Lost and insicure, you found me.

privata.

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    Corre. Qualcosa la sta inseguendo. Sente i passi alle sue spalle avvicinarsi sempre di più ogni volta che rallenta per riprendere fiato. I polmoni reclamano l’aria con prepotenza, stanchi e sofferenti. Centinaia di aghi sembrano spingere sul suo petto rischiando di romperla in mille pezzi. Le sue gambe si muovono stremate, mosse dalla disperazione e quello che l'uomo chiama volgarmente istinto di sopravvivenza. Debole. Sei una debole, Roxanne Weasley. Perché continui a lottare? Sei solo un peso inutile. Tra i Weasley sei l’unica che ha scelto di non esporsi personalmente alla guerra. Te ne stai al sicuro, dentro al suo ufficio, lontana dai lampi di luce colorata che abbagliano gli incubi dei tuoi coetanei. Gli occhi cominciano a bruciarle mentre si morde il labbro inferiore così forte che percepisce in bocca il sapore metallico del sangue. Inciampa. L’asfalto le brucia la faccia e i palmi delle mani. Dolore. Fuoco. Sta bruciando. I passi alle sue spalle diventano sempre più vicini. Chiunque la stia inseguendo l’ha ormai quasi raggiunta. Si alza in piedi. Inciampa di nuovo, ma stavolta riesce a recuperare l’equilibrio e continua a correre. Non sa dove sta correndo. Non vede niente. E' cieca. Buio, il buio più scuro l'avvolge con crudeltà. Non sa neppure da chi sta scappando e perchè. Sa solo che deve continuare a correre. Non puoi scappare. Grida ma le sue parole le sbattono contro in un eco muto e la parte più disperata di lei le dice che nessuno la sta ascoltando. Nessuno verrà ad aiutarla. Cade di nuovo, stremata, senza più fiato. Le lacrime le rigano il viso e i polmoni non ce la fanno più. Respira affannosamente, affamata d'aria, la testa le gira vorticosamente e capisce di essere sul punto di svenire. Si mette in ginocchio, rannicchiandosi come una bambina, le mani sulle ginocchia e la testa bassa. E' finita, lo sa con certezza. I passi dietro di lei sono sempre più vicini ed infine si fermano di colpo. Sa che chiunque ci sia alle sue spalle la tiene in pugno. Si alza in piedi, strofinando le mani nei pantaloni. Respira. Si volta giusto in tempo per vedere un lampo di luce verde dirigersi verso di lei e colpirla in pieno petto.
    Si svegliò di soprassalto, la fronte imperlata di sudore, il cuore che le martellava forte nel petto. Tutum-tutum-tutum. Non riusciva a respirare. Si guardò intorno, febbrilmente, cercando qualcosa alla quale aggrapparsi, disperatamente, con tutte le sue forze. La sua scrivania, le pareti di quel verde tenue per le quali aveva pregato suo padre così tanto, la bacheca nella quale le amiche delle foto la salutavano con sorrisi e linguacce. Era a casa. Nessuno la stava inseguendo. Era al sicuro, per il momento. I polmoni si riempirono finalmente di aria e il cuore rallentò quella folle corsa. Si passò una mano sulla fronte scoprendosi completamente sudata. Non ricordava come fosse tornata a casa da quella festa. Aveva di nuovo bevuto troppo. Aveva la lingua secca e l'alito che sapeva di sigarette e whisky incendiario. Strisciò verso il bagno e, girandosi verso lo specchio, trovò a fissarla qualcuno che non conosceva. La pelle aveva un pessimo colorito, il verde degli occhi si era spento, i capelli le ricadevano arruffati sulle guance, in grosse ciocche. Distolse subito lo sguardo da quella ragazza nello specchio, quella ragazza di cui non si riconosceva neanche, quella ragazza alla quale avrebbe dovuto chiedere scusa. Si sfilò i jeans, tolse il top e lo gettò a terra. Aprì l'acqua della doccia e si fiondò dentro, sperando che oltre la sporcizia l'acqua si sarebbe portata via nello scarico anche il suo pessimo stato d'animo.

    «Roxanne!» Era primo pomeriggio. Il sole brillava in cielo come un'enorme sfera di fuoco. L'asfalto sotto i suoi piedi stava diventando scottante. «Roxy!» Un bambino dai capelli rossi ad arruffati stava correndo verso di lei. Aveva avuto paura che sarebbe rimasta lì da sola per sempre ed invece lui era arrivato. Come sempre. La bambina seduta a terra stringeva forte i denti, mentre le lacrime uscivano come cascate dai suoi occhi enormi verdi. Ci stava davvero mettendo tutta se stessa per evitare di singhiozzare. Aveva una piccola abrasione sul ginocchio sinistro ed aveva sporcato di sangue la gonna del vestitino. Non voleva che il fratello la vedesse in quello stato, non voleva che lui la considerasse una debole o una piagnucolona. «Roxy! Ti sei fatta male?» Freddie le si inginocchiò di fronte, ispezionando la ferita ricoperta di piccoli sassolini neri. Lei scosse la testa stringendo gli occhi, negando di sentire dolore nonostante il suo viso tradisse ogni pensiero che le passava per la testa. «Non è niente, tranquilla.» Il bambino la osservò con i suoi profondi occhi marroni e le sorrise. Lei si asciugò gli occhi con i polsini del vestitino. «Appena arriviamo a casa ci mettiamo un cerotto.» Fred si alzò in piedi. Era di quello che Roxanne aveva bisogno. Un eroe nella sua vita. Qualcuno che arrivasse a tirarla fuori dalle situazioni nelle quali si sentiva sola oppure quando, semplicemente, si sbucciava un ginocchio. Freddie le porse la mano offrendole quel sorriso che Roxy amava tanto.

    Quando riaprì gli occhi era pomeriggio inoltrato. La sua esile figura era ancora avvolta in quell’ asciugamano umido ma i capelli sembravano essersi asciugati. Faceva insopportabilmente caldo. Lasciò l'asciugamano sul pavimento e si vestì in fretta. Aveva un appuntamento al quale non sarebbe mancata neanche per tutti i Galeoni del mondo. Scese al piano di sotto mentre ancora si stava infilando la maglietta. I suoi genitori erano già usciti, ma sopra il tavolo le avevano lasciato un piatto di pasta ormai totalmente freddo. Mangiò velocemente, lasciando i piatti sporchi dentro il lavandino e uscì di casa afferrano il sacchetto di plastica che il pomeriggio precedente aveva lasciato vicino all'ingresso.
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    Era una giornata particolarmente calda. Le strade erano praticamente deserte. Sfilò da tasca una sigaretta e se la accese. La nicotina distese i suoi nervi e l’aiutò a ragionare più lucidamente. Anche al San Mungo, quel giorno, tutto sembrava particolarmente tranquillo. Era come se dopo quella tempesta, chiunque bramasse un briciolo di tranquillità. Conosceva la strada a memoria. Secondo piano, terzo corridoio sulla sinistra, sesta stanza a destra. Ripeteva quel percorso ogni giorno, meticolosamente, come un ballerino che si allena per un’audizione. L’idea che tra poco l’avrebbe rivisto era l’unica cosa di cui aveva bisogno. Vicino a Fred tutto sembrava più facile. Se lui le sorrideva lei era in grado di smuovere le montagne. Quando entrò, però, la stanza era deserta. Corrugò la fronte, guardando in ogni angolo della camera, mentre le sue labbra di dischiudevano come se cercasse di dire qualcosa ma le parole le fossero morte in gola. «Mi scusi, lei è una parente di Fred Weasley?». Si voltò di scatto, davanti a lei una donna con indosso un camice bianco e che stringeva al petto una cartella clinica. Oh, no... Nella sua mente si scatenarono in un frangente, migliaia di scenari diversi che le spezzarono l’anima in tanti frammenti piccolissimi. «Sono sua sorella..» La donna di fronte a lei si aggiustò gli enormi occhiali rettangolari che stavano per scivolarle dalla punta del naso. «Il signor Weasley è sparito dalla sua stanza questa mattina. Lo stiamo cercando da ore ormai. Lei per caso sa qualcosa?» Fu come se la terra si aprisse sotto di lei e la inglobasse al suo interno, dove tutto era freddo ed incredibilmente buio. Ancora una volta il suo cuore riprese la sua folle corsa. «No.. Io.. Non lo so.. Sono venuta a trovarlo e.. Non lo so..» Le sue gambe tremavano, la voce faticava ad uscire. Lasciò cadere a terra il sacchetto, contenente una scatola di cioccolatini, e cominciò a correre. Non aveva idea di dove stesse andando. Dove sei finito, brutto stupido? Se ne era andato. Era scappato. Dalla sua camera, dal San Mungo, da lei. Lei, che non aveva mai fatto ritardo alla sua visita quotidiana. Lei, che avrebbe fatto qualunque cosa per lui. Lei che anche se avesse fatto parte dell’Inquisizione, come molti ormai pensavano, non lo avrebbe mai abbandonato. Si sentì tradita. Ed incredibilmente vuota. Uscì dall’ospedale continuando a correre e guardando in ogni angolo di ogni strada, senza ormai pensare lucidamente. Poteva essere ovunque. Erano ormai le quattro del pomeriggio. Quasi due ore di ricerca estenuante, senza prendere fiato, quando scorse qualcosa, un ciuffo rosso, poggiato al muro all’interno di un vicolo. Indossava un camice di quelli che indossano i pazienti degli ospedali. Era lui. Corse disperatamente verso il ragazzo, la fatica sparita, la gioia che prendeva il sopravvento. «FRED!» Non appena vide il volto del fratello, sorpreso e confuso, i suoi occhi si riempirono di lacrime. Si gettò tra le sue braccia nascondendo la testolina nel suo petto e singhiozzando come una bambina. Lo strinse forte, sentendosi finalmente protetta da quelle spalle grandi e quelle braccia forti, sentendosi non più sola al mondo, sentendosi di appartenere finalmente a qualcuno. Poi, d’un tratto, si scostò da lui e si asciugò gli occhi con il dorso della mano. Ma un altro forte sentimento prese il sopravvento prima che lui potesse dire qualunque cosa. La sua mano partì da sola posandosi sulla guancia del fratello con un sonoro e forte schiaffone. «SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO TI E' PRESO?!?!» Gridò, con tutta l’aria che aveva nei polmoni, puntando i suoi enormi occhi colmi di rabbia su quelli di Fred. «HAI LA MINIMA IDEA DI QUELLO CHE HO PASSATO? LO SAI COME MI SONO SENTITA QUANDO MI HANNO DETTO CHE ERI SPARITO?!?!» Strinse i pugni, e chiuse gli occhi mentre le lacrime scorrevano sulle sue guancie pallide. «Pensavo te ne fossi andato per sempre..» Serrò la mascella, lasciandosi sfuggire un singhiozzo. «Perché l’hai fatto? ..» Respirò profondamente cercando di calmarsi, cercando di tornare quella Roxy forte ed indipendente che tutti pensavano che fosse. «.. Ti avevo portato dei cioccolatini..»
     
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    Non sa perchè lo stia facendo. Si trova a qualche metro di distanza da terra, con il cuore che gli batte forte in gola, e le braccia saldamente arpionate ad uno dei cornicioni del palazzo. Perchè sì, facendo giusto due o tre passi indietro, eccolo arrampicato ad un balcone. Che cazzo ci faccia lì, vi chiederete voi; ebbene, non lo sa nemmeno lui. Tutto ciò che sa è che lui, da quel fottutissimo ospedale, deve andar via. Le giornate trascorrono tutte uguali, lì. Ci sono sorrisi di circostanza ad ogni ora. Ti rimetterai presto pronunciati in automatico, carezze, coccole, regali e lettere di buona guarigione di ogni tipo. Il paradiso, a giudicare con occhio esterno, ed in fin dei conti non si potrebbero avere neanche tutti i torti. Ma Fred è strano. Fred è problematico, ormai. Fred da tutto questo ci è già passato. Sa come funziona con queste cose, ti promettono che resterai in quel dannato lettino di merda per dieci giorni, fino a quando gli stessi non si tramutano in settimane, e poi mesi. Si era ripromesso che in una situazione del genere non ci sarebbe mai più precipitato. Lui in un ospedale non ci avrebbe mai più messo piede. Odiava quella stasi. Odiava il non poter uscire il naso fuori da quelle quattro mura. Odiava la routine, la monotonia, tutto ciò che lo costringeva a restare fermo per più di ventiquattrore. E ora più che mai, odiava anche tutto il resto. Il rovescio della medaglia, la parte buona. In quelle ultime settimane, o forse mesi, si era rivelato pressochè inesistente, per la sua famiglia. L'unico posto dov'era possibile beccarlo si rivelava essere il negozio di suo padre, dal quale tuttavia, una volta finito il turno, era solito sparire nel nulla. E Fred sapeva quanto quel suo comportamento fosse sbagliato. Sapeva quanto quel suo modo di fare fosse in grado di fare star male chi a lui ci teneva ancora, ma non poteva farci nulla. Non adesso, non ancora. Peccando di codardia ed egoismo, con ogni probabilità, ciò che aveva preferito fare in quegli ultimi tempi era semplicemente sfuggire dinnanzi al problema, come mai era stato solito fare in passato. Weasley i problemi li fronteggiava costantemente, a testa alta, rompendosi persino l'osso del collo talvolta, tanta era la foga con cui vi si lanciava dentro a capofitto. Ma non era più così, non per adesso per lo meno, e per quanto potesse far male, per quanto fosse un qualcosa di lontano anni luce dal suo modo di pensare solito, era ciò di cui aveva bisogno. Vedere i volti di quelle persone a cui aveva rinunciato, per colpa di una ed una soltanto tra loro, gli faceva male. E sostanzialmente, questo era uno dei problemi più gravi al momento. Perchè quei volti se li era visti sfilare davanti agli occhi, in quegli ultimi giorni di convalescenza in ospedale. Sua madre, suo padre, i suoi cugini, alcuni suoi amici più stretti. Sua sorella. Erano tutti lì, nonostante lui li avesse in un certo qual modo rinnegati. Nonostante lui li avesse delusi, tutti quanti, ognuno di loro. E si era sentito in colpa, Freddie, si era sentito davvero una merda nel vedere i loro sorrisi sinceri, nel piegarsi sotto le loro carezze e specchiarsi in quei loro occhi carichi d'affetto. Non si meritava nulla di tutto ciò dopo il modo in cui li stava trattando e li aveva trattati sino a quel momento. Dopo tutte le preoccupazioni che, pur consapevole, aveva loro arrecato. E quindi, tornando a noi, eccolo lì, su quel cornicione. Avrebbe potuto optare per la smaterializzazione, soluzione assai più semplice, ma con quella brutta ferita che si ritrova, non gli è sembrata un'idea poi così geniale. ...Buttarsi dal primo piano invece sì. Non dovrebbe farsi tanto male, se dovesse cadere dritto sull'asfalto. Quel lato della struttura si affaccia su un vicoletto solitario, senza traffico cittadino o macchine che potrebbero schiacciarlo malamente una volta atterrato. Tutto regolare, ha fatto di peggio. Certo, le altre volte non aveva un taglio di trenta centimetri sullo stomaco, ma questi sono dettagli. Respira a fondo dunque, lanciando uno sguardo verso il cornicione poco più distante dal suo. Da quello, se si lascia andare, dovrebbe quasi sicuramente atterrare su quel cassonetto dell'immondizia che riesce a scorgere anche da lì. Poco elegante, ma scongiurerebbe quasi definitivamente la possibilità di ritrovarsi con qualche osso rotto. Annuisce quindi, prendendo un lungo respiro ed avvicinandosi laddove prefissato. La ferita gli fa parecchio male, ma grazie agli effetti non ancora svaniti degli antidolorifici, riesce comunque a muoversi piuttosto abilmente. ..Beh, più o meno. Più o meno perchè infine scivola, a causa di una fitta improvvisa, che lo porta a rallentare la presa, e precipitare nel vuoto. Il cassonetto attutisce la caduta, ma lui rimbalza fuori, sbattendo la schiena contro il ferro, per poi precipitare per terra. Rimane lì per un po', la faccia contro l'asfalto, poi si rimette a pancia in su, riscoprendosi capace di muoversi ancora. Quindi ride, non appena si rende conto di non esser ancora morto, ed infine si rialza. Si tasta un po', per vedere che non sia volato via chissà quale organo durante la caduta, e quando è ormai certo di non esser messo poi tanto male -nonostante la sua schiena e la ferita stiano lanciando dei segnali non troppo raccomandabili- inizia a correre. Non sa esattamente dove andare, nè tanto meno dov'è che si trovi di preciso. Tutto quel miscuglio di medicinali che gli scorre nelle vene da qualche tempo a questa parte non giova certo al suo senso d'orientamento. Ma ciò nonostante non si arrende, e svolta l'ennesimo angolo dell'ennesimo vicolo uguale a tutti gli altri già preceduti. Fin quando una voce non lo fa sobbalzare, costringendolo a girarsi di scatto. «FRED!»

    « Roxanne! » Ruggisce il ragazzo, lo sguardo aranciato che si getta sulla sorella, più infuocato che mai. La raggiunge velocemente, ad ampie falcate, fin quando non le è vicino. Lei resta lì, il mento poggiato sulle ginocchia, lo sguardo fisso dinnanzi a sè. Accanto ha diverse bottiglie vuote o rotte, mentre quella stanza puzza di fumo, alcool e..morte. « Devi lasciarla stare questa merda, Roxy, lo vuoi capire? » Asserisce, scalciando via tutte quelle bottiglie. « Siamo in mezzo alle trappole, ubriacarti è praticamente un suicidio. » « E allora? Tanto moriremo, in un modo o nell'altro, comunque. » Rimane lì imbambolato di fronte a quelle parole, poi decide di seguire il suo sguardo. Gli si raggela il sangue nelle vene, non appena scorge a qualche metro di distanza il corpo esanime di un ragazzo. Se lo ricorda bene, non il suo nome, ma la sua faccia. Uno dei primi fidanzati di sua sorella. Un tipo sveglio, anche fin troppo. Non gli è mai andato a genio, ...come qualsiasi ragazzo Roxy abbia mai portato a casa, ma mai gli avrebbe augurato una morte del genere. E' immerso in una pozza di sangue, con ustioni e ferite ovunque, fasciate inutilmente da delle bende ormai zuppe. Dev'esser stato per questo, che nelle ultime ore, Roxanne era sparita. Riesce a ricostruire ogni cosa, mentre tutto acquista un proprio senso. L'ha visto, in fin di vita. Ha provato a salvarlo, e quando si è resa conto di non poter fare nulla, è rimasta lì, probabilmente a tenergli la mano per non farlo morire da solo. Lui l'ha fatto mille volte, negli ultimi tempi. Anche con gente mai vista prima, anche col suo peggior nemico. Di fronte alla morte siamo tutti uguali, e se avrebbe potuto aiutare anche solo a dar loro una fine più serena, l'avrebbe fatto. Ma ciò non toglie che passare tutto questo sia terribile. E ciò non toglie che sua sorella non se lo sarebbe mai meritato. Ha provato in tutti i modi a proteggerla, sin da quando quei dannati cancelli del castello non si sono chiusi. Ha cercato di evitarle di vedere la morte coi propri occhi, di provare la paura di morire sulla sua stessa pelle. E per un po' si era convinto di esserci anche riuscito...Fino ad ora. Respira a fondo, dunque, sedendosi accanto a lei. Estrae la bacchetta dalla tasca, per accendere un piccolo fuoco dinnanzi a loro, e riscaldare l'atmosfera gelida di quella stanza chiusa. « Roxy ascolta... » Non sa nemmeno cosa dire. Vorrebbe prendere tutto quel dolore che sta provando lei e farsene carico. Vorrebbe toglierle dalla testa l'immagine dell'ultimo respiro esalato da quel ragazzo. Vorrebbe strapparla via da tutto quell'orrore in cui sono stati calati e che lei non merita neanche lontanamente, ma sa di non poterlo fare. « Fa schifo, lo so. E non se lo meritava. ..Anche se mi è sempre stato sulle palle, devo ammettere » Cerca di sdrammatizzare, con una leggera risata forzata. « Ma certe cose non devi dirle neanche per scherzo, okay? » La guarda, poi si avvicina a lei, sistemandosi dietro la sua schiena per stringerla meglio tra le braccia, come faceva sempre quando erano piccoli, alla Tana. « Usciremo di quì Roxy, te lo prometto. » Mormora, carezzandole le spalle. Ci crede fermamente, a questo. E anche se a volte si ritrova persino lui a vacillare, deve continuare a crederci. Per loro. Per lei. « E fin quando saremo quì, io ci sarò sempre. E lo sai che fin quando ci sono io a te non succederà mai nulla » Te lo prometto. Le lascia un bacio sulla guancia, poi poggia il mento sulla sua spalla, prima di ridacchiare, leggermente. « Evidentemente lui, purtroppo, non aveva un Fred Weasley a proteggerlo. »

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    Lei gli sta correndo incontro, e tutto ciò che lui riesce a fare è restare lì, immobile, come paralizzato. Lei si getta tra le sue braccia, e Fred si ritrova a barcollare, andando a sbattere con la schiena contro il muro, che funge subito dopo da sostegno per il suo fisico debilitato. Resta fermo ancora per un po', irrigidito, sorpreso da quel contatto improvviso, ma alla fine allunga le braccia anche lui, stringendola a sè mentre poggia il mento sulla sua testolina. Sospira, e socchiude gli occhi continuando a stringerla, e per qualche momento, gli sembra di non avere più bisogno di null'altro. Per qualche istante qualsiasi preoccupazione sembra svanire, mentre esistono soltanto loro, in quel mondo fatto di orrori, come quando erano piccoli. Piange, Roxanne, riesce a percepire le sue lacrime bagnargli il camice bianco che indossa. Shhh, no, le sussurra allora all'orecchio, come ha sempre fatto in passato, mentre le accarezza i capelli. Infine lei si scosta, asciugandosi le lacrime col dorso della mano, e lui ritorna violentemente alla realtà. Ha giusto il tempo di rimettere i piedi per terra e schiudere le labbra nella ricerca di qualcosa da dire, quando la mano di lei si schianta sulla sua guancia, in un sonoro schiaffo che lo induce a piegare la testa di lato, lo sguardo fisso per terra. Si porta una mano al viso d'istinto, sulla guancia dolorante, ma non dice una parola. Se lo merita. «SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO TI E' PRESO?!?! HAI LA MINIMA IDEA DI QUELLO CHE HO PASSATO? LO SAI COME MI SONO SENTITA QUANDO MI HANNO DETTO CHE ERI SPARITO?!?!» Si mordicchia il labbro inferiore con un certo nervosismo, torturandosi anche le mani. Fa per dire qualcosa ma le sue corde vocali sembrano non voler collaborare. «Pensavo te ne fossi andato per sempre..Perchè l'hai fatto? Ti avevo portato dei cioccolatini...» Cerca di trattenersi, Roxanne, ma ogni lacrima che lei tenta di ricacciare dentro, ogni singhiozzo, è una pugnalata in pieno petto, per lui. Vederla così gli fa male, e sapere che è per lui, che lei si ritrova in questo stato, è ancora peggio. Respira a fondo dunque, mentre dalla sua espressione traspare tutta la sofferenza che sta provando al momento, seppur cerchi di nasconderla, inutilmente. « No, non per sempre... » Si ritrova dunque a mormorare, senza sapere bene neanche cosa stia effettivamente dicendo. Non per sempre ma stavo scappando lo stesso. Per fare cosa? Per andare dove? « Roxy io... » Borbotta, mantenendo lo sguardo basso. Non si è mai fatto vedere così esitante e confuso da lei, e ci prova, ci prova davvero a tornare il solito Fred di sempre, quello che lei conosce, quello che lei ammira, ma non ci riesce, e più non ci riesce, più si sente soffocare, e la voglia di scappare ritorna. « Non so dove andare » Afferma infine, il tono di voce simile ad un lamento. Non posso tornare a casa, dopo tutto quello che ho fatto. Non ho più un posto dove andare. Non ho più la mia famiglia, non ho più i miei amici, non ho più Maze. Forse non ho più nemmeno te. « Ma non ci voglio tornare lì dentro. Per favore, ovunque ma non lì dentro.. » Continua, respirando profondamente. Inizia ad accusare alcune fitte interne, ma sembra non farci troppo caso. « Mi terranno per mesi, anche questa volta ed io.. » Non ce la faccio. Si morde il labbro inferiore, guardando altrove. Non ha mai ammesso una cosa del genere di fronte a lei. Quindi sospira, ed istintivamente barcolla in avanti. Si appoggia a lei, la testa incastrata tra l'incavo del suo collo e la spalla sinistra. Assapora il suo profumo, mentre le poggia delicatamente le mani sui fianchi. « Scusa.. » Sussurra, prima di scostarsi, indietreggiando di qualche passo. « Ti sto facendo male ripetutamente, e non riesco a smettere di farlo, per ora. E mi odio per questo. Però...E' così che funziona per adesso » Ogni volta che mi rialzo, torno a precipitare. Non so più cosa fare. « Ti ho delusa, non è così? » E' sicuramente così. Ed è per questo che sto scappando. Un sorriso amaro gli piega le labbra sottili, prima che il suo sguardo si posi su di lei. La sua attenzione viene attirata da una grossa macchia rossastra sulla sua maglia, che lo porta ad assottigliare lo sguardo, che si tinge di preoccupazione per qualche momento. « Sei ferita? » Domanda di scatto, ma non appena fa per avvicinarsi, l'ennesima fitta lo costringe a star fermo. Allora abbassa lo sguardo, poggiandosi una mano sullo stomaco. Percepisce una consistenza calda ed appiccicosa, e non appena si guarda la mano, è quasi interamente sporca di sangue. « ...Cazzo » Mormora, indietreggiando fino a poggiarsi ad un muretto. « Credo che avrò proprio bisogno di quei cioccolatini. »
     
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    « No, non per sempre... » Roxanne non aveva mai messo in dubbio le parole di suo fratello. Fin da piccola si era sempre fidata ciecamente di ciò che Freddie le diceva. Avrebbe sostenuto che il cielo era verde se solo lui le avesse giurato che era così. Quando il ragazzo raccontava qualche frottola ai loro genitori, lei correva il suo soccorso, confermando la versione del giovanotto dai capelli rossi. Avrebbe fatto qualunque cosa per lui. Era il suo eroe, quello che aveva sempre cercato di imitare. Sua madre spesso le diceva che non sarebbe stata una cattiva idea se invece che suo fratello avesse preso come punto di riferimento qualche donna. Una scrittrice, una giornalista, una dottoressa. Si sarebbe accontentata anche di una di quelle attricette da quattro soldi sempre sorridenti e alla moda in ogni copertina o cartellone pubblicitario. Angelina le ripeteva che non c’era niente di male a comportarsi come una signorina anziché come uno scaricatore di porto. Ma Roxanne Weasley somigliava troppo a suo padre. Era sempre piena di energia, una vera calamità per i guai e con davvero poca passione per lo studio. Forse se avesse ascoltato più sua madre, Fred l’avrebbe vista come una donna anziché come un fratello. Si perché alla fine Roxanne indossava quasi sempre abiti troppo grandi per lei, non sapeva truccarsi e i suoi capelli erano costantemente in disordine. L’ultima volta che aveva indossato un bel vestitino aveva nove anni e sua madre aveva dovuto inseguirla per tutta la casa prima di riuscire ad infilarglielo. Non aveva mai partecipato a nessun ballo scolastico perché per lei erano una vera stupidaggine. O almeno questa era la scusa che si propinava nella sua testa. La verità era che tutti i deficienti trasgressivi con cui era uscita le dicevano che il ballo era una scemenza per ragazzine e che loro si sarebbero divertiti di più in qualche discoteca in città o semplicemente chiudendosi in camera tutta la sera a fare cose “molto più interessanti”. Almeno per come la vedevano loro, insomma. La verità era che forse sotto sotto le sarebbe piaciuto sentirsi speciale per una volta. Avere gli occhi puntati addosso, sentirsi dire che era bella, anziché una pazza scatenata con la quale fare serata. Alla fine era solo una ragazzina alla ricerca del suo posto nel mondo. « Roxy io... Non so dove andare. Ma non ci voglio tornare lì dentro. Per favore, ovunque ma non lì dentro.. » Il suo cuore si strinse in una morsa glaciale sotto lo sguardo implorante di Fred. I suoi occhi caldi così colmi di dolore. Avrebbe fatto di tutto per cancellarlo, per prenderlo e gettarlo lontano dove non avrebbe più potuto raggiungerlo. Non aveva mai visto suo fratello in quello stato. Era abituata a vedere Freddie Weasley con quel suo sorriso sghembo che le piaceva tanto. Quel sorriso dietro il quale avrebbe voluto vederci qualcosa che non esisteva. Fred non aveva la più pallida idea dell’influenza che aveva su di lei. Avrebbe fatto di tutto, di tutto, per renderlo felice. Si sarebbe buttata nelle acque più profonde, avrebbe scalato la montagna più alta se solo lui glielo avesse chiesto. Per anni si era giustificata dicendo a sé stessa che ogni sorella nutriva per il proprio fratello quello che lei sentiva per Fred. Si giustificava con se stessa gettandosi tra le braccia di chiunque altro per liberare la mente da pensieri che non avrebbe dovuto fare. Aveva negato con tutte le sue forze qualcosa che non doveva esistere. Eppure c’era. Era come Eva che si accingeva a cogliere la mela proibita. Forse anche a lei qualche serpente maligno aveva sussurrato all’orecchio pensieri proibiti. Come faceva a dirgli di no? Come faceva ad urlargli in faccia che era un cretino e che più si allontanava dall’ospedale più le sue ferite sarebbero peggiorate? Come faceva a dirgli che se se ne fosse stato fermo e buono al suo posto lo avrebbero rimandato a casa il prima possibile? Come faceva a negargli qualcosa ora che la stava fissando il quel modo? Non riusciva a reagire. «Ti prego Roxy non lo dire alla mamma, perfavore..» Aveva lo stesso sguardo di quando da piccolo combinava qualcosa e supplicava la sorella di stare dalla sua parte e di non correre a fare la spia dai loro genitori. «Ti compro il gelato alla fragola se non glielo dici.» Roxanne si lasciava sempre corrompere. Non tanto per quel gelato alla fragola quanto per l’affetto che provava nei confronti di Freddie. Non avrebbe mai fatto la spia con mamma e papà. Si sarebbe presa la colpa immediatamente se fosse stato necessario. Povera, piccola, sciocca Roxanne. «Ma Freddie..» « Mi terranno per mesi, anche questa volta ed io.. » Non riuscì ad aggiungere altro dal momento che Freddie le si gettò addosso, implorando silenziosamente qualcosa che Roxanne non avrebbe voluto dargli. Il suo corpo si irrigidì al contatto con quello del fratello. Ogni cellula della sua pelle vibrava, bramando ancora di più quel contatto così apparentemente innocente. Alzò piano le braccia per poi stringerle attorno al petto di lui. Chiuse gli occhi, ispirando il suo profumo, lasciando che i suoi capelli le solleticassero la guancia. Avrebbe voluto fermare il tempo. Avrebbe voluto semplicemente non chiamarsi Roxanne Weasley. Sarebbe stato tutto molto più facile.
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    « Scusa.. Ti ho delusa, non è così? » Rimase in silenzio Roxanne, per qualche secondo mentre nella sua testa cominciavano ad annidarsi un sacco di pensieri. Si morse il labbro sapendo perfettamente che ciò che stava per dire era la verità, ma lo avrebbe ferito ad ogni modo. «Si, Freddie.. E’ vero, mi hai delusa.. » Lo strinse a sé con più trasporto, aumentando di poco la stretta intorno a lui, forse per paura che lui sparisse di nuovo, stavolta prima di farla finire di parlare. «Mi hai delusa, è vero. Il Fred che conosco non si sarebbe mai abbattuto così. Avrebbe lottato, si sarebbe rialzato. Il mio Fred non avrebbe permesso a nessuno di ridurlo in questo stato.» Non lo aveva mai visto in quelle condizioni, con il vuoto negli occhi. Quegli occhi che erano sempre pieni di vita, di energia ora erano spenti e bui. Non riusciva più a vederci un’anima lì dentro. E pensare che se non fosse stato per lui sicuramente a quest’ora sarebbe morta dentro quella scuola. Un cadavere in mezzo a tanti altri. Forse nessuno si sarebbe accorto del suo corpo, ammassato da qualche parte insieme a tanti altri. Fred l’aveva spronata, l’aveva spinta a reagire, le aveva teso la mano quando la situazione sembrava esserle sfuggita totalmente dalle mani ed ora la sensazione era semplicemente quella di precipitare nel buio. Perché quando non hai niente a cui aggrapparti restare in superficie diventa complicato. Fred, invece, ancora una volta, era stato la sua ancora di salvezza. «Se tu sparisci di nuovo io non ce la posso fare..» Una confessione sussurrata all’orecchio, a bassa voce, come un sussurro. «Ho bisogno di te, Freddie..» Le parole sgorgano dalla sua bocca, incapace di controllarle. Sembra una supplica, sottoforma di confessione, ma il giovane dai capelli rossi pare non accorgersene neanche. A dire la verità la sua attenzione pare essersi spostata da un’altra parte. « Sei ferita? » Roxy alzò un sopracciglio. «No, io.. Sto bene..» Seguì lo sguardo del fratello che la condusse fino alla propria maglia ricoperta da una grossa macchia di sangue. Se la sollevò istintivamente rivelando il ventre candido senza neanche l’ombra di un graffio. « ...Cazzo » Fu come se il sangue le si gelasse nelle vene. Alzò lo sguardo con cautela, terrorizzata da ciò che sapeva si sarebbe ritrovata davanti. Freddie era appoggiato al muro, il sangue che si allargava nel suo camice ora gli imbrattava anche le mani. Sentì come se le gambe stessero per cederle. L’odore ferroso del sangue era disgustoso. Eppure doveva averci fatto l’abitudine, dopotutto. Ma vedere suo fratello ferito era tutta un’altra storia. Era lui ad avere bisogno. Il suo Freddie.. « Credo che avrò proprio bisogno di quei cioccolatini. » Prese un respiro strinse i denti e cercò di liberare la mente. Non c’era tempo da perdere con le cazzate. Doveva pensare lucidamente. Si avvicinò a lui, a grandi falcate, sfilandogli il camice e lasciandolo solo con i boxer addosso. In un altro momento non avrebbe potuto fare a meno di soffermarsi su di lui, sul suo corpo, sulla sua pelle chiara. Avrebbe voluto ricalcare il suo profilo con il dito, percorrendone ogni centimetro, sfiorando ogni muscolo, seguendo la ramificazione di ogni vena. Ma non c’era tempo da perdere. Non l’avrebbe perso per sempre. Non quel giorno, non in quel vicolo. Una grossa ferita si diramava sul suo addome. I punti avevano ceduto, forse a causa di qualche sforzo. Estrasse la bacchetta puntandola verso la lesione. «Ferula!» Delle bende andarono a ricoprire sapientemente lo squarcio, ma se c’era una cosa che aveva imparato era che non sarebbe bastato. «Mi dispiace Freddie..» Si avvolse il braccio di lui attorno al collo, aiutandolo a sorreggersi. «Ma hai bisogno di aiuto..» Si aggrappò forte a lui, smaterializzandosi. Riapparvero davanti al San Mungo e crollarono a terra. Roxanne ansimava per lo sforzo dell’incantesimo e per il peso del fratello, troppo grande per lei. Subito alcune persone che indossavano un camice li aiutarono a sollevarsi. La ragazza cercò Fred con lo sguardo, febbrilmente. Era pallido, incredibilmente pallido e i suoi occhi si stavano chiudendo. «E’ ferito! Ha urgente bisogno di una trasfusione! Abbiamo lo stesso gruppo sanguineo, prendete il mio! Vi prego.. E’ mio fratello!» Le lacrime calde rigavano le sue guance. «Signorina è ferita?» Un uomo allungò una mano verso di lei. «IO STO BENE. PERFAVORE AIUTATELO.» Vennero trascinati dentro, Fred fu messo in una barella alla quale Roxanne si aggrappò con tutte le sue forze. Medici ed infermieri parlavano intorno a loro, animatamente, ma Roxanne non sentiva niente. Non riusciva a staccare gli occhi da lui.. Gli afferrò una mano e la strinse forte. «Ti prego, Freddie, resta con me..» Li condussero in un ambulatorio e fecero sedere Roxy accanto al lettino. «Ha perso molto sangue, dobbiamo agire subito.» L’uomo di prima parlava ad una giovane donna che si accingeva a trafficare in un cassetto e a tirare fuori degli attrezzi. L’uomo aveva una targhetta sul camice. Dott. Jackson. «Ok, ragazzina, come ti chiami?» «Roxanne.» «Roxanne scopri il braccio, tuo fratello ha bisogno di sangue.» Ubbidì, come una brava bambina, in silenzio. L’ago entrò nella sua pelle della giovane Grifondoro che, ormai, non provava nulla. Il tubicino trasparente si riempì di liquido rosso che andò a depositarsi in una sacca attaccata a sua volta ad un altro tubicino che finiva in un ago che era stato infilato al braccio di Fred. Un uomo con addosso un camice verde scoprì il torace di Fred appiccicando in modo apparentemente casuale degli elettrodi collegati ad un monitor. Subito la frequenza cardiaca del ragazzo apparve sullo schermo con dei sonori “bip”. Era un suono ripetitivo, regolare, scandito da qualche secondo di silenzio. Aveva occhi solo per lui, Roxanne Weasley. Vederlo in quello stato le faceva malissimo. Era come se qualcuno le avesse frantumato l’anima, mandandola in mille pezzi, impossibili da riappiccicarsi tra di loro. Allungò la mano, afferrando quella del fratello, incrociando le dita con le sue. Erano rimasti soli nella stanza. «Ti prego... Ti prego, Fred.. Io.. Io ti...» fu come se una mano invisibile le stringesse la gola, impedendole di continuare. Inghiottì. «Io ho bisogno di te..»

     
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