare.» Dondola su sè stessa ormai da qualche minuto, mentre rimane lì, la schiena poggiata contro il comodino in legno, lo sguardo vacuo e stanco. Scuote la testa, Lucien, apre la bocca, fa per parlare, ma ciò che trapela dalle sue labbra sottili è nulla. Aria, solo aria. Le sue corde vocali non vibrano, mentre quel nodo che si sente alla gola ormai da un po' le opprime col proprio peso. Cerca l'aiuto di Vlad, batte contro quella porta rossa che li divide, batte con tutta la forza che ha, ma non riceve alcuna risposta. E allora rimane in silenzio, senza la forza nemmeno per insultarlo, come fa sempre. E' sfinita lei ed è sfinito lui, dopotutto. E' come se tutto il mondo gli fosse crollato addosso all'improvviso. Vedete, Lucien sulla Terra c'è salito col sorriso su quella sua faccia da schiaffi. C'è salito col pensiero che niente e nessuno avrebbe mai potuto mettergli i bastoni tra le ruote. Si sarebbe divertito, poi l'avrebbe trovata, due o tre paroline di circostanza e sarebbero tornati a casa, là dove dovevano stare. Ma nulla è andato secondo i suoi piani. E' arrivato in un mondo dove non ha alcun potere sulle persone. Un mondo dove non ha alcun potere su di lei. E questa lei gli ha detto di non amarlo più. Gli ha detto di odiarlo. Che senza di lui aveva trovato un mondo perfetto. L'ha pugnalato, ha provato ad ucciderlo, l'ha cacciato dalla sua vita. E poi questa lei è stata abusata, violentata e spezzata. E l'ha fatto innamorare di lei infine, seppur nel posto sbagliato, al momento sbagliato. «Me l'hai detto tu. Non sai nulla di ciò che ti sta accadendo. E io non posso essere sicura anche per te, non posso sperare di nuovo che le tue incertezze diventino qualcosa di concreto. Perché potresti semplicemente tentando di convincerti che è questo ciò che provi solo perché, alla base, hai bisogno di me. Non posso insegnarti ad amarmi. Non è una cosa che si impara da qualcuno, non è una cosa che puoi studiare sui libri di scuola. Deve venire da te, devi sentirlo dentro, devi sentire l'elettricità che smuove ogni tua cellula, la testa che ti si annebbia completamente.» Lui, sintomi simili, li ha già sentiti. Non li ha riconosciuti, certo, probabilmente non li riconoscerebbe neanche adesso, ma li ha sentiti, sin dal primo momento in cui l'ha vista. La verità è che forse Lucien l'ha sempre amata, anche quando non sapeva di poterla amare. E quando è giunto sulla Terra, tutto si è semplicemente manifestato in maniera concreta. E qui, la faccenda si complica ancora di più. Si fa cruenta, si fa crudele. Perchè avrebbe costretto alla sofferenza, per tutto quel tempo, la donna che ha sempre amato. «L'amore è paziente, è benigno l'amore; non è invidioso l'amore, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell'ingiustizia, ma si compiace della verità. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. L'amore non avrà mai fine.» Quelle parole le riconosce, e proprio perchè le riconosce, arriccia il naso e fa una smorfia di disappunto. Dalla lettera di San Paolo Apostolo. Eppure ci trova dell'altro comunque, in quelle parole. Mente da parte per un po' il disgusto che gli provoca la loro provenienza, e ci riflette su. L'amore non tiene conto del male ricevuto. Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. Un sorriso amaro si palesa sul suo viso scavato, lo sguardo bicolore che cerca quello di lei, tornati del loro colore naturale. «Non tutti possono amare così. Ma quando e se riuscirai a provare qualcosa del genere, solo allora potrai dire di amare veramente. Incondizionatamente, senza alcuna costrizione personale, senza alcuna barriera. E l'amore il cuore lo fa battere, eccome se lo fa. Non è solo un'impressione, lo senti in gola, batte così forte da farti mancare il fiato. Non è solo una suggestione, batte talmente forte da terrorizzarti all'idea che l'altro lo possa sentire, tanto è assordante e visibile. Semplicemente non si può decidere di chi ci si innamora. Non ti viene data mai scelta, non puoi metterci bocca, non puoi scegliere la persona. Non puoi dire "Vorrei amare te". Ti succede e basta. E quando succederà, lo capirai. »

    You make me so high, you bring me alive
    Everything I want, everything I need
    I found in you.
    ...
    No matter what they say I'm gonna find a way
    To be with you take me to your place of sweet love
    Do you realize what you do to me?

    Rimane a fissarla per dei minuti che sembrano ore. In silenzio, completamente immobile, lo sguardo bicolore fisso sul suo viso stanco e provato. Guarda a cosa ci siamo ridotti, Maze. Due sopravvissuti, ci affliggiamo ferite a vicenda, poi cerchiamo di leccarle via. Ma riuscirci davvero è difficile. Distoglie la sua attenzione da lei, ad un certo punto, guardando un punto non ben definito della stanza. Sta ancora annegando in quel fiume di parole che lei gli ha rivolto. Aleggiano lì, una ad una, quelle verità. Quelle confessioni. Realtà che conosceva già, ma che non aveva mai voluto riconoscere. Realtà che fino a poco tempo fa erano concrete e reali, e che adesso che sembrano non esserlo più gli mancano. Gli mancano così tanto. Perchè viviamo sempre in un tempo sbagliato, io e te? « Tu non saresti mai dovuta giungere da me. » Se ne esce poi, all'improvviso. « Non era giusto che lo facessi, non era equo. Tu appartenevi a qualcun'altro, eri destinata a qualcun'altro, sicuramente migliore. » Pausa « Migliore di me. Qualcuno che non ti avrebbe mai fatto soffrire, come ho fatto io. Qualcuno che avrebbe ricambiato tutto il tuo amore, come meritavi. Che non ti avrebbe mai costretta a piangere, tutte quelle notti. Ad addormentarti in compagnia e risvegliarti in un letto vuoto. » Si mordicchia l'interno della bocca, mentre si tortura le mani stropicciandosele l'una contro l'altra, in un chiaro gesto di nervosismo. « Eppure, pur giungendo al peggio che ti potesse capitare, tu sei riuscita ad amarlo comunque. Gli hai messo il tuo cuore dentro, hai provato a salvarlo. Sei tu, quell'amore di cui mi hai parlato, sei sempre stata tu. Ti ho dato ingiustizia, e l'hai sopportata. Non ti ho dato speranza, ed hai sperato comunque. Ti ho mancato di rispetto, e mi sei sempre rimasta accanto. » Ci sei sempre stata tu al mio fianco. Non mi hai mai tradito, come chiunque altro. Avevo un tesoro così grande vicino e non l'ho mai riconosciuto. « E mi manca, te l'ho già detto ma dannazione, mi manca tutto di te. Mi mancano anche le più piccole cose, quelle alle quali un tempo non facevo nemmeno caso, ma che adesso mi sembrano così preziose. Il modo in cui arricciavi il naso e sorridevi, ad esempio, tutte quelle volte che ti dimostravo un minimo di interesse. » Sorride al solo pensiero, mentre, istintivamente, le si avvicina. Lentamente, quasi un riflesso incondizionato. « O il modo in cui mi accarezzavi, tutte quelle volte. » Allunga una mano. Esita per qualche istante, ma decide di non fermarsi.
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    La poggia sul suo viso, sicuro che lei si scosterà, probabilmente. E' tiepido rispetto al suo tocco gelido. Vi scorge attraverso alcuni graffi dovuti a ciò che ha subito, qualche ora fa, e si morde l'interno della bocca, mentre sente qualcosa rimontargli dentro. « O il modo in cui mi baciavi, tutte quelle volte. » Poggia la sua fronte contro quella di lei. Si sono già trovati in una posizione simile, qualche tempo fa. Prima che lei gli lanciasse addosso quell'incantesimo. Gli aveva offerto la stessa tenerezza nei gesti, la stessa dolcezza nelle attenzioni. E la medesima cosa fa adesso lui, sperando che lei non si allontani o lo respinga, seppur sia sicuro che probabilmente lo farà. Lo sguardo si posa per qualche istante sulle labbra di lei. Le ha già assaporate una volta, quelle labbra, e mille altre volte in situazioni ben differenti. Ma ciò nonostante gli mancano. Ed è mentre pensa a quanto gli manca il suo sapore, a quanto gli manca la consistenza di quella sua bocca intrecciata alla sua, delle loro lingue ad attorcigliarsi in quella danza tribale e bollente, che si avvicina. Poggia le sue labbra sulle sue, esercitandovi una pressione leggera. E non appena lo fa, non appena i loro due universi collidono di nuovo, lo sente. Ecco di nuovo quella sensazione. Ho un cuore adesso, Maze, ed anche se non batte, ogni volta che sono con te, io lo sento battere comunque, in qualche modo. Si sente rinvigorito. Si sente vivo per qualche attimo. La sua mente si annebbia, il suo corpo trema, le pupille si dilatano. Per quelli che sono secondi sembra addirittura acquisire un minimo di colorito, ed il suo tocco un leggero calore tiepido. « Lo sto sentendo di nuovo, battere. » Sussurra allora, a pochi centimetri da lei. E' sicuro che sia un'altra di quelle sue strane sensazioni, ma ciò nonostante l'istinto lo guida a cingerle un polso con le dita, per farle poggiare la mano sul proprio petto. « Sono sicuro che tu non possa percepirlo, ma se solo potessi, capiresti che è così che mi sento, da quando sono quì, tutte le volte che tu sei nei paraggi. » Il fatto è che Lucien non lo sa, ma il suo cuore sta battendo sul serio al momento. Batte forte, all'impazzata, quasi intenzionato a sfondargli la cassa toracica. « E viene da me, lo sento dentro, e l'elettricità smuove ogni mia cellula. » Deve venire da te, devi sentirlo dentro, devi sentire l'elettricità che smuove ogni tua cellula, la testa che ti si annebbia completamente. Chissà, forse anche tutte quelle volte che gli è sembrato di sentirlo battere, lo ha fatto sul serio. E mentre per qualche momento la morte e l'oscurità sembrano abbandonarlo, rendendolo umano in una maniera che mai avrebbe immaginato, la voglia di baciarla è sempre più forte. E sta quasi per farlo, quando si blocca. Non mi devi baciare. Quell'ordine di lei gli ritorna in mente, quell'ordine che in un altro momento avrebbe volentieri ignorato, ma che adesso non riesce. E allora si scosta, allontanandosi, mentre tutto torna alla normalità. Il cuore si blocca, la sua pelle torna pallida ed il suo tocco gelido come la morte. Quelle scariche elettriche lo abbandonano all'improvviso, lasciandolo con un vuoto dentro, che traspare dai suoi occhi bicolore, più vitrei che mai. Lo sguardo di un morto, niente di più niente di meno, a tratti sbiadito, a tratti persino ricoperto da quella leggera patina trasparente classica negli occhi dei cadaveri. E mai come allora si sente sul serio alla stregua di un cadavere, Lucien. Ha assaggiato la vita, quella vera, seppur per pochi attimi, e ora sa cosa significa morire. « Io non mi aspetto di esser ricambiato di nuovo. Non mi aspetto che torni ad amarmi incondizionatamente come facevi un tempo. So di non meritarmelo. Tu hai atteso secoli prima di ottenere una mia risposta, adesso. Non vedo perchè io debba ottenere tutto e subito, in questo poco tempo. » Si stringe nelle spalle, mentre una risata amara gli scuote il petto vuoto. « Io vorrei solo...Che ci provassi. A credermi. Se potessi darmi questa possibilità, potrei diventare quel qualcun'altro sicuramente migliore che ti meritavi. Magari non ci riuscirò, magari scoprirai che la mia parte migliore fa ancora più schifo di quella peggiore.. » Difficile. « Ma voglio che tu stia bene. Io voglio che nessuno ti faccia più stare male. Voglio lottare per te. Lancerò un attacco su vasta scala, farò imboscate e colpirò e brucerò e lotterò fino a sanguinare per te, lotterò fino alla morte perché ho giurato di farlo. Perchè tu sei qualcosa per cui vale la pena lottare e io voglio lottare. » Contro gli uomini, contro gli dei, contro i mostri, contro di me.« Ti chiedo questo. Soltanto questo. »
     
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    Un'altra dimensione temporale, un'altra dimensione spaziale. Mi hai amato nel posto sbagliato al momento sbagliato. L'ennesima scenetta di questo tipo. Maze inginocchiata a terra, Lucien in piedi, di spalle, che sospira, esasperato. « Perché? Perché non ti basta mai? Perché devi fare la bambina che fa costantemente i capricci? » E' adirato, si percepisce dalla sua voce bassa e a tratti stridula. Ci sono delle volte in cui Maze crede veramente che la lascerà lì, che se ne andrà e che non tornerà mai più. Perché fa la bambina, fa i capricci sbattendo i piedi a terra e strappandosi i capelli, solo perché lui non è soltanto suo. Lei piange, non riesce a contenersi, mentre si tiene le mani sul petto, come a voler contenere tutta quella sensazione opprimente che carica dentro di lei ogni volta che lui torna con il profumo di qualcun altro addosso. Con il sapore di qualcun'altra sulle labbra. Dovrebbe farle semplicemente schifo, dovrebbe cacciarlo lei stessa e non aspettare che sia lui ad andarsene, ma non ci riesce. Sa che lui è fatto così, che non può combattere da solo la propria natura avversa e allora lei rimane lì, per lui, per aiutarlo a darsi una seconda possibilità che lo aiuti a capire che è degno di una vita diversa. Tira su con il naso, mentre ha il viso chino verso terra, con i capelli che le ricadono ai lati del viso, formando una tenda che la separa dal mondo. Ma non dalle urla di lui. « Vuoi tornare ad essere una fra tante? Vattene, quella è la porta. Sai quante ne trovo come te? Le regine vanno e vengono e sai bene che fine fanno quelle che non aggradano più il loro re. » E' meschino, è cattivo e l'addolora quando parla così, perché lei lo sa bene. Quando non vanno più bene, le regine vengono esiliate, nel migliore dei casi. Quando Anna Bolena era ormai passata di moda, Enrico VIII decise di risolvere il problema in maniera definitiva. Le fece tagliare la testa e la sua anima fu dannata per sempre. Alza gli occhi smeraldini e lo guarda, stringendo le labbra. . « Vuoi essere una regina? Sii una regina e smettila di piagnucolare. » E a quelle parole lei si alza, si rimette in piede e gli va incontro. Cerca di avvicinarlo, ma lui si dilegua, fin quando non gli blocca il viso con entrambe le mani. Lo scuote quel tanto che serve a fargli capire che non mollerà la presa, quindi tanto vale smettere di provarci e ascoltarla. «Lucien, guardami. Smettila di fare così. Sono qui, sono io. Ci sono soltanto io qui, puoi anche abbassarla questa maschera, non c'è nessun altro.» Lo guarda con gli occhi lucidi e le gote arrossate. Lo stringe con delicatezza, come si fa soltanto con le cose preziose delle quali si ha cura, per paura di romperle. «Perché sei così terrorizzato all'idea che qualcuno, chiunque, possa entrare e vedere che hai un cuore anche tu, in fondo?» Gli domanda e all'istante i lineamenti di lui si fanno più squadrati, più indignati. « Quale cuore? Quando la smetterai di fare la stupida sognatrice e comincerai a comportarti come dovresti? » E' gelido, mentre porta le sue mani sopra quelle di lei per togliersele di dosso con oculata lentezza. « Non è paura, semplicemente non mi interessa niente di te. Prima lo accetti, prima ricomincerai a vivere dignitosamente. Guardati, sei imbarazzante. » E' assurdo quanto una manciata di parole possa cambiare tutto, possa cambiare l'intera percezione dell'insieme. Lui si allontana e la lascia lì da sola, mentre riprende a piangere, copiosamente. Le labbra deformate da un ghigno di dolore, una mano che corre al petto per stringersi il vestito, mentre si accascia nuovamente a terra. «Non lasciarmi, Lucien, non lasciarmi qui a morire da sola. Ti prego.» E' straziante, è lancinante il dolore che provoca il suo dolore espresso in un filo di voce. «Ho solo bisogno che anche tu abbia bisogno di me.» Perché io ho trovato te e tu potresti trovare me, prima o poi.

    It's not just that she makes him a better person. And she does, but..he changes her too.
    He challenges her, surprises her. He makes her question her life, beliefs.
    He is either the best thing for her, or the worst.



    Aveva semplicemente bisogno di questo, per essere completa. Il sentire che anche lui avesse bisogno di lei, tanto quanto lei aveva bisogno di lui. E lui, ora, ha bisogno. « Tu non saresti mai dovuta giungere da me. Non era giusto che lo facessi, non era equo. Tu appartenevi a qualcun'altro, eri destinata a qualcun'altro, sicuramente migliore. Migliore di me. Qualcuno che non ti avrebbe mai fatto soffrire, come ho fatto io. Qualcuno che avrebbe ricambiato tutto il tuo amore, come meritavi. Che non ti avrebbe mai costretta a piangere, tutte quelle notti. Ad addormentarti in compagnia e risvegliarti in un letto vuoto. » Una volta l'avrebbe fermato, l'avrebbe pregato di smetterla di dire cavolate, di smettere di dire che sarebbe dovuta andare a qualcun altro di migliore perché lei è lì che vuole stare, con lui, punto. Ma non è quello che fa in quel momento, mentre si guardano negli occhi e nei suoi c'è la pura e semplice rassegnazione ai fatti. « Eppure, pur giungendo al peggio che ti potesse capitare, tu sei riuscita ad amarlo comunque. Gli hai messo il tuo cuore dentro, hai provato a salvarlo. Sei tu, quell'amore di cui mi hai parlato, sei sempre stata tu. Ti ho dato ingiustizia, e l'hai sopportata. Non ti ho dato speranza, ed hai sperato comunque. Ti ho mancato di rispetto, e mi sei sempre rimasta accanto. » Rimane per un attimo interdetta. Mai prima di quel momento è stata definita come la personificazione di quell'amore che è sempre andata ricercando, alla pazza ricerca di un qualcosa che alla fine è diventata lei stessa. Abbassa il viso, a guardare le mani di lui. Sembra nervoso, forse lo è davvero, visto il continuo sfregamento di quelle dita lunghe e affusolate tra di loro. « E mi manca, te l'ho già detto ma dannazione, mi manca tutto di te. Mi mancano anche le più piccole cose, quelle alle quali un tempo non facevo nemmeno caso, ma che adesso mi sembrano così preziose. Il modo in cui arricciavi il naso e sorridevi, ad esempio, tutte quelle volte che ti dimostravo un minimo di interesse. » Già, come un contentino ad un cane fedele che sta sempre lì, pronto a scodinzolarti intorno, pronto a farti le feste. E non importa per quanto tempo lo ignori, per quanto tempo lo maltratti, lui sarà sempre lì, appena allungherai una mano per fargli una semplice carezza. Si sente come un dannatissimo cane da compagnia, mentre lo ascolta. Si sente una stupida, si sente un'emerita cretina nell'aver fatto ciò che effettivamente ha fatto. Gli è rimasta vicina nonostante tutto, pronta a sorridergli e arricciare il naso, appena lui decideva di avere una giornata buona, tanto da permettersi di sciogliersi in un sorriso a sua volta. Smettila, ti prego smettila di ricordarmi quanto sono stata una stupida. Quanto ridicola io sia stata. « O il modo in cui mi accarezzavi, tutte quelle volte. » Fa giusto in tempo a capire dove vuole andare a parare, che sente la sua mano gelata sul suo viso. Scivola di lato con il viso, pensa di scivolare indietro e alla fine rimane immobile, impassibile, guardando in un punto fisso alla sua destra, decisa a non guardarlo in faccia. « O il modo in cui mi baciavi, tutte quelle volte. » «Smettila.» Sussurra, lasciando slittare la fronte contro quella di lui. «Ti prego, smettetela, tu e i tuoi segnali contrastanti.» Fa per staccarsi, ma lui non ha finito di tentare di dimostrarle qualcosa. Le sue labbra, a contatto con le proprie, sono calde. E' un tocco leggero, quasi distratto e non voluto, ma Maze fa in tempo a sentirne la temperatura. Scivola di lato, con il naso che tratteggia il profilo del suo viso e la guancia che si ferma contro quella di lui. Anche la pelle è più tiepida. « Lo sto sentendo di nuovo, battere. Sono sicuro che tu non possa percepirlo, ma se solo potessi, capiresti che è così che mi sento, da quando sono quì, tutte le volte che tu sei nei paraggi. E viene da me, lo sento dentro, e l'elettricità smuove ogni mia cellula. » Le prende la mano e infine se la poggia sul cuore. Non si aspetta niente, Maze, eppure le viene fatto un dono. Il dono. Sotto le proprie dita, percepisce il battito accelerato del suo cuore. Ne sente la pulsazione rapida, ne avverte la vibrazione attraverso il tessuto della sua camicia. Si scosta rapidamente da lui, con gli occhi sgranati. «Non è solo un'impressione.» Dice più a se stessa, che a lui. Si guarda la mano che ha appena staccato dal suo petto, la ispeziona, sopra e sotto, prima di poggiarla nuovamente contro il suo cuore e sentirlo nuovamente. Batte, è lui che batte, veramente. Non è un'illusione. «Non è possibile. Com'è possibile?» Rimane esterrefatta mentre lui si sposta all'indietro e ogni contatto viene reciso, all'improvviso. Alla luce della candela che c'è sul comodino, il suo viso torna ad essere pallido come la morte e i suoi occhi si spengono della luce che parevano aver acquistato. « Io non mi aspetto di esser ricambiato di nuovo. Non mi aspetto che torni ad amarmi incondizionatamente come facevi un tempo. So di non meritarmelo. Tu hai atteso secoli prima di ottenere una mia risposta, adesso. Non vedo perchè io debba ottenere tutto e subito, in questo poco tempo. » Si sta ancora osservando la mano, quando sente queste parole e allora è costretta ad alzare lo sguardo. « Io vorrei solo...Che ci provassi. A credermi. Se potessi darmi questa possibilità, potrei diventare quel qualcun'altro sicuramente migliore che ti meritavi. Magari non ci riuscirò, magari scoprirai che la mia parte migliore fa ancora più schifo di quella peggiore.. Ma voglio che tu stia bene. Io voglio che nessuno ti faccia più stare male. Voglio lottare per te. Lancerò un attacco su vasta scala, farò imboscate e colpirò e brucerò e lotterò fino a sanguinare per te, lotterò fino alla morte perché ho giurato di farlo. Perchè tu sei qualcosa per cui vale la pena lottare e io voglio lottare. Ti chiedo questo. Soltanto questo. » Di sasso, di nuovo. E' impassibile, ancora una volta. E le manca l'aria, ancora una volta. Maze, una donna di fede non lo è mai stata. Non ha mai creduto nei miracoli, per ovvie ragioni, non ha mai creduto nei fioretti e nelle preghiere rivolte a Dio. Però, pur non credendo in quel qualcuno, ha sempre creduto fermamente in quel piccolo, piccolo seme di speranza che non è mai morto. Le è stato istallato dentro alla nascita ed è rimasto con lei, persino nella Loggia Nera. Non ha mai smesso di sperare. Anche quando ha deciso che fosse abbastanza per lei, che tutto quel dolore non se lo meritava più, ha mantenuto in sé quella scintilla di speranza. Speranza che un giorno lui avrebbe aperto gli occhi e avrebbe capito, tutto. E ora ha capito. Che un giorno la sarebbe andata a cercare, salendo in superficie, solo per lei. Ed eccolo qua. Che un giorno gli avrebbe donato il suo cuore, così come lei aveva fatto, secoli prima. E ora lo sento, il suo cuore, qui tra le mie mani. Che un giorno avrebbe capito di sentire qualcosa di quantomeno simile a quanto provava lei per lui. E ora è qui e me lo sta dicendo, ci sta provando, si sta sforzando. E qui comincia il dilemma etico e morale nella testa di Maze. Perché lei è composta da entrambe le parti: quella che ancora lo vuole e quella che non ne vuole più sapere di lui, quella che gli crede e sarebbe disposta a dirgli di sì, di provarci, di farlo insieme e quella che sì, gli crede ma ormai è tardi perché ha imparato a comprendere l'amore per se stessa e l'orgoglio prima di tutto. Ma c'è bisogno di tirare in ballo l'orgoglio quando si ha di fronte agli occhi ciò che si vuole? C'è bisogno di appellarsi alla legge del taglione di fronte al fatto vero e concreto che si sta profilando davanti ai suoi occhi? E' davvero importante fare la superiore perché "Ormai è tardi, ha perso la sua corsa"? Soffia, forte, esasperata da quel continuo alternarsi dentro di sé che la fa sentire fuori di testa. Si passa una mano tra i capelli, portandoli indietro. Sono crespi, non li ha asciugati e ora sono crespi. E azzurri, di un azzurro sbiadito a quanto pare. «Io ho trovato te e alla fine tu hai trovato me, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Si ritrova a commentare, guardando altrove. Come se guardarlo negli occhi non l'aiutasse a trovare le giuste parole a quella che, in tutto e per tutto, Maze sente essere una domanda. «Sai perché non ti ho permesso di baciarmi, quando non sapevo fossi tu?» Gli domanda d'improvviso, sbattendo le ciglia per poi tornare a guardarlo. «Perché ho una repulsione per tutto ciò che porta a qualsiasi tipo di sentimento. Da quando sono qui, sono meticolosa. Seguo uno schema preciso.» Considerazioni ad alta voce di una verità che ha allontanato da se stessa per fin troppo tempo. «Non sono andata con una persona per più di una volta e se è capitato che ci sia stata più di una volta è perché ero sicura che con quella persona non potesse esserci nulla di più. Non quel di più. Mi sono tenuta alla larga da tutto, ho negato a me stessa qualsiasi attaccamento, mi sono negata anche la possibilità di poter essere felice con qualsiasi altra persona. E penso tu sappia il perché l'ho fatto, come sono certa tu mi abbia sentito, appena sono uscita dal tuo studio.» Si stringe nelle spalle, mentre un sorriso imbarazzato si profila sulle sue labbra. Si sta aprendo a lui, gli sta concedendo di sapere delle cose che non ha mai ammesso a voce alta e questo perché, se c'è una cosa di cui è assolutamente sicura è che la vera violenza che si può fare a se stessi è quella di avere paura di essere effettivamente se stessi. E lei è questo: una stupida sognatrice, come diceva lui, che dopo secoli non si è ancora arresa. E lei lo sa che non c'è ancora stato il "the end" per loro. No, c'è ancora un "to be continued.." «Ho fatto quello che volevo, un po' per vendetta, un po' per sentirmi libera, ma è come se mi fossi preservata, in un modo strano, sicuramente, ma è come se avessi precluso a chiunque, in partenza, la possibilità di avere altro da me, oltre il mio corpo. Non la mia testa, non il mio cuore.» Perché sono sempre appartenuti a te e su questo non posso darti torto. Ma sono io che te li ho donarti. «Mi dicevo "Non posso odiarlo, perché se odio lui, cosa mi rimane? Nulla." Non pensavo di avere niente al di fuori di te, perché ho lasciato che il mio mondo girasse non più intorno a me stessa ma ho permesso che diventassi tu il mio sole.» Lo guarda e sospira. «Ma qui ho capito di avere qualcosa: me stessa. E che in fondo, il sole sono io. Che il mio mondo deve girare intorno a me e non più intorno a qualcun altro perché l'unica persona di cui posso essere sicura, l'unica su cui posso fare un affidamento certo sono io.» Non lo dice con cattiveria, mentre tenta di spiegargli cosa è cambiato nel suo modo di vedere il mondo. E' calma, il tono di voce quasi caldo e conciliante. E in quel momento capisce di non odiarlo, non del tutto, non fino in fondo come aveva professato pochi giorni prima. Persino quando lo odia, lei continua ad amarlo.
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    «Posso provare a crederti, posso provare a concederti il beneficio del dubbio, posso provare a credere che le tue parole siano vere, ma non mi fido, Lucien. Non riesco a farlo. Non puoi chiedermi di farlo soltanto perché ora ti batte il cuore quando sei con me. Sono cose evanescenti queste, oggi può battere per me, domani per qualsiasi altra persona all'interno e all'esterno di questo castello. Tu sei immortale, sei nel corpo di una creatura che può vivere per sempre e quando non si ha tempo né spazio, quando si può vivere per sempre, l'amore perde la sua sfumatura più bella: la sua mortalità e con essa la sua credibilità.» Quando non si può morire, un per sempre non ha tempo, diventa una cosa futile, un concetto astratto che non ha alcun senso. Ma quando si è mortali, quando c'è la paura della morte ad ogni angolo, dire "Ti amerò per sempre" è una promessa, è qualcosa di forte, che rompe ogni barriera, persino quella con l'aldilà. «E con questo non voglio dirti che ti chiudo fuori dalla mia vita. Ti dico che ti lascio la porta socchiusa. Ti dico che accetto le tue scuse, che proverò a passare sopra a tutto, perché a quanto pare, io riesco a farlo. Riesco a coprire, riesco a credere, riesco a sperare, riesco a sopportare. Ma non mi spingerò oltre questo.» Lo guarda, sperando di essere stata abbastanza chiara nei suoi intenti. Lo perdonerà, probabilmente in parte l'ha già fatto, ma non sarà più lei a fare un passo verso di lui, non sarà più lei colei dalla quale lui si deve aspettare qualcosa. Ora, se lui vorrà, sarà il suo turno di gioco, passo dopo passo, ripartendo dalle basi, le semplici basilari fondamenta. «E se tu sei davvero deciso a dimostrarmi qualcosa, ti devo avvertire. Ti si spezzerà il cuore. Io ti spezzerò il cuore.» Perché l'amore è anche questo: volere l'altro quando lui non ti vuole, amare l'altro anche quando lui non vuole. Sorride, prima di ricominciare a sentire freddo. In fondo ha soltanto un maglione bucato e un paio di jeans strappati addosso. Così risale nuovamente il letto, ficcandosi sotto le coperte. Si crogiola in quel calduccio per qualche secondo, sospirando di sollievo per aver trovato nuovamente un rifugio sicuro. «Non mi aspetterò nulla da te. Se lo vorrai fare, se non lo vorrai fare, dipenderà tutto da te. E' la tua mano di gioco questa.» E io intanto cercherò di non illudermi troppo, dal canto mio. Si morde il labbro inferiore, mentre si rannicchia di lato e rimane in silenzio per degli attimi lunghissimi. Poi lascia che la mano sgusci fuori dalla coperta, per rimanere così, a mezz'aria, con il palmo rivolto verso di lui. Quel passo avanti che ha detto che non avrebbe fatto e che, invece, fa. Perché Maze è così. Dice una cosa e fa il suo opposto, dice tutto il contrario di tutto. «Un giorno, forse dopo una lunga vita, riusciremo a ritrovarci, nel posto giusto, al momento giusto.» Perché, nonostante tutto, questo è l'unico finale che io posso accettare di avere.

     
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    «Io ho trovato te e alla fine tu hai trovato me, nel posto sbagliato al momento sbagliato. Non lo guarda Maze, mentre quelle parole aleggiano tra di loro, nell'atmosfera di assoluto silenzio che sembra essersi creata. Ciò che le ha detto solo qualche momento fa gli si ritorce contro, e lui non può far nulla per controbattere. Vorrebbe farlo, diavolo vorrebbe farlo così tanto. Vorrebbe zittirla subito, non lasciar trapelare parola alcuna dalle sue labbra. Dirle che quello è il momento giusto per loro, che finalmente è giunto, dopo secoli di completo nulla. Che è il loro fottutissimo tempo e proprio perchè lo è, proprio perchè finalmente lo è, loro devono coglierlo lì, e coglierlo subito, all'istante, prima che possa scorrere via. Ma se da un lato vuole farlo, vuole farlo davvero con tutto sè stesso, così come vorrebbe riprendere a baciarla, a stringerla a sè, ad accarezzarla ed incatenarsi così tanto al suo corpicino esile da inglobarlo, sa che non può. Non può più. Perchè non ne ha il diritto, dopotutto. Perchè questo diritto lo ha perso già un botto di tempo fa. L'ha perso in tutti quei sorrisi negati, quelle attenzioni mai ricambiate, quelle carezze sfuggite. L'ha perso tutte quelle volte che la lasciava lì da sola, in quel loro letto, non fregandosene nulla delle sue lacrime. Quasi riesce a vederla, come tante, troppe volte l'ha vista e sentita. In quella loro stanza, il viso bagnato dalle lacrime ed il petto scosso da tutti quei singhiozzi. Una visione che un tempo gli piaceva. Che un tempo lo faceva sentire potente, lo faceva sentire speciale, lo faceva sentire quel dio che si è sempre vantato di essere, ma che mai è stato sul serio. In fin dei conti, prendete Lucien. Adesso prendete Mazikeen. Unite all'insieme tutto l'amore, la fedeltà e l'adorazione che lei è sempre riuscita a donargli. Ora levate tutto, lasciando soltanto il primo fattore, Lucien. Cos'è che rimane? Nulla. Cos'è un dio senza qualcuno che lo venera? Niente. Cos'è un uomo senza qualcuno che lo ama? Niente. Cos'è Lucien senza Mazikeen? Assolutamente niente. «Sai perché non ti ho permesso di baciarmi, quando non sapevo fossi tu?» Lei torna a guardarlo, e lui ricambia il suo sguardo, seppur confuso. «Perché ho una repulsione per tutto ciò che porta a qualsiasi tipo di sentimento. Da quando sono qui, sono meticolosa. Seguo uno schema preciso. Non sono andata con una persona per più di una volta e se è capitato che ci sia stata più di una volta è perché ero sicura che con quella persona non potesse esserci nulla di più. Non quel di più. Mi sono tenuta alla larga da tutto, ho negato a me stessa qualsiasi attaccamento, mi sono negata anche la possibilità di poter essere felice con qualsiasi altra persona. E penso tu sappia il perché l'ho fatto, come sono certa tu mi abbia sentito, appena sono uscita dal tuo studio.» Si ritrova ad annuire, seppur in silenzio, mentre assimila quelle parole e ciò che stanno a significare. Sì, l'ha sentita quella notte, appena uscita dal suo ufficio. L'ha sentita piangere, versare lacrime su lacrime, senza riuscire a fermarsi. A quel tempo non gli era importato più di tanto, dopotutto. A dire la verità non aveva neanche capito il perchè, di una simile reazione. Si era limitato a scrollare le spalle, per poi far cadere tutto nel dimenticatoio. Senza mai farlo davvero, però, perchè adesso, proprio adesso, Lucien ricorda ogni cosa. E adesso, proprio adesso, Lucien ricollega ogni cosa. Il significato delle parole di lei giunge finalmente a destinazione, ed è come una pugnalata in pieno petto. Lì, dritta a quel cuore inerme, ma che se pugnalato, lo porterebbe a morte certa. E si sente un po' morire, in effetti, nell'assimilare ciò che lei gli sta dicendo. Non vuole baciare nessuno. Non vuole compromettersi con nessuno. Ha cercato una vita migliore lì, lontana da lui, eppure ciò nonostante, forse in maniera inconscia o forse no, non si è mai distaccata. Lui l'ha sempre trattata di merda, e lei ha continuato a compromettersi per lui, a negarsi una vita migliore per lui. Perchè, Maze? Perchè devi essere così dannatamente fedele quando non me lo merito? C'è una parte di sè, che gode di questo. La sente, è lì in qualche angolo della sua coscienza. E' la sua parte peggiore, quella che ha messo a tacere per adesso, ma che è sicuro rimonterà ben presto, prima o poi. E' quella parte fatta di rabbia, gelosia e sadismo. Che lo induce a pensare che è giusto, per lei, aver reagito in tal maniera. E' giusto che non si sia mai compromessa con nessun'altro all'infuori di lui. Perchè l'ha abbandonato, l'ha tradito, ed è ciò che si merita. Poi però c'è anche l'altro lato della medaglia. La sua parte migliore, quella che sta imparando a conoscere da un po' di tempo. E quella parte dice che no, nulla di tutto questo è giusto. Che lei non sia più capace di legarsi ad alcun sentimento, non è giusto. Che lei non sia più capace di baciare qualcuno e godersi le sensazione dettate da quel contatto così intimo, non è giusto. E allora si morde il labbro inferiore, mentre distoglie lo sguardo, per l'ennesima volta incapace di guardarla. Si riscopre a scuotere la testa e non sa nemmeno lui perchè. «Ho fatto quello che volevo, un po' per vendetta, un po' per sentirmi libera, ma è come se mi fossi preservata, in un modo strano, sicuramente, ma è come se avessi precluso a chiunque, in partenza, la possibilità di avere altro da me, oltre il mio corpo. Non la mia testa, non il mio cuore.» Perchè appartengono a me. Non lo dice, Maze, non lo specifica, ma è come se fosse sottinteso in quelle sue parole e nel tono della sua voce mentre le pronuncia. E se soltanto qualche giorno fa una simile constatazione sarebbe servita a farlo sentire un po' più re, un po' più dio onnipotente su di lei, adesso fa semplicemente male. «Mi dicevo "Non posso odiarlo, perché se odio lui, cosa mi rimane? Nulla." Non pensavo di avere niente al di fuori di te, perché ho lasciato che il mio mondo girasse non più intorno a me stessa ma ho permesso che diventassi tu il mio sole.» Sorride appena, seppur amaramente, un angolo delle labbra piegato verso su. Ed è allora che una strana sensazione lo assale, improvvisamente. Si sente un nodo alla gola, che gli impedisce persino di parlare, e le mani gli tremano, tanto che è costretto a stringerle a pugno. Di nuovo quella strana sensazione. Ha già provato qualcosa di simile, soltanto alcuni giorni fa, quando si era stretto a lei in quell'abbraccio, poggiandole il capo sul grembo. Nostalgia, tristezza, pentimento, abbandono. Per qualche attimo gli sembra di vedere tutto rosso, e d'istinto si strofina gli occhi con la manica della camicia, nervosamente. E' allora che nota una leggera macchia rossastra sulla stoffa. Sangue? Scuote la testa, tornando a guardarla, la vista appannata che pian piano torna alla normalità. «Ma qui ho capito di avere qualcosa: me stessa. E che in fondo, il sole sono io. Che il mio mondo deve girare intorno a me e non più intorno a qualcun altro perché l'unica persona di cui posso essere sicura, l'unica su cui posso fare un affidamento certo sono io.» No, non dirlo. Si morde la lingua con forza, e a quel punto distoglie lo sguardo da lei. E non lo sa. Non lo sa davvero cosa provare. Se da un lato prova rabbia, per quel suo mondo nel quale sino a poco tempo fa è vissuto ormai ridotto in brandelli, dall'altro è un sollievo del tutto anomalo a scuoterlo dall'interno. Lui l'ha lasciata andare, poco prima, e lei, alla fine c'è riuscita ad andar via. A sostituire il suo sole con altro. Con sè stessa, come le ha detto. Fallo per te stessa. Non per me, non per la Loggia, non per Tristan, non per ciò che gli altri pensino che tu sia. Fallo per Mazikeen, solo per Mazikeen. Sii la regina della tua stessa vita. E allora perchè, se è stato lui stesso a dirglielo, fa così male? Perchè in quel mondo umano tutto è il contrario di tutto? Non c'è equilibrio, non c'è logica, non c'è equità. Per far stare bene qualcuno, devi star male tu. «Posso provare a crederti, posso provare a concederti il beneficio del dubbio, posso provare a credere che le tue parole siano vere, ma non mi fido, Lucien. Non riesco a farlo. Non puoi chiedermi di farlo soltanto perché ora ti batte il cuore quando sei con me. Sono cose evanescenti queste, oggi può battere per me, domani per qualsiasi altra persona all'interno e all'esterno di questo castello. Tu sei immortale, sei nel corpo di una creatura che può vivere per sempre e quando non si ha tempo né spazio, quando si può vivere per sempre, l'amore perde la sua sfumatura più bella: la sua mortalità e con essa la sua credibilità. E con questo non voglio dirti che ti chiudo fuori dalla mia vita. Ti dico che ti lascio la porta socchiusa. Ti dico che accetto le tue scuse, che proverò a passare sopra a tutto, perché a quanto pare, io riesco a farlo. Riesco a coprire, riesco a credere, riesco a sperare, riesco a sopportare. Ma non mi spingerò oltre questo.» Annuisce, impotente. E' sempre stato un amante dei giochi, Lucien. E' sempre stato un ottimo giocatore, in ogni situazione, in ogni contesto. Ma in quello, nel gioco dell'amore, si trova completamente impreparato. Non ha armi a suo vantaggio, non ha strategie, non ha niente di niente se non quella dannata confusione dettata da quel milione di emozioni contrastanti che proprio non ne vuole sapere di lasciarlo andare. Quindi resta in silenzio, completamente instabile, irrimediabilmente vulnerabile. Le ha chiesto una possibilità, ed in fondo sembra averla ottenuta. Ti chiedo questo, soltanto questo. E allora perchè non è felice? «E se tu sei davvero deciso a dimostrarmi qualcosa, ti devo avvertire. Ti si spezzerà il cuore. Io ti spezzerò il cuore.» Sorride amaramente, stringendosi nelle spalle mentre la osserva raggomitolarsi nuovamente tra le coperte. « Sarebbe equo, in fondo, no? Il karma. » Una risata debole gli scuote il petto. Io l'ho spezzato a te, tu lo spezzerai a me. Non lo dice per cattiveria, nè con disprezzo. Ma è così che funziona, dopotutto. Ad ogni azione ne corrisponde sempre una uguale o contraria. «Non mi aspetterò nulla da te. Se lo vorrai fare, se non lo vorrai fare, dipenderà tutto da te. E' la tua mano di gioco questa.» La vede rannicchiarsi sotto le coperte, e ciò che ne consegue sono attimi di assoluto silenzio. La osserva per svariati minuti, Lucien, la schiena ancora poggiata contro il materasso ed il capo rivolto verso di lei, girato di lato. Poi volta il suo sguardo altrove, rigirandosi. I suoi occhi vagano lungo tutta la stanza, senza un motivo ben preciso. E nel silenzio pensa, pensa e ancora pensa. Come sono giunti fin quì? Non ne ha idea. Per quanto durerà tutto questo? Quanto tempo prima di tornare ad essere quel mostro che è sempre stato? Non lo sa. In fondo la sente, la sua parte peggiore. E' lì che pulsa, addormentata forse, ma mai completamente morta. Sa che tornerà, sa che probabilmente ribalterà la situazione. Ma al momento non vuole pensarci, mentre si sente tirare su col naso, non sa esattamente perchè, e poggia di nuovo le mani sulle ginocchia. Non è solo un'illusione. Non è possibile. Com'è possibile? Eppure il suo cuore ha battuto davvero. Il cuore di quel corpo morto che si è scelto si è azionato sul serio, durante quel contatto. Perché sei così terrorizzato all'idea che qualcuno, chiunque, possa entrare e vedere che hai un cuore anche tu, in fondo? Una diversa dimensione, un tempo diverso. La rivede, Mazikeen, il viso bagnato dalle lacrime e quella sua solita espressione carica di speranza. Amami, ti prego. Non lasciarmi. Gli dicono i suoi occhi, gliel'hanno sempre detto. A quel tempo, un cuore non ce l'aveva. O forse l'ha sempre avuto, ma si è sempre convinto del contrario. Perchè quando non hai un cuore è tutto più facile. Quando non hai un cuore non puoi essere ferito, e Lucien, in quel suo mondo, non poteva esser ferito. Lucien in quel suo mondo doveva esser forte. Doveva dimostrare a Lui e a sè stesso che nonostante tutto, nonostante avesse perso ogni cosa, un re poteva esserlo comunque. A king with no crown. E per fare questo, per restare fedele a quella sua superbia, a quella maschera da mostro che gli era stata impressa addosso e che ormai non era più capace di staccare, Lucien aveva sacrificato tanto. Aveva sacrificato lei. Si passa entrambe le mani fra i capelli, e si gira a quel punto nella sua direzione, sicuro che la troverà addormentata, ormai. Ma non è ciò che trova. Ciò che trova è la sua mano tesa, col palmo rivolto verso l'alto, al di là delle coperte. La osserva, poi la guarda in viso, mentre istintivamente allunga un braccio per sfiorarla. E' tiepida, di quel torpore così in netto contrasto col proprio gelo, che tanto gli piace. Riesce a scaldarlo, a farlo sentire meno morto, anche solo per qualche momento. La attraversa col dito indice, percorrendone le naturali linee che la compongono, mentre un sorriso gli si dipinge sul viso. Speranza. «Un giorno, forse dopo una lunga vita, riusciremo a ritrovarci, nel posto giusto, al momento giusto.»

    Tempo diverso, spazio diverso, situazione uguale. Era iniziato tutto così, con una mano tesa verso l'altra. L'aveva vista, Lucien, l'aveva adocchiata sin dal primo momento quell'anima bianca in mezzo a mille altre nere come la pece. Era strano che fosse giunta lì, era anomalo, ma non per questo meno curioso. Gli erano giunte voci, sul suo conto. Che fosse nata come una donna, umana, che avesse amato un uomo che, infine, l'aveva costretta al rogo. Di streghe, lì, ne giungevano tante. Donne baciate dal diavolo, le ritenevano gli uomini. Donne maledette, dannate per l'eternità, che si erano macchiate in vita di orribili malefici, di azioni cruente, per dimostrare questa loro fedeltà a quel demonio che, morendo tra le fiamme di quelle pire, avrebbero sperato di vedere. La verità è che tutte quelle donne, quel diavolo, probabilmente non l'avrebbero visto. Lì funzionava ogni cosa secondo regole ben precise, in un ordine maniacale, divino. Chi peccava in vita veniva punito nella morte, e non c'era scappatoia che tenesse. Lei però era diversa. Glielo avevano detto, ma non ci aveva creduto fin quando non l'aveva vista coi suoi occhi. Era stata baciata, Mazikeen, era stata scelta dalla Madre dei vampiri ancor prima che lui la incontrasse, e ciò aveva fatto di lei un demone a tutti gli effetti, tanto quanto poteva esserlo lui. Ma ciò nonostante, in quella sua anima, c'era qualcosa. Qualcosa di ben differente, una purezza che Lucien aveva conosciuto un tempo, che aveva fatto parte persino di sè stesso. Era innocente, era pura, era vergine in un mondo in cui di queste qualità, non esisteva neanche solo il pensiero. Così era giunto al suo cospetto, Lucien, e l'aveva guardata per quelli che gli erano sembrati secoli interi. Era bella, quella creatura, di una bellezza che raramente aveva potuto ammirare. Lunghi capelli corvini, pelle ambrata, labbra carnose ed occhi smeraldini. Quegli occhi. Quegli occhi erano fuoco. Quegli occhi erano vita in un luogo dove soltanto la morte regnava sovrana. Sapeva cosa le era successo, Lucien, ma se anche non l'avesse saputo, l'avrebbe potuto intuire. Era fiera, quella donna. Portava in sè un orgoglio e un coraggio senza eguali, ma era spezzata, nonostante tutto. Inabissata in un mondo che non lo apparteneva, strappata alla vita dalle braccia dello stesso uomo che aveva amato. Forse era spaventata, forse era arrabbiata, forse semplicemente delusa. E allora le aveva sorriso, dopo minuti di interminabile silenzio. Aveva allungato poi un braccio in sua direzione, scostandole alcuni capelli dal viso e scuotendo la testa, nel vedere il dolore ancora vivido in quel suo sguardo di fuoco. Infine le aveva porto la mano, il palmo rivolto verso l'alto. « Prendi la mia mano, Mazikeen. » Prendi la mia mano e farò di te una Regina. Quello era solo l'inizio.



    You gotta go, even though it hurts, is this for certain
    Even though I'd hate to see you with another person

    Little bird, little bird, little bird, little bird
    Spread your wings
    And fly away

    J5IGBat
    Era iniziato tutto così, con una mano tesa verso l'altra. Il tempo passa, i mutamenti avvengono, e le situazioni si ribaltano. A porgergli la mano è lei, adesso. Ad aprirgli una strada verso l'ignoto, verso un nuovo inizio, è lei adesso. Buffo, come cambino repentinamente le cose. Buffo, come si è altrettanto veloci ad abituarsi. E infatti eccolo lì, Lucien, a stringerle la manina attraverso le proprie dita esili e gelide. Due mani strette l'una contro l'altra, bianco e nero, vita e morte. Il calore di lei diventa il suo calore per qualche momento, e di nuovo quelle scariche elettriche tornano a rinvigorirlo, a farlo sentire vivo, almeno un po', giusto un po'. Si alza dunque, lentamente, e senza lasciarla sguscia accanto a lei, sul letto, sopra le coperte. Rimane ai margini, senza infilarsi sotto le lenzuola, per non invadere il suo spazio, seppur ormai i centimetri che separano i loro due corpi siano decisamente pochi. Poggia la schiena contro la testiera del letto, distendendo le gambe sul materasso, e si adagia la mano di lei -stretta tra entrambe le sue- in grembo. « Non devi farlo più. » Se ne esce ad un certo punto, dopo un silenzio interminabile. « Negarti la felicità, intendo. Costringerti a non provare niente per nessuno. Non voglio che tu lo faccia, non è giusto che tu lo faccia. » Si volta a guardarla, mordicchiandosi il labbro inferiore, mentre le accarezza la mano con le proprie, appena più tiepide del normale. « Forse mi spezzerai il cuore, è vero. Ma io voglio che la trovi, quella felicità che meriti. Voglio che lo trovi quell'uomo che amerai con tutta te stessa, come sei sempre stata capace di fare, e che ti amerà a sua volta. Voglio vederti vivere in quella casa in campagna, con un cane, un gatto e due bambini. » Sorride appena, un angolo delle labbra che si piega verso l'alto. « Voglio che sorridi. Voglio che baci. Voglio che fai l'amore. Voglio che trovi finalmente tutto ciò che hai sempre cercato nelle persone sbagliate, in me, e che non ti è mai stato concesso. » Pausa. « Ho conosciuto un uomo, una volta. O meglio, la sua anima. Mi ha raccontato di sua moglie, dell'amore della sua vita. E' morta per dare alla luce il loro quattordicesimo figlio. Era una donna bellissima, gentile, pura, innocente. Quando è morta, suo marito le ha costruito un vero e proprio tempio, in suo onore. La tomba più monumentale che il mondo abbia mai conosciuto. Una lacrima di marmo ferma sulla guancia del tempo. Una costruzione che ancora oggi vive, e vivrà probabilmente per sempre. Bianca, come bianca era l'anima di sua moglie. » Come era la tua anima quando ti ho vista, per la prima volta. « Il suo obiettivo era di costruire una tomba anche per sè, nera, di fronte. Avrebbe collegato i due palazzi con un ponte d'oro, affinchè potessero stare assieme per l'eternità, persino dopo la morte. » Tu sei immortale, sei nel corpo di una creatura che può vivere per sempre e quando non si ha tempo né spazio, quando si può vivere per sempre, l'amore perde la sua sfumatura più bella: la sua mortalità e con essa la sua credibilità.« Hai ragione, io sono immortale. Ma non lo è forse anche l'amore? » Coloro che vivono d’amore vivono d’eterno. « Ho detto a quell'uomo, alla sua anima dannata, che sua moglie lì non c'era. Che probabilmente non sarebbe mai riuscito a raggiungerla, che poteva smettere di amarla inutilmente, e che la morte, alla fine, li aveva separati davvero. E mi ricordo ancora le sue parole. Chi è amato non conosce morte, perché l'amore è immortalità, o meglio, è sostanza divina. Chi ama non conosce morte, perché l'amore fa rinascere la vita nella divinità. Chissà, magari un giorno, se tornerai ad innamorarti, diventerai immortale anche tu. E chissà, magari quel giorno ci rincontreremo, finalmente nel posto giusto, al momento giusto, per dividere l'eternità, assieme. » Si stringe nelle spalle, mentre allunga un braccio, lentamente, quasi come a non volerla spaventare, per cingerle il corpo. Le accarezza la testa, in un tocco così delicato che stenta a riconoscere come proprio. Tra quegli stessi capelli ci ha arpionato le dita solo qualche giorno fa, tirandola con forza per poi gettarla giù da quella dannata torre. Su quello stesso viso che sta osservando in silenzio ormai da qualche minuto, ha sferrato più colpi, in quel moto di rabbia incontrollata. Allora distoglie lo sguardo, incapace di sostenere il peso di quelle sue azioni, senza però smettere di accarezzarla. « Vuoi dormire? Riposare ti farà bene, credo.. » Mormora, mordicchiandosi il labbro inferiore, in un tono apprensivo che decisamente poco si confà a..beh, tutto ciò che è sempre stato. « No, tranquilla, non mi infilerò sotto le coperte. Ammenochè tu non voglia svegliarti col raffreddore domani. » Ridacchia debolmente, mentre si muove un po', per sistemarsi meglio. « Dormi, e quando domani ti risveglierai, non sarà in un letto vuoto che lo farai, questa volta. » Te lo prometto.
     
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