Hurts like hell.

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    All'improvviso, è come stare in un gioco, un gioco di cui però Maze, a quanto pare, non conosce più le regole. O probabilmente non le è mai conosciute davvero. Visualizza casa sua, si focalizza sull'immagine della casa in cui è cresciuta Trixie perché non sa dove altro andare, se non lì. Non ha nessun'altro posto e anche la sua compagna è d'accordo sul fatto che sia il posto più sicuro. Quindi si concentra, mentre guarda negli occhi Mun e svanisce nel nulla. Ma c'è qualcosa che non va, qualcosa che non funziona e lo capisce subito, quando i suoi piedi non si posano su delle mattonelle finemente lavorate a mano, ma su un vicoletto deserto, con qualche ciottolo qua e là. Si guarda intorno e non le importa nemmeno di capire dove sia andata a finire, perché si concentra, pensa alla camera di Trixie e si smaterializza di nuovo. Ma ancora una volta viene come sbalzata all'indietro. Ci riprova. Altre sei volte e per altre sei volte si materializza sempre in un punto diverso di quella che, alla fine lo capisce, è Hogsmeade. Alla fine è stremata e non riesce più a continuare in quei tentativi che non danno alcun risultato. «Sono i Ribelli che hanno applicato un cerchio protettivo intorno al villaggio. Non ci si può smaterializzare fuori.» Lo sa Maze, l'ha capito dopo la terza volta che ha provato a tornare a casa. Lancia un'occhiata verso il corpo esanime di Morgan e il moto di rabbia dentro il suo corpo riprende a frullare, inferocito. Si guarda intorno e alla fine, aiutandosi con la lucidità di Beatrix, che risulta essere preziosa in quel momento totalmente irrazionale di Maze, si dirige verso l'unico posto che le viene in mente. Cammina svelta, rimanendo nei vicoli scuri affinché la pelle di Lucien non entri in contatto con la luce solare che si sta alzando sempre di più, in cielo. E alla si ritrova davanti alla porta di servizio. Vi bussa contro, una volta, due volte, tre volte, fin quando non decide di tirare fuori la bacchetta. «Bombarda!» La porta esce dai suoi chiavistelli e cade di lato con un tonfo assordante, lasciandole libero il movimento che la porta in avanti. E' il volto del barista, allampanato e con due grandi occhioni azzurri da Bambi, il primo che incontra, mentre lui è intento a ripulire il bancone dalla baldoria della sera precedente. «Portami nell'ufficio del proprietario.» Sia Maze che Trixie ricordano alla perfezione quando Lucien aveva confessato di essere lui il padrone di quel locale degno soltanto di Sodoma e Gomorra, invitandola, senza mezze misure, ad andarlo a trovare, proprio lì. E si era vantato di avere un ufficio talmente grande e talmente spazioso da prendere tutto il piano inferiore del locale. Il ragazzino tentenna, nel vederla con un cadavere da una parte, sporca di sangue da capo a piedi e con il corpo di Lucien Parker sulle proprie spalle. «Ascoltami bene: se non mi mostri immediatamente come si arriva all'ufficio di Lucien, io prendo questa bacchetta e ti crucio, e lo farò ancora e ancora solo perché mi andrà di farlo, fin quando non mi pregherai di ucciderti. E a quel punto non lo farò, ma continuerò a torturarti, solo per il gusto di farlo.» Ha ancora gli occhi completamente neri ed è forse questo che convince il ragazzetto, oltre alle sue parole non troppo rassicuranti. «Aiutami a portare lui.» Gli indica Morgan, con un cenno del capo. «E sii delicato, vale lo stesso discorso di prima.» Questa volta è più dolce, mentre accarezza il volto dell'amico con i polpastrelli. E' ancora tiepido e questa consapevolezza le fa stringere il cuore. Una piccola premura che lui non sentirà mai, ma che lei tiene a riservarle. Il barista l'affianca e, con estrema prudenza, si prende tra le braccia il corpo minuto del ragazzo. Insieme, si affrettano a raggiungere quello che, in altri momenti, Mazikeen riuscirebbe ad apprezzare nella sua particolarità. In quell'ufficio tutto le urla Lucien. Non vi è una cosa che non rientri perfettamente nei canoni dovuti ad esprimere la personalità dell'uomo. Ma non ha tempo di soffermarsi su ciò che la circonda, quando non sa se l'uomo che sta portando in spalla è ancora vivo. Morgan viene adagiato su un divanetto, prima di entrare nella stanza vera e propria, mentre Maze scarica il corpo di Lucien su quello che ipotizza essere il suo letto. Appoggia la borsa a terra, lasciando libero Cerby di muoversi indisturbato. «Mi servono dell'acqua, dei panni puliti e mi serve anche del sangue. Qualsiasi tu troverai. E me ne serve tanto. Ora.» Il ragazzo corre via, mentre lei rimane da sola, per la prima volta. Il silenzio la sovrasta, mentre nelle orecchie ha ancora il fischio che l'accompagna da quando si è scagliata contro i lupi. Ma il silenzio di quella morte che si fa sempre più soffocante, intorno a lei. E per la prima volta, abbassa lo sguardo, constatando per la prima volta le condizioni di Lucien. E' messo male, davvero troppo male. Ha graffi ovunque si veda un po' di pelle pallida. I vestiti squarciati, il sangue ovunque. Ma la parte peggiore è il petto, lì dove ci sono le impronte delle unghie affilate dei licantropi e un morso, enorme, profondo, all'altezza del cuore. Ed è in quel momento che comincia a tremare, portandosi la mano davanti alla bocca per smorzare quel gemito addolorato che le sta risalendo il petto, lentamente. Il ragazzo torna, in tutta fretta, con tutto l'occorrente e delle sacche piene di sangue. «Viene direttamente dalla scorta che Lucien tiene per sé, nel congelatore, ma che solitamente non usa. Preferisce le vittime fresche, dal sangue ancora caldo e pulsante, gli dà più for- Maze si sente annuire, mentre gli punta contro la bacchetta per castare un imperio, non facendolo nemmeno finire di parlare. «Nessuno deve sapere che siamo qui. Non si deve sapere che c'è un morto, che Lucien è ferito e che io, chiunque io sia, sono qui. Tu non ci hai visti entrare e nessun entrerà mai qui.» Lo congeda, non rivolgendogli più nemmeno uno sguardo, appena la sua completa attenzione torna su Lucien. E' completamente lobotomizzata, quasi che non capisca dove si trova, cosa stia succedendo, chi è la persona che ha di fronte. Fa cose, senza nemmeno accorgersene. Casta qualche reinnerva, un paio di epismendo ma nulla sembra far effetto. Perché lui non è un umano. Lui è un cazzo di vampiro e con lui, tutto quel poco che di medicina magica Maze sa, non vale. Nulla ha effetto su di lui. Ed è allora che Maze dà di matto, cominciando ad urlare come un pazza, mentre lo scuote. Freddo come una lastra di ghiaccio, senza un flebile respiro o anche un accenno di battito a palesare il suo essere ancora vivo. «Lucien, svegliati!» Le urla, contro la faccia, cercando di avere da lui qualche segno di vita. Ma lui ricade, inerme, contro il letto, appena lei lo lascia andare. «Tu non puoi morire, mi hai sentito?» Continua, mentre corre a prendere una sacca di sangue, aprendola con una certa veemenza, per poi bagnargli le labbra di quel liquido rosso. Ti prego, ti prego, ti prego, non puoi andartene. Non puoi andartene per colpa mia. Non ha alcuna reazione e sospira, esasperata, mentre le prime lacrime prendono a cadere sul petto lacerato di Lucien. Ma lei non se ne accorge, mentre tenta disperatamente di salvarlo, cercando di costringerlo a bere il sangue che gli sta offrendo. «Mi hai capito, Lucien? Tu non vai da nessuna parte. Tu rimani qui. E' questo il tuo cazzo di posto giusto, MI HAI SENTITO? E' QUI.» In preda al panico, gli tira un ceffone e poi un altro, sperando che sia abbastanza forte da poterlo rianimare, perlomeno per farle capire qualcosa. Ma no, niente. Allora sale sopra il letto anche lei, strisciando sulla coperta, si sporca ulteriormente di sangue, ma non le interessa nulla. Riprende a scuoterlo, arpiona le sue mani alle sue spalle e lo agita, con tutta la forza che sente di avere in corpo. «Svegliati, SVEGLIATI!» Un altro schiaffo in pieno volto, ma niente. Lui rimane completamente inanimato sotto i suoi polpastrelli. Ha il fiatone, Maze, mentre cerca di appellare la razionalità di Trixie. La sente, la sente trattenersi dal dirlo, ma sente che vorrebbe dirglielo. «Non ti azzardare, Beatrix, non ti azzardare ad aprire bocca per dire quello che vuoi dire. Lui è vivo, certo che è vivo.» «Maze, io..» «No. Lui è ancora qui. Deve essere ancora qui.» «Maze, ha un morso di licantropo sul cuore. Non c'è più, è tornato a casa.» «Tu non sai niente, cosa ne vuoi sapere tu? Lui è qui, è ancora qui dentro. Io lo sento.» Ruggisce e attacca Beatrix, prima di riprendere a
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    scrollarlo forte. «Lucien svegliati, devi svegliarti. Io devo ancora insultarti per altri dieci o quindici anni. E tu devi ancora costruirmi un palazzo, uno talmente grande e vistoso da far impallidire il Taj Mahal. Tutto bianco, solo per me. E poi devi costruirne uno nero, tutto per te e li devi collegare con un ponte dorato, così che potremo incontrarci sempre, in eterno. Per dividere l'eternità assieme Lo scrollare frenetico, alla fine, si tramuta in una ninna nanna consolatoria, un oscillare lento e dolrooso, mentre se lo stringe al petto, non sapendo cosa altro provare. Ha paura, ha soltanto una paura senza pari, mentre gli bacia i capelli, per poi riprendere a dondolare, con lui tra le braccia. Ha paura di non poterlo rincontrare. Che alla fine, nonostante tutto quello che ha fatto per allontanarsi da lui, sia stata proprio la morta a separarli definitivamente. Perché lei sa che non tornerà a casa, una volta che morirà. Non potrà più tornare sulla terra, ma non tornerà nemmeno nella Loggia Nera. Probabilmente vagherà in terra di nessuno per il resto della sua eternità, ma non si incontreranno più. Quella è stata la loro ultima vita insieme ed è tutta colpa sua. Lui se n'è andato e lei è ancora lì. E' rimasta indietro, da sola. E capisce il perché non ha mai avuto paura di morire, in tutta onestà. Non è mai stata spaventata, in quei mesi, di poter tornare ad essere una semplice ombra, perché non è quel passaggio a terrorizzarla, ma il fatto di rimanere in vita. Di essere lei la sopravvissuta, mentre intorno a lei è stata fatta terra bruciata. Di essere viva, con la consapevolezza di non aver fatto abbastanza per salvare né lui né Morgan. E lei non è riuscita a dire niente. Non ha avuto tempo. Ha sempre creduto di averne, a sufficiente, perché lui è immortale. Ha sempre creduto che prima o poi le cose si sarebbero messe a posto, e che finalmente sarebbe arrivata la loro volta buona. Ma il tempo ha rovinato tutto. Lei ha rovinato tutto, perché quegli artigli, quei denti sulla sua pelle d'alabastro è come se fossero stati i suoi. Per un attimo, il cuore perde un battito e le fa male, le fa male come se qualcuno cercasse di strapparglielo fuori dal petto, con le unghie e con i denti. «Non ti ho potuto nemmeno dire addio.» Perché la morte questo fa: non ti permette nemmeno di salutare. Il fuoco scorre insieme al sangue nelle sue vene, lo sente palesarsi mentre sale fino in superficie. Le scalda la pelle e per qualche istante è come se anche la pelle di lui diventasse più calda al tatto. Come se fosse ancora vivo. «Non mi hai dato il tempo. Non mi hai lasciato niente.» Piange, stringendo i denti e continuando a baciarlo, non potendo fare altro che quello. Continuare ad amarlo fino alla fine. «Io non voglio, non ce la faccio, non sono preparata, non sono pronta a questo, a lasciarti andare.» Le fa talmente male il tutto da risultarle difficile persino respirare, tanto è pesante il macigno che si è posato sul suo petto. Fa male, un male da morire. Alza lo sguardo verso il soffitto. Ma non è il soffitto che lei guarda. «Fallo smettere, ti prego, fallo smettere. Se questo è tutta colpa dell'amore che ho sempre detto di provare con orgoglio, riprendilo indietro, strappalo via da me. Non lo voglio più.» Lo implora, singhiozzando, mentre lascia andare il corpo di Lucien e si accascia su se stessa, in avanti, le mani tra i capelli, mentre la coperta attutisce le urla. «Maze..» No. «Maze, devi lasciarlo andare.» No. «Maze, ascoltami, non è più qui. E' morto, non è più sulla Terra.» No. Scrolla la testa, imperterrita, mentre crede di aver avuto un'idea. Disperata, così come lo è in quel momento. Si alza, recuperando la bacchetta e la punta contro di lui. Una prima scarica prende il corpo dell'uomo, che si contorce sotto i suoi occhi. «Devi battere.» Annuisce, come presa da un'euforia improvvisa che la fa risultare soltanto pazza. Un'altra scarica elettrica e poi ancora un'altra, mentre la sua bacchetta diventa un defibrillatore che cerca di scuotere il cadavere di Lucien. «Non puoi farlo battere solo quando ti serve per far ricadere ai tuoi piedi quella stupida di Mazikeen. No, non funziona così.» Gli dice, mentre punta nuovamente la bacchetta contro il suo cuore. «No, tu lo devi far battere ora Batti per me, ti prego, fallo ancora una volta. Lo scongiura ancora una volta, silenziosamente, continuando a inondarlo di scariche. E per quanto strano possa essere, alla fine lo sente, sotto le sue dita. Un battito, uno soltanto. Sgrana gli occhi, sorpresa nell'udire quella piccola flebile palpitazione, che per lei vuol dire soltanto una cosa. «Preferisce le vittime fresche, dal sangue ancora caldo e pulsante, gli dà più forza. Maze, deve bere direttamente da noi. Tagliati Per un attimo rimane interdetta, nel sentirsi dare quell'ordine. Non se lo sarebbe mai aspettata da Trixie, non un qualcosa che può andarle a nuocere, nuovamente. «Se credi che, ti priverei della, forse, unica unica soluzione per non farlo morire, sei davvero più pazza di quanto pensassi.» In altre circostanze, Maze scoppierebbe a ridere, di gusto, con tanto di lacrime di ilarità. Ma non questa volta, questa volta è reattiva, si passa la punta della bacchetta sull'interno del braccio e una linea precisa e rossa prende a disegnarsi sulla pelle bianca, mentre il sangue prende ad uscire. Allora lo avvicina alla sua bocca, sporcandogli le labbra come a volerlo invitare a quel suo banchetto privato. «Lucien, devi bere.» Glielo strofina con insistenza anche contro le narici, per fargliene percepire l'odore. «Bevi!»

    I loved and I loved and I lost you
    I loved and I loved and I lost you
    I loved and I loved and I lost you
    And it hurts like hell
    Yeah it hurts like hell


     
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    Tre sono le fasi. La prima, in principio, è il ricordo. Una reminiscenza della sua coscienza, ancora vivida, seppur flebile sia il suo pulsare. E' svanita quasi completamente, precipitando in quell'abisso di tenebra, ma ciò che ne rimane, quella piccola, sottile e microscopica anima, gli permette di ricordare. Sono tanti i flashback che gli attraversano la mente addormentata. Sono così tanti che gli è persino impossibile individuarne qualcuno in particolare. Sono però accomunati tutti dalla stessa, medesima caratteristica. O meglio, le stesse medesime caratteristiche. Anche quì il numero tre si ripete. Mazikeen, Lucien, casa. Eccoli lì, stesi su quell'enorme letto. Lei poggia il capo sul petto di lui, le dita dalle lunghe unghie nere che gli accarezzano la pelle bollente. Ha danzato per lui tutto il tempo, senza fermarsi. Le aveva chiesto di farlo, le aveva detto che gli sarebbe piaciuto tanto, e lei lo aveva fatto, senza ribattere neanche per un momento. Aveva danzato, avvolta da quei veli che le avvolgevano il corpo formoso in delle curve sinuose. Si era mossa con eleganza, piegando la testa verso dietro, coi lunghi capelli corvini che le ricadevano sulle spalle. Aveva volteggiato su sè stessa, aveva aperto e richiuso le gambe, alzato e riabbassato le braccia. Aveva riso, aveva cantato, l'aveva chiamato per nome tutte quelle volte che gli si era avvicinata, imprigionandogli le spalle con uno di quei veli rossi, per avvicinarlo a sè. E lui era rimasto lì, seduto su quel divano intarsiato, ad osservarla in silenzio, con quei suoi due grandi occhi azzurri. Non gliel'aveva mai detto, e forse mai l'avrebbe fatto, ma adorava vederla danzare. Il modo in cui lo faceva, il modo in cui il suo corpo nudo si muoveva, lo affascinava come ben poche cose riuscivano a fare, lì, a casa loro. Quindi, quando la regina aveva finito di volteggiare per il suo re, l'aveva stretta tra le proprie braccia, sollevandola per giungere su quello stesso letto. E avevano fatto quello che Mazikeen chiamava amore, e che Lux invece chiamava sesso. I loro corpi si erano attorcigliati l'uno contro l'altro, nell'ennesima danza. Una danza tribale, perfetta, coordinata dagli stessi movimenti coadiuvati. Si muovevano all'unisono, re e regina, mentre i loro sospiri ed i gemiti di lei riscaldavano ancora di più l'atmosfera già di per sè incandescente. Le aveva stretto le dita contro i seni tondi, aveva spinto col bacino attraverso le sue gambe, le aveva lasciato mille baci bollenti lungo quella pelle ambrata. Poi la situazione si era ribaltata e, come di rado Lucien concedeva, lei gli era scivolata addosso. E si era mossa su di lui, le mani sul suo petto. Si era mossa così bene da farlo sospirare di piacere, mentre con le dita le stringeva il didietro, e sorrideva sulle sue labbra tutte quelle volte in cui lei decideva di calarsi per donargli qualche bacio. Adorava i suoi baci. Non sapeva esattamente perchè, ma li adorava. Di baci ne riceveva e dava tanti, Lucien. Ma quelli di lei erano diversi. Lo baciava ogni volta come fosse la prima volta. Con l'entusiasmo della prima, e la fame dell'ultima. Il modo in cui la sua lingua si attorcigliava alla propria, il modo in cui sospirava e sorrideva sulle sue labbra, mentre si stringeva contemporaneamente contro il suo corpo, era diverso da tutto il resto. Erano baci d'amore, quelli. Erano baci eterni, che non avevano nè un inizio, nè una fine. « Perchè mi ami? » Chiede allora l'uomo, lo sguardo rivolto verso un punto non ben definito di quella camera tanto singolare nello stile e nella composizione. « Non ci sono perchè in amore, lo si fa e basta. » La sua risposta è decisa, mentre gli si stringe ulteriormente contro. E' sempre così, Mazikeen, quando sono assieme. Le concede rare, se non rarissime volte di restare assieme assieme a lei oltre il tempo necessario, e tutte quelle volte, nei suoi gesti e nel suo viso, Lucien è capace di scorgere una serenità fuori dal comune. « Mi ameresti anche se morissi? » Le domanda ad una certa, dal nulla. Una domanda singolare, detta da uno come lui. E lo guarda confusa infatti, Mazikeen, le sopracciglia inarcate e la fronte corrugata. « Perchè pensi a qualcosa di tanto assurdo? Tu non puoi morire. » Ha incontrato un uomo, Lucien, quel giorno. Ha incontrato quello stesso uomo che è stato capace di amare sua moglie persino negli anni successivi alla sua scomparsa, fino alla morte. « Non fare domande. Rispondi e basta. Mi ameresti comunque? » Si tira sui gomiti, Mazikeen, i seni nudi che gli sfiorano il petto ed i capelli corvini che le ricadono lungo le spalle. Lo guarda, con quello sguardo smeraldino, poi annuisce, senza esitazione alcuna. « Certo. Ti amerei anche se morissi, sempre. » Avvicina una mano per accarezzargli il viso, ma Lucien la blocca. Sta iniziando ad allontanarsi, di nuovo. « Andiamo, è ridicolo. Come potresti amare qualcosa che non esiste più? Non puoi guardarla, non puoi toccarla, non puoi farci nulla. E' illogico, non ha senso. » Si mette a sedere a quel punto, e Mazikeen rimane lì, a guardarlo. « Non c'è logica, in amore, Lucien. Si ama col cuore, non col cervello. » La fissa per qualche momento, stringendo appena le labbra, poi distoglie lo sguardo, dandole le spalle. « Io sono sicuro che se un giorno dovessi morire, tu ti dimenticheresti di me. » La sente muoversi sotto le lenzuola, prima che le sue braccia vadano ad avvolgergli il busto. Questa volta non si scosta nè la caccia, ma rimane comunque immobile, mentre lei gli posa qualche bacio sul collo. « Andiamo, Lux, non voglio parlare della tua morte, mi fa male. » « Sarebbe la mia morte, perchè dovrebbe fare male a te? » La sente sospirare, mentre gli accarezza il petto con le mani. Fa per dire qualcosa, ma lui la precede. « Scommettiamo. Se un giorno morirò, e tu non ti dimenticherai di me, ti darò tutto quello che vuoi non appena ci incontreremo di nuovo. » « Ci incontreremmo di nuovo, in quel caso? » Lucien annuisce, voltandosi appena verso di lei. « Un modo lo trovo, posso fare tutto, ricordi? » « E mi darai tutto tutto? » « Certo. E' un patto. » Tanto è impossibile che io muoia, e se fosse possibile, avrò ragione io comunque. Perchè l'amore non esiste. E' solo un'illusione. Rimane in silenzio per qualche momento, Mazikeen, poi un sorriso si staglia sul suo visino, mentre gli bacia la guancia. « Perchè sorridi? Smettila. » Sei carina quando sorridi. Forse ancora di più di quando piangi. E questo non va. Ma lei continua, stringendosi ulteriormente a lui. « Perchè sto già pensando a come ucciderti. » Si gira di scatto verso di lei. E dovrebbe essere arrabbiato, come tutte quelle volte in cui Maze osa prendersi troppe libertà nei suoi confronti. Ma alla fine scoppia a ridere, mentre si gira su sè stesso e la assale. « Dovrei accusarti di tradimento lo sai? » Mormora, salendole di sopra e bloccandole entrambi i polsi con le mani, mentre la risata cristallina e serena di lei -come ben poche se ne sentono, lì- riecheggia per tutte le pareti dell'inferno.

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    La seconda fase, è l'incoscienza. L'oblio più totale, dove non ricordi pressochè nulla di ciò che ti è accaduto, e cadi, per metri, metri ed ancora metri. E continui a precipitare in quell'abisso d'ombra, e l'unica sensazione che ti sembra di percepire, è quella dell'annegamento. Non capisci nulla. Sai alcune cose, ma sono rimembranze lontane, che al momento ti è quasi impossibile recuperare. Quindi continui a scendere, fin quando le ombre non ti accolgono nel loro abbraccio. I tuoi personali demoni, sono tutti lì. Persino un diavolo, ha i suoi demoni. Sono tanti, ma uno in particolare si distingue dagli altri. E gli assomiglia, gli assomiglia così tanto. « Era ora. » Quella voce tuona nella sua mente, scuotendone le pareti. E' metallica, austera, paranormale. « Era ora che tornassi a casa, quello non è il tuo posto, non lo è mai stato. » E' questo il tuo cazzo di posto giusto, mi hai sentito? E' quì. Quella voce gli è familiare. E' panico, è sofferenza, è disperazione. Si guarda attorno, ma non vede nessuno. Allora si rigira verso la propria ombra, confuso, ma questa gli sorride, scuotendo la testa. « Seguimi, l'eternità ci aspetta. » Potremo incontrarci sempre, in eterno. Per dividere l'eternità assieme. Di nuovo quella voce, di nuovo tutto quel dolore. Lo conosce, sa che in qualche modo gli appartiene, eppure non riesce ad identificarlo, mentre segue quelle ombre che lo avvolgono sempre di più. Non ti ho potuto nemmeno dire addio. « Non le ho detto addio. » Si sente mormorare, incerto. « A chi, Lucien? » « Io... Io non lo so. Ma non l'ho fatto. E non mi piace non averlo fatto. » Si guarda attorno. Chi sei? Perchè sento il tuo dolore? Perchè sento di averti lasciato in sospeso? « Non hai bisogno di dirle addio. Ricordatelo Lucien, non le hai lasciato nulla. » Non mi hai dato il tempo. Non mi hai lasciato niente. « L'hai fatta soffrire per secoli. Non l'hai lasciata andare quando avresti potuto. Tutto ciò che le è successo, è colpa tua. Il suo cuore di ghiaccio, Tom, la torre di Corvonero. Lei ti odia, ricordi? Era tutto perfetto prima che arrivassi tu. » Annuisce, seppur non sappia nemmeno lui perchè. E' come se fosse a conoscenza di tutto, ma al tempo stesso non sapesse proprio nulla. Ed è strano, è tutto così dannatamente strano. « Hai ragione, era tutto perfetto prima che arrivassi io. » Mormora, e l'ombra sorride, tendendogli la mano. Ma è allora che la sente, di nuovo. Io non voglio, non ce la faccio, non sono preparata, non sono pronta a questo, a lasciarti andare. Si volta, a destra e a sinistra, e questa volta gli sembra di vedere qualcosa. Al di là di quelle acque nere dove continua a precipitare, una sagoma familiare. Piega la testa di lato, facendo qualche passo nella sua direzione. « Lucien torna qua. » Non ascolta, mentre continua ad avanzare, come attirato da quella voce, da quei singhiozzi, da quel sentirsi cullato. Non sa come sia possibile, ma adesso percepisce qualcosa. L'acqua sembra svanire pian piano, le ombre dissolversi, e la realtà farsi sempre più forte e vivida. « Lei non vuole lasciarmi andare. » Sibila piano, rigirandosi verso i suoi demoni. « Lucien non.. » « Io non voglio lasciarla andare. »

    Ed ecco che si giunge alla terza ed ultima fase, la consapevolezza. E' quello il momento in cui le sensazioni sono più acuite che mai. Ti trovi ancora nel confine tra la vita e la morte, ma senti, senti ogni cosa. Probabilmente non ricorderai nulla, se ti sveglierai, ma al momento è tutto così dannatamene reale. Il dolore, ad esempio. Cazzo fa male. Quante ferite sono? Non riesco a contarle. Mi hanno morso al cuore, quello me lo ricordo, dovrei essere morto. Sono morto? Diavolo no, non voglio esserlo. Non ho finito sulla Terra, non ho nemmeno cominciato. «Fallo smettere, ti prego, fallo smettere. Se questo è tutta colpa dell'amore che ho sempre detto di provare con orgoglio, riprendilo indietro, strappalo via da me. Non lo voglio più.» Soffre per lui, e la riconosce. E' Mazikeen, la sua Maze. Sente le sue mani sul suo corpo, i suoi baci, sente i suoi schiaffi, sente il suo pianto e le sue urla. Sta soffrendo per lui, e lo sta facendo con una tale disperazione, con un tale accoramento, che Lucien non l'avrebbe mai creduto possibile. Che cazzo, Maze, dopo tutto questo tempo, continui ad amarmi? Non sa se è amore il suo, forse ci spera, ma non lo sa comunque. Sa che però deve svegliarsi. Perchè se muore, i suoi demoni lo avranno per sempre. Se muore, il loro tempo, quello giusto, non verrà mai. E lui non vuole. Cazzo no, non vuole. Non vuole lasciarla. Lasciarla è sempre stata la sua paura più grande. Vuole vivere in eterno nello stesso mondo che lei si è scelta. Vuole continuare a guardarla, a godere dei suoi sorrisi, delle sue risate cristalline, delle sue danze, anche se, probabilmente, saranno dedicate a qualcun'altro. Vuole vedere che fine avrà la loro storia. Vuole vedere se quel palazzo bianco glielo costruirà sul serio. Vuole litigarci, vuole sclerare assieme a lei. Vuole insultarla e farsi insultare. Fare pace, baciarsi. Assaporare di nuovo le sue labbra, intrecciare la propria lingua contro la sua. Attorcigliare i loro corpi, entrarle dentro, unirsi a lei. Fare l'amore, come non l'ha mai fatto. E poi ricominciare il circolo. In eterno. Merda, non voglio morire. E' vero, sotto tutti quei lupi, quei morsi e quei fendenti, Lucien aveva smesso di combattere, ad una certa. Lei l'aveva tradito, e lui non aveva più nulla da perdere. I suoi figli stavano cadendo a pezzi, la guerra stava giungendo al termine, la sua divinità lo stava abbandonando. Eppure, Maze è lì. Lo è comunque, nonostante tutto. E allora la sente, la prima scarica. Gli vibra attraverso, ma il suo corpo non reagisce. Un milione di voci si anima allora nella sua mente, mentre le ombre tornano. Lo opprimono, gli stringono le caviglie e i polsi, lo assalgono come quel branco di lupi e gli impediscono persino di pensare. Poi la seconda scarica arriva, e la terza e la quarta. E i demoni urlano, ringhiano, ruggiscono, mentre tentano di tenerlo fermo in quel limbo, colpendolo, graffiandolo e picchiandolo, ma lui si dimena con tutta la forza che ha. Aiutami Maze, da solo non ci riesco. «No, tu lo devi far battere ora

    Infine, la realtà. Non sente più niente, non ricorda più niente, mentre precipita violentemente. E' debole, è tremendamente debole, svenuto e scampato alla morte per un pelo, sdraiato, esanime, su quel letto. Maze gli è addosso, il polso ferito appositamente, pressato contro le sue labbra. Ne sente l'odore ed il gusto gli inonda la bocca, ad un certo punto. «Lucien, devi bere. Bevi!» Ed è allora che reagisce. E' ancora incosciente, gli occhi chiusi, ma la lingua fuoriesce, lentamente, insinuandosi in quel taglio trasversale, e lui inizia a bere il suo sangue. Piano, dapprima, in maniera piuttosto passiva. Quel nettare defluisce nella sua bocca. Il suo sapore gli esplode in bocca, e nel percepirlo, la sua morsa contro il braccio di lei si fa più forte. Inizia a nutrirsi, in parte consapevole, in parte no, mentre quel sangue caldo e vivo gli dà energia. Risveglia ogni suo tessuto morto, ogni sua cellula. Risveglia quella scintilla di vita spenta, e allora alza le braccia, le dita che si arpionano contro il suo polso, pressando, come a volerla tener ferma d'istinto, mentre continua a bere. Beve, beve e ancora beve, fin quando la sua coscienza non si riattiva. Rientra a far parte di lui, in quel marasma di confusione generale, e gli urla qualcosa. Dapprima è ovattato, quasi incomprensibile. Poi la sente, forte e chiaro. Smettila. Così la ucciderai. Ed è allora che apre gli occhi, di scatto, e la allontana immediatamente, scostandosi d'istinto con l'intero suo corpo, e gemendo di dolore per le fitte che lo costringono a bloccarsi. Scivola nuovamente lungo il materasso e si guarda attorno, confuso, le iridi completamente rosse che pian piano riacquistano i loro colori naturali. L'ultima cosa che ricorda è la battaglia ed i lupi addosso. Per qualche folle momento li vede e li sente ancora, a lacerargli la carne con le zanne, e allora si tasta il corpo con le mani, nervosamente e nel panico più totale, mentre muove anche le gambe. Si sente un nodo alla gola che gli impedisce di urlare, ma vorrebbe farlo, e allora annaspa, in un sibilo soffocato, mentre tutto il letto trema sotto i suoi movimenti, così come fa anche lui. Dura qualche altro secondo così, ed infine è lei a rassicurarlo, mentre la guarda, finalmente. I lupi scompaiono, mentre la fissa in silenzio, il panico che lentamente abbandona il suo sguardo. « Maze... » Bofonchia, e anche solo parlare gli fa un male cane, tanto che è costretto a poggiarsi una mano sulla ferita al petto, la peggiore di tutte. « Siamo a casa? » Mormora, la voce soffocata, mentre si guarda attorno. Effettivamente può sembrare casa, quell'enorme stanza, arredata in maniera piuttosto simile alla loro stanza. Ma diventa sempre più lucido man mano che i secondi passano ed il sangue che le ha sottratto entra in circolo, riempendo tutti quei vasi sanguigni prosciugati dal vero e proprio dissanguamento che ha subito fino a qualche momento prima. Allora si morde il labbro inferiore, rilassandosi pian piano. E' tutto intero, sono nel suo ufficio, lei è lì e sta bene. Ma, cosa più strana di tutte, lui è vivo. Come è possibile che sia vivo? Si sfiora il viso d'istinto, ed uno strano ricordo gli ritorna in mente. « Hai finito di picchiarmi? Tu ce l'hai proprio con la mia faccia eh. » Ridacchia debolmente, poi allunga una mano, sfiorando il suo di viso, asciugandole alcune lacrime. Ha pianto. Maze è lì ed ha pianto per lui. Alcune sue parole gli ritornano alla mente. Fallo smettere, ti prego, fallo smettere. Se questo è tutta colpa dell'amore che ho sempre detto di provare con orgoglio, riprendilo indietro, strappalo via da me. Non lo voglio più. « Non faccio in tempo a morire che mi sostituisci già con un altro dio mh? » Socchiude gli occhi, mentre quei ricordi svaniscono lasciandogli un vuoto dentro, ma li riapre di scatto subito dopo. « Ti ho quasi dissanguata. Hai bisogno di.. » Apre la bocca, pronto a mordersi il polso, ma non appena lo sguardo ricade sul suo corpo, si rende conto. « ..Cazzo, quanto sangue. » Il suo. E allora riprende coscienza. E' vivo. Non sa esattamente come, ma è vivo. E' vivo perchè lei non l'ha lasciato andare. E' vivo perchè lei l'ha salvato, nonostante tutto. Perchè forse lei l'ha amato, nonostante la morte. La guarda allora. La sua espressione è sconvolta, sfinita. Le lacrime le rigano le guance, i capelli le ricadono sul viso, gli occhi stanchi ed è completamente ricoperta del suo sangue. « Cosa..Mh, cosa è successo? L'ultima cosa che ricordo sono i lupi che mi stavano divorando e.. » Il tuo urlo. « Mi hai salvato. Perchè mi hai salvato? »
     
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    E' ancora lì, con quel braccio sospeso a mezz'aria, aspettando che lui lo prenda, che lui faccia qualcosa. Continua a premerglielo contro le labbra, con la disperazione dipinta sul suo viso. Maze è abituata a molte cose, ha visto talmente cose, da risultarle stupide e abbastanza sfuggevoli le restanti. Eppure se c'è una cosa alla quale non si è ancora abituata è la perdita. La sofferenza che ha provato nel vedere il proprio fratello morire per mano del suo amato è la medesima che prova in quell'istante, mentre prova con tutta se stessa a rimanere lucida, mentre prova a non darsi per vinta, a dispetto di tutti i fatti che sembrano remarle contro. La stessa Beatrix ha perso le speranze. E' morto. Ma lei no, lei spera ancora, non sa nemmeno lei il perché, forse semplicemente perché troppo avvilita e sconfortata per provare veramente a vedere la realtà dei fatti. No, non è morto. Non può esserlo. Perché se lo fosse, beh, sarebbe stato tutto inutile, fin dall'inizio. Perché forse, c'è sempre stata una parte di lei che ha sperato che lui capisse finalmente di averlo effettivamente un cuore e che, alla fine, lui si facesse vivo, appena lasciato l'Inferno. C'è sempre stata quella minima percentuale in lei. Quel piccolo pezzettino di sé, così fragile, così piccolo, eppure così vitale e importante per lei, probabilmente l'unico che non ha mai voluto abbandonare di sé, l'ultimo barlume di speranza a cui è rimasta attaccata con le unghie e con i denti, persino nel ritrovarselo di fronte, nel sapere che era effettivamente lui la persona che si ritrovava a fronteggiare. Ha mantenuto sempre viva quella scintilla, forse un po' per stupidità, forse perché per un demone che vive per secoli e secoli, le occasioni di speranza che lo aiutino ad andare avanti vanno create. E così ha fatto lei. Si è creata l'occasione, si è creata un qualcosa alla quale aggrapparsi in un mondo in cui di felicità ne ha sempre vista ben poca. La sua personale ancora di salvezza. Alla quale rimane aggrappata anche in quel momento e che la fa sperare, fin quando non sente la sua lingua sgusciare fuori dalla sua bocca. Lo sente assaporare il sangue che, a contatto con l'aria, ha già formato una leggera crosticina sulla ferita. Lo sostiene con l'altra mano, reggendolo dalle spalle, mentre lo avverte cominciare a bere sempre con maggiore insistenza. «Così, continua a bere!» Ha gli occhi ancora gonfi di lacrime. Ma non sono più soltanto lacrime di dolore. C'è apprensione nella sua voce, è vero, ma c'è anche un pizzico di felicità che non fa nulla per nascondersi o mimetizzarsi per far sì che risulti più distaccata di quello che è in realtà. Poi le sue mani si aggrappano con forza contro il suo braccio e comincia a toglierle la linfa vitale con maggiore insistenza e bramosia. Sente il sangue fluirle via dal corpo, così come le forze, già di per sé precarie, prendono a scemare. Non ha niente dell'altra volta, quella del loro primo incontro terrestre. Non c'è più quel sentore di sesso nell'aria, non c'è più desiderio alcuno, ma c'è solo sofferenza e una voragine dal fondo profondo da dover riempire in qualche modo. E così, mentre sente scivolarle via la vita da sotto la pelle per essere donata a lui, decide di non provare a fermarlo. Lo lascia fare, sapendo che potrebbe non riuscire a controllarsi, visto il poco sangue che ha in circolo. Ma ancora una volta torna la sua ancora, si aggrappa al pensiero che lui riuscirà a fermarsi. In fondo, ha provato già una volta ad ammazzarla, ma non ce l'ha fatta, per qualche suo assurdo motivo. Quindi è quasi convinta che no, questa volta sarà diverso. Ed è davvero differente perché lui, come sperava, si blocca, allontanandosi da lei di colpo. Come lui ricade all'indietro, lei appoggia la testa al cuscino alle sue spalle, abbandonandosi completamente. Il respiro è appena udibile, ma il petto, pian piano, riprende ad alzarsi e abbassarsi in maniera regolare. Alza appena il capo, per accertarsi che lui ci sia ancora e che non sia stata tutta una sua fantasia. E lui è lì, in preda all'angoscia, mentre si tasta, quasi spaventato da quello che gli è appena successo. Non crede ai suoi occhi Maze. Non l'ha mai visto più umano di quanto lo è in quel momento. E alla fine i loro sguardi si incontrano e la disperazione sembra annullarsi negli occhi di lui, tornati bicolore. « Maze... Siamo a casa? » Scuote la testa, sapendo che lui preferirebbe fosse così. Se fossero davvero a casa, lui tornerebbe a non sentire niente di tutto quello che invece è costretto a sentire sulla Terra. Tornerebbe ad avere un'eternità senza dolore alcuno, senza alcun ostacolo tra lui e l'onnipotenza. Per un attimo si chiede se forse non sarebbe stato meglio lasciarlo andare, lasciarlo scivolare nell'oblio per tornare a casa. Forse sarebbe stato più felice e non sarebbe stato costretto a sentire tutto ciò. «Suppongo valga dai punti di vista.» Alza le sopracciglia, debolmente, mentre ricadono quasi subito al loro posto, troppo stanca anche per esprimere visivamente il suo sarcasmo. «Siamo nel tuo ufficio al Pandemonium. Però può sembrare casa, in effetti.» Si guarda intorno, finalmente libera di poterlo fare senza pensare ad altro. E riconosce ciò che ha intorno. E' tutto così dannatamente familiare, dalla disposizione dell'arredamento agli stessi mobili, le medesime scelte di colori e persino gli stessi tessuti e materiali delle cose. Passa una mano sopra le lenzuola sporche del suo stesso sangue. Seta, la sua preferita. «Ci sentivamo nostalgici, eh?» Forse saresti dovuto rimanere a casa, se ti manca così tanto da ricrearne una porzione di essa sulla Terra. « Hai finito di picchiarmi? Tu ce l'hai proprio con la mia faccia eh. » E' un vago sorriso quello che appare sulle sue labbra incurvate, mentre si lascia carezzare senza opporre resistenza a quel gesto così poco naturale per lui. Sì, forse inconsapevolmente, e nemmeno così tanto, ce l'ha davvero con la sua faccia. Proprio perché è la sua faccia. «In altre circostanze ti direi che sì, provo alquanto gusto nel tentare di farti sentire un po' di dolore, prendendomela principalmente con la tua faccia..è divertente e stimolante, a dire il vero.» ma c'è un "ma" in arrivo, ovviamente. «Ma questa volta non era nulla di intenzionale o premeditato. Non è facile risvegliare un non morto dal coma. E non è esattamente facile capire se sia ancora vivo o definitamente morto suddetta creatura.» Si accorge all'istante di quanto siano assurde le sue parole, mentre scrolla i capelli che le ricadono sulle spalle. «Però sì, ce l'ho con la tua faccia. E' una di quelle con cui è facile prendersela. Hai quel tipo di viso che qui chiamano da schiaffi. Credo sia una descrizione piuttosto accurata per te.» Quel genere di volto che cerca volontariamente di toglierti i ceffoni dalle mani, senza volerlo. « Non faccio in tempo a morire che mi sostituisci già con un altro dio mh? » Se ne esce così, lasciandola per un attimo interdetta. Ma tu come fai..? Come fa a ricordarsi, se era in un profondo stato di incoscienza? Il suo subconscio deve essersi aggrappato a qualsiasi cosa le sue orecchie hanno captato intorno a sé. Come a voler rimanere ancorato alla realtà, con una sola mano ferma sulla roccia dello scoglio dal quale sta per cadere, inesorabilmente, nell'abisso del nulla. «Io..non so di cosa tu stia parlando.» Liquida il discorso, facendo spallucce, mentre prova a rimettersi a sedere, lentamente, per testare i propri tempi di ripresa. Forse ha un po' di giramento di testa, ma per il resto, sembra star bene. « Ti ho quasi dissanguata. Hai bisogno di.. ..Cazzo, quanto sangue.» Annuisce, debolmente, mentre si alza in piedi, appoggiando la mano alla testiera del letto, per poi farla scivolare fino alle sacche di sangue che le ha portato il barista. «Il tuo amichetto, del piano superiore, dice che vengono direttamente dalla sua scorta personale.» Appoggia tutte e cinque le sacche di liquido sul letto, prima di avvicinarsi all'interfono che spera sia collegato al piano del locale vero e proprio. «Sembrava conoscere abbastanza bene i tuoi gusti personali, quindi suppongo ti debba accontentare della sua scelta, non sapendo io assolutamente nulla di quale sia il tuo tipo di sangue preferito.» Mai avrebbe creduto di dover tenere una conversazione di questo tipo. Spinge il bottoncino dell'interfono, avvicinandosi al microfono. «Tesoro, ci sei?» «Ehm, sì? Chi è?» «Tu non mi hai mai vista entrare, è vero, ma non è che porteresti nell'ufficio di Lucien qualcosa da mangiare? Qualcosa di sostanzioso, che riempa lo stomaco e qualche bevanda zuccherata non sarebbe male. Grazie.» Cielo, ho così tanta fame e me ne accorgo soltanto ora. Non aspetta nemmeno che il barista le risponda, prima di chiudere definitivamente il contatto audio. Si rigira verso Lucien, appoggiando le spalle al muro. «Dovresti rivedere l'elenco del tuo personale, comunque. Il ragazzetto al piano di sopra si è fatto imperiare senza opporre resistenza. Non giova troppo ai tuoi affari se si lascia fare lo stesso trattamento da uno qualsiasi dei clienti al bancone.» Gli scocca un'occhiata divertita, riscoprendosi stupita di poter toccare l'ennesimo diverso argomento, nel giro di qualche minuto da quella che sembrava essere la sua morte. « Cosa..Mh, cosa è successo? L'ultima cosa che ricordo sono i lupi che mi stavano divorando e.. Mi hai salvato. Perchè mi hai salvato? » Deglutisce, mentre le mani dietro la sua schiena si irrigidiscono. Da dove comincio? Abbassa lo sguardo, non riuscendo a sostenere il suo sguardo, mentre prende il secchio con l'acqua e i panni puliti. Si avvicina al letto e vi si risiede sopra, con una gamba piegata sotto il sedere. Alza gli occhi, per incontrare quelli di lui, e i propri si impreziosiscono di qualche pagliuzza dorata, quasi a voler enfatizzare
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    quella forma di disagio che prova in quel momento. Senza chiedergli il permesso e continuando a guardarlo, prende a togliergli la camicia, ormai ridotta a qualche brandello sporco e informe. Gliela lascia scivolare lentamente sopra le braccia, facendo attenzione a non farlo muovere più del dovuto. C'è dell'accortezza e una premura estrema in tutto ciò che fa, volte soltanto a non farlo stare ancora peggio. Strana la vita, fino a qualche settimana prima non avrebbe desiderato altro che potergli fare più male possibile e ora che ha la possibilità di fargliene e pure tanto, prendendo lì, nel suo momento di debolezza più estrema, non lo fa. «Sono la regina delle ceneri, è vero, ma non delle tue. Le tue non le reclamerei mai.» Prende a dire, mentre strizza un panno imbevuto d'acqua all'interno del secchio, per togliere il liquido in eccesso. «Pensi che ti avrei mai lasciato morire? Di una morte così indegna come l'arrendersi alla volontà di un branco di licantropi, per giunta? Cosa che, tra parentesi, non avrei mai creduto possibile. Un Dio che si arrende ai desideri altrui. Ti stai indebolendo Prova a scherzarci su, accennando una mezza risata, con il panno che si muove lentamente sul petto nudo di lui. Fa piano, sembra non appoggiarsi nemmeno a lui, quasi come il tocco di una nuvola, mentre porta via il sangue scuro incrostatogli addosso. «Non ti potevo lasciar andare, non così Non lo guarda negli occhi, mentre parla. Continua a guardare fissa la sua mano che vaga dolcemente sulla sua pelle. La stoffa chiara si tinge di rosso, si impregna di sangue, fin quando lei non la ributta nell'acqua pulita e allora ritorna pulita. Così come l'anima di un peccatore che si sporca di tutto il male che ha creato e provocato, fin quando non si confessa. E lei si confessa a lui, senza mezze misure, come al suo solito. «Io non ho pensato alle conseguenze. Semplicemente non ho pensato. Ho pensato fosse la cosa giusta da fare, per tutti e soprattutto per la mia ospite e me stessa.» Scuote il capo, così come storce le labbra in quella che è una smorfia di rassegnazione. Ho fatto un casino, lo so, me ne rendo conto. «Quando mi hanno chiesto aiuto, ho semplicemente fatto quello che pensavo fosse giusto. E io volevo così tanto uscire, cielo, lo volevo così tanto.» Finito di ripulire il basso ventre, prende la bacchetta e gliela punta contro per far comparire delle bende ad avvolgerglielo delicatamente. Fa tutto completamente a caso, non sapendo con esattezza se possa aiutare o meno un vampiro, ma lo fa comunque, perché tentar non nuoce ed è meglio di rimanere con le mani in mano. «Ho cominciato ad odiare quel posto, troppe cose brutte, tutte insieme. Troppo dolore. Volevo semplicemente lasciarmelo alle spalle e così, quando mi hanno chiesto una mano, ho semplicemente fiutato per loro i sin eater, consegnando a loro e a me stessa le chiavi della libertà. Ma non ho valutato la tua reazione, non ci ho minimamente pensato.» Quando posso essere stata stupida nel non aver valutato la tua reazione? Eppure ti conosco così dannatamente bene. «Forse perché, una parte di me, credeva che anche tu non volessi rimanere più lì. Sì, era la trasposizione di casa, ma non è mai stata casa. Lo sai, era tutto diverso, tutto così uguale ma allo stesso tempo distante.» Così irreale. «E quando ti ho visto assalito da tutti quei lupi, l'ho sentita...» Alza appena gli occhi, per incontrare quelli di lui. «Ho sentito la tua voce dentro la mia testa, è come se galleggiassi in mezzo al mare, con le orecchie sotto il pelo dell'acqua e, improvvisamente, ho sentito il tuo battito, quel dannato battito che ti sei ostinato a farmi sentire con tanta convinzione, venir meno e all'istante ho saputo che dovevo fare di tutto per salvarti.» E' impassibile, sempre con la stessa medesima espressione sul volto, mentre si rispecchia nei suoi occhi. Fiera, seppur sporca da capo a piedi, con i solchi delle lacrime che si fanno strada tra le tracce di sangue secco che ha sul viso. Fiera di aver preso quella decisione che per lei è l'unica possibile da prendere. Sempre. «Chiamala deformazione professionale, ma essere stata il tuo soldato per secoli ha ancora degli strascichi dentro di me, a quanto pare.» Non si cambia vita così, da un momento all'altro, senza non provare più l'influenza costante del passato. «Semplicemente non potevo lasciarti morire, non sapendo che è tutto questo si è messo in moto anche grazie ad un mio desiderio personale. Sapendo che sarebbe stata, essenzialmente colpa mia.» Arriva al morso che ha sulla parte alta del petto e per un attimo rimane ad osservarlo. Ne osserva i tagli frastragliati e cerca di capire quanto in profondità si sono spinti i denti. «Suppongo che io sia stata creata per non arrendermi mai. Non si smette di provare a salvare un'anima, dall'oggi al domani. Probabilmente non ci riuscirò mai.» E' così ingenuamente sincera, alle volte, da riuscire a destabilizzare persino se stessa, nel riascoltarsi. Abbandona per qualche secondo il panno sporco e avvicina i polpastrelli al petto. Lo sfiora come si fa con un pezzo di antiquariato prezioso, fragile, di vetro intagliato e lavorato a mano. Ne ricerca gli occhi, per capire se gli dia fastidio o meno. «Com'è possibile che tu non sia morto, dopo questo?» Il morso, lì dov'è il cuore, avrebbe dovuto farlo crollare a terra esanime allo stesso modo in cui era caduto Morgan. A quel pensiero, si sente lo stomaco contorcersi e allora allontana la mano di scatto, guardando alle proprie spalle. Sapendo di dover far qualcosa di quel corpo. «Hai sentito qualcosa? Hai sentito i denti affondarti nel cuore?» Perché è quella la sensazione che ricorda lei della sua morte. Dei denti infuocati che le hanno smembrato il corpo, pezzo dopo pezzo, senza pietà. Torna a guardarlo, per qualche istante. «E com'è il limbo? Hai visto qualcosa?»

     
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    «Suppongo valga dai punti di vista. Siamo nel tuo ufficio al Pandemonium. Però può sembrare casa, in effetti.» Si guarda attorno, Lux, riconoscendo il suo ufficio. Man mano che i sensi tornano lì dove devono stare, e la sua coscienza prende di nuovo parte di sè, riconosce tutto ciò che ha di fronte. E' ancora stordito e terribilmente confuso, con un cerchio alla testa che proprio non ne vuole sapere di lasciarlo in pace, ma c'è. E' vivo, per quanto un morto possa esser vivo. E allora segue lo sguardo di lei che vaga lungo tutto il suo ufficio, o quanto meno fin dove i limiti della vista umana le permettono di guardare. Quel posto è enorme. Si estende per tutta la superficie del locale, con l'unica differenza che è situato praticamente sotto terra. Illuminato soltanto da luci artificiali, rosse e blu per la maggior parte, l'ha sempre fatto sentire vicino a casa, in una qualche maniera. «Ci sentivamo nostalgici, eh?» Torna a guardarla, per quei pochi secondi prima di distogliere nuovamente lo sguardo, imbarazzato. Se non fosse pressochè impossibile, probabilmente starebbe arrossendo al momento. « Pff. Non so di cosa tu stia parlando. » Si sforza di dire, con espressione decisamente colpevole. Beccato! «In altre circostanze ti direi che sì, provo alquanto gusto nel tentare di farti sentire un po' di dolore, prendendomela principalmente con la tua faccia..è divertente e stimolante, a dire il vero. Ma questa volta non era nulla di intenzionale o premeditato. Non è facile risvegliare un non morto dal coma. E non è esattamente facile capire se sia ancora vivo o definitamente morto suddetta creatura.» Si mordicchia il labbro inferiore, sorridendo appena, seppur debolmente. Mentre la ascolta, gli sembra di rivedere quei momenti. Non sa come sia possibile, nè tanto meno cosa sia reale e cosa no. Eppure sente la sua voce, la continua a sentire nella sua testa. Quelle parole cariche di paura, di disperazione ed angoscia. Quelle preghiere silenziose, sofferte e dolorose. «Però sì, ce l'ho con la tua faccia. E' una di quelle con cui è facile prendersela. Hai quel tipo di viso che qui chiamano da schiaffi. Credo sia una descrizione piuttosto accurata per te.» Ridacchia leggermente, poggiandosi istintivamente una mano sulla pancia, e sobbalzando per la fitta che quel semplice contatto e quella risata gli causano. Quindi lascia scivolare il braccio lungo il fianco, valutando che, a conti dei fatti, il suo corpo è al momento off limits. Scusa Vlad, ti pago il chirurgo plastico, giuro. Scherza, seppur da un lato il suo sia una sorta di richiamo. L'ha sentito morire, assieme a lui, e per quanto suoni strano, gli è dispiaciuto. Hanno sofferto assieme sotto i morsi di quelle creature. Hanno lottato, hanno tentato di difendersi con le unghie e coi denti. E adesso Lux è di nuovo lì, ma di Vlad nemmeno l'ombra. Sa che è là da qualche parte, lo sente, seppur assai flebile, ma decide di non insistere, per adesso. Tornerò a romperti le palle. « Però dai, ammettilo, è una bella faccia. Me la sono scelta bene. » Eeeeee sono tornato. Visto? Ti faccio anche i complimenti. Andiamo parlami. Ma Vlad continua a ignorarlo, e allora Lucien si rassegna. Almeno per ora. Torna a guardarla, ed è sorpresa ciò che legge sul suo viso stanco. «Io..non so di cosa tu stia parlando.» E' divertente, quanto diavolo possano assomigliarsi, loro due. Si ostinano a credere il contrario, come hanno sempre fatto. Ma a conti dei fatti, eccoli ad imbarazzarsi ed a negare l'ovvio. Quindi inarca un sopracciglio, Lucien, con una nota d'ironia e sarcasmo ben visibili, ma decide di non infierire. Un po' perchè non è nella situazione più ottimale per poterlo fare, un po' perchè è troppo stanco. E stanca lo è anche lei, dopotutto. La osserva, e sembra accorgersene soltanto adesso di quanto possa esser ridotta male. Sporca del suo stesso sangue, ormai incrostato sui suoi vestiti, il viso graffiato, e l'incarnato terribilmente pallido. Lo sguardo vaga lungo il suo corpo, per accertarsi che non abbia ferite gravi. Vorrebbe aiutarla, ma in quelle condizioni potrebbe fare ben poco. Se le desse il suo sangue per rinvigorirla, tornerebbero punto ed a capo. Perchè tu hai proprio il chiodo fisso di dovermi salvare sempre, eh Mazey? Gli occhi bicolore scendono al suo braccio, quello dal quale si è nutrito solo qualche minuto fa. Quello che gli ha ridato la vita. Il sangue di lei scorre dentro di lui, ed ora inizia a sentirlo. Pulsa, è vivo, è caldo, è umano. E' suo. La sente vibrargli sotto la pelle, riscaldandolo dall'interno come fuoco. Un fuoco che non lo danneggia tuttavia, ma che anzi gli dà forza. Lo anima, per quel poco che gli è possibile fare. Porta una luce in quel mare di tenebra. Come ha sempre fatto. « Dovresti medicarti quella, non ti conviene perdere altro sangue. » Mormora, accennando col capo al suo braccio. Te ne ho portato via già troppo. « Come...Come ti senti? Sei stata..Azzardata. Avrei potuto non fermarmi. » Si mordicchia il labbro inferiore, in un tono d'apprensione che proprio non gli appartiene. Lui è appena resuscitato da morte certa e le chiede come sta. Tutto regolare. La vede alzarsi a quel punto, e riesce a tranquillizzarsi un minimo. Se riesce a camminare le ho lasciato un po' di sangue in circolo, no? Si sente in colpa, decisamente. Non si sarebbe aspettato di essere salvato, nonostante tutto. Eppure Maze l'ha fatto, Maze è lì, come sempre, al suo fianco. Ha sacrificato una parte di sè mettendosi a rischio. Per secoli sono rimasta lì, al tuo fianco. La tua più fedele alleata, il tuo soldato. «Il tuo amichetto, del piano superiore, dice che vengono direttamente dalla sua scorta personale. Sembrava conoscere abbastanza bene i tuoi gusti personali, quindi suppongo ti debba accontentare della sua scelta, non sapendo io assolutamente nulla di quale sia il tuo tipo di sangue preferito.» Piega appena la testa di lato, nel vederla poggiare alcune delle sue personali sacche di sangue sul materasso. La scorta. Quella che cerca sempre di non toccare perchè aspira a roba migliore. Eppure al momento sembra così allettante ai suoi occhi, con quell'anemia ancora persistente che ha addosso. Quindi mentre lei si avvicina all'interfono, lui tenta di allungarsi per agguantarne una. Muoversi gli fa un male cane, ed ha bisogno di qualche momento di rilassamento per ignorare quelle dannate fitte laceranti e allungare il braccio con più decisione per agguantare il suo bottino. E' già aperta, e per tanto le lancia un'occhiata interrogativa, prima di bere direttamente dalla busta. « Di solito uso qualche calice d'oro o cristallo per bere, è molto più..elegante. » Meno da morto di fame. Mormora, passandosi la lingua sulle labbra e sui denti per ripulirsi. « Ma considerato che sono vivo per.. » Miracolo? « per un pelo, mi accontento del sembrare un morto di fame, sì. » Quindi continua a bere, prosciugandosi la prima busta in pochi minuti. Quel sangue fa decisamente schifo, ma si deve accontentare anche di questo. Lascia cadere la busta per terra, richiudendo gli occhi e poggiando la testa al cuscino, attendendo che entri in circolo. L'espressione piuttosto disgustata. «Dovresti rivedere l'elenco del tuo personale, comunque. Il ragazzetto al piano di sopra si è fatto imperiare senza opporre resistenza. Non giova troppo ai tuoi affari se si lascia fare lo stesso trattamento da uno qualsiasi dei clienti al bancone.» Ridacchia appena, stringendosi nelle spalle. « Sei riuscita ad imperiare me, sei pericolosa quando ti ci metti d'impegno. » Riapre gli occhi « Però considerato che mi ha portato un sangue davvero di merda, -anche se dopo aver bevuto il tuo, qualsiasi cosa mi sembrerebbe di merda in confronto- mi sa che dovrei proprio licenziarlo. » E' assurdo come siano passati dalla morte al chiacchierare del più e del meno come niente fosse. Ma in fondo sono demoni, sono fatti così. La vede avvicinarsi a quel punto, con un secchio d'acqua e dei panni puliti. La lascia fare mentre lei lo aiuta a sollevarsi quanto basta per sfilargli la camicia ridotta a brandelli, e non riesce a trattenere un gemito di dolore soffocato non appena torna a poggiarsi sul materasso. Può un corpo morto fare così dannatamente male? Evidentemente sì. « Questa è la seconda camicia ridotta a brandelli che mi sfili, eh. » Bofonchia, per sdrammatizzare e distrarsi da tutte quelle dannatissime fitte laceranti. Lei, dal canto suo, tenta di ripulirlo. Con una premura che quasi mai gli è stata dedicata, gli passa i panni puliti ed umidi sui tagli incrostati di sangue, ed il contatto dell'acqua fresca riesce a dargli un po' di sollievo. Quindi la lascia fare, chiudendo gli occhi, completamente passivo e vulnerabile sotto le sue cure. Per qualche momento sembra assentarsi nuovamente, in quel mare di tenebra, ma ritorna subito alla realtà, riaprendo gli occhi di scatto.
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    « Okay, meglio non chiuderli. » Afferma, più a sè stesso che a lei, prima di continuare a guardarla in silenzio. Potrebbe fargli di tutto, in quel momento. Potrebbe inferire su di lui in ogni modo possibile. Fargli scontare tutte le pene a cui l'ha costretta per secoli. E lui, dal canto suo, se lo meriterebbe. Ma Maze non lo fa. Maze continua a medicarlo, a prendersi cura di lui, e sotto le sue dita esili e tiepide, Lucien si sente in un qualche modo..confortato. Protetto. «Sono la regina delle ceneri, è vero, ma non delle tue. Le tue non le reclamerei mai. Pensi che ti avrei mai lasciato morire? Di una morte così indegna come l'arrendersi alla volontà di un branco di licantropi, per giunta? Cosa che, tra parentesi, non avrei mai creduto possibile. Un Dio che si arrende ai desideri altrui. Ti stai indebolendo Si morde il labbro inferiore, calando lo sguardo. I ricordi di quei momenti sono ancora vividi. I denti affondati nella carne, la consapevolezza di finire fatto a pezzi, da un momento all'altro. Sì, si sta indebolendo. Non gli piace, gli fa schifo, ma è così. E in quei momenti, in quei momenti Lux ha smesso di combattere. « Pensavo mi avessi tradito, sai che reagisco male ai tradimenti. » Non è arrabbiato, il suo tono di voce. Dovrebbe esserlo, dopotutto. C'è una parte di sè che vorrebbe urlarle addosso tante di quelle cose. Ma è troppo stanco per farlo. Troppo triste, demotivato, probabilmente rassegnato. Ti ho detto di scegliere la tua strada e probabilmente l'hai fatto. In un modo che non condivido, ma va bene così. «Non ti potevo lasciar andare, non così. Io non ho pensato alle conseguenze. Semplicemente non ho pensato. Ho pensato fosse la cosa giusta da fare, per tutti e soprattutto per la mia ospite e me stessa. Quando mi hanno chiesto aiuto, ho semplicemente fatto quello che pensavo fosse giusto. E io volevo così tanto uscire, cielo, lo volevo così tanto.» Continua a guardarla mentre lo medica, prima di castargli contro alcuni incantesimi che, stranamente, fanno effetto. Delle bende lo avvolgono delicatamente, in un moto di sollievo. «Ho cominciato ad odiare quel posto, troppe cose brutte, tutte insieme. Troppo dolore. Volevo semplicemente lasciarmelo alle spalle e così, quando mi hanno chiesto una mano, ho semplicemente fiutato per loro i sin eater, consegnando a loro e a me stessa le chiavi della libertà. Ma non ho valutato la tua reazione, non ci ho minimamente pensato. Forse perché, una parte di me, credeva che anche tu non volessi rimanere più lì. Sì, era la trasposizione di casa, ma non è mai stata casa. Lo sai, era tutto diverso, tutto così uguale ma allo stesso tempo distante.» Avresti dovuto valutarla la mia reazione. Sarebbe dovuta essere anche la tua, di reazione. «E quando ti ho visto assalito da tutti quei lupi, l'ho sentita...Ho sentito la tua voce dentro la mia testa, è come se galleggiassi in mezzo al mare, con le orecchie sotto il pelo dell'acqua e, improvvisamente, ho sentito il tuo battito, quel dannato battito che ti sei ostinato a farmi sentire con tanta convinzione, venir meno e all'istante ho saputo che dovevo fare di tutto per salvarti. Chiamala deformazione professionale, ma essere stata il tuo soldato per secoli ha ancora degli strascichi dentro di me, a quanto pare.» Le sue labbra si distendono in un lieve sorriso, a mezza bocca, mentre cala lo sguardo sulle sue mani che si muovono sul suo corpo, con quei movimenti leggeri ed oltremodo soffici. «Suppongo che io sia stata creata per non arrendermi mai. Non si smette di provare a salvare un'anima, dall'oggi al domani. Probabilmente non ci riuscirò mai.» A quel punto la guarda, piegando appena la testa di lato. Non si smette di provare a salvare un'anima, dall'oggi al domani. Ed è vero, Maze l'ha salvato. Sarebbe morto, se non fosse stato per lei. Si sarebbe lasciato guidare da quelle ombre, da quei demoni, i suoi demoni. L'avrebbero ricondotto lì, a casa, in quel posto che probabilmente mai avrebbe dovuto lasciare. Sarebbe tornato ad essere onnipotente. A non avere un cuore, a non provare nulla. Avrebbe smesso di soffrire, di provare dolore, di farsi del male. Ma avrebbe anche smesso di sperare, di avere cura, di provare nostalgia, di amare. Perchè di questo si trattava, si era sempre trattato sempre e solo di questo, seppur mai l'aveva riconosciuto ed è probabilmente ancora troppo presto per riconoscerlo. Era stato il suo amore a salvarlo. Erano state le sue lacrime, le sue parole, la sua disperazione, il suo cullarlo come un bambino. Si chiede in quel momento se tutto ciò che quella sua coscienza risvegliata gli sta suggerendo sia reale o meno. In fondo se le ricorda ancora le parole di quella sera. Posso provare a crederti, posso provare a concederti il beneficio del dubbio, posso provare a credere che le tue parole siano vere, ma non mi fido, Lucien. Non riesco a farlo. Eppure, non si smette di provare a salvare un'anima dall'oggi al domani. Probabilmente non ci riuscirà mai. Continua a guardarla allora, in estremo silenzio. Eccolo, Lucien, stipato in quel letto sudicio di sangue, estremamente vulnerabile sotto il tocco di lei. Non sembrerebbe nemmeno quel diavolo che, solo poche ore fa, è riuscito a far strage di innocenti. Squartando, sfracellando, annientando. Non sembrerebbe nemmeno quel demone che l'ha guardata con sguardo carico di confusione, quando l'ha vista assieme a quel sin eater. Che se non l'avessero bloccato si sarebbe materializzato proprio lì, in mezzo a loro, per chiederle una fottuta spiegazione, le iridi infocate dall'ira di un evidente tradimento. No, non sembra proprio niente di tutto ciò. Ma non è forse così che funziona, in fondo? Le apparenze ingannano. Che dietro il diavolo si nasconda l'umano, dopotutto? E che dietro l'odio, dietro la sfiducia, si nasconda l'amore? Mazikeen, in fondo, non si è mai arresa con lui. Non l'ha fatto per secoli, e, seppur l'avesse creduto, evidentemente non l'ha fatto infine nemmeno adesso. Quindi, al di là di quella scelta ai suoi occhi sbagliata, al di là delle conseguenze che le sue azioni abbiano avuto su di lui, al di là di tutto, Lux si aggrappa a quella speranza. Quella piccola, microscopica luce, la stessa che è riuscita a strapparlo dall'ombra di una morte certa. Quella minuscola convinzione che in fondo, in qualche modo, lei possa ancora amarlo. Non si rischia tutto per salvare qualcosa che non ami, in fondo, no? Forse si sta semplicemente illudendo. Forse Mazikeen l'ha salvato solo perchè è stata creata per farlo. Ma se è davvero un'illusione, quella, allora gli sta bene viverci dentro. A quel punto la percepisce sfiorargli il petto, e seppur il suo tocco sia oltremodo leggero, si ritrova a mordersi per qualche momento il labbro inferiore per il leggero fastidio. Ma si abitua immediatamente, rilassando il corpo irrigidito. «Com'è possibile che tu non sia morto, dopo questo?» Scuote la testa, stringendosi debolmente nelle spalle. « Non ne ho idea. » Mormora dopo qualche minuto di silenzio, gli occhi che adesso vagano su quel grosso squarcio che ha proprio lì, all'altezza del cuore. « Eppure un cuore ce l'ho, l'hai sentito battere anche tu. Forse mi sono scelto l'unico vampiro davvero immortale. » « O forse semplicemente hai il cuore da un'altra parte, coglione. » Oh ma ben svegliato! « Per questo ti dicevo di non arrenderti, perchè quel morso non poteva ucciderti. Ma tu no, la fidanzatina ti aveva tradito e quindi fanculo, facciamo fare a pezzi Vlad. » Pure rompipalle come al solito. Quanto mi sei mancato! « Tu neanche un po'. » Ne riparliamo quando ti passa il ciclo. « Dice che ho il cuore al contrario, dall'altra parte. Vlad, il mio ospite. E' leggermente incazzato con me perchè gli ho fatto squartare il corpo... » Ridacchia debolmente, prima di poggiare la mano gelida su quella di lei, per spostarla verso il lato destro del suo petto. Sotto i suoi polpastrelli, il suo cuore pulsa due o tre volte, seppur in maniera piuttosto flebile, prima di fermarsi dopo qualche istante. « Non ci credo, è vero. Che culo. » Rimane per qualche momento con le dita strette contro la pelle calda di lei, godendosi quel contatto. «Hai sentito qualcosa? Hai sentito i denti affondarti nel cuore? E com'è il limbo? Hai visto qualcosa?»

    Passano diversi minuti di silenzio, mentre tenta di ricordare ciò che ha visto. Le voci, le ombre, i demoni, i ricordi. « Li ho sentiti. Mi divoravano dall'interno, pezzo per pezzo, e non avevano pietà. » La guarda, consapevole del fatto che lei possa capirlo. « Ha fatto male, tanto. Morire fa schifo. Pensavo sarebbe stato divertente, ma evidentemente dovrò aggiungere anche questo alla lista delle cose su cui ricredermi. » Che aumentano sempre di più, ormai. Le lascia andare la mano, e trova un minimo di forza per mettersi a sedere, la schiena poggiata contro la testiera d'ebano dell'enorme letto matrimoniale. « Il limbo è..Confuso. Non ricordo molto..Ma c'erano le ombre, ed i demoni. Chi l'avrebbe mai detto che persino io potessi avere i miei demoni? » Ridacchia appena. « Mi rivogliono a casa. Hanno provato a manipolarmi, a trascinarmi con loro. Evidentemente non sono poi così felici che io sia quì.. » Al pensiero, rabbrividisce. « E per qualche momento mi hanno convinto. In fondo, per quale altro motivo sarei dovuto rimanere sulla Terra? E' evidente che questo mondo non mi vuole. Ho fatto solo un casino di danni, da quando sono quì. In tutto e per tutto. Specialmente con te, che è il principale motivo del mio viaggetto al piano di sopra. Mi son chiesto, perchè lottare per rimanere? Non ho niente, dall'altra parte così come ormai non ho niente neanche a casa. Tanto valeva tornarci, a questo punto, perché in fondo era tutto perfetto prima che arrivassi io. » La guarda « Ho pensato mi avessi tradito di proposito. Che avessi scelto la tua parte, opposta alla mia, alla nostra. Non ho avuto neanche il tempo di arrabbiarmi, che mi hanno assalito. Ma ha fatto male sapere che eri stata proprio tu, ad aiutarli. Probabilmente dovrei essere arrabbiato anche adesso, conoscendomi. Ma...Non ci riesco. » Si stinge nelle spalle. « Perchè non ho nè la forza, nè la voglia di provare il mio solito, instancabile odio. Perchè se sono quì è grazie a te. Ti ho vista nel limbo. Tutte le volte che i demoni parlavano, la tua voce mi rimbombava nella mente. E quando poi mi hanno preso per mano, tu eri lì a piangere per me ed a cullarmi. Probabilmente mi sono solo sognato tutto, ma se così fosse, le tue parole, tutto ciò che hai fatto...E' stato un gran bel sogno. » Una luce in mezzo alle tenebre. Cala lo sguardo, percorrendo con le dita il taglio frastagliato che gli lacera il petto. Segno indelebile della sua debolezza. Si morde il labbro inferiore, l'espressione amareggiata. « Ho perso Maze. Mi sono indebolito così tanto da farmi squartare da un branco di..burattini dell'Onnipotente.» Il tono di voce è carico di disprezzo. « Non sono riuscito a difendere i nostri fratelli..Li ho visti fare a pezzi...I miei... » I miei figli. Pausa. « Se non fosse stato per te sarei crepato come un idiota. Quindi..Sì, insomma..Grazie, per avermi salvato. Io...Non me l'aspettavo. Non dopo tutto quello che ti ho fatto. Avresti potuto lasciarmi lì, lo squartamento sarebbe stata una pena piuttosto azzeccata per i miei peccati. » Ridacchia « Ma in fondo, tu non ti arrendi proprio mai eh? Non so se sei davvero nata per salvarmi, ma hai sempre scelto di farlo. E anche se non me lo merito, mi piace questo. » La guarda e sorride, a mezza bocca, e fa per aggiungere altro, quando un rumore non del tutto delicato al di là di uno dei muri dell'enorme atrio lo fa sobbalzare. Si gira di scatto, ed è allora che ne sente il latrato. Poi lo vede. All'inizio sembra un'enorme bestia a tre teste, ma man mano che si avvicina, riescono a distinguersi tre grossi esemplari di rottweiler. Scodinzolano, le bocche munite di spaventose zanne spalancate. Corrono nella loro direzione, tutti e tre, lo sguardo di ghiaccio rivolto su di lui. « Occazzo. » Bene, sono scampato dai lupi, morirò sotto il mio cane. « Noooo! Sta giù! Giù! » Le bestie iniziano ad uggiolare, facendo per salire sul letto, con le grosse zampe sul materasso, ma alla fine obbediscono, limitandosi a scodinzolare lì per terra, spalleggiandosi l'un l'altro per farsi accarezzare. « Amore di papà, quanto sei bello? » Si sforza di dire, sorridendo, mentre allunga un braccio per accarezzare la testa di una delle creature. « Hai visto chi ti ho portato? » Accenna a Maze, ed è allora che i due cani che non sta accarezzando la puntano. La fissano per qualche momento, poi si gettano in avanti, alzandosi per poterla leccare ovunque sia possibile, scodinzolanti e felici. « Gli sei mancata. Okay abbandonare me, ma lui..Sei stata proprio un'insensibile. » Ridacchia, lasciandosi leccare la mano dal primo cane. « Il tuo gatto dov'è finito? Credo sia meglio trovarlo, prima che lo facciano loro... » Asserisce. « Non ho visto solo i miei demoni, nel limbo. » Se ne esce poi, dopo un po'. « Ho avuto anche alcuni..flashback. E credo siano stati quelli, assieme alle tue parole..A farmi decidere a tornare. Perchè io non voglio, non ce la faccio, non sono preparato, non sono pronto a questo, a lasciarti andare. » Quelle parole gli suonano familiari, ma non sa se siano l'ennesimo frutto della sua immaginazione, quindi si stringe nelle spalle. La mano destra che batte per due o tre volte sul materasso, di fianco a lui, come per chiederle di stargli vicino. Perchè averla vicino è ciò di cui ha più bisogno, adesso. « E poi abbiamo ancora una scommessa in atto, io e te. » Cerca i suoi occhi con i propri. « Sono morto, e a quanto pare credo tu non ti sia davvero dimenticata di me. Quindi..Tu hai vinto. Ed io ho perso. » Ma questa è la prima volta in cui aver perso non mi dà fastidio. « Ma sono tornato, perchè te l'avevo promesso. E..Devo darti tutto ciò che vuoi, ricordi? » "E mi darai tutto tutto?" "Certo, è un patto." « E' un patto. Allora, cos'è che vuoi Mazey? »
     
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    « Pff. Non so di cosa tu stia parlando. » Scuote la testa, guardandolo e notando un lieve cambiamento di voce, oltre all'espressione decisamente imbarazzata. Ridacchia, leggermente divertita dal vederlo, probabilmente per la prima volta veramente, imbarazzato e con le spalle leggermente al muro. «No vero? Che strano però, sembra tutto tale e quale a come era laggiù Si ritrova a dire, mentre si muove sopra il letto, quasi non riuscendo a star ferma. «Deve essere una fortuita coincidenza, suppongo.» Passa lo sguardo sul divanetto di pelle, in fondo al letto, prima di tornare a guardare lui, con quel tremolante sorriso che sembra andare a venire ad intermittenza. « Però dai, ammettilo, è una bella faccia. Me la sono scelta bene. » Si ritrova a fare una smorfia che vorrebbe essere dura, pensosa, distaccata, piuttosto scocciata, ma che in realtà risulta essere semplicemente divertita da quel suo commento. «Probabilmente è solo grazie al fatto che te la sei scelta così bene che sei riuscito a portarmi a letto, qualche mese fa.» Inarca il sopracciglio, guardandolo come a volerlo sfidare. E' una frecciatina velata quella? Nemmeno troppo velata a dirla tutta, mentre continua a fissarlo chiedendogli quasi di controbattere, di rispondere alla sua insinuata, anche se è steso su un letto sporco del suo stesso sangue, con mezzo petto aperto. Dai, non c'è niente che vuoi dirmi? Non c'è niente che vuoi obiettare a riguardo? Mh? Quando si dice "Capire quando è il momento di dire o fare una determinata cosa." Ma lei non è mai stato quel tipo di donna in grado di cogliere il giusto momento, in determinate situazioni. Inopportuna e sfacciata sempre e comunque. « Dovresti medicarti quella, non ti conviene perdere altro sangue. Come...Come ti senti? Sei stata..Azzardata. Avrei potuto non fermarmi. » Torna a guardarlo, interrogandosi sul vero perché di quella domanda. Si domanda se la stia testando, come ha spesso fatto in passato. Testare la sua fedeltà e il suo completo asservimento a lui era una routine ormai comune, con domande a bruciapelo lanciate qua e là, quando meno Mazikeen se l'aspettava. E anche quella è una domanda che la coglie mediamente di sorpresa. Abbassa gli occhi sulla propria ferita e annuisce, passandovi sopra l'indice. Lo sporca di sangue e lo porta nuovamente alle sue labbra, come la prima volta. Ma nel suo sguardo non c'è più la malizia che vi era allora, ma semplicemente un'apprensione in quella piccola premura. «Sto bene.» «Ovviamente, sia mai che ammetterai di avere un problema ad alta voce eh?» No, non fa parte della sua indole farsi compatire. Odia vedere negli occhi altrui quel sentimento di compassione mista alla pena più pura. Non fa decisamente per lei. «Lo so che potevi non fermarti, ne ero pienamente cosciente quando ti ho offerto il mio sangue. Te l'ho detto già una volta, la morte non mi spaventa.» Soprattutto se il sacrificarmi riuscisse a mantenerti in vita. «Ho solo sperato, ancora una volta.» Si sfrega le mani tra di loro, prendendo la bacchetta per poi passarsela quasi svogliatamente sopra la ferita. Questa si va rimarginando pian piano e Maze può quasi vedere il lento muoversi di ognuna delle cellule per riconnettersi alle sue vicine. «Ho supposto che, se erano vere le tue parole, alla fine ti saresti fermato. Perché tu vuoi che io stia bene, non è così?» Mentre al posto dello squarcio compare una linea rosa, donandole l'ennesima cicatrice su quelle braccia martoriate, torna a guardarlo da sotto le ciglia. E' uno sguardo carico di aspettative il suo, carico di qualche vena di vispo divertimento ma anche di determinata convinzione. «A questo punto credo tu abbia superato la prova. Inaspettatamente, eri sincero.» E lo capisce forse il quel momento per la prima volta. Ma voglio che tu stia bene. Io voglio che nessuno ti faccia più stare male. Voglio lottare per te. Lancerò un attacco su vasta scala, farò imboscate e colpirò e brucerò e lotterò fino a sanguinare per te, lotterò fino alla morte perché ho giurato di farlo. Perchè tu sei qualcosa per cui vale la pena lottare e io voglio lottare. Le risente in quel momento e rimane quasi a bocca aperta di fronte alla verità dei fatti: ha lottato, per lei, si è fermato prima che potesse essere troppo tardi. «Hai combattuto persino contro te stesso. E' una sorpresa.» Una constatazione fatta a fior di labbra, mentre si alza in piedi. «Deve farti proprio strano avere un cuore, eh?» Prendersi cura dell'altro, preoccuparsi, tenere tanto ad una vita da compromettere persino la propria. Stai diventando finalmente umano e probabilmente nemmeno te ne accorgi. Forse arriverai persino ad odiare tutto questo, un giorno. Pensa, mentre rimane con la testa appoggiata al muro, dopo aver ordinato il proprio cibo e avergli consegnato il suo. « Sei riuscita ad imperiare me, sei pericolosa quando ti ci metti d'impegno. » Un velato complimento? Lo guarda inarcando un sopracciglio, mentre torna, strisciando i piedi contro il pavimento tanto si sente spossata, verso il letto. « Però considerato che mi ha portato un sangue davvero di merda, -anche se dopo aver bevuto il tuo, qualsiasi cosa mi sembrerebbe di merda in confronto- mi sa che dovrei proprio licenziarlo. » Okay, due complimenti. Sta decisamente riprendendo le sue forze visto il livello di lecchinaggio estremo che sta pian piano raggiungendo. «Davvero? Hai deciso di giocartela con la carta carinerie gratuite?» Una smorfia che sembra più essere un sorriso soddisfatto le gonfia gli zigomi. «Quindi è buono il mio sangue, mh?» Perché, in fondo, per quanto sia sveglia e perspicace in certe situazioni, Maze rimarrà sempre la donna che con un complimento del genere va a nozze. Non lo dà a vedere, non pienamente perlomeno, ma le fa piacere avere quei piccoli dettagli che passerebbero in secondo piano per chiunque altra, ma non per lei. « Questa è la seconda camicia ridotta a brandelli che mi sfili, eh. » Vorrebbe controbattere qualcosa, ma si rende conto del dolore che lui sta provando in quel momento, visti i lineamenti distorti del suo volto. Si rattrista immediatamente, mentre un broncio prende il posto del solito sorriso made in Mazikeen. «Io non ho idea di che magia potrebbe farti guarire più in fretta. Non so nemmeno se esiste un incantesimo in grado di farti provare meno dolore. Mi..» dispiace. Si sente impotente di fronte alla sua sofferenza e non c'è una sensazione provata più orribile di quella: essere costretti a vedere una persona soffrire senza essenzialmente poter fare molto per aiutare ad alleviare la sua pena. Così fa l'unica cosa che riesce a pensare: ripulire alla meno peggio il casino che ha addosso. Si confessa, mentre lo fa e lui rimane innaturalmente in silenzio. « Pensavo mi avessi tradito, sai che reagisco male ai tradimenti. » E' stranamente pacato il suo tono di voce, forse semplicemente rassegnato alla realtà. Erge il suo sguardo in quello di lui e non sa come reagire di fronte al suo non essere arrabbiato. Si sarebbe aspettata tutt'altra reazione. Forse rimane tranquillo perché è troppo debilitato per fare qualsiasi cosa. Forse semplicemente non è davvero arrabbiato. Però capisce il perché si è lasciato andare, infine, sotto i morsi dei lupi. Anche quello era colpa sua. Lui si è arreso ai licantropi perché pensava che lei l'avesse tradito. Forse si era detto "Tanto vale andarmene." «E ti sembra un motivo valido per arrendersi questo?» Lo fissa, seria, mentre blocca persino le mani, sospese a mezz'aria. «Vale così poco la tua vita? Non puoi continuare a puntare i piedi per le cose sbagliate, accecato dalla rabbia e dall'odio, e invece lasciarti scivolare addosso le vere battaglie, quelle che sono degne di essere vissute e combattute.» Dovresti smettere di arrenderti con me, per partito preso. Dovresti voler combattere per me, così come mi hai detto in passato. Deglutisce, riabbassando gli occhi. «Avevi detto che avresti combattuto e se poco fa l'hai fatto, qualche ora fa ti sei arreso. Lotterò fino alla morte perché ho giurato di farlo.» Scuote la testa. «Qualche ora fa hai deciso di alzare le mani, di arrenderti. Hai smesso di combattere semplicemente perché credevi che ti avessi tradito. Non è così che funziona, te l'ho già detto una volta, non dovrei nemmeno ripetertelo una seconda volta. Ma non è così che funziona, Lucien. Non puoi lasciare la presa quando hai promesso che non lo farai.» Si sente una sciocca nel ripetere quelle ovvietà anche se comprende alla perfezione il non riuscirsi a rapportarsi con esse dell'uomo che ha sotto le proprie dita. « Non ne ho idea. Eppure un cuore ce l'ho, l'hai sentito battere anche tu. Forse mi sono scelto l'unico vampiro davvero immortale. » Lo vede bloccarsi per qualche istante, in silenzio e riconosce la faccia sul suo volto. Sta parlando con il suo ospite. Perciò così che sembriamo al di fuori quando parliamo? Sembriamo due cretine per la maggior parte del tempo, ottimo! « Dice che ho il cuore al contrario, dall'altra parte. Vlad, il mio ospite. E' leggermente incazzato con me perchè gli ho fatto squartare il corpo... » Sgrana gli occhi, incredula, lasciandosi guidare in quel tragitto verso il lato destro del suo petto. Lo sente sotto i propri polpastrelli, ancora una volta. « Non ci credo, è vero. Che culo. » E questa volta scoppia a ridere, di felicità. Perché è terribilmente grata, non sa nemmeno lei a chi, che lui sia ancora lì, vicino a lei. E' malridotto, è stanco, spossato, debole, ma le parla, ride, e a modo suo è ancora vivo e vegeto. Ed è questo l'importante.

    « Li ho sentiti. Mi divoravano dall'interno, pezzo per pezzo, e non avevano pietà. » Lui la guarda e lei si ritrova ad annuire, mestamente, perché sì, lo capisce perfettamente. « Ha fatto male, tanto. Morire fa schifo. Pensavo sarebbe stato divertente, ma evidentemente dovrò aggiungere anche questo alla lista delle cose su cui ricredermi. Il limbo è..Confuso. Non ricordo molto..Ma c'erano le ombre, ed i demoni. Chi l'avrebbe mai detto che persino io potessi avere i miei demoni? » E' strano sentirlo parlare del limbo. Lei non ha avuto la fortuna di tornare indietro, una volta cominciato il suo trapasso. E' semplicemente scivolata nell'oblio, accolta a braccia aperte dalle ombre che, da lì in poi, sono diventate le sue fedeli sorelle. E' stato dolorose, infinitamente doloroso. Non c'è stato uno sconto sulla pena per lei, eppure riesce a capire che forse il limbo è qualcosa di peggio. Perché vieni attirato dalle tenebre e allo stesso modo vieni attirato dalla vita. Tutti che cercano di strapparti un pezzo di anima per cercare di farla propria, uno sballottamento continuo al quale non è certa che lei avrebbe resistito a lungo. « Mi rivogliono a casa. Hanno provato a manipolarmi, a trascinarmi con loro. Evidentemente non sono poi così felici che io sia quì.. E per qualche momento mi hanno convinto. In fondo, per quale altro motivo sarei dovuto rimanere sulla Terra? E' evidente che questo mondo non mi vuole. Ho fatto solo un casino di danni, da quando sono quì. In tutto e per tutto. Specialmente con te, che è il principale motivo del mio viaggetto al piano di sopra. Mi son chiesto, perchè lottare per rimanere? Non ho niente, dall'altra parte così come ormai non ho niente neanche a casa. Tanto valeva tornarci, a questo punto, perché in fondo era tutto perfetto prima che arrivassi io. » Come una bambina, si ritrova a roteare gli occhi, sbuffando appena dal naso. «Cielo, per quanto altro tempo me la farai pesare quella frase? E' già la terza o la quarta volta che la tiri fuori. Cominci ad essere ripetitivo e non originale.» C'è del riso nel tono della sua voce, per cercare di non pensare alle sue parole precedenti. Per smettere di sentirsi in colpa per qualche minuto almeno. Con le mani in mano, visti gli scarsi risultati che ha ottenuto con il lavaggio, si ritrova ad essere ancora una volta ferma, in mezzo al letto. « Ho pensato mi avessi tradito di proposito. Che avessi scelto la tua parte, opposta alla mia, alla nostra. Non ho avuto neanche il tempo di arrabbiarmi, che mi hanno assalito. Ma ha fatto male sapere che eri stata proprio tu, ad aiutarli. Probabilmente dovrei essere arrabbiato anche adesso, conoscendomi. Ma...Non ci riesco. » «Non dovresti, perché io non ti ho tradito. Come non ho mai fatto in passato, non l'ho fatto nemmeno in questo caso. Ho semplicemente riposto il sole del mio mondo in me stessa, te l'ho detto. E ho pensato soltanto a me stessa, al mio bene, al mio tornare a stare bene, prima di qualsiasi altra cosa.» Lo guarda, e negli occhi è tornato a divampare un fuoco lento, una scintilla accesa che le illumina lo sguardo. «Ho scelto me stessa e per quanto possa sentirmi in colpa nel vederti così, non volevo nulla di tutto questo. Mi ha fatto stare male crederti morto. Mi fa male tuttora vederti così, debilitato e spento.» Pausa. «Ma non ti chiederò più scusa perché ho imparato ad amare anche me stessa.» Assolutamente ferrea nelle sue decisioni e nelle sue parole. « Perchè non ho nè la forza, nè la voglia di provare il mio solito, instancabile odio. Perchè se sono quì è grazie a te. Ti ho vista nel limbo. Tutte le volte che i demoni parlavano, la tua voce mi rimbombava nella mente. E quando poi mi hanno preso per mano, tu eri lì a piangere per me ed a cullarmi. Probabilmente mi sono solo sognato tutto, ma se così fosse, le tue parole, tutto ciò che hai fatto...E' stato un gran bel sogno. » E lui la spiazza. Di nuovo. Si sente costretta ad alzarsi, ringraziando il cielo per l'entrata miracolosa di quel ragazzetto scemo con un carrellino pieno zeppo di cibo e bevande. Perlomeno l'imperio fa il suo dovere. Lo vede guardare Lucien con occhi decisamente troppo presi e un moto di cieco fastidio le corrode le vene. «Lucien, cosa ti è successo? Per la barba di Merlino, stai bene?» Lucien? Davvero? LUCIEN? Il ragazzo fa un passo in avanti per avvicinarsi al letto, ma lei si mette in mezzo, sbarrandogli il passaggio e guardandolo dall'alto in basso. «Grazie, è tutto, puoi andare.» Vede dell'esitazione nei suoi occhi chiari, ma è ancora sotto il suo incanto ed è costretto a seguire i suoi ordini. «E mi raccomando, discrezione e silenzio sono i tuoi nuovi amici. Ricordatelo, se non vuoi avere me come nemica.» Gli sorride, prima di abbassare lo sguardo su ciò che le ha procurato. « Ho perso Maze. Mi sono indebolito così tanto da farmi squartare da un branco di..burattini dell'Onnipotente. Non sono riuscito a difendere i nostri fratelli..Li ho visti fare a pezzi...I miei... Se non fosse stato per te sarei crepato come un idiota. Quindi..Sì, insomma..Grazie, per avermi salvato. Io...Non me l'aspettavo. Non dopo tutto quello che ti ho fatto. Avresti potuto lasciarmi lì, lo squartamento sarebbe stata una pena piuttosto azzeccata per i miei peccati.» Prende il panino con l'hamburger appena cotto e si siede sul divanetto. «Smettila di fare il melodrammatico.» Commenta, prima di addentare il pane. Un morso, due, tre, quattro morsi di fila, come un animale a cui non è stato da mangiare da giorni. Descrizione piuttosto accurata. « Ma in fondo, tu non ti arrendi proprio mai eh? Non so se sei davvero nata per salvarmi, ma hai sempre scelto di farlo. E anche se non me lo merito, mi piace questo. » Continua a masticare, accennando un sorriso. No, non mi arrendo mai, sono una fottuta cretina. «Se davvero sono nata per salvare proprio te, devo aver fatto qualcosa di terribile ancor prima di nascere. Ancora peggio di essermi innamorata di un pezzo di merda.» O di due. Ma questo non lo dice ad alta voce. Spazzola via il panino senza nemmeno accorgersi e all'improvviso sente un rumore provenire dalla porta d'ingresso. Si volta di scatto e li vede. Tre grossi cani dai profondi occhi azzurri, tanto simili all'unico chiaro che ha Lucien. A ben guardarli, sembrano uno soltanto, tanto si somigliano e sembrano stare uniti. Come dei gatti siamesi. « Occazzo. Noooo! Sta giù! Giù! » Appaiono come dei cani enormi, spaventosi, dalle zanne pericolose e poi sono così affettuosi e in cerca di coccole con il loro padrone. Scodinzolano, mugolando tutti felici, sperando di avere il permesso di assalirlo. Si porta una mano alla guancia, osservando quello strambo quadretto, con aria quasi materna. E' interessante, quasi scientifico, vederlo così dolce con qualcuno. « Amore di papà, quanto sei bello? Hai visto chi ti ho portato? » Non capisce perché lui si ostina ad usare il singolare quando si riferisce a tutti e tre i cani. Poi loro la guardano, puntandola e dopo qualche istante di valutazione, si gettano verso di lei, tutti felici, con le loro grosse lingue, pronte a leccarle la faccia. Scoppia a ridere, mentre cade a terra e si ritrova alla completa mercé di quegli attacchi di amore spropositato. Lo riconosce, senza aver nemmeno bisogno di chiedere. « Gli sei mancata. Okay abbandonare me, ma lui..Sei stata proprio un'insensibile. » Riesce a lanciargli un'occhiata che ha del rabbioso al suo interno, prima di tornare ad intenerirsi sotto le premure di quei due cagnoloni. «Ma come sei bello in questa nuova forma. Ma sei proprio tanto bello, tesoro mio. Guardati che pelo lucente e questo paio di occhioni azzurri. Farai innamorare tutte le cagnoline, eh, Cerberino?» Bacia il muso di uno, rimanendo aggrappata al manto dell'altro. « Il tuo gatto dov'è finito? Credo sia meglio trovarlo, prima che lo facciano loro... » C'è un moto di apprensione che le smuove il petto a quelle parole. Si volta di scatto, mentre gattona a terra, alla ricerca di Cerby. Ma poi quella palla di pelo bicolore esce fuori all'improvviso da sotto un armadio. Trotterella spavaldo verso di lei, mentre non degna nemmeno di uno sguardo i tre cani. Le si struscia contro la schiena, ricercandone la mano, lecchino come suo solito e si infila sotto il suo braccio. Ed è soltanto allora che guarda Cerberino. Lo guarda con quei suoi profondi occhi azzurri e quando Maze fa per toglierlo di mezzo, Cerby fa qualcosa di completamente inaspettato: comincia a fare le fusa per la sua padroncina, mentre, neanche troppo velatamente, mostra i suoi artigli di acciaio al cane. Provaci, dai, prova ad avvicinarti se hai il coraggio, ammasso di pelo puzzolente! Riesce quasi a sentirle quelle parole, Maze, mentre lo sguardo serafico non tradisce alcuna emozione. Ma gli artigli sì, sono una chiara dichiarazione di guerra. «Credo sia Cerberino a doversi preoccupare per la sua incolumità, non Cerby.» Commenta, in direzione di Lux, mentre il gatto si allontana, miagolando e sculettando, letteralmente. Fa il prezioso, proprio come sua madre gli ha insegnato. E i tre cani lo seguono, come imbambolati. Maze lancia un'occhiata a Lucien e scoppia a ridere, non potendo credere ai suoi occhi. «Okay. Dopo questa, credo di averle viste tutte davvero.» Dice, mentre si rialza in piedi, per poi riprendere di assalto il carrellino. Questa volta decide di puntare sulla bottiglia di acqua. Beve un paio di sorsi, prima di prendere anche la bottiglia di birra, già stappata. « Non ho visto solo i miei demoni, nel limbo. » Si porta il vetro freddo alle labbra, guardandolo dall'alto. « Ho avuto anche alcuni..flashback. E credo siano stati quelli, assieme alle tue parole..A farmi decidere a tornare. Perchè io non voglio, non ce la faccio, non sono preparato, non sono pronto a questo, a lasciarti andare. »
    WDqNG68
    Aggrotta la fronte, posando la birra sopra il comodino. «Quali flashback?» Domanda sovrappensiero, prima di notare la sua mano battere sul materasso, come ad invitarla a sedersi vicino a lui. « E poi abbiamo ancora una scommessa in atto, io e te. Sono morto, e a quanto pare credo tu non ti sia davvero dimenticata di me. Quindi..Tu hai vinto. Ed io ho perso. » Stringe le palpebre, mentre si decide infine ad affiancarlo, sedendosi sulle ginocchia. Lo guarda, incredula nel capire che non si è dimenticato nemmeno di quella stupida scommessa. «Tu che ammetti di aver perso? Stanotte è prevista per caso una pioggia di meteoriti che si abbatterà sulla Terra distruggendola? Assurdo E' sarcastica nel cercare di rendere meno pesante il tutto, come a volerlo allontanare da sé, distaccandosene velocemente. « Ma sono tornato, perchè te l'avevo promesso. E..Devo darti tutto ciò che vuoi, ricordi? E' un patto. Allora, cos'è che vuoi Mazey? » Mazey. Il patto. Rimane a guardarlo, sempre più stupefatta. Deglutisce un paio di volte, guardando altrove. Accennerebbe una risata, per rendere ancora più evidente il disagio che prova in quel momento. Perché è l'ennesimo momento che ha sempre sperato di poter vivere con lui. Il momento dove finalmente avrebbe accettato di darle il suo tutto per tutto e per sempre. Scocca la lingua contro il palato, tornando a guardarlo. Senza pensarci troppo, allunga una mano verso il suo volto, passandogliela poi tra i capelli, portando all'indietro quelle ciocche ribelli che avevano deciso di ricadergli davanti al volto. Anche essere incrostate con il suo sangue, come i capelli di lei. «E mi darai tutto tutto?» Si cita, perché non può dimenticare. E' impossibile per lei, ricorda ogni particolare della sua vita passato al fianco di Lux e quello è uno dei suoi ricordi più belli. Ha lo stesso tono di voce, mentre lo guarda sorridendo, con la stessa sfacciataggine di un tempo. Perchè sto già pensando a come ucciderti. E in fin dei conti, in un modo molto contorto, l'aveva ucciso davvero. E la cosa la fa sorridere, alla fine. Perché lui è lì, lei è lì e va bene così, almeno per quel momento soltanto. Ritorna con gli occhi grigi in quelli bicolori di lui. Cielo, tu lo sai cosa voglio. L'hai sempre saputo perché è sempre stato il mio più grande desiderio. Ma non posso chiedertelo, te l'ho detto. Semplicemente non si può decidere di chi ci si innamora. Non ti viene data mai scelta, non puoi metterci bocca, non puoi scegliere la persona. Non puoi dire "Vorrei amare te". Ti succede e basta. E quando succederà, lo capirai. Così stringe le labbra, prima seria, per poi cercare di sciogliersi in un sorriso. «Mi devi un palazzo, dico bene? Di marmo bianco, se non sbaglio, immerso in un giardino lussureggiante dove un giorno la mia anima riposerà per sempre a testimonianza dell'amore più grande alla quale il mondo abbia mai avuto la fortuna di assistere. Sbaglio Lo stuzzica, stringendosi nelle spalle, lasciandogli capire che sì, ha ascoltato tutte le sue parole di quella sera. E che sì, si paragona senza mezze misure alla moglie di quel re, tanto amata in vita da doverle costruire un mausoleo adeguato per poterla proteggere per l'eternità. Abbassa gli occhi verso il suo petto nudo e ancora sporco e si mordicchia il labbro inferiore. «Ma forse prima è meglio darti una ripulita. Devo essere sincera, non hai proprio un bell'aspetto, hai visto che per poco non hai fatto prendere un attacco di cuore al tuo dipendente del mese.» Sorride, sarcastica, per poi voltarsi verso la grossa vasca incavata nel pavimento, finemente decorata, che troneggia al di là del letto. Tutto molto umile. Punta la bacchetta verso di essa, lasciando che i rubinetti si aprano tutti in contemporanea. «Ce la fai ad alzarti?» Gli cinge un braccio con le proprie manine delicate, per aiutarlo a tirarsi in piedi. Passetto dopo passetto, si avvicinano alla vasca, alla quale ovviamente non ha aggiunto sapone, per non andare ad aggravare la situazione. «Devo ammetterlo: mi fa strano doverti accudire come un vecchietto allettato.» Lo prende in giro, mentre si para davanti a lui e alza lo sguardo verso di lui, mentre le dita sono intente a sbottonargli i pantaloni. Lo guarda, finché non lo libera di tutti gli indumenti di troppo, lanciandoli chissà dove dietro di sé. E poi, senza malizia alcuna, lo aiuta a scendere nella vasca, facendolo mettere a sedere con cautela. «E' uno scenario che mai avrei creduto di poter vivere. Tu che hai bisogno di me.» E non il contrario. Gira intorno al bordo della vasca, sedendovisi sopra, appena arriva alle sue spalle. «Stranamente, mi piace.» Butta lì, abbassandosi a prendere una manciata d'acqua, per poi prendere a pulirgli le spalle. «E' un pezzo minuscolo dell'insieme, ma è bello.» Quel piccolo pezzettino, così fragile, così piccolo, eppure così vitale e importante per lei, probabilmente l'unico che non ha mai voluto abbandonare di sé, sperando di poterlo rivedere in lui, un giorno. «E tanto per la cronaca, hai sentito bene. Non era un sogno Era tutto vero. Gli confessa, allungandosi con il volto oltre la sua spalla, per arrivare con le mani al petto. L'acqua che si tinge di scuro, mentre il sangue scivola via da lui, facendo tornare pura e immacolata la sua pelle pallida. «Non ero pronta a lasciarti andare perché non credo ci saremmo più rivisti.» Sospira all'altezza del suo orecchio. «E non avevi il diritto di andartene. Non quando il tuo posto giusto è qui.» Con me, ora più che mai.



     
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    «E ti sembra un motivo valido per arrendersi questo?» La fissa in silenzio Lucien, mentre si stringe nelle spalle, l'espressione pressochè indifferente. Se non muoio per te, in questo mondo, per quale altro motivo dovrei farlo? Si ritrova a pensare, in maniera del tutto logica. O quanto meno, secondo i suoi canoni. Perchè in fin dei conti, Lucien, lì sulla terra c'è giunto per lei. La guerra, dopotutto, non gli è mai importata più di tanto. Rintanato in quel buco dimenticato da Dio -letteralmente oseremmo dire- sino a quel momento si era sempre limitato a guardare da lontano i suoi burattini, i suoi figli, compiere quel lavoro che lui, rilegato sotto un milione di sigilli per com'era, non avrebbe mai potuto portare al termine. Infine però le cose erano cambiate, e lui sulla terra c'era giunto sul serio, ma non per la grande guerra. «Vale così poco la tua vita? Non puoi continuare a puntare i piedi per le cose sbagliate, accecato dalla rabbia e dall'odio, e invece lasciarti scivolare addosso le vere battaglie, quelle che sono degne di essere vissute e combattute.» Per lefi, e soltanto per lei. E proprio perchè la sua vita in quel pianeta tanto detestato girava in funzione di lei, non gliene era mai importato più di tanto. Nè di quel corpo, nè della sorte che avrebbe potuto avere. Fin quando l'obiettivo di riportarla a casa si rivelava concreto e reale ai suoi occhi, il resto non aveva importanza. L'umanità, la vita, erano solo delle fasi di passaggio. «Avevi detto che avresti combattuto e se poco fa l'hai fatto, qualche ora fa ti sei arreso. Lotterò fino alla morte perché ho giurato di farlo. Qualche ora fa hai deciso di alzare le mani, di arrenderti. Hai smesso di combattere semplicemente perché credevi che ti avessi tradito. Non è così che funziona, te l'ho già detto una volta, non dovrei nemmeno ripetertelo una seconda volta. Ma non è così che funziona, Lucien. Non puoi lasciare la presa quando hai promesso che non lo farai.» La osserva per qualche momento, in completo silenzio, ed infine un mezzo sorriso gli distende le labbra, nel sentirla citare le sue stesse parole. Le stesse di quella sera. Allora mi hai ascoltato. Ricorda ogni cosa, Lux. Ogni sospiro, ogni parola, ogni promessa. Ricorda come per la prima volta abbia tentato di aprirsi con lei, e come forse per la prima volta abbia iniziato davvero a vivere. Quindi si mordicchia il labbro inferiore, lo sguardo che vaga attraverso un punto non ben definito della stanza. « Ho lottato perchè questa volta eri tu a rischiare la vita. » Mormora dunque, in maniera del tutto naturale. Perchè l'ha fatto sul serio, Lux, ha combattuto per lei, seppur senza alcuna spada, o armatura. Ha lottato nella più complicata delle arene, la sua psiche, e contro il peggiore dei nemici, sè stesso. L'avrebbe fatto, oh sì l'avrebbe fatto volentieri, ucciderla per dissanguarla completamente. Avrebbe probabilmente riacquistato tutte le forze, così come il suo corpo debilitato richiedeva. C'è sempre un riscontro a dir poco miracoloso, tutte quelle volte che uccide qualcuno in una tale maniera. Perchè non è solo sangue ciò che sottrae, in quel caso, ma l'intera linfa vitale di una persona. Anima annessa. « E' diverso. » Decisamente diverso. Riuscire a sovrastare i suoi demoni, i suoi istinti, la sua stessa capacità di sopravvivenza, per non farle del male. Hai combattuto persino contro te stesso. E' una sorpresa. Deve farti proprio strano avere un cuore, eh? Fa strano, sì, fa troppo strano, ma ormai che è così, ormai che lei l'ha reso così, non può farci poi molto. « Della mia vita mi frega poco, perchè non la considero effettivamente la mia vita. » Non ho mai desiderato vivere, in fondo. « Quindi se la perdo, non mi fa nè caldo nè freddo. Sono quì per te, vivo in funzione di te, se tu non ci sei più per me, come ho pensato qualche ora fa, il resto diventa insignificante. » E questo è quanto. Si stringe nelle spalle, con estrema naturalezza. Una mente irrimediabilmente analitica e logica, la sua, sprovvista di qualsiasi forma di mezze misure. La sente ridere, infine, le mani poggiate sul suo petto lacerato. E, inaspettatamente, si ritrova a ridere anche lui. Fa male, tanto che è costretto a poggiarsi una mano sullo stomaco, ma continua a farlo. Una risata cristallina, serena, tanto quanto quella di lei. E per qualche momento, stipato su quel letto logoro di sangue, Lucien riesce a dimenticare ogni cosa. La guerra, la sconfitta, persino la morte. Per un momento ci sono soltanto Lux e Maze, che ridono complici, con una spensieratezza che ormai poco appartiene loro. Perchè si è sempre trattato anche di questo. Al di là di un amore ai tempi non corrisposto, al di là del dolore e di tutto il resto, Lucien e Mazikeen si sono trovati. Due anime gemelle, capaci di comprendersi al volo e destinate a legarsi probabilmente per sempre, nella buona e nella cattiva sorte. E per quei pochi minuti, mentre socchiude gli occhi e si sente respirare a fondo, in un istinto del tutto umano dopo una lunga ed accorata risata, Lucien riesce a sfiorare con la punta delle dita quei piccoli, microscopici attimi di felicità che la vita ci offre, in maniera del tutto inaspettata. E chissà, forse vivere non è poi così male, dopotutto. [...] «Non dovresti, perché io non ti ho tradito. Come non ho mai fatto in passato, non l'ho fatto nemmeno in questo caso. Ho semplicemente riposto il sole del mio mondo in me stessa, te l'ho detto. E ho pensato soltanto a me stessa, al mio bene, al mio tornare a stare bene, prima di qualsiasi altra cosa. Ho scelto me stessa e per quanto possa sentirmi in colpa nel vederti così, non volevo nulla di tutto questo. Mi ha fatto stare male crederti morto. Mi fa male tuttora vederti così, debilitato e spento.» La guarda, mordicchiandosi silenziosamente l'interno della guancia. «Ma non ti chiederò più scusa perché ho imparato ad amare anche me stessa.» Strano come cambino le prospettive, ed oltremodo divertente, il tempismo del loro cambiamento. Adesso che è lui, a vivere in funzione di lei, lei si è allontanata. Ha scelto sè stessa, come lui le ha consigliato, e se c'è una parte di sè che approva una tale decisione, perchè ormai vederla felice è forse tutto ciò di cui sente di aver bisogno, il rovescio della medaglia rimane comunque. Quella seconda faccia della medaglia che a questa nuova Mazikeen, ancora non vuole abituarsi. Che la rinnega, che la vuole tutta per sè, come un tempo era stato. E proprio questa parte lo fa star male a quelle parole, tanto da indurlo a calare lo sguardo, in silenzio, quasi addirittura mortificato, come mai lo si è visto fino ad ora. Lucien che non ribatte. Questa sì che è bella. «Lucien, cosa ti è successo? Per la barba di Merlino, stai bene?» Sobbalza, girandosi di scatto. Non l'ha sentito arrivare, segno che le sue forze non sono ancora del tutto tornate, e si rende conto in quel momento di quanto possa essere umiliante la sua situazione, se è la stessa compassione che legge negli occhi di Sean, il sentimento che riesce a suscitare la sua visione. Patetico. Rotea gli occhi dunque, sbuffando appena. « Oh andiamo non sono Gesù Cristo, non guardarmi così. » La compassione lasciamola a chi ne ha di bisogno. E sta per iniziare uno dei suoi monologhi sull'argomento -perchè c'è sempre modo e tempo per farlo, persino mezzo morto- ma Mazikeen lo interrompe. La vede pararsi davanti al ragazzo, e seppur riesca a scorgerla solo di spalle, da quella posizione, riesce ad immaginare la sua espressione, al momento. Quindi ridacchia, nel sentirla rivolgergli quelle parole con quel suo fare oltremodo tagliente, e scuote la testa non appena il barista si dilegua, e lei torna a guardarlo. « Grazie, è tutto, puoi andare is the new ti stacco le palle se non schiodi?» La incalza, senza riuscire a smettere di ridere. « Allora è rimasta un po' di Black Sky, in te. Mi commuovo. » E siccome non è mai abbastanza, e lui sta decisamente guarendo, visto il grado di faccia di culo che sta pian piano recuperando... « Siamo forse gelose? » Sente Vlad sospirare rassegnato in qualche angolo della sua mente, ma decide di ignorarlo. Infine la cerca con lo sguardo, adocchiandola agguantare un hamburger, nel frattempo che le racconta ciò che ha visto. «Se davvero sono nata per salvare proprio te, devo aver fatto qualcosa di terribile ancor prima di nascere. Ancora peggio di essermi innamorata di un pezzo di merda.» « Dovrai rivelarmi i tuoi trucchi, se sei riuscita a farlo incazzare tanto da affidarti me come pena. Mi piace vederlo incazzato. » Alza gli occhi verso il soffitto, in un gesto puramente simbolico, prima che Cerberino faccia la sua entrata in scena, evitandogli degli assai poco carini dialoghi padre-figlio. O figlio e basta, perchè lui non risponde mai. Quindi la osserva, assalita da quei due bestioni che le gironzolano accanto scodinzolanti ed esagitati. E sorride, nel vederla così spensierata e serena, anche solo per pochi attimi. Sei carina quando sorridi. Forse ancora di più di quando piangi. E questo non va. I due grossi cani continuano a leccarla ovunque possibile, in maniera ancora più insistente dopo i complimenti che lei gli rivolge. Infine, anche il terzo segugio si dirige verso di lei, abbandonando le sue dita gelide sino ad ora infilate attraverso il suo pelo caldo e morbido. Piega allora la testa di lato, nell'osservare quello strano quadretto. Il micio di Maze, quella palla di pelo microscopica e dal manto bicolore, le è appena saltato in braccio. Riesce a vederlo a malapena, per quanto è piccolo, eppure sente il suo soffio minaccioso. «Credo sia Cerberino a doversi preoccupare per la sua incolumità, non Cerby.» Inarca un sopracciglio, guardando i suoi cani, aspettandosi un attacco in perfetto stile Cerbero da un momento all'altro. « Macchè, piuttosto non ti offendere con me se il mio cane si mangerà il tuo gat- » Ma è allora che vede quel microbo balzare dalle braccia di Maze e allontanarsi, sculettando. Rimane con la bocca semiaperta, Lux, nel vedere successivamente tutti e tre i cani seguirlo, imbambolati e completamente andati. « Non ci credo. Me l'ha rincoglionito. » Mormora, visibilmente scioccato. «Okay. Dopo questa, credo di averle viste tutte davvero.» Annuisce, poi la guarda. « Allora è vero che tale cane tale padrone. Vi basta una semplice sculettata per mandarci in completo cortocircuito, ahimè. » Si finge affranto e rassegnato, con quel suo solito fare teatrale che comincia a riaffiorare.

    «Quali flashback?» La guarda, mentre gli si affianca, e si stringe nelle spalle, lo sguardo che si perde nel vuoto, nel tentativo di ricordare tutti quei frammenti che lo hanno investito, nella prima fase della sua morte apparente. Ricorda di averla vista, in ognuno di quei momenti. Il suo sorriso, la sua risata, le sue mani sul suo corpo. Quindi la guarda per qualche attimo, e per alcuni istanti riconosce in lei la donna nella sua testa, nonostante l'aspetto completamente differente. E' strano, tutto questo. Non è lei, non esteriormente per lo meno, eppure tutte le volte che la guarda, la riconosce. E quando la riconosce, qualcosa gli smuove il petto. Sempre. « Tutto. Flashback di noi due, a casa. La scommessa, in particolare, e tutto ciò che abbiamo fatto prima, nessuna censura. » Le lancia un'occhiata che ha del malizioso, prima di rigirarsi. « Mi piaceva quando ballavi per me. Mi manca vedertelo fare. » Più un pensiero ad alta voce, che altro. «Tu che ammetti di aver perso? Stanotte è prevista per caso una pioggia di meteoriti che si abbatterà sulla Terra distruggendola? Assurdo Le fa il verso, arricciando il naso, come un bambino offeso. « Ah ah ah. » Ed infine la guarda, lo sguardo carico d'aspettativa. Nota disagio, nella sua espressione, e per qualche momento si pente di averle posto una simile domanda. Forse, in fondo, non ne ha più il diritto. Perchè Lucien sa quale potrebbe esser la risposta. O quale avrebbe potuto essere. Son cambiate tante cose da allora, e forse, al giorno d'oggi, la risposta di questa Mazikeen potrebbe rivelarsi del tutto differente da quella che un tempo si sarebbe aspettato, senza ombra di dubbio alcuna. «E mi darai tutto tutto?» Eppure forse, una piccola parte della sua Maze è rimasta. Non sa quanta, non sa in quale percentuale, ma sa che se la farà bastare. La nota in quegli occhioni grigi fissi su di lui, in quel sorrisino sfacciato ed in quella vocina sottile, furba da un lato, ed estremamente speranzosa dall'altro. Ed un sorriso spontaneo gli illumina il viso scarno, sfregiato ed ancora più pallido del solito, in quel momento. Un sorriso genuino, privo di qualsiasi malizia o doppio fine. Perchè lei si ricorda di quella scommessa, che un tempo gli era sembrata tanto stupida quanto adesso gli sembra importante. Importante perchè, in un modo del tutto strano, decisamente anomalo e poco convenzionale, oggi è capace di riconoscere in quegli attimi uno dei rari momenti umani tra loro due, a casa. E se prima poteva trovarlo patetico, decisamente insignificante, adesso il solo pensiero lo fa sorridere. Uno di quei sorrisi nostalgici, che fanno quasi male, ma di cui non puoi farne a meno. « Certo. E' un patto. » Le risponde allora, con le stesse esatte parole. «Mi devi un palazzo, dico bene? Di marmo bianco, se non sbaglio, immerso in un giardino lussureggiante dove un giorno la mia anima riposerà per sempre a testimonianza dell'amore più grande alla quale il mondo abbia mai avuto la fortuna di assistere. Sbaglio La fissa allora, e fa per aprir bocca, ma lei lo interrompe, per l'ennesima volta. «Ma forse prima è meglio darti una ripulita. Devo essere sincera, non hai proprio un bell'aspetto, hai visto che per poco non hai fatto prendere un attacco di cuore al tuo dipendente del mese» Lo scroscio dell'acqua lo induce a voltarsi verso l'ampia vasca scavata nel parquet, e allora si volta verso di lei, nel tentativo di capirne le intenzioni. «Ce la fai ad alzarti?» Si mordicchia il labbro inferiore, esitante, poi annuisce, seppur poco convinto. « Ahm..Sì, credo di sì. » Mormora, poco prima che lei si avvicini. Lo aiuta ad alzarsi, non senza qualche gemito di dolore, e una volta in piedi, ha bisogno di qualche momento per riacquistare equilibrio. La stanza prende a girare vorticosamente e d'istinto si aggrappa a lei, chiudendo gli occhi e pressandosi due dita all'attaccatura del naso con la fronte. « Che cazzo, mi sento in piena botta da lsd. » Bofonchia, riaprendo gli occhi e battendo numerose volte le palpebre, mentre scuote appena la testa. Riprende a camminare, a passi piccoli e brevi, ed ogni movimento è una scarica di dolore che gli percorre tutto il corpo, ma tenta di non farci troppo caso. Ed è lì, appiccicato a lei, attento a non gravarle troppo addosso col proprio peso per non schiacciarla rovinosamente. «Devo ammetterlo: mi fa strano doverti accudire come un vecchietto allettato.» Le lancia uno sguardo assassino. « Shhh, zitta. E' facile per lei, col suo corpicino da diciottenne nel fiore degli anni. » Borbotta, come un vecchio ai cantieri. Ma alla fine si ritrova a sospirare, affranto, non appena si bloccano poco distanti dalla vasca. « Mi sento tutti i millemila anni di Vlad addosso, al momento. Sto invecchiando, sigh » Il tono di voce è teatrale, mentre rimane immobile sotto il tocco di lei. Gli sbottona i pantaloni, con una certa attenzione. Gli piace, che si prenda cura di lui. Ed è strano per lui anche solo pensarla una cosa del genere. Perchè Lucien è Lucien. Lucien è dio e non ha mai avuto bisogno di nessuno. Eppure adesso eccolo quì, a smuovere le gambe quel tanto che basta per lasciare scivolare i pantaloni stracciati per terra, e sorridere, senza sapere nemmeno lui perchè. « Che fai? Vuoi approfittare di me adesso che sono poco reattivo? » La punzecchia, con quella sua solita faccia da schiaffi. Sì, sta decisamente guarendo. Infine si lascia guidare nella vasca, sedendosi lentamente, mentre poggia la schiena alla parete d'acciaio. «E' uno scenario che mai avrei creduto di poter vivere. Tu che hai bisogno di me.» La guarda mentre gira a bordo vasca, e non appena gli si siede alle spalle, istintivamente si lascia andare con la testa verso dietro, socchiudendo gli occhi, appoggiandosi così al suo petto. Sente il cuore di lei battere più forte che mai, a quella vicinanza, e solo allora riesce a rilassarsi, lasciandosi avvolgere dall'acqua e dal calore di lei. « A quanto pare in questo mondo funziona tutto al contrario. Tu che ritrovi te stessa, io che ho bisogno di te. Tu che non mi ami più, io che.. » Cosa? Si blocca, ammutolendosi all'improvviso. «Stranamente, mi piace. E' un pezzo minuscolo dell'insieme, ma è bello.» Non riesce a guardarla in viso, da quella prospettiva, ma sente comunque le sue mani vagare sulle sue spalle, per ripulirlo. Sorride suo malgrado a quelle parole, mentre si passa le mani bagnate sulla faccia, per pulirsi di quel sangue incrostato sotto il naso. Deve esserselo rotto nel caos generale, quindi vi poggia due dita sopra, tastando le ossa del setto nasale leggermente spostate. Lo raddrizza in un sonoro crack, con una lacrima di dolore che gli percorre silenziosamente la guancia sinistra, in una traiettoria rossastra. Urlerebbe come un bambino a cui hanno pestato un piede, perchè lui e il dolore si trovano ancora in una relazione complicata, ma decide di fare il duro, mordendosi la lingua con forza. E no Luxi, niente urletti da verginella. « Lo considero un punto a mio favore, allora? » Mormora, non appena riesce a trovare una voce che non sia un semplice squittio sofferente. Un passo avanti verso quella porta che mi hai lasciato socchiusa? Non vuole illudersi, ma lo fa comunque. Perchè è fatto così, Lucien. Gli basta un minimo, per costruire mille castelli in aria. E allora si ritrova a sperare, che chissà, forse qualcosa tra di loro è cambiata davvero. Che quel minuscolo pezzo dell'insieme, possa fare la differenza, in qualche modo. «E tanto per la cronaca, hai sentito bene. Non era un sogno Si volta verso di lei, lentamente, nel percepire il suo viso a lato del proprio, mentre gli ripulisce il petto. «Non ero pronta a lasciarti andare perché non credo ci saremmo più rivisti. E non avevi il diritto di andartene. Non quando il tuo posto giusto è qui.» La fissa in silenzio, a quella poca distanza che li separa. Lo sguardo bicolore vaga sul suo viso di porcellana, analizzandolo attentamente. E' sporca di terra, malconcia, decisamente stanca, eppure riesce a trovarla meravigliosa, sempre e comunque. Con quei suoi occhi cangianti e quelle sue labbra carnose. Vi si sofferma con lo sguardo per qualche momento, ed è allora che avvicina il viso al suo, strofinando il naso contro quello di lei, delicatamente.
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    L'istinto di baciarla è forte, mentre le poggia una mano sulla guancia e si piega su di un fianco. E per qualche momento sembra volerlo fare, mentre le si avvicina così tanto, ma alla fine, con quelle poche forze che ha in corpo, la tira per un fianco trascinandola dentro la vasca con sè, sulle proprie gambe. Scoppia a ridere, a quel punto, ignorando tutte quelle fitte di dolore che quel movimento inconsulto e quella risata improvvisa gli provocano, mentre le poggia le mani sulla testa, bagnandola. « Scusa, l'ho fatto apposta. » Asserisce, i denti affondati attraverso il labbro inferiore, e continua a ridacchiare. Sempre il solito diavoletto, questo diavolo. « In fondo non è che tu sia messa meglio di me. » Aggiunge, mentre le strofina le dita sul viso per toglierle tracce di sangue e terriccio. « Ridotta così non ti sfiorerei neanche con un dito. » La prende in giro, passandole le mani sulle spalle, sfregando un po'. Gli piace, quella vicinanza. Nonostante il male cane, nonostante l'acqua che si riempie sempre più di tutto quel sangue incrostato che hanno addosso entrambi. Lei è lì, lui è lì. Sono vivi, lo sono assieme. Nel posto giusto, al momento giusto. « Scherzo, sei bellissima sempre, anche così. » E adesso siamo un po' lecchini, eh Luxi? « Lo pensi davvero? Che questo sia il mio posto giusto, intendo. » Se ne esce poi, all'improvviso, mentre le passa le mani fra i capelli, per scostarle alcune ciocche dal viso. Un tocco oltremodo delicato il suo, dolce, che poco gli appartiene. « Te lo costruirò sul serio, quel palazzo. Ovviamente uscirà fuori ancora più bello del Taj Mahal, perchè io sono io. » « E ce l'hai d'oro. » Zitto tu. ..E per la cronaca sì, ce l'ho d'oro. Nel mio vero corpo, tu non reggeresti neanche il confron- « Lo sai che lei lo capisce quando parli con me, sì? » La guarda, mordicchiandosi l'interno della bocca. Perchè, tra tutto ciò che avresti potuto scegliere, hai scelto proprio questo, Mazey? Gli sembra di conoscere alla perfezione la risposta, ma si convince del contrario. « Però voglio che tu sappia che quando un giorno ti amerò, perchè lo farò, probabilmente già lo faccio, non voglio amarti per una stupida scommessa. » Scuote la testa, stringendosi nelle spalle. « Niente più giochini, niente più patti, niente più maschere o stronzate. Voglio amarti nel modo più sincero e umano possibile. Come il sultano con la sua regina. A testimonianza dell'amore più grande alla quale il mondo abbia mai avuto la fortuna di assistere. » La guarda, poi distoglie lo sguardo, rendendosi conto soltanto in quel momento delle sue stesse parole. Probabilmente già lo faccio. Vorrebbe negarlo a sè stesso. Oh sì lo farebbe eccome. Perchè lui è Lucien, e andiamo, si riconosce ben poco in questo fantoccio dalla parolina dolce così facile che ormai sembra esser diventato. Ma infine, si rende conto di non esser capace di farlo. Perchè lui del suo amore ha bisogno, lui in quella speranza insita dietro la richiesta di lei ha la necessità di credere. E quindi sì, probabilmente già lo fa. Amarla. « Però tranquilla, io quattordici figli non te li faccio sfornare. » Scherza poi, per allentare la tensione. « Un po' perchè anche volendo non potrei, un po' perchè... Cazzo andiamo, QUATTORDICI? Ho mille e uno motivi per trovare obiezioni di vario genere a questa faccenda. » L'espressione inorridita, mentre scuote la testa, visibilmente contrariato. Le passa poi le mani sulla schiena, e per qualche momento si trova a pensare a quel futuro che, forse in maniera indiretta, sembra averle proposto. O promesso. In una casa di campagna, con un cane, un gatto, e uno o due figli. Allora si sente sospirare, mentre si piega leggermente in avanti, avvolgendola con le braccia. L'ha già abbracciata in passato, le si è già abbandonato addosso in una tal maniera. Ma adesso..è diverso. La stringe piano, quasi spaventato che lei possa dissolversi tra le sue braccia, da un momento all'altro. Poggia dunque la testa sulla sua spalla, affondando il viso tra i capelli umidi. « Non lasciarmi, per favore. » E' tutto così dannatamente diverso da qualche settimana fa. Tu non puoi lasciarmi che si trasforma in un non lasciarmi, per favore. « Non lasciarmi a morire da solo. » Una tacita richiesta sussurrata contro il suo orecchio, nella maniera più vulnerabile e debole possibile. « Possiamo fingere di essere normali? Giusto oggi, giusto adesso. Senza alcuna sofferenza alle spalle, senza tutta quella merda che è sempre stata la nostra esistenza. » Perchè in fondo, è ciò che spetta a quelli come noi. « Da domani potrai tornare a fare tutto ciò che vuoi. A rinfacciarmi qualsiasi cosa e ad insultarmi per altri mille anni. Ma oggi..Vorrei che fossimo solo Lux e Maze. Solo noi. Umani, per qualche momento. Umani che fanno e provano cose da umani. » Annuisce, mentre si scosta, di nuovo estremamente vicino al viso di lei. E a quel punto, senza lasciarle tempo di ribattere, si protrae in avanti. Si impossessa delle sue labbra, imprimendovi sopra le proprie. L'ha già baciata una volta, di nuovo senza permesso, di nuovo all'improvviso. Eppure non c'è traccia di quella malizia di mesi fa, in quel bacio. E' un bacio insicuro, quello, non troppo spinto, che si tinge delle note tremolanti del bisogno. Ha bisogno di quel contatto, ha bisogno di quel calore, ha bisogno di lei. E a dimostrazione di un tale bisogno, il suo cuore prende a battere più forte che mai, così violentemente che quasi gli fa male, allora si stacca a quel punto, spaventato da una tale reazione. Si poggia una mano sul petto, deglutendo a fatica, mentre sente la vita scorrere attraverso ogni sua cellula e tessuto morti, rinvigorendolo. Che cazzo succede? « Sei innamorato. » Boccheggia come un pesce fuor d'acqua, e si sente mancare il respiro, nonostante non abbia mai avuto necessità di respirare. Allora la guarda, battendo numerose volte le palpebre, e passandosi la lingua sulle labbra, che sanno ancora di lei. « Ahm..Io..Scusa ma.. » Volevo farlo. Volevo farlo e basta. « Dovevo ricordarti quanto io sia bravo. Con la lingua. IO. Perchè Vlad avrà pure una bella faccia, ma che te ne fai di un faccino carino e un corpo da urlo -e pure ben messo- » Si spinge in avanti col bacino, per quanto gli sia possibile. Giusto per rimarcare il concetto, mica per altro, no no. « Quando non sai usarlo? Dovresti vedere che gusti di merda ha in fatto di donne. E quanto è noioso a letto. Niente lavoretti, capisci la gravità della situazione? » « Hai finito di usarmi per sentirti meno un coglione? » « Oh certo che la capisci. Perchè se non la capisci ti lascio da sola con lui e vediamo quanto ti basterà soltanto la sua bella faccina, solo perchè me la sono scelta così bene da farti venire a letto con me. » « Siamo forse gelosi? » « Non sono geloso. » E l'ho detto ad alta voce? « L'hai detto ad alta voce. » Fanculo.

    If only we could start again,
    I would find a way,
    to never have to give you up
    I know it all depends,
    if you still feel the same,
    is your love still strong enough?



    Edited by king with no crown - 17/3/2018, 00:32
     
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    « Tutto. Flashback di noi due, a casa. La scommessa, in particolare, e tutto ciò che abbiamo fatto prima, nessuna censura. » I suoi occhi smeraldini incontrano quelli bicolori di lui. Rimane così per qualche istante, inarcando infine un sopracciglio, lentamente, come una risposta tardiva a quelle parole. «Oh, capisco.» Si ritrova a commentare, piuttosto divertita, mentre viene catapultata indietro dai ricordi di quegli attimi. Gli attimi facili, quelli felici, i punti di luce nell'oscurità con la quale si poteva definire il suo passato. Quelli più semplici, quelli per cui aveva continuato a lottare, seppur in maniera inconsciamente. E' per attimi come quelli che lei è lì, con lui, ancora una volta. E' per la risata cristallina che riusciva a provocarle, per le sue facce buffe di fronte a quei sentimenti talmente umani da riuscirlo a destabilizzarlo, rimanendoci fregato, puntualmente. E' per i baci e il continuare a rotolarsi tra le lenzuola per delle giornate intere, è per quegli occhi chiari che credeva sarebbero stati suoi per sempre, in un modo o nell'altro. E' per quello sguardo, fisso, determinato, pieno di desiderio, mentre ballava per lui. E' per tutte queste cose che lei è ancora lì, pronta a salvargli la vita, una volta, due volte e chissà per quante altre ancora. « Mi piaceva quando ballavi per me. Mi manca vedertelo fare. » Si ritrova a sorride, scuotendo appena il capo. «Dovevo immaginarmelo che avresti fatto certi pensieri anche in punto di morte. Sei così prevedibile.» Commenta, carezzandogli dolcemente il lato della mano con il dorso della propria. Un attenzione quasi distratta, eppure in un certo senso voluta. «Abbastanza imprevedibile che sia stata io il tuo ultimo pensiero.» E' pensierosa, mentre segue il movimento della sua mano in quella carezza. Ne segue l'andamento oscillante, prima verso destra, poi verso sinistra e di nuovo daccapo. «Hai deciso di buttare giù tutte le certezze che sono andata edificando per secoli? No, perché ci sta riuscendo davvero bene, se è questo il tuo intento.» Una smorfia che le gonfia la gota sinistra si palesa sul suo viso, prima che si ritrovi costretta a guardarlo, sbattendo le ciglia, civettuola. «E se non ricordo male, ho ballato per te. Settimane fa.» Puntualizza, piuttosto piccata nel vivo del suo orgoglio da ballerina decisamente "Oltre ogni previsione." «O mi stai dicendo che non ti sei goduto abbastanza lo spettacolo?» Lo sguardo che si indurisce, tingendosi di aperta sfida. «Non sembrava, comunque.» Perché se lo ricorda quanto è stato reattivo, fin da subito, con quei suoi occhi pieni di qualsiasi sensazione, talmente torbidi da sembrare iniettati di sangue. Quindi fai poco il simpatico, o una scarica di fuoco non te la risparmia nessuno, nemmeno in questo momento.
    « Shhh, zitta. E' facile per lei, col suo corpicino da diciottenne nel fiore degli anni. Mi sento tutti i millemila anni di Vlad addosso, al momento. Sto invecchiando, sigh » Si ritrova a ridacchiare, mentre lo aiuta a spingersi fino al bordo della vasca. «Te l'ha detto forse qualcuno di andarti a scegliere proprio questo corpo? Avevi un intero mondo di anime sul quale puntare e hai scelto il primo vampiro, quello che ha millenni addosso. E ora con chi la vuoi? Chi è causa del suo mal, pianga se stesso.» «Ti metti a citare mio padre mentre ti appresti a spogliare l'uomo di cui sei innamorata? Quanta poesia, Maze, quanta. Non ti facevo così romanticona.» Una smorfia divertita, mentre alza gli occhi in quelli di lui. « Che fai? Vuoi approfittare di me adesso che sono poco reattivo? » Scuote la testa, roteando gli occhi verso il cielo. «Quando lo vorrò davvero fare, te ne accorgerai, tranquillo.» E' una promessa. Dovresti saperlo. Stringe le palpebre, dispiegando un bel sorriso sulle sue labbra, prima di farlo voltare per farlo scendere in acqua. Attende che si abitui, lentamente, prima di posizionarsi alle sue spalle. Lui appoggia la testa al suo petto e c'è pace. E' in quel momento che nel cuore di Maze si posa una pesante coltre di quiete e tranquillità, quelle che negli ultimi giorni aveva visto soltanto con il binocolo, specie nelle ultime ore di battaglia. Ma lì, in quel momento, è soltanto quella serenità ad albergare nel suo cuore, tanto da permetterle di tirare un respiro di sollievo, lento e basso, mentre le mani si bagnano d'acqua, prima di poggiarsi contro le sue spalle. Si allunga in avanti, strofinando la propria guancia contro quella di lui. « A quanto pare in questo mondo funziona tutto al contrario. Tu che ritrovi te stessa, io che ho bisogno di te. Tu che non mi ami più, io che.. » Si blocca, per qualche istante soltanto, non riuscendo più a sentire il cuore che le batte nel petto. Si rilassa poi, quando capisce che non ha intenzione di proseguire nel finire quella frase che è apparsa così strana alle sue orecchie. «Non ci ricamare troppo sopra. Magari non voleva dire niente. Lo sai come sono andata a finire io, con Ares. Ho sempre pensato che me l'avrebbe detto, ho sempre pensato che vi fosse un significato nascosto all'interno delle sue parole e invece niente, non ho mai ottenuto niente. Non è come nei film.» E infatti è tutta colpa e di quei filmacci se ho questo pallino di vedere cose dove non stanno. Io ti do la mia abilità nel combattimento e tu mi ricambi con le alte aspettative, grazie Trixie. La ragazza nella sua testa scoppia a ridere, mentre Maze riprende a pulirlo, come se niente fosse. Come se lui non avesse detto niente, seppur la voglia di domandargli cosa intendesse è forte. Ma si morde la lingua, perché non può permettersi di fare un simile passo falso. Non può dargli l'impressione di interessarsi troppo, non può insinuargli il dubbio semplicemente perché è troppo curiosa e fin troppo speranzosa. L'ha imparato a sue spese, quando è arrivata sulla Terra. Ha capito che il suo essere estremamente sincera non paga, il suo essere fin troppo indiscreta non aiuta. Perché le persone, poste di fronte alla cruda e nuda verità, scappa. E Lucien, di fronte all'innegabile verità sull'amore di Maze, è sempre scappato. Più lontano possibile da lei, da tutte le sue complicazioni, da tutti i suoi bisogni. E' corso via, perché la verità spaventa. E' questo che ha finalmente capito. La verità rende vulnerabili, fragili e spaventa a morte perché è così definitiva. Non vi sono sfumature di mezzo, non alcun grigio. O è bianca, la verità, o è nera e non ammette discussioni. Cosa si può dire di fronte all'inconfutabile realtà dei fatti? Nulla. Non si può dire nulla, se non accettarla o andarsene. « Lo considero un punto a mio favore, allora? » Lo vede raddrizzarsi il naso e arriccia le labbra in una smorfia di dolore empatico. E sta per rispondergli, quando lui la inchioda lì, sul posto, con quei suoi occhi diabolici. Uno che gli ricorda così tanto i suoi vecchi occhi, il cielo nel quale si è sempre specchiata, l'altro che rappresenta la profondità del vuoto che lo logora dall'interno, da sempre. Socchiude appena le palpebre, quando lui si avvicina a strofinare il naso contro quello di lei, in quel gesto che li ha sempre contraddistinti. In quella dolcezza così contrapposta al resto delle emozioni che hanno sempre caratterizzato il loro rapporto. Non fa in tempo a riaprirli, che si sente agguantare per un fianco, trascinata verso il basso dalla forza di lui. Oppone appena un po' di resistenza, aggrappandosi al bordo della vasca con una mano, mentre ricade nell'acqua con un tonfo, alzando gocce di qua e di là. Si ritrova sopra le sue gambe, mentre lui se la ride come un bambino di cinque anni. E lei tiene il muso per qualche istante, portandosi le braccia conserte al petto, prima di scoppiare a ridere insieme a lui. I vestiti completamente zuppi che le aderiscono al corpo. « Scusa, l'ho fatto apposta. » «Sei il solito cretino. Questa è una cosa che, a quanto pare, funziona anche in questo mondo, eh?» Piega appena la testa, mentre lo vede avvicinarsi, con le dita rivolte verso il suo viso. Il suo tocco è leggero, leggero come quando l'ha accarezzata quella sera. Non c'è più traccia di cattiveria, né di odio, né di rabbia nei suoi gesti. E lei non sa per quanto questo momento idilliaco durerà. L'unica cosa di cui è certa che non durerà per sempre e che quindi vuole sfruttarlo, al meglio. Egoisticamente, crede che quello sia il giusto compenso per i secoli che gli ha dedicato. E' il giusto finale, quello che ha sempre sperato di avere con lui. Magari non eterno, perché Lucien non è fatto per certe cose, non è stato programmato per cose come l'amore, la felicità, la pace, ma sul momento le basta quel tocco delicato, quell'attenzione ai particolari, quel loro essere umani senza esserlo davvero. Un attimo che la ripaga per una vita intera. « In fondo non è che tu sia messa meglio di me. Ridotta così non ti sfiorerei neanche con un dito. » Alza un sopracciglio, con quella sua tipica faccia da "Ma fammi il piacere, ridicolo!" «Dai, continua ti prego che ti sto credendo!» Si lascia massaggiare i capelli, mentre adocchia il bottone del ricambio dell'acqua, poco più in là e si allunga, di lato, fin quando non arriva a premerlo, per poi cominciare a vedere il liquido tornare, a poco a poco, pulito. « Scherzo, sei bellissima sempre, anche così. » Un sopracciglio alzato è l'unica risposta che ottiene. Si comincia a ragionare, già meglio. Chiude gli occhi e si lascia cullare dal movimento delle sue mani sulla testa, si lascia trasportare in quel luogo di quiete nel quale è entrata, irrimediabilmente. « Lo pensi davvero? Che questo sia il mio posto giusto, intendo. » Non li riapre, rimane ad occhi chiusi, forse perché non vuole guardarlo, o forse perché se l'aspettava quella domanda. Lux non è abituato a vivere con quelle sensazioni che dice di provare e quando si prova qualcosa, si vogliono certezze, si è alla costante caccia di esse. «E' un posto dove hai trovato qualcosa per cui lottare, dico bene?» Gli domanda a sua volta. Ho lottato perchè questa volta eri tu a rischiare la vita. «Sembri aver trovato un senso da dare alla tua vita. Cosa avevi di là, se non il tuo odio? Avevi una corona, avevi un popolo asservito, ma cos'altro ti rimaneva? Un pugno di mosche e niente in cui credere perché lo sai, nel profondo del tuo essere lo sai che la gloria e il potere non sono tutto. Ti posso rendere felice, ti possono dare l'illusione di esserlo, lì sul momento, ma non lo sei fino in fondo.» Sono quì per te, vivo in funzione di te, se tu non ci sei più per me, come ho pensato qualche ora fa, il resto diventa insignificante. «Ma ora sei qui. Provi sensazioni, sensazioni diverse dall'accecante odio e dalla perenne ira. Provi cose che ti portano a provare altre cose. Un ventaglio vario e vivace che può darti la vita. Può rendere tua quella vita che non senti propria. Combattere e vivere per qualcosa rende tutto più reale e vero. Più degno di essere vissuto. Non è un semplice trascinarsi in avanti, ma è esserci.» Infine apre gli occhi, appena in tempo per perdersi nei suoi, mentre arriva quel fiume in piena che lui ha deciso di riversargli addosso. « Te lo costruirò sul serio, quel palazzo. Ovviamente uscirà fuori ancora più bello del Taj Mahal, perchè io sono io. Però voglio che tu sappia che quando un giorno ti amerò, perchè lo farò, probabilmente già lo faccio, non voglio amarti per una stupida scommessa. » Probabilmente già lo faccio. La mente di Maze non cataloga quasi nessun'altra delle altre parole. Ma solo quelle quattro. Probabilmente. Già. Lo. Faccio. Semplicemente quattro parole, che da sole non vorrebbero dire nulla, ma che messe insieme creano un tornado nello stomaco della ragazza. Vi sente le famose farfalle al suo interno. Le sente vorticare, incapace di darsi una regolata, perché lui l'ha detto. Ha usato un condizionale, è vero, ma l'ha detto. E ora? «E ora tutto ricomincia da qui. O decidi di fare l'incoerente non seguendo nessuna delle parole che gli hai appena detto, o ti lanci, di nuovo, probabilmente senza paracadute e speri di non farti troppo male al momento dell'impatto con la terra.» E ora tutto ricomincia da qui. Lo guarda, in silenzio, mentre si morde il labbro inferiore e una mano si allunga verso il suo petto. Il tragitto sembra interminabile perché è lenta in quel movimento, sembra calcolare ogni centimetro alla perfezione, mentre è ancora in volo. Ma poi atterra, posizionando la mano sopra il cuore, lì dove deve essere davvero il suo cuore. « Niente più giochini, niente più patti, niente più maschere o stronzate. Voglio amarti nel modo più sincero e umano possibile. Come il sultano con la sua regina. A testimonianza dell'amore più grande alla quale il mondo abbia mai avuto la fortuna di assistere. » Ecco, quindi quando cominci a farlo? Quando cominci ad accettarlo? Quando ti decidi? Sta per chiedergli tutte quelle domande, ma lui è più veloce. « Però tranquilla, io quattordici figli non te li faccio sfornare. Un po' perchè anche volendo non potrei, un po' perchè... Cazzo andiamo, QUATTORDICI? Ho mille e uno motivi per trovare obiezioni di vario genere a questa faccenda. » Stacca la mano, scrollando i capelli all'indietro, con l'ombra di un sorriso sulle labbra. «Senti un po', ma l'amichetto dentro la tua testa non ti ha ancora insegnato come si sta al mondo e ci si comporta in certi casi? No perché vedo che ci parli un sacco, ma in pratica...» Stringe le labbra in un sorriso. «Sei un rovina atmosfera di professione.» Conclude la frase, prima di sentirsi avvolgere dalle sue braccia. La sta abbracciando, delicato, senza alcuna pretese apparente. La sta semplicemente tenendo stretta a sé, come se avesse un bisogno fisico di quel contatto più intimo. Lei rimane dapprima ferma, quasi congelata, con le mani lungo i fianchi, a dimostrazione dell'indecisione che la smuove. E' continua confusione quella che lui riesce a provocargli, da quando si è palesato a lei per chi è davvero. E' un continuo oscillare tra "Lo faccio o non lo faccio? Mi lascio andare o lo faccio soffrire?"« Non lasciarmi, per favore. Non lasciarmi a morire da solo. » Le si chiude lo stomaco nel sentire le proprie parole fuoriuscire dalle labbra di lui. Appoggia così il mento sulla spalla di lui, mentre le dita si muovono verso la sua schiena, lentamente. Per favore. Ha un suono differente pronunciato da lui. «E' un colpo basso persino per te, questo. Lo sai?» Gli sussurra all'orecchio. Non c'è alcun tono d'accusa nella sua voce, solo una vena ridente nel constatare i semplici fatti. «Perché ora?» Gli domanda poi, prima che lui possa aggiungere qualsiasi altra cosa. «Dimmi perché soltanto ora ti svegli. C'era davvero bisogno che scappassi per farti capire che mi vuoi davvero?» Guarda altrove, mentre rimane così, abbracciata a lui. «Sei dovuto arrivare a vedermi scivolare via dalle tue mani per sapere che hai bisogno di me, accanto a te. Io..non capisco. Mi confondi, tutto questo mi confonde.» Sospira sonoramente, impotente di fronte al fatto che sa che non otterrà risposta, nel migliore dei casi. « Possiamo fingere di essere normali? Giusto oggi, giusto adesso. Senza alcuna sofferenza alle spalle, senza tutta quella merda che è sempre stata la nostra esistenza. Da domani potrai tornare a fare tutto ciò che vuoi. A rinfacciarmi qualsiasi cosa e ad insultarmi per altri mille anni. Ma oggi..Vorrei che fossimo solo Lux e Maze. Solo noi. Umani, per qualche momento. Umani che fanno e provano cose da umani. » E' allettante ciò che le sta chiedendo. Resettare il conteggio, almeno per una giornata soltanto. Far finta che niente sia esistito prima di loro. Far finta che niente esisterà dopo di loro. Perché ci sono soltanto loro, in quell'istante preciso, immersi nel vuoto, senza un determinato spazio o tempo, per loro delle concezioni così astratte e senza significato. Umani che fanno e provano cose da umani, eh Lux? Ne sei capace? Fa per chiederglielo, ma lui frena ogni sua possibile iniziativa tuffandosi su di lei, le sue labbra contro le proprie. E' diverso dalla prima volta. Si modellano alla perfezione, le une sulle altre, eppure non c'è malizia, non c'è lussuria sulla punta della sua lingua, ma c'è quasi una sfumatura di inesperienza, di insicurezza nel portarsi avanti in un campo minato di cui non conosce nulla. Non riesce a connettere la testa, Maze, tanto da rispondere attivamente al bacio, che lui si stacca con una fretta esasperante, lasciandola lì, con le labbra dischiuse, come un pesciolino fuor d'acqua che tenta disperatamente di respirare.
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    « Ahm..Io..Scusa ma.. Dovevo ricordarti quanto io sia bravo. Con la lingua. IO. Perchè Vlad avrà pure una bella faccia, ma che te ne fai di un faccino carino e un corpo da urlo -e pure ben messo- Quando non sai usarlo? Dovresti vedere che gusti di merda ha in fatto di donne. E quanto è noioso a letto. Niente lavoretti, capisci la gravità della situazione? » Alza un sopracciglio, sentendo alla perfezione quello che lui sta cercando di farle sentire, a riprova delle sue parole e sbuffa, piuttosto scocciata. «Davvero, Lucien? Davvero? Poi mi chiedi perché ce l'ho tanto con la tua faccia. Fatti due domande e dai loro una risposta da solo.» Una mano si arpiona al suo fianco, cercando di dargli un pizzocotto che sia degno di nota, tanto da potergli far sentire perlomeno una scarica di dolore. « Oh certo che la capisci. Perchè se non la capisci ti lascio da sola con lui e vediamo quanto ti basterà soltanto la sua bella faccina, solo perchè me la sono scelta così bene da farti venire a letto con me. Non sono geloso. » E' a quel punto che lo guarda, sbattendo le ciglia, intensificando i suoi occhioni da cerbiatti. «Awww E' intenerita da quel moto repentino di pura e chiara gelosia. «Sei geloso di Vlad? Tra parentesi, ciao Vlad, tanto piacere, hai una faccina davvero niente male.» Fa per allungare una mano nella direzione di Lux, come a volergliela stringere per un saluto decisamente più formale. «Tu che sei geloso. Tu che sei geloso di me. Che inaspettata e...- guarda il soffitto come ad attendere l'illuminazione per proseguire in quella risposta - sì, piacevole scoperta.» E' un sorriso genuino quello che le arriccia le labbra, mentre torna a riavvicinarsi a lui. Le gambe che si incastrano attorno a quelle di lui. Si allunga verso il suo collo, per poi virare verso l'orecchio. «Certo che dovreste trovare proprio un compromesso voi due.» Sussurra piano, con voce bassa, mentre i suoi occhi si perdono a cercare le luci violacee intorno a loro. «Tu Vlad potresti insegnargli come non si rovina l'atmosfera, magari. E qualcosina sui sentimenti umani.» Si scosta per tornare a guardare l'uomo in volto. «E tu potresti insegnargli che il sesso senza preliminari è come mangiare la ciliegina senza aver toccato il resto del dolce. Davvero imperdonabile. E davvero un peccato.» Sorride, divertita da quel cambio veloce di situazione, prima di potare l'indice davanti alle sue labbra, appena prova ad aprirle per controbattere. «No, ora stai zitto.» E non è un ordine, più una tacita richiesta, mentre gli sorride e insieme alle labbra, lo fanno anche gli occhi. «Ora stai zitto e impari la lezione che ho da darti io.» Continua a guardarlo, mentre si avvicina, sempre di più, con il viso a quello di lui, fin quando i suoi occhi non diventano una macchia indistinta di blu e nero. Respira a fondo, guardando le labbra di lui, e poi di nuovo gli occhi. «Prendi quello che ho da offrirti.» La gemma che è sempre stata tua. «E cerca di farmi meno male possibile, domani Un sussurro che lascia le sue labbra tremanti. Le dita corrono ad incastonare il suo volto, passando tra la barba rada che riesce a solleticarle i polpastrelli e alla fine le labbra si posano sopra quelle di lui. Mette dentro quel bacio tutto. Tutto quello che è stato, che è e che sarà. Tutto quello che lui significa per lei. Tutto il suo esserle sempre dentro, nel flusso del suo sangue nelle sue vene, nel battito impazzito del suo cuore. Lo bacia mettendo sul piatto tutta se stessa, forse inconsciamente, forse fin troppo lucida nel farlo. Ci mette così tanto se stessa da prendergli una mano, per portarsela al petto, lì dove il cuore pulsa incessantemente, come risvegliato da una scarica elettrica. Lascia la sua mano lì e porta la sua sopra il cuore di lui, in uno scambio di emozioni totalizzante. E lo sente, ancora una volta, febbricitante sotto le proprie dita. E l'amore il cuore lo fa battere, eccome se lo fa. Non è solo un'impressione, lo senti in gola, batte così forte da farti mancare il fiato. Non è solo una suggestione, batte talmente forte da terrorizzarti all'idea che l'altro lo possa sentire, tanto è assordante e visibile. La lingua si attorciglia a quella di lui, mentre scava sempre più in profondità, in quella necessaria ricerca di se stessa tra le pieghe dell'essere di Lucien. Cazzo, mi ha incastrata di nuovo. E' con questa consapevolezza che si stacca, sorridendo contro le labbra di lui. «Così va decisamente meglio.» Commenta, quasi sovrappensiero. «Le cose o le fai per bene o non le fai proprio.» Gli passa una mano tra i capelli, tirandoli all'indietro, mentre l'altra sembra aver trovato il suo habitat naturale sul petto di lui. «Ti piace quello che fanno e provano gli umani, mea Lux C'è una scintilla divertita nei suoi occhi mentre lo guarda fisso. «E' una cosa che vuoi giusto oggi? Sei sicuro di volerla solo adesso?» C'è sicurezza nelle sue parole, seppur non sia troppo sicura nella sua mente. Si sta spingendo oltre, seppur gli abbia esplicitamente detto che non avrebbe più fatto un solo passo verso di lui, che l'avrebbe fatto remare da solo, se veramente desiderava questo. Lo sta mettendo alle strette, così come si era ripromessa di non fare, perché lui quando ha paura, scappa. Eppure lo fa, troppo bisognosa di avere qualche certezza. «Perché sembra proprio che tu stia facendo di tutto per piegare la realtà al tuo volere, trasformando il qui e ora nel nostro posto giusto e momento giusto E' questo che stai facendo, Lux? Gli dà un ulteriore bacio, a fior di labbra, finalmente libera di potergliene dare. Non è sicura di lui in un futuro prossimo, chiaramente, ma è sicura di lui in quel momento. E lei continuerà sempre ad innamorarsi di lui, quando lui le permetterà di poter mostrare le sue vulnerabilità di fronte a lui, senza aver paura del suo giudizio. E in quel momento, lei riesce a percepire la verità dietro le sue parole. Lui vuole amarla, forse addirittura lo fa già, e chiunque è capace di amare, può essere salvato. Alla fine porta una mano sotto al suo viso, il palmo rivolto verso l'alto. Tutto è cominciato da una mano. Da lui che le offriva una mano. «Prendi la mia mano, Lucien.» E farò di te il mio Re. Gli sorride, infine, come a volersi prendere gioco di te. «Prima regola di un umano: dopo un combattimento come quello che hai avuto tu, o sei morto o hai bisogno di riposo.» Alza le sopracciglia, come a voler rimarcare il concetto. «Abbiamo anime sovrannaturali, tu ne hai anche un corpo, è vero. Passiamo dal quasi morire al parlare dei massimi sistemi o di sciocchezze inutili in un battito di ciglia. Il tempo e lo spazio si piegano ai nostri voleri, ma tu stai male. Sei tornato dalla morte e hai bisogno di riposo. E ne ho bisogno anche io.» La mano ondeggia nuovamente a quelle parole. «Perciò prendila e andiamo. Insieme. Non ammetto obiezioni.»

    And I feel life for the very first time
    Love in my arms and the sun in my eyes
    I feel safe in the 5 am light
    You carry my fears as the heavens set fire


     
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    «Sei il solito cretino. Questa è una cosa che, a quanto pare, funziona anche in questo mondo, eh?» Si stringe nelle spalle con espressione innocente, mentre continua a ridere, passandole le mani tra i capelli per bagnarne alcune ciocche. Ed eccolo quì, Lucien, lo stesso Lucien che solo qualche ora prima è caduto sotto le zanne e gli artigli di quelle belve che l'avrebbero fatto a pezzi, se non fosse stato per lei. Eccolo a ridere come un bambino, a giocare con lei ed a farle quei dispetti che l'hanno sempre caratterizzato, in un modo o nell'altro. Si gode ogni attimo di quei momenti, mentre la risata di lei si unisce alla sua, per poi restare entrambi fermi, sotto il pelo dell'acqua, a guardarsi in silenzio ed a passarsi le mani sul corpo, con delicatezza. E forse per la prima volta da quando ha messo piede sulla Terra, quel pianeta tanto ostile e tanto detestato da uno come lui, che Lux riesce quasi a sentirsi a casa. Non sa come sia possibile, non sa nemmeno perchè, proprio lui, che quel buco dimenticato da Dio che ha sempre definito casa non avrebbe mai voluto lasciarlo. Forse perchè in fin dei conti, dove c'è lei, è casa. E dove c'è lei, c'è quella rara quanto sconosciuta felicità che ad esseri come loro non è mai stata concessa. Momenti brevi, forse addirittura effimeri, eppure così preziosi. « Certe fantastiche qualità non possono abbandonarmi, neanche coi cambi dimensionali. » Asserisce, con la sua solita faccia da schiaffi. Attende poi una sua risposta, in completo silenzio, mentre con gli occhi bicolore vaga su quel suo viso man mano sempre più pulito da qualsiasi traccia di terriccio o sangue. Osserva le goccioline d'acqua percorrerle lentamente le guance, le sfumature cangianti dei suoi occhi, le piccole lentiggini che le impreziosiscono il naso. «E' un posto dove hai trovato qualcosa per cui lottare, dico bene? Sembri aver trovato un senso da dare alla tua vita. Cosa avevi di là, se non il tuo odio? Avevi una corona, avevi un popolo asservito, ma cos'altro ti rimaneva? Un pugno di mosche e niente in cui credere perché lo sai, nel profondo del tuo essere lo sai che la gloria e il potere non sono tutto. Ti posso rendere felice, ti possono dare l'illusione di esserlo, lì sul momento, ma non lo sei fino in fondo.» Vorrebbe ribattere, e per qualche momento sembra essere in procinto di farlo sul serio. Perchè c'è comunque, quella parte di sè. Quella doppia personalità che l'ha sempre caratterizzato. Lucien il re, Lucien il sovrano che pur di dominare, ha sempre ignorato e messo da parte qualsiasi altra cosa. Persino lei. Lui di quell'illusione c'è vissuto. Di quella gloria di cui lei parla, che gli ha sempre fatto gonfiare il petto e l'ego divino, dandogli l'inganno di non aver bisogno di null'altro si è nutrito per secoli e secoli. Eppure, ai conti dei fatti, quali vantaggi gli ha mai recato un tale potere? Praticamente nulla. Buio, spoglio e vuoto nulla. Vuoto come quella voragine che si è sempre portato dentro, all'altezza del petto, in quella condizione di insensibilità forzata, un po' per l'andamento dei fatti, un po' perchè se non provi niente, non puoi soffrire, e se non puoi soffrire, sei un dio. E la solitudine, in fin dei conti, l'ha sempre considerata un giusto prezzo da pagare per la propria divinità. O forse non sempre. Perchè c'erano quei momenti. Rari, se non addirittura rarissimi, in cui Lucien riusciva a vedere oltre. Oltre quelle sue convinzioni, oltre quelle innumerevoli maschere che si ostinava ad indossare. E allora al di là del tiranno traspariva l'umano, che umano non era neanche lontanamente, ma che forse in un certo qual modo avrebbe voluto esserlo. Quell'ibrido, così può esser chiamato, nè troppo buono, nè troppo cattivo, al quale in fin dei conti di tutto quel potere non importava proprio nulla. Che sapeva ci fosse qualcosa di ben più importante. Qualcuno. Così vicino, così prossimo, così perennemente in attesa. Lo sai, nel profondo del tuo essere lo sai che la gloria e il potere non sono tutto. Ti posso rendere felice, ti possono dare l'illusione di esserlo, lì sul momento, ma non lo sei fino in fondo. «Ma ora sei qui. Provi sensazioni, sensazioni diverse dall'accecante odio e dalla perenne ira. Provi cose che ti portano a provare altre cose. Un ventaglio vario e vivace che può darti la vita. Può rendere tua quella vita che non senti propria. Combattere e vivere per qualcosa rende tutto più reale e vero. Più degno di essere vissuto. Non è un semplice trascinarsi in avanti, ma è esserci.» La guarda per qualche momento, in silenzio, poi si ritrova ad annuire, mestamente. Ci sono tante cose che non capisce di quel mondo nuovo. Il ventaglio d'emozioni di cui lei parla, per esempio, o anche solo il concetto base di vivere. Ma se c'è una cosa di cui è certo, è che probabilmente non attendeva altro. Al di là di ciò che avrebbe creduto, e che stenta ancora a crederci, Lucien non aspettava altro che liberarsi di quei suoi demoni, di quelle sue maschere, di quel suo tutto, per diventare una parte di sè, la migliore, e finalmente vivere. Finalmente provare qualcosa. Finalmente amarla. Nel posto giusto, al momento giusto. La vede poi poggiare una mano sul suo petto, in un movimento lento, esitante. Si ritrova a piegare la testa di lato, mordicchiandosi il labbro inferiore mentre la osserva. Le ha gettato addosso un fiume di parole, come ormai sembra essere esperto fare. Le ha rigettato addosso verità che mai avrebbe creduto di dirle, ma che avrebbe sempre voluto dirle, ed ora lei esita, e lui non sa cosa dire o cosa fare. E' tutto così strano, così dannatamente fuori dal suo controllo. «Senti un po', ma l'amichetto dentro la tua testa non ti ha ancora insegnato come si sta al mondo e ci si comporta in certi casi? No perché vedo che ci parli un sacco, ma in pratica...Sei un rovina atmosfera di professione.» Lei riesce comunque a sdrammatizzare, e Lucien si ritrova a ridacchiare, come un bambino, prima di scuotere la testa e stringersi nelle spalle. « Lui non ha niente da insegnare a me. Semmai il contrario. » Commenta, con quel solito tono modesto che lo caratterizza. « Il tuo contrario ci ha quasi fatto uccidere. » Oh eddai è capitato.. « Due volte. » Fottiti. [...] «E' un colpo basso persino per te, questo. Lo sai?» Si scosta appena, quel tanto che gli basta per poterla guardare in viso, senza lasciarla andare. E' vicina, con la testa poggiata contro la sua spalla, e le mani che vagano lentamente sulla sua schiena, in un tocco delicato che lo fa sorridere involontariamente, a mezza bocca. « Perchè ora? Dimmi perché soltanto ora ti svegli. C'era davvero bisogno che scappassi per farti capire che mi vuoi davvero? Sei dovuto arrivare a vedermi scivolare via dalle tue mani per sapere che hai bisogno di me, accanto a te. Io..non capisco. Mi confondi, tutto questo mi confonde.» Fa per risponderle, ma mentre schiude le labbra, si rende conto di non sapere effettivamente cosa dire. Allora boccheggia come un pesciolino fuor d'acqua, in un moto d'indecisione che poco gli appartiene, e alla fine si arrende, in un sospiro automatico. « Non lo so, confonde anche me. Siamo confusi in due, vinciamo un premio? » Ci scherza su, senza un motivo ben preciso, poco prima di perdersi in quel bacio.

    «Davvero, Lucien? Davvero? Poi mi chiedi perché ce l'ho tanto con la tua faccia. Fatti due domande e dai loro una risposta da solo.» La mano di lei si arpiona al suo fianco, e inspiegabilmente riesce a provare il fastidio che quel suo pizzicotto gli provoca. « Ahia! » Squittisce, offeso, ma è tanta la sensazione di felicità che riesce a provare in uno strano momento come quello che stanno trascorrendo, insieme, che non si pone alcuna domanda sul perchè riesca a percepire quel leggero dolore fisico. Forse è semplicemente ancora troppo debole. «Awww La fulmina con lo sguardo, guardandola in cagnesco. « Non provare a dirlo. » «Sei geloso di Vlad? Tra parentesi, ciao Vlad, tanto piacere, hai una faccina davvero niente male.» « Ecco, l'hai detto. E no, io la mano non te la stringo. » Asserisce...Mentre le stringe la mano. « Fanculo. » Borbotta, imbronciato, mentre sente la risata di Vlad riecheggiare dentro la sua testa. « Ti prende per il culo ancora meglio di me. Potrei innamorarmene! Dille che mi sta simpatica. » « Dice che gli stai antipatica, ovviamente. » « E che anche se il corpo è mio, fa bene quando ti mena male. » « E che non dovresti darmi i pizzicotti, o pugnalarmi o schiaffeggiarmi. Eh già. » Vlad sospira, e Lucien sorride malignamente. Nove miliardi di anni fisici, zero mentali. «Tu che sei geloso. Tu che sei geloso di me. Che inaspettata e...- Fa per ribattere, ma lei lo precede. - sì, piacevole scoperta.» Lei si avvicina a lui, mentre percepisce le sue gambe stringersi contro le proprie, pressandosi ulteriormente su di lui, ed il suo respiro sopra il proprio collo. Tuttavia non la guarda, mentre si appresta ad incrociare le braccia, l'espressione corrucciata ed offesa classica di un bambino di sette anni. « Non sono geloso. No proprio per niente. No no. Prooooprio no. Perchè dovrei esserlo? Io sono meglio di qualsiasi altra scelta tu possa avere sul mercato. Compresi vampiri e sin eater. » Le lancia un'occhiata. Oh sì non mi sfugge niente. Ti ho vista, tutte le volte. Che vuoi dire in tua discolpa? «Certo che dovreste trovare proprio un compromesso voi due.» Si decide a guardarla solo allora, mentre lo sguardo cangiante di lei vaga altrove. «Tu Vlad potresti insegnargli come non si rovina l'atmosfera, magari. E qualcosina sui sentimenti umani. E tu potresti insegnargli che il sesso senza preliminari è come mangiare la ciliegina senza aver toccato il resto del dolce. Davvero imperdonabile. E davvero un peccato.» Schiude le labbra prontamente, facendo per dire qualcosa, ma lei lo blocca, con un indice sulle sue labbra pallide. «No, ora stai zitto.» Corruga la fronte, mentre la guarda, interrogativo. «Ora stai zitto e impari la lezione che ho da darti io.» « Non picchiarmi di nuovo, magari. » Non riesce a trattenersi dal dire, un sorriso divertito stampato sul viso. Sorriso che scompare man mano che lei si avvicina, per trasformarsi in un'espressione di dubbio, sì, ma anche aspettativa e desiderio. E non desiderio carnale, come è solito provare la maggior parte delle volte, ma qualcosa di più. Decisamente di più. Se la ritrova vicinissima al proprio viso, gli occhi di lei ormai blu piantati sui propri, e poi sulle proprie labbra. Segue la loro stessa traiettoria, mentre istintivamente si inumidisce le labbra con la lingua. «Prendi quello che ho da offrirti.» Si protrae verso di lei, diminuendo ulteriormente i centimetri che li separano. «E cerca di farmi meno male possibile, domani Non voglio farti male. Sta per dirle, ma le parole gli muoiono in gola, letteralmente. Le dita di lei vagano sul suo viso, mentre le sue labbra si modellano sulle proprie. Il sapore di lei entra di nuovo a far parte di lui, scorrendogli dentro e riattivando ogni sua cellula in un'esplosione di vita. Il cuore batte, agitato, i polmoni si azionano, conducendolo a respirare ed a percepire il suo profumo. Gli occhi abbandonano quella solita patina cadaverica, in una scintilla di luce che la sovrasta, la pelle si riscalda appena, un leggero colorito si espande sul suo viso pallido. Si ritrova a tremare, sovrastato da emozioni e sensazioni che non riesce a comprendere nè contrastare, perchè in fin dei conti non vuole farlo. E allora ricambia quel bacio, mentre chiude gli occhi, una mano che si poggia delicatamente sulla guancia sinistra di lei. E' un bacio in cui riesce a leggere tutto ciò che sono e che sono stati. Un bacio in cui lei gli dona tutto di sè, anche solo per un momento, e lui ricambia, allo stesso modo. L'ha già baciata, più volte, in passato. Ma niente in confronto a questo. Non c'è la malizia del primo bacio, non c'è l'angoscia del secondo e l'insicurezza del terzo. Ci sono soltanto loro, Lucien e Mazikeen, stretti in quel legame che riesce ad estraniarli da tutto ciò che li circonda. Non c'è Inferno nè Paradiso. Non c'è branco nè demoni. Vita o morte. Buono o cattivo. Vittoria o perdita. E' tutto lì, tutto ciò di cui hanno bisogno, tutto ciò di cui lui ha sempre avuto bisogno. Perchè mentre la bacia, mentre lo fa veramente, tutti quei flashback e quei ricordi ritornano nella sua mente. Loro assieme, per secoli e secoli. Maze al suo fianco. Io, sono sempre e solo stata io. E per un attimo esita, in quell'allontanarsi tipico che ha sempre fatto in situazioni come quella, ma non lo fa alla fine, mentre lei gli cinge un polso per poggiarsi la sua mano sul petto. Sì sei tu, sei sempre e solo stata tu. Il suo cuore batte sotto i propri polpastrelli, veloce e agitato tanto quanto il proprio sotto quelli di lei, e Lucien sorride, istintivamente, sulle sue labbra, prima che le loro lingue si incrocino, in quella danza tribale, scavando sempre più l'uno nelle profondità dell'altra. «Così va decisamente meglio.» Lei si stacca infine, e Lux si riscopre senza fiato, tanto che è costretto a recuperare. «Le cose o le fai per bene o non le fai proprio.» Lei gli passa una mano tra i capelli, mentre lui dal canto suo le accarezza la schiena. « Non mi devi baciare, mh..Ultime parole famose. » La punzecchia, mentre si passa la lingua sulle labbra, che sanno ancora di lei, e nel sentire il suo sapore sorride.
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    «Ti piace quello che fanno e provano gli umani, mea Lux Mea Lux, si ripete mentalmente quel soprannome che ha sempre amato tanto. «E' una cosa che vuoi giusto oggi? Sei sicuro di volerla solo adesso? Perché sembra proprio che tu stia facendo di tutto per piegare la realtà al tuo volere, trasformando il qui e ora nel nostro posto giusto e momento giusto La guarda, mentre lei gli offre un altro bacio, e lui ricambia a sua volta con l'ennesimo, quasi come se gli fosse impossibile distaccarsene. « No. » Sussurra, sulle sue labbra. « Non sono sicuro di volerlo solo adesso. Anzi, a dire la verità, vorrei che durasse per sempre. Vorrei che fosse il nostro dannato posto giusto e momento giusto. E vorrei che non durasse solo per un momento, o solo per oggi. » Cerca il suo sguardo, perdendosi in quel mare d'ombra che sono diventati. Blu come la notte. « Vorrei prendere ciò che hai da offrirmi e tenermelo. E ti vorrei accanto, come un tempo, per l'eternità. Perchè sei tu, sei sempre e solo stata tu. » Cita le sue stesse parole, sapendo di starsi spingendo troppo oltre, ma incapace di frenarsi. Arriverà un tempo in cui forse si rimangerà ogni cosa, arriverà un tempo in cui il suo lato d'ombra sovrasterà quello di luce, ma per ora non vuole pensarci. Vuole solo godersi l'attimo, sperando duri più tempo possibile. «Prendi la mia mano, Lucien.» Cala lo sguardo, posandolo sul palmo della sua mano rivolto verso l'alto, a pochi centimetri da lui. Prendi la mia mano, Mazikeen. Prendi la mia mano e farò di te una Regina. Era iniziato tutto così, con una mano tesa verso l'altra. Era stata la fine di una vita, l'inizio di un'altra, insieme, nonostante tutto. « E farai di me il tuo Re? » Cita quelle parole tanto remote eppure così attuali. «Prima regola di un umano: dopo un combattimento come quello che hai avuto tu, o sei morto o hai bisogno di riposo.» Storce il muso in una smorfia di disappunto. Vuole essere umano ma non accetta le cose da umani: this is Lucien. «Abbiamo anime sovrannaturali, tu ne hai anche un corpo, è vero. Passiamo dal quasi morire al parlare dei massimi sistemi o di sciocchezze inutili in un battito di ciglia. Il tempo e lo spazio si piegano ai nostri voleri, ma tu stai male. Sei tornato dalla morte e hai bisogno di riposo. E ne ho bisogno anche io.» « Dobbiamo farlo per forza? Mi piaceva stare quì con te addosso a me nudo. Eddai mamma altri cinque minutiiii » Fa i capricci, lamentandosi, ma alla fine torna serio, tornando a guardare la mano di lei, che ondeggia di fronte a lui. Strano, come cambino i fatti e gli eventi. Lui, il re, ad accettare la mano tesa di lei, quella creatura spaventata ritrovata in un'angolo dell'inferno, adesso regina. La sua regina. «Perciò prendila e andiamo. Insieme. Non ammetto obiezioni.» La fissa per qualche altro minuto, in completo silenzio, fin quando un angolo delle sue labbra pallide non si piega in un sorriso, e decide finalmente di farlo. Le sue dita fredde si stringono attorno a quelle bollenti di lei, in un gesto già visto, già accaduto, seppur in contesti ben differenti. Le loro mani si incontrano, i loro mondi collidono, davvero, dopo mesi che gli sono sembrati secoli, e di nuovo si ritrova a sorridere, ed a fare i conti con quel battito del suo cuore ormai impazzito. Sgusciano fuori dalla vasca, infine, lentamente ed assieme, gocciolando sul pavimento di marmo scuro. Una scarica di dolore lo coglie non appena si rimette in piedi e riacquista equilibrio, ed ha bisogno di qualche istante per riaprire gli occhi, ed ignorare tutti quei capogiri e le fitte ovunque. Posa lo sguardo su di lei, allora, assottigliandolo appena, poi si avvicina, le dita che si posano sulla sua maglia completamente zuppa, ormai aderita al suo corpo. Esita qualche istante « Posso? » Ma non attende una risposta comunque, mentre le sfila la maglia, per poi fare lo stesso col resto dei vestiti. « Non fraintendermi, non ho cattive intenzioni. -Cioè le avrei, cazzo quanto vorrei averle. Sono mesi che sto a secco, mi domando come ancora non mi sia caduto- ma semplicemente non ti voglio nel mio letto con questi vestiti sudici. » Lancia un'occhiata al suddetto letto, poi si rigira. « ...Okay, è già sudicio di suo il materasso ma dettagli. Se vai a dormire con dei vestiti bagnati poi ti becchi chissà quale malattia umana. » Ecco, questa è una scusa migliore. Annuisce solenne alle sue stesse parole, prima di allontanarsi per aprire un piccolo armadietto in mogano, dal quale si intravede un vestiario dalle fantasie a dir poco terrificanti. Estrae un accappatoio nero nel quale si avvolge, legandosi la cintura ai fianchi, poi ne agguanta un'altro, bianco, e col passo claudicante (« Se commenti ti uccido. ») si avvicina a lei. La aiuta ad infilarselo, e mentre le annoda la cintura, rimane per qualche momento ad osservarla, in silenzio, mentre si mordicchia il labbro inferiore. « Sì, adesso mi ricordo quanto io mi sia goduto lo spettacolo, qualche tempo fa. Avevo bisogno di una rinfrescata di memoria.» Le lancia un'occhiata carica di malizia, la solita che non lo abbandonerà neanche in punto di morte, poi le riprende la mano, ed assieme la conduce verso il proprio letto. « Un modo per pulire le lenzuola con la magia ce l'hai? Anche se un sacco di gente pagherebbe, per dormire immersa nel mio sangue, ovviamente. » Attende qualche minuto, infine si lascia scivolare tra le lenzuola di seta, socchiudendo gli occhi nell'attesa che l'ennesima scarica di dolore lo abbandoni. Si riprende dopo qualche momento, il tempo per allungarsi oltre il letto ed armeggiare con un telecomando poggiato su di un comodino. « Riscaldamento. A me non serve, ma siamo sotto terra, tu completamente bagnata... » Esita qualche istante « Non farò battute, eeeee io sono una lastra di ghiaccio, quindi avermi nel letto non è tanto appagante. E questo vale solo per dormire, è chiaro. » Annuisce con fare solenne, prima di alzare la coperta su entrambi. La osserva per qualche momento, poi sospira. « Grazie. » Sussurra improvvisamente, mentre poggia la fronte contro la sua. « Per..Per esserci. » Al mio fianco, nonostante tutto. « Io non lo so perchè proprio adesso. » Perchè ora? Dimmi perché soltanto ora ti svegli. « So solo che probabilmente ho sempre voluto amarti. C'erano momenti, a casa, in cui avrei voluto tanto farlo. » Le rivela, distogliendo lo sguardo, incapace di guardarla. « Momenti in cui avrei voluto strapparmi di dosso quel dannato vuoto a cui mi hanno costretto, per darti quel qualcosa in cambio che ti meritavi. Ma non ci sono mai riuscito, perchè era impossibile. Ma quando è diventato possibile, quì, sulla Terra, beh..mi sono svegliato. » Si stringe nelle spalle, tornando a guardarla, mentre una mano si avvicina al suo viso, per scostare delicatamente alcune ciocche da una guancia. « Forse casa non è quel posto tanto bello che, viverci praticamente da sempre mi ha portato a credere fermamente. E' vero, ho potere, mi adorano, e a me piace tanto essere adorato..Ma se tornarci significa tornare a non provare più tutto questo..Non sono più tanto sicuro di volerlo fare. » La mano scende sul suo viso, lungo la mascella e poi sul collo, per oltrepassarle un braccio, ed insinuarsi poi sulla schiena. Segue la traiettoria con lo sguardo, poi torna a guardarla, strofinando il naso contro quello di lei, in quel gesto che li ha sempre caratterizzati, mentre sorride appena. « Inizio a pensare che casa è dove ci sei tu. Ovunque sia. » Perchè senza di te, a me non è mai rimasto nient'altro. Soltanto un pugno di mosche. « Non voglio farti male, domani. Non vorrei fartene per tanto altro tempo ancora, ma so che lo farò, prima o poi. Perchè è questo ciò che faccio, alla fine. » E' questo ciò per cui sono stato creato, probabilmente. Fare del male. « Ma ti prometto che lotterò affinchè succeda il più tardi possibile. E ti do il permesso di farmi male il triplo, quando sarà. » Le sorride debolmente, avvicinandosi alle sue labbra, riscoprendo quanto già gli siano mancate in quei pochi minuti. Vi lascia sopra un bacio leggero, poi la stringe tra le bracia, aderendo ulteriormente contro il suo corpo. « Com'era amarmi? Come hai fatto a continuare a farlo nonostante tutto, un tempo? » Tutte domande che, nei secoli trascorsi, l'avrebbero fatto soltanto ridere di gusto. Argomenti da bambinetti, non da sovrani, aveva sempre pensato. Continua ad accarezzarla, le mani che si soffermano poi sulla sua schiena. « E com'era fare l'amore? Cosa si prova a farlo? » Cosa provavi a farlo con me? « Mi piacerebbe farlo, un giorno. Non credo di esserne capace, ma in questo ipotetico mondo dove io ho preso la tua mano, e siamo umani, insieme, sarebbe bello farlo, con te. Perchè in questo mondo, io penso che siamo fatti per stare insieme. »

    I belong with you, yeah, baby
    Yeah, I got a temper, but I'm just sayin'
    You pushin' buttons just cause you can
    You know I hate it, but I belong with you, oh

     
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    « Dice che gli stai antipatica, ovviamente. » Inclina la testa di lato, guardandolo di traverso. «Ah davvero? Non si direbbe.» Commenta, piuttosto asciutta, guardandolo dritto negli occhi. Perché sì, le è chiaro che il meccanismo che lega Lux a Vlad è probabilmente simile a quello che lega lei a Trixie. Il corpo è controllato da Lux e perciò tutto quello che sente, che avverte in reazione a ciò che le gli dice e fa, deve essere tutta farina del sacco di Lucien. Eppure lui è cambiato e tanto. Può credere che può esserci del merito nel suo essere ancora lì, con lui, può credere anche in parte a ciò che lui continua a dirle, insistentemente, cercando di farglielo entrare in testa come un dogma assoluto da prendere, così, senza farsi domande, senza arrovellarcisi troppo sopra. Però c'è sempre il dubbio, il dubbio che sia grazie a Vlad, che pur essendo un vampiro, ha vissuto sulla Terra attraversando epoche, vivendo vite diverse, amando persone diverse. Come vale per lei e Trixie, crede che anche Lucien e Vlad si mescolino, di tanto in tanto. L'uno entra in contatto con l'altro, si plasmano e diventano una persona diversa, insieme. Due anime che formano una nuova creatura, una nuova essenza dai tratti simili alle loro partenze eppure totalmente diverse. « E che non dovresti darmi i pizzicotti, o pugnalarmi o schiaffeggiarmi. Eh già. » Gli sorride, mentre le sue gambe, ancora rivestite dalla stoffa ormai fradicia dei jeans, scivolano sopra quelle di lui, in un gesto naturale, che segue il moto circolatorio del ricircolo dell'acqua. «Caro Vlad, se il tuo ospite non fosse tanto stronzo, farei a meno di farti del male. So che non è colpa tua, lo so davvero, ma so anche, invece, che lui la colpa ce l'ha quasi sempre. E torturarlo mi piace.» Torna a guardare Lucien, come se fino a quel momento avesse parlato con qualcun altro, presente anche lui nella stanza. Ma ora c'è solo Lucien. Alza un sopracciglio, mentre fa una smorfia. «Deformazione professionale, immagino.» Lui mette il muso, incrociando le braccia al petto e lei scoppia a ridere di fronte a quella che, solitamente, sarebbe stata una delle sue reazioni tipiche. Naso all'insù e broncio che arriva ai piedi. Quanto sei cambiato, sempre una diva, ma sei così umano, così tanto da nemmeno accorgertene, probabilmente. « Non sono geloso. No proprio per niente. No no. Prooooprio no. Perchè dovrei esserlo? Io sono meglio di qualsiasi altra scelta tu possa avere sul mercato. Compresi vampiri e sin eater. » Apre la bocca, Maze, per poi richiuderla in quello che è un palese sorriso canzonatorio. «Oh oh, e questa? Da dove arriva?» Arriccia il naso, sciabolando le sopracciglia verso l'alto. «Mi hai spiato?» Gli domanda, mentre lo sguardo si accende di luce propria. «O mi hai anche ascoltato, magari?» Oh sì che l'hai fatto. Non ti è bastato Natale, non è così? Mi dovevi seguire, passo passo. «Sei uno stalker. E pure uno di quelli belli invasivi, impulsivi e pure parecchio gelosi. Questo credo. Dovrei denunciarti.» Gli dice, mordendosi il labbro inferiore. «Chissà, magari appena esco da qui, corro al Ministero e ti denuncio alle autorità. E non ti basterà essere amichetto con il capo per passarla liscia.» Ha la voce bassa, impreziosita da qualche pagliuzza improvvisamente maliziosa. E il tono di voce si abbassa ulteriormente quando decide di fare il passo più lungo della gamba e permettergli nuovamente di avere accesso al suo cuore. Più lei si avvicina a lui, più lui si avvicina a lei ed è come vedere due calamite, dai poli opposti, che tentano disperatamente di ricongiungersi. Si attraggono, si muovono l'uno verso l'altro perché hanno bisogno di perfezionarsi nell'unico modo che Maze sa essere il giusto completamento. E c'è adrenalina, c'è una scarica di emozioni che l'attraversano mentre le sue labbra si modellano a quelle di lui. C'è aspettativa, c'è risanamento. In quel bacio c'è tutto. C'è un bisogno che è diventato desiderio e che si è trasformato in una cura indispensabile per le ferite mortali che le sono state inferte nell'anima. Al di là di qualsiasi bruttura, qualsiasi difetto, qualsiasi cattiveria, Lucien rimane sempre la cura per Maze, il balsamo per ogni suo squarcio, ogni sua lacerazione, ogni sua mancanza. Questo, da sempre, è stato un bacio di Lucien per Maze: una medicina completa. « Non mi devi baciare, mh..Ultime parole famose. » Scocca la lingua contro il palato, mentre le mani si annidano tra i suoi capelli e, ad occhi chiusi, si bea del contatto delle due dita con la propria schiena. «Tu non mi dovevi baciare. Perché dovevo essere io a farlo. Dovevo essere io a darti nuovamente la chiave per il forziere, prendertela da solo sarebbe stato troppo facile e questa è l'unico tesoro che mi è sempre davvero rimasto. Un bacio Sorride, riaprendo gli occhi per incontrare quelli di lui, riaccostando ancora una volta le labbra a quelle di lui. Cielo, in cosa mi sono andata a cacciare, un'altra volta? Si stacca e lo guarda per qualche istante, fissa. Ti uccido, se mi fai male di nuovo, ti uccido. E lo faccio con le mie mani, giuro. « No. Non sono sicuro di volerlo solo adesso. Anzi, a dire la verità, vorrei che durasse per sempre. Vorrei che fosse il nostro dannato posto giusto e momento giusto. E vorrei che non durasse solo per un momento, o solo per oggi. Vorrei prendere ciò che hai da offrirmi e tenermelo. E ti vorrei accanto, come un tempo, per l'eternità. Perchè sei tu, sei sempre e solo stata tu. » Nuovamente senza fiato, mentre ripassa una ad una le parole che le ha appena detto. E' sincero, lo legge nei suoi occhi. Lucien è stato sempre bravissimo ad inventarsi storie, dire una miriade di cazzate, costruire i suoi castelli e le sue storie più assurde su delle false basamenti. Ma Maze è sempre stata altrettanto brava in una cosa: capirlo. E quando le mentiva, e le volte in cui lo faceva erano tante, lei lo sapeva. Lo guardava negli occhi e qualcosa le si spezzava, sempre di più, ogni qual volta fingeva di non accorgersi dell'odore di qualcun altro sulla sua pelle o di quella nuova macchia scura, all'altezza del collo. Aveva imparato a conoscerlo, negli anni, perché come si può fare altrimenti con l'oggetto di un amore tanto incondizionato? Lui, divenuto il centro di tutta la sua esistenza, il suo perché a qualsiasi domanda, era diventato anche soggetto di attente ricerche, per scoprire quanti più particolari, quanti più dettagli di quella sua anima nera come la notte più oscura. «Non lo capisci, Lucien? Sei tu il pericolo. Sei tu il peggior nemico di te stesso, sei tu quel demone che ti ostini ad usare come scusante. Sei tu, sei sempre e solo stato tu. E io sono qui, qui che riesco ad amare anche il tuo demone. Perché non mi lasci semplicemente entrare? Lasciami uno spiraglio aperto. Di cosa hai paura?» Gliel'aveva detto in passato e aveva continuato a pensarlo per così tanto tempo. Forse, persino in quel momento, Maze sa che quel demone, di cui non c'è più traccia nei suoi gesti e nella sua voce, è lì, in agguato, pronto ad uscire, pronto a riaprire tutte le ferite antiche. Ma per un demone che non c'è, c'è un uomo che si rivela a lei, sincero e limpido come non lo è mai stato. E gli crede, Maze, mentre stringe le labbra in un sorriso, prima di sfiorargli nuovamente il naso con il proprio. «Non sei un dio?» Gli domanda, con aria furba, mentre lo coglie lì, nel vivo della sua più grande convinzione e il suo più grande orgoglio. «Ora che sei libero dalle tue catene, puoi riprendere a volare E detto questo, la mano scivola dietro, a tastare la sua schiena, lì dove ci sono le cicatrici che si è fatto, pensando a lei, continuando a segnare i giorni che lo avevano tenuto separato da lei. «Sei un dio. Puoi tutto, anche piegare la realtà sotto i tuoi voleri. Vuoi qualcosa? Devi solo volerlo abbastanza da prenderlo.» Sorride, contro le labbra di lui, prima di cominciare a sentire freddo. Ed allora che decide che uscire dalla vasca sia la mossa migliore, per entrambi. « E farai di me il tuo Re? » Lui completa la frase di lei e Maze sorride, allora, inclinando il capo leggermente di lato. «Non l'ho già fatto ormai già da tempo?» Gli domanda, prima di passare oltre qualsiasi altra sua obiezione e seguirlo fuori, lasciando che l'acqua goccioli via dal suo corpo, mentre cammina a piedi nudi sul pavimento freddo. Gli stringe appena la mano, quando si accorge dei lineamenti dolorosi che gli smuovono il viso. E' una lieve fitta di preoccupazione quella che la costringe a bloccarsi, in religioso silenzioso, osservandolo, fin quando lui non si rilassa e si avvicina a lei. Lo guarda dal basso, Maze, piccola e terribilmente indifesa di fronte a lui, mentre le poggia le mani sui lembi della maglia zuppa d'acqua. Deglutisce, abbassando lo sguardo verso le dita di lui, prima di tornare agli occhi. « Posso? » Non fa in tempo ad annuire, che lui ha deciso di andare oltre. Le toglie tutti gli abiti bagnati, lasciandola lì, tra brividi di freddo e quella vena sottile di vulnerabilità che si sente addosso, mentre lui la guarda. E' forse la stanchezza, o forse è il suo sguardo intenso, quello sguardo che ha sempre amato così tanto. « Non fraintendermi, non ho cattive intenzioni. -Cioè le avrei, cazzo quanto vorrei averle. Sono mesi che sto a secco, mi domando come ancora non mi sia caduto- ma semplicemente non ti voglio nel mio letto con questi vestiti sudici. » Questa volta è un cipiglio duro quello che si palesa tra le pieghe dei lineamenti di Maze. Vorrebbe menarlo, ancora una volta, la voglia è davvero tanta, ma la forza non è abbastanza nemmeno per alzare il braccio nella sua direzione. Una volta che l'adrenalina del momento l'ha abbandonata, non le rimane altro che la spossatezza e la voglia di dormire come minimo per due giorni di fila. «Sono felice di apprendere certe notizie shockanti. Tu che sei a secco, avrei pensato di vedere prima la fine del mondo mortale che sentirti dire certe cose.» C'è una sottile sfumatura d'accusa lungo tutte le sue parole, ma ci passa sopra facilmente, mentre si lascia vestire, come fosse una bambina bisognosa delle attenzioni del suo papà. « Sì, adesso mi ricordo quanto io mi sia goduto lo spettacolo, qualche tempo fa. Avevo bisogno di una rinfrescata di memoria.» Si ritrova a sorridere, guardando altrove, come a voler camuffare un momento d'imbarazzo che, effettivamente non c'è. «Vedi di imprimerti l'immagine permanentemente nella mente. Sai che odio essere dimenticata.» Specialmente da te. Non lo dice, ma lo aggiunge mentalmente, mentre si avvia verso il comodino per riprendere la bacchetta, lasciata lì, incustodita. La punta verso il letto e casta un paio di "Gratta e netta" che sembrano fare il loro dovere, tanto da far tornare come nuove le lenzuola di seta. Senza pensarci ulteriormente, vi si butta sotto, sprofondando nel materasso. Socchiude appena gli occhi e già la sente, la stanchezza, farsi avanti. Così li riapre di scatto, per vederlo armeggiare con un telecomando. « Riscaldamento. A me non serve, ma siamo sotto terra, tu completamente bagnata... » Sta per ribattere, ma lui è più veloce. « Non farò battute, eeeee io sono una lastra di ghiaccio, quindi avermi nel letto non è tanto appagante. E questo vale solo per dormire, è chiaro. » «Te ne devo dare una conferma o hai deciso di fare tutto da solo? Il solito megalomane.» Sorride, mentre comincia a scaldarsi, lentamente e ringrazia il cielo per quel tepore che riesce a farsi strada attraverso la sensazione congelante che ha tenuto in ostaggio il suo corpo fino a quel momento. « Grazie. Per..Per esserci. » Sospira, mentre si gode quell'attimo di pace, immobile, con la fronte appoggiata a quella di lui e la sua mano che, senza nemmeno darle il comando mentale, si muove alla ricerca di quella di lui. « Io non lo so perchè proprio adesso. So solo che probabilmente ho sempre voluto amarti. C'erano momenti, a casa, in cui avrei voluto tanto farlo. » E' una sorpresa continua quella conversazione. Più lui parla, più le dona informazioni che Maze avrebbe mai creduto di poter udire. Mai, mai una volta ha avuto la certezza che quelle parole sarebbero fluite dalla sua anima. Lo aveva sperato, eccome se l'aveva fatto, ma al di là di quello non si era mai spinta, un'illusione fin troppo grande, persino per lei. Così, mentre lei ne ricerca lo sguardo, lui le sfugge, quasi fosse imbarazzato. « Momenti in cui avrei voluto strapparmi di dosso quel dannato vuoto a cui mi hanno costretto, per darti quel qualcosa in cambio che ti meritavi. Ma non ci sono mai riuscito, perchè era impossibile. Ma quando è diventato possibile, quì, sulla Terra, beh..mi sono svegliato. Forse casa non è quel posto tanto bello che, viverci praticamente da sempre mi ha portato a credere fermamente. E' vero, ho potere, mi adorano, e a me piace tanto essere adorato..Ma se tornarci significa tornare a non provare più tutto questo..Non sono più tanto sicuro di volerlo fare. » Lo guarda, si guardano e Maze si fa una domanda. Una semplice domanda. E' questo il rumore che fa la felicità? Trixie sembra ridere, nella sua porzione di mente, mentre le dà la conferma che sì, quella deve essere proprio la felicità. «Riesce a rendere felice pure me, inaspettatamente.» Le dice, mentre Maze la sente, la propria gioia mischiarsi e influenzare quella di Trixie. «Ed era troppo difficile ammetterlo? Non dico ammetterlo a te stesso, ma ammetterlo con me. Dirmelo, darmi una speranza, darmi una piccola certezza riguardo al fatto che non era tutto completamente inutile, che a qualcosa il mio amore, e non la mia adorazione, perché no, non si è mai trattato di questo, era servito.» Non è forse una domanda a rivolta a lui, perché la risposta la sa già, nel suo cuore. Non poteva. Non gliel'hanno mai permesso e se anche avesse voluto, lui è sempre stato il peggior demone di se stesso. « Inizio a pensare che casa è dove ci sei tu. Ovunque sia. Non voglio farti male, domani. Non vorrei fartene per tanto altro tempo ancora, ma so che lo farò, prima o poi. Perchè è questo ciò che faccio, alla fine. Ma ti prometto che lotterò affinchè succeda il più tardi possibile. E ti do il permesso di farmi male il triplo, quando sarà. » Si lascia baciare, per qualche istante, per poi ritrarsi, scuotendo il capo. Lo guarda negli occhi, mentre porta una mano al suo volto, come a voler canalizzare tutto il suo calore lì, come a farsi vedere. Io ci sono. Ci sono sempre stata, sono qui. «Sai che non accetterò che tu mi faccia del male, ancora una volta, vero? Non mi arrendo e non lo farai nemmeno tu. Perché non sei un fallimento, quando vuoi qualcosa, la ottiene, quando fai qualcosa, la fai al tuo meglio. Un dio deve avere qualcuno che creda in lui, ma deve essere il primo a credere nella propria esistenza, nelle proprie potenzialità. Ci credi in te stesso, mea Lux?» Sbatte le ciglia, un paio di volte, guardandolo dritto negli occhi. «Combatti con me. E se non ti basta questo, combatti per me. Semplicemente rimani. Se casa è dove sono io, rimani, senza più scuse o cavilli dietro i quali nasconderti. Un patto pulito, senza postille invisibili.» Gli sorride allora, prima di baciarlo di nuovo. Le labbra che si imprimono su quelle di lui, alla ricerca di qualcosa di più profondo, di qualcosa che riesca a mozzarle il fiato. Ed è questo che accade da quel contatto: rimane senza respiro, infine. « Com'era amarmi? Come hai fatto a continuare a farlo nonostante tutto, un tempo? » Accenna una risata, che però si ferma al naso. «Non sai quante volte sono stata vicina al mandarti al diavolo.» Le labbra si piegano verso l'alto, a quelle parole. «Quante volte mi è stato detto che avrei fatto bene a farlo. Quante persone si sono fatte in quattro per dimostrarmi che loro mi avrebbero amata per come meritavo. Ma io credevo che non
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    avessi via di scampo, che non avessi scelta. O mi perdevo continuando ad amarti, o mi perdevo cercando di non farlo. O mi facevo del male continuando a stare al tuo fianco, o me ne sarei fatta comunque, andandone. Sono riuscita a scappare, alla fine, ma non sono scappata solo da te. Sono scappata da un mondo che faticavo ormai a riconoscere come mio, perché non ero più la torturatrice ma, pian piano, sono diventata la torturata. E credevo di aver pagato abbastanza le mie colpe, di aver espiato la mia condanna fino all'ultimo sgocciolo. Era abbastanza, era il limite di sopportazione massimo.»
    Non c'è durezza nelle sue parole, ma solo trasparente e naturale verità. «Ma come ho fatto a continuare ad amarti? Non chiedermelo. Non sono mai riuscita a darmi altra spiegazione se non che sono una stupida. E probabilmente continuo ad esserlo anche ora, ma ho sempre visto al di là della tua anima nera come la notte. Tu mi dicevi che non provavi niente e io, beh, speravo. Continuavo a sperare che un giorno ti saresti svegliato e non vedendomi più al tuo fianco, avresti capito che grandissimo pezzo di merda sei sempre stato con me, la persona che non si meritava niente di tutto questo.» Dirlo ad alta voce, confessarlo proprio a lui, soggetto e oggetto di quella grande frustrazione, è appagante. E' liberatorio. «Me ne sono andata anche per questo. Costringerti a sentire la mia mancanza. Farti incazzare a tal punto, da costringerti a sentirti solo, senza di me nelle vicinanze. Una speranza, ancora una volta.» Continua a guardare una delle cicatrici che ha all'altezza del collo e ne segue i contorni, con minuzia e attenzione. «E' la cosa più triste e solitaria del mondo, quella di attendere in silenzio di essere visti. E io volevo solo questo: che tu ti accorgessi di me, che tu mi guardassi negli occhi e io potessi vedermi riflessa in quei cieli limpidi.» Ma nei tuoi occhi il mio riflesso non c'è mai stato. «Sì, insomma, hai capito..e se non hai capito, peggio per te!» Aggiunge infine, schiarendosi la voce per poi alzare lo sguardo, ad incontrare quello di lui. Stringe le labbra, in un'espressione a metà tra il divertito e l'imbarazzato e cerca di camuffare quel disagio, continuando ad accarezzargli il petto. « E com'era fare l'amore? Cosa si prova a farlo? » Altra domanda scomoda, altra domanda strana alla quale viene posta di fronte. «Oh ma siamo in vena di domande esistenziali oggi, eh? E se io non ti volessi rispondere, mh?» Sorride. « Mi piacerebbe farlo, un giorno. Non credo di esserne capace, ma in questo ipotetico mondo dove io ho preso la tua mano, e siamo umani, insieme, sarebbe bello farlo, con te. Perchè in questo mondo, io penso che siamo fatti per stare insieme. » Pensa un po' sopra quelle parole. Lo guarda e per qualche istante rimane in silenzio, rimuginando. «E' speciale.» Dice infine, dopo aver maturato la risposta a lungo. «E' inaspettato. Ti fa battere il cuore ancora più forte, se possibile. E suppongo che sia ancora più unico quando l'amore c'è da entrambe le parti, quando c'è la certezza di essere contraccambiati. Credo sia un qualcosa di evidente anche nei gesti stessi. C'è più cura, c'è più attenzione, c'è più voglia di soddisfare l'altro, c'è più disponibilità e più coinvolgimento. Non è soltanto un qualcosa di meccanico, attuo puramente all'egoistico godimento.» Le fa così strano dire certe cose, si sente come se gli stesse impartendo una lezione di vita. «E c'è una sorta di sottomissione, perché l'amore è sottomettersi. E no, non nel senso d'asservimento all'altro. No. E' un donarsi, reciprocamente, è un concedersi all'altro, totalmente, come sostegno. Sotto e mettersi, uno stare al di sotto dell'altro per diventare sua roccia e fondamento.» «Wow, e questa perla quando me la volevi dire? Mi poteva tornare utile, con Judah intendo. Mi avresti aiutato a capire che la mia sottomissione era totalmente sbagliata.» Sorriso amaro per entrambe, ma un sorriso che torna pieno sulle labbra di Maze, una volta incontrate nuovamente con quelle di lui. «Tu dici "in questo mondo" e io penso che no, non è così. Non solo in questo mondo.» Gli dice poi, girandosi sulla schiena, per osservare il soffitto. «C'è una cosa che mi dicevo sempre, prima. Non posso appartenere ad un mondo in cui non finirò con lui. E ne ero terribilmente convinta, quando eravamo a casa. Perciò no, non solo in questo mondo.» Riprende a carezzargli il petto, appoggiandovi sopra la testa, stando ben attenta a non avvicinarsi al bendaggio di fortuna che gli ha fatto sul morso. «Ci sono milioni di realtà e universi paralleli. E ci sono milioni di noi, che si scontrano, che litigano, che si odiano, che devono aspettare chissà quanto tempo per vedersi davvero. Ma non ce n'è uno soltanto dove non siamo fatti per stare insieme. Se alla fine non finiamo insieme è colpa nostra.» Decreta infine, piuttosto convinta delle sue stesse parole. Lui è destinato a lei, come lei è destinato a lui. Nonostante tutto, ne è sempre stata certa. E continua ad esserlo. «E' come l'incontro tra la Luna e il Sole. O avviene l'evento ottico più bello che l'uomo abbia mai visto o è soltanto il presagio dell'Apocalisse, come credevano i popoli antichi. Il mio compreso.» Scoppia a ridere per qualche istante, prima di alzare il viso verso di lui. «Forse hai ragione, sai? Io sono stata creata per questo, sono nata per amare proprio te.» Gli dice, fissandolo, mentre i suoi occhi si tingono di colori vividi e accesi. «Ma questo vuol dire soltanto una cosa.» Pausa. «Vuol dire che tu sei nato per attendere me, in eterno.» Annuisce, a se stessa, prima di allungarsi verso di lui. Sorride contro le sue labbra, prima di seguirne il profilo con la lingua. «Quindi vedi di riuscire nella tua impresa contro te stesso perché non solo dovresti vedertela con me poi, ma con l'intero universo.» Il bacio si fa più profondo, mentre si modella contro di lui, per poi staccarsi d'improvviso, tornandolo a guardare. «Dici che ti conviene?»



    Edited by wanheda‚ - 7/4/2018, 20:20
     
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8 replies since 4/3/2018, 20:42   309 views
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