Arrivals.

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    La madre gli sorrideva dalla parte opposta della stanza mentre congiungeva le mani di tutti i suoi figli, riuniti attorno ad una tavola povera dove torreggiavano una candela consumata ed un paiolo di pane raffermo inbevuto nel latte. I lineamenti del suo volto erano dolci, ammorbiditi fra le pieghe della pelle tesa, radiosa, affatto appesantita dalle lacerazioni del tempo che per lei sembrava non passare mai. Nella piccola e polverosa roulotte era calato un religioso silenzio, cosí come accadeva tutte le sere all’ora di cena, prima che qualcuno della famiglia intonasse un piccolo encomio di ringraziamento per il cibo che li avrebbe sfamati e fatti dormire con la pancia piena: ultimamente sembrava essere diventato un lusso quello di poter avere qualcosa da mettere sotto ai denti prima di dare l’ultimo addio al giorno appena trascorso, lasciando spazio al successivo. Levi, come tutti i suoi fratelli, aveva chiuso gli occhi e raccolto le mani, stringendole al petto nell’attesa scalpitante che qualcuno prendesse parola, ma sussultò nel momento in cui un paio di tonfi pesanti e ripetuti fecero tremare la porta d’ingresso. Il Clan, l’intero consiglio degli anziani del circo, era riunito davanti alla roulotte ed invitò Dayanara, la madre, ad uscire di casa, lasciando dentro i suoi figli che, con le bocche colme di saliva e le pance tuonanti, dovettero arrendersi all’idea di dover rimandare il pasto. Nulla di buono, almeno cosí lasciava presagire l’imprevisto. « Dobbiamo parlare di Levi » Dayanara, a quelle parole si affrettò a chiudersi la porta alle spalle, lanciando un ultimo sguardo all’interno dell’abitazione su ruote prima di poter deglutire « ...Ne abbiamo giá parlato e... » - « Non è di nessun aiuto alla carovana, non ci serve una bocca in piú da sfamare senza che dia il suo contributo. Non puó lavorare con noi, è malato e troppo grande per imparare qualcosa. Ha giá dieci anni, Dane a cinque giá era una stella; e non solo lui, guarda Lydia ad esempio. Penny. Levi riesce a tenere a malapena una bacchetta in mano, non possiamo fargli spostare balle di fieno per sempre. Non ci serve, ed ora piú che mai abbiamo bisogno di tagliare da qualche parte...a meno che tu non abbia riflettuto sulla nostra proposta. Hai avuto abbastanza tempo per farlo » La tensione era cosí densa che si sarebbe potuta tagliare con un coltello, nemmeno troppo affilato. Lo sguardo di Dayanara era fisso su un punto impreciso davanti a sè, le dita ad avvinghiarsi attorno alla catenina che portava al collo, tanto impacciatamente da minacciare di spezzarla sotto il suo stesso nervosismo. Aggrottò la fronte, increspando le labbra prima di spostare gli occhi velati, improvvisamente severi, sul suo diretto interlocutore, Omar, facendosi minacciosa mentre gli puntava un dito contro il petto e tratteneva il respiro adirato di una madre furiosa « Sapete cosa stavamo facendo prima che voi ci interrompeste? Pregavamo, stavamo per ringraziare Dio del cibo che avremmo potuto mangiare in tutta tranquillitá se non foste arrivati voi. Levi prega, Levi crede, Levi ha forse una delle anime piú candide che io abbia mai visto e non permetteró mai, mai, nè a lui nè a nessun altro dei miei figli, di prendere parte al vostro schifo. Dovrei condannare mio figlio ad un’esistenza di peccati ancor prima che possa commettere i suoi errori? Perchè ne commetterá, e non voglio che vadano ad aggiungersi ad un fardello di cui io stessa non riuscirei a sopportare il peso » Concluse con voce rotta, incrociando le braccia al petto poco dopo essersi asciugata uno zigomo col dorso della mano, sostenendo le occhiatacce severe del Clan senza alcun timore, quasi con la stessa sfacciataggine di una leonessa. « Pregare...E dimmi, tu quale Dio preghi? I mostri pregano, hanno qualcuno a cui affidarsi nonostante sappiano perfettamente di essere degli scarti di quello stesso Dio? Ti ha rifiutato, come ha rifiutato tutti noi, non siamo noi i figli che ama, perchè continuare a crederci? Non metto in dubbio la tua fede, ma non ti serve, non qui, non quando sai perfettamente di essere un’esclusa e quindi di appartenere ad un limbo nel quale poterti costruire le tue regole. Vuoi credere in un Dio? Diventa tu il tuo Dio, il loro. Sei l’unica cosa su cui possano far davvero affidamento, l’unica che puó fargli del bene: Levi è un ottimo interlocutore, sa usare bene le parole, ed un ragazzino tra le gabbie potrebbe risolverci i problemi con i mangia-babbani. Odiano le carni stoppacciose, iniziano a ribellarsi e noi non vogliamo altri problemi» Omar umettò le labbra, prendendo consensi dagli uomini alle sue spalle che annuivano alle sue parole e borbottavano a confermare le sue teorie « La scelta sta a te, Daya. Se Levi non ci aiuterá con i bambini rapiti, siamo pronti a buttarlo fuori...ed in tutto questo, ricorda che lui è già un condannato. Un mezzo babbano che non ha nulla da offrire, nè a sè stesso nè al mondo, come sopravvivrebbe? Non voglio credere che tu sia disposta a dare precedenza alla sua purezza d’animo piuttosto che alla sua stessa vita; non c’è nessun Dio che mi fará cambiare idea a riguardo, ti assicuro. Ringrazia non abbia scelto di ucciderlo. »


    L’elegante meticcio anticipava il padrone a passo svelto, nei folti boschi del nord. Il naso appuntito dell’animale si ficcava nella terra umidiccia lungo il percorso, le zampe di tanto in tanto si arrestavano per scavare qualche buca ai piedi degli alberi che oscuravano un cielo giá plumbeo. La fondina di cuoio di Levi, ben appuntata sul cinto, strideva ad ogni passo compiuto, scandendone un ritmo silente ed ovattato, quasi felino. Col cappuccio sceso sopra il capo, il ventiduenne sapeva perfettamente dove dirigersi, dopotutto bastava seguire le tracce e, benchè fosse la prima volta che metteva alla prova il proprio olfatto, questo sembrava rispondere bene agli stimoli: non era poi cosí difficile come pensava. Erano giorni che camminava ininterrottamente per raggiungere Inverness, ma sembrava non avvertire il peso di tante miglia compiute, anzi, piú si avvicinava alla meta, piú il lycan si sentiva carico di energie. Se non fosse stato per la sua malattia, Levi avrebbe potuto benissimo evitare un viaggio tanto lungo, smaterializzandosi direttamente ai confini del paese, ma questa nelle ultime settimane sembrava non avergli voluto dare tregua. Aveva le mani fasciate con bende che cambiava puntualmente ogni sera, al tramonto; la pelle ustionata si intravedeva anche da sotto i vestiti, i quali nascondevano la carne viva dal primo sole estivo, che pungeva nonostante le folte fronde degli alberi ne filtrassero i raggi ed il clima fresco ne alleggerisse il bruciore insopportabile. Due schiocchi di lingua ed il cane era subito al suo fianco, ad alzare le orecchie molli non appena, tra i cespugli, c’era qualche movimento sospetto, di troppo. Kovu, negli ultimi giorni era riuscito a prendere una dozzina di scoiattoli ed un paio di fagiani, ma le cacce piú sostanziose le compiva Levi con i suoi pugnali. Cervi, cinghiali, a volte qualche coniglio, i quali scuoiava con cura maniacale, quasi devozione, prima di assaporarne le carni tenere che cuoceva nei piccoli faló serali. Li accendeva unicamente per riscaldarsi e, paradossalmente, per tenere lontane le creature piú violente che abitavano la foresta. Il grigiore della costruzione che svettava tra il verde della folta vegetazione era quasi invisibile ad un occhio non esperto, come un rudere qualunque, eppure attiró l’attenzione del giovane che, quasi istintivamente, alzó il naso per odorare l’aria, umettandosi le labbra non appena si sentí abbastanza convinto di essere al sicuro. La mano caló lentamente sul calcio della pistola, dietro alla schiena, lí dove non era una minaccia per nessuno, ma un efficace salvavita in casi estremi; dopotutto Levi era un pacifista, riteneva di aver fatto giá troppi danni nel mondo benchè non avesse colpe dirette, proprio per questo si sentiva in dovere di dover rimediare. Non spaventare le persone con le proprie armi, rientrava sicuramente tra i dieci buoni propositi che si era autoimposto per non ricevere una punizione troppo severa quando sarebbe giunta la sua ora. Con sguardo attento, il lycan squadró la costruzione, facendo rapidamente mente locale su quanto conosceva riguardo ad Inverness, incrociando qualunque indizio gli saltasse all’attenzione con le informazioni che aveva appuntato fra i suoi pensieri; secondo una prima rapida analisi doveva essere arrivato, finalmente. Con la stessa leggerezza di una lucertola, schivo, il giovane si ficcó oltre l’entrata, arrestandosi sui propri passi non appena sorpassó la soglia d’ingresso. Il cuore acceleró per una frazione di secondo il suo tamburellare, quasi gli schizzó in petto al rinnovato dubbio di non essere degno di trovarsi lí. Levi, era sempre stato scettico riguardo alle religioni, non ne aveva mai perseguita una e questo perchè la madre gli aveva insegnato che non importava avere una confessione, l’importante era avere fede: “Tutti facciamo capo ad un unico Dio, ma gli esseri umani sono troppo esibizionisti per accontentarsi di un’unica veritá”. Inspirò profondamente e poi espirò, uscendo dalla penombra semplicemente per dare un’occhiata in fondo alla navata, fra i primi banchi, lí dove la luce violetta che filtrava dai vetri colorati rendeva l’ambiente piú mistico e, quasi a rilento, notó una figura seduta, a capo chino. Come un pungente spiffero di vento, un odore conosciuto investí la mente del ragazzo, il quale aggrottó la fronte con una certa perplessitá. Eppure questo fu sufficiente a fargli abbassare la guardia, ad allentare la presa sulla pistola a cui, nuovamente, inserí la sicura. Per rispetto, Levi si sentí in dovere di tingere almeno la punta delle dita fasciate nell’acqua santiera prima di proseguire verso lo sconosciuto, che peró aveva tutta l’impressione di conoscere. La curiosità lo spinse a condurre un’attenta riflessione su ciò che l’altro faceva, inarcando le sopracciglia nel sorprenderlo con i Vespri aperti sulle ginocchia.
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    Il saluto al giorno, anche Levi faceva una cosa simile durante il tramonto, prima del calare della notte; peccato non avesse testi di preghiere a cui far riferimento e che si accontentasse della benedizione di un cielo aranciato come chiesa. « A volte trovo eccezionale la vena peccatrice del Signore... » snoccioló rocamente, interrompendo cosí il ragazzo dalla sua lettura mentre prendeva posto al suo fianco, abbassando il cappuccio sul volto barbuto che accarezzò delicatamente, ponendo poi i gomiti sulle ginocchia. « ...Ha fatto crollare una chiesa su trentasei fedeli in Messico, la settimana scorsa, mentre pregavano. Ironico» Sorrise, lasciando trapelare un palpabile scetticismo mentre tratteneva lo sguardo fisso sull’altare, quasi a non dare troppa importanza alla sua presenza. « Esistiamo da miliardi di anni, ed in questi miliardi di anni, qualsiasi forma di vita ha avuto un’inizio ed una fine, tutt’ora la ruota continua a girare. Disgrazie, dolori, ancora morte, eppure tutte queste vite spezzate non hanno alcun peso sulla Sua esistenza. Quindi perchè continuiamo a cercarlo? » La voce era ridotta ad un sibilo sottile, appena percettibile. Quando Levi terminó di parlare, concentrato sulle fasciature delle mani che sfiorava quasi maniacalmente, portó la concentrazione a ripristinare un contatto visivo col proprio interlocutore, al quale probabilmente aveva rovinato l’atmosfera. Stranamente non gli interessava seppur era solito rimanere in disparte, isolato, diciamo che la comunicazione non era il suo forte. In altre situazioni non avrebbe aperto bocca, sarebbe rimasto sul guardingo o, addirittura, con la pistola a portata di mano. Dopo tanto tempo si sentiva a casa, ed in quel benessere profondo quasi condannó la decisione di rimandare per cosí tanto tempo la chiamata. Aveva vagato troppo a lungo, per nulla. « Mi chiamo Levi » Taglió corto, senza troppi giri di parole mentre si rialzava dalla panca, afferrando il cane per il collare, frapponendo un indice fra pelo e cuoio prima di condurlo al margine opposto della navata, chinandosi per sfilarsi lo zaino dalle spalle e versare dell’acqua in una piccola ciotola su cui l’animale si fiondó scodinzolando, assetato. Benchè l’opprimente sensazione di sapere con assoluta certezza chi fosse il ragazzo a cui aveva appena rivolto parola con forse troppa schiettezza, per Levi la conversazione era finita lí. Una cometa che aveva impattato l’atmosfera di un pianeta, trapassandola da parte a parte. Con una smorfia di dolore, comportandosi come se attorno a lui non ci fosse stato nessuno, si rialzó sulle ginocchia per slacciare la felpa e sfilarsela di dosso, scoprendo le braccia che era pronto a medicare nuovamente. Quei giorni di viaggio, purtroppo, lo avevano costretto ad usare la magia, a restare a stretto contatto con la bacchetta magica che, seppur fosse avvolta in strati e strati di pelle di agnello, era comunque riuscita a lasciare un segno ben evidente sulla carne del ragazzo. La teneva custodita nel fodero agganciato all’avambraccio destro, e quasi non riuscí a trattenere un grugnito gutturale quando ne allentò le cinghie, fino a farlo cadere sulla pietra fredda. Amava andare a rilento, concedersi del tempo che nessun altro si sarebbe concesso ad un passo dall’obiettivo: la città era lí, lo attendeva.

     
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