Caftish.

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  1. little gintonic.
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    «Ho urgente bisogno di parlarti.
    Devo chiederti alcune cose importanti.
    Incontriamoci domani sera al Saint Peter's Cemetery, alle 22.
    Mun

    Si era convinta con tutta se stessa che quella fosse soltanto una mezza bugia. Tutto, ogni singola parola di quella lettera era vera, tranne la firma. Sapeva che se avesse usato il suo vero nome Mazikeen Greengrass non si sarebbe mai presentata a quell'appuntamento, così aveva deciso di fingersi la giovane Carrow. E mentre guardava il suo gufo planare le ali nel mezzo di quella notte estiva, si chiese davvero se fosse disperata fino a questo punto, fino a fingersi qualcun altro, per avere informazioni su colui che l’aveva abbandonata, senza pietà. Era come se fosse già arrivata a toccare il fondo e adesso avesse cominciato a scavare, a mani nude, fino a farsi sanguinare le dita. Alla fine, si ripeteva, non aveva nulla da perdere. Si sedette sul letto, dondolando avanti e indietro, mordendosi le unghie e facendo fatica a respirare. Stava per avere un'altra crisi. Da quando era successo tutto quanto ne aveva avuto dodici. Gli attacchi di panico sono periodi di paura o disagio intensi in assenza di vero pericolo e accompagnati da sintomi cognitivi e fisici. Tenerli sotto controllo non era facile ma aveva trovato quello che sembrava un buon metodo per tenerli a bada. La respirazione era fondamentale. Ma quella sera era più stanca del solito e non aveva la forza di lottare. La verità è che quando non hai più nulla da perdere ti abbandoni anche vecchi vizi convincendoti che tanto, oramai, non potrà andare peggio di così. Con uno scatto arrivò alla scrivania in legno ed aprì il terzo cassetto a partire dall'alto. Un cassetto apparentemente innocuo che conteneva delle pergamene ancora sigillate e una piuma nuova di zecca. Roxy afferro la piuma e ficcò delicatamente la punta in un minuscolo forellino che si trovava al centro dell'angolo destro. Il cuore le batteva nel petto come un tamburo africano. No, non poteva farlo.. L'aveva promesso a se stessa, si era detta basta. Quello che stava facendo era sbagliato, strameledettamente sbagliato! Si fermò aggrappandosi con le mani alla scrivania e respirando faticosamente, come se avesse appena corso una maratona. Le gambe tremavano, facendo fatica a sorreggere il suo esile peso. Si lasciò cadere a terra, scoppiando in un pianto apparentemente inconsolabile. Le lacrime le scendevano sulle guance pallide lasciando solchi umidi dietro di loro. Non ci riesco.. Si prese la testa tra le mani stringendo con rabbia finchè le punte delle sue dita non divennero bianche. Sentì lo stomaco contrarsi in un doloroso lamento, aveva la nausea. Sapeva che stava sbagliando. Aveva chiuso con tutta quella merda ormai da cinque mesi, tre settimane e due giorni. Cinque mesi, tre settimane, due giorni.. Si asciugò le lacrime e riprese a trafficare con il fondo di quel cassetto. Aveva il cuore in gola. Una scarica di adrenalina le attraversò la schiena. Era come una bambina che scartava un regalo di compleanno, impaziente di stringere quel tanto ambito giocattolo tra le mani. Una delle assi di legno del cassetto si mosse, rendendola così facile da sfilare via, rivelando così un doppio fondo segreto. C'era ancora tutto, esattamente come lo aveva lasciato. Immacolati come trofei di un premio che le stava sfuggendo pericolosamente dalle mani. Un cucchiaio, una candela, delle siringhe sterilizzate chiuse nel loro pacchetto e tre piccole bustine di plastica contenenti una polverina bianca. Tolse tutto dal cassetto, con una irriverente frenesia, cacciando in malo modo la vocina nella sua testa che continuava a ripeterle che stava sbagliando, che c’era un’altra soluzione, che era una debole. Forse su quest’ultima affermazione aveva ragione. Roxanne Weasley era una debole. Era cresciuta all’ombra del famoso Fred Weasley ed aveva sempre provato ad imitarlo in ogni cosa. Sotto la sua protezione era diventata una leonessa ruggente. Sembrava non aver paura di niente, sembrava nata apposta per essere la degna seguace di suo fratello. La verità è che chi non ha paura di niente è perché non ha nulla da perdere. Agisce d’istinto, senza preoccuparsi delle conseguenze, senza temere di poter fare del male a qualcuno. Roxy era un’istintiva, o forse soltanto una gigantesca egoista. Le mani seguivano con irriverenza e precisione quei gesti che avevano già compiuto decine di volte mentre il suo corpo fremeva all’idea di accogliere nuovamente quella sensazione di infinito dentro di sé. La sua pelle luccicava di sudore. Si liberò in fretta della maglia scoprendo il braccio pallido. Accolse ancora una volta l’oscurità, decidendo che era meglio morire subito che rimanere altri dieci secondi a secco.

    «Roxanne Ninfadora Weasley, vuoi spiegarmi cosa cavolo stai facendo?» Angelina Johnson in camicia da notte era appoggiata allo stipite della porta e fissava la figlia con quel suo sguardo inquisitore che avrebbe messo in soggezione Lord Voldemort in persona. Roxanne aveva già un piede sul davanzale della finestra e per poco non sobbalzò così forte da cadere di sotto. «Mamma! Ehm.. Ciao! Ecco io.. Stavo prendendo una boccata d’aria, è una notte splendida, ci sono un sacco di stelle. Da qui è veramente.. Wooow..» Eccola là. Era quasi evidente che Queen Angelina sarebbe apparsa da un momento all’altro. Quella donna aveva una specie di sesto senso e riusciva a captare anche da chilometri di distanza quando i figli e il marito stessero per combinare un’enorme cavolata. Per anni avevano cercato di capire come facesse, ma studi approfonditi non erano serviti a svelare il suo segreto. Fred sosteneva che casa loro fosse una sorta di Grande Fratello e che Angelina fosse in possesso di un monitor da dove poteva osservare gli spostamenti di qualsiasi componente della famiglia. Secondo Roxanne le erano stati impiantati dei microchip alla nascita, mentre papà George era certo che Angelina fosse un cyborg venuto dallo spazio. O forse lo diceva solo per terrorizzare i figli e convincerli a lavarsi i denti prima di andare a dormire. “Se non fate i bravi chiamo il Cyborg..”. Quelli erano davvero bei tempi. «Roxanne..» «Ok, sto andando in chiesa. Lo ammetto. Sono una grandissima cattolica. Non ve l’ho mai detto perché avevo paura che mi avreste giudicata.» Angelina arricciò le labbra, sospirò profondamente e chiuse gli occhi, per poi portarsi due dita alle tempie e massaggiando piano. «Seriamente, Roxanne? Non sarebbe meglio dirmi la verità.. Tipo che c’è una festa.. Tipo che per massimo le 2 sarai a casa..» L’ex Grifondoro si avvicinò alla figlia per poi, inaspettatamente, gettarle le braccia intorno al collo e stringerla forte. «C’è una guerra là fuori, Roxy.. Non voglio perdere anche te..» Il suo cuore perse un colpo.. Quindi era così? Fred era.. perso per sempre? Fu come se il terreno si aprisse per risucchiarla al suo interno. No, sua madre si sbagliava. Non era possibile. Fred, il suo Fred.. C’era sempre speranza. Doveva esserci per forza. Inghiottì un boccone amaro stringendo i pugni e respirando profondamente. «Ok, mamma. Torno presto, te lo prometto.» La donna le baciò la fronte. «Stai attenta.» Roxanne si sforzò di sorridere prima di salire sul davanzale della finestra e spiccare un salto.

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    Distrutto. Era tutto distrutto. Quello che un tempo era una ridente cittadina adesso era rasa al suolo. Il silenzio aveva sostituito tutto: il traffico cittadino, le risate dei bambini, il cinguettio degli uccellini. Silenzio. Era come se lì il tempo si fosse fermato. L’unico movimento che si percepiva era quello dei rami spogli fatti oscillare dal vento. Il cimitero era l’unico posto che sembrava rimasto com’era. Era come se quel luogo di morte fosse rimasto fuori da tutto il resto. Aveva sentito degli uomini parlare ai Tre Manici di Scopa. Dicevano che dopo la strage dei Babbani quel cimitero fosse infestato. Uno di loro giurava di aver sentito piangere un bambino e poi aver visto la sagoma di una donna. Fawn le aveva raccontato un sacco di storie dell’orrore durante i loro picnic notturni. Roxy le trovava divertenti e anche se qualcuna le aveva fatto venire un leggero brivido non lo aveva mai ammesso. Ci aveva sempre riso su, magari spezzando la tensione con una delle sue battute. Infondo era la figlia di George Weasley. Roxanne si sedette in una delle lapidi, controllando l’orologio, ancora una volta, con impazienza. Mancavano cinque minuti all’orario dell’appuntamento. Aveva ancora addosso le parole di sua madre e per quanto si sforzasse non riusciva a togliersele dalla testa. Aveva fatto di tutto per convincersi che non fosse così, si era tappata le orecchie davanti alle accuse della gente. Lei conosceva suo fratello meglio di chiunque altro al mondo. Freddie si faceva vedere spavaldo, ironico, un animale da festa, ma lei sapeva che quel leone nascondeva in sé un animo puro. Poteva immaginare come tutta quella situazione l’avesse scosso, ferito, gli avesse frantumato l’anima in mille pezzetti. Solo non capiva, non riusciva a giustificargli per niente il fatto di averla abbandonata. Perché? Lei che si sarebbe gettata in qualunque situazione se solo lui glielo avesse chiesto, lei che lo avrebbe difeso a spada tratta se solo qualcuno avesse osato sfidarlo. Si sentiva vuota. Un’enorme luna piena splendeva in cielo, illuminando quella notte senza stelle. Si era alzata una leggera nebbiolina bianca che restava pesantemente ancorata a terra a qualche centimetro dal suolo. Improvvisamente dei passi alle sue spalle. Si voltò giusto in tempo per vedere una sagoma femminile che si muoveva verso di lei. «Lumus.» La punta della sua bacchetta emanò una forte luce bianca che rivelò a poco a poco la figura slanciata e longilinea della Greengrass. La giovane aveva sul viso un’espressione incredula. «Mi dispiace..» Si morde il labbro inferiore sentendosi gli occhi della ex Serpeverde puntati addosso «Avevo assolutamente bisogno di vederti.. Sei una delle sue più care amiche.. Devi sapere dove si trova.. Dov’è.. Dov’è mio fratello, Greengrass?» Le parole uscirono dalle sue labbra come una lenta supplica. Aveva bisogno di sapere la verità e non si sarebbe tirata indietro ora.

     
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