Let us cling together

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    Ci aveva pensato a lungo, se fosse il caso o meno. E ci stava pensando anche in quel momento, lo sguardo rivolto nel buio fuori dalla finestra, con tanto di sigaretta in bocca. Se c'era una cosa che aveva capito da tutta quella storia - e che ne avesse capita anche solo una, visto il marasma generale, era già un passo avanti - era che gli affari di cuore fossero cosa estremamente complessa. Lei per prima non sapeva bene cosa volesse per davvero. E questa ignoranza andava ben oltre il piano pratico, se possibile. La matassa confusa si trovava nella sua testa. Quando ripensava agli ultimi avvenimenti, suo malgrado, i sentimenti che provava erano contrastanti. Non sapeva se volesse parlarne, se volesse tenersi tutto per sé, non sapeva se fosse il caso di ricordare o se invece volesse ficcare il tutto nel cassetto più remoto possibile. A tratti le sembrava possibile superarla, c'erano altri momenti in cui invece veniva colta dalla disperazione. Il suo stato d'animo somigliava incredibilmente a delle montagne russe che non raggiungevano mai un vero picco, se non quello in basso. Però un'altra cosa, da tutta quella storia, un'altra morale, l'aveva colta: di starsene con le mani in mano, se si avvertiva anche solo la pulsione più piccola a fare qualcosa, non era il caso. E così, dopo tanto rimuginare, si decise. Buttò la cicca per terra, la spense e si diresse fuori dalla propria stanza, alla volta dei dormitori maschili. Nella sua impotenza, in fondo, qualcosa che poteva fare c'era ancora. Ed era forse la cosa che le riusciva meglio in assoluto: offrire una spalla. Sapeva che per la persona dalla quale si stava dirigendo in quel momento, le cose dovevano essere altrettanto difficili. Ed era ben conscia di non poter fare molto, se non appunto offrire quella famosa spalla, ma non fare assolutamente nulla, fingere di non sapere e andarsene in giro col paraocchi, era una scelta ancora peggiore. Inoltre era un modo di pensare molto distante dalla sua natura, per quanto quella solitudine e quel silenzio ai quali si era forzata, l'avevano quasi convinta del contrario. Quasi, perché in fondo al proprio cuore, Fawn Byrne sapeva di non essere biologicamente in grado di ignorare certe cose. E con questa cosa in particolare, questa persona, non avrebbe nascosto la testa sotto la sabbia in attesa che anche quella tempesta passasse; l'aveva fatto troppe volte, negli ultimi mesi, e i risultati si erano visti da sé. Certo, non l'aveva fatto con lui, ma non voleva più veder andare a puttane nessun rapporto interpersonale per negligenza.
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    « Sono passata a trovarti. » Aveva alla fine raggiunto la stanza incriminata e vi era entrata. Senza bussare. Non tanto perché on avesse la benché minima concezione del vivere civile e delle buone maniere, ma perché l'aveva trovata socchiusa. Ci mise un paio di secondi ad abituarsi all'ambiente semibuio, illuminato soltanto da una lampada ad olio poggiata sul comodino. « Scusa l'intrusione, tra parentesi. » Aggiunse, posando lo sguardo su Freddie, un mezzo sorriso sulle labbra. Il ragazzo seduto sul letto sembrava non stanco, non esausto, proprio stremato. E benché in parte sapesse che forse preferiva essere lasciato in pace, fu contenta di aver alla fine deciso di cercarlo. Nessuno dovrebbe essere lasciato da solo quando sta così. Neanche se pensa di volerlo. E questo un po' lo sapeva per esperienza. Quella solitudine che si era auto-imposta, alla fine, non le aveva fatto bene. E forse, dal canto suo, non c'era molto che potesse offrirgli, ma una distrazione, in una situazione del genere, poteva tornare utile. Uscire per un attimo dalla propria testa, specialmente se quella pullulava di pensieri poco piacevoli, non poteva che fare bene. E poteva anche essere una grande sostenitrice della filosofia secondo la quale ogni essere umano dovesse pensare a sé stesso perché nessuno avrebbe mai davvero risolto i problemi altrui, ma riconosceva che se il mondo era popolato da altre persone e non individuo alla volta, una ragione doveva esserci. E quella, sostenersi a vicenda cioè, o almeno tentare di farlo, era una delle ragioni. « Dimmi che hai mangiato qualcosa, ti prego, perché bere a stomaco vuoto fa schifo. Fidati di me. » Si sedette per terra, prima di scoccargli un ulteriore sguardo. Un modo come un altro per chiedergli come stava. Un modo come un altro per offrire quel tanto decantato sostegno. E, infine, un modo per sottintendere che stava a lui decidere, a quel punto. Se ti va di parlare, parliamo. Ma non ti farò pressione. Ed in effetti non intendeva farlo. Come non era andata a trovarlo per pena o perché qualcuno gliel'aveva chiesto. L'aveva fatto perché non poteva esimersene, perché ci aveva pensato più di una volta e perché, in fondo, era la cosa più giusta. Non sapeva di essere nella posizione, come non sapeva se sarebbe stata o meno in grado di aiutare sul serio, ma era pur vero che non avrebbe avuto altro modo di scoprirlo, se non buttandosi. E così, con tutta la tranquillità del mondo, tirò fuori la bottiglia ancora sigillata di Incendiario, quella sopravvissuta alla chiacchierata con un certo Serpeverde, di appena qualche giorno addietro. E grazie Artie. « Ah, e non ho dei bicchieri. Ma nemmeno ho malattie infettive, quindi direi che siamo a posto. »
     
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