Brave new world

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    Slytherin pride

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    April, Hogsmeade
    Casa. Ce l'avevano fatta, alla fine, a sistemare quella casetta che avevano scelto non a caso. Byron aveva dato loro la libertà di prendere quella che più piacesse loro, e Albus e Mun, di quella casetta si erano innamorati a prima vista sin dai primi giorni del suo rientro. Più appartata rispetto alle altre, aveva una meravigliosa vista lago; alle spalle, dal giardino era possibile intravvedere la fitta foresta e inoltre, era abbastanza lontana tanto da casa di Evie, quanto da quella che la famiglia allargata di Albus aveva scelto per la temporanea villeggiatura. Nota personale: era dall'altra parte del villaggio rispetto a casa di James. Era confortevole. Abbastanza grande da poter contenere tanto la felice coppia, quanto Jay, permettendo loro di avere persino un piccolo studiolo in cui ammucchiare tutti i loro averi da feticisti bohémien. Ai tempi Albus non sapeva che quello studiolo probabilmente non sarebbe mai stato adibito a stanza ricreativa, e quasi inconsapevolmente quando lei stessa aveva iniziato a illustrargli dove avrebbero messo il giradischi, dove sarebbero andate le librerie e dove le loro scrivanie, dentro di sé uno scenario ben diverso si era quasi inconsapevolmente profilato. Non a caso, realizzata entrambi la notizia del piccolo fagiolino in arrivo, lo spazio per il giradischi era finito nel salotto, la chitarra di Albus era stata posizionata in un angolo accanto al divano, e le numerose librerie che avrebbero dovuto contenere i loro libri, erano semplicemente state eliminate dall'equazione, confinanti e ammucchiati ancora uno sopra l'altro lungo la scala che portava al corridoio di sopra. Non era ideale, ma era loro, e avevano fatto di tutto per renderla tale. E quel giorno si sarebbero trasferiti ufficialmente. Mun si era infatti svegliata di buon ora quella mattina, tutta elettrizzata per sistemare gli ultimi dettagli. Mancavano giusto i ritocchi; ciò che avrebbe trasformato quella casa nel loro nido. Qualche quadro qua e là, qualche candela, e la sistemazione dei loro oggetti personali. E lei si era presa la responsabilità di occuparsene da sé, ben conoscendo le abitudini di Albus in fatto di ordine, una cosa quella con cui tra l'altro ci faceva ancora i conti. Lei la mania dell'ordine ce l'ha sempre avuta, e quanto meno da quel punto di vista, convivere con Albus si era dimostrato piuttosto complicato. Ma seppur il giovane Potter avesse l'abitudine di non beccare mai la cesta dei panni sporchi abbandonando i propri vestiti un po' dove gli capitasse, nonostante di riporre i libri in biblioteca non ne voleva sapere e seppur piuttosto che rispettare un ordine logico nella sistemazione dei dischi si sarebbe tagliato le gambe, Mun non lo amava di meno, e non trovava fastidioso il suo fare perennemente l'esatto contrario di quanto gli dicesse di fare. Tuttavia, la casa l'avrebbe sistemata a modo suo. E quindi, non lo fermò dal seguire i suoi soliti piani e il turno di guardia. « Davvero amore non ti preoccupare. Posso cavarmela da sola. » Il che universalmente era noto come un non starmi tra i piedi, tanto non faresti altro che intralciarmi. Ed effettivamente, ad Albus tutto si poteva chiedere tranne che mettere in ordine, sistemare. Per giunta sarebbe stato capace addirittura di dirle amore, tanto tra due giorni torna tutto di nuovo come prima. E no, non voleva sentirselo dire, perché in ogni caso avrebbe risistemato tutto da capo senza se e ma. « E poi ci sono Jay e Arthas a darmi una mano. » Segnali sempre più evidenti che chi fa da sè fa per tre. Si era premurata di aggiungere che quella sera non sarebbero andati da nessuna parte; era giusto che i tre si godessero la prima sera a casa loro da soli. Mun si era persino preparata psicologicamente all'idea di preparare una cenetta coi fiocchi per i suoi ometti di casa. Mandato quindi Jay a giocare in giardino in compagnia di Arthas aveva iniziato a darsi da fare. Prima le tende, poi la cucina e la sistemazione delle stoviglie nelle credenza, poi i libri, i bagni, gli armadi (paradossalmente sorpresa di appurare che l'armadio di Jay era decisamente più fornito di quello di Albus - non che ci volesse molto) e persino le stanze dei bambini. Sfoggiate le lenzuola nuove di zecca, il cui colore e qualità era certa non fossero mano di Albus, ma un regalo di qualche parente - si punta su Ginny - scese in cucina pronta a dedicarsi alla cena. Era già trascorsa più di metà della giornata quando Mun iniziò a sfogliare un vecchio libro di cucina sottratto a casa di Evie. Fatta la spesa nel mercato locale si era resa conto che la varietà di prodotti non era poi così ampia come si era aspettata, ma quanto meno, per un buon prezzo si era riuscita ad accaparrare il poco merluzzo che i pescatori della zona avevano portato quella stessa mattina. A Jay l'onore di pasticciare con la pastella, per uno dei piatti tipici inglesi più famosi al mondo. Una teglia di pasta preventivamente preparata da Esme in precedenza, Fish & Chips per secondo e Cupcakes come desert, anche quelli decorati sotto l'attenta supervisione di Jay il quale l'aveva persino costretta a sbizzarrirsi per disegnare dinosauri con la crema di burro colorata. Sta andando bene.. si disse, mentre apparecchiava la tavola nel piccolo gazebo in giardino, fissando con una certa insistenza il bambino. Sembrava contento di passare del tempo con lei. Durante l'intera giornata aveva tentanto di attirare la sua attenzione in ogni modo possibile e immaginabile. Guadda Mun, ti ho fatto un disegno. Guadda Mun c'è zia Esme. Mun, me lo fai un cupcake con la testa da dinosaulo? Mi spingi sull'altalena? Te la porto io la teglia? Eh Mun? Mun! « Quante energie può avere un bambino? » Chiese infine alla maggiore dei Potter, passata a lasciare un po' di cose che Mun aveva dimenticato nel bagno a casa sua e soprattutto per portarle una buona birra artigianale che a detta sua sarebbe stata la degna coronazione della cena. « E non hai visto ancora niente. Aspetta che scopra le grandi novità. » A quel pensiero Mun s'irrigidì istintivamente, fissando la mora con una certa preoccupazione. Il piano era già deciso da un po' e non poteva certo sottrarsi: appena andiamo a casa nostra gli sganciamo la bomba. « Non lo so.. e metti.. metti che reagisce male? » Forse dava troppa importanza a quell'evento. In fin dei conti i bambini sono bambini. Un giorno te ne dicono una, il giorno dopo te ne dicono un'altra. Non hanno i filtri degli adulti, non sono intrisi di quell'orgoglio cieco che affligge i più grandi. Per quanto ne sa Mun, Jay potrebbe scappare in lacrime stasera, e domani esplodere dalla felicità, o viceversa. « Beh ecco.. mettiamola così; secondo la nonna, quando i miei mi hanno confessato l'arrivo di Albus, io ho pianto - e ho tipo rotto un vaso con la magia accidentale. » Il trauma di Albus Potter nella propria vita. Ne so qualcosa. Scoppiò a ridere portandosi il bicchiere d'acqua alle labbra, osservando la mora destreggiarsi con le decorazioni luminose del gazebo che aveva deciso fossero necessarie affinché l'atmosfera fosse meno cupa. Ecco perché, con l'aiuto della bacchetta continua a impigliare attorno al tettuccio coperto di ramoscelli, decine di lucine bianche. « Con Albus io ho adottato la politica dell'intruso. Quando alla fine Albus è arrivato però guai a chi si avvicinasse a quel fagottino senza il mio permesso. Poi arrivò Olympia. Anche lì ho pianto. Stavo già istruendo l'ex intruso ad accogliere con il miglior armamentario di infamate il nuovo arrivato - anche se credo non capisse una sega di quello che dicevo; era ancora nella fase gu gu ga ga. Poi però ci dissero che è una femmina e automaticamente divenne la principessa di casa prima ancora di averla conosciuta. Per quando arrivò Sirius, eravamo così abituati a vederci nuovi intrusi in casa che ormai avevamo persino rinunciato all'idea di piangere. Per non parlare del fatto che nel processo oltre ai fratelli ci sono arrivati anche ottanta cugini. » Si stringe nelle spalle mentre salta giù dalla scala bevendo a sua volta un po' del vino che Mun le ha versato. « Ti dico questo perché è un Potter-Weasley. Se anche dovesse reagire male - il che è piuttosto complicato visto che ha condiviso la stanza con una bambina di sei anni per parecchio - per quando fagiolino arriverà, l'avrà accettato. » Corruga la fronte a quel punto. Non è una cosa che riesce a comprendere appieno. Nonostante la sua famiglia fosse altrettanto numerosa, era chiaro non avessero la stessa filosofia di vita e seppur all'inizio la stessa Mun contasse sull'improvvisa responsabilizzazione di Jay, una parte di sé continuava a essere preoccupata dalla reazione del bambino. Aveva appena riavuto il padre dopo una mancanza di quasi un anno; condividerlo con altri due intrusi poteva non essere cosa necessariamente positiva. « Posso sempre comprarlo coi dinosauri.. » Asserisce infine tentando di sdrammatizzare. « Puoi dirlo forte. A proposito. Domani a pranzo siete dai miei, lo sai vero? » Ah. Si schiarisce la voce tentando di sembrare a suo agio con quell'improvviso invito. C'è ancora poca confidenza tra Mun e i Potter. Non sarà per niente imbarazzante. « Mi preoccuperei più del terzo grado di papà e della nonna che della reazione di Jay. » « C'è una qualche probabilità che io sfrutti la mia nuova condizione per sottrarmi? » Evie scoppia a ridere mentre si rimette la giacca pronta a uscire di scena. « Tu non vuoi metterti contro Molly Weasley. »
    « Cosa ne pensi? » « Questo è mio!! » Risponde il bambino con una certa sicurezza indicando uno dei vari cupcake mentre Mun li sistema su un bel piatto pronta a portarli fuori nel gazebo. Ed è proprio allora che lo scatto della serratura annuncia il rientro di Albus, facendo scattare Jay giù dalla sedia, pronto a correre come un razzo verso la porta d'entrata. Spegne il forno e ripone tutta la frittura su un ampio vassoio, sistemando il tutto sul bancone della cucina, prima di togliersi il grembiule abbandonandolo da qualche parte su un ripiano, prima di precipitarsi a sua volta verso l'entrata dove cane e bambino danno le solite manifestazioni di gaudio all'ormai uomo di casa. Mun dal canto suo si appoggia contro lo stipite della porta, guardandosi attorno per la prima volta forse consapevole, che quella è casa, e quella è ormai la loro vita. E quel quadretto le piace così tanto; sa di famigliare ed è sempre uno spettacolo osservare la gioia negli occhi luminosi di lui. « Ciao! Com'è andata la giornata? » Asserisce infine quando le acque si calmano e Jay sale di sopra probabilmente per invitarsi un altro modo per rubare la scena a tutti i presenti. Approfittando dell'assenza del biondino si concede un bacio piuttosto intenso accoccolandosi infine contro il suo petto guardandosi attorno. « Mi sei mancato. » Strofina il naso contro la sua camicia sollevando gli occhi in quelli di lui. « E quindi questa è.. casa. » Un tono piuttosto elettrizzato mentre lo conduce verso il salotto per mostrargli come aveva sistemato tutto, non risparmiandosi di chiedergli se gli piaceva il colore delle tende, la sistemazione delle candele e dei quadri e via così. Un interrogatorio in piena regola. « E.. stasera ceniamo là fuori. » E dicendo ciò gli indica il delizioso giardino col piccolo gazebo naturale ricavato grazie ai rami dell'albero secolare non molto lontano dalla casa, che Evie si è destreggiata a decorare con le lucine che Mun ha raccattato nel negozio di Karl un paio di giorni prima. C'è anche l'altalena che Dimitriy ha costruito per Jay, l'amaca che James e Janis consideravano indispensabile per qualunque giardino che si rispetti, e le sdraio per prendere il sole, sempre opera degli ultimi due. Mano nella mano gli fa cenno quindi di seguirlo verso la cucina, ormai perfettamente ordinata, indicandogli la teglia di pasta con un grosso sorriso.
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    « Non mi prenderò meriti che non ho. Quella è creazione di Madama Esme, che si è premurata di scaricarmi addosso minacce pesanti se infornandola avessi rovinato l'arte. » Dal canto suo prende la teglia, indicandogli di aiutarla con gli altri due vassoi, l'uno coi fish and chips e l'altro coi cupcacke, da portare fuori, prima di allungarsi oltre la porta della cucina. « LA CENA E' PRONTA! » Solo per sentire pochi secondi dopo un vortice di piedini e zampette correre giù dal piano di sopra, superandoli alla velocità della luce per uscire in giardino. Un quadretto quanto mai bucolico, quello del bambino e del cane di fiducia, che lo segue ovunque a ogni passo quasi fosse il suo naturale protettore decretato per legge divina. Mun dal canto suo inizia a sentire la pressione della serata, seppur sembri tranquilla. « Se ingrasso è solo per lo stress di questa serata. Come minimo mi mangio anche il tavolo prima del dessert. » Asserisce infine superando la porta che dà sul giardino attenta a non inciampare con gli immancabili tacchi. Perché casalinga disperata fino ad un certo punto, sia chiaro. Appoggia tutto sul tavolo, senza perdere il ragazzo di vista nemmeno per un istante. « Papà! Oggi Mun mi ha aiutato a ordinare tutti i dinosauli. E poi abbiamo preso il té con Miss Kathleen. » « Oh sì, e ci ha quasi costato la teglia di lasagne di Esme. » Asserisce dal canto suo leggermente sarcastica ma pur sempre divertita, mentre si dirige verso il giradischi, scegliendone uno da mettere in sottofondo. « E poi abbiamo decorato i cupck.. cuopcka.. » « ..I cupcake » « Guarda papà, c'è uno a folma di dinosaulo che ho fatto pe' te. » Molto stilizzato, ma sì. Infine si siede, accanto ad Albus portandosi istintivamente Jay sulle ginocchia mentre inizia a riempire uno dei piatti di fronte a lei con un po' di tutto, conscia del fatto che il bambino sta già rubando le patatine prima ancora di aver iniziato. Scoppia a ridere con naturalezza, allungo le gambe sopra a quelle di Albus, mettendosi più comoda. No. Era tutto fuorché una cena formale. Ma d'altronde era ormai evidente che tutto cercasse Mun tranne che emulare la sua vecchia vita. I tacchi però stanno bene anche nel porcile. Patti chiari amicizia lunga. « Prima è passata Evie. Sapevi di questa cosa di domani? ..pranzo coi tuoi. » Non gli nascose un certo crescente nervosismo mentre iniziava a mangiucchiare qualche patatina qua e là portandosi alle labbra il bicchiere d'acqua. « Pare una cosa alquanto ufficiale. Il primo pranzo.. » Nessuna pressione, chiaramente. « Come minimo stasera al posto dei soliti siti, vado a cercare consigli su come superare un pranzo coi genitori del tuo ragazzo senza fare figuracce imperdonabili. » Una vocina nella sua testa cercò di ricordarle che non stava certo andando a pranzo dalla Regina - solo dal mago più famoso in Inghilterra da circa quarant'anni a questa parte. Che oltretutto non gode di ottima fama a casa Carrow.


     
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    "Hai la faccia da imbecille." Roteò gli occhi, alzandoli al cielo con un certo fare plateale. Lo so che questa è la vendetta della Morgenstern per le mancate risposte al telefono. Non è possibile che mi metta sempre di turno con James. Ogni cazzo di volta. "Il fatto che lo dica proprio tu mi fa credere che non ti guardi allo specchio da davvero tanto tempo." sentenziò seccamente, tra un tiro e un altro di sigaretta, mentre teneva lo sguardo fisso sulla riva opposta del lago. "No ma guarda che era un complimento, eh. Oddio, proprio un complimento no, però non era un'offesa. Lo dicevo per dire che ti vedo sempre con sta faccetta di chi si è preso la fetta più grossa di torta. Ti conosco da una vita, è quella. Tale e quale. Pitta pitta." Lentamente si voltò verso James, sollevando un sopracciglio con fare scettico, ma continuando a fissarlo in silenzio per qualche secondo, portandosi la sigaretta alle labbra nel mentre di guardarlo in faccia come se stesse cercando di capire qualcosa di davvero importante. "Ma senti..questo interessante spunto di conversazione..a che pro?" In immediata risposta, James si strinse nelle spalle, allungandosi a rubargli la sigaretta dalle dita per prenderne un lungo tiro. "Bo. Capisci che qui siamo tutti un po' sorpresi da come hai preso la situazione. Cioè, io personalmente al posto tuo sarei già stato con un sombrero in testa e i baffi finti a qualche fuso orario di distanza. Tu invece ci sei proprio entrato dentro. Di peso. Cioè, full time dad, padre di famiglia vero." e lì cominciò a contare sulle dita della mano "Relazione seria, ragazza incinta, figlio di tre anni, cane, villetta con giardino, cene coi parenti. E bo, lo fai come se lo facessi da una vita, tutto bello pimpante. Non prenderla a male, cioè, io sono felice che tu sia felice. Ma ti giuro, proprio non capisco come fai." Per un istante aggrottò la fronte a quelle parole, sorpreso principalmente dal fatto che James prestasse realmente attenzione a cose del genere. Per come la vedeva lui, il cugino era il classico tipo di persona a cui le cose nella vita semplicemente capitavano, e in una qualche strana maniera restava sempre a galla senza affogare. Da un lato lo aveva sempre invidiato per quel suo modo di prendere la vita, quella sua facilità nel barcamenarsi da una situazione all'altra senza mai crollare. Dall'altra, però, non aveva mai realmente capito cosa avvenisse all'interno della sua testa. Era forse quella la cosa che più lo incuriosiva di James: il fatto che fosse un libro aperto, a cui bastava chiedere una cosa per avere una risposta onesta, ma che su qualche livello manteneva sempre la propria indecifrabilità. Libro aperto, sì, ma scritto in una lingua che nessuno conosceva. Pian piano le persone attorno a lui avevano imparato a interpretarlo, a comprendere cosa intendesse, ma la maggior parte delle volte era un tirare a indovinare senza mai averne la certezza. Sospirò, dunque, stringendosi nelle spalle prima di riprendersi la propria sigaretta. Da quando Mun era incinta, Albus fumava molto di meno. Non voleva farlo accanto a lei, e non lo aveva mai fatto accanto a Jay nemmeno prima della gravidanza della ragazza, dunque le occasioni si riducevano notevolmente, obbligandolo di tanto in tanto a sgattaiolare in giardino o su qualche terrazzino. Inutile dire che non appena metteva piede fuori di casa, se ne accendeva subito una, e approfittava di ogni momento disponibile per farlo. "Non lo so, James." riprese a dire, con tono più serio, nel genuino tentativo di includere il cugino nei propri pensieri. "Suppongo che sia una di quelle cose che capitano e basta. Persino io non riesco ancora a capire per qualche ragione non abbia ancora dato di matto. E' solo che.." si interruppe un istante, gesticolando come alla ricerca delle parole giuste per esprimere un concetto semplicissimo che solo lui stava rendendo complicato "..non lo so, sono felice. Sono felice di quello che ho, sono fiero di ciò che stiamo costruendo con Mun e..bo..James, sinceramente non sono cose che ti so spiegare. E' molto astratto. Ma immagino che la mia faccia da imbecille sia dovuta a questo, ecco." Annuì pensieroso, il cugino, come se stesse cercando di immagazzinare quelle informazioni e processarle nella propria testa. Rimase in silenzio per più tempo di quanto non lo fosse rimasto in tutta la durata della propria vita, solo per poi stirare un sorriso tra sé e sé, alzando appena le spalle. "Siete una bella coppia, tu e Mun." asserì, con quella sua classica genuinità di chi dice tutto ciò che pensa, solo per poi rubare nuovamente la sigaretta ad Albus e prenderne l'ennesimo tiro. "Non vorrei mai essere voi, però un po' vi invidio." E lì, dopo un primo momento di sorpresa, Albus si mise semplicemente a ridere, forte. Immagino che non smetterai mai di sorprendermi, James.
    Nella strada di ritorno dopo il lungo turno di guardia, i due cugini si erano presi una birra al volo, festeggiando quel primo clima primaverile che aveva lentamente cominciato a trascinare le giornate sempre più avanti. Se la ridevano per le stradine di Hogsmeade, punzecchiandosi a vicenda mentre James gli faceva questa o quest'altra promessa su tutte le cose che avrebbe fatto fare ai figli di Albus. Cose tipo guidare, o giocare a quidditch, o insegnargli le parolacce peggiori. "Perché verrà il giorno in cui tu e Mun sarete i genitori rompicazzo a cui non vorranno dire nulla. E allora sarà lì, bello mio, che arriverà l'era di zio James, quello simpatico che gli fa fare il cazzo che gli pare in completa omertà. Accettalo e preparati, Albus, perché arriverà il momento in cui vorranno più bene a me." E via così, con Albus che ribatteva mostrando tutta il proprio scetticismo di fronte all'ipotesi che James sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo da vedere attuarsi quel suo scenario. Tuttavia a un certo punto, passando di fronte a una semplice bigiotteria, si ritrovò ad arrestarsi di colpo, catturato da uno dei tanti oggetti in vetrina. "Uo uo, ferma qui un attimo." "No dai, vabbè Albus, se propri devi fare la proposta di matrimonio, non con un anello di bigiotteria, ti prego. Cioè, lì ti lascerei pure io." Alzò gli occhi al cielo con un respiro pesante. "Coglione. Aspettami qui, faccio subito." E infatti fece subito, uscendo presto dal negozio con una bustina di carta tra le mani e un sorriso da un orecchio all'altro. Di fronte allo sguardo interrogativo del cugino, aprì semplicemente la busta, mostrandogli il contenuto. "Elastici per capelli?" chiese, con entrambe le sopracciglia alzate e lo sguardo di puro scetticismo "Wow. Tu sì che le vizi le donne. Quanto meno puoi star sicuro che è innamorata di te sul serio, perché come sugar daddy sei davvero pessimo." Ancora una volta Albus alzò gli occhi al cielo, richiudendo il sacchetto e mettendoselo in tasca. "Non sono elastici qualunque. Sono quelli che metteva sempre all'asilo e che io le rubavo per poi regalarli a un'altra bambina." "Non stai aiutando la tua causa, Albus. Affatto."
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    "Tesoro, sono in casa." disse ironicamente non appena varcò la soglia d'entrata. Aveva aspettato giorni per poterlo dire, conservandosi quella battuta da film per il giorno in cui finalmente la loro piccola villetta si fosse potuta dire completata. E quel giorno, finalmente, era arrivato, dando loro la possibilità di sistemarsi finalmente in uno spazio che potessero chiamare proprio. Un piccolo punto di inizio da cui cominciare a scrivere un nuovo capitolo della loro storia. Ma prima di Mun, a venirgli incontro furono Jay e Arthas. Accolse il primo con un largo sorriso, piegandosi sulle ginocchia per accoglierne la corsa tra le braccia e sollevarlo da terra, mentre il secondo saltava loro intorno in cerca di qualche carezza, ricevendo un'arruffata di pelo in corrispondenza della testa. "Ehiii, eccoli gli uomini di casa." sentenziò con un largo sorriso, stampando un bacio sulla guancia di Jay. "Vi siete divertiti oggi?" "Sì, abbiamo fatto tante cose." Lo sguardo si spostò immediatamente verso Mun, sorridendole complice prima di tornare al visino di Jay. "Beh, allora suppongo che a cena avrai un sacco da raccontarmi." Il bimbo annuì tutto convinto, scalpitando per farsi rimettere giù prima di partire come un razzo assieme ad Arthas in direzione della propria stanzetta, lasciando soli lui e la nuova padrona di casa. Sospirò profondamente, avvicinandosi a lei per avvolgerle le braccia attorno alla vita. "Ciao! Com'è andata la giornata?" "Bene, ma sta decisamente migliorando." disse, sul fiore di un sincero sorriso a trentadue denti, prima di abbandonarsi anima e corpo al bacio di lei, stringendola a sé con più decisione nel mentre di inspirare il suo odore a pieni polmoni. Era strano come alla fine di una lunga giornata sentisse il bisogno quasi fisico di recuperare tutte quelle piccole cose - piccole ma, in qualche maniera, fondamentali. Le stesse cose che gli mancavano per tutte le ore in cui erano distanti: il suo profumo, il suono della sua voce, il contatto con la sua pelle, il modo in cui faceva pressoché tutto, anche le cose più stupide. Ed era piuttosto certo che lei nemmeno se ne rendesse conto, di quanto Albus immagazzinasse tutto ciò che la rendeva Mun come se fosse il più prezioso dei tesori. "Mi sei mancato." Abbassò lo sguardo sul suo viso, sorridendole nell'atto di accarezzarle i capelli. "Anche tu." In ogni momento. "E quindi questa è.. casa." Sospirò, guardandosi attorno con un certa nota di esaltazione di fronte all'opera finalmente compiuta, di fronte a ciò che ormai era diventato una solida realtà e non più una fantasia di cui parlavano la sera avvolti tra le coperte. "Finalmente, aggiungerei." disse, lasciandosi trascinare nel suo vortice di domande riguardo il modo in cui aveva sistemato il salotto. Tutte richieste che assecondò, rispondendo come meglio poteva a quelle cose che a lui interessavano meno di zero, ma che lo rendevano felice semplicemente per tutto l'interessamento e la cura che Mun ci metteva nell'occuparsene. "E.. stasera ceniamo là fuori." Un vero e proprio gazebo, decorato ad arte con lucine in mezzo al giardino. L'ennesima concreta realizzazione che era tutto vero, che la loro vita stava davvero prendendo quella piega, che avevano una casa in piena regola e una famiglia. Istintivamente, dunque, le prese la mano, portandosela di fronte al viso per premervi le labbra con decisione. Non so come ci siamo arrivati dai due ragazzini che si nascondevano nei sotterranei per paura del mondo ad avere tutto questo. Non so come ci siamo riusciti, non so cosa di preciso sia cambiato in noi. E lo so che tante cose stanno andando a rotoli, tipo il fatto che siamo dentro fino al collo in una fottuta guerra senza precedenti e io sono un ricercato con tanto di taglia sulla testa. Eppure, a dispetto di tutto ciò, mi sento comunque come se fossi la persona più sfacciatamente e schifosamente fortunata sul pianeta. "Se ingrasso è solo per lo stress di questa serata. Come minimo mi mangio anche il tavolo prima del dessert." sbuffò ironicamente, tenendole la porta aperta con la schiena per lasciarla passare mentre teneva in bilico tra le mani il vassoio di fish and chips e quello dei cupcake. Non appena ebbe modo di liberarsi le mani, si avvicinò in sordina alla ragazza, poggiando il mento sulla sua spalla e pizzicandole il fianco. "Chiamami pure egoista, ma di fronte a un po' di carne in più non vedrai mai il dispiacere nei miei occhi." le disse piano, sbuffandole un bacio sulla guancia solo per poi assestarle una pacca sul sedere contrassegnata da una risata e un'occhiolino. Sorry not sorry. Con l'arrivo di Jay, ovviamente, fece finta di nulla, spostando la sua attenzione al bambino sebbene un sorriso divertito aleggiasse ancora sul suo viso. "Papà! Oggi Mun mi ha aiutato a ordinare tutti i dinosauli. E poi abbiamo preso il té con Miss Kathleen." Spalancò gli occhi, annuendo interessato, mentre cominciava a riempirsi il piatto con una generosa porzione di lasagne. "Oh sì, e ci ha quasi costato la teglia di lasagne di Esme." "E poi abbiamo decorato i cupck.. cuopcka.." "..I cupcake." "Guarda papà, c'è uno a folma di dinosaulo che ho fatto pe' te." Spalancò le labbra in un moto di sorpresa, prendendo il cupcake che Jay si sforzava di indicargli col ditino. "Woooo, ma è perfetto. Sembra proprio un dinosauro vero. E' per me?" Jay annuì con forza. "Grazie tesoro. Mi piace tantissimo. Adesso papà se lo mette qui vicino al piatto così appena finiamo con il salato se lo mangia subito. Anzi. Lo sai che facciamo? Prima gli facciamo una bella foto, perché è troppo bello per non conservarlo." E infatti rientrò velocemente in casa, prendendo la vecchia polaroid che aveva acquistato qualche giorno prima con la specifica intenzione di documentare tutto quanto in tempo reale e cominciare a mettere su un album fotografico. Per prima cosa scattò prontamente una foto al cupcake, dopodiché si voltò verso Jay e Mun, seduti uno sopra le gambe dell'altra, per scattarne una anche a loro. Fatto ciò si mise a sedere anche lui, lasciando sistemare a Mun le gambe sulle proprie e poggiando una mano sul suo ginocchio mentre cominciava a consumare il proprio lauto pasto. "Prima è passata Evie. Sapevi di questa cosa di domani? ..pranzo coi tuoi." Sollevò lo sguardo negli occhi della ragazza, osservandola da sotto le ciglia come a volerne scrutare la reazione. "Mmh..sì. Me l'ha chiesto oggi mamma. Beh. Chiesto..diciamo più che me l'ha ordinato." ridacchiò, mettendosi in bocca una patatina. "Pare una cosa alquanto ufficiale. Il primo pranzo..Come minimo stasera al posto dei soliti siti, vado a cercare consigli su come superare un pranzo coi genitori del tuo ragazzo senza fare figuracce imperdonabili." Con la bocca ancora piena alzò platealmente gli occhi al cielo, mentre tuttavia stringeva le dita sul ginocchio di lei con maggior sicurezza. "Stai tranquilla. I miei trattano male solo me, vedrai che con te saranno due zuccherini." Si mise in bocca un'altra forchettata generosa, cominciando già a prepararsi la strada per le prossime parole in arrivo. Deglutì, mandando giù il tutto con un sorso di vino prima di continuare. "Fidati, hanno più paura loro di te di quanta tu non ne abbia di loro. Come minimo mamma avrà già apparecchiato la tavola - ma la cambierà altre mille volte nel corso delle prossime dodici ore - e papà si starà esercitando allo specchio sul come presentarsi. Per le undici dovrebbero già essere entrati in panico. Per le tre di notte mia mamma avrà cambiato la disposizione di ogni centrino in casa e per le cinque di mattina, forse, avranno preso sonno..solo per poi svegliarsi alle sette." Si strinse nelle spalle, allungando poi una mano sul tavolo ad accarezzare il dorso della sua, rivolgendosi questa volta a lei con tono più serio e pacato. "Gli piacerai. Gli piaci già. Ne sono sicuro. Vogliono solo..esserci." E nel pronunciare quella parola abbassò appena lo sguardo, indicando con un piccolo cenno del mento il ventre di Mun. E vogliono anche studiarti per capire quale sia la strategia migliore per cooptarti completamente all'interno della famiglia affinché tu non te ne possa più andare. Facciamo così noi Potter-Weasley. Sequestriamo la gente comprandoci il loro affetto. Guarda come ti ha già corrotta Jay! Si portò nuovamente il bicchiere di vino alle labbra, prendendone un sorso prima di allontanarselo dalle labbra con lo sguardo di chi si era improvvisamente ricordato di qualcosa di davvero importante. "Oh, quasi mi dimenticavo. Prima, quando ho finito il turno, ho preso una piccola cosa." E sì, lui quegli elastici li aveva presi perché genuinamente aveva pensato a Mun non appena li aveva visti - essendo in tutto e per tutto uguali a quelli che portava da piccola - ma anche perché, nel vederli, aveva capito immediatamente che se messi in un preciso contesto avrebbero aperto la strada al discorso che voleva intraprendere con Jay. Un discorso a cui lo aveva preparato subdolamente nei giorni precedenti, leggendogli favole e raccontandogli aneddoti che ruotavano tutti quanti attorno al tema dell'avere fratelli e sorelle. Tutte cose estremamente positive, chiaro. Estrasse dunque dalla tasca dei jeans la piccola busta di carta, allungandola verso Mun. "Li ho visti in vetrina e ti ho pensato. Dopo Barbie magia delle feste, anche questo era un debito che andava saldato." disse, rivolgendole un veloce occhiolino mentre la osservava aprire il pacchetto e, soprattutto, osservava Jay sporgersi sopra di esso per guardarvi all'interno. E proprio come si era aspettato, la reazione del bambino arrivò precisa e puntuale. "A me hai pleso un regalo, papà?" chiese, puntando gli occhioni inquisitori nei suoi. Occhi, quelli di Albus, che si posarono velocemente in quelli di Mun, come ad avvertirla di ciò che stava per arrivare. Si fece dunque più vicino ai due con la propria sedia, allungando entrambe le mani sul tavolo per prendere con una quella di Mun e con l'altra quella di Jay. "Beh, in realtà sì. Un regalo lo avrai pure tu, da parte mia e di Mun. Però dovrai aspettare qualche mese, perché ancora non è pronto." L'espressione del bambino si fece subito più confusa nel sentire quelle parole, portandolo ad aggrottare la piccola fronte come a richiedere una spiegazione ulteriore. A quel punto Albus prese un lungo sospiro, alzandosi dalla propria sedia per accovacciarsi accanto a quella di Mun e Jay, prendendo entrambe le manine del bimbo tra le proprie. "Ti abbiamo fatto un fratellino - o una sorellina -, Jay. E adesso si trova qui dentro." disse, picchiettando un dito sulla pancia di Mun. "Adesso è grande circa così." con pollice e indice gli mostrò un'unità di spazio piuttosto esigua, grande quando un fagiolo "Ma ogni giorno cresce un pochino di più, e tra qualche mese sarà pronto a uscire..proprio come nelle storie che ti ha raccontato papà questi giorni. Te le ricordi? Quelle di quando sono arrivati Olympia e Sirius." Annuì, il bimbo, ancora leggermente confuso da quella notizia. Reagiva così, Jay: quando rimaneva davvero colpito da qualcosa, ci voleva qualche minuto prima che la processasse e mostrasse una reazione. Qualche minuto che poteva fare la differenza tra accettazione e negazione, tra salti di gioia e pianti a dirotto. Ma Albus conosceva piuttosto bene suo figlio da sapere quali tasti toccare quanto meno per aumentare le possibilità di ottenere una reazione positiva. "Sarai un fratellone grande proprio come papà." E da quel punto in poi, l'innesco diede luogo a una reazione a catena piuttosto veloce. Prima il silenzio, poi guardò Mun, poi la pancia, poi Albus, poi di nuovo la pancia della ragazza. Solo allora scese dalle ginocchia di lei, cominciando a tastarle con un ditino la pelle del ventre. "E' qui?" chiese, con gli occhioni grossi che luccicavano di curiosità, a cui Albus si limitò ad annuire. Ci fu un altro breve istante di silenzio prima che il bimbo avvicinasse il viso con una certa esitazione alla pancia di Mun, pronunciando poi un basso "Ciao." tutto rosso in viso, accarezzando il ventre della ragazza come se ne fosse affascinato. Pian piano un sorriso cominciò a spuntare sul viso di Albus, portandolo a mordersi il labbro inferiore e a far guizzare lo sguardo ceruleo in quello di Mun, stringendole la mano in segno di evidente eccitazione. Eppure non voleva dire nulla, non voleva interrompere quel momento, curioso di cosa Jay avrebbe fatto. E infatti bastarono altri pochi secondi di silenzio prima che il bambino si avvicinasse di nuovo alla pancia di Mun, rivolgendosi ancora una volta a fagiolino. "Ti piacciono i dinosauli? Io ne ho tanti. Se vuoi, quando esci, puoi giocalci con me." E ce ne volle di impegno per soffocare la risata che ad Albus sarebbe venuta spontanea, ma che si bloccò semplicemente allo stadio di largo sorriso. Pian piano gli mise una mano sulla testolina, accarezzandogli i capelli e stampandovi un bacio. "Noi non possiamo sentirlo, da qui, ma Mun sì." disse, alzando lo sguardo verso di lei nel mentre di stringerle un po' più la mano "Cosa dice?"
     
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    « Tesoro, sono in casa. » A certe cose semplicemente non si è mai pronti. Ecco, quella sensazione di nido, di appartenenza, è una di quelle cose a cui Mun pensava di non essere pronta. Per molto tempo ha visto la famiglia come un organismo dispotico, qualcosa da cui scappare, un nucleo morboso fatto di costrizioni e un affetto irrisorio. La famiglia è il posto in cui la donna va a morire. Questo quanto pensasse, e questo quanto quella frase potesse lasciar intendere a un pubblico esterno. Oh, quell'immagine idillica strappata direttamente dal sogno americano degli anni cinquanta. Un giovane promettente tornato a casa dalla giovane consorte dopo una lunga giornata faticosa; lei da canto suo su tacchi a spillo, radiosa e orgogliosa del suo ruolo di casalinga inforna con amore la cena, in attesa del frutto del loro amore. Quell'immagine, Mun l'ha sempre ripudiata con forza, ostinandosi, nel parlare con i suoi amici di come lei si sentisse la donna forte e indipendente che mai sarebbe caduta nella trappola dell'infelicità coniugale, mai avrebbe avuto figli e mai sarebbe rimasta ferma troppa a lungo in un solo posto. Mun era il tipico soggetto destinato a grandi cose nell'ombra. Il disegno della sua vita era stato ben preciso fino a pochi mesi fa. Finita la scuola, sarebbe stata chiaramente accoppiata a qualche giovane sedicente di buona famiglia, sempre se non si fosse prodigata a trovarlo da sola, si sarebbe spostata e avrebbe avuto una carriera brillante ma non troppo, per non mortificare l'immagine del suo compagno, finendo per giostrarsi da dietro le quinte affari ben più brillanti di quelli che sulla carta le sarebbero stati attribuiti. Si sarebbe beata della lucentezza della sua perfetta famiglia purosangue, della sua ideale casa dei sogni, dei suoi illustri bimbi reali e in fin dei conti avrebbe appoggiato appieno le politiche della propria famiglia. Volente o nolente sarebbe finita per diventare sua madre, cercando soccorso ed evasione ovunque altrove, nell'attesa di lavarsi la coscienza di quanto di terribile e terrificante abbia fatto per sopravvivere. Questo era il suo immaginario di famiglia, eppure a ben guardare nella villetta di Hogsmeade tutto regnava tranne che quel inevitabile disagio dovuto alle costrizioni. Ogni cosa che Mun e Albus hanno costruito è stata una scelta; mattone dopo mattone, in rapida successione, sono arrivati lì, in quel preciso istante in cui Mun alza gli occhi al cielo osservandolo rientrare con il dovuto ironico scetticismo dettato dalla sua palese presa in giro. Qualcosa di talmente spontaneo e bello, da non farle paura affatto. Si era convinta per sin troppo tempo che a certe cose non si è mai pronti, che lei per certe situazioni semplicemente non era tagliata, perché i modelli che aveva erano completamente diversi da ciò che Albus le aveva promesso, eppure, a ben guardare, buttandosi a capofitto in quella situazione, si era resa conto che in realtà è tutta questione di lasciarsi andare. Con Albus tutto viene da sè, tutto sembra trovare il proprio spazio nella maniera più genuina possibile. E' come in un certo qual modo una forza altra li avesse attratti l'uno verso l'altro semplicemente perché niente e nessun'altro avrebbe potuto portare a una combinazione migliore di corpi, anime e spiriti. Quella era casa, lo era davvero, perché casa è dove sta il tuo cuore, e Mun non aveva dubbi su quale fosse la direzione del proprio. Era talmente presa da lui, da non riuscire a fare a meno di riconsiderare ogni stereotipo e categoria avesse rinnegato in passato, semplicemente perché, loro due, insieme, in un certo qual modo pur incarnando così tanti topos, riuscivano al tempo stesso a ribaltarli uno ad uno impreziosendoli di qualcosa di unico e inimitabile. Un segreto, un mistero che solo loro conoscevano e di cui forse non erano nemmeno consapevoli. Stavano bene, volevano stare bene, e persino quel loro lanciarsi a vicenda accuse sulla necessità di stare male, scemava di fronte a quel desiderio sfrenato di conquistarsi pezzo per pezzo ogni fetta di rivincita su cui potessero mettere mano. « Chiamami pure egoista, ma di fronte a un po' di carne in più non vedrai mai il dispiacere nei miei occhi. » Un leggero sorriso compare sul suo viso nel sentire quelle parole, che scema non appena il ragazzo supera leggermente il confine. Si schiarisce leggermente la voce, rivolgendo un veloce sguardo con la coda dell'occhio al bambino poco distante, rivolto di spalle intento a tormentare ancora una volta Arthas. « Ehm ehm.. questa me la segno.. » Asserisce a bassa voce con voce fintamente strozzata prima di schiarirsi nuovamente la voce scoppiando a ridere. L'umore si distende quando, seduti tutti attorno al tavolo, da padrona la fa la polaroid. Posa le labbra sulla guancia del bambino, guardando nella direzione del obiettivo. Click. Una secondo entrambi con le linguacce. « Uuuh, una anche a papà! » E dicendo ciò allunga le mani, portandosi la polaroid di fronte al viso, scattando una foto del ragazzo sorprendendolo nell'atto di mangiare. Fatto ciò, da brava mamma in divenire, prima ancora di mettersi a mangiare, sminuzza il cibo nel piatto per assicurarsi che anche Jay possa mangiare, poi si adagia sulla sedia osservando il bambino nel tenero atto di mangiare con le piccole manine, sporcandosi letteralmente fino ai gomiti. Solo quando riporta l'argomento pranzo coi parenti sembra iniziare a provare un leggero disagio, dovuto forse soprattutto all'idea di non sapere come comportarsi. Dei Potter non sa assolutamente nulla se non il poco che ha visto nelle poche occasioni in cui è finita a casa di Molly Weasley o ciò che dicono i giornali, senza contare chiaramente ciò che i suoi parenti dicono di loro, che in ogni caso non può tenere in considerazione per ovvi motivi di poca accuratezza storica nel giudizio loro affibbiato. « Fidati, hanno più paura loro di te di quanta tu non ne abbia di loro. Come minimo mamma avrà già apparecchiato la tavola - ma la cambierà altre mille volte nel corso delle prossime dodici ore - e papà si starà esercitando allo specchio sul come presentarsi. Per le undici dovrebbero già essere entrati in panico. Per le tre di notte mia mamma avrà cambiato la disposizione di ogni centrino in casa e per le cinque di mattina, forse, avranno preso sonno..solo per poi svegliarsi alle sette. Gli piacerai. Gli piaci già. Ne sono sicuro. Vogliono solo..esserci. » Sospira profondamente Mun annuendo, mentre si lasciava coinvolgere dallo sguardo rassicurante di lui, e lentamente torna a rilassarsi. Non che io possa fare poi molto. Di certo non posso scappare a vita. « Questo non mi fermerà dal passare tutto domani a disperarmi perché non so cosa mettermi. » E se c'era qualche dubbio al riguardo, ci stava già pensando a quale strategia da prima ufficiale impressione usare. Sono la ragazza Carrow accidentalmente messa incinta, il cui fratello ha gonfiato di botte il loro cucciolo, nonché l'ex ragazza di uno dei loro nipoti. Combo. « Oh, quasi mi dimenticavo. Prima, quando ho finito il turno, ho preso una piccola cosa. Li ho visti in vetrina e ti ho pensato. Dopo Barbie magia delle feste, anche questo era un debito che andava saldato. » Gli occhi le brillano per l'eccitazione mentre scarta la busta con impazienza, seguita a ruota a libera dal nasino di Jay che si tuffa al suo interno non appena Mun riesce a intravvederne il contenuto. Un leggero squittio fuoriesce dalle sue labbra non appena ne scopre la natura prendendo quella gli elastici tra le dita. Mun adora le sorprese, adora i regali, ama le attenzioni, ma non le ha mai sentite così uniche come con Albus. Solleva lo sguardo verso il ragazzo mentre una leggera smorfia intenerita attraverso il suo volto. Gli occhi lucidi sono così persi in quelli di lui che non può fare a meno di mimare con le labbra un suadente ti amo che ha tenui accenni di una gioia frustrante e struggente. Pensava che col tempo quell'estremo, paradossale malessere si sarebbe attenuto, ma in quel momento si rese conto che non c'era modo per attutire il tripudio di emozioni in cui la coinvolgeva. Sei così bello che mi fai male; lo ha pensato così tante volte, e non ha mai smesso di essere un po' meno vero. Avere Jay tra le braccia le impedisce di sciogliersi in effusioni troppo evidenti. Si morde quindi il labbro inferiore abbassando lo sguardo non appena il bambino prende parola. « A me hai pleso un regalo, papà? » E nel vederlo avvicinarsi ulteriormente, complice anche lo sguardo che le aveva lanciato, Mun comprese. Era ora. « Beh, in realtà sì. Un regalo lo avrai pure tu, da parte mia e di Mun. Però dovrai aspettare qualche mese, perché ancora non è pronto. Ti abbiamo fatto un fratellino - o una sorellina -, Jay. E adesso si trova qui dentro. Adesso è grande circa così. Ma ogni giorno cresce un pochino di più, e tra qualche mese sarà pronto a uscire..proprio come nelle storie che ti ha raccontato papà questi giorni. Te le ricordi? Quelle di quando sono arrivati Olympia e Sirius. Sarai un fratellone grande proprio come papà. » Trattenne il respiro Mun, per un tempo che le sembrò infinito. Un nodo nella gola le impedì di fare o dire alcunché, seppur avrebbe voluto spezzare quella tensione in qualunque modo possibile. Decise tuttavia di dargli tutto il tempo necessario. E infine ogni timore di Mun venne sfatato. « Ciao. » Ciao, sì.. lui o lei c'è e ti sente, anche se non ha ancora le orecchie per farlo, la mamma è qui per sentire al suo posto. Ciao Jay! « Ti piacciono i dinosauli? Io ne ho tanti. Se vuoi, quando esci, puoi giocalci con me. » E a quel punto il lucido negli occhi di Mun si trasformò inevitabilmente in lacrime di gioia. Oh se aveva avuto paura di quel momento.
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    « Noi non possiamo sentirlo, da qui, ma Mun sì. Cosa dice? » Scoppiò a ridere tra le lacrime, passandosi per un istante i palmi sul volto, prima di tornare a intrecciare le dita a quelle del ragazzo, tirando su col naso. « Oh, lui o lei, non vede l'ora di conoscervi.. non vede l'ora di giocare con te e i dinosauri, e prendere il té con Miss Kathleen. » Accarezza appena i biondissimi capelli di Jay, posando lo sguardo in quello di lui, piegandosi appena perché il suo viso sia al livello di quello del bambino. « Vuole che tu gli faccia vedere il mondo.. si sente già fortunato di avere un fratellone così bravo.. » Alza lo sguardo in quello di Albus e sorride. « ..e protetto. Si sente protetto. » Il broncio di Jay intercorre per qualche istante catturando la sua attenzione. « Mun? Ma pe' ché piangi? » « Perché sono felice, topolino. Sono un sacco felice! » Ci volle un po' perché la situazione si assestasse; erano felici. Tutti loro erano estremamente felici. Quella notte, di portare Jay nella propria stanza non ce ne era stato verso. Si era attaccato come una piovra al busto di Mun addormentandosi con l'orecchio contro il suo ventre, continuando a parlargli e fare centinaia di domande a Mun. Alle fine, spente le luci era rimasta al buio a guardare profondamente negli occhi Albus stringendogli semplicemente la mano. Non aveva parlato per tanto, sin troppo tempo, poi quando il sospiro del bambino si era fatto pesante, portatasi la mano di lui alle labbra e baciata ciascuno nocca aveva sorriso. « Spero che abbia i tuoi occhi e i miei capelli. E le mia dita dei piedi.. ma le mani devono essere le tue. Ma più di tutto spero abbia il tuo sorriso.. » Perché non c'è cosa più bella come la prima volta che mi hai sorriso. E si addormenta così, continuando a elencare quelle migliaia di cose che spera fagiolino abbia da entrambi.

    La giornata è cominciata in bagno. Corsa per lasciarsi nel gabinetto anche l'anima. Continua con lo sfoggiare sul letto tutto l'armadio per optare infine per qualcosa di molto semplice. Un vestito rosa pallido e una lunga treccia adagiata sulla palla. Trucco quasi impercettibile. Il giusto connubio tra semplicità e ordine. Non vuole essere troppo ma nemmeno troppo poco. E alla fine i tre si presentano a casa dei Potter. Quel pranzo di perfetto non ha avuto nulla. Non è mancata qualche gaffe, qualche commento di troppo, tanto da parte di Harry quanto da parte di Albus o Mun, non sono mancati i silenzio imbarazzanti e tanto meno la tensione iniziale. Jay più di tutti ha sciolto l'ambiente con le sue solite domande. Giunti alla fine non avrebbe saputo dire se avesse fatto una figuraccia o meno, ma certo del tutto soddisfatta di se stessa non si sentiva. Lasciati i due uomini di casa uscire per stemperare la tensione a suon di una sigaretta, Mun approfittò della situazione per aiutare Ginny a sgomberare la tavola, seppur la donna avesse insistito perché non facesse alcunché. E così, eccola in cucina a guardare Harry e Albus Potter assorti nelle loro conversazioni, mentre uno ad uno asciugava e riponeva al proprio posto ogni stoviglia che Ginny le porgesse. Aveva la sensazione che quell'assenza di magia era per prendersi un altro po' di tempo. « Mai andati d'accordo quei due, e guardali adesso. » Mun sorride con gentilezza osservando la donna. « Come ti senti? » La ragazza si stringe nelle spalle non sapendo esattamente come rispondere. « Un po'.. sotto sopra.. ma credo sia normale. » « Nausea? » « ..e sbalzi d'umore.. tanti. » Vergognosamente repentini. « Anche un sacco di ansia che qualcosa potrebbe succedere.. » « E' normale.. ma non hai nulla da temere. Vedrai, alla prima ecografia ogni tuo timore verrà spazzato via. » Le carezza con gentilezza la spalla, prima di tornare a passarle un altro bicchiere. Ginny la osserva, con premura e una certa dose di attenzione che obbliga Mun a fare finta niente. Si sente sotto esame, ma al contempo, non si sente prettamente a disagio. « Posso chiederti com'è successo? » E a quel punto la rossa mette le mani avanti. « Per Merlino, non il bambino.. intendo.. voi. » Oh ecco la domanda da un milione di galeoni. E ora Mun, o rispondi bene e la conquisti, o fai una figura di merda. Sospira la giovane Carrow a quel punto, e gettando un ultimo sguardo fuori dalla finestra incrocia le braccia al petto e inizia il racconto in breve, evitando dettagli su traghettatori e situazioni di vita e di morte. Diciamo solo che ci siamo salvati la vita a vicenda. « A me fa strano tutto questo. » Esordisce infine, dopo una sommaria esposizione degli eventi. « Tutti sono carini con noi, e chi non capisce semplicemente non inferisce. Ma non è sempre stato così; lì dentro siamo rimasti soli. E c'è chi è pronto a dire che ci siamo isolati di spontanea volontà ma.. nessuno è venuto a cercarci. Siamo stati marchiati con una A sul petto. C'è chi ha preso apertamente una posizione e chi non l'ha presa affatto. » Sai..ora tutti mi diranno 'sei tornato', 'sei sopravvissuto'.. la cosa che invece a me colpisce più di tutte..è la ferocia con la quale mi darebbero contro.. A quel punto la donna sospira, asciugandosi velocemente le mani per girarsi verso la ragazza. « Mun, ricordati che essere fedeli a se stessi è sempre la cosa più complicata che esista. Le uniche persone con cui troviamo sempre più difficile stare siamo noi stessi. La solitudine e il giudizio ci corrodono. » Posa le mani sulle sue spalle e la fissa con un affetto che ancora una volta la colpisce e le fa strano. « Il coraggio può essere anche degli astuti, non solo dei valorosi. » E detta da una Grifondoro fino al midollo, quella frase fece breccia nel cuore di Mun suscitandole un lieve sorriso. [...] « Non è andata così male vero? » Vagano sulle stradine del villaggio; il sole ormai calante e le pance così piene da rotolare. Poteva andare peggio, se non si considerano certe occhiatacce, un chiaro terzo grado malamente mascherato di Harry Potter e le imperdibili botte sotto il tavolo della moglie da sotto il tavolo contro la gamba del marito. Alla fine del pranzo nonno e nipote si erano reclamati a vicenda, e così Mun e Albus stavano ora godendosi quella passeggiata senza una destinazione precisa, nel chiaro intento di prendersi un po' di tempo per loro stessi. « Io sono stata bene. Secondo te ho fatto una buona impressione? » Solleva lo sguardo nel suo, mentre intreccia le dita a quelle di lui. Sempre alla ricerca di una vertiginosa approvazione da parte di lui. « Tua madre è carinissima. » Asserisce infine, mentre si trascina di qua e di là, fermandosi di fronte alla finestra di qualche piccolo negozietto senza l'intenzione di comprare nulla. Ispira affondo l'aria leggiadra dell'imminente serata stringendosi leggermente nelle spalle prima di fermarsi a un certo punto posando la spalla e la tempia contro un muro in uno dei tanti viottoli, al ridosso di una delle torri di guardia. « Albus? » Asserisce infine, giocherellando distrattamente con la sua mano mentre lo attira di più nella sua direzione, guardandolo di sottecchi. « Secondo te.. senza il contorno ci saremmo mai presi? » Deglutisce, non sapendo nemmeno lei per quale motivo le fosse balenata in testa quella domanda. Forse per via del rammentare tutto quanto da capo in compagnia di Ginny Potter. « Io e te.. tu.. mi avresti mai vista? »
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    Arrossisce nel rendersi conto quanto stupida possa sembrare quella domanda. Lo è, ne è consapevole, ma con Albus, vivere di se a volte è inevitabile. Le piace porgli domande, anche solo per sentire il melodioso suono della sua voce. Strofina istintivamente il nasino contro il suo sollevandosi in punto di piedi. « Se per esempio, ipoteticamente parlando, io avessi invitato solo te al ballo.. » E dicendo ciò deglutisce mentre un leggero sorriso sornione compare sul suo volto. « Ci saresti venuto? » Compie un leggero giro attorno alla figura del ragazzo solo per abbracciarlo da dietro poggiando la guancia contro la sua schiena stringendo la sua mano con più sicurezza. Avevo paura di così tante cose. E ora mi pare di avere solo paura di tornare ad avere paura. E a quel punto senza lasciare la sua mano portandolo a girarsi nuovamente nella sua direzione mentre indietreggia. E indietreggia finché il tacco non incontra il primo gradino della scala a chiocciola della torre. « Io non ho più paura di venire al ballo con te. » Asserisce tenendo lo sguardo ben erto nel suo mentre un sorriso rassicurante si dipinge sul suo volto, trascinandolo sempre più vicino per la mano. Sale all'indietro il primo gradino e poi il secondo, e a quel punto la differenza di altezza tra loro si annulla e lei può incollare la fronte contro quella di lui. « Albus Severus Potter, vuoi venire al ballo con me? » Si stacca il giusto per salire il terzo gradino, ma quel dannato sguardo non lo stacca dal volto di lui nemmeno per un istante. Stringe la sua mano nella propria e gli allunga anche l'altra mordendosi appena il labbro inferiore. « Non devi.. ma puoi farcela. E' tempo che tu spicchi il volo. Basta vivere sottoterra. » Non sei solo. Non lo sarai mai più.



     
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    Una delle cose che un adolescente odia di più sentirsi dire sono le fatidiche parole: un giorno capirai. Solitamente sono i nostri genitori a dircele, con le labbra imperlate da un sorrisino di condiscendenza, consapevoli che la nostra giovane età non ci ha ancora dato gli strumenti atti a comprendere ogni sfaccettatura della realtà. Ad Albus il sangue ribolliva nelle vene ogni qualvolta quelle parole gli venissero rivolte, innescando in lui un circolo di diatribe, strepiti e urli atti a difendersi da quella che ai tempi percepiva come un'accusa di immaturità o, peggio, di stupidità. Perché in fin dei conti, l'essere adolescenti è proprio questo: odiamo il mondo degli adulti tanto quanto smaniamo per entrarvi. Ci sputiamo sopra, ma allo stesso tempo vogliamo disperatamente essere considerati alla loro stregua, trattati come dei pari. E dunque continuiamo ad attaccarli come cuccioli feriti nella speranza che notino le nostre capacità, il nostro essere una persona ormai completamente formata e a sé stante, la nostra capacità di prendere decisioni in proprio e ribellarci a ciò che sentiamo come una costrizione. Odiamo quando ci fanno notare che non passiamo più tempo con loro, che siamo scortesi, che non diamo valore ai piccoli gesti o alle piccole parole. E dentro di noi siamo convinti che tutte quelle cose, proprio quelle siano le cose infantili, e che smettere di farle sia parte di una crescita che i nostri genitori non vogliono accettare. Cosa vera solo a metà. Fa parte della crescita, sì, ed è essenziale, ma lo è proprio in virtù di quel 'un giorno capirai': serve specificamente per guardarci un giorno alle spalle e ricrederci sulle nostre azioni, capendo col senno del poi quanti momenti avremmo potuto valorizzare e che invece abbiamo perso. Un giorno capirai e ti si spezzerà il cuore, perché avrai già la certezza che qualunque cosa tu faccia, arriverà il momento in cui i tuoi figli si comporteranno con te nella stessa maniera in cui tu hai trattato i tuoi genitori. E lì comprenderai la ragione di tutte le pressioni, di tutte le richieste, di tutte le lamentele che tu etichetti come rotture di coglioni. Un giorno capirai, come tutti quanti, di non aver dato abbastanza importanza alle cose che la meritavano sul serio. E proprio come tutti quanti, sarai troppo orgoglioso per venirmi a dire 'papà, avevi ragione', ma tu dentro di te lo saprai. Parole che in tante maniere diverse, Harry aveva ripetuto ad Albus più e più volte, con l'unico risultato di farlo sbuffare ancora di più e liquidarlo con ben poca grazia solo per farlo smettere di parlare. Parole a cui non aveva mai dato peso, convinto che suo padre fosse troppo sentimentale e che quel genere di discorsi provenisse solo da un'imminente crisi di mezza età che lo portava a ricercare un tipo di affetto tipico di un bambino ma non di un figlio ormai grande e vaccinato. "Oh, lui o lei, non vede l'ora di conoscervi.. non vede l'ora di giocare con te e i dinosauri, e prendere il té con Miss Kathleen. Vuole che tu gli faccia vedere il mondo.. si sente già fortunato di avere un fratellone così bravo.." Ma forse suo padre aveva avuto ragione ancora una volta. E per quanto Albus odiasse ammetterlo, prima di tutto a se stesso, non poteva ignorare il fatto che in quel momento le parole di Harry tornarono a risuonare nelle sue orecchie. Gli bastò guardare ciò che aveva, ciò che stava vivendo. Gli bastò vedere gli occhi lucidi di Mun e quel Jay tutto curioso ed eccitato che se ne stava sopra la pancia della ragazza in attesa di chissà cosa. Tutte piccole cose che furono sufficienti a fargli rendere conto di quanto fosse schifosamente fortunato ad aver avuto una tale opportunità, ad aver raggiunto così presto un obiettivo che molte persone ci mettevano una vita a trovare, o che addirittura avrebbero potuto non trovare mai. Lui aveva esattamente tutto ciò che contava davvero, tutto ciò che aveva importanza, e nel rendersene conto, si rese anche conto di quanto presto o tardi Jay non lo avrebbe più cercato con lo stesso entusiasmo, così come il bambino che cresceva nel grembo di Mun. Un giorno anche loro sarebbero cresciuti, proprio come James gli aveva profetizzato qualche ora prima, e li avrebbero visti come i genitori rompipalle che non riescono ad accettare lo scorrere inesorabile del tempo. "..e protetto. Si sente protetto." Eppure sorrise, anche se con gli occhi lucidi. Sorrise lo stesso, perché non importava. Almeno per il momento, lui aveva tutto. Aveva la sua famiglia, un concetto che aveva sempre dato per scontato o addirittura denigrato, ma che ora poteva finalmente comprendere e valorizzare appieno in ogni aspetto. Ora capiva, e non voleva più perdere tempo. In tanti diranno che sono troppo giovane, e che proprio per questo, essere diventato padre alla mia età sia una disgrazia, una sfortuna che devi accettare ma che dentro di te speri non ti capiti mai, a te, ai tuoi figli o a chi ti sta a cuore. In realtà, io la vedo come una fortuna. Perché mi ha dato amore, mi ha dato gioia, mi ha dato consapevolezza, ma soprattutto mi ha dato tempo. E ho capito che non devo più sprecarne nemmeno un istante. "Mun? Ma pe' ché piangi?" "Perché sono felice, topolino. Sono un sacco felice!" Rise, in un moto di pura gioia, asciugandosi gli occhi appena bagnati di lacrime prima di stringere Jay tra le proprie braccia e allungare una mano verso il viso di Mun, attirandolo gentilmente al suo per stamparle un tenero bacio sulle labbra. Fatto ciò, andò a ripetere lo stesso gesto prima sulla fronte di Jay e poi sulla pancia di Mun, incollandovi le labbra per qualche secondo in più, ad occhi chiusi. "Lo sapete che vi dico?" disse infine, tirando appena su col naso e voltandosi a guardare Jay. "Appena abbiamo finito di mangiare costruiamo tutti insieme quel fortino che volevi fare l'altro giorno, quando papà era stanco. Lo costruiamo, ci entriamo tutti - dinosauri compresi -, e ci mangiamo i muffin lì dentro mentre ti raccontiamo qualche storia. Che ne pensi?" Gli occhi del bimbo si illuminarono come due zaffiri colpiti da un raggio di luce, portandolo a saltellare sul posto come un esaltato. E ovviamente, a quel punto Jay volle riprendere a mangiare, perché non avrebbe aspettato nemmeno un secondo in più per entrare nel proprio desiderato fortino di coperte e cuscini.
    Ovviamente, dopo l'avventura, il piccolo aveva insistito per dormire assieme a loro nel lettone, attaccandosi alla pancia di Mun in attesa di un qualche segnale da quel fratellino o sorellina che ormai sentiva come suo sacro dovere proteggere e accompagnare. Pian piano, tuttavia, la stanchezza ebbe la meglio anche sul piccolo guerriero, che si appisolò sul suo posto di guardia facendo scattare un sorriso sereno sulle labbra di Albus, che gli accarezzò piano i soffici capelli biondi prima di alzare lo sguardo negli occhi di Mun, tirando un piccolo sospiro di pura delizia. "Spero che abbia i tuoi occhi e i miei capelli. E le mia dita dei piedi.. ma le mani devono essere le tue. Ma più di tutto spero abbia il tuo sorriso.." La ascoltò, in silenzio, senza fare rumore ne' dire nulla, semplicemente guardandola negli occhi come se fosse la cosa più bella che il creato avesse messo in quel loro mondo così disastrato. E più parlava, più si rendeva conto di amarla con un'intensità che andava oltre le parole, oltre i gesti e gli sguardi, impossibile da esprimere in alcuna maniera. Si limitò semplicemente a spostare la mano sul suo viso, continuando a fissarla negli occhi mentre le accarezzava dolcemente la guancia, in silenzio. "Ti amo." disse soltanto, in un soffio, prima di chiudere la mano attorno alla sua, portandosela alle labbra e posandovi un bacio sul dorso per poi stringersela al petto. Ti amo da impazzire.

    Il pranzo con i suoi era andato straordinariamente bene. I momenti di imbarazzo non erano mancati, ovviamente, ma erano stati di gran lunga minori rispetto a quanti ce ne sarebbero potenzialmente potuti essere, conoscendo i suoi genitori. Prima di mettersi a tavola, Ginny aveva trovato persino la maniera di minacciare lui e suo padre, promettendogli che se avessero litigato se ne sarebbero pentiti amaramente per il resto dei loro giorni; ma in ogni caso entrambi gli uomini Potter erano già silenziosamente d'accordo tra loro sul non dare spettacolo, Albus per primo. Perché nonostante la facilità che dava a vedere, lui a quel pranzo ci teneva molto più di chiunque altro. Certo, Mun i suoi genitori li aveva già incontrati, ma quella era una cosa diversa, ufficiale, una dichiarazione esplicita di intenti nonché l'avvenimento che avrebbe condizionato il futuro prossimo dei rapporti in famiglia. Voleva che tutto fosse perfetto - nei limiti del possibile -, e voleva che Mun si sentisse parte integrante della famiglia tanto quanto voleva che i suoi genitori vedessero appieno la solidità del loro rapporto. Un rapporto di cui andava fiero, e che si sentiva orgoglioso di mostrare alla sua famiglia, perché orgoglioso lo era di lei, di Jay, di se stesso e di tutto ciò che stavano costruendo. Per una volta in vita sua, voleva includerli, voleva renderli partecipi della sua vita e di quella folle felicità che lo aveva travolto nel più inaspettato dei momenti e nella più imprevedibile delle maniere. Di tanto in tanto, durante il pranzo, si era ritrovato infatti a lanciare sguardi alla ragazza, seguendola nei movimenti quando si proponeva di aiutare Ginny, sorridendole quando aiutava Jay a tagliuzzare la carne, stringendole affettuosamente il ginocchio sotto al tavolo quando la vedeva più preoccupata. Gesti spontanei in cui lui era completamente immerso, forse persino convinto che sarebbero passati inosservati ma che, ovviamente, i suoi notarono. E nello sguardo di sua madre lo lesse immediatamente, la vide quella scintilla di orgoglio e soddisfazione. Col padre, invece, non fu così immediato comprenderne il pensiero. "Tua madre sta camminando letteralmente a tre metri da terra." asserì Harry, sghignazzando tra sé e sé dopo un lungo silenzio. Inizialmente quella risata divertita si andò a riflettere sulle labbra di Albus, facendogli appena scuotere il capo prima di lanciare un'occhiata verso la finestra della cucina, lì dove Mun e Ginny erano intente a parlare tra loro. Chissà che si staranno dicendo. Aggrottò la fronte per un istante, prendendo un lungo tiro di sigaretta prima di voltarsi di nuovo verso suo padre, lanciandogli uno sguardo di sottecchi. "E tu, invece? Che cosa hai tratto dai tuoi interrogatori sottili come un baobab?" Dal canto suo, anche Harry si concesse un lungo tiro prima di sospirare a fondo, puntando lo sguardo verso l'orizzonte come se si vergognasse di guardare Albus in faccia. "Per quanto mi scocci ammetterlo, aveva ragione tua madre. Tra i due non sei l'unico che ci è cascato come una pera cotta." Rimase piuttosto sorpreso dal sentire quelle parole, le quali lasciavano a intendere che, almeno fino a quel giorno, suo padre doveva aver pensato che Mun lo stesse in qualche misura prendendo per il culo, o che non fosse poi così coinvolta. "Perché, tu cosa pensavi?" chiese, piatto, senza tuttavia lasciar trasparire secchezza o alcun fare offeso. Di rimando, il padre scosse velocemente il capo. "Non lo so. Cioè, sei mio figlio, Al, ti conosco e lo so come tu prendi queste cose: per quanto ti professi cinico e distaccato, sei uno di quelli che nelle relazioni ci si butta di testa. E fino ad ora ti è andata a culo perché, bene o male, quello che troncava eri tu. Cosa che non ti fa onore, per inciso, perché non puoi promettere il mare e le stelle a una persona per poi scegliere che ti sei stufato e girare le spalle dal giorno alla notte. E da quel che so, due volte su due è questo che hai fatto. Tuttavia sono pur sempre tuo padre, e nessuno ti vorrà mai più bene di me, quindi non voglio nemmeno vederti dall'altro lato della barricata." prese una pausa, tempo necessario a riportare finalmente lo sguardo negli occhi del figlio "Non voglio vederti come ti ho visto quando sono arrivato qui e lei non c'era. Quando della gravidanza non si sapeva ancora nulla. E ammetto che, quando lo abbiamo saputo, il mio primo pensiero in merito al suo ritorno non è stato molto romantico." Deglutì, Albus, incassando quelle parole in silenzio e annuendo pian piano nel riportarsi la sigaretta alle labbra. D'altronde, da qualcuno doveva pure averla ripresa quell'onestà brutale che lo aveva sempre connotato, quel dire ciò che pensava anche se non era carino. Fossero stati altri tempi, a quelle parole il Serpeverde sarebbe scattato come una vipera, dando addosso al padre in ogni maniera possibile solo per dare inizio a una delle loro litigate epocali che non erano mai venute meno. Tuttavia erano tempi diversi, circostanze diverse, e lo stesso Albus era diverso. Per quanto quel discorso non gli piacesse, lo capiva, e non poteva nemmeno biasimarlo più di tanto. "E lo pensi ancora?" si limitò semplicemente a chiedergli, puntando gli occhi nei suoi come se stesse cercando una risposta al loro interno, come se in parte lo stesse addirittura implorando. Non te l'ho mai chiesto, papà, e non te lo chiederò perché lo sai che il mio orgoglio non me lo permetterà. Lo sai perché sei come me in merito. Però ti sto pregando di appoggiarmi in questo. Sei stato tu a dirmi sempre che non ti ho mai reso partecipe nella mia vita. Ecco, adesso lo sto facendo. Questo pranzo, questi miei piccoli passi indietro, sono tutte cose che sto facendo principalmente per te, e vorrei tu lo capissi. Vorrei che comprendessi che ho bisogno di sentirti dalla mia parte, almeno questa volta. Ho bisogno che in me, qui e ora, tu ci creda. E non seppe dire se Harry quella mura preghiera l'avesse colta o meno, ma la risposta che ottenne fu sufficiente a farlo sperare in ogni caso. "No, non lo penso." disse, prima di prendere un altro tiro e distogliere lo sguardo, sollevando infine un sopracciglio con fare ironico "Penso che potrebbe passarle davanti Cristo risorto in processione e tanto sarebbe troppo presa dal guardarti negli occhi sbattendo le ciglia per rendersene conto." In tutta risposta, Albus si limitò a ridere tra sé e sé, scuotendo il capo. "Ma senti, piuttosto..da quando hai cominciato a fumare, proprio te che mi facevi i predicozzi?" "Da quando tu hai cominciato a fare lo stronzo, quindi un bel po'." E tutto è bene quel che finisce bene.
    Alla fine, un po' per il timore di cosa Mun e Ginny si stessero dicendo tra loro, padre e figlio avevano convenuto sulla necessità di rientrare, evitando che l'amicizia tra le due arrivasse al punto da permettere alla rossa di tirare fuori l'album fotografico e svelare segreti che per il momento era ancora meglio tenere come tali; come il culetto al vento di un Albus neonato, o la storia di quando lo avevano dovuto portare al pronto soccorso perché Harry gli aveva dato la cioccolata quando era ancora troppo piccolo per poterla digerire. Quelle e tante altre cose imbarazzanti che era meglio evitare. Così avevano stabilito la tattica: lui avrebbe portato Mun a fare una passeggiata, mentre Jay sarebbe rimasto con i nonni in modo da distrarre Ginny a sufficienza. Sorprendentemente funzionò. "Non è andata così male vero?" strinse la mano di Mun prima di sciogliere la presa, avvolgendole il braccio attorno alla vita e stampandole un bacio sulla tempia. "Direi che è andata alla grande." Una decisa vittoria, almeno dal suo punto di vista. "Io sono stata bene. Secondo te ho fatto una buona impressione?" Nell'incrociare il suo sguardo interrogativo, preoccupato alla sola ipotesi di non essere riuscita a fare bella figura con i suoi genitori, sulle labbra di Albus si andò a delineare un sorriso dai tratti teneri. "Gli sei piaciuta. Moltissimo. Soprattutto a mia madre. E fidati: lei è quella difficile da convincere." "Tua madre è carinissima." Sbuffò una risata, sollevando entrambe le sopracciglia. "Ah, con te di sicuro. Ma sono piuttosto certo che in questo esatto momento mio padre si stia sorbendo la lunga lista di tutte le nanoespressioni facciali che a suo parere erano fuori luogo." Una perfezionista, Ginny Weasley. Anche lei, tanto quanto il figlio, ci teneva tantissimo a quel pranzo, a quell'occasione che voleva rendere in tutto e per tutto impeccabile. Ci teneva perché, se Mun pensava di essere quella sotto esame, dall'altro lato anche i coniugi Potter non si sentivano meno osservati, e la rossa per prima voleva che la nuova aggiunta in famiglia si sentisse a casa propria, come se ci fosse sempre stata. La mattina stessa era stato proprio Albus a chiamarla al telefono, chiedendole per piacere di non andare nel panico e non strafare in alcun modo, di dare tempo al tempo e costruire il rapporto un po' alla volta senza pretendere immediatamente una confidenza eccessiva. Introduzione graduale, così l'aveva chiamata, soprattutto quando le aveva chiesto gentilmente di farne rimanere fuori nonna Molly e nonno Arthur almeno per questa volta, tanto per non far sentire la ragazza come se quel pranzo fosse in realtà un'imboscata. "Albus?" Non appena lei interruppe il passo, lui fece lo stesso, guardandola con fare interrogativo mentre si lasciava avvicinare, avvolgendo le braccia attorno alla sua vita. "Secondo te.. senza il contorno ci saremmo mai presi? Io e te.. tu.. mi avresti mai vista?" Di tratto il suo sguardo si fece vagamente più divertito, come se quella domanda l'avesse compresa solo a metà e non sapesse di preciso dove lei volesse andare a parare nel porgliela. "Se per esempio, ipoteticamente parlando, io avessi invitato solo te al ballo..Ci saresti venuto?" Sospirò, accarezzandole la guancia nel poggiare la fronte contro la sua. Era difficile, a quel punto delle cose, ricalarsi nell'ottica dell'Albus di sei mesi prima, valutando tutte le variabili in gioco in quel delicato periodo della sua vita. Non avrebbe saputo darle una risposta sicura se non quella che sì, forse avrebbe accettato, ma lo avrebbe fatto con ben altre idee in testa. Con ogni probabilità, l'Albus di allora, nel caso in cui avesse deciso di andare al ballo con lei, lo avrebbe fatto pensando di essere l'unica persona di cui suo cugino si sarebbe potuto fidare a riguardo. Avrebbe pensato: io con Betty non ci posso andare, così come lei non ci può andare con Fred - però così, almeno Fred può essere certo del fatto che il suo accompagnatore non la sfiorerà con un dito. E l'Albus di allora sarebbe stato un vero e proprio cretino, convinto di un qualcosa su cui aveva un controllo davvero relativo; perché col senno del poi, forse ciò che era successo era inevitabile. L'Albus di allora non avrebbe saputo di ciò che lo avrebbe aspettato al ballo, di cose come quella maledetta kiss cam, che avrebbe potuto inquadrarli da un momento all'altro, distruggendo ogni suo buon proposito per la serata. "Forse sì, ma lo avrei fatto per le ragioni sbagliate." rispose dunque, a fior di labbra, strofinando il naso contro il suo e al contempo portandosela più vicina. "Eri molto bella quella sera. Ma io non me lo sarei meritato." Perché quella sera, il mio sguardo era altrove. E in fin dei conti, tu ti eri fatta così bella per qualcun altro. Forse, col senno del poi, è meglio che a quel ballo non ci siamo andati insieme. Sospirò. "Ciò non toglie che, se potessi tornare indietro con la coscienza di adesso, ti chiederei subito di ballare." si interruppe, sorridendo tra sé e sé nello stringerla un po' di più "E tu useresti tutta la durata del ballo per insultarmi in malo modo, ma non mi importerebbe nulla..col senno del poi." E a dirla tutta, credo che sarei piuttosto curioso di vedere come la Mun di allora reagirebbe al modo in cui ti guardo adesso, al modo in cui ti tocco, al modo in cui ti parlo. "Io non ho più paura di venire al ballo con te." Nel vederla indietreggiare, salendo i gradini della torre, lo sguardo di Albus si fece più interrogativo, preso in contropiede, irrigidendosi per un momento come a volerle suggerire che si stava dimenticando di qualcosa. Io non posso salire, Mun, lo sai. "Albus Severus Potter, vuoi venire al ballo con me?" rimase in silenzio per qualche istante, passando lo sguardo visibilmente combattuto dal viso di lei ai gradini che si attorcigliavano tortuosamente dietro le spalle di lei. Non erano nemmeno quelli il problema, perché fintanto che si trovava al chiuso, la sua fobia veniva quasi totalmente neutralizzata; ci aveva lavorato a lungo a riguardo, soprattutto durante gli anni passati ad Hogwarts, in cui aveva imparato a concentrarsi abbastanza sulla strada da percorrere da non pensare al vuoto che le scale lasciavano sotto di lui nel loro movimento. Il vero problema erano le altezze all'aperto, quelle in cui il vuoto era più evidente e lo circondava. "Non devi.. ma puoi farcela. E' tempo che tu spicchi il volo. Basta vivere sottoterra." Col cuore che gli martellava nel petto, sollevò un piede a compiere un passo incerto sul primo gradino, mentre l'ansia già cresceva alla sola idea di ciò che lo avrebbe atteso alla fine della scalinata. Aveva paura, sì, e mille volte aveva provato a farsi aiutare dalle persone a lui care o da qualche terapista, senza mai ottenere un vero e proprio risultato. Certo, aveva fatto progressi nel controllare la fobia all'interno di spazi chiusi. Ci aveva lavorato sodo, ma non era mai riuscito a sconfiggerla davvero, rendendogli impossibile partecipare attivamente alle lezioni di Volo o anche solo presenziare alle partite di Quidditch dei suoi amici e cugini. Quegli eventi lui li aveva sempre guardati da lontano, dietro a una finestra da cui era impossibile distinguere chi fosse chi. E volente o nolente, quella sua paura era stata parte dell'esclusione che aveva connotato i suoi anni di scuola, facendolo sentire come se gli mancasse qualcosa, come se fosse diverso in maniera negativa. Col tempo l'aveva accettata, ma nella testa di un ragazzino certe cose si amplificano e danno luogo a conseguenze può serie sul piano sociale. Nel suo caso, lo aveva portato a isolarsi per non sentirsi preso in giro - cosa che, comunque, succedeva lo stesso -. Eppure lo aveva anche reso ciò che era, perché nella mancanza di quello, aveva dovuto cercare altro. Lui aveva cercato i libri e la musica, sostituendoli allo spazio che nei suoi coetanei era occupato dal Quidditch. E forse non ci avrebbe giocato lo stesso, forse non gli sarebbe piaciuto comunque, forse nemmeno ci sarebbe andato alle partite, ma il fatto di non poterlo fare, di non avere scelta, quello per lui era stato pesante. Era stato pesante anche restituire la scopa che suo padre gli aveva preventivamente regalato. Ed era stato pesante accettare l'idea di non poter tener fede a quei sogni che Harry aveva riposto in lui sin da bambino, quando gli diceva che era nel codice genetico dei Potter l'essere degli straordinari giocatori di Quidditch. Ricordava con dolorosa precisione come si fosse sentito nel momento in cui si era reso conto che a lui tutte quelle cose sarebbero state precluse, che non sarebbe mai stato un Cercatore come suo padre e suo nonno. Il dottore aveva detto loro che la fobia delle altezze poteva essere arginata con successo, che non c'era nulla di cui preoccuparsi, ma che di certo il Quidditch era un qualcosa da escludere a priori. E forse non era proprio delusione quella che Albus vide negli occhi di Harry, ma lui la lesse come tale, perché era un bambino che in quel momento si sentiva come se in lui ci fosse qualcosa di sbagliato, come se non fosse all'altezza. E quei pensieri, quei ricordi, connotarono ogni passo che Albus compì nel salire quegli scalini, rendendo il suo respiro sempre più pesante e i suoi muscoli sempre più rigidi man mano che sentiva avvicinarsi la brezza dell'altitudine. Con il cuore a mille e il respiro affannato si bloccò sull'ultimo gradino, affacciato alla porta che immetteva nel largo terrazzo della torre. Gli bastò posare le iridi sulle acque del lago che riusciva a scorgere in lontananza per percepire l'ansia montante nel petto, il tremore a mani e gambe, la difficoltà nel respiro che gli imponeva di prendere grosse boccate d'aria come da indicazioni. Si ritrovò a stringere la mano di Mun con una forza tale da poterla quasi stritolare e, quando se
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    ne rese conto, immediatamente scosse il capo, facendo per arretrare. "Non ce la faccio." disse in un filo di voce rauca per la gola troppo secca, appena udibile, stando ben attento a non guardarla negli occhi mentre lo diceva. Non voglio che tu mi veda così. Perché quella fobia lo riportava puntualmente indietro nel tempo a quando aveva undici anni, a tutte quelle insicurezze che ci aveva messo anni e anni per mascherare e arginare. Deglutì pesantemente, chiudendo gli occhi e scuotendo il capo freneticamente, in un loop continuo, col sangue che gli martellava nelle tempie. Respiri profondi. Uno dietro all'altro. Perché se da una parte non voleva che lei lo vedesse in quello stato, dall'altra non voleva nemmeno deluderla. E in fin dei conti il sottotesto della sua fobia delle altezze si intrecciava proprio a quello, al timore di deludere le persone che amava con tutto il suo cuore, di non essere abbastanza per loro. Istintivamente cercò il contatto col muro, ruotando quanto bastava per appoggiarvisi con la schiena, entrambi i palmi delle mani attaccati alla pietra. Prese un altro respiro, questa volta più tranquillo, prima di riaprire gli occhi, fissi sul muro di fronte a lui, evitando ciò che c'era oltre la porta tanto quanto lo sguardo di Mun. "Da bambino sognavo di fare il giocatore di Quidditch." disse piano, all'improvviso, con estrema lentezza calibrata. "Mio padre mi aveva anche comprato l'ultimo modello della Nimbus, prima di andare a scuola. Volevo fare il Cercatore come lo avevano fatto lui e mio nonno." sorrise tra sé e sé "Erano famosi anche per quello, i Potter." Ma sembra che tutta la loro eredità, per me non valga. Pian piano quel sorriso si fece più amaro, portandolo ad aggrottare la fronte sotto il peso di quella tristezza. "Non sai quante volte, durante gli anni, sono passato di fronte alla bacheca dei trofei, leggendovi i loro nomi e vergognandomi come un ladro. Tu sei arrivata a scuola più tardi. Non mi hai visto in quei due anni. Mi hai ritrovato solo quando ormai avevo imparato a farci i conti. Ma non è stato così semplice all'inizio." Deglutì a forza nel dire quelle parole, nel parlare di quel periodo della sua vita così delicato, in cui le insicurezze erano il grosso di lui. Lei aveva visto solo il risultato di esse, forse immaginando che quella fosse stata la sua naturale evoluzione. Aveva visto il ragazzino che alle provocazioni rispondeva per le rime, che scattava come una vipera e ti mollava un cazzotto se passavi il segno. Ma non aveva visto quello che non aveva ancora imparato a proteggersi, quello che camminava a testa bassa per i corridoi col timore di incrociare lo sguardo altrui e vedervi una presa in giro. E' quello il tassello che ti è mancato tra il bulletto dell'asilo e il ragazzino che si faceva i cazzi propri trattando tutti di merda. "Ragionamenti stupidi, lo so, ma avevo pur sempre undici anni. Lo sentivo come un fallimento personale, come se fossi sbagliato. A quell'età normalmente tendiamo a seguire la corrente, ad accodarci al gruppo per non sentirci esclusi..ma io non potevo farlo. Io non potevo fare quello che facevano tutti gli altri, e se ci provavo, era peggio." tirò su col naso, senza mai staccare lo sguardo dal mattone specifico in cui l'aveva puntato "Mi ricordo ancora di quella volta in cui presi una scopa dal ripostiglio e andai al campo da solo, determinato a farcela. Volevo presentarmi la mattina dopo a lezione e far vedere ai miei compagni che ci ero riuscito, che non ero uno smidollato. Il finale mi sembra prevedibile. Testardo com'ero, ce la misi tutta a ignorare i sintomi, convinto che a un certo punto mi sarei semplicemente abituato e sarebbe tutto finito. Ovviamente non andò così. Non appena arrivai abbastanza in alto, ebbi un attacco di panico, caddi dalla scopa e venni ricoverato in infermeria per una settimana buona. Quando venni dimesso mi misi a piangere perché non volevo tornare a lezione. Mi vergognavo troppo." Prese un lungo sospiro nel completare quel ricordo infantile ancora doloroso, ancora carico del proprio lascito sul carattere che aveva contribuito a formare. "Ti risparmio l'epilogo perché puoi immaginarlo. Ti dico solo che quando venni bocciato ai G.U.F.O. non provai poi questo grande dispiacere all'idea di non dover più condividere le lezioni con le stesse persone." Rimase in silenzio per qualche istante prima di forzare un piccolo sorriso sulle labbra, divertito all'immettersi di un altro ricordo. "Però poi la ragazza di Jason Keller gli mise due corna grosse come una casa con me. Ripetutamente. Quindi suppongo di aver avuto la mia rivincita."
     
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    « Direi che è andata alla grande. Gli sei piaciuta. Moltissimo. Soprattutto a mia madre. E fidati: lei è quella difficile da convincere. » E in fin dei conti, nonostante si convincesse del contrario, ciò che Mun aveva sempre cercato nel prossimo più di ogni altra cosa era l'approvazione. Una dinamica ingarbugliata quella, rimasta del tutto irrisolta, che probabilmente continuerà a tormentarla per il resto della propria vita. L'idea di non fare abbastanza, di non piacere abbastanza, di non essere abbastanza, la rende estremamente fragile. Per quanto quell'atteggiamento di netta superiorità si esplicasse sin da piccola in ogni aspetto della sua quotidianità, la verità è che il suo era solo un modo come un altro per rigettare le sue insicurezze sul prossimo. Ha sempre tentato di arginare le sue difficoltà sociali, indossando la maschera della principessa di ghiaccio, tenendo il più possibilmente a distanza chiunque tentasse di entrare in intimità con lei sotto un qualunque punto di vista. Ha pensato e pensa tutt'ora che meno si mostra più si diventa immuni a qualunque forma di eventuale delusione. Ha messo su anticorpi non indifferenti, Mun, nel tempo, a tal punto che, chiunque la guardasse, non sapeva più distinguere se ciò che avevano di fronte era una ragazzina altamente disturbata o un perfetto essere insensibile e irriverente a qualunque cosa le capitasse. Alla Carrow scivolava tutto addosso; persino le cose peggiori che potessero capitarle, sembrava gestirle egregiamente, con la saggezza di una persona decisamente più matura di lei. Nulla sembrava scalfirla, nulla sembrava essere abbastanza grave da influire sul suo umore apatico. La morte della nonna era così passata come un evento relegato nel semplice circolo della vita, la rottura con Fred era risultata niente meno che un naturale corso degli eventi in una storia tra due ragazzini troppo immaturi, la morte del padre era stata gestita con la riverenza del caso, ma senza un esagerato sbilanciamento né verso il sollievo in seno alla famiglia, né una particolare sofferenza in pubblico. Non da ultimo, persino la perdita della vista, agli occhi dei più è stato un evento passato con naturale maestria, giostrato con meticolosa cura dalla mora sul versante del sarcasmo e della solita caustica personalità intrisa di accidia. Non le piaceva mostrarsi, ma al contempo, ciò che mostrava voleva necessariamente avere l'approvazione di chiunque. Forse per questo motivo, in compagnia dei suoi fedelissimi aveva mostrato una tale rabbia e scontento nei confronti degli inaudibili pettegolezzi dello Shame. A Mun piaceva essere compiacente e compiacere; e forse per questo, in fin dei conti, a ciò che le succedeva, non si è mai ribellata, finché non ha avuto scelta altra. Col padre, con Ryuk, con le stesse amicizie e compagnie attorno alle quali ha girato vertiginosamente per anni. E non era da meno adesso; il modo in cui guardava Albus, in modo in cui lo seguiva, in cui cercava la sua protezione, il modo in cui si beava dei suoi sorrisi e le sue attenzioni, altro non era che un diverso modo per cercarne l'approvazione. Ed ecco perché quelle parole, unite ai suoi dolci gesti di ricercare la vicinanza di lei, sembrano sollevarla da terra. Ci teneva affinché i suoi capissero, ci teneva saperlo finalmente in pace con la sua famiglia, ci teneva sapere che, quel posto che lui le aveva offerto tra i suoi, fosse oltre che un passaggio obbligato dovuto al loro evidente legame affettivo e all'avvio di una vita solida condivisa, fosse un gesto sentito. Ciò che è mio e tuo, e ciò che è tuo è mio. Una promessa quella, che Mun non voleva osservare solo nella maniera più superficiale. Voleva sentirla e sapere che lui ne fosse a conoscenza. Ed ecco perché si era impegnata dalla sua, a fare buona figura, restando tuttavia il più possibilmente se stessa. Un gesto quello paradossale, poiché le difese naturali di Mun le avrebbero dettato in altre sedi di essere tutto tranne che la ragazzina innamorata quale era, intenta a volte anche a sbagliare, con le parole, coi propri gesti, con gli sguardi a tratti perplessi e disorientati soprattutto di fronte alle domande del Prescelto. « Ah, con te di sicuro. Ma sono piuttosto certo che in questo esatto momento mio padre si stia sorbendo la lunga lista di tutte le nanoespressioni facciali che a suo parere erano fuori luogo. » Ci pensò un po' su, tentando di ripercorrere tutti gli eventi del pranzo. « A giudicare da oggi infatti, io avrei scommesso fosse il Prescelto quello più difficile da conquistare. » Quel suo continuare a definirlo Prescelto la fece corrugare la fronte. A casa sua era un appellativo quanto mai dispregiativo, e anche a scuola, quando ci si riferiva a uno dei quattro fratelli Potter definendoli figli del Prescelto, non c'era mai tutta quella ammirazione. La figura del padre di Albus aveva diviso a tratti il mondo. I salotti continuavano a non amarlo; la sua lotta dei tempi in cui aveva pressoché l'età di Albus e Mun, ha messo in grade difficoltà l'establishment, e questo alla casta, lo sa bene Mun, non è mai andato poi tanto bene. La sua stessa famiglia nei primi anni dopo la guerra, ne ha sofferto parecchio. Di scatto sgrana gli occhi coprendosi la bocca, sollevando lo sguardo in quello di lui, mentre stringe appena con più decisione il polso; si è appena ricordata una cosa che è chiaro non può non condividere con lui. « No, guarda.. conoscendo la casta dei genitori, sono certa che l'esame di tuo padre è rimandato. » Pausa. « Potrei aver fatto una mezza figuraccia là dentro mentre tu e tuo padre eravate fuori. A un certo punto lei mi ha chiesto com'è successo - tra noi - no? Siccome non potevo dirli guardi signora Potter, fondamentalmente ho messo un target sulla schiena di suo figlio e non potevo raccontarle poi molto senza dirle a proposito la madre del suo futuro nipote ha la fama da serial killer.. » E lì per un istante le manca il respiro e corruga la fronte come presa da un'improvvisa fonte di ansia. Scuote la testa e tenta in tutti i modi di scacciare quel pensiero dalla propria mente. « .. insomma le ho detto "Siamo diventati molto complici. È partita come un'amicizia.. entrambi avevamo bisogno di una mano lì dentro." » Sguardo eloquente. « ENTRAMBI AVEVAMO BISOGNO DI UNA MANO? Sono diventata dello stesso colore della tovaglia. Sicuro se ne è accorta. Come minimo ora passo per una poco di buono - che già non risultavamo le persone più pulite al mondo visto che ogni volta che a qualcuno viene chiesto che cos'è successo là dentro, la gente improvvisamente trova più interessanti persino gli annunci funebri. » Ho rovinato tutto vero? Era chiaro Mun avesse la coda di paglia. Era alla luce del sole che sin da quando erano usciti da Hogsmeade si era sentita in un certo qual modo a disagio, in difetto. Provava un senso di colpa immane, soprattutto per via del legame completamente saltato tra Fred e Albus. Quella era una cosa che non si sarebbe mai perdonata di aver tolto ad entrambi. Si strinse spasmodicamente al suo fianco circondandogli la vita con entrambe le braccia, lasciandosi trascinare lungo uno dei tanti viottoli senza una meta precisa, sprofondando per un po' nel silenzio. « ..lo avrei fatto per le ragioni sbagliate. » La voce di Albus è miele. Non può fare a meno di pensarlo, mentre ascolta con infinita delizia quel suo discorso. In cuor suo si chiede come abbia fatto a non vedere a sua volta per così tanto tempo tutte quelle qualità, quei piccoli gesti, i dettagli infinitamente piccoli di cui ora si beava in modo quasi morboso. « Eri molto bella quella sera. Ma io non me lo sarei meritato. Ciò non toglie che, se potessi tornare indietro con la coscienza di adesso, ti chiederei subito di ballare. E tu useresti tutta la durata del ballo per insultarmi in malo modo, ma non mi importerebbe nulla..col senno del poi. » Il girone degli insulti non è andato poi molto bene in passato. Quella strategia nei confronti del giovane Potter aveva avuto sempre l'effetto inverso a quello sperato. Sin da quando avevano ripreso i contatti per via del geniale piano terapeutico di Doc. Una cristallina risata fuoriesce dalle sue labbra prima di nascondere il volto contro la sua spalla. « Puoi scommetterci! Ne avrei di rimostranze nei tuoi confronti per il resto della vita, signor Potter. » Alza lo sguardo nel suo e lo fissa con un leggero sguardo di sfida. « Dillo che in realtà mi hai rapita per evitare di decretare un vincintore. »

    « Non ce la faccio. » Un passo alla volta, con pazienza e prudenza, offrendogli il braccio erano arrivati in cima. E non era sfuggito alla piccola Carrow quanto impegno ci avesse messo per arrivare fino a lì, quanto si fosse sforzato per non crollare in mille pezzo. Lei dal canto suo, aveva poggiando una mano sulla sua schiena carezzandogliela dolcemente, mentre l'altra restava ben salda nella sua, dandogli il sostegno di cui aveva bisogno. Nelle loro lunghe conversazioni nei sotterranei, Albus di quella paura aveva giusto accennato poche parole, gliene aveva parlato prima ancora Fred in tempi non sospetti, e un po' chiunque cercasse di farsi le beffe di lui, nel corso degli anni, menzionava la sua patetica paura per i piani alti. Di battute sul conto ne aveva sentite a bizzeffe. La paura dei piani alti di Potter era diventata metafora del suo palese perpetuo tentare di raschiare il fondo del barile. Quando poi era stato spedito in riformatorio, in occasione di una delle tante uscite al lago in compagnia della comitiva di signorotti di cui la Carrow era degna capo cheerleader, metaforicamente parlando, ci aveva messo la carica ulteriore. Ha così tanta paura dei piani alti che ha trovato la soluzione migliore per non arrivarci mai: fare il delinquente. Nessuno si era interessato delle effettive motivazioni che avevano portato Albus a finire in riformatorio. Ascoltare le sparare decisamente fuori da ogni logica di alcuni loro compagni era più divertente. Lo osservò mentre intraprendeva quel totale rifiuto di andare oltre e per un istante temette persino di sfiorarlo. Si ritrovò lì di fronte a lui, intrisa di una serie infinita di diversa sensi di colpa, a cominciare da quelli riguardanti il loro comune passato, per finire con la evidente supponenza di pensare di poter sistemare tutto. « Da bambino sognavo di fare il giocatore di Quidditch. Mio padre mi aveva anche comprato l'ultimo modello della Nimbus, prima di andare a scuola. Volevo fare il Cercatore come lo avevano fatto lui e mio nonno. Erano famosi anche per quello, i Potter. Non sai quante volte, durante gli anni, sono passato di fronte alla bacheca dei trofei, leggendovi i loro nomi e vergognandomi come un ladro. Tu sei arrivata a scuola più tardi. Non mi hai visto in quei due anni. Mi hai ritrovato solo quando ormai avevo imparato a farci i conti. Ma non è stato così semplice all'inizio. Ragionamenti stupidi, lo so, ma avevo pur sempre undici anni. Lo sentivo come un fallimento personale, come se fossi sbagliato. A quell'età normalmente tendiamo a seguire la corrente, ad accodarci al gruppo per non sentirci esclusi..ma io non potevo farlo. Io non potevo fare quello che facevano tutti gli altri, e se ci provavo, era peggio. » Ascolta quelle parole senza trovare la forza di fermarlo, seppur vorrebbe farlo smettere di tormentarsi con quei ricordi. Eppure, in cuor suo, sa che oltre alla sofferenza, quello è uno sfogo in piena regola che la porta ad avvicinarsi appena, carezzandogli dolcemente prima la spalla, poi la guancia.
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    « Mi ricordo ancora di quella volta in cui presi una scopa dal ripostiglio e andai al campo da solo, determinato a farcela. Volevo presentarmi la mattina dopo a lezione e far vedere ai miei compagni che ci ero riuscito, che non ero uno smidollato. Il finale mi sembra prevedibile. Testardo com'ero, ce la misi tutta a ignorare i sintomi, convinto che a un certo punto mi sarei semplicemente abituato e sarebbe tutto finito. Ovviamente non andò così. Non appena arrivai abbastanza in alto, ebbi un attacco di panico, caddi dalla scopa e venni ricoverato in infermeria per una settimana buona. Quando venni dimesso mi misi a piangere perché non volevo tornare a lezione. Mi vergognavo troppo. » Poggia la fronte contro la sua guancia, e stringe la sua mano intrecciando le dita alle sue. I ragazzini sono esseri crudeli. Lo sa bene Mun che per sopravvivere ai tormenti della scuola ha deciso semplicemente di restare per molto tempo in un angolino. « Ti risparmio l'epilogo perché puoi immaginarlo. Ti dico solo che quando venni bocciato ai G.U.F.O. non provai poi questo grande dispiacere all'idea di non dover più condividere le lezioni con le stesse persone. Però poi la ragazza di Jason Keller gli mise due corna grosse come una casa con me. Ripetutamente. Quindi suppongo di aver avuto la mia rivincita. » Corruga la fronte scuotendo la testa con fare un po' divertito. Un'altra bionda? Oh fantastico Potter, tra un po' inizierò a guardarmi i tutorial sulla decolorazione.. è ovvio che hai un debole per i riccioli d'oro. Posa il mento sulla spalla e inizia a giocherellare distrattamente con di suoi capelli, mentre aspetta ancora che la guardi. Attende lì, in silenzio, pazientemente, mentre gli stringe la mano, sciogliendo a tratti la presa per disegnare cerchi concentrici nel suo palmo. « Karen tra l'altro mi dava il tormento quando ero più piccola. E questo perché avevo rifiutato di andare al ballo di Natale del terzo anno insieme a suo fratello. Mi sono dovuta inventare una scusa stupida per non andarci - ho detto che stavo male, perché papà non voleva che ci andassi. » A volte credo che papà voleva che io rimanessi in quello scantinato a vita. Non dice nient'altro per parecchio; resta lì a godersi la brezza che attraversa la porta che dà sulla torre mentre lo fissa in maniera sognante. « Ehi.. » Sussurra ad un certo punto strofinando il nasino contro la sua guancia, per poi avvicinare le labbra al suo orecchio. « ..lo sai che anche Jay e questo fagiolino avranno un papà di cui andare fieri vero? » E dicendo ciò prende la mano che ha stretto fino a quel momento, posandosela la pancia, ponendo la sua sopra a quella di lui. « E se sono entrambi figli di loro padre, probabilmente tra una quindicina d'anni ci strapperemo anche noi i capelli. » Sorride appena intenerita a quell'idea; non riesce a proiettarsi così avanti nel tempo. Al solo pensiero prova un'imprescindibile ansia. Di una cosa sono certa; la competizione in questa famiglia è una prerogativa di base. « Senza offesa, ma si fotta il Prescelto e il Quidditch. Tra l'altro detto tra noi, saresti stato un giocatore di Quidditch di merda. Sei pessimo nel gioco di squadra - a meno che la squadra non è da due e l'altro membro non sbatte le ciglia al tuo cospetto. E semmai dovessi comprare una scopa ai bambini prima che raggiungano il metro e ottanta, resterai a dormire sul divano a vita. » Una leggera risata cristallina si libera nell'ambiente, mentre gli circonda le spalle in modo protettivo stampandogli un bacio sulla guancia. « Scusa. Non te l'ho fatto fare perché volevo.. sai.. sistemarti. » Per me non sarai mai un giocattolo rotto. Qualcosa da rimettere insieme per sentirmi meglio con me stesso. Non voglio che tu sia il mio rimediare. « Ti amo da morire esattamente così come sei. » Continua adagiandosi su di lui, cercando in maniera sempre più pressante il suo sguardo. Per un sacco di tempo la gente si è ostinata a dirmi cosa ero e cosa non ero e per un po' anche io mi sono ostinata a pregare le persone di ricordarmi chi fossi. E da lì sono partite le libertà sul dirmi anche cosa fare, come farlo e quando. Si stringe nelle spalle mentre scende ai patti col fatto che l'istinto della crocerossina, come d'altronde gli aveva già detto tempo addietro nelle celle, non ce l'avrà mai. Non quella spinta altruistica di portare le persone contro la propria volontà a mutare. « Suppongo volessi fare per te, ciò che tu hai fatto innumerevoli volte per me. » Tu hai affrontato le mie paure assieme a me. Le hai sradicate. Le hai fatte tentennare. « E poi, egoisticamente, volevo solo guardare il tramonto. Mostrartelo.. » Mostrarti qualcosa che non conosci. Volevo che tu vedessi un'altra prospettiva. Non sa per quanto tempo resta lì in quella posizione ad abbracciarlo e cullarlo tra le proprie braccia. Per la prima volta, è Mun ad avere una prospettiva diversa su Albus. Una prospettiva che ha avuto solo nel osservarlo qualche volta sprofondare nei sogni. Quella del bimbo sperduto. Quell'immagine la intenerisce a tal punto che - complice la differenza d'altezza molto minore dovuta al fatto che si trova sul gradino immediatamente successivo a quello di lui - non può sottrarsi dallo stampargli un bacio sulla tempia, accarezzandogli dolcemente la guancia, prima di sciogliersi dall'abbraccio. Infine, si posiziona di fronte a lui e si sfila la sottile sciarpa di seta che ha attorno al collo allungandola di fronte ai suoi occhi. Prima di fare qualunque cosa, afferra tra le proprie mani il mento di lui, obbligandolo ad alzare lo sguardo e allora gli sorride. « Ti fidi di me? Ti prometto che non ti succederà niente. » E a quel punto allunga le mani per oscurargli la vista con la sciarpa. E quindi, gli prende la mano poggiandosela nuovamente sul ventre. « Questo è fagiolino. Ciao fagiolino! Sai, io sono certa che sarà una femmina come vuoi tu. » Inizia quindi prendendogli la mano libera e indietreggiando di un passo verso la terrazza. « Ora immaginati i suoi capelli scuri, gli occhi azzurri, quei suoni acuti che ci lasceranno in un bagno di giuggiole. Pensa a Jay e quella piccina a scorrazzare in giro per casa con Arthas al seguito. » Continua a narrargli quei piccoli strappi di vita ipotetica, mentre indietreggia molto lentamente verso l'esterno, stringendo forte la sua mano nella propria, così come quella posata sul ventre di lei. « Pensa a quando la vedremo per la prima volta qui dentro e sentiremo quel cuoricino battere. Pensa a quando ci diranno che è davvero una femmina. E poi.. pensa a quando scalcerà. A quando tu e Jay gli parlerete e lui vi sentirà. A quando mi farà i dispetti perché ci ostineremo a fargli sentire la musica attraverso il pancione mentre lui non vorrà altro che dormire. » Man mano che parla la sua eccitazione è talmente alle stelle che i suoi occhi si tingono di un velo di lucido inevitabile. « Pensa a quanto lentamente passerà l'ultimo periodo, e a quanto non vedrai l'ora di incontrarla. E poi.. pensa a quando te la metteranno per la prima volta tra le braccia. E tu potrai dirle davvero ciao. » Gli accarezza nuovamente il volto stringendogli la mano con più solidità, prima di voltare lo sguardo verso lo stupendo panorama di Hogsmeade al tramonto. « Ecco Albus, ora potrai dire a tua figlia che sei salito in cima a una torre pensando a lei, aspettando lei.. ci sei salito insieme a lei, quando era piccola piccola e non sapeva nemmeno di esistere. » Compie una leggera paura tempo in cui sorride. « La vista è sopravvalutata.. senti.. » Lo intima infine, sprofondando in un silenzio tombale, lasciandogli l'opportunità di sentire tutto lo spettacolo che li circondava. Il cinguettio degli uccellini, il vento, l'assenza di perenne vociare, un silenzio talmente rilassante da permettere di individuare persino il fruscio delle fronte e il leggero agitarsi del lago sotto i colpi del vento. C'erano poi l'aria pulita; quella leggera pressione dei polmoni che li libera. C'era il tatto, e infatti, Mun solleticò dolcemente con i polpastrelli la pelle sui suoi bracci, scendendo gentilmente poi coi polpastrelli lungo la linea del suo collo. E infine c'era il gusto, e infatti, alla fine Mun posò le labbra su quelle del ragazzo sorridendo appena. « Forse non salirai mai su una scopa, o non mi porterai sulle montagne russe - tra parentesi non ci tengo - ma tu di coraggio ne hai da vendere. E questa piccola scimietta.. » Dice infine stringendo con più forza la mano di lui sul proprio ventre. « ..è il nostro rimedio a ogni fallimento e limite. Lei.. e Jay. »



     
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    Debole. La parola che era comparsa sullo specchio della Sala Grande durante la notte di Halloween; la parola che Albus aveva sentito così fortemente riferita a sé, che aveva percepito riecheggiargli nelle ossa. Un pensiero continuo, un terrore mai placato, quello di non essere abbastanza. Più e più volte il timore di quel difetto si era presentato a lui sotto varie forme, e quella della fobia non era di certo da meno. Ma forse, il vero problema, non era nemmeno l'impotenza derivata dal mero fattore dell'altitudine e dello stato psicologico in cui essa lo poneva, quanto piuttosto dall'idea di farsi vedere da Mun nel momento di più incontrastata vulnerabilità. Proprio lui che più di chiunque altro possedeva quella particolare deformazione mentale che ti porta a tentare di proteggere tutti, a farti carico anche dell'intera volta celeste pur di non lasciare nemmeno il peso più leggero sulle spalle altrui. E Mun, nello specifico, era la persona a cui più di tutte desiderava apparire come un luogo di protezione, come un porto sicuro capace di farla sentire costantemente come se nessun pericolo potesse raggiungerla. Hai presente quando sei bambino, spegni la luce per andare a dormire, e sei terrorizzato dai mostri sotto al letto? Ecco. E poi hai presente quella sicurezza infondata che, in quel frangente, ti si innesta dal semplice fatto di rimanere sotto le coperte? Come se una semplice copertina di stoffa potesse in qualche strana e insensata maniera impedire a quei mostri di raggiungerti? Non ha senso, è totalmente illogico, e se quei mostri ci fossero davvero, non sarebbe di certo una coperta a fermarli. Però io voglio che tu ti senta così accanto a me. Come se fossi la tua personale coperta e nessuno possa farti del male quando sei al mio fianco. Voglio poterti dare quel senso di sicurezza e protezione più forte di qualsiasi mostro là fuori. Pensieri stupidi, forse utopici, ma che non per questo erano meno radicati nell'animo di Albus. Lui a Mun voleva dare tutto, ma più di qualsiasi altra cosa, voleva farla sentire protetta. E forse, oltre a volerlo, ne aveva anche bisogno. Aveva bisogno che lei credesse in lui, perché tramite il modo in cui lo guardava, anche lui riusciva a credere un po' più in se stesso, ad essere più uomo e meno bambino, a scansare il terrore di quella debolezza che si era sempre sentito in corpo. Per questo, il farsi vedere così vulnerabile da lei era un qualcosa che provocava in lui uno stato di angoscia, come se da un momento all'altro l'idea che Mun si era fatta del ragazzo dovesse radicalmente cambiare, come se non dovesse più guardarlo con gli stessi occhi. Per quanto stupido e incosciente possa sembrare, preferisco che tu veda la persona che ha fatto a pugni con tuo fratello come un animale, piuttosto che quella che ha paura di salire un gradino di troppo. Perché non voglio tu pensi che non sarei disposto a salire anche sulla torre più alta, ignorando ogni fottutissima fobia, pur di tenerti al sicuro. "Ehi..lo sai che anche Jay e questo fagiolino avranno un papà di cui andare fieri vero?" Chiuse gli occhi, lasciando che il proprio corpo agisse da solo nel cercare con la guancia la vicinanza del volto di lei. Un calore improvviso, quello che sentiva ogni qualvolta parlassero tra loro di Jay e del bambino che stava per arrivare: la loro famiglia, il loro piccolo tesoro personale. Premette delicatamente le dita sul ventre di Mun, sorridendo appena a quel contatto. "E se sono entrambi figli di loro padre, probabilmente tra una quindicina d'anni ci strapperemo anche noi i capelli." Un tipo di amore spaventoso, quello che provava in quei momenti particolari. Talmente forte da sconvolgerti, perché ti rendi conto di quanto folle e cieco ti faccia diventare, di quanto ti renda disposto a fare qualsiasi cosa per quelle persone, anche la peggiore. E Albus, quel tipo di follia, l'aveva già vista in sé prima ancora di sapere che Mun aspettasse il suo bambino; l'aveva vista durante lo scontro con Judah, quando ogni torto inflitto alla ragazza era stato sfogato in quei colpi di furia cieca. Prega che non veda mai la sua faccia su quei manifesti. Queste le parole che aveva pronunciato, pur sapendo quanto inevitabile fosse quel destino e quanto poco il gemello di Mun potesse fare a riguardo. Ma le aveva dette comunque, e soprattutto le aveva sentite, perché sapeva di essere realmente disposto ad attuare ognuna di quelle minacce, dalla prima all'ultima, se un solo capello le fosse stato torto. Tre erano poi diventate le persone capaci di esporlo a quel tipo di cecità: Jay, Mun e il nuovo piccolo che stavano aspettando. Se ne era reso conto nel momento in cui, durante una delle loro ultime sessioni di allenamento, Byron gli aveva raccontato la storia della sua famiglia, in special modo di come l'aveva persa. Per qualche strana ragione, la sua storia lo aveva suggestionato in maniera particolare, impaurendolo e spingendolo al contempo a un'autoanalisi scaturita dall'immedesimazione in quella storia. Il classico caso del: e se capitasse a me? Nemmeno ci aveva voluto riflettere, eppure ci aveva pensato anche troppo. Probabilmente non avrebbe mai capito quel tipo di orrore, non ne sarebbe mai stato così tanto toccato, se non avesse avuto effettivamente tra le proprie mani tutte quelle cose che Cooper aveva perso nella più brutale delle maniere. E' inevitabile che ti faccia pensare, che ti faccia rivalutare quanto schifosamente fortunato sei e quanto importante sia dare valore ad ogni attimo. "Senza offesa, ma si fotta il Prescelto e il Quidditch. Tra l'altro detto tra noi, saresti stato un giocatore di Quidditch di merda. Sei pessimo nel gioco di squadra - a meno che la squadra non è da due e l'altro membro non sbatte le ciglia al tuo cospetto. E semmai dovessi comprare una scopa ai bambini prima che raggiungano il metro e ottanta, resterai a dormire sul divano a vita." Sbuffò una piccola a quelle parole, ritrovando un po' di forza sufficiente ad alzare sarcasticamente gli occhi al cielo, scuotendo appena il capo. "Tranquilla, sono piuttosto sicura che a quello ci penserà James a prescindere. Anche volendo, non riusciremmo comunque a fermarlo." E ne era piuttosto certa, Albus, che durante la sua assenza il cugino avesse già tentato di innestare quell'idea nella mente malleabile di Jay. "Scusa. Non te l'ho fatto fare perché volevo.. sai.. sistemarti. Ti amo da morire esattamente così come sei. Suppongo volessi fare per te, ciò che tu hai fatto innumerevoli volte per me. E poi, egoisticamente, volevo solo guardare il tramonto. Mostrartelo.." Si lasciò cullare dall'abbraccio di Mun, stirando un sorriso amaro, specialmente di fronte a quell'ultima affermazione. Fosse stato per lui, Albus l'avrebbe voluta portare in cima alla Tour Eiffel, o a guardare il tramonto sul Grand Canyon, ma sapeva di non poterlo fare. Sapeva che quella sua fobia l'avrebbe sempre costretto a rinunciare a quei sogni un po' a briglia sciolta, ma pur sempre realizzabili almeno in teoria, almeno in prospettiva di un futuro in cui sarebbe stato libero di muoversi. Socchiuse appena gli occhi, poggiando la tempia contro il suo petto e sussurrando in un filo di voce "Anche io avrei voluto vederlo. Con te." Ma non posso farlo. "Mi dispiace." E lo era davvero, dispiaciuto. Si sentiva quasi in colpa, come se le avesse fatto un torto o le avesse sottratto qualcosa. Lo stampo di un bacio sulla propria tempia gli diede a pensare che fossero in procinto di scendere, tanto che Albus mise già un piede in posizione di ritorno sui propri passi, solo per poi ritrovarsi sgomento di fronte alla mossa di lei, che nel frattempo si era tolta la sciarpa e gliela stava porgendo. Passò lo sguardo da lei alla sciarpa, a metà tra il curioso e l'impaurito, come se non fosse sicuro di ciò che lei gli stesse proponendo ma avesse anche troppa paura di chiederlo. "Ti fidi di me? Ti prometto che non ti succederà niente." Rimase per qualche istante immobile, in silenzio, a guardarla con fare titubante prima di annuire suo malgrado, in un cenno del capo appena percettibile per quanto paralizzato. Solo allora lei si apprestò ad oscurargli la vista con la stoffa di seta, calandolo in un buio ovattato che gli rendeva difficile tanto l'orientamento quanto il senso dell'equilibrio. Completamente allo sbaraglio, privo di un punto di riferimento fin quando lei non prese la sua mano, ponendosela sul ventre. "Questo è fagiolino. Ciao fagiolino! Sai, io sono certa che sarà una femmina come vuoi tu." Una breve risata, da un colpo solo, ma pregna di delizia, affiorò istintivamente sulle sua labbra nel seguire i passi in cui lei lo conduceva, guidato dalle sue parole. "Ora immaginati i suoi capelli scuri, gli occhi azzurri, quei suoni acuti che ci lasceranno in un bagno di giuggiole. Pensa a Jay e quella piccina a scorrazzare in giro per casa con Arthas al seguito. Pensa a quando la vedremo per la prima volta qui dentro e sentiremo quel cuoricino battere. Pensa a quando ci diranno che è davvero una femmina. E poi.. pensa a quando scalcerà. A quando tu e Jay gli parlerete e lui vi sentirà. A quando mi farà i dispetti perché ci ostineremo a fargli sentire la musica attraverso il pancione mentre lui non vorrà altro che dormire. Pensa a quanto lentamente passerà l'ultimo periodo, e a quanto non vedrai l'ora di incontrarla. E poi.. pensa a quando te la metteranno per la prima volta tra le braccia. E tu potrai dirle davvero ciao. Ecco Albus, ora potrai dire a tua figlia che sei salito in cima a una torre pensando a lei, aspettando lei.. ci sei salito insieme a lei, quando era piccola piccola e non sapeva nemmeno di esistere." Le immagini evocate da quel racconto lo accompagnarono passo per passo, distraendolo completamente dalla brezza che sentiva man mano più forte sul suo viso assieme al rumore più vivido degli uccelli in volo. Cose a cui fece a malapena caso, occupato com'era a seguire quel piccolo film che lei stava proiettando nella sua mente per la loro esclusiva visione. E nell'immaginarsi a stringere quel fagottino tra le braccia, a cullarlo nel sonno, a cantargli una ninnananna sotto voce, a guardare i suoi piccoli occhi azzurri assopirsi piano sul suo petto, a sentire il suo respiro fragile, a bearsi dei suoi sorrisi pieni dell'amore incondizionato di un bambino, a immaginare i suoi primi passi a gattoni, l'espressione sul suo visino e i versi di felicità nel vederlo tornare a casa dopo una lunga giornata, inevitabilmente il cuore cominciò a battergli forte nella cassa toracica inondandolo di calore. Immagini tutte pregne di una felicità così semplice e al contempo così lacerante da dilaniargli il petto e fargli scivolare alcune lacrime di silenziosa felicità lungo le guance. Maschio o femmina che fosse, il bambino che cresceva nel grembo di Mun era suo figlio, un piccolo esserino che contava totalmente su di loro, che dipendeva da loro in tutto e per tutto e che loro avevano il sacrosanto dovere di guidare nel mondo. E ancora una volta, le parole di suo padre tornarono a riecheggiare nelle sue orecchie. L'amore per un figlio è inevitabilmente destinato a spezzarti il cuore, prima o poi. Ma glielo lascerai sempre fare, e non c'è nulla che possa fare che riuscirà mai a fartelo amare di meno. E lo sapeva, Albus, di aver donato tutto a Jay e di starlo per fare anche col nuovo nascituro; sapeva che con loro sarebbe sempre stato al massimo della propria vulnerabilità, ma semplicemente non riusciva a fare altrimenti. Io vi amo. Te, Jay, questo bambino. Vi amo così tanto che mi fa paura, perché tutto il mio mondo comincia e finisce con voi. Siete la mia priorità, prima ancora di me stesso. E ho il terrore di non riuscire a trasmettervelo come meritate, di non riuscire a farvi capire quanto per me siate la cosa più importante e più bella nella mia vita, l'unica che conti. "La vista è sopravvalutata.. senti.." Inspirò profondamente l'aria pulita, assorbendo dentro di sé ogni suono e sensazione, solo per poi espirare il tutto in un moto liberatorio. L'ho fatto. Ci sono. Sono qui. E non perché qualcuno mi ci abbia obbligato o trascinato per farmi del male. Ci sono con la persona che amo. Le persone che amo. Con un senso messo fuorigioco, la sensazione dei polpastrelli sulla sua pelle fu più vivida, lasciandogli un brivido lungo la spina dorsale nel mentre di compiere un piccolo passo più avanti per farsi più vicino a lei, per sentire il suo odore più chiaramente che mai così come il battito del suo cuore e il soffio del suo respiro sul volto. Gli occhi li aveva ormai già chiusi quando le loro labbra cominciarono a sfiorarsi, ricercandosi sempre più profondamente "Forse non salirai mai su una scopa, o non mi porterai sulle montagne russe - tra parentesi non ci tengo - ma tu di coraggio ne hai da vendere. E questa piccola scimietta..è il nostro rimedio a ogni fallimento e limite. Lei.. e Jay." Sospirò sul fiore di un sorriso tenero, appoggiando la fronte contro la sua mentre, con mani febbrili, si ritrovò a far scivolare le dita lungo i suoi fianchi, cingendole la vita per attirarla maggiormente a sé. Rimase così, semplicemente in silenzio, per alcuni istanti. Non aveva fretta di parlare, intenzionato semplicemente a godersi quell'attimo così raro e al contempo così prezioso. Istanti che parvero interminabili, ma non per questo dolorosi o imbarazzanti. No, era il silenzio del riposo, della quiete, della pace. Il proverbiale silenzio che vale più di mille parole. E alla fine, forse sulla scia dei pensieri nella sua testa, le sue labbra scattarono quasi involontariamente a incurvarsi in un piccolo sorriso. Strofinò dolcemente il naso contro il suo, solo per poi far scivolare la guancia sulla sua tempia, affondando il
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    viso tra i suoi capelli e respirandone l'odore a pieni polmoni prima di stampare un piccolo bacio dietro al suo orecchio. "Non so di preciso come tu ci riesca, ma sembra che non possa smettere di innamorarmi di te un po' di più ogni giorno. Ogni volta che penso 'Ecco, ci sono. Questo è il massimo. Più di così non è proprio possibile', puntualmente tu fai qualcosa che mi ci fa cascare un altro po'. Come se non ci fosse mai un limite." E cazzo, a questo punto comincio a pensare che di questo passo mi porterai davvero alla follia, perché è troppo, è troppo per qualsiasi essere umano, sentire così tanto. Prese un altro sospiro, premendo leggermente la guancia contro la sua e stringendola a sé un po' di più. Altri istanti di silenzio si dilatarono tra loro, interrotti solo dal frusciare del vento e dal cinguettio degli uccelli, quei suoni tipicamente primaverili che cantavano una canzone di nascita, di vita alla stato puro. Quegli stessi suoni che Oberyn gli aveva insegnato ad ascoltare, a percepire realmente come un unicum con se stesso piuttosto che come un mero sottofondo a quella che si crede egocentricamente essere l'unica vita reale - ovvero la propria coscienza. Un battito pulsante, ognuno con un ritmo diverso, ma armonioso nel comporre la medesima melodia. "Me lo ricordo come se fosse successo dieci minuti fa." esordì infine, a bassa voce, carezzando il suo orecchio con un soffio. "Eravamo nella foresta, quando io mi stavo nascondendo." Un'altra pausa, come a scandire quel racconto che necessitava di lentezza, di attenzione, di cura nell'essere rimembrato in ogni parte che lo costituiva. "Facevamo sempre queste ronde senza fine che non ci portavano a niente." Sorrise tra sé e sé, sbuffando una piccola risata al ricordo di quanto impegno ci mettessero, di quanto all'epoca fossero completamente ignari tanto di ciò che stava capitando loro quanto di quello che il futuro aveva in serbo. "Poi a un certo punto, non so neanche perché, mentre stavamo camminando ormai da ore, ti ho detto 'Ehi, lo sai qual'è il colmo per un ateo che rimane intrappolato nel sottosopra?' Ti ho guardata con la coda dell'occhio. Tu ti sei girata, sollevandoti da qualunque fossero i tuoi pensieri, solo per guardarmi con un sopracciglio alzato come a dire 'dai, dilla questa stronzata'. E io sparai fuori 'Incontrare un demormone'. La battuta più triste e stupida che si possa concepire, ma non ne sentivamo una da mesi, e in quel grigiume, qualsiasi cosa di vagamente differente ti sollevava un po' il morale. E infatti tu hai alzato gli occhi al cielo e mi hai detto che era una battuta davvero imbecille." Un'altra interruzione, mentre un sorriso sempre più largo si delineava lentamente sulle sue labbra al ricordo di quel momento. "Poi però, pian piano, hai cominciato a ridere, e ripetevi sotto voce demormone, e ridevi di nuovo, scuotendo la testa tra te e te." Sospirò, strofinando ancora una volta il naso contro i suoi capelli. "Penso fosse la prima volta in cui ti ho vista ridere genuinamente per merito mio - se di merito si può parlare. E, cazzo, eri così bella! Lo sei sempre stata, ma in quel momento lo eri di più, lo eri per me, o almeno, è lì che l'ho visto davvero. Eri talmente tanto bella che non volevo più smettere. Ho fatto il cretino per tutto il tragitto pur di continuare a farti ridere, in maniera totalmente egoistica, soltanto per godermi quello spettacolo che sapevo essere, almeno in quel momento, solo per me." Un altro sorriso, un'altra pausa, mentre nella sua testa scivolava il ricordo vivido di quelle immagini. "E mi piacevano tutte quelle piccole cose tenere che facevi. Tipo metterti la mano davanti alla bocca e voltarti dall'altro lato quando ti veniva più da ridere, oppure sistemarti i capelli dietro l'orecchio e abbassare gli occhi se ti guardavo un po' più a lungo del solito. Oppure il modo in cui ti sforzavi di allungare il passo pur di non chiedermi di rallentare. O anche quel piccolo broncio un po' scocciato che ti veniva sempre quando ti rendevi conto di dovermi chiedere una mano per fare qualcosa. Quando arrossivi, poi..cazzo, te lo giuro, non c'era cosa più bella al mondo. Mi dimenticavo subito di dove stavo e di quanto orribile fosse quella situazione." Era stato lì che aveva cominciato a notare tutte quelle piccole cose di lei, tutto ciò che la rendeva unica, quei minuscoli comportamenti che lo avrebbero sempre portato a riconoscerla tra mille, ad amarla anche nella più sottile delle sue sfumature. Tutte le cose che aveva sempre e solo guardato, senza mai vedere davvero, e che pian piano erano diventate i suoi piccoli piaceri segreti, tutto ciò di cui non poteva e non voleva fare a meno. "Ecco, ci ho pensato, e credo sia quello il giorno in cui ho cominciato a innamorarmi di te. Da lì, non sono più riuscito a smettere di farlo." Tutt'ora non ci riesco. Dopo mesi e mesi, dopo aver visto un po' tutto quello che c'è da vedere, mi sento comunque come se fosse sempre il primo giorno in cui ti ho vista ridere. E non smetto mai di provare lo stesso misto di stupore e delizia. Sospirò per l'ultima volta, lasciando che il silenzio prendesse il posto di quel racconto che aveva sentito di voler condividere con lei proprio lì, proprio in quel momento, come a girare sul tavolo l'ennesima carta rimasta coperta fino a quel momento. Un altro silenzio lungo, sereno, che utilizzò per stamparle un leggero bacio sul collo e inspirare un di più il suo odore nella culla di quell'abbraccio. Solo per poi interromperlo con una domanda pronunciata a fior di labbra, col tono di una curiosità quasi infantile. "Quando ti sei innamorata di me?"
     
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    « Non so di preciso come tu ci riesca, ma sembra che non possa smettere di innamorarmi di te un po' di più ogni giorno. Ogni volta che penso 'Ecco, ci sono. Questo è il massimo. Più di così non è proprio possibile', puntualmente tu fai qualcosa che mi ci fa cascare un altro po'. Come se non ci fosse mai un limite. » Stretta in quell'abbraccio, per Mun era facile dimenticare persino di esistere. Il silenzio conciliava l'ascolto del suo respiro leggermente irregolare, come irregolare era il battito di lui. Stai facendo così tanto per me, e non so nemmeno se ne accorgi. Non so se riesci a renderti conto di quanto tu mi renda migliore. Dalle parole di Albus, Mun resta spiazzata, tanto da ricercarne quasi morbosamente l'immagine del suo visto. Seppur non riesca a guardarlo negli occhi, quel sorriso sereno riesce a lenire ogni ferita risposta ancora nel suo animo. Corruga appena le sopracciglia leggermente sorpresa, prima di lasciarsi preda a un sorriso colmo di tenerezza, mentre i polpastrelli, solleticano appena le braccia di lui, in un gesto del tutto involontaria, dovuto alla necessità di sentirlo perennemente, toccarlo, sapere che c'è oltre la semplice presenza della sua costante compagnia. Non si rende nemmeno conto di aver trattenuto il fiato sull'ultima parte del suo discorso, consapevole di quanto quel sentimento sia condiviso e di quanto in realtà non sia mai stata in grado di esprimerlo a parole. Nel rapporto con Albus, la piccola Carrow si era buttata a capofitto, senza pensarlo - paradossalmente la cosa più bella che le fosse mai capitata, era una delle poche che aveva accolto nella propria vita senza rimuginarci sopra. Ma non si era mai fermata a pensare, cosciente di quanto qualunque forma di ritiro spirituale necessario per metabolizzare appieno cosa le stesse succedendo, avrebbe portato con sé una non indifferente dose di fragilità, così come tutte le sue insicurezza. Mun era sempre insicura, sempre incerta. Anche quando la cosa più bella e stabile del mondo le si palesava davanti, aveva paura di distruggerla, di schiacciarla e peggio ancora di perderla inesorabilmente grazie alle sue tante, troppe storture. E quindi restò in silenzio, sospirando affondo, beandosi delle sue attenzioni che bramava come l'ultimo bicchiere d'acqua in un deserto alla fine del mondo. « Me lo ricordo come se fosse successo dieci minuti fa. Eravamo nella foresta, quando io mi stavo nascondendo. Facevamo sempre queste ronde senza fine che non ci portavano a niente. » Trasportata da quei ricordi, spostò lo guardo verso l'orizzonte, osservando con pacatezza le ombre dell'imponente castello di Hogwarts al tramonto. Per la prima volta da quando erano usciti, non provò repulsione nel percorrere con lo sguardo le linee in netto contrasto con il sole calante. Più, una forma di nostalgia. Io e tuo papà siamo nati lì, fagiolino. In tempi difficili in cui la gente si perdeva, non ci siamo trovati. E si erano trovati davvero, non solo tra di loro, ma anche come persone, come individui. Quel luogo li aveva scalfiti, aveva smussato i loro angoli e aveva fatto realizzare loro quanto fosse davvero importante. « Poi a un certo punto, non so neanche perché, mentre stavamo camminando ormai da ore, ti ho detto 'Ehi, lo sai qual'è il colmo per un ateo che rimane intrappolato nel sottosopra?' Ti ho guardata con la coda dell'occhio. Tu ti sei girata, sollevandoti da qualunque fossero i tuoi pensieri, solo per guardarmi con un sopracciglio alzato come a dire 'dai, dilla questa stronzata'. E io sparai fuori 'Incontrare un demormone'. La battuta più triste e stupida che si possa concepire, ma non ne sentivamo una da mesi, e in quel grigiume, qualsiasi cosa di vagamente differente ti sollevava un po' il morale. E infatti tu hai alzato gli occhi al cielo e mi hai detto che era una battuta davvero imbecille. Poi però, pian piano, hai cominciato a ridere, e ripetevi sotto voce demormone, e ridevi di nuovo, scuotendo la testa tra te e te. » E scoppiò a ridere anche questa volta, e la risata aveva inspiegabilmente la stessa tonalità di allora. La trovava ancora una battuta estremamente imbecille, ma a ben pensarci, tu mi avevi fatto ridere. Quello è un momento a cui Mun non aveva dato poi molta importanza e a riscoprirlo ora, si ritrovò ancora una volta colpita dallo stupore con cui i dettagli facevano la differenza. Non ricorda l'ultimo momento in cui aveva riso di gusto prima di quel momento. L'ultimo momento in cui spontaneamente si era lasciata andare all'esilarante desiderio di ridere di qualcosa. « Penso fosse la prima volta in cui ti ho vista ridere genuinamente per merito mio - se di merito si può parlare. E, cazzo, eri così bella! Lo sei sempre stata, ma in quel momento lo eri di più, lo eri per me, o almeno, è lì che l'ho visto davvero. Eri talmente tanto bella che non volevo più smettere. Ho fatto il cretino per tutto il tragitto pur di continuare a farti ridere, in maniera totalmente egoistica, soltanto per godermi quello spettacolo che sapevo essere, almeno in quel momento, solo per me. » Deglutisce con forza, mentre lo sguardo torna a osservare le pieghe del suo sorriso. E così difficile non piangere di fronte a quell'opera d'arte; e non è solo il suo aspetto. Albus è bello come il sole, ma non è bello solo per com'è fatto. E' bello per come sorride, per la qualità della sua voce, per il modo in cui sorride solo per lei. E' bello quando la spiazza, quando getta lì rivelazioni che non si aspetta, in momenti del tutto casuali. Albus è bello dentro, prima ancora di esserlo fuori, ed è bello perché è imperfetto. E Mun ama ancor di più quella sua duplice natura, che lentamente ha spiegazzato. Sotto una coltre di ruvidezza, vi è il ragazzo d'oro, e sotto ancora vi è quell'indubbia zona grigia fatto tanta di luce che di oscurità dove tutto può succedere, dove si annidano tanto le sue peculiarità più splendenti, quanto i suoi istinti più malsani. « E mi piacevano tutte quelle piccole cose tenere che facevi. Tipo metterti la mano davanti alla bocca e voltarti dall'altro lato quando ti veniva più da ridere, oppure sistemarti i capelli dietro l'orecchio e abbassare gli occhi se ti guardavo un po' più a lungo del solito. Oppure il modo in cui ti sforzavi di allungare il passo pur di non chiedermi di rallentare. O anche quel piccolo broncio un po' scocciato che ti veniva sempre quando ti rendevi conto di dovermi chiedere una mano per fare qualcosa. Quando arrossivi, poi..cazzo, te lo giuro, non c'era cosa più bella al mondo. Mi dimenticavo subito di dove stavo e di quanto orribile fosse quella situazione. » Ancora una volta si ritrova a trattenere il respiro. Tu notavi tutto questo? Ogni qual volta Albus le parli di quelle piccole cose stupide e insensate che fa, ogni forma di insicurezza svanisce nel nulla. Quell'osservarla di continuo sembra essere uno dei motori della sua giornata, sapere che lui se ne accorge di lei, è vita. Ne ha bisogno, sempre, delle sue attenzioni. In maniera quasi malsana. « Ecco, ci ho pensato, e credo sia quello il giorno in cui ho cominciato a innamorarmi di te. Da lì, non sono più riuscito a smettere di farlo. » Restò lì senza avere la più pallida idea di cosa dire. Togliere la parola ad Amunet Carrow era piuttosto difficile, eppure Albus Potter ci riusciva più spesso di quanto fosse pronta ad ammettere persino a se stessa. La mano scorre lungo il suo braccio fino a stringersi con insistenza sulla spalla, per poi continuare il tragitto fino a lasciare che le dita si insinuino tra i suoi capelli. E infine posa la fronte contro il suo petto lasciandosi cullare dal vento e le sue braccia. « Quando ti sei innamorata di me? » Una leggera risata ovattata contro il suo petto si perde nel vento mentre effettua una leggera pressione sui suoi capelli, prima di tornare a giocherellarci distrattamente.
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    « In realtà mi hai raccontato tutto questo per mettermi in difficoltà, ammettilo. » Strofina la fronte contro la sua fronte prima di farsi ulteriormente vicina, voltandosi leggermente di profilo per osservare il panorama. Resta lì, in silenzio per un tempo che non saprebbe quantificare. Ci pensa su, ci pensa per la prima volta davvero. Ci sono così tanto momenti risalenti nella loro storia, così tanti momenti in cui nel corso del tempo, Mun si è riscoperta innamorata di lui. In un modo o nell'altro, Albus era sempre stato giusto per lei. Così affini, così tremendamente simili caratterialmente, eppure diametralmente opposti. A ben guardare roteavano l'uno nell'esistenza dell'altro sin da quando ha memoria. E' stato il suo nemico giurato all'asilo, si sono beccati addirittura un anno nello stesso campo estivo, erano finiti nello stesso gruppo di amici; lui aveva vorticato attorno alla metà delle sue amiche e conoscenti, ed era entrato in contrasto con quasi tutta la sua comitiva. Tra i due era chiaro che Mun ci era andata con i piedi più di piombo; prevenuto a dismisura, non solo aveva arbitrariamente distolto lo sguardo da qualunque sua qualità positiva nel corso degli anni, ma si era persino convinta del contrario. Qualcosa doveva pur significare, se negli ultimi mesi, di attributi negativi gliene aveva affibbiati più del solito. Ci era andata coi piedi di piombo, sì, e quindi non si era accorta di niente, non si era accorta di quando era successo o di come era successo. Erano state tante piccole cose, tutte sommate; mattone dopo mattone le erano entrato sotto la pelle senza nemmeno accorgersene. Bastava puntare lo sguardo nella giusta direzione per individuare il diamante grezzo sotto quella scorza fuligginosa. « Non lo so.. » Si ritrova a dire in tutta onestà mentre afferra la sua mano, portandosela alle labbra con gentilezza prima di intrecciarvi le dita alla propria, iniziando a passarvi i polpastrelli dell'altra lungo il braccio, beandosi di quella leggera pelle d'oca che solleticava la sua pelle al passaggio della propria. « Non lo so.. davvero. Ma c'è stato un momento in cui ho avvertito l'emergenza di non lasciarti.. » E si era convinta Mun che quel momento fosse dettato unicamente dai suoi sensi di colpa, e dalla gratitudine che doveva sforzarsi di provare nei suoi confronti. Si era convinta di così tante cose nei confronti del ragazzo che ne ha perso il conto, a dirla tutta. « Sono stati i bambini.. » C'è una genuina amarezza nel ricordare che alcuni di loro non ce l'hanno fatta, e allora poggia la tempia contro i suo petto, ispirando affondo il suo odore. « Parlavano sempre di te. Albus fa così. Albus ha detto diversamente. Albus non lo farebbe mai. Tu c'eri sempre nei loro pensieri. A volte erano loro a raccontare a me le storie che tu avevi raccontato loro, o le imprese che avevi affrontato per portar loro una tavoletta di cioccolato in più. » Sorride a quel ricordo mentre stringe la sua mano con più decisione, potandosi quella stretta al petto. « Ero davvero mortificata dal fatto che per quanto mi sforzassi, loro volevano più bene a te. Così quella sera mi armai della mia peggiore faccia tosta e offrii a quei mocciosi il miglior banchetto che avessero mai visto da mesi. Mi ero persino impegnata per procurare a tutti loro una stanza, invece dei soliti sacchi a pelo in cui erano costretti a dormire. » La legge della giungla faceva sì che i più piccoli venissero sempre bullizzati, ma Mun quella sera si era davvero impegnata per farsi voler bene. Egoisticamente voleva solo essere migliore di lui, così che, il giorno seguente, quando lo avrebbe rivisto e chiaramente le avrebbe dato adito per farlo, gli avrebbe schiaffato in faccia quanto se la cavasse meglio di lui in quell'impresa. « Al momento della torta, Miles e Grace, divisero la propria fetta e ne misero una da parte. Dissero la teniamo per Albus. A lui la torta piace un sacco. E lì.. non so perché.. » Si stringe nelle spalle mentre alza lo sguardo verso di lui, girandosi nuovamente nella sua direzione percorrendogli il collo con le dita in un gesto lento e premuroso. « Mi ha colpito. Non ho chiuso occhio quella notte, pensando a come potessi passartela. Non ero mai stata così in pensiero per te. » Per quanto saperlo lì non le era mai piaciuto, si era sempre detta che in fin dei conti era una sua scelta decidere di passare il tempo nella foresta, in attesa che lei trovasse una soluzione. « Se tutti quei ragazzini ti volevano così bene, forse non eri una persona così orribile come pensavo. E così quella notte ho ripercorso tutto.. dall'inizio. E più ripensanvo a momenti, frasi, gesti, più entravo nel panico e non volevo altro che uscire da quella stanza e raggiungerti per assicurarmi che stessi bene. » Deglutisce all'idea di quella sera. Aveva provato una tale angoscia che la mattina era più stanca di quanto lo fosse dopo un qualunque altro giorno passato nel lockdown tra le trappole. « I film che proponevi, le canzoni che provenivano dalla tua stanza a tarda ora quando mi fermavo a studiare in sala comune, le citazioni che facevi durante le conversazioni di un tempo. C'erano le tue smorfie infastidite di fronte all'idea di vederti un film scadente e l'eccitazione di andare a vedere una mostra non permanente. » E quella era solo la punta dell'iceberg. C'erano stati momenti in cui tra Mun e Albus c'erano stati addirittura sguardi d'intesa su cose particolarmente non gradite che facevano per amore delle loro dolci metà. Un comune, tacito, governo sotterraneo delle larghe intese su come depistare il quartetto dall'idea del blockbuster per finire nel solito cinemino in centro che faceva le maratone di Godard in lingua originale. Corruga la fronte mentre si abbandona a una rivelazione a conti fatti ingrata. « Nel corso degli anni sei stato così tante volte perfetto per me, che faceva quasi paura. Quella sera mi sono pentita di tutte le volte in cui una tua parola o gesto ha attirato la mia attenzione ed io ho distolto lo sguardo. E me ne pento a maggior ragione ora, perché se la me di adesso fosse in uno di quelle centinaia di momenti lì direbbe, scappiamo. Non m'importa niente di nessuno. E ti direbbe, col cavolo che vai con qualcun altra al ballo. Credo che già la Mun di quella sera lo ha pensato. » Si morde impercettibilmente il labbro prima di lasciarsi coinvolgere da un sorriso colmo di dolcezza. « E questa è la storia di come il giorno dopo, appena scattata l'allarme non ho guardato in faccia nessuno e sono entrata dritta per dritta nella foresta. Così quella mattina hai fatto colazione con la torta. » E da quel preciso momento, Mun non l'ha più trattato male, non ha più inferito contro di lui. Non ha più aspettato ogni occasione buona per affermare quanto lei fosse migliore di lui. Di punto in bianco i rapporti si erano distesi, e seppur a una prima occhiata poteva sembrare fosse solo per la sua scelta di non tornare più indietro e di prendersi cura di lui, la verità è qualcos'altro era iniziato ad annidarsi tra quei due cuccioli d'uomo. Non l'ha mai più guardato con gli stessi occhi. Non pensava certo che le piacesse, non coscientemente. Ma di punto in bianco tutto l'universo di Albus Potter aveva assunto sfumature ben diverse nella sua mente. La sua percezione del ragazzo era cambiata. Gli prestava i suoi libri e spesso parlavano; Mun e Albus parlavano davvero. Parlavano per riempire il tempo. Parlavano perché non avevano poi molto altro da fare. Si disse in cuor suo stessero solo diventando amici, ma ogni qual volta era il turno di lui di riposare, in cuor suo, Mun sapeva che quella aveva sempre meno la parvenza di un'amicizia. Ascoltava il suo respiro regolare nel sonno, osservava il suo volto disteso in certi momenti del riposo e tendeva l'orecchio ai mormorii che fuoriuscivano dalle sue labbra quando i sogni di lui si facevano più burrascosi. Parlava un sacco nel sonno ai tempi, Albus, segno che, aveva un sacco di questioni in sospeso. Non si spingeva mai troppo oltre, la piccola Carrow. Non gli dava troppa confidenza ed era contenta di riceverne altrettanto poca. C'è da chiedersi allora come Mun abbia fatto a spingersi così tanto oltre la sera di Natale. Anche lì si era raccontata una bugia. Volevo consolarlo. Se non fosse che in una delle ultime sessioni di guardia, poche sere prima di Natale l'aveva sentito pronunciare il suo di nome nel sonno, assieme a un costante e perpetuo lasciala stare. Un lamento straziante che l'aveva colpita tanto quanto il sentir pronunciare con così tanta veemenza il nome del figlio nel sonno. « La consapevolezza però è arrivata dopo.. a Natale. Il momento esatto in cui hai lasciato quella stanza mi sono nascosta nell'armadio per paura che qualcuno potesse vedermi in quel modo. Non ero nemmeno in grado di raccontare una bugia. » Si stringe con più decisione al suo petto in un abbraccio spasmodico, morboso a dismisura. « Ero certa di averti perso eppure.. non ho più avuto dubbi. Lo sapevo e non riuscivo nemmeno a nasconderlo. » Albus era in ogni suo discorso, in ogni frecciata che mandasse al universo tutto. Ogni battuta acida era rivolta direttamente al ragazzo. Parlava di lui, lo sognava, imprecava contro di lui. « Sul fondo di quell'armadio io mi sono innamorata di ogni momento passato. Ho ripercorso tutte le volte in cui avrei potuto fare qualcosa e non l'ho fatto. » L'angoscia di quel periodo era stata distruttiva. Persino la cecità stessa era passata in secondo piano rispetto all'idea di saperlo felice con qualcun altro. Ribolliva di rabbia e dispiacere, di risentimento e rimpianto. « Il resto è storia nota. Scatto per privazione, e alla fine.. ho fatto la principessa. » E guarda dove siamo adesso. Sembra un'eternità da quando tutto ciò è successo. E l'idea che ce l'hanno fatta, supera qualunque forma di mortificazione possa aver provato in tutto quel tempo. A ben guardare, per molto tempo c'è stato un tempo prima di Albus, e un tempo dopo Albus. Ma la verità è che quel piccolo ficcanaso era ovunque. Non era poi così facile decretare quando e come. E a dirla tutta, non voleva nemmeno saperlo. A un certo punto c'era e basta; l'aveva colpita alle spalle, prima che potesse accorgersene, e così, alla fine, persino la bugiarda patologica aveva dovuto smettere di raccontare stronzate. A quel punto si solleva in punta di piedi e gli stampa un lungo bacio sulle labbra, quasi a conferma del fatto che ora può fare tutto ciò che un tempo non si sarebbe nemmeno lontanamente sognata. E in quel gesto scoppia a ridere. « Accidenti, sei un bastardo! Ora ho fatto ufficialmente la figura della rosicona della coppia. » Alza gli occhi al cielo mentre si mette il braccio di lui attorno alle spalle, pronta a tornare indietro. « Su signor demormone, ti porto a casa prima che mi svieni qui sulla torre. » Mordicchia delicatamente le sue dita mentre gli cinge i fianchi conducendolo lentamente verso l'interno della scala. Alla fine lo lascia aprire la strada, saltandogli infine sulle spalle, per farsi portare di sotto, mentre di tanto in tanto gli stampa un bacio sul collo o sulla guancia. « Comunque era una battuta davvero imbecille. Anzi, sai che facciamo? Con la prossima occasione la raccontiamo a James così vedrai che nemmeno il re degli imbecilli ci ride e.. » ..la verità, fagiolino, è che io e papà ci siamo trovati subito. Davvero presto. Ci siamo trovati molte, troppe volte. Ma non era mai il momento giusto. Non so se era solo questione di tempo o se in circostanze diverse non ci saremo mai incontrati. So solo che ora che ci siamo, io non voglio nient'altro oltre a voi. Non vedo nessun altro oltre a lui. Sembra quasi che non ci sia mai stato nient'altro prima di questo. Tuo papà è il sole, io sono la luna e voi le nostre piccole stelline.



     
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    "In realtà mi hai raccontato tutto questo per mettermi in difficoltà, ammettilo." Una genuina risata fece vibrare il suo petto a quelle parole, facendogli stringere le braccia attorno alle spalle di Mun come a volerla cullare a sé in una sorta di silenziosa ninna nanna. "Beh, mi hai portato in cima a una torre, il minimo che potessi fare era ricambiare la cortesia." Una risposta ironica e poco veritiera, ovviamente. In realtà Albus non le aveva raccontato quelle cose per chissà quale motivo, semplicemente erano balenate nella sua mente, e si era sentito di condividerle con lei, come se in un certo senso fosse scortese tenersele tutte per sé. D'altronde, era stato lui per primo a prometterglielo più e più volte, di farla sentire sempre amata, mai data per scontata; quello era il suo modo di tenere fede alle proprie parole. Parole facili da dire, che chiunque poteva pronunciare, e che spesso e volentieri non venivano tradotte in fatti concreti. Albus non voleva essere quel tipo di compagno, quello che ti fa tante promesse e poi non ne mantiene nemmeno una. Lo era stato, e non gli era piaciuto; lo aveva fatto sentire meschino, colpevole, sporco..ma non avrebbe lasciato che gli errori del passato si riproponessero, ne' tanto meno che lo definissero come persona. Watson glielo aveva detto chiaro e tondo, mesi prima, che Mun era un tipo di persona da custodire come un tesoro, ma che troppo spesso tendeva a dimenticarsi del proprio valore. E più di una volta il giovane Potter aveva visto le persone attorno a lei sminuirla - magari anche in maniera incosciente, priva di malizia -, trattarla come se fosse un pezzo di mobilio, o riservarle comportamenti che potevano darle a credere di non essere poi così preziosa. Lui per primo l'aveva fatto, in tempi non sospetti, credendo stupidamente che la Carrow fosse una specie di automa capace di incassare ogni colpo possibile senza ripercussioni. Aveva sbagliato, ovviamente; perché magari all'epoca la sua opinione non era poi così importante per lei, ma impilata sopra a tutte le altre faceva pur sempre numero. Da quel momento, da quando Watson lo aveva riportato bruscamente alla realtà, chiedendogli esplicitamente di non fare il coglione come al suo solito, Albus si era impegnato ogni singolo giorno per rimediare, per proteggere il valore inestimabile di Mun, giurandosi che non avrebbe più permesso a nessuno di farla sentire da meno. "Non lo so..Non lo so.. davvero. Ma c'è stato un momento in cui ho avvertito l'emergenza di non lasciarti..Sono stati i bambini..Parlavano sempre di te. Albus fa così. Albus ha detto diversamente. Albus non lo farebbe mai. Tu c'eri sempre nei loro pensieri. A volte erano loro a raccontare a me le storie che tu avevi raccontato loro, o le imprese che avevi affrontato per portar loro una tavoletta di cioccolato in più. Ero davvero mortificata dal fatto che per quanto mi sforzassi, loro volevano più bene a te. Così quella sera mi armai della mia peggiore faccia tosta e offrii a quei mocciosi il miglior banchetto che avessero mai visto da mesi. Mi ero persino impegnata per procurare a tutti loro una stanza, invece dei soliti sacchi a pelo in cui erano costretti a dormire." Se li ricordava bene, quei tempi, Albus. Era ben vivido nella sua mente il ricordo di quanto impegno avesse riversato nel proteggere quei bambini e del perché lo avesse fatto. Jay. Puramente e semplicemente Jay. Ognuno di quegli undicenni gli ricordava quel bambino da cui lo avevano tenuto lontano per più di un anno, e dietro le spalle di ognuno di loro vedeva le ombre di genitori preoccupati che non riuscivano a chiudere occhio la notte, tormentandosi all'idea di non sapere se i loro figli fossero vivi o meno. Ironico come alcuni di quei genitori siano proprio le stesse persone che, nel medesimo istante in cui lui si premurava di riportarli a loro in vita, votavano per mettere una taglia sulla sua testa. Lui li voleva far ricongiungere, loro lo volevano dividere dal suo di bambino. Ma in fin dei conti, Albus, ciò che aveva fatto nel lockdown non lo aveva compiuto per un tornaconto personale o altro: lo aveva fatto per coscienza, perché in qualche maniera, tenere in vita loro era come tenere in vita Jay. "Al momento della torta, Miles e Grace, divisero la propria fetta e ne misero una da parte. Dissero la teniamo per Albus. A lui la torta piace un sacco. E lì.. non so perché..Mi ha colpito. Non ho chiuso occhio quella notte, pensando a come potessi passartela. Non ero mai stata così in pensiero per te. Se tutti quei ragazzini ti volevano così bene, forse non eri una persona così orribile come pensavo. E così quella notte ho ripercorso tutto.. dall'inizio. E più ripensavo a momenti, frasi, gesti, più entravo nel panico e non volevo altro che uscire da quella stanza e raggiungerti per assicurarmi che stessi bene." Sorrise a quelle parole, poggiando quasi impercettibilmente le labbra sulla sua tempia. "I film che proponevi, le canzoni che provenivano dalla tua stanza a tarda ora quando mi fermavo a studiare in sala comune, le citazioni che facevi durante le conversazioni di un tempo. C'erano le tue smorfie infastidite di fronte all'idea di vederti un film scadente e l'eccitazione di andare a vedere una mostra non permanente. Nel corso degli anni sei stato così tante volte perfetto per me, che faceva quasi paura. Quella sera mi sono pentita di tutte le volte in cui una tua parola o gesto ha attirato la mia attenzione ed io ho distolto lo sguardo. E me ne pento a maggior ragione ora, perché se la me di adesso fosse in uno di quelle centinaia di momenti lì direbbe, scappiamo. Non m'importa niente di nessuno. E ti direbbe, col cavolo che vai con qualcun altra al ballo. Credo che già la Mun di quella sera lo ha pensato." Un'altra risata affiorò sulle sue labbra al pensiero di una Mun inferocita che lo mette con le spalle al muro e gli vieta fermamente di portare al ballo un qualunque essere vivente al di fuori di lei. Cosa che, da parte dell'attuale Mun, non lo lascerebbe poi così stupito..anche perché lui non farebbe diversamente. "E questa è la storia di come il giorno dopo, appena scattata l'allarme non ho guardato in faccia nessuno e sono entrata dritta per dritta nella foresta. Così quella mattina hai fatto colazione con la torta. La consapevolezza però è arrivata dopo.. a Natale. Il momento esatto in cui hai lasciato quella stanza mi sono nascosta nell'armadio per paura che qualcuno potesse vedermi in quel modo. Non ero nemmeno in grado di raccontare una bugia." A quel punto il suo sorriso andò pian piano a svanire sotto la consapevolezza del comportamento che aveva tenuto in quel periodo. Con lei, con Fawn, con Betty e con Fred. Se da una parte Albus era sempre stato noto per non prendere mai le scelte migliori, dall'altra, in quel particolare frangente, aveva optato per le peggiori in ogni campo. Se fosse stato più onesto, se fosse stato più pronto, non avrebbe fatto così male a così tante persone, per giunta quelle che gli stavano più a cuore. Col senno del poi, avrebbe agito diversamente. Sarebbe uscito da quella stanza promettendole di ritornare, sarebbe andato da Fred e gli avrebbe confessato quei sentimenti che orgogliosamente non aveva voluto confessare nemmeno a se stesso. Fawn non sarebbe mai stata ferita per mano sua. Betty..beh..lei era inevitabile: l'unica maniera per non infliggerle quel dolore sarebbe stata non innamorarsi mai di Mun, ma su quello non aveva alcun controllo. Però quanto meno avrebbe potuto evitare di spezzarle il cuore una volta in più, di farla sentire come se il loro ultimo riavvicinamento non contasse nulla per lui. Ma ormai quelle scelte le aveva prese, e non c'era nulla che potesse fare per cancellarle, solo tentare di non ripeterle e imparare da esse. "Ero certa di averti perso eppure.. non ho più avuto dubbi. Lo sapevo e non riuscivo nemmeno a nasconderlo. Sul fondo di quell'armadio io mi sono innamorata di ogni momento passato. Ho ripercorso tutte le volte in cui avrei potuto fare qualcosa e non l'ho fatto. Il resto è storia nota. Scatto per privazione, e alla fine.. ho fatto la principessa." Rimase per qualche istante in silenzio, limitandosi semplicemente a stringerla un po' più a sé, nascondendo il volto nell'incavo del suo collo per soffiarvi un mormorio ovattato. "Mi dispiace di essermene andato, quella sera. Sono stato uno stupido. Pensavo che se avessi ammesso quelle cose a me stesso, avrei tradito Fred..quando poi, in realtà, era come se lo avessi già fatto." Sospirò. "E sono finito per farlo lo stesso, per giunta in maniera peggiore." Perché i sentimenti non li possiamo controllare, è vero, ma il modo in cui decidiamo di agire sulla base di essi, quello sì. E io ho agito male. Su questo non ho alibi o scuse che tengano. Non mi perdonerò mai per il modo in cui ho implicitamente mentito guardandolo negli occhi, ripetendomi che tutto fosse a posto quando non era così. Avevo paura di rovinare tutto, di tradire quella fiducia che lui non ha mai esitato a darmi ad occhi chiusi. E guarda il risultato: per il mio stupido delirio di onnipotenza e la mia mania di controllo, mi sono sopravvalutato, e ho finito per fare di peggio. I suoi pensieri vennero a quel punto interrotti dall'inaspettato bacio di Mun. Un bacio da cui venne colto di sorpresa, ma a cui si abbandonò con tutto se stesso, stringendole le braccia attorno ai fianchi per sollevarla appena da terra. "Accidenti, sei un bastardo! Ora ho fatto ufficialmente la figura della rosicona della coppia." Parole che riuscirono inevitabilmente a strappargli una risata, accompagnata da un buffetto sulla fronte di lei. "Sì. Ma sei la mia rosicona. E ti amo anche per questo." "Su signor demormone, ti porto a casa prima che mi svieni qui sulla torre." E toltosi la sciarpa dagli occhi, una volta giunto al riparo, la prese in spalla sul fiorire di una risata, sistemandosi meglio le sue gambe attorno al busto durante la discesa. "Comunque era una battuta davvero imbecille. Anzi, sai che facciamo? Con la prossima occasione la raccontiamo a James così vedrai che nemmeno il re degli imbecilli ci ride e.. " ..e prese un sospiro dai toni ironicamente oltraggiati "STAI SCHERZANDO, VERO? James riderebbe come un matto a una cosa del genere. Lui adora le battute tristi, sono le sue preferite. Aaaah, bimba, ne devi ancora fare di strada per conoscere questa sgangherata famiglia in cui ti sei cacciata." Rise, scuotendo appena il capo. "Anzi, lo sai che ti dico? Tira fuori il cellulare che non ci arrivo. Il pin tanto lo sai già. Metti la chat di James e fai partire il vocale. [..] Ehi James, lo sai qual'è il colmo per un ateo che rimane intrappolato nel sottosopra?.."

    Maggio, Quartier Generale dei Ribelli
    "MUUUUN?? SEI PRONTA? DAI CHE FACCIAMO TARDI!" Con una notte passata senza chiudere occhio all'attivo ma troppa eccitazione per avvertirne la stanchezza, Albus percorreva freneticamente tutta la lunghezza della loro stanza a passi febbricitanti, avanti e indietro di fronte alla porta del bagno in cui la ragazza era chiusa da fin troppo tempo. Non aveva idea di cosa stesse facendo lì dentro, dato che non vedeva il punto di farsi bella per incontrare l'ecografista, e i conati di vomito li aveva sentiti interrompersi ormai già da un po'. A non aiutare era poi anche il fatto che proprio quell'eccitazione lo portasse ad avvertire lo scorrere di ogni secondo come ore interminabili, contandone gli istanti in un inesorabile countdown da lì al momento in cui avrebbe finalmente visto per la prima volta Fagiolino sul monitor. Nessun libro, video o sito web al mondo era riuscito a prepararlo a sufficienza a quel giorno se non su un piano puramente nozionistico. Sapeva cosa aspettarsi, sapeva cosa chiedere, sapeva quali fossero le informazioni che ne avrebbe ricavato, ma nonostante ciò, non era comunque equipaggiato a gestire il forte carico emotivo che quell'evento portava con sé. Sin da quando aveva appreso di aspettare un bambino aveva iniziato a mobilitarsi in preparazione delle ecografie, smuovendo questo mondo e quell'altro per far sì che il Quartier Generale si adoperasse con l'attrezzatura necessaria e il personale specializzato. Per quanto riguardava il secondo punto, erano stati piuttosto fortunati, siccome tra le fila dei dissidenti si trovava già una ginecologa familiare sia con la procedura che con gli strumenti. Per questi, invece, l'iter era stato più complesso, e aveva impegnato diverse settimane e più missioni di caccia per trovare finalmente un'apparecchio adatto, il quale era stato poi affidato nelle mani di Dimitriy al fine di consentirne il funzionamento. La prima vera gravidanza tra i Ribelli, il paziente zero. Inutile dire che la cosa dava non poche preoccupazioni al giovane Potter, che in circostanze diverse avrebbe insistito per avere solo i migliori dottori e le migliori strutture. In quel caso, tuttavia, si poteva permettere solo relativamente di essere così intransigente, dovendosi limitare a pretendere sì il meglio, ma pur sempre nei limiti delle disponibilità che avevano. A quel punto, però, solo una mente ingenua avrebbe potuto pensare che la messa a punto di quelle procedure dichiarasse ufficialmente la fine delle pene di Albus. Infatti, in seguito a quella battaglia vinta, si era dovuto armare per quella successiva: ovvero convincere ogni singolo membro della sua famiglia a non presentarsi con loro all'appuntamento; farne passare anche solo uno significava essere costretto a farli passare tutti, oppure ad affrontare i loro umori offesi. Ad alcuni era stato più semplice far passare il concetto, mentre con altri era stato un vero e proprio calvario: tipo i suoi genitori. Il pegno da pagare era stata la partecipazione ad ogni cena o pranzo da loro richiesti, dandogli dunque almeno la piccola vittoria personale di poter conoscere Mun un po' meglio e sentirsi più inclusi in quella gravidanza. Perché ormai Fagiolino non era solo la star della famiglia, ma un po' di tutta la Ribellione; d'altronde, come già detto, era ufficialmente il primo bambino a nascere tra loro, e la cosa sembrava avere una certa importanza, oltre a creare aspettativa ed eccitazione anche al di fuori del loro piccolo nucleo ristretto. Tutti gentili, tutti disponibili, tutti pronti a bussare alla loro porta per dare una mano o portargli un regalo. Era un po' come la natività trasposta in chiave moderna. Cosa a cui, ovviamente, Albus aveva dovuto rispondere dando ancora più attenzioni a Jay e coinvolgendolo in qualsiasi cosa. C'era poco da stupirsi se poi, a fine giornata, il giovane Potter crollasse sul letto secco come un pino. Avrebbe mai immaginato che un bambino desse così da fare prima ancora di nascere? No, mai, però era comunque felice di farle, tutte quelle cose. Quando finalmente Mun riemerse dal bagno, Albus arrestò una volte per tutte la sua camminata, tirando un grosso sospiro di sollievo prima di sciogliersi in un sorriso e stamparle un bacio sulla fronte. "Dai, non facciamo aspettare Fagiolino."
    u8LLejm
    Come ovvio che fosse, non c'era fila alcuna alla stazione medica, o almeno non per la stanza a cui loro erano interessati e nella quale vennero accolti dalla dottoressa con un largo sorriso. "Devo ammetterlo, non sarò elettrizzata quanto voi, ma poco ci manca. Ne ho visti nascere tanti di bambini, ma questa volta..non so..è diverso. Sarà il posto, sarà la situazione. Chi lo sa? Ma quando sono arrivata qui, tutto mi aspettavo meno che seguire di nuovo una gravidanza così presto." Avrà avuto tra i quaranta e i cinquant'anni, la dottoressa, ma sembrava davvero sulla corda tanto quanto le sue parole dichiaravano. Tuttavia, tolta l'introduzione, non mancò di mettere tutti e tre a proprio agio - Mun, Albus e Jay, a cui venne preventivamente data una caramella con la promessa che, se si fosse comportato bene, avrebbe ricevuto addirittura un lecca lecca. A quel punto, dopo le domande di routine (che Albus sapeva essere di routine perché aveva studiato ogni singolo libro e sito web relativo alle gravidanze), li fece accomodare. Mun sul lettino, Albus e Jay sugli sgabellini bianchi accanto ad esso. Col cuore che batteva a mille in un misto di eccitazione, aspettativa e paura, strinse la mano di Mun, tradito in quei sentimenti dal nevrotico tamburellare del piede su pavimento. "Nervoso?" chiese la donna, alzando eloquentemente un sopracciglio nello scoccargli un sorriso a metà tra l'ironico e il rassicurante. Espressione a cui Albus rispose con una risata palesemente nervosa. "Eeh..un po'. L'abbiamo rimandata il più possibile proprio per sapere..insomma..tutto quello che si può sapere a questo stadio, ecco." Se i loro calcoli erano esatti, dovevano essere tra l'undicesima e la dodicesima settimana, il che gli consentiva di analizzare con più precisione l'anatomia del feto e scovare eventuali anomali negli organi principali. Non a caso quell'attesa era stata data anche dalla loro insistenza per sostenere un test combinato, in modo da avere un quadro anche su eventuali problemi a livello cromosomico. In tutta risposta, la donna annuì. "Capisco. Beh, intanto preoccupiamoci delle cose più evidenti: quanti cuccioli ci stanno lì dentro." A quelle parole, Albus divenne bianco in volto e sgranò gli occhi. La cosa più semplice, la prima a dovergli essere passata per la testa - dato che Mun aveva un gemello -, ma l'unica a cui non aveva nemmeno lontanamente pensato. E mentre Albus diventava dello stesso colore della carta sul lettino, Jay invece si drizzava sul bordo dello sgabello tutto eccitato, come se gli avessero appena detto che stava per ricevere un grosso regalo. "POSSONO ESSERE PIU'?" "Non è da escludersi. Anzi, è probabile." Oddio.
     
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    Respira. Va tutto bene. Andrà tutto bene. Inutile dire che il trasloco era stato uno dei momenti più difficili per Mun. Non tanto perché avessero effettivamente avuto tempo di mettere radici in quella casa, quanto perché ormai stava iniziando ad abituarsi all'idea che quello poteva essere davvero il loro nido. E le piaceva, le piaceva davvero tanto. Ci aveva messo impegno nel rendere quella casetta il più possibilmente confortevole. Nel poco tempo che vi avevano trascorso era diventata molto più di una temporale abitazione. Mentre Albus era via, lei e Jay si dedicavano sempre a qualche progetto strampalato per rendere il loro luogo prediletto ancora più bello. Si erano dati al giardinaggio, allo scegliere i colori per la futura stanza di Fagiolino e poi ad arredarla al meglio. Passavano un sacco di tempo insieme tra quelle mura, cosa che, a nessuno dei due sembrava dispiacere. Si era ambientata e ormai, nelle settimane precedenti al loro levare le tende, Mun aveva iniziato a parcheggiare il biondino sempre meno da qualche parente, a tal punto che qualcuno aveva persino iniziato a lamentarsi del fatto che il bimbo passava troppo poco tempo con i nonni e i bisnonni. Hogsmeade era diventata casa sua; un villaggio fatto a misura di ragazza incinta. Tutto a chilometro zero, tutti estremamente carini e premurosi. Era tutto così semplice, così bucolico, una vita in cui seppur non ci si era mai immaginata, sembrava giovarle molto più di quanto avesse pensato. Senza lo stress della grande città, e l'acidità di stomaco dovuta ai parenti serpenti, aveva osservato dei notevoli cambiamenti anche sul fronte della salute fisica e mentale. Era sempre rilassata, distesa, serena. Stava bene, e il fatto che non si sentisse mai sola, ma potesse comunque trovare centinaia di scuse per godersi in ogni caso la sua bella casetta sul lago, era il perfetto equilibrio per portare avanti una gravidanza serena. Poi il cambiamento. Dai grandi spazi, alla stanza dei piani più alti del Quartier Generale. Un cambiamento piuttosto radicale che aveva influito tanto sull'umore della coppia, così come di cani e bambino annessi. Troppo poco spazio, una situazione decisamente più claustrofobica e addio all'intimità. Ad aggiungersi c'erano state le infinite cene coi parenti di Albus, la sempre più pressante premura di ciascuno di loro, il bisogno di dare consigli e dritte su questa e quell'altra cosa e via così. C'erano stati momenti in cui Mun aveva persino pensato di impazzire, perché tutto sommato, quando gli uomini si davano alle sigarette fuori dalla mensa, le donne partivano con le domande più imbarazzanti del caso. Le raccomandazioni su come dormire, su come comportarsi, su cosa mangiare e non magiare. Non era ideale, ma in fin dei conti, era certa quella sarebbe stata una situazione temporanea. Era stata la stessa Renton ad assicurarla sul punto, un giorno mentre si erano letteralmente scontrate sui corridoi del quartier generale. Qualcosa bolle in pentola, le aveva detto, con un sorriso dei suoi, risoluti ma pur sempre rassicuranti. Renton le piaceva; molto più dio Byron. Forse perché in fin dei conti, entrambe propendevano al silenzio ed entrambe sembravano finite lì per puro caso. Ma se per Mun la questione era vera al cento per cento, non appena Renton apriva bocca, era chiaro per lei fosse tutto il contrario. Probabilmente era solo lunatica di suo; di certo a Mun aveva dato l'impressione di avere sempre la testa tra le nuvole. Decise tuttavia di credere all'implicita promessa di Renton, complice anche il fatto che Evie e James continuavano a parlare di questa fantomatica casa sull'albero di cui disegnavano i progetti da settimane. D'altronde le cose andavano sempre meglio quindi non voleva e non poteva lamentarsene. I conati di vomito erano sempre meno frequenti, la spossatezza iniziale stava iniziando a svanire e non aveva più il mal di testa. Era perennemente lunatica; facilmente il suo umore mutava da un momento all'altro. Si ritrovava a piangere per le cose più stupide e a volte a ridere di gusto persino per le battute di James. Abbracciava sin troppo spesso la gente, motivo che le aveva fatto guadagnare un posto nella lista nera dell'ombra del sopracitato Lupin, che l'aveva persino avvertita del fatto che Mun a Janis, ormai faceva paura. Doveva insomma essere diventata impercettibilmente più appiccicosa e anche decisamente più capricciosa. Riempiva di affetto e attenzioni Jay, Arthas e Oliver e dormiva perennemente incollata ad Albus, quasi avesse paura potesse scomparire chissà dove durante la notte. C'erano giorni in cui ogni emozione sembrava così difficile da sorreggere che chiamava il ragazzo disperata per la sua mancanza. Poi lui gli diceva qualche battuta, si faceva passare al telefono Jay, lui l'abbracciava e tutto andava bene. Si sentiva così stupida a tratti. Viveva in preda a mille manie e una serie infinita di pippe mentali di cui non riusciva a liberarsene. « MUUUUN?? SEI PRONTA? DAI CHE FACCIAMO TARDI! » E' così agitata che non appena la voce di Albus tuona dalla stanza adiacente, sbaglia la linea dell'eyeliner. « Amore, lo sai che l'eyeliner non cresce sugli alberi si? E lo sai vero che nemmeno i brufoli spariscono miracolosamente? » Gli chiede facendo capolino dal bagno, prima di richiuderci la porta alle spalle per ultimare l'opera. E' diventata molto parsimoniosa con le sue cose, non tanto perché gli eyeliner non crescessero sugli alberi, ma perché per avere ciò che le serviva, avrebbe dovuto andarci in prima persona. Infatti, per quanto avesse chiesto un po' ad Albus, un po' a qualcun altro, ciò che le veniva riportato indietro era roba di qualità scadente. Santa Esme e i suoi turni ai rifornimenti. Ha una nottata in bianco alle spalle, motivo per cui, il suo rituale di bellezza quella mattina si è parecchio allungato. Completata l'opera tuttavia, esce dal bagno piuttosto soddisfatta, con il bel accenno di pancino e un sorriso radioso. « Dai, non facciamo aspettare Fagiolino. » « Anche tu sei bellissimo, amore. » Dice stampandogli un leggero bacio sulla guancia, massaggiandogli l'addome in segno di palese presa in giro. Glielo diceva sempre Albus, quanto fosse bella, quanto fosse bello il suo pancino, quanto non fosse grassa e via così. E già il fatto che non avesse dato sfogo alla sua solita platealità nel riempirla di attenzioni, le diede la cifra stilistica di quanto fosse agitato. Anche Mun lo era, ed era estremamente elettrizzata, oltre che un po' preoccupata per aver atteso così tanto prima dell'ecografia. Tutto sommato, Mun, quanto meno, poteva dire di sapere cosa sentisse. Fagiolino era lì con lei sempre; nessuno più di lei poteva dire se stesse bene o meno, quanto meno a livello superficiale. Per Albus doveva essere completamente diverso. In quell'equazione un papà è sempre quello che rimane un po' più tagliato fuori e per quanto Mun tentava di includerlo al cento per cento persino nel più piccolo cambiamento, conscia della sua esperienza pregressa con Jay, si rendeva conto che certe cose non avrebbe mai saputo spiegargliele. Paradossalmente con il passare delle settimane si era rilassata sempre di più sulla questione e aveva semplicemente iniziato a seguire ciò che le dettava l'istinto. Così, seppur timorosa, era arrivata ad affrontare quel giorno in maniera piuttosto rilassata. Diverso era il caso di Albus che non appena entrati nello studio della dottoressa aveva già iniziato a tempestarla di tutte quelle domande a cui avevano già trovato risposte nelle settimane passate, chini su decine di libri diversi, tra siti internet e addirittura i consigli della nonna che in certi casi sono migliori di qualunque rimedio scientifico. Era ovvio fosse su di giri e agitato, tanto che, fu Mun ad afferrare il suo braccio, accarezzandoglielo dolcemente, mentre circondava le spalle di Jay alla sua sinistra. L'istinto di protezione nei confronti di quei due era saltato fuori dal giorno alla notte. Puff, un giorno era la ragazzina irresponsabile che aveva paura di approcciare con un bambino, il giorno dopo era la giovane amministratrice di un'intera casa, cani compresi. Non che facesse mai qualcosa da sola, ma il fiuto della futura mamma stava già iniziando ad acuirsi. Ognuno di loro stava lentamente assumendo i propri connotati naturali. Albus, l'uomo responsabile di casa, Jay, il fratellone maggiore, Arthas la guardia preposta a qualunque interferenza, Oliver, l'intrattenitore nato, e Mun la custode per eccellenza di tutti loro.
    Una volta fatta accomodare sul lettino, tirò un lungo sospiro sorridendo prima a Jay e poi ed Albus, al quale strinse forte la mano, cercando di non dare peso al troppo nervosismo che emanava. « Nervoso? » Decisamente complicato, visto che persino un cieco se ne sarebbe accorto di quanto stesse sulle spine. « Eeh..un po'. L'abbiamo rimandata il più possibile proprio per sapere..insomma..tutto quello che si può sapere a questo stadio, ecco. » A questo punto della situazione, Mun era piuttosto certa che Albus, Fagiolino l'avrebbe potuto far nascere persino da solo. Non erano state poche le notti in cui alla fine lei era crollata molto prima di lui, solo per poi ritrovarlo la mattina dopo addormentato con un qualche libro sotto la testa o sul petto. Gli accarezzò delicatamente le nocche con il pollice prima di alzarsi la maglietta lasciando intravvedere il pancione che ormai tanto Jay quanto Albus conoscevano a memoria. « Capisco. Beh, intanto preoccupiamoci delle cose più evidenti: quanti cuccioli ci stanno lì dentro. » Tasto dolente. Gli occhi di Mun saettarono sul volto del ragazzo solo per vederlo cadere nel panico più totale. Che Mun venisse da un parto gemellare non era certo una novità. Geneticamente parlando, aveva decisamente più probabilità che la sua ovulazione portasse a brutti scherzi di quel tipo. Sua madre a sua volta era una gemella e suo nonno prima di lei lo era altrettanto. Ai Potter piacerà pure fare figli, ma ai Carrow piace moltiplicarsi letteralmente prendendo la strada più veloce - farne più di uno per volta. A quel punto ecco arrivare il gel leggermente freddo e poi la dottoressa posa la sonda sulla sua pancia. « Vediamo.. » Vediamo cosa. Io non vedo niente. Ommioddio Albus, non c'è. Stringe istintivamente la mano di lui mentre assottiglia lo sguardo concentrata sul monitor. « Eccolo.. com'è che lo chiamate? Fagiolino.. » Un nomignolo che ormai Jay ripete in lungo in largo un po' ovunque. E a quel punto Mun lo vede. Lentamente si palesa sullo schermo man mano che la dottoressa passa la sonda sulla sua pelle. E il suo volto si illumina di una luce di pura gioia, mentre ogni tanto per pochi secondi - solo pochi secondi - oscilla con lo sguardo dal monitor al volto di Jay e Albus. « Beh, fagiolino non è più propriamente un fagiolino ecco.. » Non sa quanto tempo passa tra un'osservazione e l'altra della dottoressa, ma Mun non riesce a togliere lo sguardo da quel monitor. Quella testolina è la sua; quelle manine sono le sue manine, così come i piedini, le dita, il nasino, quel corpicino ancora sproporzionato rispetto alla testa. « Bene.. siamo nelle piene dodici settimane.. il concepimento dovrebbe essere relativamente a inizio marzo.. » Si va beh Albus, mi hai drogata per far nascere fagiolino, ammettilo. Questa ormai l'aggiungo sul suo diario. « ..viaggiamo sui cinquantacinque millimetri e ben undici grammi. » « Guarda che testone! Proprio come il papà.. » Asserisce scoppiando a ridere con gli occhi lucidi, mentre ascolta inebriata il racconto del suo ormai non più piccolo mucchietto di cellule. Man mano che la dottoressa mostra loro i dettagli del corpo di quel piccolo patatino, partono le osservazioni di Jay e le battute di Mun sul conto. C'è il profilo del suo nasino e la spina dorsale, le dita ben definite e i piedini che scalciano ogni tanto. Oh, tra un po' potremmo anche sentirti, piccolino. E a quel pensiero il cuore le si stringe in una morsa di puro affetto e tenerezza per il piccolo fagottino sullo schermo. Jay chiaramente fa un sacco di domande, e ad ognuna di esse la dottoressa gli risponde con gentilezza, cercando di essere il più chiara possibile. E' lì, ed è vero, ed è la prova più tangibile oltre il pancione del fatto che lui esista. Fagiolino si è fatto improvvisamente ancora più reale; ad ogni movimento che compie sullo schermo, la ragazza sussulta, e si sente montare dentro quell'incredibile contentezza ed eccitazione dell'attesa. Quasi quasi vorrebbe chiudere gli occhi e andare avanti con i mesi finché lui o lei non sarà davvero lì con loro.
    hXBHasy
    « Oh.. aspettate un secondo.. » E nel dire ciò, la dottoressa cambia l'immagine sullo schermo, mostrando loro il piccolo da un'angolazione completamente diversa, ingrandendo l'immagine. « ..credo che si stia succhiando il pollice. » Una cosa come un'altra di cui avevano anche letto parecchio. In quella fase, sorride, si muove, inizia addirittura a fare le capriole nel pancione. Insomma, si diverte. Ma sentirselo dire, sapere che il loro bambino lo stia facendo, è un'esperienza completamente diversa. « Hai sentito Albus? Tuo figlio si sta succhiando il pollice.. sei felice? » Gli strattona appena la mano prima di sorridere serenamente a Jay che in tutta risposta è pronto a portarsi a sua volta il pollice alla bocca. Mun gli fa cenno di no con la testa, indicandogli tutta seria Albus. Un'intesa tutta loro del tipo lo sai che papà non vuole. E infatti, quasi scoraggiato dai troppi scontri avuti sulla questione, il biondino alza lo sguardo verso il padre, per poi tornare a stringere il suo dinosauro fra le braccia. « Nel complesso per l'età mi sembra sia tutto perfettamente nella norma. » Pausa. « Lo volete sentire? » Panico. Puoi vedere immagini di un feto a bizzeffe, tanto sui libri quanto su internet. Puoi sentire i battiti di altri bambini, puoi ipotizzare all'incirca quale sarà l'esperienza. Ma nessuno di quei suoni è uguale all'altro. Nessuno è il suono, quello dell'esserino che hai concepito, del bambino che stai sognando ogni notte e sulla cui persona stai già fantasticando in ogni istante della tua giornata sin da quando ne hai conoscenza del suo arrivo. Quell'emozione non la si può replicare, non la si può catturare e riproporre. Ok Mun, respira. In tutta risposta, stringe la mano di Albus, lo guarda e poi annuisce senza avere tuttavia il coraggio di staccare gli occhi dal volto del ragazzo. Tum tum. Una prima volta. Tum tum. Una seconda volta. Tum tum. Forte e chiaro anche la terza e la quarta e la quinta volta, mentre gli occhi di Mun si riempiono improvvisamente di lacrime nel sentire quel suono forte e chiaro. E per un istante le sembra che il suo di battito si sincronizzi con quel battito, tanto è potente l'irrompere di emozioni nel suo petto mentre lo ascolta ancora e ancora con una tale chiarezza e decisione da farle male per quanto è bello. Prova un amore sviscerale nei confronti di quel esserino che vive lì dentro di lei, grazie a lei; il frutto di quel amore a tratti addirittura malato istauratosi tra Mun e Abus è lì, e cresce, ogni giorno un po' di più. Questo fagottino l'abbiamo fatta noi, sembra dirgli il suo sguardo mentre stringe forte la sua mano e si lascia incantare da quel suono. E quasi non le sembra vero quanto possa già amarlo, quanto non veda l'ora di vederlo. Ogni tratto che è stato mostrato loro fino a poco fa, assume ora una dimensione talmente tangibile, che Mun non può fare a meno di realizzare con più chiarezza che mai, che avremmo un bambino. Un piccolo pezzetto di lui e di lei, pronto a spiccare il volo. Un esserino da proteggere e a cui voler bene. Piccolo fagiolino; tu per me sarai sempre un fagiolino. Anche se ormai hai più le dimensioni di un kiwi, per me rimarrai sempre quel fagottino piccolo piccolo. Anche quando sarò vecchia e tu sarai di poco meno vecchio di me e tuo padre, resterai sempre piccolo così. Non ce l'abbiamo un frigo dove attaccare la tua foto, non abbiamo un frigo dove attaccare nemmeno i disegni di tuo fratello. Tu ormai, anche se se più piccolo del mio pugno, sei diventato il suo soggetto preferito. Non abbiamo poi molto, ora come ora. Ma guardaci. Siamo ripartiti da zero più di una volta, io e tuo papà, in così poco tempo, e nonostante ogni giorno tra noi sembra frapporsi un ostacolo un po' più grande di quello del giorno prima, noi siamo ancora qui. E non hai idea di quanto ti vogliamo bene. Non potrò mai descriverti nemmeno lontanamente quanto io possa amarti e quanto amo tuo papà per avermi dato la possibilità di provare così tanto in così poco tempo. E lì, in ascolto di quel battito, con le lacrime agli occhi e l'impressione di scoppiare dalla gioia, Mun ebbe la certezza che sarebbe andato tutto bene e ogni lacrima versata, ogni grido sprigionato, ogni sacrificio, ogni sforzo, sembrò concretizzarsi nella realizzazione di trovarsi esattamente nel posto in cui apparteneva, con le uniche persone con cui avrebbe voluto essere. Realizzò così su due piedi che in realtà non era la qualità della vita a decretarne la serenità, bensì la qualità delle persone. Un palazzo è solo un palazzo, un bel vestito è solo un vestito, un ottimo lavoro è solo un lavoro. Soldi, carriera, fama, gloria, potere, non sono nulla in confronto all'orgoglio che si prova nel aver messo su un'altra vita. Immaginarne le prospettive, le potenzialità, ma anche le cose più semplici. Il sorriso che suscita, la gioia che inietta prepotentemente a ogni minimo mutamento. Sì, Mun con Albus e quelle meraviglie ci avrebbe potuto vivere ovunque senza lamentarsi di niente. Ogni ostacolo era superabile finché ci fossero stati. E nel capire l'amore viscerale per quel fagottino, capì l'amore viscerale per quei due cuori seduti accanto a lei. « Sono una mamma.. » Sussurrò infine mentre allunga la mano per carezzare quell'immagine grigiastra. « Sono mamma.. » Ripetè una seconda volta, gettando lo sguardo lucido in quello caleidoscopico di quello che senza dubbio alcuno era l'amore della sua vita. E forse lì capì finalmente anche il rapporto tra Albus e Jay. Lo capì come non mai, perchè lei quel fagottino ancora non lo aveva incontrato ma avrebbe già fatto qualunque cosa per lui. Non troverò mai le parole adatte per dirtelo ma.. per un istante se ne fregò di chiunque altri ci fosse nella stanza e senza esitazione disse solo « Sei il fottuto amore della mia vita, Albus Potter. » E lo era davvero. Perché non c'era una gioia maggiore che un uomo potesse dare a una donna.



     
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    Ognuno aveva dato a quel giorno un significato diverso, personale. Non c'era persona all'interno della loro famiglia che non vedesse quell'ecografia come un punto di demarcazione tra un prima e un dopo, una specie di spartiacque, come l'anno zero da cui poi si è iniziata a contare la progressione del tempo.Per Mun era l'inizio di un nuovo percorso, uno che la vedeva madre, coltrice di una vita appena sbocciata. Per Albus era la costruzione di un nido, di una famiglia di cui era fautore e protettore. Per Jay era il momento di passaggio tra un periodo in cui la gente non faceva altro che andarsene ad uno in cui invece si cementificava una stabilità tramite un nuovo arrivo. Poi c'erano i genitori, i nonni, i fratelli e i cugini, ognuno con la sua idea personale, ma tutti sulla stessa linea. I genitori in particolare: Harry e Ginny. Jay era il loro primo nipote, e lo amavano con un'intensità che andava oltre la luna e le stelle, ma era anche vero che della crescita del piccolo si erano persi praticamente tutto fino a quel momento. I coniugi Potter diventavano realmente nonni solo in quel giorno, e tutti quelli che l'avevano preceduto erano stati da loro usati per prepararsi a quel carico emotivo, per mettersi nell'ordine mentale che tutto stava per cambiare all'interno delle loro vite, e anche per accettare il fatto che ormai il loro bambino era cresciuto, ed era più padre che figlio. Nei giorni passati, i due avevano più volte preso da parte Albus, raccontandogli della prima ecografia che lo aveva visto protagonista, di come si fossero sentiti, di cosa avessero fatto. « Tu eri il nostro secondo bambino. Avevamo già Evie, e pensavamo di essere preparati a ripercorrere quei mesi che avevamo avuto modo di conoscere con lei. Quando hai un figlio, impari qualcosa di nuovo ogni giorno, e ogni giorno ti senti come se avessi ancora troppo di fronte a te per coprire l'intero piatto. Un figlio ti mette mille insicurezze, ma ti dà anche una sorta di marcia in più, tanto che quando ti guardi alle spalle, tendi a pensare di poter ormai padroneggiare tutto ciò che hai già vissuto. Pensi che la seconda volta sia più facile. E infatti noi a quell'ecografia ci siamo andati relativamente tranquilli, sapendo cosa ci attendesse e sicuri di poterlo gestire. Figurati, avevamo quasi paura di risultare troppo indifferenti! Poi il ginecologo ci ha fatto vedere te sul monitor, piccolo piccolo, con quel cuoricino che non era altro che un puntino battente, ma che risuonava forte e chiaro come un tamburo. Non te lo sappiamo spiegare, Albus, quanto forte sia stata l'emozione di vederti per la prima volta. Lo è stata con Evie, con te, con Olympia e con Sirius. Ogni volta era come la prima, ogni volta credevamo di poterla gestire, e ogni volta crollavamo puntualmente su noi stessi. Io mi misi a piangere quando ti vidi su quel monitor, e tuo padre fece lo stesse - non riusciva più a smettere, piangeva e rideva allo stesso tempo, e tra un singhiozzo e l'altro ti diceva "ehi, ciao piccolino". Me lo ricordo come se fosse ieri. E vorrei darti dei consigli, dirti qualcosa che ti prepari a come ci si sente, ma la verità è che preparato non lo sarai mai. Può essere il primo figlio come può essere il millesimo: l'emozione che provi è sempre la stessa, e forse solo il momento in cui te lo mettono in braccio per la prima volta può superarla. » E il bello di tutto ciò era che, sebbene Albus un figlio già ce l'avesse, quella era una prima volta tanto per Mun quanto per lui: una pietra miliare che avrebbero condiviso insieme, che sarebbe andata a cementificare ulteriormente quel rapporto di coppia già fortissimo. Per la prima volta nella propria vita, Albus si trovava di fronte a un percorso da intraprendere mano nella mano, un passo alla volta insieme alla persona con cui era ormai chiaro avrebbe condiviso la sua vita. E c'è davvero poco che ti possa preparare a un'emozione dal genere, al rendersi conto lucidamente di tutto queste cose. Perché almeno fino ad ora, Albus e Mun questi pensieri li avevano prodotti in maniera astratta e ideale, ma adesso, di fronte a quel monitor, tutto diventava improvvisamente reale e vivido, tangibile. Non più aspettiamo un bambino oppure la mia ragazza è incinta, quanto piuttosto saremo genitori. Cose che possono sembrare identiche tra loro, ma tra le quali si dispiega una differenza abissale. Un conto è abituarsi all'idea di avere un figlio, e un
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    conto è metabolizzare quella di orchestrare assieme una famiglia, di costruire una vita intera. "Eccolo.. com'è che lo chiamate? Fagiolino..Beh, fagiolino non è più propriamente un fagiolino ecco.." Fu forse quello il momento in cui, a un occhio esterno, la somiglianza formidabile tra Albus e Jay sarebbe apparsa più lampante del solito. Non si trattava solo di un mero fattore fisico, quanto di una vera e propria espressività, del modo in cui entrambi si avvicinarono col volto al monitor, sbattendo le palpebre come due bambini curiosi e sgranando gli occhioni azzurri di fronte a quell'immagine così difficile da decifrare ma al contempo così significativa. Le parole della dottoressa sembrarono quasi sbiadire in sottofondo, inaudibili alle orecchie di Albus, il cui mondo sembrò fermarsi su quell'immagine, su quel battito muto che vedeva ripetersi a ritmo regolare sullo schermo. "Guarda che testone! Proprio come il papà.." Uno scoppio di risa si infranse sulle sue labbra, affiorando dal suo volto arrossato e accaldato per il veloce montare di quell'emozione, segnalato dal succedersi caleidoscopico dei colori nelle sue iridi. Non riusciva nemmeno a parlare, ad articolare parole di senso compiuto che potessero spingere via quel groppo in gola che sentiva, quella sensazione che il cuore potesse esplodergli da un momento all'altro per quanto forte batteva, così forte da fargli girare la testa. Sarebbe potuto tranquillamente svenire se solo non fosse stato per quel reggersi l'uno all'altra che stava avvenendo tra lui e Mun. "Oh.. aspettate un secondo..credo che si stia succhiando il pollice." E lo vide. Riuscì a distinguere con chiarezza le linee del suo corpicino minuscolo, immaginandoselo dentro la pancia di Mun, ignaro del fatto che a pochi centimetri da lui suo padre stesse quasi per svenire dall'emozione. "Hai sentito Albus? Tuo figlio si sta succhiando il pollice.. sei felice?" Rise, ancora una volta, tirando su col naso mentre i suoi occhi si facevano mano a mano più lucidi, senza tuttavia riuscire ancora a proferire parola. Stava ancora elaborando, immagazzinando quel macigno così pesante da richiedere ben più di qualche minuto per essere realmente metabolizzato. "Nel complesso per l'età mi sembra sia tutto perfettamente nella norma. Lo volete sentire?" Istintivamente le dita di Albus si trovarono a stringere ancora più quelle di Mun. Si fece più vicino con lo sgabello, in modo da poter poggiare i gomiti sul bordo del lettino, stringendo la mano di lei con entrambe le proprie e portandosela alle labbra in trepidante attesa di sentire quel battito che tanto aveva cercato di immaginare nella propria mente. Il silenzio che seguì fu tremendamente lungo e assordante, lasciando il moro a trattenere il fiato come se si trovasse in apnea, prima che il primo battito risuonasse forte e chiaro. E nel sentirlo, fu il suo di cuore a fermarsi, lasciandolo senza respiro per qualche istante prima che il suono dei battiti successivi cominciasse a far sgorgare le lacrime dai suoi occhi, di istante in istante sempre più copiose. Quando il primo singhiozzo uscì dalle sue labbra, si ritrovò a coprirsele con le mani, quasi come se lo stupore lo avesse lasciato incredulo di fronte a una cosa così semplice come la certezza che nel grembo di Mun stava crescendo il loro bambino. Quello stesso bambino che non vedeva l'ora di conoscere, di stringere tra le proprie braccia e cullare nel sonno. Più ascoltava e più quelle lacrime scendevano sul suo viso arrossato, minacciando di non riuscire a fermarsi mentre nel suo stomaco sembrava volare un turbinio di farfalle impazzite. Ehi piccolino. Tu ora non sai che ti stiamo guardando, che ti vediamo per la prima volta e che non vediamo l'ora che anche tu ci possa finalmente vedere. Ma la mamma e il papà sono qui vicino a te, e ti vogliono così tanto bene..così tanto che non puoi nemmeno immaginare. Ancora non sei nemmeno nato e già ci hai fatto piangere. Ma non preoccuparti, piccolino, perché sono quelle lacrime belle, che vengono giù perché siamo tanto felici che tu stia arrivando. Il papà e la mamma non potrebbero essere più orgogliosi di così, perché hanno creato la cosa più bella del mondo e ne vanno tanto fieri. Così tanto che vorrebbero farti vedere a tutti quanti. Ma tu ancora questo non puoi capirlo, quindi non ti preoccupare: continua a riposarti nella pancia della mamma, perché a te ci pensiamo noi. E quando arriverai, ci troverai tutti qui ad aspettarti. Oh piccolino mio, se solo potessi spiegarti quanto hai reso felice papà senza dover nemmeno fare nulla; non credo che nessuno abbia ancora inventato le parole per descriverlo, ma ti basti sapere che ti amiamo tantissimo, più di qualsiasi altra cosa al mondo. "Sono una mamma.. Sono mamma.." A quelle parole portò finalmente lo sguardo imperlato di lacrime a Mun, annuendo man mano con sempre più vigore, come a volerle dare quella conferma che riempiva tanto il cuore di lei quanto quello di lui. "Sì." disse, con voce strozzata, a metà tra il pianto e la risata. "Sì." un'altra risata, sull'orlo di quella felicità vertiginosa che ti fa girare la testa quasi fossi ubriaco, costellata da baci che lasciava sul palmo della mano di lei. Sei la mamma del mio bambino. Tu, Amunet Carrow, mi hai dato un figlio. E cazzo, mi sento stupido perché lo sapevo già, ma lo sto realizzando solo ora. Siamo genitori. Io e te, insieme, di un bambino che abbiamo creato noi due e basta, tutto nostro. Un bimbo che ci assomiglierà, che ci chiamerà mamma e papà, che verrà a piangere da noi quando farà un incubo, che ci sorriderà con quella boccuccia sdentata e cercherà le nostre coccole. Quello è il nostro cucciolo. E noi siamo la sua mamma e il suo papà. Non credo che riuscirò mai a smettere di dirlo, o di pensarlo. "Sei il fottuto amore della mia vita, Albus Potter." E mentre altre lacrime copiose scendevano a rigare le sue guance, pian piano qualcosa cominciò a cambiare. In maniera lenta e fluida, a partire dalla radice fino ad arrivare alle punte, le ciocche scure del ragazzo iniziarono a mutare di colore, schiarendosi sempre di più fino ad assumere quel colore dorato con cui era venuto al mondo. Nemmeno se ne rese conto, quando con la voce strozzata si trovò a scuotere il capo in un moto di pura emozione. "Ti amo così tanto, Mun, così tanto..non puoi nemmeno immaginarlo." si ritrovò a dire, in un filo di voce rauca, guardandola dritta negli occhi prima di slanciarsi verso il suo viso, incorniciandolo con le proprie mani per stamparvi un lungo bacio. E quando si scostò, semplicemente non ci riuscì a non stamparvene un altro, e poi un altro ancora, in una scia infinita tra quel misto di lacrime e risate. Un quadretto a cui, ovviamente, anche Jay decise di voler partecipare, arrampicandosi alla bell'e meglio sul lettino per stringere le braccine attorno al collo di Mun e stamparle tanti piccoli baci sulla guancia. A quella scena, Albus non riuscì a fermarsi dall'emettere una risata, arruffando i capelli del bimbo con una mano prima di scoccare un bacio sulla sua testolina dorata.
    Ed è così, Fagiolino, che siamo diventati una famiglia vera: quando ti abbiamo visto per la prima volta. Eravamo uniti, sì, ma tu ci hai portato ancora di più insieme, legandoci stretti stretti uno all'altro senza alcuna intenzione di allontanarci più. E sicuramente arriverà il giorno in cui la mamma e il papà ti sgrideranno, o in cui litigherai con tuo fratello, ma anche in quei momenti non dovrai mai dimenticarti di quanto sei amato, di quanto sia bastato semplicemente il battito del tuo cuoricino per farci commuovere tutti. Qualunque cosa accada, Fagiolino, tu non sarai mai solo, non sarai mai lasciato da parte o dato per scontato, perché a ben vedere..questa famiglia l'hai creata tu più di tutti quanti.
     
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    Ecco tesoro mio, tuo papà mi chiese una volta quando ho capito di amarlo. Gli risposi che non lo sapevo con precisione. Non so se è stato qualcosa di effettivamente ragionevole e mirato, se ad un certo punto mi sono permessa di amarlo, oppure lo amavo anche prima seppur il mio cervello rifiutasse l'idea di faro. C'è tuttavia questo momento nella nostra storia. Tuo papà stava davvero male quella sera; ed io contro ogni logica non sono riuscita a frenarmi dal cercare di dargli conforto. Con queste cose non sono mai stata brava. Se me lo chiedi, non sapevo nemmeno di essere in grado di farle. Insomma, con l'empatia ho sempre pensato di fare schifo. Eppure, se lì c'era già qualcosa ai tempi, io non ho potuto frenarmi dall'esserci; in tutta onestà, con tutti i bei momenti che abbiamo passato insieme, probabilmente quello resterà nella mia memoria come il più triste ma anche il più bello di tutti. Il giorno in cui tuo papà se ne andò, è stato paradossalmente il mio più bel ricordo di lui per tanto tempo. Seppur non riuscissi a vederlo, accarezzargli il viso prima ancora che mi fosse concesso di farlo, è stata la cosa più meravigliosa ed esaltante che mi sia mai capitata dopo la notizia del tuo arrivo. Se mi chiederai un giorno il racconto di quei tempi, te lo racconterò per bene. Probabilmente a quel punto sarai abbastanza grande da capire il concetto di sacro e profano. Ecco, quello è stato il mio momento sacro e profano. Lì c'era il punto del non ritorno. Lo spartiacque tra ciò ero prima di tuo papà, e ciò che sarei potuta diventare insieme a tuo papà. A conti fatti, non credo fino ad ora di averlo mai amato come in quel momento. Seppur non me ne accorgessi, io lì lo amavo già. Perché quella forma di altruismo, a tratti di annichilimento totale, quella resa dell'orgoglio e quel deporre le armi, non può essere altro che sintomo di un affetto già bello che sbocciato. Sì, probabilmente per molto tempo, non l'ho mai amato come allora, perché, era la cosa più disinteressata al mondo. Non mi aspettavo niente in cambio, probabilmente in cuor mio ero certa che oltretutto lui si sarebbe sottratto a una mia qualunque forma di esternazione. Ma non l'ha fatto; non si è ritratto. Lì l'ho amato forse più che in qualunque altro momento, perché non esisteva alcuna forma di aspettativa. E pensavo che quel momento fosse insuperabile. A modo suo lo sarà sempre. Ma ecco, fagiolino, vorrei parlarti di quel momento in cui tuo papà ti ha sentito esistere per la prima volta. Quella luce nei suoi occhi mi ha fatto innamorare di nuovo da capo. Quello è diventato il mio nuovo momento preferito. La sua gioia ha riempito anche me di gioia, più di quanto riuscisse a farlo il mio stesso sentire. Ed è forse questa l'essenza dell'amore; un giorno lo capirai. Oh sì che lo capirai. Spero tu possa arrivare ad amare così tanto da godere più dell'altro che di te stesso, perché quella, amore mio, è la forma più pura d'amore che si possa dare e ricevere. Ed era bello. Così bello da toglierle il fiato. Quella gioia genuina che lasciava trapelare senza filtro alcuno la obbligò a gettargli le braccia al collo, incollando a sua volta le labbra contro quelle di lui. Si staccò solo per guardarlo ancora, osservarlo in quell'angelica versione di se stesso, non solo fisicamente esalata dai fili di grano maturo al posto dei capelli, ma anche e soprattutto grazie a quel luccichio multicolore che si dipanava nel suo sguardo. Colta alla sprovvista da Jay che le si gettò al collo a sua volta, strinse il suo corpicino al proprio petto, posando la guancia contro la sua testolina, continuando a fissare Albus con l'ammirazione e l'orgoglio che solo una persona realizzata poteva esprimere. Io vi amo da morire, entrambi. Non so nemmeno se sia possibile arrivare a raccontarvelo mai appieno. Ciò che voi mi avete offerto, è un tesoro inestimabile, che non smetterò mai di preservare e difendere a spada tratta. E Mun lo era davvero, realizzata, molto più di quanto sarebbe stata in grado di esserlo mai nel suo castello di carta, giù a Londra. Dopo essersi data quindi una sistemata, eccoli uscire tutti e tre dalla stazione medica, mano nella mano. Jay tipicamente in mezzo, Mun naturalmente stretta al braccio di Albus. « Ora lo plendiamo il gelato? » « Scherzi, topolino? Qui tutti e tre ci meritiamo la regina delle vaschette di gelato. » « Anche per fagiolino pelò. » « Ma certo! Fagiolino qui ha una voglia di gelato grande grande.. » Piccolo mio, potremmo mai stare meglio di così? Ai tempi non pensavo fosse possibile, eppure, scommettevo fosse solo questione di tempo prima di ricredermi. Di scatto ero diventata la persona più sfacciatamente fortunata sulla faccia della terra, e non mi vergognavo nemmeno di quanto in fretta la ruota era girata a nostro favore.

    Giugno, Inverness.
    « Come sta venendo? » « Onestamente è meravigliosa. Intendo dire.. è decisamente più di quanto immaginassi. Abbiamo così tanto spazio da non sapere cosa farcene. » « Tipico atteggiamento di chi ha il culo sporco. » Il commento di Evie la portò a scoppiare a ridere. Che Beatrice Morgenstern fosse in una situazione scomoda nei loro confronti, ormai lo sapevano anche i sassi. « Eveline! » « Scusa mà, io sono team Almun a vita. » « E' comunque una zona molto tranquilla, davvero bella. L'unica cosa è che non ho la più pallida idea di come funzionerà con i permessi. » « Si va beh, tu aspetta e spera che il Kapò ti lasci organizzare i barbecue coi parenti in giardino. » « Male che vada possiamo farlo accanto alla vostra casa sull'albero. » « Posso tentare di parlarci io. E' pur sempre una delle mie migliori amiche. » « Limpy, nostro fratello, la sua ragazza e i nostri nipoti stanno andando a vivere in un campo di concentramento. Non c'è niente da fare. » « Migliaia di anime in pena si stanno ribaltando nella tomba, Eveline Potter. » « Non voglio lamentarmi. E' davvero un bel posto.. staremo bene.. spero. » I discorsi tra le quattro si protassero per tutto il pomeriggio. Se qualcuno le avesse detto che prima o poi si sarebbe trovata a sorseggiare un succo di frutta attorno allo stesso tavolo con Ginevra, Eveline e Olympia Potter, si sarebbe chiaramente messa a ridere come se non ci fosse un domani. In realtà non ci era andata con lo specifico intento di perdersi in chiacchiere con loro, quanto col preciso obiettivo di scaricare Jay per un po' dai nonni. Era da tempo che Ginny e Harry si lamentavano del fatto che con quell'ennesimo trasferimento li vedevano troppo poco, e così, forte del fatto che, Ginny era ormai quasi più felice di vedere Mun di quanto non lo fosse nel vedere Albus, e convinta del fatto che le avrebbe fatto piacere avere la possibilità di farle l'ennesimo terzo grado sul suo stato di salute, si era offerta di portare lei stessa il bambino da loro, durante il turno di Albus. « A parte che mi dovete mandare delle foto di questa magnifica casa, ma poi, quindi, alla fine come gliel'ha chiesto. » A quella domanda Mun si strinse semplicemente nelle spalle con un moto di orgoglio. Oh, lei di Albus era sempre orgogliosa. A volte era schifosamente diabetica agli occhi degli altri, nel modo in cui pendesse dalle labbra del ragazzo, trovando ogni sua mossa semplicemente perfetta. Tutto nel momento giusto, nel modo giusto. « Non lo so.. davvero. So solo che un giorno è' tornato a casa e mi ha detto amore ho trovato casa. » E qualunque casa sarebbe stata meglio di quei due metri quadri in croce, in tre più due cani. Quindi, inevitabilmente ciò aveva risvegliato Mun da quel improvviso torpore dovuto alle preoccupazioni dalla mancanza di spazio dove lasciar crescere serenamente la loro dolce famigliola. « Disgustosamente appiccicosi. » Appunto. Fu l'unico commento logico di Evie a quel punto; reazioni del genere ne ricevevano più spesso di quanto si potesse pensare. Ma in fin dei conti, per quanto disgustosamente appiccicosi potessero sembrare, le cose, dal suo punto di vista erano andate così. Un giorno Albus era tornato a casa e le aveva detto fai i bagagli. A quel punto Mun non sapeva cosa aspettarsi, ma di certo di tutte le cose che poteva immaginare, quella specie di oasi era l'ultimo dei suoi pensieri. Un bella casa confortevole in legno e pietra, ricoperta quasi completamente di muschio, cosa che aveva fatto storcere leggermente il naso alla Carrow. Lo sai quanti insetti ci attira quella roba, Albus? Oh, Mun e gli insetti. Un thriller psicologico tutto ancora da scrivere. Se l'esterno si era guadagnato la sua diffidenza, gli interni l'avevano lasciata senza fiato. L'altra faccia della medaglia lasciava intravedere sul lato opposto della casa grandi vetrate luminosissime che catturavano la luce del tramonto tra le vallate delle Higlands, ben quattro stanze da letto, altrettanti bagni, un'ampia cucina e un salotto mozzafiato. Non mancavano le terme ricavate nel sottosuolo, una bella biblioteca colma zeppa di tesori inestimabili, un bel giardino perfetto per due bambini piccoli, immerso nel verde scozzese, e un paesaggio che si affaccia sul lago di cui Mun ne aveva sentito la mancanza sin da quando avevano lasciato la piccola casetta di Hogsmeade. Una casa da sogno, seppur decisamente troppo grande per le loro necessità, decisamente intima e accogliente, con quella tipica atmosfera tiepida, degna estrinsecazione del nido di una giovane coppia innamorella. Si era sentita come sollevata da un enorme macigno una volta srotolato il non indifferente inconveniente della casa, così, non appena vi avevano aggiunto i loro immancabili dettagli targati Mun e Albus, era diventata il nido perfetto. Con tutto quello spazio, tutti i loro effetti personali avevano trovato un posto ideale. I dischi, i libri, i loro ricordi, le foto, tutto quell'ammontare di cose necessarie per il loro piccolo fagiolino, così come la montagna di giocattoli di Jay. Ogni cosa aveva trovato il proprio posto all'interno di quella casa che avrebbero lentamente trasformato nel più bel tesoro che si erano conquistati, a forza di viverla giorno per giorno. Persino Arthas e Oliver avevano ora ognuno la propria cuccia, seppur il primo non sembrava poi molto convinto di quel confortevole posto tutto suo. Era felice Mun, estremamente felice di veder finalmente tutto incastrarsi al proprio posto, dopo un po' di mesi all'insegna di preoccupazioni e il correre di qua e di là come se non ci fosse un domani. « Ci andiamo vero, stasera.. » Di quel barbecue, organizzato dai più giovani tra i ribelli, Mun e Albus ne avevano davvero bisogno. Non ricordava l'ultima volta che avevano fatto qualcosa di prettamente sciocco e ascrivibile nella sfera delle cose che fa chiunque alla loro età. I geni del male dell'organizzazione erano niente meno che Evie e James, motivo per cui non c'erano dubbi sul fatto che ci sarebbe stato da divertirsi. Avevano dato notizia dell'evento un po' ovunque, tanto al Quartier Generale, che a Inverness e persino a Hogsmeade. Chiunque non fosse impegnato in qualche turno, era obbligato a esserci. James aveva accennato qualcosa al far sentire le nuove reclute un po' più a proprio agio. James Lupin.. sempre l'anima della festa. Immaginava fosse anche un modo per far collidere di più la realtà dei giovani di Inverness con quei sciagurati che vagavano giorno e notte per il castello di Cherry Island. Posto a metà strada tra le due realtà, doveva essere uno di quei momenti di aggregazione in cui si dava fondo alle riserve di alcol radunate durante una ronda specialmente organizzata per l'evento. Mun a un barbecue di quella portata non aveva mai partecipato, e seppur un tempo sarebbe stata piuttosto reticente all'idea di farsi divorare dalle zanzare per tutta una serata, aveva iniziato a conoscere abbastanza bene quasi tutti, a tal punto da avere davvero tanta voglia di passare un po' di tempo con loro, oltre che da sola con Albus, senza dover costantemente preoccuparsi di non farsi sfuggire da sotto gli occhi il piccolo Jay. « Potrei persino mettere qualcosa di carino.. » Sbuffò appena avvicinandosi abbastanza da soffiare sul suo collo con fare leggermente esasperato. « Potrebbe essere una delle ultime volte in cui i vestiti non mi scoppiano addosso. » Si solleva in punta di piedi per poggiare il mento sulla sua spalla. Si è messa l'anima in pace. Seppur non sembra essere lievitata particolarmente, l'hanno avvertita sul fatto che il peggio deve ancora venire. « Pensa.. Esme si è addirittura offerta di aiutarmi a scegliere qualcosa.. dal suo armadio. » Si stringe nelle spalle mentre lo guarda di sottecchi con un'aria ignara. « Te le ricordi le cose che mi ha prestato Esme vero? » [...] Le aveva dovuto spiegare, Esme, che quel barbecue era tutto fuorché formale e che se la parola d'ordine era integrazione, mettere su il tulle e i tacchi a spillo non era prettamente un'idea geniale. Poi c'erano i problemi di rito; questo è troppo lungo, questo è troppo strano, questo non va bene, con questo sembro mia nonna, quest'altro ha l'aria di essere uscita da una rivista di giardinaggio. E poi il classico, sono grassa. A sollevarla di morale era stato l'ammazza che zinne di Step, che non si era frenato dal far sapere a Mun che a dirla tutta, per lui, incinta ci poteva rimanere a vita. Ed effettivamente tolta l'idea stessa di non poter più mettere con così tanta facilità tutto ciò che metteva prima, Mun si sentiva radiosa. Le piaceva l'idea di quel pancino, le piaceva quel pallore radioso che aveva ripreso la sua pelle. I capelli più lucenti, cresciuti ulteriormente negli ultimi mesi, e un sorriso da un'orecchio all'altro che le donava quella tipica aria da schifosamente fortunata, sensazione che ormai si sentiva addosso ogni giorno un po' di più. Superati quei primi due mesi di affaticamento, mal di schiena e nausee mattutine, la strada era andata in salita. Ora poteva persino mangiare, oh e mangiava Mun, rispetto al suo tasso normale, e mangiava davvero di tutto. Continuava a non avere una grande predisposizione per il cibo spazzatura e i dolci, il che le permetteva di restare pressoché in forma, ma a dirla tutta, mangiava davvero di tutto e di più. Per fagiolino questo e altro, seppur a volte si sentisse a disagio, di fronte all'idea di non essere più la stessa di cui Albus si era innamorato. Alla fine, sotto l'attento occhio naturalmente formato sulle situazioni conviviali che non comprendevano champagne e caviale di Esme, Mun aveva optato per qualcosa di decisamente semplice. Il vestito seppur largo, lasciava intravedere quella bella rotondità del suo ventre che le dava sensazioni contrastanti. Da una parte la adorava, perché lì c'era il piccolo fagiolino, entrato a gamba testa nelle quasi sedici settimane, dall'altra, il suo ventre piatto le mancava. Per rendere il tutto più casual, al suo solito strafare con qualche dettaglio di troppo e una lunghezza inadeguata, ci aveva abbinato una camicia di flanella, perfetta per le fresche serate scozzesi. Ovviamente, la prediletta era la storica; quella che ormai nonna Molly non poteva certo più rivendicare come un pezzo rubato dall'armadio di suo nipote con una nota di rimprovero. Si erano dati appuntamento direttamente lì. E così, accompagnata da Esme e qualcun altro si era diretta verso il punto di incontro dove già un paio di bracieri erano pronti per friggere la carne procacciata probabilmente da qualche cacciatore esperto. Musica e buona disposizione erano la cifra distintiva di quella festicciola sulle rive del lago, a metà strada tra il quartier generale e Inverness. Qualcuno già pronto a tuffarsi nel lago, altri intenti a giocare a pallone, e alcuni ancora intenti a destreggiarsi nello scofanarsi già quintali di birra e stuzzichini vari. C'era un po' di gente nuova, alcuni di loro già conosciuti a Hogwarts, altri semplicemente volti nuovi. Aveva sentito che sempre più ex Auror si erano aggiunti alla causa. Avvicinatasi a uno dei tavoli delle bevande, decise di tirare fuori il cellulare dalla borsetta aprendo la chat di Albus.
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    "Manchi." Poi una serie di cuori e un selfie intenzionalmente scattato troppo dall'alto. Sì, avere di nuovo diciott'anni per una serata aveva il suo perché. Poi di scatto, la vista le venne oscurata. Scoppiò a ridere mentre posava a sua volta le mani sopra le mani del ragazzo. « Il mio misterioso cavaliere. » Si girò di scatto, pronta a gettargli le braccia al collo, ma quando riaprì gli occhi si ritrovò di fronte a una persona completamente diversa. Sollevò un sopracciglio con fare decisamente scettica provando già quel tipico fastidio del no scusa, non sei il mio bimbo. « Davvero? Ti sei già lasciata? » Un genuino sorriso le spunta sul volto mentre sospira con un che di decisamente gioioso. « Jared.. gufare è da veri stronzi. Piuttosto.. questo è decisamente l'ultimo posto in cui pensavo di vederti. » Jared era uno dei tanti operatori che lavorava nel centro di riposo in cui ci avevano spedito la sua amata Nana. Di tutti i posti del mondo, vederlo tra i ribelli, era decisamente una piacevole sorpresa. « Questo perché mi dai sempre per scontato, Carrow. Ammettilo, senza un camice sono decisamente più bello. » E io sono decisamente meno interessata che mai. A parte che al massimo dovrebbe essere il contrario? Il camice? Decisamente un sogno erotico che ha il suo perché. Ci aveva provato Jared a invitarla a uscire, più di una volta, nel tempo, ma se allora era decisamente poco interessata ai bravi ragazzi con una vita funzionale, al momento era decisamente disinteressata a chiunque. Sorrise con gentilezza abbassando lo sguardo leggermente mortificata da quella non poi tropo implicita accusa. Quasi istintivamente si accarezza il pancione. « No comment. » « E tu sei.. decisamente più incinta di quanto pensassi. Ma resti bellissima. Anzi lo sei ancora di più. » Va beh ok, due complimenti due, non faranno del male a nessuno. Tra un po' non li riceverò comunque più perché sarò troppo grassa persino per rotolare giù dal letto. Si stringe nelle spalle con naturalezza, senza sapere precisamente cosa replicare in proposito. « Il tuo misterioso cavaliere ti lascia andare in giro da sola? Grave errore. » « No.. è qui da qualche parte. » E infatti lo cerca per un istante con lo sguardo. « Beh magari mentre non c'è, posso approfittarne per offrirti qualcosa da bere - analcolico, chiaramente. » E dicendo ciò le posa una mano sulla spalla, conducendola verso il tavolo più vicino offrendole un succo di frutta mentre le racconta le novità. Non ha nemmeno bisogno di intervenire più di tanto. Jared è uno che fa tutto da sé. Logorroico a dismisura parla e parla, mentre Mun di tanto in tanto getta uno sguardo in giro, alla ricerca della sua persona preferita. E alla fine lo vede. I suoi occhi incontrano quelli di lui e il sorriso si fa istintivamente più radioso. Ciao, sembra dirgli con uno sguardo implorante. Aiuto. Mi sta uccidendo la serata. E dopo qualche istante, a perdersi nel suo sguardo, torna dal suo interlocutore sorridendo e annuendo in attesa che finisca il concetto per congedarsi educatamente. Ma niente da fare. Justin continua a parlare prendendosi quella tipica confidenza amichevole che in realtà non hanno mai avuto.




    Edited by blue velvet - 13/6/2018, 12:29
     
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    Giugno, Inverness
    Da quando si erano sistemati a Inverness, inevitabilmente i nervi di Albus avevano iniziato a distendersi, rendendogli più semplici anche le stesse cose che aveva fatto sino al giorno prima. Era più tranquillo, meno stressato, più disponibile nei confronti di tutti e, soprattutto, più organizzato. Con l'appoggio di una casa con la c maiuscola, tutto il resto veniva molto più fluidamente, e di certo non si andava a creare l'effetto claustrofobico di tre persone e due animali all'interno di una sola stanza - grande, ma pur sempre una stanza. Tuttavia il vivere distaccati dal resto della famiglia non aveva impedito alla stessa di tenersi comunque in contatto costante con loro: ogni giorno che Dio mandava in Terra, qualcuno era pronto a bussare alla porta di casa loro per questo o quest'altro motivo, anche se spesso e volentieri i blocchi di Inverness frenavano chi fosse al di fuori del nucleo branco-sin eater. Inutile dire che i suoi genitori non avevano preso molto bene la cosa, tanto da arrivare a mettergli il muso e lamentarsi del non sentirsi sufficientemente inclusi nella vita del nipote. Alla fine Albus aveva ceduto, pur con qualche rimostranza di Jay, a lasciare il bambino dai nonni per il finesettimana; in fin dei conti, anche lui ne aveva bisogno, e non poco. "Quando torni?" gli aveva chiesto il bimbo, con lo zainetto colmo di effetti personali sulle spalle e il dinosauro peluche stretto forte al petto. A quella domanda, Albus si era piegato sulle ginocchia, sorridendogli nel lasciargli una carezza sul viso. "Lunedì mattina. E' tra pochissimi giorni, vedrai che il tempo ti passerà veloce come la luce insieme ai nonni." disse, per poi scoccare un'occhiata ad Harry e Ginny, in piedi alle spalle del piccolo "Papà li conosce fin troppo bene: come minimo ti faranno fare tutto quello che vuoi, anche le cose che io gli ho espressamente vietato." Tipo succhiarti il pollice, bere la coca cola, fare merenda col gelato e farti guardare i cartoni animati durante i pasti. In fin dei conti, Ginny era stata chiara fin dall'inizio con il figlio: i nonni hanno il diritto e il dovere di viziare i nipoti, sono i genitori a doverli educare. Parole che gli erano state dette sin dalle prime rimostranze del ragazzo, quando si era fatto sentire a gran voce sul fatto che a lui, da piccolo, tutte quelle cose fossero proprio loro per primi a vietargliele. Inutile dire che presto aveva iniziato a sentirsi come lo sbirro della situazione, cosa altamente paradossale per uno come lui, che le regole non le aveva mai seguite - figuriamoci dettarle e farle rispettare! Ma ahimè, queste erano cose che venivano col suo status di padre, e c'era davvero poco che potesse fare a riguardo. Ciò tuttavia non sembrava cambiare il fatto che Jay avrebbe nettamente preferito rimanere con lui e con Mun piuttosto che passare un fine settimana in totale libertà assieme ai nonni. La faccetta del bimbo sembrava infatti poco convinta da quelle parole, ma suo malgrado, si avvicinò comunque per stringere il papà in un forte abbraccio. "E comunque ti chiamerò tutti i giorni, promesso. E per qualsiasi cosa, se hai bisogno di me o vuoi solo sentirmi, basta che lo dici ai nonni, va bene?" Il biondino annuì mestamente, lasciando la presa su di lui prima di farsi più vicino ad Harry e Ginny. Una volta arrivato da loro, si voltò verso Albus, sventolando la manina a mo' di saluto. In tutta risposta, sul fiore di una risata, il ragazzo imitò il suo gesto, lanciandogli poi un bacio schioccato. "Divertiti, amore." A quel punto si rialzò in piedi, stampando un bacio sulla guancia della madre e stringendo il padre in un abbraccio veloce. "Mi raccomando.." "Albus, vai via! I figli li abbiamo cresciuti prima di te, non abbiamo bisogno di istruzioni." Wow, grazie per la considerazione, mamma! [...] "Ci andiamo vero, stasera.." Con l'arrivo del bel tempo, ovviamente James e Evie non si erano fatti sfuggire l'occasione di organizzare un barbecue - probabilmente il primo di molti altri. Una fissa di James, questa degli eventi d'aggregazione: lo aveva sempre fatto sin dai tempi della scuola, quando la comodità di avere casa ad Hogsmeade l'aveva reso uno degli studenti più popolari al castello proprio per la quantità a dir poco smodata di feste che aveva la possibilità di organizzare..per la felicità di nonna Tonks. Chiaramente il cugino non gli aveva lasciato via da scampo, mettendolo letteralmente con le spalle al muro durante il loro turno di ronda e obbligandolo a partecipare al barbecue. Normalmente avrebbe accampato la scusa di Jay, ma in mancanza di quella, c'era stato ben poco che lui potesse dire o fare per sfuggire alle grinfie del giovane Lupin e alla sua voglia di baldoria. Proprio come ai vecchi tempi, aveva detto, solo che stavolta hai pure la certezza che a fine serata scopi sicuro..meglio di così si muore. E infatti, alle parole di Mun, Albus si mise quasi subito a ridere. "Non penso di avere tanta scelta, sai? James sarebbe capace di bypassare le misure di Inverness pur di prendermi per le orecchie e trascinarmici di peso, quindi.." Ma se James sapeva essere convincente, di certo Mun sapeva esserlo ancora più di lui. "Potrei persino mettere qualcosa di carino.." parole che provocarono in lui un discreto mugolio di approvazione e un sopracciglio sollevato con fare piuttosto eloquente, avvolgendole la vita con le braccia. "Mmh..hai la mia attenzione." "Potrebbe essere una delle ultime volte in cui i vestiti non mi scoppiano addosso. Pensa.. Esme si è addirittura offerta di aiutarmi a scegliere qualcosa.. dal suo armadio. Te le ricordi le cose che mi ha prestato Esme vero?" Non visto, sorrise a contatto col suo collo, posandovi un bacio leggero. "Indimenticabili." Le schioccò dunque un altro bacio prima di abbottonarsi l'ultimo bottone rimasto della camicia e allontanarsi da lei con un veloce occhiolino per dirigersi verso la porta di casa con meta Quartier Generale. "Allora a stasera, suppongo." disse, squadrandola da sotto le ciglia con aria maliziosa "Conterò i minuti."
    SED1Krm
    E lo fece davvero, più che altro perché quel pomeriggio la trafila all'Ordine sembrò andare molto più lentamente del previsto, con un'esercitazione piazzata a sorpresa dalla Morgenstern. Nel momento in cui lo venne a sapere, rimpianse immediatamente di aver dato la propria disponibilità per la giornata, ma suo malgrado gli toccò presentarsi al campo di addestramento e passare ore e ore all'interno di una simulazione che lo fece uscire sudato come ben poche volte in vita sua. Una volta finito e ripreso finalmente in mano il cellulare, un sorriso spuntò sul suo volto nel vedere la foto che Mun gli aveva mandato, accompagnata da un semplice "Manchi.". Si passò una mano tra i capelli sudaticci prima di digitare velocemente "Faccio un salto a casa. Doccia veloce, mi cambio e arrivo." Abbinò il tutto a un veloce selfie, tanto per mostrarle il bagno di sudore in cui si trovava e il modo in cui il suo viso e i suoi indumenti si erano completamente sporcati di terra. Riprese poi a digitare con un sorriso "Maledetti Vietcong!" e ancora una volta "Immagino che la prospettiva della tua foto fosse voluta. Sarò rapido ; )". D'altronde era un po' dall'inizio di quella giornata che la sua dolce metà aveva iniziato a stuzzicarlo, facendo scattare in lui quella malizia intrinseca che ora, a casa completamente sgombra, poteva di certo estrinsecare in maniera meno accorta, senza preoccuparsi di dove fosse Jay o di castare un muffliato. Non sapeva quanto tempo fosse passato dall'ultima volta in cui aveva potuto davvero spegnere quella parte del suo cervello che lo portava ad avere come primo pensiero la premura nei confronti del bambino; ormai era diventata una seconda natura, un modo di pensare che si era presto innestato come un'abitudine, e che dunque nemmeno gli risultava particolarmente pesante. Avveniva e basta, e sapeva come muoversi di conseguenza. Ora, però, lasciato totalmente a briglia sciolta, le libertà che poteva concedersi erano nettamente maggiori, e sarebbe stato piuttosto semplice leggere sul suo volto la ferma decisione a sfruttare quel raro evento fino in fondo. Tenendo fede alle proprie parole, Albus fu effettivamente veloce nei propri preparativi: dieci minuti in doccia, cinque per asciugarsi i capelli, tre per vestirsi. Già, ben tre minuti piuttosto che i soliti due. Perché? Perché un minuto fu il tempo che ci mise a risolvere il conflitto interiore tra un lato e l'altro di se stesso: quello che voleva semplicemente stare comodo e buttarsi addosso le prime cose a tiro, e quello che un piano per la serata già ce l'aveva. Alla fine, vinse il secondo, e finalmente il ragazzo uscì di casa con un paio di pantaloni neri e una camicia bianca piuttosto elegante arrotolata fino ai gomiti e sbottonata al punto giusto. Che uomo professionale! "Wooo, mi scuuuuusi! La devo chiamare Signor Potter e darle del lei? Come ha chiuso la London Stock Exchange stasera?" fu, non a caso, il commento di un James in t-shirt e grembiule Kiss the Cook, alla vista di quell'outfit decisamente atipico per Albus. "Cosa le posso servire? Filetto al pepe verde e uno scotch on the rocks? Oppure un martini?" Ironia a cui fu direttamente proporzionale l'alzata di occhi al cielo con cui l'ex Serpeverde rispose. "In realtà sto cercando di conquistare Watson. Sia mai che è la volta buona!" disse, con tono di evidente sarcasmo, mentre il suo sguardo vagava tra la folla alla ricerca di Mun, senza ottenere risultati. "Pessimo. Non ti è bastata nemmeno la riccona. Ora devi avere il re dei ricconi, per giunta pure col palo nel culo. Farai la fine di Icaro, bro, te lo dico." A quel punto Albus si limitò semplicemente a ridere, scuotendo il capo e cambiando discorso. "Hai visto Mun?" "Mmh..sì. Dovrebbe essere lì al bar insieme a un amico suo." A quelle parole, l'espressione del moro si fece immediatamente più seria, saettando come una vipera sul volto di James. "Chi?" "Non lo conosco, è uno nuovo." E bastò questo per far partire Albus di gran carriera in direzione del bar. "AL, PRIMA DI FARE LIAM NEESON SU TAKEN, PASSAMI ALLA CONSOLLE E ATTACCA PLAY THAT FUNKY MUSIC." Ma come al suo solito, il ragazzo decise di fare di testa sua, optando per un'altra canzone: Keep Your Hands to Yourself. Fu solo a quel punto che gli sguardi di Mun e Albus si incrociarono per la prima volta dal suo arrivo, facendo scattare sul volto di lui un sorrisino sornione piuttosto equivoco prima di lavarselo dalla faccia velocemente e avvicinarsi al bancone bar a sua volta. Una volta lì, il suo animo teatrante ebbe la meglio, portandolo sulle prime a ignorare quasi del tutto lo sconosciuto interlocutore di Mun per avvolgerle un braccio attorno alla vita, stringendola al suo fianco e stampandole un bacio anche un po' troppo lungo sulle labbra. "Perdonami. La Morgenstern oggi ci ha messi sotto torchio." disse piano, quel tanto che bastava ad essere udibile anche dall'altro, sì, ma solo a malapena. Tanto per farlo sentire un altro po' terzo incomodo. Solo a quel punto si comportò come se si fosse appena accorto della sua presenza, allungando una mano per stringere quella del ragazza. "Oh scusa. Io sono Albus..il papà." su quelle ultime due parole, la cui ambiguità avrebbe compreso solo Mun, scoccò una velocissima occhiata alla ragazza, talmente veloce da risultare quasi impercettibile..innocente ad un occhio esterno, ma che l'intensificarsi della pressione attuata dalle sue dita sul fianco di lei rese piuttosto palese a chi di dovere. "Aah, allora sei tu il fortunato." Ne sembri quasi deluso, piccola merdina. "Io sono Jared, comunque. Piacere di conoscerti." E puntualmente arrivò il sorrisino finto come una banconota da tre galeoni..da entrambe le parti. "Il piacere è tutto mio. Grazie mille per averle tenuto un po' compagnia mentre non c'ero." Tradotto: ora puoi anche toglierti dalle palle, sciacallo! Mio Dio, la lascio sola per cinque minuti e subito si abbatte la piaga delle locuste. Jared parve cogliere al volo l'antifona sottintesa, annuendo tra sé e sé con una certa mestizia latente, prima di battere in ritirata assieme al suo drink. "Beh, è stato bello ritrovarti, Mun..e conoscerti, Albus. Spero di recuperare presto tutto il tempo perduto. Intanto vado a recuperare quello perso al buffet." Simpaticone che sei, Jared! Risata finta: fatto. "Ci vediamo in giro. Buona serata, ragazzi!" "Anche a te. Ah, e benvenuto nei ribelli." Un cenno del capo fu il muto ringraziamento che l'interlocutore gli rivolse prima di dare le spalle a entrambi, lasciandoli finalmente da soli e dando così il modo ad Albus di voltare lo sguardo verso Mun, sollevando un sopracciglio a metà tra il contrariato e il divertito. "Dieci minuti. Dieci. E' l'arco di tempo in cui ti ho lasciata sola qui. E già cominciano a piovere i Jared?" Scosse il capo. "Non ci siamo proprio." Detto ciò si voltò verso il barista, facendogli segno di servirgli un bicchiere di incendiario, che prontamente arrivò nel giro di pochi secondi. Ne buttò giù un sorso relativamente generoso prima di cominciare a guardarsi intorno, ricollocando nello spazio il punto in cui James dava sfoggio della propria maestria al barbecue, quello in cui si trovava il buffet con le altre pietanze e infine i posti a sedere liberi tra le varie tavolate. Si prese qualche istante per riflettere sull'itinerario da seguire, sorseggiando di tanto in tanto il proprio bicchiere fino a svuotarlo. A quel punto, giunto a una conclusione, poggiò il contenitore vuoto sul bancone, sospirando e voltandosi verso la Mun che aveva volutamente ignorato durante la sua pausa di riflessione. Con un movimento fluido la attirò meglio a sé, avvolgendole i fianchi con entrambe le braccia e utilizzando la scusa di scoccarle un bacio tra i capelli e del ritmo a cui ballare per dirle alcune parole all'orecchio, ulteriormente sovrastate dalla musica, in modo che solo lei potesse sentirle. "Adesso non posso punirti perché siamo in mezzo alla gente e non sarebbe proprio il caso, quindi faremo i conti a casa, però.." e lì si ritrovò a sorridere sardonico, inumidendosi le labbra secche dalla sola pregustazione di quell'idea che gli era balenata in testa. "..nel frattempo faremo così. Appena finisce questa canzone, io prenderò da mangiare e da bere per entrambi, e troverò un posto a sedere. Tu, intanto, andrai nel primo bagno a tiro, ti toglierai le belle mutandine che sicuramente ti sei messa, e me le riporterai. Poi, da brava bambina, ti metterai a sedere sulle mie ginocchia e mangeremo come se nulla fosse. Intesi?" Detto ciò si scostò dal suo orecchio per mostrarle un piccolo sorriso dalle fattezze tanto tenere quanto innocenti e, preso il suo mento tra due dita, poggiò un leggerissimo bacio sulle sue labbra, coronandolo col tono più dolce e soffuso che avesse nell'aggiungere "Comportati bene." prima di allontanarsi in direzione del barbecue.
     
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    E' comunemente risaputo che c'è chi vive allo sbando, si gode la vita giorno per giorno come se fosse l'ultimo, e c'è chi invece ha bisogno di un'estrema scansione delle proprie abitudini. In mezzo a questi due estremi rimedi di raffronto con la quotidianità ci sono una serie infinita di declinazioni di stili di vita più o meno condivisibili. Se dovessimo collocare Mun in mezzo a questa scala di calcoli più o meno millimetrici di qualità di vita, dovremmo sicuramente collocarla nel punto massimo di rigidità, là dove per molti anni della sua esistenza ogni mossa del suo vissuto doveva necessariamente essere in qualche modo ingrigliato. Di quella precisa collocazione degli eventi ne è rimasto ben poco al momento, e Mun, costretta ormai a lasciarsi trascinare in un mondo incostante, colmo di imprevisti, ha sofferto a modo suo non poco della mancanza di sistematicità e disciplina. Da sempre, la piccola Carrow ha subito un sistema di regolazione e autoregolazione che l'hanno convinta fosse il metodo più efficace per ottenere il successo, tanto nella sua carriera scolastica quanto nei rapporti col prossimo. Ogni cosa aveva una propria logica, ogni cosa era perfettamente strutturata su una precisa legge fisica da cui ne derivavano le relative cause e concause. Vedersi togliere tutta quella terra da sotto i piedi, era stato insomma complicato, e l'aveva costretta a un girone di incertezze e insicurezze non indifferenti. C'erano infatti persone, tra coloro che la conoscevano anche prima del lockdown, che si erano chieste, come la ex regina delle serpi, si fosse ridotta a quella ragazzina imperniata da diffidenza e incertezza, di timidezza e addirittura rifiuto della socialità. Socievole in realtà non lo è mai stata; dava l'impressione di esserlo, ma le persone non le sono mai piaciute. Quanto a tutto il resto, il cambiamento era dovuto soprattutto all'inadeguatezza verso quel nuovo mondo su cui si era affacciata. Mun, sicura di se stessa lo è stata finché si era trovata nel suo elemento naturale, nella sua confort zone. Emersa oltre quella linea grigia, era stata costretta davvero a uscire e vivere.. e come aveva prospettato lo stesso Albus, era a tratti davvero terrificante. L'unico anello di congiunzione rimastole tra il vecchio e il muovo mondo era stato di conseguenza lo stesso Albus. La sua spalla, il suo pilastro per eccellenza, l'unica persona di cui si fidasse e su cui era diventato inevitabile infrangere sempre di più le sue insicurezze. La predisposizione naturale del ragazzo al prendersi cura di lei già prima che il loro mondo cambiasse ancora una volta, aveva portato Mun a impostare con il ragazzo un rapporto di codipendenza che faceva da perno contro il crollo di tutte le sue sicurezze; un crollo che più che sicuramente l'avrebbe gettata inevitabilmente in una crisi esistenziale senza precedenti. L'aveva già vista sbocciare, quella crisi identitaria, quando era rimasta bloccata nel castello; quel momento l'aveva superato in parte solo quando era stata distratta da altro, altri problemi, altri grattacapi da risolvere, altre situazioni da sistemare. Che soffrisse di un leggero accenno di disturbo ossessivo-compulsivo era intuibile già a distanza, dal modo in cui ordinava ogni ambiente in cui si trovasse, dal modo in cui tutto doveva essere perfettamente sistemato. Era visibile nel modo in cui aveva affrontato la sua gravidanza - con una preparazione sistematica ad ogni eventuale imprevisto. Ed era intuibile anche e soprattutto dai suoi comportamenti; il modo in cui mangiava, in cui si vestiva, il modo in cui ogni suo movimento, anche in quell'ambiente altamente informale risentiva dei più alti standard del galateo. E poi c'era il suo rapportarsi ad Albus, sempre intenta a ricercarne le attenzioni, a catturarne il sorriso, a cercarne l'approvazione e il compiacere. Era inebriata dal suo benessere, dalla sua serenità, dai suoi gesti più semplici. Lo cercava; ovunque fosse se si trovavano nello stesso posto, i suoi occhi erano su di lui. Le sue attenzioni erano tutte per lui, in un rapporto che aveva del soffocante agli occhi dei più e che pure, nel loro amore malato, sembrava fosse l'unico equilibrio che i due riuscissero a impostare come proprio. E per questo, quando apparve nel suo campo visivo, di fronte al sorriso di lui, la sua attenzione verso Jared venne meno. Prese ad annuire assente, sempre meno interessata alla conversazione, riuscendo quasi a contare i secondi che la separavano dal vederlo raggiungerla per salvarla da quella situazione che ormai le appariva quanto mai scomoda. Un saluto più caloroso del solito fu il primo campanello d'allarme che la costrinse a sorridere stranamente compiaciuta sulle labbra del ragazzo, prima di strofinare il nasino contro la sua spalla. « Perdonami. La Morgenstern oggi ci ha messi sotto torchio. » L'ho notato. Fu il primo pensiero mentre il ricordo della sua foto affiorava nella sua mente. Una giornata intensa che aveva dato il via a una serie infinita di silenziose promesse e un'attesa a tratti alimentata masochisticamente da entrambi. Oh sì, Albus e Mun nel dolore dell'attesa ci hanno sempre sguazzato sin dagli esordi della loro complicata intensa. « Per quanto mi riguarda, la Morgenstern può metterti sotto torchio quanto vuole, se questi sono i risultati. » E dicendo ciò massaggiò appena per qualche istante il suo addome mostrandogli dispettosa la linguaccia. Tutto sommato ha i suoi lati positivi tutto questo sudare.. oltre al sudare stesso. « Oh scusa. Io sono Albus..il papà. » E solo a quel punto si ricorda che effettivamente non sono soli. Non era una mancanza di rispetto la sua, non era nemmeno un voler necessariamente sbattere in faccia al mondo tutto quanto fosse innamorata del suo uomo. Semplicemente, con Albus, l'alienazione era sempre dietro l'angolo e dimenticarsi di essere nelle celle di un castello infestato, in mezzo a una guerra, a una festa o in una stanza claustrofobica era decisamente facile. Lo guardava negli occhi e l'incantesimo partiva, e volente o nolente più che arrivare all'assuefazione, sembrava diventarne dipendente ogni giorno sempre di più. E avrebbe anche provato imbarazzo nei confronti dell'evidente terzo incomodo a quel punto della storia, se solo la presa di Albus non si fosse fatta decisamente più salda sul suo fianco, nel annunciare a Jared il suo ruolo nella vita di lei. Si schiarì istintivamente la voce, posando a sua volta la mano, sulla stretta di lui, mentre arrossiva leggermente nel sorridere a Jared con una radiosità che al momento manteneva salda con non poche difficoltà. E' davvero necessario marcare il territorio con uno che io per prima non vedo l'ora di veder sparire? A giudicare dal comportamento di Albus, era chiaramente necessario, e lei non si oppose, ascoltando piuttosto quel veloce scambio imperlandolo con qualche sorriso qua e là a sguardo basso. Stava quasi contando sull'orologio i secondi che la separavano dal momento in cui quel suplizio sarebbe finito, perché in fin dei conti, lei il suo bimbo non lo vedeva da tutto il giorno, e quella sera lo voleva tutto per sé, cosa che, a ben guardare non succedeva nemmeno poi così spesso. Quando infine Jared si dileguò, sospirò profondamente voltandosi verso di lui non riuscendo a reprimere quella leggera risata cristallina che fuoriuscì dalle sue labbra. « Dovevi per forza eh? » Gli chiese quindi sollevando un sopracciglio con un'espressione decisamente maliziosa. La personificazione del fastidio. Proprio quella. « Dieci minuti. Dieci. E' l'arco di tempo in cui ti ho lasciata sola qui. E già cominciano a piovere i Jared? Non ci siamo proprio. » Ti prego continua a essere geloso. Sei così carino che mi fai male. E infatti non riuscì a reprimere quell'ammirazione che derivò dal vederlo infastidito, seppur decisamente divertito. E io che pensavo fagiolino li avrebbe portati a fare retromarcia. « Beh, comunque se continuano a piovere anche le buone notizie insieme ai Jared, a me va bene. » Iniziò giocherellando distrattamente con la sua mano prima di scuotere la testa pronta a spiegarsi alla velocità della luce, in anticipo a qualunque eventuale conclusione frettolosa di un Albus decisamente istintivo di suo. « Dice che forse lavorerà con la gente qui per mettere su un centro di assistenza per gli anziani. » Il suo sorriso si fece improvvisamente più tenero e pensoso. « Potrei portarci Nana qui.. così tu, Jay e fagiolino potreste conoscerla. » Ed io avrei finalmente un pezzo di me qui. Un pezzo seppur piccolo di famiglia. E di lei, Mun ne aveva parlato spesso, tanto ad Albus quanto a Jay. L'unica vera figura materna che aveva conosciuto, che le aveva insegnato così tante cose, che l'aveva aiutato a comprendere i processi più semplici della vita.. la figura che qualunque bambino dovrebbe avere per non sentirsi completamente allo sbando. Tra l'altro, era storia nota il fatto che la Nana avesse predetto l'arrivo di fagiolino, senza tuttavia disturbarsi di farlo presente anche a Mun. Gli farai una bella sorpresa, le aveva detto; non sa se si riferisse al fatto che stava tornando per il suo compleanno o al fatto che stavano tornando in due, ma a conti fatti, la piccola Carrow voleva propendere ,per una questione puramente affettiva, per la seconda. Solo allora, alzando gli occhi nella sua direzione si rese conto che non la stava ascoltando. E a quel punto eccola incrociare le braccia al petto pronta a mostrargli un'espressione offesa. Se ti sei perso dietro al culo di qualche bionda secca, guarda come finisci nel lago. « Bimbo.. io sono di qua.. » Subito a mettere le cose in chiaro, la Carrow si gira a seguire la direzione del suo sguardo, ma non capisce. A quel punto le viene il dubbio che la situazione con Jared possa avergli davvero dato fastidio. « Sei arrabbiato con me? » Ma prima che possa continuare su quella scia, è lo stesso ragazzo a palesare le proprie intenzioni, attirandola ulteriormente a sé, portandola istintivamente a posare le mani sulle spalle di lui, e poi in un tragitto veloce su fino alla sua nuca. « Adesso non posso punirti perché siamo in mezzo alla gente e non sarebbe proprio il caso, quindi faremo i conti a casa, però.. nel frattempo faremo così. Appena finisce questa canzone, io prenderò da mangiare e da bere per entrambi, e troverò un posto a sedere. Tu, intanto, andrai nel primo bagno a tiro, ti toglierai le belle mutandine che sicuramente ti sei messa, e me le riporterai. Poi, da brava bambina, ti metterai a sedere sulle mie ginocchia e mangeremo come se nulla fosse. Intesi? » L'inaspettato senso di ordine e disciplina. Eccolo. Scatta come una molla prima ancora che lui abbia finito di parlare e quasi in un moto di improvvisa religiosità alla questione, riporta le mani lungo i fianchi sospirando profondamente a metà tra l'intrigo e la frustrazione. Annuisce quindi a sguardo basso mentre deglutisce affondo, non riuscendo a controllarsi dal non mordersi il labbro inferiore. « Comportati bene. » « Si ma non ho fatto niente.. » Ma prima che possa aggiungere altro, è rimasta da sola. Lo guarda allontanarsi, mentre istintivamente un sorriso piuttosto equivoco si staglia sul suo volto nel osservarlo muoversi tra la gente finché non sparisce dal suo campo visivo. E a quel punto sospira profondamente, appoggiandosi al bancone quasi cercasse di capire il da fare. « Tutto apposto? » Una ragazza incinta, a sguardo basso e un'espressione decisamente sconvolta. Facilmente può passare per malessere. « Perché? » « Sei un po' rossa in volto. Se non ti senti bene, posso cercarti qualcuno al volo. » Va beh, abbiamo toccato il fondo, bimbo. « Ce l'hai del ghiaccio? E un bicchiere d'acqua. » Scuote la testa. « ..no.. non va nell'acqua. » Serve a non farmi sembrare una completa deficiente.
    Chissà cosa avrà pensato il barista quando ha chiesto di avvolgere i cubetti di ghiaccio in un panno che si era stampato di scatto sulla guancia e poi sulla fronte, sorridendogli con naturalezza. Ordinaria amministrazione a casa Potter-Carrow. Dover calmare gli spiriti. La cosa peggiore è che aveva iniziato a capire Mun, che Albus intuiva potesse approfittarsene più del solito del suo stato interessante. Quel tripudio di ormoni sballati era pane per i suoi denti. Immaginava di meritarselo dopo un po' di tempo in cui non era stata in vena di poi tanto affetto, e così ecco che il peggio di Albus Potter fa nuovamente capolino nel momento in cui chiaramente Mun si sente nella sua forma più smagliante. Ed effettivamente a guardarsi allo specchio nel bagno, si sente stranamente fiera di se stessa; quel leggero rossore nelle guance, gli occhi brillanti di gioia, il volto leggermente più pieno, le curve ammorbidite dall'ormai visibile presenza di fagiolino, i capelli che ricadono in cascate di lucenti onde lungo le esili spalle. Nessuna cagna può competere con te, Amunet Haelena Carrow. Qui dentro c'è fagiolino che ti rende la donna più splendete di quella festa. E con quella comprovata consapevolezza, dopo aver eseguito quanto le è stato richiesto, decide di alzare la posta in gioco. Si raccoglie i capelli in una coda alta, si lega la camicia in vita appena sopra il pancione lasciando scoperte le spalle e il decolté, così da lasciare di conseguenza che il morbido vestito accentui tanto il pancione quanto il seno più prosperoso. Infine mette su il rossetto che Esme le ha preventivamente prestato per la serata - soprannominato dalla stessa color sgualdrina. Un rosso scuro che s'intonava meravigliosamente tanto al suo incarnato pallido quanto agli occhi di ghiaccio. Una risposta più che ovvia alla provocazione lanciatale in precedenza. Renderò giustizia al tuo desiderio di punirmi. Perchè se quella era la premessa della serata, il giovane Potter doveva quanto meno avere una giusta motivazione per renderle ciò che le ha promesso. La punizione è una risposta naturale a un comportamento sbagliato. Completato il processo, s'immerge nuovamente nella folla, iniziando a cercarlo con lo sguardo in mezzo ai tavoli, per individuarlo poco dopo, seduto - come volevasi dimostrare - in bella vista ma da solo. S'inumidisce istintivamente le labbra mentre gli rivolge un sorriso colmo di sottintesi. Un sorriso fiero, che preannuncia già il fascino del proibito; ho fatto come mi hai chiesto è chiaramente riflesso in quegli occhi che sembrano mangiarselo vivo a distanza. Ma nel raggiungerlo, compie il giro lungo, fermandosi di fronte ai barbecue, dove scambia qualche parola con James e Janis, mentre quest'ultimi sono intenti a raccogliere nei propri piatti questo e quell'altro ben di dio. Mun ruba istintivamente dal piatto del giovane Lupin una patatina, scoppiando a ridere, prima di salutarli con la mano avvicinandosi sempre di più verso il preciso punto in cui si trova Albus. Il tragitto che la separa da Albus è una vera e propria passerella. Lenta e teatrale, mentre trova persino il tempo di fermarsi di fronte ad uno dei tavoli per raccogliere il giocattolo caduto di un bimbo intrappolato tra le braccia della propria mamma. Si piega sulle ginocchia piano piano, ben consapevole della sua situazione precaria, ma lo fa lo stesso, e nel farlo, gli occhi di lei, si muovono per un istante solo in direzione del suo ragazzo che l'aspetta poco più in là. Giunta in fine di fronte al loro solitario tavolo, sorride piegando appena la testa di lato, prima di osservare il lauto pasto che si è procacciato.
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    « Amooooore!! » Tipica meraviglia infantile nel gettare lo sguardo in quello di lui. Un leggero sospirino lascia intendere quanto irresistibile possa essere un Albus Potter provvisto di camicia bianca dalle maniche arrotolate al punto giusto. « Come facevi a sapere che avevo voglia di salsiccia? » Sorriso poco equivoco correlatore di un'alzata di sopracciglio non indifferente. Sospira affondo, prima di fare il giro del tavolo prendendo posto sulle sue ginocchia, stampandogli un bacio sulla guancia e poi un altro sul collo, prendendo infine a sistemargli i capelli con la solita premura che la contraddistingueva. « Ci sono anche le verdurine.. e le bruschette. » Ma a dirla tutta, il cibo è chiaro non risvegli poi molto il suo interesse, poiché, posa d'istinto il mento contro la sua spalla dando completamente le spalle al tavolo, mentre trasferisce il proprio intimo di pizzo nero dalla propria borsetta alla tasca dei suoi pantaloni, mordicchiando appena la fragile pelle sul collo di lui. « Acqua di colonia.. eleganza casual.. » Asserisce di scatto, con un sorriso compiaciuto. « ..questo modus operandi sta diventando ormai sospetto. » Gli accarezza dolcemente la nuca, mentre strofina la guancia contro la sua guardando nell'ambiente alle spalle del ragazzo con una certa dose di indifferenza su chi potrebbe guardarli. « Metti l'acqua di colonia solo quando sei sul punto di farmi penare. » A quel punto si stacca per ricercare il suo sguardo. Sbatte le ciglia in maniera insistente e mette su l'espressione per eccellenza dell'innocenza mancata. « Mi farai penare? » Il volto dell'innocenza e dell'incertezza appunto, mentre deglutisce. Ogni mossa che muove nella sua direzione in maniera così apertamente ambigua, è una lama a doppio taglio per lei. Lo sa, ne soffre, ma conoscendo gli effetti su di lui, ne fa vanto lo stesso. « Bimbo lo sai che non è carino approfittarsi di una ragazza incinta, vero? » Gli accarezza la guancia con i polpastrelli prima di abbassare lo sguardo accompagnato da un sorriso tutto fuorché contrariato. « ..anche se lei è disposta a tutto.. e ti vuole tanto taaaanto bene. » E quell'enfasi sulle ultime parole fu ulteriormente accentuata dal posare lo sguardo sulla tasca di lui, dove giaceva il suo intimo. Si stringe infine al suo petto in uno di quei abbracci morbosi, mentre è pronta a sussurrargli nuove parole all'orecchio, non prima di essersi sistemata meglio sulle sue gambe, sempre più vicina a lui. Corruga la fronte a quel punto, prendendo a guardarsi intorno cosciente del fatto che non possa vedere il sorriso soddisfatto che emerge sul suo volto. « Non essere cattivo.. qui.. per favore.. » Perché non so quanto convenga a nessuno. Compie una leggera pausa come se stesse riflettendo su una questione di enorme importanza, per poi riprendere. « Comunque mentre ero in bagno, stavo riflettendo su una cosa.. » Pausa. « ..stavo riflettendo sul fatto che non ti ascolto mai abbastanza. Avevi ragione, bimbo. Non socializzo abbastanza. » E lì si palesa il contenuto della conversazione tra lei, James e Janis. « Li vedi James e Janis? Li ho invitati a mangiare con noi.. così.. per conoscerli meglio. » Scoppia a ridere di una risata cristallina che ha dell'infantile prima di mordersi il labbro. Mah.. sì.. giusto per quello. Socievolezza portami via. A quel punto gli mordicchia leggermente il lobo dell'orecchio prima di staccarsi, strofinando il naso contro la sua guancia. « Sei contento? » E dicendo ciò, infatti, li individua nella folla e fa loro un cenno con la mano per segnalare il tavolo dove si trovano. Gli stampa un veloce bacio sulle labbra mentre lascia scorrere i polpastrelli lungo la parte lasciata scoperta dall'indecente metodo di abbottonarsi targato Albus Potter, prima di mordergli leggermente il labbro. A quel punto quindi prende a mangiare qua e là un po' di tutto, in attesta che i due li raggiungono con i loro indecenti vassoi colmi zeppi di roba altrettanto indecente. « Terzo e rispettivamente quarto incomodo al rapporto. » « Vi direi di prendervi una stanza, ma ormai ho sentito che avete un palazzo. » « Ma tu il tuo a quando? » « Ecco Potter, parliamone! Dimmi un po' come hai fatto. Io e il socio vogliamo rivelare la nostra parte di società.. » « Vostra? » Asserisce sollevando un sopracciglio. « Tra fratelli si divide tutto. Vero bro? » Si battono il cinque e poi giù a trangugiare birra e mangiare come animali. Questo è ciò che io chiamo uccidere la poesia. « Tranne la Falcon. » « Ci sto lavorando. » Ed è così che, con James e Janis di fronte a loro, Mun si sente soddisfatta di se stessa, ormai pronta a dirsi in una botte di ferro contro qualunque losca intenzione del giovane Potter, quanto meno finché non saranno lontani dall'occhio del ciclone. « Tra un po' andiamo a farci un tuffo.. voi venite? » Cosa? « Ma state mangiando.. » Almeno tre ore dopo il pasto, James, CAZZO! « E quindi? » E state pure bevendo. « Niente Al, la tua ragazza è impazzita se pensa che uno può andare a tuffarsi a stomaco vuoto. » « Niente si fa a stomaco vuoto.. » No ok. Non mi piacciono più.


     
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    C'erano stati tempi in cui Albus per primo si sarebbe messo a ridere di fronte alla prospettiva di sentirsi in qualche maniera messo su una posizione di autorità: lui era il tipo di persona che per quest'ultima aveva davvero poco rispetto, e tendeva per sua natura a scontrarvisi in ogni maniera possibile. Bastava guardare la sua carriera scolastica, il rapporto con sua padre, o anche il fattore molto più evidente del suo anno passato al riformatorio. Insomma, Albus e le regole non erano mai andati davvero d'accordo. E se da una parte si trattava del semplice comportarsi da bastian contrario per reclamare una voce in capitolo su tutto quanto, dall'altra non era esclusivamente questa la ragione a metterlo in uno stato di così forte opposizione. Non a caso il moro non era nemmeno mai stato il tipo di persona da desiderare il potere, un potere strumentale ad essere infine lui quello a dettare le leggi: nessuno aveva mai desiderato meno di lui di diventare Prefetto o tanto meno Caposcuola. Mai aveva voluto essere a capo di un qualsivoglia gruppo o anche solo di un'organizzazione scolastica. Lui si teneva sempre nelle retrovie, partecipando nei limiti della propria volontà e opponendosi quando si sentiva messo troppo alle strette. Eppure, in fondo al cuore, una parte di lui troppo semplicemente spiegata col termine egoismo cercava sempre di calcare un po' la mano, di far comunque orbitare attorno a sé l'organismo del caso. Col passare degli anni quella soffocante eredità paterna che gravava sul suo cognome si era estrinsecata in lui nei termine di un'infaticabile lotta all'emersione, al definirsi per contrapposizione. Più si sentiva sbiadire al cospetto del genitore, più sentiva la sua statura rimpicciolirsi sotto il peso di quel confronto, più allora si imponeva prepotentemente in lui quella lancinante necessità di colmare un'insicurezza che lo divorava da dentro, di sentirsi in una qualche misura non solo importante, ma addirittura indispensabile. L'esperienza di Jay, poi, era stato solo il primo sorso di chi si appresta a ingurgitare l'oceano. Quel bambino aveva dato senso alla sua vita senza che lui nemmeno se ne rendesse conto, risucchiando in sé lo specifico tipo di attenzioni di cui Albus per primo aveva bisogno. Ed è chiaro che lui, a conti fatti, tutt'ora non se ne renda conto e che l'affetto per il figlio sia affetto vero e puro, incontaminato - tuttavia ciò non toglie che una parte inconscia di lui abbia comunque bisogno dello stesso bisogno che Jay ha di lui. Tanto complesso quanto profondamente semplice e lineare. Quando ti senti troppo poco, ogni cellula del tuo corpo si tende verso la compensazione, verso la ricerca della perfetta combinazione che possa oscurare quella sensazione. E Mun, in tutto ciò, era stata una vera e propria sorpresa, perché se era vero che Albus fosse sempre stato molto estremo nei propri rapporti, era anche vero che lui avesse sempre guardato alla concasata come una persona piuttosto equilibrata da quel punto di vista. All'inizio di quel percorso, Albus aveva ingenuamente pensato che Mun fosse la persona giusta per lui anche perché avrebbe portato nella sua vita proprio quell'equilibrio. In realtà questo non è affatto uno dei motivi di quel fortunato sodalizio, mentre piuttosto può esservi ascrivibile quello di due personalità con conciliabili bisogni dell'inconscio: Albus poteva offrirle ciò che lei cercava senza nemmeno saperlo, e lei poteva fare lo stesso con lui. In una parola sola: sicurezza. Ciascuno dei due proteggeva la frastagliata interiorità dell'altro senza nemmeno doversi impegnare a farlo, quasi fosse una seconda natura, tanto automatica quanto ignota ai loro stessi pensieri. Non ci aveva riflettuto, il ragazzo, sul perché si sentisse così soddisfatto nell'usare quello specifico tono autoritario con Mun e nel sentirsi dare retta dalla stessa; una parte di sé se l'era semplicemente spiegata come un gioco, una cosa per mettere un po' di pepe alla quotidianità, ma era chiaro ci fosse di più. E se ad un occhio esterno sarebbe potuta apparire come un'ottica degradante nei confronti della ragazza, lui non la vedeva assolutamente così: non le mancava mai di rispetto, ne' con le parole, ne' con i gesti, i quali esprimevano piuttosto una considerazione quasi sacrale di lei. Forse si sarebbe dovuto interrogare sul perché quel ruolo lo stuzzicasse così tanto e, soprattutto, lo vestisse così bene, in maniera completamente naturale - ma la verità è che a volte, riguardo noi stessi, siamo più ciechi di quanto vorremmo ammettere, tendendo a proteggerci da soli da verità più grandi e complesse di noi.
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    Nel momento stesso in cui aveva voltato le spalle a Mun, chiunque lo conoscesse piuttosto bene avrebbe potuto leggere sul suo volto e nel suo modo di muoversi un qualcosa di diverso, una soddisfazione che modificava - o piuttosto amplificava - un tratto della sua personalità: teneva le spalle più dritte, il mento più alto, aveva un sorriso più sicuro e, più in generale, sembrava semplicemente più adulto. Nel mentre di raccogliere il cibo nel piatto fu più naturale per lui scambiare qualche parola con le altre persone al buffet, anche con quelle che conosceva solo di vista, scherzando in maniera serena o condividendo opinioni che normalmente avrebbe sentito come non necessarie. E stranamente, quella versione più rara di lui, era anche quella a cui la gente sembrava meglio rispondere, alimentando ancora di più quella piccola gioia segreta che dentro di sé lui attribuiva al semplice buon umore. Persino la scelta del tavolo fu condizionata da questa logica. Normalmente ne avrebbe scelto uno laterale, poco in vista, atto a sottolineare implicitamente quella bolla di esclusività in cui vivevano, mentre adesso preferì sceglierne uno più esposto e centrale, prendendo posto in attesa dell'arrivo della ragazza. "Amooooore!! Come facevi a sapere che avevo voglia di salsiccia?" sforzandosi di non ridere, si strinse semplicemente nelle spalle, mostrandole una smorfia di noncuranza. "Che dire? Sesto senso." La aiutò quindi a sedersi sulle proprie gambe, facendo pressione nell'incavo del suo ginocchi per attirarla ancora di più a sé e sorreggerla con un braccio avvolto attorno ai suoi fianchi. "Ci sono anche le verdurine.. e le bruschette." Sorrise sornione nel sentire le mani di lei scivolare nella tasca dei suoi pantaloni per esaudire la richiesta fatta poco prima. "Ho mai fatto mancare qualcosa alla mia principessa?" le chiese sottovoce, all'orecchio, poggiandole un bacio leggero sul collo mentre le accarezzava il fianco con premura. "Acqua di colonia.. eleganza casual..questo modus operandi sta diventando ormai sospetto. Metti l'acqua di colonia solo quando sei sul punto di farmi penare. Mi farai penare?" Nell'incontrare il suo sguardo, le iridi smeraldine del ragazzo furono già da sole un'eloquente risposta alla domanda da lei posta, ulteriormente arricchita da un'espressione sardonica nel sollevare appena un sopracciglio, sistemandole una ciocca di capelli dietro all'orecchio e inumidendosi le labbra al contempo. "Non più del necessario." fece una breve pausa, scoccandole un'altra occhiata eloquente "Il quanto dipende tutto da te." "Bimbo lo sai che non è carino approfittarsi di una ragazza incinta, vero? ..anche se lei è disposta a tutto.. e ti vuole tanto taaaanto bene." Istintivamente, Albus si ritrovò a sorridere, dandole manforte in quell'abbraccio morboso che assecondò totalmente, stringendola forte a sé e cominciando ad accarezzarle premurosamente il profilo della coscia. "Approfittarsi..che brutta parola! Secondo me sei tu quella che ci sta marciando un po' troppo." Abbassò appena lo sguardo, alla ricerca del suo, per lanciarle un sorrisino sornione. "E io sbaglio a viziarti. Dovrei essere un po' più rigido con te." aggiunse maliziosamente, sottolineando quella parola nell'atto di farla scivolare ancor più vicino, premendosi contro di lei senza alcuna vergogna relativa al mostrarle quanto quel gioco lo stesse stuzzicando sulle corde giuste. "Non essere cattivo.. qui.. per favore.." Oh tesoro, ma questo è solo il giro di riscaldamento. Il meglio deve ancora venire. "Comunque mentre ero in bagno, stavo riflettendo su una cosa..stavo riflettendo sul fatto che non ti ascolto mai abbastanza. Avevi ragione, bimbo. Non socializzo abbastanza. Li vedi James e Janis? Li ho invitati a mangiare con noi.. così.. per conoscerli meglio. Sei contento?" Lo era? Non lo era? Difficile a dirsi. Se da una parte l'intervento dei due andava a scombinare i suoi piani, contrariandolo non poco, dall'altra gli dava ulteriori pretesti per portare il gioco a un livello superiore, il che era sempre cosa gradita per lui. Strinse dunque le labbra, costringendosi a far finta di nulla e puntare lo sguardo su James e Janis, facendogli a sua volta cenno di avvicinarsi mentre, tuttavia, sussurrava strettamente poche parole a fior di labbra nell'orecchio di lei. "Ti sei appena messa in un mare di guai, bimba. Non ne hai nemmeno idea." Ed era a dir poco sconcertate quanto dal suo tono trasparisse veritiera quella minaccia, come una promessa che presto o tardi sarebbe stata mantenuta, e che solo lei sapeva sarebbe arrivata, pur non essendo certa del quando e del come. Non era mai stato da quel lato della barricata, lui; aveva sempre e solo sperimentato cosa significasse provare quel misto di timore e aspettativa nel momento in cui, da bambino, uno dei genitori esprimeva il disappunto nei confronti di un suo comportamento senza poterlo manifestare immediatamente, ma facendogli capire che non l'avrebbe passata liscia. Ora invece, era lui quello a sapere ed omettere, ad esercitare consapevolmente quella strisciante tortura psicologica che faceva solo da antipasto alla vera e propria punizione ma che, di per sé, era parte integrante della punizione stessa. E proprio come ogni genitore in procinto di adottare questa tecnica educativa, all'arrivo degli ospiti Albus mostrò un largo sorriso come se nulla fosse. Non che in ogni caso avesse bisogno di dire tante altre parole: James e Janis erano il tipo di persone che riuscivano tranquillamente a monopolizzare la conversazione senza nemmeno rendersene conto, andando avanti pure per ore e ore se non fermati. "Tra un po' andiamo a farci un tuffo.. voi venite?" Furono quelle, tra tante, le parole ad attirare l'attenzione di Albus, spostandola dal piatto colmo di cibo ai due interlocutori. Pian piano un sorriso si andò a formare spontaneamente sulle sue labbra, facendosi più sardonico nel vedere l'espressione di Mun, la quale di certo non aveva messo in conto un'eventualità del genere. Errore amatoriale, principessa: dovresti saperlo, ormai, che James è una wild card. Lo metti nell'equazione e non sai mai cosa potrebbe venirne fuori. Una volta partito, fermarlo è davvero difficile..e ti ci voglio proprio vedere. "Lo sapete che vi dico?" disse quindi, lasciando una piccola pausa per passare lo sguardo da un presente all'altro, coprendo l'intero tavolo "Mi sembra davvero un gran bella idea." "Ecco, lo vedi? Pure Albus ci sta. Mun, lo so che vieni dalla Londra bene e da voi funziona un po' diversamente, ma qui da noi si usa sta bella cosa che si chiama democrazia, e ti ha appena smutandata. Accettalo." Oh James, se potessi darti un bacio te lo darei. Si voltò a guardare Mun con aria eloquente, portandosi una patatina alla bocca. "Accettalo. Sei stata smutandata." Un veloce occhiolino prima di ritornare al proprio pasto, dando nel frattempo spago a James e Janis come mai aveva fatto prima di quel momento. E per un po' lasciò che la situazione semplicemente si distendesse, che Mun facesse l'abitudine a quella che probabilmente aveva cominciato ad essere la sua punizione. Fu solo dopo qualche minuto che, con la scusa di allungarsi verso la brocca di vino per versarsene un po' nel bicchiere, Albus fece slittare la sedia più vicina al tavolo, appoggiandovisi poi con un gomito in modo da coprire totalmente la visione delle loro gambe - complice anche il tocco palesemente italianeggiante di Esme della tovaglia a quadrettoni. Con lo sguardo ancora fisso sul quello che c'era sopra la tavola, continuò a comportarsi in maniera completamente naturale, senza rivolgere attenzioni particolari a Mun se non per un quasi impercettibile movimento circolare della gamba su cui lei era seduta sopra. Non si preoccupò nemmeno di controllare se se ne fosse accorta o meno, continuando semplicemente a disquisire con la coppia-non coppia seduta di fronte a loro. "Oh, James! Oddio, mi sono appena ricordato che Mun non sa di quella volta in cui abbiamo organizzato quel festino a casa tua quando tua nonna non c'era e per poco non abbiamo dato fuoco alla casa. No, ti prego, questa gliela devi per forza raccontare tu, che la dici meglio di me." E ci metti anche tre ore per raccontarla, dato che parti dagli avvenimenti di tre mesi prima. Una storia che divertente lo era davvero, ma che, per come la raccontava il cugino, era anche piena di dettagli da seguire passo passo per non perdersi il senso finale del tutto. Storia che, tra l'altro, il giovane Lupin adorava raccontare più di qualsiasi altra, mettendoci tutta la sua incredibile abilità narrativa. Non a caso, a quelle parole, i suoi occhi si illuminarono, portandolo a raddrizzarsi con la schiena e schiarirsi la voce, facendo segno a tutti di rimanere fermi lì dove erano. "Ok, se dovete andare in bagno andateci ora, perché ci vorrà un po'..ma ragazze..ve lo giuro..non ve ne pentirete. E' una di quelle cose che ci puoi provare altre mille volte a rifarla uguale, ma non ti ci viene. Quindi ascoltatemi bene perché non vi dovete perdere neanche un passaggio." E furono proprio quelle parole a decretare il supplizio della povera Mun in balia di un Albus che, da quel momento fino alla fine del racconto, sapeva già di non poter aprire bocca perché semplicemente il cugino non glielo avrebbe permesso. E infatti, non appena il biondo cominciò ad addentrarsi nelle prime parole del racconto, la mano che Albus teneva poggiata sul fianco di Mun cominciò lentamente a spostarsi sulla sua coscia, risalendo pian piano sotto la sua gonna fino ad arrivare ad accarezzare la sua intimità con una leggerezza quasi chirurgica. Un moto circolare che perpetuava con non poco sadismo, stando accorto a non andare mai troppo in profondità per non rendere il tutto evidente ai due ignari spettatori, ma senza nemmeno trattenersi troppo dal rendere il proprio tocco più deciso in certi momenti. E non c'era aiuto o ancora di salvataggio che elargisse alla ragazza, rimanendo ferreo nel suo mantenere una facciata completamente insospettabile: annuiva, beveva dal bicchiere, mangiava qualche boccone, ridacchiava di tanto in tanto alle battute che James buttava nel discorso. Al massimo, semmai, la metteva ancor più in difficoltà, rivolgendosi a lei con degli eloquenti 'hai capito?', 'stai seguendo?' e così via. Fu difficile, poi, trattenersi dallo scoppiare a ridere quando, dopo un lungo inciso, James si sentì di aggiungere "Mun, guarda, crepassi qui e ora: ti giuro che adorerai il finale." Tuttavia ogni cosa si può dire di Albus tranne che sia una persona completamente senza cuore, e infatti, quando cominciò a sentire che la situazione si stava facendo un po' troppo vicina a un punto in cui Mun non avrebbe saputo più mascherare ciò che stava avvenendo, ritrasse lentamente la mano dalla zona più sensibile, tornando semplicemente ad accarezzarle il profilo della coscia e lasciando che James finisse il racconto. "..e quindi Tommy Prince si era sbagliato: non era una tartaruga..GLI AVEVANO VENDUTO UNO SCHIOPODO SPARACODA! E lui nemmeno lo sapeva!" a quel punto James aveva già le lacrime agli occhi dalle risate provocate dal ricordo di quella serata davvero ai limiti della fantascienza e degli strani avvenimenti che avevano condotto ad essa e al suo svolgersi in quella bislacca maniera. Tutto è ben quel che finisce bene: chi ridendo e chi, come Albus, nascondendo un sorrisino beffardo dietro a un sorso di vino. "Beh, io a questo punto direi di andare per quel tuffo, che dite? Almeno lì non ci possono raggiungere gli schiopodi sparacoda." Solo allora, poggiato il bicchiere sul tavolo, Albus fece schioccare la lingua sul palato, voltandosi alla ricerca dello sguardo di Mun e sollevando un sopracciglio con fare tra l'interrogativo e l'ironico. "Cosa ne pensi, amore? Andiamo a bagnarci un po' o stai a posto così?"
     
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    « Approfittarsi..che brutta parola! Secondo me sei tu quella che ci sta marciando un po' troppo. E io sbaglio a viziarti. Dovrei essere un po' più rigido con te. » Quelle parole furono il pretesto perfetto per fare ulteriormente le fusa, accarezzando dolcemente le sue spalle, nell'intento di abbassare lo sguardo con non poca malizia, per poi riposare lo sguardo in quello di lui. « In effetti, potresti fare di meglio. » Asserisce in un sussurro spingendosi a sua volta contro di lui, ben consapevole di quanto quel gioco stia stuzzicando entrambi. « Ma forse è colpa mia.. non ho ancora usato le parole giuste. » Si stringe innocentemente nelle spalle e sorride. « Per ora credo che resterai comunque il mio bimbo. » E qui scatta naturalmente forse la domanda più importante di tutte. Chi era chi? Era ovvio che tanto Mun quanto Albus avessero bisogno di regole nella propria vita; non solo le ricercavano per affrontare la loro nuova condizione di genitori e di famiglia, di punti di riferimento nei confronti di due esserini che dipendevano da loro in tutto e per tutto. Le ricercavano anche per loro stessi in quanto individui, in quanto giovani adulti che dovevano rimettere in ordine le proprie esistenze, superando i propri limiti per fare di meglio. Era chiaro che a casa loro ognuno avesse un ruolo ben prestabilito. Non lo avevano fatto apposta, non lo avevano fatto nemmeno per un qualche strano meccanismo psicologico insito culturalmente nelle loro teste. Non c'era una donna naturalmente vista come nutrice e un uomo devoto al portare una pagnotta in tavola. I compiti se li dividevano a metà in tutto e per tutto, ma a Mun piaceva essere femmina, e ad Albus piaceva essere maschio. E ciò non significava essere impari, significava abbracciare in maniera equilibrata i loro istinti naturali senza lasciarli prevalere sul ragionevole ricercare una qualità di vita genuina. A un occhio disattento, quella loro dinamica poteva sembrare impari tanto quanto l'attuale ruolo di Mun rispetto a quello di Albus. Lei costretta a casa a occuparsi del quotidiano e del piccolo Jay in assenza del padre, lui al lavoro a giocare con le spade e le pistole. Albus in controllo, Mun mestamente sottomessa al suo volore e alla sua forza nettamente superiore tanto fisica quanto psicologica. Ma non era così che si sentiva Mun, seppur sapeva che in molti l'avrebbero giudicata se solo avessero potuto guardare da uno squarcio nella loro vita. Mun non ricercava le attenzioni di Albus perché ne aveva troppo poche, non era gelosa e prettamente impedita nel stargli lontana perché aveva paura potesse sfuggirgli come acqua tra le dita - quella paura in particolare si stava lentamente sciogliendo come un ghiacciolo al sole, di fronte al loro stare così dannatamente bene insieme - e non gli lasciava completamente il controllo perché pensava che il giovane Potter non potesse farne a meno di prevalere su di lei, come un riflesso involontario necessario ad affermare il suo primato di maschio alfa. Mun lo faceva perché lo amava, perché le piaceva, perché paradossalmente ogni atto di incondizionata fiducia che gli concedeva s'infrangeva di rimando su di lei. Chi è chi? Chi è sotto controllo? Difficile dirlo. Perché ogni atto di prepotenza di Albus, stimolava in Mun un tale effetto da infrangersi automaticamente su Albus, piegandolo a sua volta al volere di Mun e viceversa. Basta guardare alla soddisfazione di lui nel vederla così dedita a compiacerlo, da rendersi conto che tanto Mun quanto Albus dipendono l'uno dall'altro a tal punto che qualunque altra cosa al di fuori della loro bolla è semplicemente inesistente. In fondo c'era qualcos'altro da parte di entrambi, una motivazione decisamente fumosa nel portarli a propendere per quei ruoli, a ricercarsi in quel modo morboso, ma qualunque essa fosse, al momento, nessuno dei due sembrava intenzionato ad approfondirla. Stavano bene; Albus era e sarebbe continuato a essere un pezzo fondamentale nella crescita di lei, nel prendere consapevolezza di se stessa, nel impugnare le proprie armi e uscire là nel mondo per prendersi ciò che le spettava e ciò che desiderava. Bastava vedere quanta strada avessero fatto entrambi sin da quando si erano conosciuti, per capire che quel amore malato, paradossalmente li stava guarendo. E per questo, chi è chi risulta una domanda stupida e priva di logica, intenta a mettere in discussione la parità in un rapporto di cieca fiducia guadagnata con lacrime di sangue. And for this reason, my love, you'll always be my baby and my daddy. You are my master and my slave. « Ti sei appena messa in un mare di guai, bimba. Non ne hai nemmeno idea. » In tutta risposta, ancora pronta a dirsi vincitrice si quel round, Mun strofinò il nasino contro la sua guancia, stampandogli un bacio leggero sulle labbra. Un docile gattino in attesa, mentre si sente già attraversare da un'ondata di calore lungo la spinta dorsale. Sempre più tesa tra le sue braccia, incassa quell'attesa con onore, circondandogli le spalle con un braccio per poter trovare più equilibrio nel girarsi di profilo nella direzione dei nuovi interlocutori. Janis e James parlano, parlano e ancora parlano, tanto da distrarla per un po' dal loro gioco, seppur, a giudicare da quel continuare a disegnare cerchi concentrici coi polpastrelli sulla sua spalla, la testa di Mun è ancora lì, è sempre concentrata sul ragazzo, tanto che i due amici, risultano l'ennesimo prendere tempo. Un tuffo. Voi siete matti. « Lo sapete che vi dico? Mi sembra davvero un gran bella idea. » « Ecco, lo vedi? Pure Albus ci sta. Mun, lo so che vieni dalla Londra bene e da voi funziona un po' diversamente, ma qui da noi si usa sta bella cosa che si chiama democrazia, e ti ha appena smutandata. Accettalo. » « Accettalo. Sei stata smutandata. » Pessimo. Scoppiò a ridere, scuotendo la testa impercettibilmente prima di lasciarsi andare al loro lauto pasto, ascoltando la conversazione, intervenendo quando necessario. Per un po' la serata sembrò scorrere normalmente e con l'emergenza del tuffo scampata, poteva quindi semplicemente divertirsi. E ci riuscì. Nonostante a quel tavolo fosse l'unica che non potesse darsi all'alcol e mancasse del elemento imprescindibile della socialità, ovvero il vino o la birra, sembra genuinamente stare bene in compagnia dei tre. Persino Janis sembrava meno intenta a dar loro contro con qualunque mezzo in suo possesso, cosa che la fece ben sperare. « Oh, James! Oddio, mi sono appena ricordato che Mun non sa di quella volta in cui abbiamo organizzato quel festino a casa tua quando tua nonna non c'era e per poco non abbiamo dato fuoco alla casa. No, ti prego, questa gliela devi per forza raccontare tu, che la dici meglio di me. » Lì per lì, si sentì addirittura di elargirgli uno sguardo eloquente, sollevando il sopracciglio. « Quante cose non mi racconti? Questa voglio assolutamente sentirla. » Perché ogni secondo in più a quel tavolo, era a detta di Mun un secondo in più in cui avrebbe potuto spostarsi tra le sue braccia, stuzzicarlo, impartirgli quelle dolci carezze quasi impercettibili che erano un po' come benzina sul fuoco. Ma capì ben presto, la giovane Carrow, che non solo quel racconto sarebbe andato per le lunghe, ma oltretutto non ne avrebbe sentito nemmeno un decimo. Venne colta di sorpresa, mentre James iniziava il suo racconto e non appena percepì il suo tocco leggero, la schiena le si inarcò automaticamente. « Oddio.. » Un oddio decisamente troppo sospirato a cui trovò tuttavia la buona creanza di rimediare prima che fosse troppo tardi. « ..non ci posso credere! » Un'esclamazione accompagna dall'improvvisa necessità di massaggiarsi il collo. C'era decisamente troppo entusiasmo per una parte del racconto che chiaramente rappresentava solo esordio dell'intera narrazione. E infatti fu una lunga scia di sospiri, commenti e reazioni forse troppo entusiaste, per una storia che riusciva a seguire solo a tratti. Non si frenò nemmeno dall'affondare sentre di più le unghie nella sua spalla contro la quale si era sorretta per tutto il tempo, ben consapevole di esser stata ancora una volta sin troppo poco lungimirante, rispetto a un Albus che non sembrava provare inibizione nemmeno di fronte a due personalità come James e Janis che a naso, non sarebbero stati molto contenti di sapere cosa stesse succedendo a pochi centimetri di fronte a loro. Oltre il danno, anche a beffa; nella posizione in cui si trovavano, qualunque suo movimento atto a fargliela pagare, sarebbe risultato molto sospetto, motivo per cui, la povera Mun, tutto ciò che poteva fare, era al massimo tentare di sfuggirgli con la scusa di sistemarsi meglio, o spingersi ulteriormente nella sua direzione con la medesima scusa. In quella circostanza, persino constare il desiderio del ragazzo era una lama a doppio taglio, motivo per cui alla fine sprofondò in un silenzio tombale, riducendosi a pescare qualcosa qua e là sui vassoi di tanto in tanto, tentando di concentrarsi sul mantenere un'espressione pressoché normale seppur fosse decisamente complicato. Hai capito? Ogni singola parola, amore. Ognuna. A tratti era così complicato restare in sé, che si costringeva a guardare distrattamente nella folla o mostrargli qualche debole attenzione, atta quasi a impietosirlo. Cosa che chiaramente non accadde finché non iniziò a colpirlo qualche volta sulla gamba con la propria per annunciargli un finale decisamente meno auspicabile di quello che prometteva James. Stai seguendo? A tal punto che quando finalmente venne liberata da quella agonia, costrinse la mano del ragazzo a poggiarsi sulla parte superiore del sul pancione, poggiandovi a sua volta la propria mano sopra la sua. E lì si chiese come da un incendio a casa Lupin fosse arrivato a parlare schiopodi sparacoda. Non sapeva se fosse più ridicolo il fatto che la testa di Mun fosse palesemente altrove per tutto il racconto, o il fatto che né James, né Janis se ne erano accorti di niente. « Beh, io a questo punto direi di andare per quel tuffo, che dite? Almeno lì non ci possono raggiungere gli schiopodi sparacoda. » « Cosa ne pensi, amore? Andiamo a bagnarci un po' o stai a posto così? » Ancora leggermente rossa in volto e sconvolta, nonché decisamente frustrata, sospira affondo scuotendo la testa mentre si accarezza il pancione. « Io passo.. davvero.. secondo me l'acqua è fredda. » La scusa più sensata sulla faccia della terra.
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    « Questo papà qui è decisamente irresponsabile e avventato. Fortuna che c'è la mammina.. che pensa a fagiolino. » E a quel punto si stringe nelle spalle mostrando un genuino sorriso colmo di candore ai due solo per poi vederli prendere la strada per il lago. Janis gli salta sulle spalle ed entrambi corrono via. Resta in attesa che i due si allontanino abbastanza prima di tornare a rivolgergli uno sguardo mirato, piuttosto eloquente, mentre si sistema nuovamente su entrambe le sue ginocchia sotto il tavolo, posando la guancia contro il suo petto. Una mano attorno alle sue spalle, l'altra scorre sempre più in basso verso il cavallo dei suoi pantaloni dove si sofferma a esercitare una certa pressione, prima di stringere alla base con una certa decisione, il tutto mentre strofina la guancia contro il suo petto. Una tenera scena tra due innamorati, così dolce da non attirare alcun sospetto, soprattutto per la qualità decisamente dolce della sua espressione smossa da sentimenti positivi e orgoglio di saperlo così pronto tutto per lei. « Non hai nemmeno idea di quanto sei stato cattivo con me, amore. Mi hai un sacco indispettita. » Asserisce in un tono morbido mentre costringe la sua mano sul pancione, continuando ad accarezzarlo lentamente con la propria coscia; la mano di lei guida quella di lui nello stesso ritmo sul pancione, per impedirli di spingersi oltre. « Adesso sono un sacco triste e delusa. Ma è colpa mia.. » Oh, è sempre colpa mia. « Mi scordo sempre che le principesse sono future sovrane.. crudeli. » La mano scorre nella sua tasca, sfilandogli dalla tasca le mutandine, per rimettersele nella borsetta. « Queste in tanto non te le meriti. Sono mie.. » Si alza quindi dalle sue gambe con grazia, dandogli un'ultima carezza nel punto più sensibile, accompagnata da un bacio sulla fronte. « Ricorda che ti amo tanto.. e ti amerò ancora di più quando mi porterai a casa. » Queste le ultime innocenti parole, accompagnate da uno sguardo colmo di tenerezza, prima di dargli le spalle allontanandosi dal tavolo.

    ..e voi avete decisamente alzato il gomito. « No.. stasera no. Percy non c'è. » Delicata come un palo su per il culo al solito. Ed era ovvio che quando Amunet Carrow orbitava nei loro dintorni, poteva solo che macchinare questo e quell'altro mondo con Percy, anche perché, si sa, tra Tris e Mun non scorre buon sangue. Posa lo sguardo sul biondo, prima di sorridere alla mora eloquentemente. Oh, quel sorriso, non promette nulla di buono. Lo sguardo si rivolge prima in direzione di Albus, dall'altra parte dell'area picnic, e poi in una direzione ben precisa, molto più in là, dove un paio di fuocherelli illuminano una zona adibita all'intrattenimento della serata. « In realtà, Morgenstern - Beatrice.. posso chiamarti Tris? - va beh insomma.. stavo cercando te. » [...] Lanciare una sfida a quella ragazza è come gettare benzina sul fuoco. Una persona estremamente ambiziosa, ma soprattutto egocentrica a schifo, e piuttosto ossessa dal dimostrare al mondo tutto che lei era decisamente al pari di qualunque uomo si aggirasse per il Quartier Generale, a Hogwarts, nel mondo magico e ovunque avesse messo piede. Sodalizio girl power, mode on. Ma su questo, Mun era più smaliziata, o almeno, quella sera lo sarebbe stata per ottime motivazioni. « Sbottonati sta roba, per piacere. Cazzo Morgenstern, la polizia della moda sta suonando le sirene. » E infatti, non appena le sbottonò la camicia decisamente più del dovuto, arruffandole leggermente i capelli e passandole il suo stesso rossetto, la questione divenne decisamente più impari. Buongionissimo amazzone spilungona.. ora la mia autostima all'insegna del pancione può tranquillamente dire hasta la vista. La scelta del soggetto non era stata casuale. Al fianco della Morgenstern, non ci sarebbero stati dubbi sugli esiti di quella missione, non solo perché intuiva fosse piuttosto ferrata su qualunque gioco o sport in cui bisognava mirare e colpire, ma anche perché, tra tutte e due erano donne decisamente molto impegnate e nemmeno il più paranoico dei ragazzi potesse pensare che quelle due sarebbe mai andate al rimorchio. Oltretutto insieme. Contò sul tasso alcolico nel sangue della mora affinché facesse il resto, e per darle un incentivo, restò assieme a lei per qualche istante a bordo di quel ambiguo palcoscenico a osservare le ignare vittime. « Non ho mai giocato a biliardo. » Hai mai fatto qualcosa di divertente in vita tua? « E' molto semplice.. » E a quel punto si getta in una breve descrizione del pool inglese sotto l'attenzione perseverante di una Beatrice Morgenstern incattivita dall'idea della competizione contro due maschi bianchi con un alto tasso di testosterone inspiegabile nelle vene. E' proprio vero; più sono grandi, più sono stupidi. I muscoli risucchiano il cervello. « Sono due spacconi.. pure mezzi ubriachi. » E sono nuovi. Non hanno la più pallida idea di chi sono i componenti dei ribelli. Per loro siamo come una tabula rasa. A quel punto avanza un passo, prima di guardarsi alle spalle alla ricerca dello sguardo di Albus. Ha ben pensato preventivamente di sbottonarsi i due bottoni superiori del vestito, stringendo la camicia legata in vita ulteriormente per lasciar ben poco spazio all'immaginazione, ripassandosi il rossetto e sciogliendosi nuovamente i capelli. Le aveva già dimostrato, il giovane Potter, quanto gli sguardi altrui su di lei fossero un ottimo incentivo per stuzzicarlo. E allora lo avrebbe stuzzicato, all'ennesima potenza. « C'è posto per due ragazze? » « Tu e lei? » Capisco cosa puoi pensare, una ragazza incinta e una.. Morgenstern. Annuisce quindi col suo fare candido prima di spingere il petto in avanti, a mo di sfida. « Qui si punta forte.. Cosa vi giocate? » E a quel punto è la Morgenstern a salvare la situazione, improvvisamente sempre più intrigata dalla situazione. Mette sul tavolo una busta colma zeppa di galeoni stringendosi nelle spalle. « Se vinciamo noi, ci prendiamo la vostra macchina. » E dicendo ciò indica parcheggiata dall'altra parte del campo la Chevy d'epoca che aveva sentito ronzare mentre si avvicinava alla festa assieme ad Esme poche ore prima. Il tizio più grosso scoppia a ridere. « Non mi pare uno scambio equo, ma in ogni caso perderete i vostri soldi quindi.. prima le signore. » Che cavaliere. A quel punto afferra una stecca e sorride con un che di decisamente equivoco ai due, in risposta agli sguardi che iniziano già a tradire i loro pensieri. E lì si innesca una specie di incantesimo mentre si piega sul tavolo, lo sguardo ben piantato negli pcchi di Albus, ben consapevole di mettersi in mostra a suo discapito. E come volevasi dimostrare, non tenendo gli occhi puntati sul tavolo, sbaglia il primo colpo. « Noooooo » Una voce tipicamente infantile, mentre esprime quella delusione. I due ridono. « Dai va beh puoi provare a spaccare un'altra volta. » « Ma sei impedita? » In tutta risposta ignora la Morgenstern, sbattendo le ciglia energicamente al suo magnanimo avversario. E a quel punto riprova a spaccare mandandone due in buca. Boom! E quello è un gioco esilarante, che mette insieme due delle persone più improbabili del mondo. Vengono così tanto coinvolte da quello stracciare male quei due poveracci che arrivano addirittura a battersi il cinque e farsi complimenti a vicenda. Ed è una di quelle volte in cui non solo ignora volutamente gli sguardi di Albus pur avendo la testa solo su di lui, ma riesce persino a sentirsi appieno inserita in quella nuova società di cui volente o nolente fa parte. Ed è esaltante. E' esaltante sentirsi libera e priva di alcuna costrizione; è esaltante vedere così tante personalità strette in un unico posto, col semplice desiderio di stare bene assieme, di costruire qualcosa di nuovo e di più solido che vada al di là delle differenze. E lì, in quel momento, comprende appieno l'intento di James, e forse per la prima volta riesce persino ad apprezzarlo. I ribelli non stanno solo combattendo il vecchio, stanno costruendo il nuovo, e lo fanno senza imporre o dettare legge su nessuno. E' ciò che stiamo facendo anche noi, bimbo. Ad un certo punto, mentre la Beatrice sta mandando in buca un'altra palla, Mun tira fuori il cellulare dalla tasca, mentre lo sguardo si erge su Albus. Don't be too angry daddy but I really enjoy my time as a big girl. Si morde il labbro con un sorriso malizioso stampato in volto, prima di rimettere il cellulare apposto riprendendo la stecca dalle mani della Morgenstern, mandando a sua volta una delle ultime palle a loro assegnate in buca. Hope you're proud of me. Un altro messaggio mentre la partita continua. E con la numero 8 in buca ad opera della stessa Mun, ben piegata sul tavolo, mostrando volutamente le spalle al ragazzo, la partita si conclude. « Rivincita? » « Ma proprio no. Daddy wants me home before midnight. » E dicendo ciò afferra le chiavi della macchina dal tavolo, mentre Tris a sua volta si riprende i soldi tornando dal suo bello tenebroso piuttosto soddisfatta. E d è solo a quel punto che si piazza di fronte all'unica persona che ha visto per tutta la sera, l'unica compagnia che bramava a quel punto alimentata per giunta da quella botta di autostima e adrenalina. Sbatte le ciglia elegantemente, in maniera inconfondibile mentre lascia tentennare le chiavi della macchina di fronte ai suoi occhi. « Sono nei guai? »


     
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