Flesh and blood

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    Ministero della Magia
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    L'ha incontrato un pomeriggio, in modo del tutto casuale - o, per lo meno, crede che si trattasse di un pomeriggio, in base alla scansione delle giornate che c'è nella sua testa. Si era immaginato tante cose su di lui, prima. Si dice che siano solitamente crudeli, pronti a torturare chiunque, abili bugiardi, senza scrupoli: le storie degli altri lo avevano fatto sperare ardentemente che i suoi passi non s'incrociassero mai con quelli di qualcuno di loro, perché gli era sembrata un'esperienza tutto fuorché piacevole; anzi, decisamente terrificante. Ha sempre pensato che deve esserci un che di aberrante nel guardare qualcuno che ha le medesime proprie sembianze, che non sia il risultato di un riflesso. Che abbia un'anima a sé stante. E lui, per tutte queste ragioni, il suo doppio ha sperato di non incontrarlo mai, in giro per il castello, seppur scoprendosi, di volta in volta, a cercarlo. Ovunque andasse i suoi occhi chiari perlustravano gli ambienti con premura, e non solo affinché scorgessero per tempo eventuali pericoli da evitare, no: c'era una sorta di curiosità mista alla titubanza del suo sguardo, un desiderio latente di vedere, scoprire di più, conoscere. Come se in ogni momento si aspettasse di trovarselo davanti, con gli occhi chiari e addosso un'espressione che non era capace di visualizzare mentalmente con la propria fantasia, come se ogni passo compiuto potesse condurlo alla perfetta occasione e alla sciagura più grande, contemporaneamente.
    E alla fine l'ha incontrato, quel pomeriggio mentre ritornava verso il castello, poco lontano dalla capanna del Guardiacaccia. Non appena l'ha riconosciuto, che avanzava sicuro alla volta della foresta, ha impugnato la bacchetta tra le dita, pronto a difendersi da un eventuale attacco. E come uno studioso osserva il comportamento di un animale selvatico, lui, seminascosto dietro al tronco di un albero, l'ha guardato camminare, ha studiato con attenzione le sue movenze e l'andatura del suo passo, nella disperata ricerca di un qualcosa che gli fosse familiare. Per poi scoprire, in un'amara sorpresa, che almeno in apparenza non c'era nulla che differisse da lui; che guardare la sua copia era come uscire dal proprio corpo e guardare se stesso da lontano, e che, fatta eccezione per qualche minima differenza, nemmeno lui avrebbe potuto essere in grado di riconoscersi. E poi l'aveva visto. Ad un certo punto, come attirato improvvisamente da un richiamo inudibile, quel fantasma di lui aveva arrestato il proprio passo, e si era voltato nella sua direzione, puntando i suoi occhi spiritati in quelli di Nate. Ed erano tante le storie che aveva sentito, circa questi elementi, della loro crudeltà e del loro essere incredibilmente spregevoli, di quell'indomabile desiderio di caos che guidava le loro azioni; ma Nathan, nel perlustrare quei lineamenti, non ha saputo trovare niente di tutto questo. Ha notato solo il sorriso beffardo e quegli occhi accesi e vivaci. Gli ha rivolto un solo, rapido sguardo, e anche in quell'attimo gli è parso di rivedere se stesso: più sereno, più in salute, ma pur sempre se stesso. È stato come guardarsi allo specchio, e trovare in quella superficie una versione di sé quasi migliorata, spensierata, felice. Quello non era altro che il Nate di qualche mese prima. Lui lì ci stava bene, nel suo habitat naturale. Aveva sul volto la tranquillità e la sicurezza tipica di un Douglas, e la sfrontatezza di chi è consapevole di non sbagliare una mossa. Un Dio. Con quel viso angelico e le intenzioni peggiori, pronto a mostrare una diversa versione di sé in base alla convenienza del momento. E lì, in quell'istante, quel Nate fasullo pareva innocente, del tutto inoffensivo, ma conservava negli occhi quella scintilla che preannunciava il pericolo. Per un momento ha quasi fatto per avvicinarsi, il giovane Douglas, deciso a vederlo più da vicino, ma non ha fatto in tempo a muovere un passo che l'altro si è voltato di botto, come se non l'avesse nemmeno visto, e ha ripreso a camminare per la propria strada. Del tutto disinteressato a lui. Probabilmente diretto a torturare qualcuno in sua vece, oppure, chissà, rubare le loro scorte di cibo.

    C'è stato un momento, più o meno tra Natale e gli inizi di Febbraio, in cui Nate Douglas ha smesso di sentirsi quel Dio che credeva di essere. Non è del tutto certo di quale possa essere stato l'elemento scatenante che l'ha portato a questa conclusione così lontana dalla sua linea di pensiero di una vita, se la scomparsa di Ares, il litigio con Percy, quello con Amunet o se il suo sprofondare improvviso nell'abisso di quella oscurità in cui tutti loro erano piombati, o ancora il pericolo costante che erano costretti ad affrontare giorno dopo giorno. Fatto sta che, a un certo punto, come un diluvio improvviso in una giornata di fine Agosto, la verità è arrivata ad irrompere nella vita del ragazzo, gravando sulle sue spalle con il peso che solo una rivelazione così destabilizzante può avere. E ha scoperto, pian piano, di essere mortale, nel senso più spicciolo: fatto di carne, sangue e debolezze, le stesse che erano riuscito a guidarlo, e che l'avevano allontanato da tanti. Ha scoperto che da soli si può vivere, è vero, ma la sopravvivenza è un'altra cosa. Quella richiede necessariamente l'aiuto reciproco, e la condivisione, alla fine di tutto. Perché homo homini lupus fino a quando non arriva il pericolo mortale. Fino a quando non ci si ritrova a temere davvero per la propria vita, e non si capisce che bisogna appoggiarsi a qualcun altro per andare avanti.
    Per questo motivo a un certo punto l'atteggiamento di Nate Douglas ha subito una sorta di cambio di rotta, e il giovane, di punto in bianco, ha cominciato quasi a rendersi utile, saltuariamente.
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    Ha smesso di rimanere arroccato nel proprio eremo e ha cominciato a guardarsi intorno, davvero: a cercare un modo di aiutare, un minimo - senza mai esagerare, ovviamente. E non tanto perché mosso da un istinto altruistico, questo è ovvio, quanto più perché ha capito che non esiste modo migliore per rimanere vivo, lì dentro. E allora di tanto in tanto aiuta qualcuno a preparare qualche pozione, cura le ferite marginali di chi non è in grado di farlo da sé. Ha trovato un ragazzo ferito, appena una mezz'ora addietro, e si è perfino preso la briga di accompagnarlo dall'infermiera perché fosse medicato. Gesti così fuori dalle sue abitudini che ci si chiederebbe se sia davvero lui, quel ragazzo che a volte si presta a dare una mano, con l'aria sempre un po' scocciata e lo sbuffo esasperato pronto sulle labbra, se non sia un altro al suo posto.
    « Ci pensi mai ad uscire fuori? » si scopre dire ad un tratto, quello stesso pomeriggio, a Greg. Dopo un lungo silenzio, la bacchetta puntata a illuminare le rive del lago, sospira pensieroso. L'alioto dovrebbe crescere spontaneo in queste zone, ed essendo lui e Greg le uniche persone disponibili, sul momento, che avessero delle nozioni sufficienti di Erbologia per svolgere questa mansione, si sono, come dire, sacrificati per la causa. Si morde leggermente il labbro, il moro, mentre ispeziona più da vicino un altro cespuglio, per poi riconoscervi per l'ennesima volta una serie di erbacce inutili. « Intendo... pensi a come sarà uscire da qui, se mai succederà? » si spiega meglio qualche istante più tardi, questa volta guardando il ragazzo. Si stringe nelle spalle, per poi distogliere lo sguardo e compiere qualche altro passo nella direzione opposta, l'aria vagamente distratta. « Non so perché, ma la sola idea mi mette una certa ansia. Non sappiamo nemmeno che cosa sta succedendo là fuori, né come stanno i nostri familiari. È passato così tanto tempo che... » si stringe nelle spalle, quasi confuso dalle sue stesse parole, incapace di esprimere al meglio i concetti che gli frullano per la testa. Se li immagina tutti: suo padre, la Ministra, i Greengrass, la signora Carrow, i Montgomery, i Sanders, perfino gli Olivander. Che staranno facendo, là fuori? Staranno continuando la loro battaglia per riaverli indietro o avranno deciso di rassegnarsi, a un certo punto, di fronte ad una guerra persa in partenza? Si ritrova a prendere un grosso respiro, per poi espirare lentamente. « Tu credi che si stiano ancora battendo per noi, Greg? » Nonostante il buio più totale? Nonostante le difficoltà? Nonostante il tempo?
     
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    Una discrasia da brivido oramai gravava sulla testa dei pochi che erano riusciti ad arrivare a questo punto della storia, sfidando ogni pronostico. Era la notte perenne a far arrugginire ogni ingranaggio, era la perenne e netta percezione della dicotomia che esisteva tra lo scorrere del tempo e l'impressione che il tempo, al contrario, non passasse mai. Greagoir ne aveva perso il conto, non aveva la più pallida idea di che ora potesse essere fuori dalla cupola di oscurità che aveva circondato Hogwarts e che, allo scoccare del nuovo anno, si era fatta più fitta e terribile. Lo scorrere del tempo era scandito dalla stanchezza che lo faceva crollare e dal risveglio, sempre uguale, sempre visto come un dono del cielo. Aperti gli occhi, nulla era cambiato, tutto era rimasto così maledettamente statico e soffocante e da lì, un nuovo giorno sarebbe iniziato. Il calendario veniva metaforicamente segnato dai segni sul viso di ognuno di loro, perfino in quello di Greg non più radioso come un tempo: sebbene cercasse di non farsi mai mancare il sorriso, in presenza degli studenti rimasti in vita, un alone scuro oramai si faceva sempre più evidente sotto i suoi grandi occhi di cobalto, più spenti e arrossati che mai. Malgrado la stanchezza che il sonno non riusciva a dirimere, ogni mattina l'ex Corvonero si alzava dal proprio giaciglio - quasi sempre trovato nella torre Ovest, per mera nostalgia dei propri anni da studente - e iniziava il proprio rituale. Bacchetta alla mano, volteggiava con l'eleganza di un danzatore intorno ai confini della sala comune, facendo calare sulla porta d'ingresso gli incantesimi che oramai i compagni superstiti gli sentivano recitare come una cantilena o un cantico sacro. Protego Maxima. Salvio Hexia. Repello Incimicum. Fianto Duri. Finiva la lista e la ripeteva tre, cinque, sette volte finché la barriera magica non fosse calata intorno alle porte: lo faceva la mattina, lo ripeteva la sera, giorno dopo giorno, senza cedere di un passo. Forse non sarebbe servito a nulla, perché sicuramente per quanto salde e potenti fossero le magie di Greagoir Olivander entità ben più salde e potenti si nascondevano nel fitto delle ombre, ma anche solo la sicurezza con cui il biondo si aggirava per la sala e muoveva la propria bacchetta di Biancospino pareva avere il potere di infondere un po' di coraggio in chi gli stava intorno. Abbiamo un luogo sicuro, era il pensiero che debole e impaurito nasceva nel cuore di molti, abbiamo una speranza. Questo - il rinvigorimento delle difese e dei cuori - era ciò che Greg sapeva fare meglio e ciò per cui si era reso disponibile, più intellettuale che guerriero. Sbrigate le priorità che si era assegnato da solo, non rimaneva da far altro che aiutare il prossimo a sopravvivere e ad arrivare a fine giornata, quando avrebbe nuovamente eretto le difese e si sarebbe concesso il lusso di crollare, ancora una volta, fino al prossimo risveglio. Decise di farlo in Infermeria quel giorno, appena entrato nella quale ad accoglierlo furono, oltre l'ormai abituale gemito dei feriti, gli sguardi funerei di due studenti immobili di fronte all'armadietto delle pozioni medicinali. Era stato letteralmente razziato più e più volte, tanto che si era reso necessario un piccolo turno di guardia anche per la protezione di quel vero e proprio tesoro, ma anche i tesori alla lunga finiscono. « Cosa manca? » chiese concedendosi un sospiro, nell'affiancare uno dei due ragazzi, un tassorosso dal volto coperto di lentiggini che solo qualche settimana prima Greg aveva aiutato ad arrivare alla stessa infermeria, per una brutta distorsione: si chiamava Joshua e con le pozioni ci sapeva fare. « Ossofast neanche a dirlo. Pozione corroborante, Bevanda della pace e pozioni per il dolore. » Facevi prima a dirmi che manca tutto. Si passò rapido una mano tra i biondissimi riccioli ribelli, guardandosi intorno alla ricerca di possibili idee. « Tiro a indovinare: mancano anche gli ingredienti vero? » La ragazza accanto a Joshua, una piccola grifondoro, annuì mesta allungando a Greg un piccolo bauletto incantato dove avevano deciso di conservare le scorte. Il bacchettaro si fece vicino, passando in rassegna con l'indice i pochi averi rimasti. Coda di tritone, un fondino di Corno di Graforno, semi vari, pezzi di carne. « Mancano un bel po' di erbe.. » mormorò, strappando un altro silenzioso consenso da parte di entrambi. Fiori, foglie, radici erano finite o si erano seccate troppo per poter essere utilizzate e andavano sostituite. Urgentemente. Sbuffò affranco con entrambe le mani sui fianchi, concedendosi un paio di passi tra i letti per schiarire le idee. Il suo sguardo era perso oltre la grande porta a doppio battente aperta quando una sagoma familiare fece il suo ingresso, lasciandolo non poco sorpreso: sì, perché sebbene non lo reputasse affatto un ragazzo di cattiva pasta, vedere Nathan Douglas II in persona portare a braccetto un ferito in Infermeria aveva quasi del sorprendente. Questa sì che è bella! L'animo di Greg, indurito dai problemi pratici che si era ritrovato a dover affrontare, si rasserenò in presenza di Nate: perché era ancora vivo - fatto non di secondaria importanza - e perché si stava dando da fare. Con un fare quasi patriarcale, Greagoir aveva tenuto d'occhio i propri pupilli - Nate e Tom più di ogni altro - per tutto il tempo in cui si era ritrovato costretto dentro il castello. Da vicino, certo, ma sempre da lontano e senza interferenze. Aveva assistito alla rigidità con cui avevano affrontato quello shockante cambiamento; aveva osservato lo spirito di rivalsa nel periodo in cui si erano improvvisati razziatori, e non senza storcere il naso a quel brutto spettacolo; aveva infine dovuto fare i conti col lento declino del loro aristocratico entusiasmo. Vedere Nate uscire fuori dal proprio guscio rese l'ex presidente felice: ancora preoccupato, certo, ma felice. Allora perché non prendere due piccioni con una fava? « Nate! » esclamò cordiale il mago, andandogli incontro proprio mentre si liberava del ferito, fatto crollare su uno dei letti liberi. Iniziavano a scarseggiare. « Scommetto che non hai impegni per stasera! Mi fai compagnia? » Io te te, come ai vecchi tempi. Desiderava passare del tempo con un vecchio amico e voleva accertarsi delle sue condizioni, certo, ma Nate Douglas era anche uno che - al contrario degli altri studentelli del terzo - di piante ormai doveva capirci qualcosa. « Io, te e una romantica gita al lago. » esclamò mellifluo, circondandogli le spalle con un braccio per superare ogni possibile tentativo di fuga. « Sì? Bene! Ehi, giovani: agli ingredienti ci pensiamo io e il signor Douglas! Se iniziaste a far bollire il calderone con le ali di Billywig in infusione, saremmo tutti felici! » Sorrise tronfio a loro e a Nate, assestandogli un paio di pacche amichevoli sulla spalla. Il solito esagerato, irritante, finto entusiasmo di Greagoir Olivander. Non possiamo cedere, non possiamo crollare. Dobbiamo arrivare a stanotte. Rinforzerò le barriere. Tutto andrà bene.

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    [...] « Ci pensi mai ad uscire fuori? » L'ex corvonero era piegato sulle ginocchia di fronte ad un cespuglio, uno di quelli che solitamente crescevano rigogliosi sulle rive del Lago Nero ma che in quel luogo oscuro non erano molto altro che radici secche. Qualcosa però era riuscito a trovare, a giudicare dai piccoli corbezzoli color rubino che teneva sul palmo della mano, una volta che si voltò per scrutare Nate. Ne incrociò lo sguardo, che trovò molto più pensieroso di quanto non immaginasse. Solitamente gli avrebbe rivolto una risposta sarcastica - sì Nate, diciamo che uscire da qui è in cima alla lista dei miei pensieri al momento, non che disdegni una gioiosa vacanza all'inferno ma sai com'è, mi manca il baccano di Diagon Alley! Proprio non riesco a dormire senza! - ma lì per lì tacque. Un Douglas molto diverso gli si parava davanti, come diversi erano tutti, Greg compreso. Le difficoltà costringono l'uomo a mutare e chi non si adatta muore. « Mh, sì, ci ho pensato.. qualche volta. » miagolò con un sorrisetto sulle labbra screpolate. Gli sarebbe davvero tanto piaciuto risollevargli il morale, certo che sì, ma ancora di più era curioso di scoprire quali pensieri frullassero nella sua testa. Prenderlo in giro, soprattutto in un momento simile, proprio non gli sembrava la strategia vincente per farlo aprire un po'. « Intendo... pensi a come sarà uscire da qui, se mai succederà? » Sarà.. bellissimo? Tipo la cosa più bella del mondo? Si rimise ritto in piedi, guardando fisso il serpeverde che tuttavia fuggì l'occhiata indagatrice di Greg. « Perché, come pensi che sarà? » Ritornò a camminare verso la riva, attirato da altre sterpaglie potenzialmente interessanti, giusto per non fargli pesare il proprio sguardo curioso su di sé. In fondo, aveva evitato di stare troppo addosso a lui e Thomas per un motivo preciso, non opprimerli troppo con la presenza di quello che un tempo era stato una vera e propria guida nel loro percorso. Il tempo di camminare da soli infine era arrivato e Greg tutto voleva fuorché farli sentire ancora come quei quindicenni che aveva preso sotto la sua ala tanti anni prima. « Non so perché, ma la sola idea mi mette una certa ansia. Non sappiamo nemmeno che cosa sta succedendo là fuori, né come stanno i nostri familiari. È passato così tanto tempo che... » Si bloccò per qualche istante. Non ci aveva pensato più di tanto, convinto com'era che là fuori le cose andassero meglio. Perché andiamo, c'è qualcosa di peggio di una dimensione da incubo affollata di strane creature resilienti ai più articolati incantesimi d'offesa? Forse solo la dieta. Si era autoconvinto che fuori stessero bene e quel pensiero l'aveva aiutato a tirare avanti anche nei momenti più bui. Non avrebbe iniziato a pensare il contrario, non se lo poteva permettere, eppure un lato di sé comprendeva i timori di Nate. « Tu credi che si stiano ancora battendo per noi, Greg? » A quel punto, per Greg fu inevitabile lasciare a loro stesse le radici che stava esaminando e fare qualche passo verso l'amico. Alzò la bacchetta, per farlo entrare nel cono di luce. « Ehi, non penserai mica di essere stato dimenticato, vero? » bofonchiò con una finta e maldestramente marcata espressione severa sul viso d'angelo. Solo allora, scuotendo la testa, abbassò la punta della bacchetta. « Io penso che.. , si stanno ancora battendo per noi. A modo loro. Non sempre riceviamo affetto nella forma che ci aspettiamo. » e di questo Greg ne era assolutamente convinto, perché l'aveva vissuto. Ho una nonna che ha amato la propria famiglia a tal punto da diventare un fantasma che ora mi infesta casa: è inquietante, ma è affetto. Ho un ex ragazzo che mi ha abbandonato per proteggermi: è doloroso, ma è affetto. Io ti ho guardato da lontano per starti vicino, ma in silenzio: anche questo è affetto. « Sai come immagino la mia famiglia ora? A non fare assolutamente nulla. » Incrociò le braccia al petto, con un sorriso tenero sul viso nel ricordare i propri affetti, la propria casa, la propria vita. Ne sentiva il calore, poteva quasi avvertirne i profumi. « Mia madre ora starà sicuramente facendo una torta, perché è negata. Ma Merlinobbono quant'è testarda, non si da pace al fatto di essere una schiappa! » Chissà da chi ho preso la testa dura, ah? « E mio padre.. ah, sarà veramente arrabbiato: per colpa mia dev'essere tornato a vendere bacchette! Anche lui è negato. » Rise di gusto nell'immaginarsi quel figlio dei fiori di Gawen Olivander di nuovo alle prese con legni e anime, sbuffare nel laboratorio. Nel ridere, guardò ancora una volta Nate. Certo, aveva appena dipinto all'amico il quadro di una famiglia da bomboniera e a modo loro gli Olivander lo erano davvero: strampalati, fuori dalle righe e dagli schemi, senza un briciolo di superbia per il nome importante che portavano. Ma felici. I Douglas al contrario erano letteralmente un universo a parte. Greagoir provò ad immaginare come il signor Douglas avesse potuto aver reagito, ricordando le occasioni in cui ci aveva avuto a che fare, da piccolo a casa di Nate e più di recente agli eventi dell'Astra Society. Male, malissimo. « Si stanno battendo.. ma dobbiamo farlo anche noi. Tu ti stai battendo, vero? » Dimmi che non ti sei arreso. Non è quello che ti ho insegnato: l'impossibile non esiste.
     
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