don't come back

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    Si è smaterializzato lì, senza nemmeno capire di starlo facendo. Non ha visualizzato il luogo, è solo svanito nel nulla, per ritrovarsi nel pieno del Distretto di Piombo. Ci è stato una volta con Sophie, ha potuto già toccare con mano quanto sia tragica lì la situazione, ma ora è molto peggio. Già. Ora il mondo è andato tutto a puttane e l'Inferno si è riversato su di esso. C'è odore di morte, ancora peggio di prima. Ci sono urla, ci sono schiamazzi. Dash riesce a percepire la paura che scorre nelle vene delle persone che gli sfrecciano accanto, mentre lui rimane lì, immobile. Sono tutti impauriti, non hanno idea di cosa stia succedendo, così come non ne ha lui. Rimane fermo, mentre il tempo gli scorre intorno, mentre si trova in mezzo ad un tornado di anime che gli vortica attorno, ma da quale lui è completamente distaccato. La sua mente è lontana, è ancora lì, ad Hogsmeade. Ad Evie che ha fatto di tutto per metterlo in salvo, prima di essere risucchiata dal disastro generale, non lasciandogli più la possibilità di seguire la sua mente con la legilimanzia. Scomparsa, nel nulla, dopo avergli detto di aspettarla lì, che sarebbe tornata e che sarebbero andati insieme al Quartier Generale. E' viva, lo è sicuramente, è Eveline Potter. E in quel momento, la sua mente non riesce nemmeno ad accettare la possibilità che non ce l'abbia effettivamente fatta, che non sia da qualche parte del mondo, al sicuro, pronta ad imbarcarsi in una nuova missione, insieme alla sua Lizzie. Al pensiero della bambina, una morsa si stringe forte all'altezza della bocca dello stomaco, lasciandolo lì, ad arrancare, senza fiato, con il corpo che si sbilancia in avanti e le mani che si sorreggono alle ginocchia, per non cadere di faccia nel fango. Il solo pensarla gli fa male, il solo pensare che forse non la rivedrà più riesce a distruggerlo internamente come nient'altro. Lui che aveva solo il lavoro nella vita, aveva trovato anche altro in quella biondina. Aveva trovato un motivo in più. Deglutisce a fatica, mentre si sente venir meno, sente di non farcela più, mentre gli occhi si riempiono di lacrime che inevitabilmente prendono a scorrergli lungo il viso. E alla fine cede. Scivola a terra, con la testa stretta tra le ginocchia, mentre attende che tutto cessi.

    Alla fine si è rialzato, con il suo bastone alla mano, la sua legilimanzia dall'altra, con tutta la sua vecchia vita passata andata completamente in fumo, cercando di essere sempre quello che è voluto essere: una persona che si rialza, nonostante tutto, a testa alta. In fondo, per uno come lui, orfano, cieco, con niente da offrire che la sua fluente e piccante parlantina e la sua creatività nello scrivere, si è sempre e solo trattato di questo: trovare un modo per continuare ad andare avanti, trovando nuove scorciatoie, nuove scappatoie, che costringesse il resto del mondo a piegarsi al suo semplice volere.
    Così, con non poca fatica, ha ripreso a muoversi da quella stasi iniziale che l'aveva costretto a giorni di silenzi e ad una nebbia pesante che aleggiava sopra di lui. Ormai rientrate le norme di sicurezza che il Ministero aveva applicato contro i Ribelli e presunti tali, è riuscito a spostarsi con maggior facilità, sfruttando anche l'allarme generale che lo scoppio di buchi neri, in tutto il Mondo Magico, è andato creando. Del panico dilagante, è su quello che ha puntato Dash per muoversi senza essere visto, mentre tornava alla sua casa natia, quella che ha da sempre considerato un porto sicuro. La casa di Mrs. Poppins. Non vi ha trovato nessuno, ancora intatta come la ricordava, con qualche centimetro di polvere accennato qua e là. Dopo qualche giorno di grigiume e di sistemazione generale in quello spazio che ricordava come proprio ma che effettivamente non lo era più da tanto, ha anche rinvenuto una lettera, quella indirizzata a lui, che mai era stata inviata però. Al suo interno, Mrs. Poppins lo avvertiva del suo imminente viaggio a New York, per recuperare un altro dei suoi trovatelli speciali. Non vi erano molte altre informazioni, se non che lo avrebbe contattato in qualche modo e che non si doveva preoccupare di lei. E per qualche strana ragione, lui non lo stava affatto facendo. Conosceva alla perfezione Olivia Poppins e i suoi metodi di sopravvivenza - che si era opportunamente premurata di passare anche a lui - erano infallibili. E come richiesto dalla donna, si è preso cura della casa, risistemandola di tanto in tanto, uscendo il meno possibile, solo per cercare provviste, per poi tornare direttamente nel suo nuovo covo. Lì dove aveva deciso di risistemarsi, di ricominciare daccapo, prima di fare qualsiasi altra cosa. Perché non aveva idea di cosa potesse portare il domani, non aveva idea di dove sarebbe andato a finire, ma aveva bisogno di ripartire, da zero. Così aveva scritto a Mrs. Poppins, sperando in una sua risposta, si era messo in contatto con Camden, giusto per avvertirlo di essere tornato a casa e per sentire se stesse bene, e alla fine eccolo lì, di fronte alla sua macchina da scrivere, la sua prima, quella che aveva lasciato a quella casa da custodire, intento a capire come concludere quella lettera. Indirizzata al suo nano da giardino preferito. Ha accartocciato molte delle prove precedenti, per poi decidere di essere il più sincero possibile. Perché non sapeva effettivamente dove si trovasse, non essendo mai uscito da Hogsmeade, non ha la più pallida idea di dove si trovi effettivamente il Quartier Generale, di dove si trovi effettivamente l'ingresso ad Inverness, dove si trovi lei e il resto della famiglia Potter. Ma ha bisogno di scriverle, sperando che possa ricevere quella lettera dove le esprime la sua voglia di rivederla e riabbracciarla al più presto, cercando di sapere se qualcuno, lì da loro, ha notizie di Evie.
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    "Sarò da te prima che tu possa effettivamente accorgertene. Quattrocchi." Conclude così, con quel nomignolo strampalato che la piccola gli ha affibbiato dal primo giorno. L'ultimo tasto batte contro il foglio bianco, lasciandovi un punto indelebile di inchiostro. Sorride, Dash, mentre lo libera dalla presa della macchina, per potervi passare sopra una mano. Le dita che scorrono lungo i caratteri, magicamente portati in rilievo, affinché lui possa controllare che non vi siano errori. Arrivato in fondo, lo ripiega, per poi metterselo nella tasca posteriore dei pantaloni. Recupera il bastone ed esce di casa, scendendo i tre gradini all'ingresso, per percorrere il sentiero che divide il piccolo giardinetto. Ed è quando si rimette in strada, in direzione della guferia di Diagon Alley, che spera sia ancora attiva e lavorativa, che ha nuovamente la sensazione di essere seguito. E' un paio di giorni che sa per certo di esserlo, abituato ad avere tutti gli altri sensi enormemente sviluppati, per compensare la lacuna della vista. Ed è forse anche per questo che ha deciso di uscire nuovamente, quel giorno, per capire chi sia effettivamente il suo ospite. Si porta una sigaretta alla bocca, cattiva abitudine che ha preso ad avere da un po' di tempo a questa parte, e l'accende con la bacchetta. Svolta a destra una prima volta, poi a sinistra per entrare in un vic0letto abbastanza appartato da permettergli di captare alla perfezione i passi che si affrettano dietro a lui. Sono delicati e abbastanza felpati da dargli un primo indizio. E' una donna. Rallenta, rallenta fin quando non lo fa abbastanza da fermarsi completamente. E le è abbastanza vicino da poter captare il suo profumo. Lo riconosce all'istante, per uno come lui è la prima presentazione di una persona. Ognuno di coloro che ha incontrato nella sua vita ha un determinato odore a cui Dash li associa per dare una determinata caratteristica a quello che sarebbe, altrimenti, un semplice nome. Quel profumo è talmente piccante ed esotico da non essere passato inosservato già dalla prima volta. « Come sta Clodie? » Le domanda, voltandosi verso di lei con su quella sua solita faccia da schiaffi che da sempre lo contraddistingue, mentre le fa capire di averla riconosciuta. La guarda, non vedendola davvero, ma riconoscendone le forme attraverso le ombre che ha di fronte, leggermente annebbiate dal fumo rado che risputa fuori dalla bocca. « Questa volta hai portato una penna? » Le domanda poi, serafico, come se non fosse indubbiamente strana quella situazione, come se fosse davvero un incontro casuale. « No, perché immagino che tu mi stia seguendo, ormai da giorni, ancora per quel famoso autografo che non ti ho fatto ad Hogsmeade. Sbaglio? » Si stringe nelle spalle, con un sorriso. « Hai anche un foglio, oppure devo firmarti veramente il seno? » Le si avvicina di qualche passo, prendendo una nuova boccata di fumo. « Ma quello forse lo fanno solo le rock star. »
     
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    Si rigira il bicchiere di whiskey incendiario tra le dita, sospirando annoiata. La vita in città ormai non fa più per lei. Il buio si espande sempre di più, impedendole di indossare quei fantastici ray ban tempestati di swarovski che Billy Jonson le ha gentilmente regalato -perchè lei non l'ha mica costretto, minacciandolo di spifferare ogni cosa alla moglie-, la maggior parte dei negozi sono chiusi, la gente pensa più a correre per salvarsi la vita piuttosto che ammirare il suo completino in pelle di dolce e gabbana che le fascia il sedere in una maniera che dal paradiso dovrebbero scendere giusto per darle la chiave dell'ascensione e non certo per l'inferno sulla terra, e...niente, è già traumatico così. Vita grama quella, davvero. « Sono dieci galeoni. » La voce del barista attira la sua annoiatissima attenzione, inducendola ad alzare lo sguardo su di lui. Lo fissa, per quelle che sembrano ore interminabili, poi inarca un sopracciglio. « ..Ah quindi sei serio? » Il tono è sorpreso, a tratti sconcertato, mentre lei scuote la testa, lasciando vorticare il liquido ambrato all'interno del bicchiere. « Dammi la bottiglia. » L'uomo sembra esitare, e Margo sospira, tamburellando con le affilatissime unghie sul bancone. « Dammi la bottiglia o giuro che ti faccio vedere quanto sa essere incendiario il whiskey incendiario quando te lo ritroverai su per il culo. » ..Davvero, non ce l'ha con quel poveretto. E' solo che le è saltato pure il ciclo, nell'ultimo mese. Il barista la fissa per qualche altro momento, poi sospira, rassegnato, porgendole la bottiglia. « Ascolta, non voglio guai » « Con quella pettinatura da apritemi il culo subito non si direbbe, ma okay, va bene. » Sospira, intrecciando le lunghe dita affusolate sul collo della bottiglia, gli occhi che la setacciano velocemente, fino ad individuare ciò che cerca. Vi punta il dito sopra, con l'unghia appuntita che tintinna contro il vetro. « Monopolio dei Castillo, leggi? » « E allora? » « ..Secondo te, io, chi sono? » L'uomo la fissa, confuso, gli occhi verdastri ridotti a due fessure. « Madre de Dios, Jack, sei cieco? Meno seghe, più fatti! » « Quindi sei... » « Tette da urlo, curve da capogiro, charme da mutande strappate, tu che dici? » L'uomo batte numerose volte le palpebre, mentre boccheggia, come per dire qualcosa. « Sei in cortocircuito, tranquillo, è naturale. » Lo liquida con un gesto della mano, versandosi dell'altro whiskey nel bicchiere. « Allora, sicuro che si aggira da queste parti, ultimamente? » Jack annuisce, mentre le labbra della spagnola si piegano in un sorriso di dubbia provenienza. Butta giù tre o quattro sorsi di quel fuoco liquido, poi appoggia il bicchiere sul bancone, lasciandolo cozzare, balzando giù dal sedile e sistemandosi meglio il vestitino striminzito. « D'accordo, direi che vado allora, scusa Jackie, il mio cuore è già preso da un altro cieco. » La sua risata cristallina inonda l'atmosfera cupa e tesa del locale, mentre si ravviva la lunga cascata di capelli scuri. Agguanta la bottiglia di whiskey, e ticchetta verso l'uscita. « Margo, aspetta! » « Ohhh tranquillo Jackie, per questa volta il whiskey non te lo faccio pagare. Mi sento buona! Mi ringrazierai domani! »

    Punta la bacchetta contro le scarpe laccate in rosso, per incantare i tacchi ed evitar loro di far troppo rumore. Sia mai che si rinuncia a delle louboutin, per pedinare qualcuno. Si rialza, riponendo accuratamente la bacchetta nel reggicalze merlettato, e riprende a camminare, sgusciando via da quel vicoletto poco raccomandabile. ..E quindi fin troppo familiare, per una come lei. Perchè stia seguendo Dash Meachum, nonostante ormai la faida tra ministero e ribelli sia cessata? Beh, proprio per questo. L'attenzione su tutta la questione politica è ormai scemata, l'allerta dei soggetti in questioni si è abbassata parecchio, quale momento migliore per uno sciacallo a tutti gli effetti come lei, per agire? Non che abbia mai avuto nulla contro quell'uomo, davvero. Probabilmente, forse, non gli torcerebbe neanche un capello. Un po' perchè beh, sarebbe un vero peccato, un po' perchè forse sua sorella non le parlerebbe per il resto dei suoi giorni. ..Non che normalmente Clodie sia di tante parole con lei, ma questi sono dettagli. Ma è annoiata, Margo, è terribilmente annoiata. Invidia la gente che ha paura, in quei tempi bui. Quando hai paura qualcosa da fare la trovi. Scappare, nel più clichè dei casi. Oppure dichiararti alla donna che ami, scopare, bere fino al coma, insomma, goderti quegli attimi che potrebbero essere gli ultimi. Lei, però, non ha paura. E' fin troppo vecchia -ma badate bene a non ricordarglielo mai, perchè solo lei può darsi della vecchia, ovviamente- per queste cose. Sa come funziona il mondo e sa come funziona lei. In un modo o nell'altro se la caverà sempre, e semmai dovesse morire, tornerà a reincarnarsi nel corpo di chissà chi, in quel solito ciclo infinito del quale inizia ormai a stancarsi. Quindi, in poche parole, ha dovuto trovarsi necessariamente qualcosa da fare, per non impazzire. ..Più del normale, almeno. Se quel qualcosa da fare avrebbe potuto arrecarle dei guadagni personali, oltre che una gran bella visuale, allora, lo trovava oltremodo perfetto. E quindi ai conti dei fatti eccola quì, a muoversi silenziosamente dietro la sagoma slanciata dell'uomo, seguendo ogni suo movimento, ogni suo passo. Non sa molto di lui, in fin dei conti. Sa quanto valga la taglia sulla testa, sa quanto sia famoso lì, nel mondo magico, ma al di là di questo, non dispone di tante altre informazioni sul suo conto. Non che le sia mai interessato qualcosa dei suoi..clienti, a parte il prezzo della loro cattura, ma non sa perchè c'è qualcosa in quell'uomo che la attira. In fondo avrebbe potuto adocchiare chiunque altro, di quei tempi. Come già detto l'allerta si è ormai abbassata, ed è più che sicura che un Potter o un Weasley tra le sue manine benedette le arrecherebbe non pochi vantaggi, ma alla fine, lei ha scelto proprio lui. Dash Meachum. Clodie, si è sempre detta. Sa quanto quell'uomo piaccia a sua sorella, o per lo meno, crede di averlo capito dai suoi sguardi e dal fatto che..beh, l'austera e imperturbabile Castillo si trasformi sempre in un piccolo agnellino in presenza del bel giornalista. Per questo motivo, da ottima sorella qual'è sempre stata -e si è sempre umilmente proclamata- è necessario per lei scoprire qualcosa in più su di lui e, al tempo stesso, strapparlo via dalle mani di colleghi ben più pericolosi di lei. E ce ne vuole, fidatevi. Quindi continua a seguirlo, come ormai è abituata da giorni a fare, fin quando lui non arresta i suoi passi, e lei fa lo stesso. Il suo viso si tinge di una leggera confusione, mentre inarca entrambe le sopracciglia, fin quando l'uomo non si volta nella sua direzione, e lei riassume quella maschera di sicurezza che la caratterizza. « Come sta Clodie? » Piega la testa di lato, stringendo le labbra ed assottigliando lo sguardo in una smorfia concentrata. Si domanda come abbia fatto ad individuarla, ma specialmente si chiede come faccia a sapere si tratti di lei. Quindi lo fissa per un altro po', poi respira a fondo, incrociando le braccia.
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    « Non è tanto carino non salutarmi nemmeno e chiedermi subito di mia sorella, lo sai? » Se ne esce dunque, con quel suo solito tono di voce frivolo e leggero. Rimane tuttavia ferma lì, a fissare quell'uomo che si prospetta sotto i suoi occhi più misterioso ed enigmatico che mai. Sta fumando, e l'odore del fumo le pizzica appena le narici. L'istinto di chiedergli come abbia fatto a riconoscerla è forte, ma siccome è pur sempre di Margarita Castillo che stiamo parlando, che piuttosto che mostrarsi esitante preferirebbe mille anni di torture, infine scocca la lingua contro il palato, decidendo di avvicinarsi un po'. « Clodie sta bene, e anche io, grazie di avermelo chiesto, sei molto gentile. » Non si sforza nemmeno a nascondere quella nota permalosa che incrina la sua voce. « Questa volta hai portato una penna? » E' pronta a rispondere, ma lui la precede. « No, perché immagino che tu mi stia seguendo, ormai da giorni, ancora per quel famoso autografo che non ti ho fatto ad Hogsmeade. Sbaglio? » E a quel punto serra le labbra, con quei due abissi di pece fissi su di lui. Okay, qualcuno deve averlo informato. Pensa, perchè chiaro, è ovvio, che non sia stata lei a sbagliare e farsi riconoscere, in tutta quella situazione. Forse l'ha semplicemente sottovalutato. Ma non si lascia impressionare, alla fine, perchè in fondo se Dash vuole giocare, è più divertente così. « Ma certo. Me l'hai negato l'ultima volta, rattristandomi molto. » Il tono è rammaricato, e mentre lui si avvicina, lei non accenna ad allontanarsi. « Hai anche un foglio, oppure devo firmarti veramente il seno? Ma quello forse lo fanno solo le rock star. » Le labbra scarlatte si piegano in un sorriso, mentre incassa l'ennesima, serpeggiante frecciatina che lui le lancia. Allora si avvicina, prendendolo sotto braccio, accaparrandosi confidenze che di certo non le appartengono, ma che non ha alcuna remora dall'accaparrarsi. Come sempre. « Beh, non ti piacerebbe essere un po' rockstar anche tu, per qualche momento? » Se ne esce, iniziando a camminare, inducendolo a seguirla. « Fare quello che ti pare quando ti pare. Avere fama, droga.. » Arresta i suoi passi, girandosi verso di lui quel tanto che le basta per lasciar aderire il suo corpo contro il suo braccio ed il suo fianco, mentre si alza leggermente sulle punte, per raggiungere la sua altezza. « Donne. » Sibila, sfiorando in maniera quasi impercettibile il suo orecchio sinistro con le labbra, prima di tornare coi piedi per terra, e lasciare che una risata cristallina le scuota il petto, rimbombando per l'intero vicolo. « Scommetto che le conosci già tutte queste cose, vero, Dash? Non eri una rockstar di nome, fino a poco tempo fa, ma di fatto immagino di sì, mh? » Riprende a camminare, scuotendo la testa per ravvivarsi i capelli. « Giochiamo, ti va? Sono sicura che in confronto ad incontrare me, non avevi niente di meglio da fare, dopotutto. » Si stringe nelle spalle, con un gran sorriso ad allargarle le guance. « Faremo così. Tu fingerai di non aver nessun sospetto sul mio conto, nè sul perchè ti stessi seguendo. Io, invece, sarò colei che si preoccupa così tanto della salute attuale dell'amico della sua cara sorellina, e che ha avuto la fortuna di incontrarlo per strada, solo soletto. » Lo fissa, sino ad individuare il suo sguardo vacuo, esitando qualche momento, poi si gira dall'altra parte. « Insieme andremo in qualche posticino non ancora desolato dove ti offrirò qualcosa e parleremo del più e del meno, normalmente. Magari mi racconterai perchè ti trovi quì, adesso come negli ultimi tempi. Da rockstar a..nessuno, o quasi. » Volta l'angolo, immergendosi in una stradina poco illuminata di Diagon Alley. « Allora, ti va? » Fa una leggera pausa, poi allunga un braccio, per sfilargli via la sigaretta dalle labbra, rubandogliela per fare qualche tiro, rigettando via il fumo in sua direzione. « Perchè se non ti va, l'altro lato della medaglia temo potrebbe risultarti molto meno..allettante. »
     
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    Pur non essendo ancora sceso nella sua mente, riesce a percepire il rumore vorticoso delle rotelle del suo cervello che stanno girando velocemente, per cercare di capire com'è che è stata individuata con così tanta rapidità. Sorride perciò, rispondendo a quelle domande mentali di Margo di cui non è assolutamente certo, ma sul quale è pronto a scommettere. In fondo, le doti da segugio di un giornalista non dovrebbero scomparire nel nulla, dall'oggi al domani. « Non è tanto carino non salutarmi nemmeno e chiedermi subito di mia sorella, lo sai? » Piega le labbra in un sorriso di circostanza, voltandosi verso di lei. « Buonasera Margo. Come sta Clodie? » Riformula, con un tono di voce canzonatorio, sperando che questa volta sia di maggior suo gradimento. « Clodie sta bene, e anche io, grazie di avermelo chiesto, sei molto gentile. » E' abituato a valutare i cambi di voce e riesce a decifrare la nota di permalosità intrinseca in quella di lei. Così piega la testa di lato, facendosi vedere intenerito. « Oh, vorresti il mio interessamento nei tuoi confronti? » Le domanda, con una punta di sarcasmo. « Te sei dalla parte di chi aveva il potere su tutto, prima. Non pensavo te la passassi così male da dover richiedere addirittura le attenzioni altrui. Mea culpa. Sono contento di sapere che stai bene. Sei stata inseguita da demoni dell'inferno? Hai perso qualche tuo caro? Magari eri anche tu una ricercata speciale del Ministero? » E' ironico, tremendamente ironico, perché sa perfettamente da che parte è sempre stata la famiglia Castillo. Clodie si è sempre un po' ritenuta la pecora nera, lontana dagli affari famigliari, lontana dalla politica che suo padre aveva sempre voluto impartire loro, ma Margo, no, lei è sempre rientrata nei ranghi di quel ben pensare di Hector Castillo. Non gli è difficile credere che, forse, è per questo che l'ha seguito tutto quei giorni, anche se non riesce ancora a vedere il movente, chiaro e tondo. Se anche mi consegnasse ora, che senso avrebbe? Nessuno ha più tempo di pensare a simili faide umane. E poi davvero? 2.000 galeoni? Ma cosa te ne vuoi fare? Sei ricca sfonda. « Ma certo. Me l'hai negato l'ultima volta, rattristandomi molto. » Oh tesoro, si sente quanto sei rammaricata. Dovresti proprio fare l'attrice. Pensa, con una parvenza di sorriso sulle labbra. Non fa in tempo a palesare quel suo pensiero, che sente una folata di vento spostarsi e il braccio di lei sgusciare sotto il proprio. Aggrotta la fronte, di fronte a quel contatto invasivo, dalle note decisamente troppo intime per il rapporto piuttosto superficiale che hanno sempre avuto. Ma Dash è un uomo che, per forza di cose, ha fatto del tatto il suo senso principale, perciò non è così assurdo per lui tutto quel suo avvicinarsi all'improvviso. Vuole ottenere qualcosa, è ormai chiaro e giustamente il primo passo da fare è limitare al minimo le distanze con il proprio obiettivo, dopo essere entrato in collisione con esso. Perciò è una fase passeggera, quella della confusione, che trova il tempo che trova, mentre un'espressione più conciliante e presa si fa spazio sul suo viso. Vediamo dove vuoi arrivare. « Beh, non ti piacerebbe essere un po' rockstar anche tu, per qualche momento? Fare quello che ti pare quando ti pare. Avere fama, droga.. » Non capisce dove vuole arrivare con quel discorso. Cos'ho di così interessante, al momento, che può interessarti? Lei arresta i propri passi e lui fa lo stesso, come trattenuto dalla presa delle sue dita contro il proprio braccio. La sente aderire a sé, in tutta la sua interezza, riconoscendo ogni forma e ogni centimetro di corpo spinto contro il proprio. « Donne. » « Oh capisco. » Si ritrova a dire, con un sorriso beffardo sulle labbra, mentre la sente ridacchiare. « Ti stai proponendo come volontaria nel'ambito "donne"? Perché se è così, ti dico subito che le droghe non mi interessano e che beh, la fama ce l'ho avuta, per un po' di tempo, ma non facevo quello che facevo per avere soldi e notorietà. » Lo facevo per la fame di verità e di giustizia. Si stringe nelle spalle. « Sarò noioso, ma forse la vita da rock star non fa più per me. » Sono cambiate fin troppe cose da quando ha perso il lavoro e la sua vita perfetta. Troppe meteore si sono scontrate con il suo mondo e ora sono colori diversi quelli che riesce a scorgere, tra le ombre. « Scommetto che le conosci già tutte queste cose, vero, Dash? Non eri una rockstar di nome, fino a poco tempo fa, ma di fatto immagino di sì, mh? » Annuisce, ribadendo soltanto il concetto. Lei riprende a camminare e lui fa lo stesso, con il bastone che ticchetta di fronte a sé. « Giochiamo, ti va? Sono sicura che in confronto ad incontrare me, non avevi niente di meglio da fare, dopotutto. » « Mi dispiace davvero ferire il tuo orgoglio da donna a cui sono certo non molti avranno avuto il coraggio di dire di no, ma devo fare una cosa. Quel qualcosa "di meglio da fare." » Abbassa il volto, per sorriderle amabilmente. « Faremo così. Tu fingerai di non aver nessun sospetto sul mio conto, nè sul perchè ti stessi seguendo. Io, invece, sarò colei che si preoccupa così tanto della salute attuale dell'amico della sua cara sorellina, e che ha avuto la fortuna di incontrarlo per strada, solo soletto. » Ci pensa su, qualche istante, come a voler valutare quanto sia davvero allettante quella proposta. Che cosa vuoi? Si continua a domandare perché, volente o nolente, la donna è riuscita a stuzzicare la sua curiosità, ormai rimasta dormiente da fin troppi giorni. « Insieme andremo in qualche posticino non ancora desolato dove ti offrirò qualcosa e parleremo del più e del meno, normalmente. Magari mi racconterai perchè ti trovi quì, adesso come negli ultimi tempi. Da rockstar a..nessuno, o quasi. » Stringe gli occhi, mentre comincia a sentirsi vagamente infastidito da quella dinamica. Se c'è una cosa che non ama Dash sono i misteri, le cose non dette per creare quell'alone tenebroso che altrimenti non ci sarebbe e gli sembra proprio quello il caso. Margo vuole giocare al gioco del gatto e del tempo, rivestendosi di un mantello intrigante, ma che a conti fatti gli dice poco e nulla. « Allora, ti va? » Si stringe nelle spalle, leggermente interdetto. « E io che ci guadagno da tutto questo? No, del tempo con te, per quanto tu possa essere bella e provocante, ora come ora, non me ne faccio assolutamente nulla. » Inclina la testa di lato. « Sembra proprio che sia solo tu a trarre vantaggio da tutto ciò. » Prima mi segui, poi mi costringi a fare ciò che vuoi. « Perchè se non ti va, l'altro lato della medaglia temo potrebbe risultarti molto meno..allettante. » Scoppia a ridere, sonoramente, nel sentire quelle parole taglienti e affilate. « Davvero, Margo? Mi minacci? Un cieco? Sei caduta così in basso? » Non che ne abbia effettivamente paura e no, non perché è una donna. Così come farebbe di fronte ad un uomo, non ha paura di ciò che potrebbe fargli perché lui può leggerle il pensiero e così facendo, può prevedere ogni sua mossa, in anticipo, senza troppi sforzi. « Ti va bene perché sono annoiato e perché usarti come bastone umano è sicuramente più pratico. Puoi essere i miei occhi. » Sorride, per poi costringerla a girare a destra, lontano dal centro abitato verso il quale lo stava conducendo. « Ho ancora di meglio da fare, ma se proprio ci tieni a giocare con me, puoi farmi compagnia. Prego. » Una mia concessione, non un obbligo imposto dalle tue minacce. Lascia andare la sigaretta con facilità, mentre la sente fumare e ributtargli addosso il fumo denso. « Ti pagano per preoccuparti della mia salute? » Le domanda, battendo la strada, di fronte a sé. « Spero che sia abbastanza da giustificare lo sforzo che ci stai mettendo. » Ragiona ad alta voce. « Forse, a dire il vero, invece che girarci troppo intorno dovresti andare dritta al punto. Lo dico per esperienza personale. Sarebbe
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    sicuramente più efficace, veloce e risulterebbe un successo agli occhi dei tuoi capi. Così, beh, non so, ti pagano anche per farti divertire? Magnanimi questi superiori. »
    La punzecchia, prima di calarsi velocemente nei suoi occhi, per vedere che effettivamente sono arrivati alla guferia. Libera il braccio dalla presa di lei, per poi allungare la mano ad aprire la porta. Le fa cenno di entrare, per poi seguirla a sua volta. « Comunque, se proprio dobbiamo fingere e parlare del più e del meno..come sono diventato un nessuno qualunque? Bella domanda. » Sorride amaramente, nel ripensare ad Evie e al suo candido tentativo di riscattarlo, di fronte alla società. « C'entra una ragazza, non è sempre così? Sono caduto nel terribile cliché che accomuna la maggior parte della letteratura. Sono umano anche io. » Si ritrova a ridere, prima di cominciare a tastare le varie voliere, fin quando non ritrova quella contrassegnata da lui, tempo addietro. Ne riconosce il piccolo spunzone creato con il metallo e sorride, istintivamente. Infila la mano all'interno della gabbia e si ritrova a carezzare la testa del gufo che, avendo vissuto sempre ad Hogsmeade, gli ha fatto da tramite per tutta la sua posta. « Ciao Ermes, almeno tu non sei cambiato. » Lo saluta a bassa voce, per poi tirare fuori la lettera dalla tasca dei pantaloni. « Si è alzata e ha parlato a gran voce, facendo giustizia, a molte persone, a tutti coloro che non venivano più riconosciuti. » Lei ci ha visti tutti, dal primo all'ultimo. « E il sentire il mio nome affiancati a quelli altisonanti e conosciuti come capi della Ribellione cosa credi che mi abbia costretto a fare? A lasciare il lavoro e a darmi alla macchia, sperando di non incappare in persone che mi pedinavano per accaparrarsi la taglia che era sulla mia testa. » C'è una nota sarcastica nella sua voce, mentre le lancia un'occhiata da sopra la spalla, prima di riprendere ad arrotolare la pergamena. La stringe in un piccolo laccio, per poi legarla alla zampetta di Ermes. « Spero tu la possa trovare. » Gli sussurra, sporgendosi un po' verso di lui, per poi lasciarlo libero di svolazzare via, dalla sua finestrella. Spero tanto ti possa arrivare. Sorride, teneramente, prima di tornare a guardare la mora. « Che poi, 2.000 galeoni? Soltanto? Davvero un affronto nei miei riguardi, per quanto ero famoso io rispetto a molti altri di quella listina stilata alla meno peggio, a quanto pare. » Ridacchia, per poi riportarsi verso la porta d'uscita. « Dov'è che vorresti andare a fingere un idilliaco incontro casuale? » Le sorride, beffardo per poi mostrarle il braccio, come ad invitarla ad aggrapparvisi ancora una volta. « E tu? Come sei finita a fare quello che stai facendo? » Le domanda poi, tornando a camminare per le viuzze del piccolo quartiere, con la brezza serale che gli pizzica il volto. « E' così noioso stare dall'altra parte? Anche se ora non si dovrebbe più parlare di questa e quell'altra barricata no? Siamo tutti insieme, gli umani, contro l'Inferno. Se non avesse quel leggero tocco dalle tinte apocalittiche che è trito e ritrito nei romanzi, lo userei come soggetto per un nuovo manoscritto. » Ma a me le cose viste e riviste non sono mai piaciute. « Quindi dimmi, di cosa si occupa una ragazza che si trova a vagare, per caso, per i vicoli oscuri di un quartiere quasi del tutto dimenticato da Dio? Devi fare qualcosa di davvero interessante. » Si sofferma a sorriderle. « Ti prego, sono tutto orecchie. »
     
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    « Mi dispiace davvero ferire il tuo orgoglio da donna a cui sono certo non molti avranno avuto il coraggio di dire di no, ma devo fare una cosa. Quel qualcosa "di meglio da fare." » Lo guarda fisso, lo sguardo assottigliato e tagliente come mille coltelli messi assieme. Non è abituata, Margo, a venire rifiutata, o anche solo contraddetta. Non più, per lo meno, da quando ha deciso di diventare quella che è oggi. Perchè c'è stato un tempo, assai remoto e ben nascosto a molti, in cui la bella ed accattivante Castillo si rivelava ben diversa, rispetto all'odierno. Un tempo che anni di esperienza e ferrea volontà l'hanno aiutata -ed in parte costretta- a dimenticare, e che talvolta non riconosce neanche come appartenente ad un periodo della propria vita. Poi però ci sono momenti come quello, in cui l'inaspettato la investe in pieno, e quel suo subconscio decisamente poco convenzionale ed instabile inizia a tremolare. Ma dura tutto ben poco, sempre, perchè come già detto, anni ed anni di esperienza e auto convinzioni hanno giovato a reagire agli ometti birichini come Dash Meachum. E quindi si limita a fissarlo in cagnesco, come se volesse divorargli la faccia da un momento all'altro -e fidatevi, con una come Margarita Castillo una cosa del genere potreste benissimo aspettarvela- ma alla fine si stringe nelle spalle, lasciando che tutto quel fastidio (di gran lunga esagerato, ma, di nuovo, è di Margo e la sua isteria a mille che stiamo parlando) le scivoli addosso per armarla di un brillante sorriso. « Vai dalla ragazza? Chissà cosa penserebbe se sapesse che hai passato del tempo con me, prima di andare da lei, mh? » Una risata cristallina le scuote il petto mentre porta la testa verso dietro, ed i capelli le solleticano la schiena. Ma l'uomo continua a non demordere di fronte ai suoi giochetti « E io che ci guadagno da tutto questo? No, del tempo con te, per quanto tu possa essere bella e provocante, ora come ora, non me ne faccio assolutamente nulla. » ...Indovinando perfettamente cosa non dire in presenza di una come lei. Ma tu ci sei o ci fai? Pensa, stringendo i pugni per non librarsi in una delle sue solite azioni da signorina per bene -e cioè mollargli un pugno sul naso, probabilmente- e lascia correre, sfarfallando le ciglia. « Sembra proprio che sia solo tu a trarre vantaggio da tutto ciò. » « Appunto. Secondo te perchè sono quì? » Ridacchia dunque, con quel fare leggero e superficiale, mentre ticchetta per terra, con lui che la conduce per strada. Cosa ironica, dato che dovrebbe essere il contrario, ma sta imparando -in quei pochi minuti- che uno come Meachum, va ben oltre le apparenze. « Davvero, Margo? Mi minacci? Un cieco? Sei caduta così in basso? » Lui non ha paura di lei nè si rivela impressionato alle sue parole. Allora lo fissa, la spagnola, per poi decidere di cambiare tattica. Se la panterona misteriosa non gli piace, vai per la ragazza della porta accanto. Ognuno ha i suoi gusti e te sei quì per scoprire quali siano i suoi, no? Il perchè non lo sa mica. Non c'è sempre un perchè, con una come Margarita Castillo. Agisce seguendo l'istinto, semplicemente. Punta gli uomini, li adocchia, li studia, li avvicina e poi li divora. Che sia letteralmente o meno non vi è dato sapere. E' fatta così, è nel suo dna e nella sua stessa natura, di gran lunga differente da un semplice modo d'agire prettamente umano. E quel Dash, ahimè, ha avuto la fortuna -o sfortuna- di rientrare nel suo mirino e ciò sta a significare che con ogni probabilità non gli sarà facile, se non impossibile, scrollarsela di dosso così facilmente. Il fatto è che da quell'uomo, di vantaggi ne ricaverebbe davvero parecchi. Non è un ragazzetto da quattro soldi, di quelli che le piace divorare come antipasto, quando non ha voglia di impegnarsi troppo. No, Dash sa tenerle testa. Non cade nel suo tranello così facilmente. Per non parlare poi del fatto che è in un qualche modo legato a sua sorella, personaggio di spicco nel mondo magico, ex ricercato con una buona taglia sulla sua testa. Insomma, non uno qualunque. « Io? Minacciarti? Andiamo, per chi mi hai presa? » Il tono di voce è completamente diverso da quello precedente, perchè se lui non può vedere la sua espressione confezionata ad hoc per quella messa in scena, allora è con la voce che deve compensare. Confusa, esitante e sorpresa. Innocente. « E poi non dovresti essere così discriminante con te stesso, il fatto che sei cieco non dovresti considerarlo sinonimo di cadere in basso » Amichevole e limpida come non mai, si sente quasi sua sorella Clodie. Forse qualcosa sei riuscita ad insegnarmi, nana, dopotutto. « Ti va bene perché sono annoiato e perché usarti come bastone umano è sicuramente più pratico. Puoi essere i miei occhi. » Lui la costringe a girare verso destra, e lei vi si ritrova trascinata, e sorpresa, questa volta davvero. Lo guarda, ma ci rimette ben poco per tornare sui suoi passi, in tutto e per tutto. « Devo dire che mi hanno usata in tanti modi, ma come bastone umano ancora mi mancava. » Se ne esce « L'ho detto ad alta voce? » Si finge imbarazzata e spontanea, mentre continuano a camminare. Si guarda attorno, cercando di capire dove siano arrivati. « Ho ancora di meglio da fare, ma se proprio ci tieni a giocare con me, puoi farmi compagnia. Prego. » Gne gne gne. « Le mie minacce ti fanno essere così gentile? Grazie per la concessione. » Lo guarda un po', poi si rigira, per dare un'occhiata sul loro tragitto. In un certo senso lo aiuta davvero ad avanzare per le strade. Non che mi freghi qualcosa se cade in un burrone, ovviamente, è pronta a dirsi mentalmente, sulla difensiva senza sapere nemmeno perchè. Ma non ci fa caso, come sempre. « Ti pagano per preoccuparti della mia salute? Spero che sia abbastanza da giustificare lo sforzo che ci stai mettendo. » Fa spallucce, tirandoselo un po' addosso per evitargli di inciampare contro un rialzamento del marciapiede. Guarda dove sono arrivata. « Magari, in fin dei conti, mi interessa davvero della tua salute, no? » « Forse, a dire il vero, invece che girarci troppo intorno dovresti andare dritta al punto. Lo dico per esperienza personale. Sarebbe sicuramente più efficace, veloce e risulterebbe un successo agli occhi dei tuoi capi. Così, beh, non so, ti pagano anche per farti divertire? Magnanimi questi superiori. » « O magari è troppo per te da credere. » Il tono è rammaricato ed a tratti mortificato, come se quelle parole saccenti di lui la stiano davvero ferendo. Si libra pure in un sospiretto stanco, fin quando entrambi non giungono finalmente alla guferia. Sta per avvertirlo che sono arrivati, ma lui si divincola prima dalla sua presa, andandosi a dirigere verso la porta. Ma come cazzo.. si morde la lingua tuttavia, limitandosi a seguirlo. Okay, sei un falso invalido, furbetto, pensa mentre gli sta dietro, attenta a non sfiorare i muri di quel luogo. « Per forza quì dentro dovevi venire? » Si lamenta dopo un po' « Non mi sono mai piaciuti gli uccelli. » Borbotta, infastidita. Ed è vero, artigli, beccucci appuntiti, occhietti che ti fissano e piume non fanno per lei. « Non quelli con le piume. » E' convinta di averlo solo pensato, ma quando si rende conto di averlo detto ad alta voce si stringe nelle spalle. « E vabeh, le mie parole voleranno assieme alle loro alucce piene di pidocchi » Tutto tranquillo e regolare. Si ferma dopo un po', quando lui inizia a parlare. « Comunque, se proprio dobbiamo fingere e parlare del più e del meno..come sono diventato un nessuno qualunque? Bella domanda. C'entra una ragazza, non è sempre così? Sono caduto nel terribile cliché che accomuna la maggior parte della letteratura. Sono umano anche io. » Assottiglia lo sguardo, piegando leggermente la testa di lato. Quindi una ragazza è riuscita davvero a fregarti. Allora è per questo che le mie tette non funzionano. Stronza. Lo vede tastare le varie voliere, dalle quali si tiene a debita distanza, e solo quando adocchia una sporgenza in pietra che le sembra abbastanza pulita e sicura, vi si siede sopra, tirandosi per bene la gonna per coprirsi il sedere. « Si è alzata e ha parlato a gran voce, facendo giustizia, a molte persone, a tutti coloro che non venivano più riconosciuti. E il sentire il mio nome affiancati a quelli altisonanti e conosciuti come capi della Ribellione cosa credi che mi abbia costretto a fare? A lasciare il lavoro e a darmi alla macchia, sperando di non incappare in persone che mi pedinavano per accaparrarsi la taglia che era sulla mia testa. »
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    Tipo te, sembra urlarle l'occhiata da sopra la spalla che lui gli lancia ad un certo punto. Dondola le gambe allora, come una bimbetta, ma rimane in silenzio, per non perdersi neanche uno dei suoi movimenti o delle sue parole. « Quindi è lei il destinatario della tua lettera? Questa famosa ragazza? » Lo incalza, mettendo da parte qualsiasi inutile discrezione. « Come mai non è quì con te, ma sei costretto ad inviarle delle lettere? » Continua, poggiando le mani sulla pietra « Non per farmi gli affari tuoi, ovviamente, ma dopo averti rovinato la vita e la carriera...Potrebbe almeno accompagnartici, in guferia. » Delicata quanto un pugno nello stomaco, ma con una naturalezza nel tono di voce a dir poco disarmante. « Che poi, 2.000 galeoni? Soltanto? Davvero un affronto nei miei riguardi, per quanto ero famoso io rispetto a molti altri di quella listina stilata alla meno peggio, a quanto pare. » Lo fissa con un sopracciglio inarcato ed un leggero fastidio nel sentirlo parlar male dei suoi capi, ma alla fine decide di appoggiare quella sua battuta, con una risatina. « Forse era semplicemente un modo per provocarti. O erano delusi che uno come te fosse giunto dalla loro parte... » Per una ragazza, Dash, davvero? Che c'avrà mai, poi? Sospira, balzando poi giù dalla pietra e sistemandosi la gonna, per poi andare ad aggrapparsi al braccio che lui le sta porgendo, di nuovo. « Farò finta che non lo fai per usarmi come bastone umano ma per galanteria. » Sì, me la ricordo ancora questa perla, signorino. « Dov'è che vorresti andare a fingere un idilliaco incontro casuale? » Lui le sorride, beffardo, e lei non risponde subito, mentre ci pensa un po' su, evitando di guardarlo. E' cieco, ma è fastidioso ed ambiguo -a modo suo- come pochi. « E tu? Come sei finita a fare quello che stai facendo? » Le domanda, quando riprendono a camminare per i piccoli viottoli di Diagon Alley. « E' così noioso stare dall'altra parte? Anche se ora non si dovrebbe più parlare di questa e quell'altra barricata no? Siamo tutti insieme, gli umani, contro l'Inferno. Se non avesse quel leggero tocco dalle tinte apocalittiche che è trito e ritrito nei romanzi, lo userei come soggetto per un nuovo manoscritto. Quindi dimmi, di cosa si occupa una ragazza che si trova a vagare, per caso, per i vicoli oscuri di un quartiere quasi del tutto dimenticato da Dio? Devi fare qualcosa di davvero interessante. Ti prego, sono tutto orecchie. » Lo guarda per un altro po', con quell'espressione vagamente infastidita che non le ha lasciato andare il viso da quando Dash Meachum ha iniziato ad aprir bocca per la prima volta in quel pochi minuti, poi sospira, guardando di fronte a sè. « Quanto pensi che durerà tutto questo? » Se ne esce « Questa pace apparente in cui ci troviamo...Non è stata ottenuta nella giusta maniera. Non ci sono state guerre decisive, trattati o patti. Ci siamo arrivati per comodità, perchè siamo stati costretti da qualcosa di ben più grande » Sospiro tattico « Non è reale, secondo me, è forzata. Le sue fondamenta sono deboli, e per questo sono certa che crollerà al più presto. Non credi anche tu? » Lo guarda per qualche momento, poi si rigira. « Quanto tempo passerà, incassato il colpo dell'inferno sulla terra, prima che una guerra comune si trasformi in una guerra interna? C'è bisogno di leader, strategie, idee, forze, pensi davvero che riusciremo a portare tutto a termine senza che si crei una guerra dentro la guerra stessa? » E per quanto stia fingendo, come sempre, quello è qualcosa di cui è fermamente convinta. Non ci si può fidare della mente umana, e lei è fin troppo vecchia per ricadere in un simile errore. « E quando finirà tutto? Se vinceremo, chi avremo a capo di ogni cosa? » Abbassa la voce, a questo punto « C'è gente...pericolosa, da entrambe le parti. Gente a cui non affiderei neanche il mio peggior nemico. Fin troppo..compromessa. Ho visto cose, ne so delle altre e... » Pausa ad effetto. « Hai un posto sicuro dove poterne parlare? » Si guarda attorno istintivamente, nonostante sappia che lui non possa vederla. « La verità sull'averti cercato è che ho bisogno del tuo aiuto. Delle tue capacità, del tuo nome..Non so cosa fare Dash, mi sembra di impazzire, nessuno mi vuole stare a sentire, pensano tutti al presente e non al futuro che ci spetta... » E allora si ferma, stringendosi a lui. Le dita della mano sinistra si stringono contro il suo braccio, in un tocco tremante. « Per favore, aiutami » Sussurra infine, il tono implorante e soffocato. « Ho paura »
     
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    « Io? Minacciarti? Andiamo, per chi mi hai presa? » Per caso, per la seconda figlia di Hector Garcia Castillo, che sappiamo benissimo tutti di che pasta è fatto? C'è una leggera risata che si alza dalle sue labbra, mentre scrolla leggermente la testa. « E poi non dovresti essere così discriminante con te stesso, il fatto che sei cieco non dovresti considerarlo sinonimo di cadere in basso » Cambio registro, la mora. Si fa più accondiscendente, più dolce e malleabile. Diventa una versione più dolce di sua sorella, pulita e delicata quanto lei, ma senza gli angoli appuntiti di Clodie. Curioso. Sei anche una metamorfomagus allora. « Oh no, devi avermi frainteso. Questo è quello che io chiamo "essere umile", una proprietà che non mi appartiene, ne convengo, ma che mi è stata insegnata, così, giusto per educazione e non sembrare troppo sicuro di me, per non far sentire gli altri a disagio. Ma se vuoi, posso cambiare atteggiamento anche io, preferisci? » Le sorride, girando il volto verso di lei. Che ne dici? Svoltano l'angolo, mentre si avvicinano velocemente alla guferia, con il bastone che continua a ticchettare piuttosto fastidiosamente - come sempre - a terra e contro le pareti, giusto per aver meglio la cognizione di ciò che lo circonda. « Devo dire che mi hanno usata in tanti modi, ma come bastone umano ancora mi mancava. L'ho detto ad alta voce? » Piega la testa di lato, come a far trapelare il fatto che la sua curiosità è stata palesemente stuzzicata da quelle parole. « Devo ammettere che non ci dormirò questa notte, per cercare di capire in quanti e quali modi sei stata "usata", ma nel frattempo, sono felice di essere la tua prima volta » dice, per poi aggiungere una doverosa chiarificazione. « Perlomeno in questo ambito. » Una risata, questa volta dai toni decisamente più caldi e sinceri, si profila sulle sue labbra, facendolo rendere conto di quanto gli serva essere distratto da qualcuno, in quel momento. E' un piacevole svago, stare lì a battibeccare e piccarsi con la sorella di mezzo delle Castillo. gli è mancato parlare con qualcuno nell'ultimo periodo, per quanto quella reclusione sia stata una sua spontanea e indipendente scelta. Ma il tornare ad usare la voce, il tornare a farlo per qualcosa di diverso dal semplice salutare cordialmente i pochi passanti per le stradine di Diagon Alley, è davvero gratificante, così come lo è il poter riprendere a maneggiare il suo adorato sarcasmo, compagno di una vita e fedele alleato per valicare ogni discussione e ogni situazione. « Le mie minacce ti fanno essere così gentile? Grazie per la concessione. » Fa spallucce, come a volersi prendere silenziosamente i meriti che gli ha appena dato - gratuitamente e per nulla sentitamente, lo sa bene -. « Magari, in fin dei conti, mi interessa davvero della tua salute, no? O magari è troppo per te da credere.» Emette un rumore che sa di poca convinzione, con su quella faccia da "non abbastanza impressionato.". « Buona l'idea, apprezzatissima veramente, ma..in quanto ad esecuzione, non ci siamo poi molto. » Arriccia il naso, come a volerle palesare quanto sia sicuro che, a conti fatti, della sua salute non le interessa proprio per nulla, com'è giusto che sia, non conoscendolo nemmeno. « Per forza quì dentro dovevi venire? » Per la prima volta, da quando ha preso a parlarci, le sembra veramente sincera, sentendo quella lamentazione come veritiera, proveniente dritta dritta dal suo cuore. Finalmente. « Non mi sono mai piaciuti gli uccelli. » Ah sì? Clodie mi ha sempre raccontato l'esatto contrario. « Non quelli con le piume. » Ecco, già meglio. « E vabeh, le mie parole voleranno assieme alle loro alucce piene di pidocchi » Soffoca a fatica una risata, mentre va alla ricerca di uno in particolare di quei pennuti dei quali Margo sembra essere così infastidita e schifata. « Quindi è lei il destinatario della tua lettera? Questa famosa ragazza? Come mai non è quì con te, ma sei costretto ad inviarle delle lettere? Non per farmi gli affari tuoi, ovviamente, ma dopo averti rovinato la vita e la carriera...Potrebbe almeno accompagnartici, in guferia. » Scrolla la testa, con fare deciso, mentre attende di sentire lo zampettare del volatile verso la sua finestrella, per poi sentire lo sventolio delle sue piume che gli indica il suo avvenuto spiccare il volo. « Non ho idea di dove sia lei. E' dal macello ad Hogsmeade che non ho più sue notizie. » Credo sia morta, ma spero che non lo sia. Non si merita una morte così, non con tutta una vita davanti. Deglutisce, per poi lasciare che le sue labbra si distendano in un sorriso. « E' per la bambina di cui si prendeva cura. A me i bambini nemmeno piacciono, ma Lizzie è riuscita a farmi sorridere più volte di qualsiasi altro essere umano sulla faccia della Terra. E' una bambina speciale. » Una bambina che gli ha lasciato addosso un evidente segno, una traccia, come d'appartenenza, sul suo cuore. Un solco che Dash non sa come cancellare e che, silenziosamente, tenta di arginare, provando sempre quella malinconia tipica della distanza forzata. « Vorrei rivederla, ma non so dove sia, o meglio, lo so, ma non ho idea di dove si trovi esattamente e allora le scrivo, sperando che riceva anche una soltanto di queste lettere, per sentirsi meno sola, magari. » O forse sono io a sentirmi meno solo, anche soltanto immaginando che, ovunque ella sia, leggerà questi inutili fogli dove le racconto le mie giornate. Si stringe nelle spalle, per poi voltarsi verso di lei, allargando un po' le braccia. « Allora, Margarita, vediamo se sei brava a questo gioco. » La fissa con un mezzo sorriso che gli si staglia sul viso. « Ciò che ti ho appena raccontato è la verità o una bugia? O magari c'è del vero, in mezzo a tante falsità? Che ne pensi? » Se a lei piace fare giochetti, in fondo, ha trovato pane per i suoi denti, perché non c'è niente che Dash ama più della verità, è vero, ma adora anche arrivarci per gradi, divertendosi nel mezzo. « Forse era semplicemente un modo per provocarti. O erano delusi che uno come te fosse giunto dalla loro parte... » Scuote la testa, cercando in quel tono di voce quanto anche lei la pensi come la sorella. « Perché tutto quello che trapela dalla superficialità è sempre vero? Mi stai dicendo che credi a certe cose? Proprio tu? » Proprio tu che ti sei presentata qui, minacciandomi, per poi tentare di sembrare Maria Teresa di Calcutta? « Io sono stato costretto dai tuoi capi a passare dall'altra parte e non per convinzione politica, no, quella non l'ho mai appoggiata, fino al giorno in cui è scoppiato l'inferno, ma perché sono stato messo alla porta, assai poco gentilmente. » Camuffa una risata allusiva. « Nella mia carriera da giornalista, in fondo, ho sempre raccontato la verità, da qualsiasi lato essa si trovasse e questo, ai tuoi capi, non andava molto a genio, sembrerebbe. Ah, la libertà di stampa, questa sconosciuta. » Senza contare il fatto che era da mesi che non potevo pubblicare niente, per quella piccola postilla che diceva che potevo scrivere sì, ma solo cose approvate. « Ma tranquilla, in fondo non hai mica colpa tu dei capi che ti ritrovi ad avere. » E' spinosamente ironico, in quell'attacco che la vorrebbe come parte lesa, invece che come parte attiva in ciò che è stata una vera e propria caccia alle streghe, a cui, lei, aveva deliberatamente preso parte. « Farò finta che non lo fai per usarmi come bastone umano ma per galanteria. » Gli angoli delle labbra si piegano verso l'alto, in un sorriso assolutamente beffardo, mentre una mano va a posarsi sopra quella di lei, stretta al suo braccio. « Su su, Margo, non pretenderla. Non è nulla di personale, solo semplice disabilità. » E di nuovo giochiamo la carta "umiltà." La carezza un paio di volte, per poi lasciare ricadere la mano lungo il fianco. « Quanto pensi che durerà tutto questo? Questa pace apparente in cui ci troviamo...Non è stata ottenuta nella giusta maniera. Non ci sono state guerre decisive, trattati o patti. Ci siamo arrivati per comodità, perchè siamo stati costretti da qualcosa di ben più grande. Non è reale, secondo me, è forzata. Le sue fondamenta sono deboli, e per questo sono certa che crollerà al più presto. Non credi anche tu? » Aggrotta le sopracciglia, preso per la prima volta, da quando le loro strade si sono incrociate, davvero in contropiede. Lui le ha chiesto tutt'altro e lei se ne esce così. Parlando dei massimi sistemi e di politica. Interessante. La lascia proseguire, sperando che continui. « Quanto tempo passerà, incassato il colpo dell'inferno sulla terra, prima che una guerra comune si trasformi in una guerra interna? C'è bisogno di leader, strategie, idee, forze, pensi davvero che riusciremo a portare tutto a termine senza che si crei una guerra dentro la guerra stessa? E quando finirà tutto? Se vinceremo, chi avremo a capo di ogni cosa? » Ci pensa su qualche istante, prima di formulare una vera e propria risposta a quelle ripetute e incalzanti domande. « Per quanto mi piacerebbe credere il contrario, hai ragione. Sono abbastanza cinico da credere che non si potrà andare troppo avanti se non si scenderà presto a patti, se non si troverà un vero confronto tra le varie figure politiche in ballo. Finora, non si sono davvero mai scontrati, ognuno sta nel suo appezzamento di terra, ognuno fa le proprie cose, sperando che questa tregua basti a farci sopravvivere tutti all'inferno. Ma magari loro sanno che non sopravvivremo e allora capisco il perché di questo lasciar correre. Moriremo tutti, a molto breve probabilmente, quindi cosa importa avere un capo che ci unisca tutti? Qualcuno che sia abbastanza imparziale e giusto da guidarci? Non si ha più bisogno di un pastore, quando si sta per entrare al macello, no? » Ributta fuori tutto il suo essere disincantato, nei confronti del mondo, tanto da sembrare quasi aver accettato completamente la possibilità di morire, da un giorno all'altro. E se anche non sia assolutamente così, si piace convincersi e convincere gli altri di ciò, perché in fondo è più facile credere fermamente in qualcosa, quando non si hanno più convinzioni e punti fermi esterni ai quali aggrapparsi. « C'è gente...pericolosa, da entrambe le parti. Gente a cui non affiderei neanche il mio peggior nemico. Fin troppo..compromessa. Ho visto cose, ne so delle altre e...Hai un posto sicuro dove poterne parlare? » Si volta verso di lei, mentre arriccia la fronte, con gli occhi che, in circostanze differenti, si illuminerebbero al di là dei vetri scuri che hanno a protezione. Margo sa cose. E' per questo che è andato a cercare proprio lui? « La verità sull'averti cercato è che ho bisogno del tuo aiuto. Delle tue capacità, del tuo nome..Non so cosa fare Dash, mi sembra di impazzire, nessuno mi vuole stare a sentire, pensano tutti al presente e non al futuro che ci spetta... Per favore, aiutami. Ho paura» Rimane fermo, mentre le dita di lei si aggrappano a lui, quasi fosse un'ancora di salvezza. Sta tremando e ha la voce soffocata e lui è confuso. Perché è passata da femme fatale, a ragazza della porta accanto, per poi sfociare nella damigella in pericolo. Gli basterebbe guardare nella sua mente, per capire se stia effettivamente dicendo la verità o meno, ma preferisce, ancora una volta, giocare, mettendo alla prova le sue capacità deduttiva, per capire se siano ancora lì, nascoste e sepolte da mesi di inattività. Perché, in fondo, se c'è una cosa che gli è sempre riuscita bene, è adattarsi, mutare insieme ai cambiamenti che gli vorticano intorno. Così, nuovamente, posa la propria mano sopra quella di lei, come a volerle infondere un po' di conforto. « Ehi, calmati! Non farti prendere dalla paura, ti ascolterò io, stai tranquilla. » La voce che assume una tonalità calda, che le sia di aiuto per attutire quel suo improvviso attacco di panico.
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    « Andiamo, ti porto a casa mia! » E non sa perché, ma c'è una parte di lui, quella dove è sempre risieduto il suo istinto, che gli dice, senza mezzi termini, che così facendo, sta soltanto facendo il suo gioco, ma se ne frega perché vuole sapere, vuole capire. E così, voltandosi verso la direzione opposta, riprendendo la strada dalla quale sono venuti, prende a camminare svelto, lasciando che il bastone gli faccia strada sulla via di casa. « L'ho fatta talmente tante volte, ultimamente, da averla ormai imparata a memoria. » Sorride, spezzando un po' quel silenzio funereo, una volta infilata la chiave nella toppa della porta, per poi farla scattare. Le fa cenno di entrare, per poi accendere le luci con la punta della bacchetta. « Ti direi di fare come fossi a casa tua, ma tecnicamente non è propriamente nemmeno casa mia.. » Ridacchia, attuando una delle prime regole del suo lavoro: rendersi al pari, vulnerabile, raccontando qualcosa di sé, lasciando entrare l'altro nella propria storia, così da rendere la situazione più intima e meno formale. « Vuoi qualcosa? Stando al tuo umore, direi tequila? » Improvvisa così, aspettando che sia lei a confermargli o meno, prima di girarsi verso la cucina. « Aspettami pure in sala. » Le urla, togliendosi il giacchetto, per farlo scivolare sulla seggiola più vicina. Tastando a destra e sinistra, riconosce l'angolo dei fornelli dall'ombra e trova senza troppe difficoltà la macchinetta del caffè nel quale è già pronto dell'ottimo caffè nero. Vi punta contro la bacchetta, lasciando che si riscaldi un po', per poi prendere un bicchiere dalla credenza, riempendolo per Margo. Una volta pronto anche il caffè, leggermente allungato con la sambuca, per se stesso, mette tutto sopra un vassoio, facendo particolare attenzione al metterci anche la bottiglia di tequila, per poi animarlo con la magia, affinché lo segua fino in sala. Annuncia il proprio arrivo con il rumore provocato dal suo bastone, per poi vederla, la figura di Margo, che si erge sul divano. Lascia che il vassoio si sistemi sul tavolino di fronte ad esso, prima di sedersi al suo fianco. Non davanti, ma vicino. « Serviti pure! » Le dice, per poi usare i polpastrelli delle dita per arrivare alla propria tazza. Ne beve qualche sorso, prima di poggiare il gomito sul divano, la mano che gli sorregge il capo e lo sguardo vacuo fisso su di lei. In circostanze diverse, quando aveva bisogno di arrivare subito al sodo, solitamente usava la carta dei suoi occhi veri. Per quanto assolutamente allineati e quasi del tutto normali, a prima vista, lasciare che il proprio interlocutore vedesse il loro completo estraniamento dal mondo era sempre un asso nella manica, perché chi aveva davanti si sentiva talmente in soggezione, di fronte ad un'evidente disabilità, da sentirsi quasi in colpa nel mentirgli e quindi, di conseguenza, si apriva come sotto l'effetto di Veritaserum. Ma Margo è diversa. Gliene ha dato prova fino a quel momento. Non si lascia abbindolare dalla sua cecità, sopra la quale lui deliberatamente gioca. No, è una giocatrice anche lei e forse, molto più brava e astuta di lui. Così ci rimugina su, mentre appoggia la propria tazza a terra, per poi tornare nella posizione iniziale. Si morde il labbro inferiore, prima di sorriderle. « Ti va di raccontarmi cosa sai? » Prende a dire, prima di lasciare andare il braccio lungo la spalliera del divano, così da ritrovarsi casualmente a contatto con la sua spalla. « Sarò sincero, non capisco ancora in cosa posso tornarti utile io, ora come ora, ma sei al sicuro qui. Nessuno sa che sono tornato ad abitarci e nessuno ti verrà a cercare. » Le dita, come se fosse una cosa del tutto normale, si muovono appena tra i suoi capelli, scostandoli, fin quando non arriva a carezzarle la spalla. Un gesto confortante, atto a farla sentire meglio. A farla sentire più a suo agio. « Chi è questa gente pericolosa che ti spaventa così tanto? » La incalza nuovamente, mentre continua a carezzarla da sopra i vestiti, stando ben attento a non oltrepassare alcun limite, per non mandare tutto in fumo. « Sono qui, io voglio ascoltarti. Dimmi solo cosa sai. »
     
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    « Devo ammettere che non ci dormirò questa notte, per cercare di capire in quanti e quali modi sei stata "usata", ma nel frattempo, sono felice di essere la tua prima volta » Sciabola entrambe le sopracciglia verso l'alto, mentre l'eco di una risatina le scuote il petto. « Perlomeno in questo ambito. » Doverosa precisazione. Fa un cenno del capo, come a volergli palesare quanto ci abbia azzeccato, prima di stringersi nelle spalle e darsi una ravvivata alla lunga chioma corvina. « Passerai la notte pensando a me? How cute is that? » Lo prende in giro, ridacchiando, unendosi alla sua, di risata. Forse, pensa, al di là che talvolta vorrebbe mangiargli la faccia, non è poi così male. Stare lì a battibeccarsi con lui, prendersi in giro, per quanto lei non abbia chissà quale pensiero o dramma alle spalle -pure in momenti critici come quello- è piacevole. Forse è questo che ci trova di interessante in te, mia sorella? Si ritrova a pensare, assottigliando lo sguardo per qualche momento e stringendo le labbra. « Buona l'idea, apprezzatissima veramente, ma..in quanto ad esecuzione, non ci siamo poi molto. » A quel punto fa un broncio, facendo spallucce. « Beh, fa nulla, ci ho provato. » Mormora, ironica. Se vuoi continuare su questo sentiero, allora continuiamo su questo sentiero. « Non ho idea di dove sia lei. E' dal macello ad Hogsmeade che non ho più sue notizie. E' per la bambina di cui si prendeva cura. A me i bambini nemmeno piacciono, ma Lizzie è riuscita a farmi sorridere più volte di qualsiasi altro essere umano sulla faccia della Terra. E' una bambina speciale. » Si ritrova ad aggrottare la fronte, a quel punto, sorpresa da un certo tipo di parole. Non che i bambini le abbiano fatto mai chissà quale particolare effetto, anzi. E' sempre stata una di quelle persone che di fronte ad un asilo o una scuola, ha sempre teso ad allontanarsi con un visibilissimo ew. Eppure vedere un uomo come Dash Meachum, parlare di una bambina con quella scintilla d'affetto e tenerezza nel tono di voce, è..strano. La sorprende, in un certo senso, e per una come la Castillo essere sorpresa non è roba da poco, dopotutto. Perciò lo continua ad osservare, per una volta in silenzio, senza sentenziare su chissà che o sparare qualche battutina impertinente delle sue. Non le viene neanche in mente di poter utilizzare una simile informazione a suo favore, il che è davvero strano, semplicemente resta lì ad ascoltare, con curiosità. « Vorrei rivederla, ma non so dove sia, o meglio, lo so, ma non ho idea di dove si trovi esattamente e allora le scrivo, sperando che riceva anche una soltanto di queste lettere, per sentirsi meno sola, magari. » E' carino da parte tua, sta per dire, quando lui parla di nuovo, inchiodandola. « Allora, Margarita, vediamo se sei brava a questo gioco. Ciò che ti ho appena raccontato è la verità o una bugia? O magari c'è del vero, in mezzo a tante falsità? Che ne pensi? » I lineamenti del suo viso si induriscono nuovamente, a quel punto, mentre assottiglia lo sguardo. « Sinceramente mi avevi sorpresa. Positivamente, e pure tanto. I bambini non mi piacciono- Per niente. -ma sapere che uno come te è rimasto tanto colpito da una marmocchia da scriverle giusto per sentirsi meglio..E' carino. » Fa spallucce « Ma forse la bontà e la genuinità sono sopravvalutate, e ti ho considerato male. » Il tono è freddo, indifferente, ed è con indifferenza che risponde anche alle sue altre parole, riguardo i suoi capi. Non lo degna di una risposta, restando in silenzio e lasciandosi trasportare dagli eventi, fin quando non si ritrovano entrambi a parlare di questioni politiche. Lei finge, usando la verità nella finzione, come è sempre stata brava a fare, e lui sembra cascarci, inizialmente, seppur sia quasi più che sicura che non durerà ancora per molto. « Per quanto mi piacerebbe credere il contrario, hai ragione. Sono abbastanza cinico da credere che non si potrà andare troppo avanti se non si scenderà presto a patti, se non si troverà un vero confronto tra le varie figure politiche in ballo. Finora, non si sono davvero mai scontrati, ognuno sta nel suo appezzamento di terra, ognuno fa le proprie cose, sperando che questa tregua basti a farci sopravvivere tutti all'inferno. Ma magari loro sanno che non sopravvivremo e allora capisco il perché di questo lasciar correre. Moriremo tutti, a molto breve probabilmente, quindi cosa importa avere un capo che ci unisca tutti? Qualcuno che sia abbastanza imparziale e giusto da guidarci? Non si ha più bisogno di un pastore, quando si sta per entrare al macello, no? » Percepisce disincanto in quelle parole. La consapevolezza di un uomo ormai privo di qualsiasi speranza, e per qualche istante si domanda se abbia perso molto di più di ciò che vuole dare a vedere, in tutta quella situazione. Ma si ammonisce mentalmente, infine, per ricordarsi per l'ennesima volta che no, a lei non importa nulla del passato, presente o futuro di Dash Meachum. Vuole divertirsi, conoscerlo meglio, addentrarsi nella sua vita fino a non uscirne più, ma ciò non comporta null'altro. Nessun legame emotivo, nessuna domanda che sia distaccata da quella ironica strategia. Perciò, di nuovo, decide di non rispondere, continuando a fare domande e dare informazioni, aggrappandosi a lui e mostrandosi turbata. « Ehi, calmati! Non farti prendere dalla paura, ti ascolterò io, stai tranquilla. » E lui dal canto suo abbocca all'amo, o almeno così sembra. « Andiamo, ti porto a casa mia! » Bingo. In situazioni differenti, probabilmente sarebbe un sorriso celato ciò che si staglierebbe sul suo bel viso. Il sorriso della vittoria, perchè in fondo, quella proposta è ciò che dopotutto sperava, sin da quando lo aveva adocchiato. Ma non riesce a cantare vittoria Margo, non adesso, non con Dash. Perchè è stato troppo facile e con lui le cose non sono facili. Non che lo conosca così bene, anzi, probabilmente quasi per niente. Ma è un giornalista, da sempre noto ai suoi capi per le sue capacità intellettive, sempre pronte ad insinuarsi in qualsiasi vicolo, persino il più stretto, in cerca di verità. E' furbo, tanto quanto lei -non di più, questo è chiaro- e proprio per questo giocarci è divertente, sì, ma difficile. Non capisce quando sta vincendo o perdendo, Margo, o quando semplicemente si trovano in parità. Ma tutto ciò che decide di fare infine è aggrapparsi ulteriormente a lui, annuendo mentre continua a tremare. « Ne sei sicuro? » Gli domanda, nel tono di voce tutta quell'innocenza di cui non è mai stata troppo dotata, ma che adesso è lì a sfoggiare come fosse un talento naturale. E Dash sicuro lo sembra davvero, perchè prendono a camminare, velocemente, con lui che si fa strada battendo il bastone sul sentiero. « L'ho fatta talmente tante volte, ultimamente, da averla ormai imparata a memoria. » Spezza quel silenzio tombale, Dash, mentre Margo dal canto suo annuisce. Lo fissa, attentamente, con un leggero sorriso a distenderle le labbra, conscia del fatto che lui non potrà mai vederlo. E' quasi del tutto sicura vi sia finzione, in tutto quello che stanno facendo. Che lui sappia bene chi è e com'è fatta lei, e viceversa. Ma ciò nonostante non può non esser compiaciuta di quei suoi comportamenti. Rispettosi, gentili, nonostante tutto. « Ti direi di fare come fossi a casa tua, ma tecnicamente non è propriamente nemmeno casa mia.. » Lui spezza il silenzio, di nuovo, donandole piccoli dettagli di sè. « E di chi è, questa bella casa? Nascondi una ricca ereditiera alle spalle, per caso? » Una leggera risata cristallina le scuote il petto, per poi spegnersi, lentamente. « Vuoi qualcosa? Stando al tuo umore, direi tequila? »
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    « Andrà benissimo la tequila, sì. » Annuisce, stringendosi le mani attraverso le spalle, in un gesto di protezione, fin quando lui non la lascia, dirigendosi verso la cucina. Allora si rilassa, sbirciando che lui sia abbastanza lontano, per guardarsi attorno con curiosità. Sa che non avrebbe potuto vederla ugualmente, ma deve ancora abituarsi a questo. Quindi squadra ogni angolo con sguardo attento e curioso, per capire quanto di Dash Meachum ci sia in quella casa che, a quanto pare, non gli appartiene al cento per cento. Infine va a sedersi sul divano, con le gambe a cavallo e la schiena poggiata contro la spalliera, fin quando non lo sente, ticchettare col bastone. Sopraggiunge, seguito dal vassoio fluttuante, che si va a posare sul tavolino che si ritrova di fronte, e lei si piega in avanti dopo qualche minuto, rispondendo al suo invito a servirsi. Agguanta il bicchiere, buttando giù quel liquido infuocato, che va ad espandersi lungo il suo petto. Socchiude gli occhi per qualche istante,ma si riprende immediatamente, abituata per com'è. « Ti va di raccontarmi cosa sai? Sarò sincero, non capisco ancora in cosa posso tornarti utile io, ora come ora, ma sei al sicuro qui. Nessuno sa che sono tornato ad abitarci e nessuno ti verrà a cercare. » Lo percepisce sfiorarle i capelli, per poi giungere alla spalla. E' un gesto che infonde sicurezza, quello, e che per qualche istante le fa dimenticare di stare fingendo. Non ci sono sensi di colpa, no, perchè in fondo non ha intenzione di fargli nulla di brutto. Eppure si domanda quanto ci sia di vero e quanto invece no in quei suoi gesti. E cosa proverebbe lei, se fosse tutto reale. Sono domande, quelle, che non si pone da secoli. Ha deciso di cambiare, Margo, già da tempo. In quel tempo ormai passato, fin troppo, del quale non ha mai fatto parola con nessuno, e che stenta a riconoscere persino come proprio. Eppure talvolta alcuni sprazzi di ciò che un tempo è stata, continuano ad insinuarsi in quei suoi pensieri confusi e talvolta contorti, scoprendo qualche nervo assopito. E quindi si ritrova a sentire qualcosa, al di là di tutta quella finzione che la porta al divertimento, ma tende a non farci caso. Non troppo, almeno. Ciò nonostante sospira, mentre lui la accarezza, e poggia le dita affusolate sulle sue. E' ben attento a non oltrepassare alcun limite, Dash, e questo lo riesce a notare. Non capisce se si tratti di strategia o semplice modo di fare, ma non accenna ad allontanarsi ciò nonostante. « Chi è questa gente pericolosa che ti spaventa così tanto? Sono qui, io voglio ascoltarti. Dimmi solo cosa sai. » E a quel punto lo squadra, attentamente, mentre si mordicchia il labbro inferiore, incerta. Sta facendo il tuo gioco, è chiaro, ed è dannatamente bravo a farlo. « E' questo ciò di cui avevo bisogno, qualcuno che volesse ascoltarmi, ed è a ciò che mi sei utile proprio tu » Inizia, prima di sospirare. « Immagino tu sappia ormai con chi abbiamo a che fare in questo mondo. Gente che non ci appartiene, che sta ai vertici, sia da un lato che dall'altro. Ci sono gli umani, ci sono i miei capi, e poi ci sono loro. Loro non giocano dalla nostra parte, combattono una guerra che non ci appartiene. Sono di un mondo che noi non conosciamo. Ci hanno manipolati, usati, e Dio solo sa a cosa serviamo loro. » Fa una pausa. « Li hai già visti, i demoni. Ma non sono solo i mostri. Ce ne sono anche tra di noi. E ce ne sono al potere. Ad Hogwarts, al Ministero, ovunque...Lucien Parker, ad esempio, ti dice qualcosa? » Respira a fondo. « Sembrano umani, si comportano da umani, ed è con gli umani che stringono patti ed alleanze. » A quel punto lo osserva, e si piega in avanti, per poterlo guardare più da vicino, assottigliando lo sguardo. « Tu sei un uomo giusto, Dash, molto fastidioso, ma giusto. Secondo te, come possiamo vivere in un mondo così? » Sospira, dunque, fissandolo, prima di accorciare un po' le loro distanze. « Come fai a..essere così calmo di fronte alla morte? Come fa tutto questo a non colpirti? » Cerca il suo sguardo, inutilmente, e allora allunga una mano, per agguantare la sua. Se la rigira tra le proprie, osservandola attentamente. Le dita sono affusolate, la pelle chiara. Respira a fondo, e infine annulla ogni distanza, andandosi a poggiare a lui, con il mento sulla sua spalla. « Quanto ti sembro ancora più pazza -perchè sono certo che lo pensassi già- da uno a mille? » Una leggera risatina le scuote il petto, prima di girarsi appena, per poterlo guardare, col suo respiro che si infrange contro la pelle calda del suo collo. « Potrei..restare a dormire quì, per stanotte? So che non ci conosciamo più di tanto ma..Prometto che non ti ammazzo nel sonno » Lo sfiora con la punta del naso, con un sorrisetto a distenderle leggermente le labbra che lui non può vedere, mentre si stringe ulteriormente a lui, aderendovi ormai. « Ho paura ad uscire fuori dopo quanto ti ho detto, a volte mi sento costantemente ascoltata o osservata...Ho bisogno di qualcuno che mi faccia compagnia » E per un attimo, le sembra quasi di aver smesso di fingere. Per un attimo le sembra davvero di essere quella donzella indifesa che sta fingendo, e, stranamente, le piace. « Puoi farlo per me? »
     
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    « Ne sei sicuro? » Annuisce, accompagnando il gesto con un assenso sonoro. E' sicuro che vuole sapere tutto ciò che ha da dirgli. Se l'ha cercato deve esserci un motivo sotto. Se l'ha seguito per tutti quei giorni deve esserci per forza qualcosa sotto e lui vuole testarsi. Vuole capire quanto sia ancora adatto a quello che ama definire il proprio lavoro, capire quanto le sue abilità siano andate a farsi benedire e quanto sia effettivo rimasto delle sue capacità deduttive. Sarai il mio piccolo test, Margo. Gentilissima. Continua a sorriderle per tutto il tempo che intercorre tra lo spostarsi da quel luogo, fino all'arrivare effettivamente a casa propria. Continua a mantenere alta quella maschera di beatitudine e pace, per farla sentire al sicuro, per far sì che si trovi abbastanza a proprio agio da non sentirsi con le spalle al muro o peggio, scoprire che tutto ciò che sta facendo, in quegli istanti, è tutto frutto di un pian non perfettamente pensato, ma che Dash crede potrà fare alla perfezione il suo lavoro, ritenendolo abbastanza preciso da poter superare le barriere sospettose dalla messicana. « E di chi è, questa bella casa? Nascondi una ricca ereditiera alle spalle, per caso? » Alza le sopracciglia, il biondo, lasciandosi andare ad un sorriso di dubbia provenienza. « Tu non eri più disponibile e mi sono dovuto arrangiare con un'altra. » Si stringe nelle spalle. « E' di mia madre. La mia è stata messa sotto sorveglianza, sai, quando avete deciso di darmi la caccia ingiustamente. » Saccente, riprende a dire. « Per tutte le cose che si sanno di me, pubblicamente, ce ne sono molte altre che ho tenuto ben lontano dall'occhio del ciclone. Ho deciso cosa il mondo potesse sapere e cosa no e il vero nome di mia madre, essendo stato adottato, non è mai stato in vendita. » Fa una di quelle sue solite facce furbe, di quelle che fa sempre quando ha appena fatto un passo avanti, nella scacchiera, che ha lasciato intravedere all'avversario quanto si fosse sbagliato, fino a quel momento. « Suppongo che tu debba ringraziare i passi falsi fatti dal Ministero finora se questa casa è ancora in piedi. » E ancora una volta la sua voce si fa più tagliente e pungente, mentre si allontana per avviarsi verso la cucina e preparare l'occorrente per sembrare a tutti gli effetti un ottimo padrone di casa.
    « E' questo ciò di cui avevo bisogno, qualcuno che volesse ascoltarmi, ed è a ciò che mi sei utile proprio tu » A quel punto non può non sorridere, estremamente divertito da quell'uso delle parole. « Non posso vedere, ma mi hanno sempre detto che ho un ottimo udito e che so usarlo abbastanza bene, a dire il vero. Insomma, si fa quel che si può. » Dice, per continuare in quel distendere la situazione, con maggior sicurezza e naturalezza. « Immagino tu sappia ormai con chi abbiamo a che fare in questo mondo. Gente che non ci appartiene, che sta ai vertici, sia da un lato che dall'altro. Ci sono gli umani, ci sono i miei capi, e poi ci sono loro. Loro non giocano dalla nostra parte, combattono una guerra che non ci appartiene. Sono di un mondo che noi non conosciamo. Ci hanno manipolati, usati, e Dio solo sa a cosa serviamo loro. Li hai già visti, i demoni. Ma non sono solo i mostri. Ce ne sono anche tra di noi. E ce ne sono al potere. Ad Hogwarts, al Ministero, ovunque...Lucien Parker, ad esempio, ti dice qualcosa? » La fronte si corruga, senza volerlo, di fronte a quelle parole che, con ogni previsione possibile, Dash non si sarebbe mai aspettato. Forse perché credeva davvero che Margo gli avrebbe raccontato solo cose non rilevanti, che quello fosse soltanto un pretesto per entrare in casa sua, chissà per quale motivo. Eppure quel discorso è più autentico di quanto si aspettasse. E' vero, riesce a percepirlo, per questo le sue dita scivolano ancora di più tra i capelli di lei, arrivando fino al collo, lì dove incontrano la sua pelle nuda. E' accaldata, così come lo è la sua voce nel raccontargli quelle verità. Annuisce, allora, in risposta alla sua domanda, dopo qualche secondo. « Il braccio destro di Marchand? Certo che mi dice qualcosa. Ha le mani in pasta ovunque, a Londra, impossibile da non conoscere. » « Sembrano umani, si comportano da umani, ed è con gli umani che stringono patti ed alleanze. » Arriccia le labbra, Dash, in una smorfia di confusione. « E' uno di lui? Mi stai dicendo questo? » Le chiede, mentre la vede muoversi, fin quando non vede la sua ombra farsi più vicino a lui. Sembra osservarlo, da vicino, mentre le proprie pupille rimangono spente, dietro le pesanti lenti scure dei suoi occhiali. « Tu sei un uomo giusto, Dash, molto fastidioso, ma giusto. Secondo te, come possiamo vivere in un mondo così? Come fai a..essere così calmo di fronte alla morte? Come fa tutto questo a non colpirti? » Lei gli prende la mano, rigirandosela tra le proprie, come a volerne cercare dei difetti, delle insenature nelle quali infilarsi. « Vuoi leggermi la mano? » Gli domanda, puntiglioso e provocatorio come suo solito, prima di inclinare il capo a sua volta. « La morte mi spaventa, ogni essere umano sano di mente dovrebbe provare un simile timore. E' naturale, è parte di noi. » Risponde alla sua domanda. « Ma credo che vi siano delle preoccupazioni più importanti, prima di arrivare al punto finale del proprio viaggio. Prima di arrivare alla fine del mio, voglio sapere. Non ci dovrebbe essere morte più brutta che quella che avviene nella completa ignoranza. La consapevolezza e la verità sono le mie guide in vita e vorrei che lo fossero anche durante l'ultimo viaggio. » Non
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    sa perché le stia dicendo certe cose, non sa perché le stia concedendo di vedere, attraverso uno spiraglio, una piccola parte di sé, una parte vera e reale. Non sa perché lo stia facendo, eppure lo fa, probabilmente per voler ripagare quel suo atto di fiducia nell'andare a confidare proprio a lui quella verità. « Perché mi hai raccontato tutto questo? Che vuoi che faccia? Che vada a raccontare a tutti che ho scoperto che Parker è uno dei mostri che tira le fila di questo gioco sadico che ci condurrà tutti alla morte? » Sorride, amaramente. « Non ho nemmeno una fonte certa. Chi vuoi che mi crederebbe? Marchand ha fatto cadere tutti i decreti ministeriali, è vero, potrei tornare al mio lavoro, immagino, se solo lo volessi, ma pensi che verrei creduto? Con una fonte che vorrà rimanere anonima, immagino. Sbaglio? Impensabile. La verità ha bisogno di fatti che la supportino in toto. Così.. - muove la mano a mezz'aria, come a voler sminuire la cosa - non è altro che la mia verità. La mia parola, la parola di un ex pregiudicato, la cui faccia, fino a qualche giorno fa, abbelliva i muri di tutti i distretti. Una gran valenza, non credi? » Non fa in tempo a dire altro, che sente il mento di lei farsi strada sulla propria spalle, così come sente il suo respiro caldo infrangersi contro il proprio collo. Respira, inevitabilmente, a fondo, mentre il proprio corpo sembra volersi tendere e flettere nella sua direzione, come richiamato da quel suo richiamo non troppo velato. « Potrei..restare a dormire quì, per stanotte? So che non ci conosciamo più di tanto ma..Prometto che non ti ammazzo nel sonno. Ho paura ad uscire fuori dopo quanto ti ho detto, a volte mi sento costantemente ascoltata o osservata...Ho bisogno di qualcuno che mi faccia compagnia. Puoi farlo per me? » Sorride, il biondo, a quelle parole. Forse doveva aspettarselo che fosse questo il motivo che l'aveva condotta lì, da lui. « Sai? Sarei quasi tentato di credere che sia questo il tuo grande piano dietro ogni tua azione di questi giorni, il volermi uccidermi nel sonno, senza un apparente motivo, in tal caso. » Sussurra, spostando di colpo il viso di lato, lasciando che il proprio naso aderisca a quello di lei. Lo lascia scorrere, lentamente, prima verso di lei, così da poterle far sentire il proprio respiro contro le labbra, per poi farsi indietro, scivolando all'indietro, con un sorriso che ha del sardonico. « Eppure il tuo corpo mi racconta una storia differente. » Le soffia sul viso, con un filo di voce che si fa via via sempre più rauco e flebile. Le dita della mano destra che salgono a sfiorarle il collo, lentamente, fin quando indice e medio non si fermano proprio sotto il suo mento, costringendola, con una leggera pressione, ad inclinare il capo verso l'alto. E si fa più vicino alle sue labbra, mentre le dita premono sulla giugulare. « Lo senti? Contro i miei polpastrelli? Lo senti quanto sta urlando forte per farsi sentire? Il tuo battito ti tradisce. » Tutto questo ti piace e vorresti di più, ammettilo. Rimane così, in balia di quella vicinanza fin troppo ridotta, fin quando non sorride, amabilmente. « Puoi restare. » Annuncia poi, lasciandola andare, prima di tirarsi in piedi, fino a raggiungere il cassettone davanti a loro, oltre il tavolinetto. Si abbassa, fino ad aprire gli sportelli in basso, dai quali tira fuori una coperta leggera e un cuscino né troppo morbido né troppo duro e torna da lei con il malloppo. Lo poggia lì dove un istante prima vi era seduto lui e sorride, ancora una volta. « Spero che il divano sia di suo gradimento, principessina.» Fa una leggera riverenza in avanti. « Beh, buonanotte. »
     
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