Guess the loneliness came knocking

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    Difficile. Mantenere la calma risulta sempre più difficile, giorno dopo giorno, caos dopo caos. È difficile rimanere impassibili di fronte alla fame, al buio accecante, alla stanchezza incredibile e allo stress che provocano quel continuo stato d'ansia e tensione al quale tutti loro sono obbligati. È difficile trovare un momento per rilassarsi, scherzare, addormentarsi davvero senza svegliarsi di soprassalto con l'istinto di guardarsi intorno e controllare che sia tutto al proprio posto. Fa quasi ridere pensarci. Le cose, a Hogwarts, non sono al loro posto da mesi, ormai, eppure tutti loro - i sopravvissuti - sembrano aver trovato un posto tutto loro anche nella realtà parallela e terrificante nella quale sono stati catapultati. Una quotidianità: qualcosa per cui alzarsi, durante il giorno, e con cui tenersi occupati. Per distrarsi.
    A lei, solitamente, spettano le ronde. Cammina, cammina tutto il giorno, il sentiero illuminato dalla luce fioca della propria bacchetta e il cuore sempre un po' in gola, nella speranza che il prossimo corpo in cui si imbatterà contenga ancora vita. Paradossalmente, ha fatto in modo di imbattersi in più cadaveri dopo la svolta di Natale, che durante le trappole infernali che li avevano decimati all'inizio. Paradossalmente non si è ancora abituata del tutto a certe scene. Ognuno è diverso da quello precedente, l'ultima espressione fossilizzata sul volto è unica, le carni lacerate in un modo sempre nuovo. Ci sono volte in cui è costretta ad appoggiarsi da qualche parte e si ritrova a vomitare in un angolino, per l'orrore ed il disgusto. No, non ci ha proprio fatto l'abitudine a questo. Non è abituata nemmeno alle sorprese, a tutte quelle notizie incomprensibili che ha ricevuto negli ultimi giorni, all'idea di poter incontrare, da un momento all'altro, una versione diversa di sé stessa. A vedere i suoi amici soffrire, per cose più o meno gravi. A restare costantemente in bilico, a non poter pretendere, a desiderare sempre di più una normalità che sembra sfuggirle ogni istante dalle dita. Tutte le volte che la cerca, quasi disperatamente, ecco che arriva qualcosa - una lettera, un urlo improvviso, un altro corpo esanime tra i cespugli - pronta a strapparle anche quel piccolo angolo di pace che aveva provato a ritagliarsi. E in questi casi, in un momento normale, ricordando i suggerimenti saggi di suo padre, proverebbe a ricordarsi che c'è chi sta peggio, certo, che non ha nulla da lamentarsi, lei, perché ci sono persone che si ritrovano a vivere situazioni decisamente più orribili rispetto alla sua. E anche questa volta ci prova, davvero, a pensare ai meno fortunati, eppure non riesce a trovare alcun termine di paragone che possa valere. Sono loro quelli che stanno peggio. Non c'è scusa, modo per stringersi nelle spalle e guardare il bicchiere mezzo vuoto, perché, se proprio la si vuol dire tutta, quest'ultimo si è rovesciato del tutto, è caduto per terra e si è frantumato in mille pezzi. Tanti pezzi. Forse è solo questo quello che rimarrà di loro, se mai riusciranno a trovare un modo per scappare dal castello. Tanti piccoli cocci di vetro incapaci di essere messi assieme. Forse la vita fuori non sarebbe esattamente una passeggiata dopo un trauma del genere, si ritrova a pensare, ma per lo meno avrebbe da mangiare, o un letto caldo. Per lo meno avrebbe un attimo per dormire in pace.
    Sbadiglia, mentre percorre a due a due i gradini che portano al dormitorio femminile di Grifondoro, per poi dirigersi verso la stanza in cui sa di trovarla. Normalmente a quest'ora del giorno (ma si può davvero definire giorno, quello che vivono nel buio quasi totale?) andrebbe a cercare Sam, ma è da un giorno a questa parte - dall'arrivo della simpatica letterina della Lennox, ndr - che ha preferito, ecco, non proprio evitarlo, però evitare di intrattenere lunghe conversazioni con lui. Non che sia gelosia, la sua, per carità - quanto più un leggero fastidio per il quale preferisce concedersi un po' di tempo e qualche momento di distanza in modo da sbollire. E il momento allora le sembra perfetto per rompere un po' le palle alla cara Fawn, con la quale non scambia quattro chiacchiere da un bel po'.
    Spalanca la porta della stanza numero quattordici e non si preoccupa minimamente di fare piano, nonostante riesca a distinguere alla perfezione la sagoma dell'amica sotto le coperte di uno dei letti. « Rise and shine, tesoro! » dice a gran voce una volta entrata, e sarebbe tentata di spalancare anche le ante delle finestre, se solo non fosse certa di non poter trovare la luce del sole dall'altra parte. Ma il Lumos Maxima della sua bacchetta, per quanto non sia lo stesso, riesce per lo meno ad avere un effetto simile, tanto da disturbare gli occhi chiusi della giovane Grifondoro che pareva dormire beatamente - anche se Malia sa che non è così. Nessuno dorme beatamente di questi tempi. Ma per lo meno Fawn riesce in qualche modo a fingere. Non aspetta altro e si butta letteralmente di peso sul letto dell'amica, schiacciandole per sbaglio una gamba sulle prime, per poi sistemarsi meglio accanto a lei. Picchia un paio di volte con il palmo sulle coperte, come a voler attirare la sua attenzione. « Allora? Hai intenzione di stare in quella posizione ancora per molto? Non mi sembra molto educato nei miei confronti... » comincia a dire, mentre con una mano prende a frugare all'interno della propria borsetta a tracollo, mordendosi il labbro inferiore.
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    Qualche istante dopo ne tira fuori un cartoccio un po' mal ridotto, leggermente olioso, che le porge con un sorriso a trentadue denti. « ...specie considerato che ti ho portato da mangiare! Mezzo panino al prosciutto. E non mi chiedere da dove viene perché non lo so. » Ridacchia allora, scuotendo leggermente la testa e lasciando che la mora prenda la sua offerta, la cui provenienza, nonostante le indagini, resta ancora un po' oscura. « Me l'ha dato Sam, a cui l'ha dato Dean che ha contrattato con un Tassorosso che è amico di uno che ha preso le scorte di un tizio che c'è rimasto secco qualche giorno fa... E potrei essermi persa qualche passaggio nel mezzo. Ma io ho mangiato l'altra metà e sono ancora viva, quindi, insomma, non rischi l'avvenelamento, credimi. » Le sorride, per poi sistemarsi ai piedi del letto, incrociando le gambe, in modo da stare di fronte a lei. La luce bianca della bacchetta, in quel buio, comincia a infastidirle gli occhi, così, quando intercetta da lontano una serie di candele spente su una delle scrivanie della stanza, le accende con un incantesimo non verbale, per poi farle fluttuare in aria fino a loro, in modo da illuminare meglio i loro volti. Cenetta a lume di candela, pensa tra sé e sé, in modo sarcastico. È quasi romantico. Solleva lo sguardo sulla ragazza, per poi inarcare leggermente un sopracciglio quando nota un'espressione che non le piace parecchio. Si schiarisce la voce, prima di parlare. « Allora, che mi dici, Byrne? Ce lo togliamo subito questo muso triste oppure devo costringerti a vuotare il sacco con la forza? » Inclina leggermente il capo verso destra, guardandola un po' di sbieco. Una parte di lei immagina già cosa ci sia dietro a quella sua aria un po' afflitta, eppure è sempre stata una grande sostenitrice dello sfogo, dell'aprirsi completamente con gli altri e del lasciare che questi facciano lo stesso con lei. « Parla » la incoraggia allora, con un tono quasi più dolce. Ma Fawn sa benissimo che le scelte sono poche, ora, anche perché le maniere forti di Malia non sono proprio piacevoli.
     
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    « Rise and shine, tesoro! » Ti prego, non svegliarmi davvero. Non che stesse dormendo - dormire in quelle condizioni sarebbe stata una sfida per chiunque - ma aveva un'ottima ragione per fare finta. Prima che quel dormiveglia si abbattesse su di lei e le braccia di Morfeo la avvolgessero per - cos'erano state, un paio d'ore? - era letteralmente crollata. Non era ancora successo, non per davvero almeno, che scoppiasse a piangere così. Eppure quelle erano bombe destinate a scoppiare, prima o poi, avrebbe dovuto saperlo. E così, dopo aver passato delle ore a fissare il soffitto e basta, la tristezza aveva colpito con molto più vigore del solito. Le erano tornate alla mente, piuttosto improvvisamente, le ultime cose che lei ed Albus si erano detti, e lo sguardo si era spostato sul comodino, dove aveva poggiato quello che era stato il suo ultimo regalo. A quel punto avrebbe voluto poter dire di essere almeno riuscita ad alzarsi per sfiorarlo - sarebbe almeno stato scenico, in quel caso - ed invece no. Invece era scoppiata a piangere e basta. E ci aveva pure provato, a convincersi che fosse per la realtà sempre più pressante, per quel senso di costante angoscia e la pesantezza generale, ma sapeva benissimo, in fondo al cuore, che non fosse così. Le lacrime avevano preso a scorrere, inondale letteralmente le guance, semplicemente per quello schiacciante senso di impotenza e frustrazione. Per quanto volesse farsi forte, convincersi che la vita scorreva comunque, quella che gli ultimi avvenimenti avevano causato era una ferita vera e propria, che ancora non accennava a smettere di sanguinare. In mezzo agli altri, con delle persone attorno, diventava in qualche modo sopportabile: aveva delle distrazioni a portata di mano, poteva ancora rimboccarsi le maniche e fingere che andasse tutto bene. No, non fingere. Convincersene. Quando aveva a disposizione un modo per tenersi occupata, avva automaticamente una scusa per spingere quel dolore da parte e un modo per dirsi che l'avrebbe superata. E crederci, crederci davvero, perché semplicemente non era nella sua natura fare altrimenti. Era una che si rimboccava le maniche, la Byrne, e che tendeva a pensare al concreto prima dell'astratto. I problemi effettivi, quelli che poteva davvero risolvere, perciò, diventavano una priorità; quelli astratti, nella sua testa, passavano automaticamente in secondo piano e basta. Ma quando questi finivano, nel momento in cui avrebbe dovuto riposare, succedeva che gli stimoli esterni venivano semplicemente a mancare. E si trovava costretta a rimuginare e rimandare indietro bocconi di amaro e ondate di pensieri. Maggiormente rimpianti, cose che avrebbe potuto dire o fare in modo diverso. E poi c'era quel costante senso di perdita. E la confusione non indifferente. Ecco, quella notte era diventato tutto così schiacciante da far male, da pesarle effettivamente a livello fisico, e si era ritrovata a frignare nel cuscino come una ragazzina deficiente. Come la protagonista di un teen drama di serie b. Questo prima di crollare. Ed essere svegliata da niente di meno che Malia Stone. La quale, per la cronaca, non sembrava minimamente intenzionata a bersi quel suo teatrino, a giudicare da come si le si era catapultata addosso. Questo senza considerare la luce che inondava la stanza, ovviamente. « Allora? Hai intenzione di stare in quella posizione ancora per molto? Non mi sembra molto educato nei miei confronti... specie considerato che ti ho portato da mangiare! Mezzo panino al prosciutto. E non mi chiedere da dove viene perché non lo so. Me l'ha dato Sam, a cui l'ha dato Dean che ha contrattato con un Tassorosso che è amico di uno che ha preso le scorte di un tizio che c'è rimasto secco qualche giorno fa... E potrei essermi persa qualche passaggio nel mezzo. Ma io ho mangiato l'altra metà e sono ancora viva, quindi, insomma, non rischi l'avvenelamento, credimi. » Si arrese, la Byrne. « E che al mercato mio padre comprò non ce lo metti? » Le chiese, prima di tirarsi su a sedere. Si allungò a prendere il panino, lo sguardo ancora basso, sebbene avesse tentato un debole sorriso. Sapeva di avere un aspetto orribile. Lo sapeva, come sapeva che nessuno dovesse esserci abituato - non con lei - e un po' se ne vergognava. Non per Malia, chiaro, di lei si fidava ciecamente. Era proprio la situazione generale a farla sentire un'idiota. Provava, in quel momento, un discreto astio nei confronti della propria umanità e quindi anche di quelle emozioni. Non c'era abituata, la Grifondoro, a gestire tempeste emotive di quell'entità. Non era abituata a sentire tante cose negative e dolorose e non sapere cosa farne. In uno scenario analogo, e Malia lo sapeva bene, in genere era lei quella che andava a controllare che gli altri se la stessero cavando. Ed era strano essere quella a letto, con gli occhi rossi e i capelli scompigliati. Era strano essere così vulnerabile.
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    « Sicura di non volerne ancora un po'? » Le chiese, approfittando di quell'attimo di silenzio. Dannazione, aveva proprio la voce di quella che aveva passato la notte a frignare. Soffocata, debole, più bassa del solito. Odiava, da una parte, che il suo corpo potesse volerle fare quello sgarbo e tradirla così. « Allora, che mi dici, Byrne? Ce lo togliamo subito questo muso triste oppure devo costringerti a vuotare il sacco con la forza? » Si trovò a mordersi il labbro inferiore. Non poteva dire che quella domanda l'avesse colta alla sprovvista né poteva certo affermare che le dispiacesse - di nuovo: per quanto strano fosse, era bello rendersi conto che l'amica si fosse preoccupata per lei - ma... Ma cosa? « Parla » Alzò lo sguardo sulla compagna. E negli occhioni verdi della Byrne, in quel momento, si agitavano una serie di emozioni contrastanti e vivide: figurava la vulnerabilità più assoluta, un pizzico di imbarazzo, persino un'ombra di scuse per essersi ridotta in quel modo. C'erano anche quel dolore che pensava di essere riuscita a sopire, la confusione e quel desiderio di tenersi tutto dentro fino a scoppiare. Ma poi c'era pure la gratitudine. Grazie di non avermi lasciata sola. Un ringraziamento che non aveva ancora elaborato ad un livello conscio, ma che era ben presente. E la cosa peggiore è che tutti quei sentimenti erano letteralmente troppo da contenere. E che gli occhi le si erano di nuovo velati di lacrime mentre si mordeva il labbro con più ferocia. Non voleva piangere. Ne ho davvero il diritto, io, di frignare? Non lo sapeva. Ma il dolore era tornato. E sapeva di non potersi nascondere dietro un dito, a quel punto. « Sicuramente lo sai già. » Cominciò debolmente. Non era un modo per scacciarla, il suo, semplicemente non voleva ripetere tutta quella storia che sapeva bene tutta Hogwarts avesse avuto modo di rimasticare e rendere in qualche modo proprio. « Mi fa male. » Continuò con lo sguardo basso, fisso sulla coperta. Di riflesso andò a tormentarla con la mano libera, quasi trovarsi qualcosa da fare potesse effettivamente aiutarla a trovare un modo per dare voce a quello che sentiva. Ecco: il problema era che sentiva fin troppe cose, e le sentiva troppo vivide, ma sembravano restarle incastrate in gola. « Non... non fraintendere, io... una parte di me pensa che sia meglio così. Preferisco saperlo davvero felice con qualcun altro che per metà con me, e me lo sto ripetendo ogni giorno che andrà meglio, che... che starò meglio. » Sollevò lo sguardo su Malia e si rese conto di non riuscire a vederla chiaramente: stava per piangere. « Ma sono confusa. E fa male. Il modo in cui è successo, il fatto che sia successo, e... anche non esserci capiti, a quanto pare. » Di nuovo, si trovò a pensare a quell'ultimo incontro sulle scale. Le si strinse il cuore. « Scusa, io... » Sono un'idiota, lo so. Si passò una mano sulla guancia, catturando una lacrima un attimo prima che diventasse effettivamente visibile. « Tu come stai? » Cercare di distogliere la tua attenzione: fatto.
     
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    « Sicura di non volerne ancora un po'? » Malia scuote la testa con una certa decisione, una nota di compassione che aleggia sul suo volto nel momento in cui si accorge della voce roca e stanca della ragazza, come quella di chi ha passato un po' di tempo a piangere. Istintivamente, con quel fare quasi materno che in realtà poco le appartiene, allunga una mano per accarezzarle il ginocchio, da sopra le spesse coperte, con delicatezza. Non è bello vedere l'amica tanto abbattuta, con gli occhi gonfi e rossi, i capelli arruffati e l'aria così stanca. Quella non è per niente la Fawn che conosce lei, non è la ragazza frizzante che ha sempre un sorriso sulle labbra e che è in grado di sollevare l'umore di tutti, qualunque cosa accada. E per quanto la giovane Grifondoro possa tentare di farla star meglio, sa bene che certe cose non vanno via con facilità. « Sicuramente lo sai già. » Sospira, piano. Ovviamente sa già tutto, così come ne è a conoscenza quasi l'intera popolazione del castello. La fa quasi ridere il pensiero che anche in un momento drammatico come quello che stanno vivendo i pettegolezzi siano in grado di diffondersi a macchia d'olio con tanta rapidità; ma d'altra parte non pensa nemmeno avrebbe potuto essere altrimenti, non con una notizia del genere.
    « Diciamo che mi è giunta voce. » Annuisce piano, stringendo le labbra in un'espressione indecifrabile. Ovviamente sa già tutto. Ed è già un miracolo che non sia andata a cercare Albus per prenderlo a schiaffi, si ritrova a pensare tra sé e sé. Questo non lo dice, però, sia perché vuole evitare di alimentare eventuale accanimenti (credeteci o no, ogni tanto perfino lei sa mostrare segni di una certa maturità), sia perché il suo disappunto nei confronti di Albus non c'entra niente con la sofferenza di Fawn. Quella, se ne rende conto, non è altro che un effetto collaterale per il quale non può, ma soprattutto non vuole giudicarlo: per quanto le dispiaccia che sia stato in grado di far star male una delle sue migliori amiche, Fawn si ritrova, in questa situazione, nella medesima posizione in cui avrebbe potuto stare qualunque altra ragazza a caso. E per questo la giovane Stone fa uno sforzo, mentale, di tenerla al di fuori dei suoi ragionamenti al riguardo. Albus quegli schiaffi se li sarebbe meritati, dal suo punto di vista, per altri motivi, ai suoi occhi ben più validi: per aver fatto star male Fred, e aver scelto di rubargli, di punto in bianco, l'unica persona a cui tenesse più di tutto. Per aver ignorato il legame di cugini e migliori amici che li univa, cosa che, agli occhi di Malia, era completamente inaccettabile. Ma Fawn in tutto questo non c'entra. Fawn è solo un effetto collaterale: uno con gli occhi gonfi e l'espressione distrutta, ma pur sempre qualcosa di accidentale, qualcosa per cui Albus non può essere incolpato - non da Malia, per lo meno.
    « Mi fa male. » Sentire quelle parole, pronunciate con quel tono, a sguardo basso, quasi vergognoso, le fa sciogliere il cuore. « Non... non fraintendere, io... una parte di me pensa che sia meglio così. Preferisco saperlo davvero felice con qualcun altro che per metà con me, e me lo sto ripetendo ogni giorno che andrà meglio, che... che starò meglio. » Risponde con qualche cenno d'assenso, rivolgendole un debole sorriso e allungandosi sul letto per stringere la sua mano nella propria. Ne è convinta, che starà meglio, e vuole farglielo capire: perché, checché se ne dica, per quanto possa essere un cliché o una frase fatta, è vero che il tempo riesce a guarire tutte le ferite. È vero che si impara, piano piano, a rialzarsi nonostante tutte le cadute, è vero che si dimentica, a un certo punto. E si perdona. « Ma sono confusa. E fa male. Il modo in cui è successo, il fatto che sia successo, e... anche non esserci capiti, a quanto pare. » Non è difficile rivedere se stessa, nell'amica: quante volte si è ritrovata in quella medesima situazione, sepolta da uno spesso strato di coperte, con le guance bagnate di lacrime e nessuna voglia di uscire o proferir parola. Anche lei, come Fawn, tante volte è stata vittima di quel brutto fardello, dell'aver frainteso qualcosa. Anche lei, troppo spesso, si è ritrovata col cuore in pezzi, a sentirsi devastata non tanto dagli avvenimenti in sé, quanto più dalle cattive interpretazioni che lei aveva creato di tutto. A sentirsi vittima e carnefice insieme, a darsi tutte le colpe di situazioni in cui forse la colpa non l'aveva nessuno. A odiare e amare una persona contemporaneamente.
    Sospira. « Fawn... » comincia a dire, un po' titubante, ma è proprio la ragazza a frenarla, con la sua ultima richiesta, che un po' la fa sorridere. È quasi divertente come cerchi di distogliere l'attenzione da sé, nascondendosi dietro ad una domanda di circostanza. Sono tanti i modi in cui Malia potrebbe rispondere: in questo momento le cose, nella sua vita, vanno bene, benissimo, male, malissimo - a seconda della prospettiva. Se si considera il fatto che è bloccata da mesi dentro al castello e rischia ogni giorno la vita, ad esempio, il panorama non è di certo tra i più rosei. Eppure si potrebbe contestare la cosa parlando di altri aspetti della sua vita, che sembrano andare decisamente meglio. Sospira brevemente, stringendosi poi nelle spalle. « Le cose... vanno avanti. Ci sono giorni in cui detesto tutto quanto, e altri in cui ho voglia di fare tante cose. Non so dirti, forse sono un po' schizofrenica, ma non cambiamo il discorso. » Le rivolge uno sguardo eloquente, entrambe le sopracciglia inarcate, prima di alzarsi dal letto, unicamente per posizionarsi al suo fianco. Solleva le coperte senza fare troppi complimenti e si accomoda accanto alla mora, appoggiando la schiena alla testiera del letto. Una volta sistemata, fa passare un braccio oltre le spalle della ragazza, lasciando che si appoggi alla sua spalla. Sa bene che non può fare molto, ora come ora, per farla stare meglio, ma - e questo lei l'ha provato sulla propria pelle - in questi casi l'abbraccio di un'amica è importantissimo. « Mi dispiace così tanto... » le sussurra, piano, con tutta la sincerità del mondo. Aveva assistito all'evolversi della storia di Fawn e Albus e, per quanto avesse notato la felicità dell'amica, una parte di lei aveva potuto presagire che le cose non sarebbero andate nel migliore dei modi. Scocca alla ragazza un bacio affettuoso sulla tempia, prima di ricominciare a parlare, mentre sfrega con una certa energia la mano sul braccio di lei. Come se le carezze potessero guarire i lividi. « Non voglio farti la paternale, Fawn, e non voglio dirti "te l'avevo detto" perché, in verità, non l'ho fatto. Forse non ho avuto il cuore di farlo quando mi hai raccontato cos'era successo con Albus, ma avrei dovuto. Penso che una parte di me ci sperasse, un po', che le cose si evolvessero in un'altra maniera. Perché, insomma, niente contro la Carrow o la Branwell, ma tu sei proprio su un altro livello. » Le sorride, dandole un leggero buffetto sulla guancia. Prende poi un lungo sospiro. « Ma la verità... è che io e te siamo proprio uguali, Fawn. Ci tuffiamo a capofitto nelle cose, a occhi chiusi, senza accertarci prima che ci sia qualcosa ad attutire la caduta, o qualcuno a prenderci. E alla fine battiamo la testa. » Impossibile negare quel loro carattere comune. E forse a Fawn qualcosa del genere non era capitato prima, ma Malia ne ha vissute tante, fin troppe, situazioni di questo genere, anche del tutto involontariamente. Ricorda vividamente la delusione provata la sera del ballo di Halloween, o il dolore che seguiva sistematicamente tutte le volte in cui la sua mente si convinceva di qualcosa che non esisteva, o che era ben lungi dall'accadere. Ha preso così tante brutte botte, Malia, che a un certo punto ha smesso di sognare agli occhi aperti, e di credere alle promesse fatte, anche quando sembrano cominciare a valere qualcosa. « E io non ti dico che ho imparato la mia lezione, che fare questo genere di errori non capita più... Continuerò a essere avventata, perché è nella mia natura, così come lo è nella tua. Continuerò a urtare e a farmi male, e forse anche a credere in cose che non possono avere una fine felice. » Sospira, stringendosi nelle spalle. Forse ci sta credendo anche ora, in qualcosa che un finale felice non l'ha mai avuto; forse sta continuando ancora a illudersi che sia così, anche quando non lo è. Incontra gli occhi scuri della ragazza, e le rivolge allora un mezzo sorriso. « Credimi Fawn, e non perché sono saggia né esperta, ma semplicemente perché ci sono passata anch'io: passerà. Non è solo qualcosa di cui cerchi di convincerti da sola, è la verità. Andrà sempre meglio, te lo prometto. E presto troveremo un modo per uscire da questo posto, e avremo modo di ubriacarci e annegare nell'alcol tutti i nostri dispiaceri. » Le sorride, con fare incoraggiante, mentre le dà un'amichevole gomitata.
     
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    « Le cose... vanno avanti. Ci sono giorni in cui detesto tutto quanto, e altri in cui ho voglia di fare tante cose. Non so dirti, forse sono un po' schizofrenica, ma non cambiamo il discorso. » Tentativo fallito. Come previsto, e come alla fine era giusto che fosse, non era riuscita a distrarre l'amica. Malia Stone non era stupida e la conosceva fin troppo bene per abboccare a quel genere di amo. Diciamocelo: lo vedrebbe anche un cieco,
    che sono in condizioni oggettivamente pietose.
    Già: capelli arruffati, l'aria di chi le ultime ore le aveva passate a frignare e la voce rotta. Tutti elementi che a Fawn Byrne, normalmente, erano del tutto estranei. Lo sapeva l'amica e lo sapeva pure lei. E, proprio perciò, da una parte detestava essere stata colta in flagrante. Eppure, lo sapevano bene entrambe, se doveva proprio spogliarsi del proprio orgoglio, preferiva decisamente farlo in sua presenza. Se proprio doveva essere beccata in quelle condizioni, con gli occhi arrossati e l'aria distrutta, preferiva che fosse Malia a prendersi cura di lei. E lo sapeva, nonostante le piacesse immensamente fingersi impossibile da scalfire, di aver bisogno di contatto umano. Di poter essere fragile, di poter dar voce a tutto quello che le passava per la testa senza preoccuparsi delle conseguenze, senza dover temere che quelle parole facessero il giro del castello. Non disse niente. Si passò nuovamente la mano sul volto, nell'ennesimo tentativo di smetterla di fare la ragazzina - sebbene lo fosse a tutti gli effetti, una ragazzina - ed ignorare quel nodo alla gola. E, sebbene non avesse proferito parola, nello sguardo, per appena un attimo, passò l'ombra di quelle che dovevano essere scuse. Non tanto perché sentisse di essere un disturbo, ma perché era chiaro che non fosse esattamente quello, il momento giusto per star male per un ragazzo. O qualunque altra ragione, in realtà. E Malia, che la conosceva ormai da anni, doveva saperlo piuttosto bene quanto detestasse la sola idea di non essere semplicemente in grado di ignorare tutta quella situazione; avrebbe pagato oro per riuscire ad essere la creatura solare di sempre. Ed invece si era rintanata nella propria stanza, al buio. E un po' se ne vergognava. Non era mai successo prima, non in una situazione tanto grave, che la Grifondoro non riuscisse a chiudere in un cassetto i propri demoni e pensare al problema più grande. E diamine se ne avevano, di problemi ben più grandi. Però... però c'era qualcosa di rassicurante nel rendersi conto che Malia vedesse. Che la vedesse. E che si fosse preoccupata abbastanza da irrompere nella sua bolla per impedirle di affogarci, in qualsiasi cosa la stesse affliggendo al momento. Era come una ventata d'aria fresca. Era rendersi conto di non essere sola. Fawn, per la verità, non aveva mai temuto la solitudine in quanto tale, ma neppure aveva mai avvertito un bisogno tanto viscerale di trovarsi dall'altra parte. Di essere, per una volta, la destinataria diretta delle cure di qualcuno. Era un desiderio estremamente egoista vista la situazione generale, se ne rendeva conto, ma al contempo si sentiva troppo fragile per tirarsi in piedi con le proprie forze, in quel momento. Così tanto stoica non lo era ancora. Proprio per questo si spostò un po' per fare spazio alla mora e lasciò che le posasse quel bacio sulla tempia senza fiatare. Senza riderne come avrebbe fatto di solito, senza sminuire il tutto con una battuta. Perché si rendeva conto di non poterlo imboccare, quel sentiero. Sarebbe stato non soltanto ipocrita, ma anche doloroso. Tutto, di lei, sembrava urlare prenditi cura di me. « Non voglio farti la paternale, Fawn, e non voglio dirti "te l'avevo detto" perché, in verità, non l'ho fatto. Forse non ho avuto il cuore di farlo quando mi hai raccontato cos'era successo con Albus, ma avrei dovuto. Penso che una parte di me ci sperasse, un po', che le cose si evolvessero in un'altra maniera. Perché, insomma, niente contro la Carrow o la Branwell, ma tu sei proprio su un altro livello. »
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    La Byrne sbuffò una mezza risata. « Sappiamo entrambe che sarebbe stato inutile in ogni caso. » Sussurrò. Ed era una constatazione priva di amarezza o sarcasmo. Era onesta. Sarebbe stato un arrampicarsi sugli specchi, pensare che un ammonimento di sorta avrebbe potuto fermarla. Se proprio doveva dirla tutta, ed era una cosa che entrambe le persone presenti in quella stanza semibuia sapevano, era molto più probabile alimentasse il malsano desiderio di dimostrare il contrario. Lo sai come sono fatta: devo sbatterci la faccia o non sono contenta. E stavolta, la faccia ce l'aveva sbattuta anche forte. Un po' perché non aveva mai pensato, per via di quel suo innato ottimismo, che il tutto potesse finire in maniera tanto brusca e così in fretta e un po' perché, prima di allora, aveva sempre avuto la tendenza ad evitare l'idea stessa di una relazione seria. Innumerevoli, gli scherzi volati a proposito. Altrettante le volte in cui le era stato detto, o lei stessa aveva insinuato, che fortunatamente non era nata maschio, altrimenti sarebbe stata il classico stronzo. Tuttavia non l'aveva mai fatto davvero per cattiveria. Semplicemente, per natura, era incapace di fingere e non era mai scattata la scintilla. Lo sapeva lei, ed in genere ne veniva informata, prima o poi, anche la sua controparte. Quello era un territorio nuovo, un terreno inesplorato. Qualcosa che le era stato tolto troppo presto perché potesse comprenderne pienamente la natura, ma che l'aveva toccata abbastanza in profondità da sconvolgerla. « Ma la verità... è che io e te siamo proprio uguali, Fawn. Ci tuffiamo a capofitto nelle cose, a occhi chiusi, senza accertarci prima che ci sia qualcosa ad attutire la caduta, o qualcuno a prenderci. E alla fine battiamo la testa. E io non ti dico che ho imparato la mia lezione, che fare questo genere di errori non capita più... Continuerò a essere avventata, perché è nella mia natura, così come lo è nella tua. Continuerò a urtare e a farmi male, e forse anche a credere in cose che non possono avere una fine felice. » Si trovò ad accarezzare a sua volta il braccio di Malia. Lasciò che continuasse, non l'interruppe ancora. « Credimi Fawn, e non perché sono saggia né esperta, ma semplicemente perché ci sono passata anch'io: passerà. Non è solo qualcosa di cui cerchi di convincerti da sola, è la verità. Andrà sempre meglio, te lo prometto. E presto troveremo un modo per uscire da questo posto, e avremo modo di ubriacarci e annegare nell'alcol tutti i nostri dispiaceri. » Solo una volta certa che la mora avesse finito il suo discorso, Fawn la guardò di nuovo. Sollevò i grandi occhi verdi nei suoi, prese un enorme sospiro, e si preparò mentalmente ad affrontare il fiume di parole che premeva per uscire. « Credo che tu, una cosa che abbia una fine felice, ce l'avrai. » Disse con una certa decisione. Un contrasto, con la fragilità di appena pochi minuti prima. Ma non era questa, la vera natura di Fawn Byrne? Una serie di contrasti ben incastrati tra loro? « Perché te la meriti. E il futuro si fa nel presente, passo dopo passo, ed è per questo che da un lato è inutile stare a pensarci troppo. Anche se mi rendo conto di non essere la persona più credibile del mondo, in questo momento... » Fa quasi ridere che sia io a dirlo. «... e capisco che non pensare al futuro, a come andranno le cose, sia molto difficile. » Più che difficile era impossibile, se ne rendeva conto, perché quella di progettare e sperare erano tendenze umane. Eppure, in fondo al cuore, proprio perché si trattava di Malia Stone e non di una stronza a caso, sapeva per certo che la sua fetta di gioia ce l'avrebbe avuta. Era leale, onesta, coraggiosa. Era una buona amica. Era affidabile, sapeva quando essere seria e quando smettere di farlo. Ma, più di tutto, aveva in sé quel calore umano e quella tenacia soltanto suoi, che ricordavano tanto la natura di una fiamma. E non esisteva, nell'ottica della Byrne, che qualcosa di fiero come il fuoco, non trovasse la propria strada o qualcuno da scaldare. Sì, qualcosa di bello, lei, l'avrebbe sicuramente avuto. Le sorrise. « Però, se penso al futuro, proprio non ti vedo infelice. » Le rivolse un altro sorriso, tinto di un tacito incoraggiamento. « È che io, tra tutte le persone, proprio non me lo sarei mai aspettato di trovarmi in questa posizione. » Lo disse improvvisamente, dopo qualche secondo di silenzio. Diede voce a quel pensiero pur non sapendo bene dove volesse andare a parare. Lo esternava nella piena consapevolezza di dar prova sia di una certa ingenuità che di altrettanta presunzione, in un certo senso. « Non così in fretta, quantomeno, e non con Albus. » Un'altra ammissione. Fece un po' male, si trovò a reprimere una smorfia, ma la verità era quella. Non poteva inventarsene un'altra. Si era sempre fregiata di saperle fiutare, le fregature, ed in effetti fino ad allora era andata benissimo, ma quella volta aveva fallito. E, nonostante la confusione, proprio non riusciva a puntare il dito e dare colpe. Perché, come aveva ormai ribadito infinite volte, non ce n'erano. Il problema era stato il modo, le circostanze, ma non poteva mentire a sé stessa tanto spudoratamente da affermare che non fosse stata fatta la scelta migliore. « Sai cosa mi urta di più? Il fatto che razionalmente capisco tutto. » Sbuffò una mezza risata cinica, scostando una ciocca di capelli dal viso per portarla dietro l'orecchio. « E riconosco pure che abbia fatto la scelta più giusta. Il modo sarà stato orrendo, tutto quello che vuoi, ma a lungo termine è la cosa migliore per tutti. » Fece una pausa, incerta se tagliare corto o meno. Decise di non farlo. Per una volta che parlo, tanto vale dire tutto quanto. « Di questo gli sono grata. Su questo punto, per quanto ci sia andata io stessa di mezzo, alzo le mani. Ma mi do fastidio da sola. » Si morse il labbro inferiore, incerta su come continuare. Non aveva mai imparato, in tutti quegli anni, ad esternare davvero le proprie insicurezze. Perché a dirle ad alta voce, temeva potessero diventare ridicole. « Ti ho mai detto di essere stata io, a spingere perché i miei divorziassero? Ad un certo punto mio padre aveva semplicemente smesso di essere una persona. Era diventato la sua ossessione, punto e basta. E quest'ultima, come puoi immaginare, era mia madre. Che, chiaramente, gli metteva corna su corna, e quello scemo che aspettava chissà cosa. Probabilmente ancora aspetta.» Non sarebbe stato difficile fare due più due, da quel punto in poi. Non per Malia. Bastava sommare il suo astio per la madre, la fretta che aveva di tornare a casa, ogni volta, ed il fatto che avesse sostanzialmente fatto la vita di un pacco postale. Non c'era bisogno di entrare nei dettagli, ne era certa, perché la Stone si spiegasse l'autonomia dell'amica, o il suo approccio alle relazioni generali. E, a quel punto, la ragione per la quale, in fondo, ad Albus era grata. Non era arduo, prendendo tutti i fattori, ottenere l'immagine di una piccola Fawn che si fa carico di tutto. « Ed è per questo che mi sto profondamente sul cazzo. Perché so che questa è la cosa migliore, ma come vedi - eccomi qui. Mi sono state date tutte le spiegazioni del caso, ma io sono ancora qui che a volte non ho la forza di smettere di piangere. Solo per questo, mi prenderei a ceffoni da sola. Perché non ha senso stare male. Cioè - non potrei nemmeno dirti che, tornando indietro, gli chiederei mai di restare. E nemmeno vorrei tornasse, non in quel frangente... Non ha senso. Non ho senso. » Sospirò pesantemente, prima di riportare lo sguardo sull'amica. Mi dispiace ti tocchi vedermi così. Mi dispiace davvero.

    Edited by hanaemi} - 6/3/2018, 03:28
     
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3 replies since 20/2/2018, 11:32   124 views
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