here we go again

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    'sono stati gli zinghiri'
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    « Com'è che va, quindi, ultimamente? » Hank gli posiziona l'ennesimo boccale di birra di fronte, e Rocky respira a fondo, circondandolo con le mani e calando la testa. « Come deve annà? Benissimo, che 'nse vede? » Seguono alcuni momenti di imbarazzante silenzio, durante i quali, al solito, chi lo ascolta deve non aver capito un cazzo di ciò che ha detto ma è fin troppo educato -o imbarazzato, la maggior parte delle volte- per riferirglielo. Alza il capo dunque, il gigante, strofinandosi la mano sulla faccia e sospirando. « Egregiamente. Capito mò? » L'uomo al bancone lo fissa per qualche momento, poi annuisce, agguantando uno straccetto a righe per lucidare alcuni bicchieri. « Se stai bene, perchè sei quì a sbronzarti? » Ma na vagonata de cazzi tua mai eh? No, proprio mai. Scuote la testa come per chiudere il discorso, mentre si immerge nel calice, lasciando che quel liquido ambrato gli scorra in gola. Si sente la testa piuttosto pesante e la sua vista al momento non è delle migliori, e fidatevi, per quanto voglia bene ad Hank, vedersene quattro davanti non è certo ciò che più desidera al mondo. Ma questo passa il convento, quindi ha deciso di accettarlo già da qualche ora, ormai. Poggia nuovamente il calice sul bancone in legno, lasciandolo cozzare, poi lo guarda. « N'omo non è manco libero de buttà giù du goccetti senza avere chissà quale trauma dietro mò? » « ..Sette boccali di birra, Dragomir. » « E allora? » « Di quelli grandi per tavoli di due o tre persone. » Lo fissa per qualche minuto, poi scuote la testa, buttando giù altri tre o quattro sorsi e facendo una smorfia di disappunto. « Ascò se volevo er predicozzo chiedevo 'na seduta spiritica per parlà con mi madre, okkè? Versa n'artro po' adesso. » Gli porge il boccale facendogli cenno col capo di fare ciò che gli ha chiesto. Hank esita un po', poi sospira, decidendo di non contraddirlo ulteriormente. « Ai comandi. Ma adesso ti alzi, okay? » « Cazzo vor dì? » « Vor dì che questo è l'ultimo che ti servo, e ti devi allontanare dal bancone. Vieni con me. » Fa un cenno all'altra ragazza che si occupa dei clienti, e sguscia via dal bancone, per poggiargli una mano sulla schiena, che il ragazzo si premura a scacciare, scrollando le spalle. Ciò nonostante si alza, non senza aver agguantato il suo preziosissimo bicchierino, e si lascia guidare dall'amico, fin quando non giungono di fronte al tavolino del biliardo. Si poggia ad una colonna, Rocky, riprendendo a bere silenziosamente. Si sente lo sguardo di Hank addosso, allora si appresta a non distogliere il proprio da quella noiosissima partita di biliardo tra due tizi che nemmeno conosce. « Bobbie come sta? »

    « Cos'è successo? » Lo sguardo ceruleo e preoccupato di una donna sulla quarantina si posa su di lui, mentre si addentra come una furia verso il centro adibito alle cure mediche della cittadella. Stringe tra le braccia il suo corpo esanime. La sua pelle è fredda, il battito del suo cuore debole, per nulla regolare. Gli hanno già detto che andrà tutto bene, che non è grave, ma lui continua a non volerci credere e anche se volesse, non può farlo. Lo sa che c'è qualcosa che non va. Lo sente, per via di quel legame che li lega ormai da mesi e mesi. Percepisce una stanchezza che non gli appartiene, che gli rende quasi impossibile camminare o anche solo respirare. Gli fanno male tutte le ossa, il petto, ogni muscolo del proprio corpo. Non sta morendo, si ripete mentalmente ogni minuto, se lei stesse morendo si sentirebbe molto peggio di così in fondo, no? Non lo sa, la verità è che non lo sa e non vuole neanche pensarci. Si sente un idiota, un novellino su quel campo che tante, troppe volte ha affrontato in passato. Di soldati feriti, di amici in fin di vita, ne ha portati tanti sulle spalle. Ha sempre saputo come agire, usufruendo di un autocontrollo ed un sangue freddo esemplari, ma questa volta è lì, a lottare contro uno svenimento prossimo a coglierlo, e tutta quella fottutissima paura che non migliora di certo la situazione. Apre la bocca, come per dire qualcosa, ma tutto ciò che ne fuoriesce è un sibilo incomprensibile. La donna annuisce dunque, facendo cenno a due altri uomini di avvicinarsi a lui. Allungano le mani con velocità, poggiandole sulle braccia di Bobbie. « Che cazzo fate? » Ruggisce il gigante, indietreggiando di qualche passo e stringendo la presa contro il corpo della ragazza. Shock post-traumatico, lo chiamerebbero i suoi generali d'esercito. Tante volte lo hanno impiegato per aiutare qualche suo compagno a superarlo. Ma adesso non se ne accorge nemmeno, mentre continua a sfuggire al tocco di chiunque, ringhiando o scacciandoli via a calci. Non gliela porteranno via, no. Non adesso, non così. « Dragomir. » La voce della guaritrice sovrasta il trambusto generale. Gli è sgusciata alle spalle, cogliendolo alla sprovvista, con una mano a raggiungergli il viso. « Se non la lasci, non possiamo vedere cos'ha, e se dovesse essere qualcosa di grave.. » « Non è niente di grave. » Il suo tono sembra più un ruggito animalesco che una voce umana, ma la donna non si lascia impressionare, annuendo. Poggia una mano delicatamente contro il polso di Bobbie, poi lo guarda. « Il polso c'è, debole, ma c'è. Bisogna castarle alcuni incantesimi rigeneranti immediatamente, e poi intervenire direttamente. » Il suo modo di parlare cerca di essere rassicurante, mentre gli accarezza la guancia dolcemente. « Me lo lascerai fare, Rocket? Me la lascerai salvare? » Scuote la testa, il gigante. Non possono distaccarli, pensa. Sono legati. Fin quando lui è lì con lei, non morirà. Fin quando è vigile, la sua forza vitale manterrà in vita entrambi. La guarda, dunque, mordicchiandosi il labbro inferiore. E' stretta lì, piccola, inerme ed indifesa come mai l'ha vista. Il suo braccio dev'essere rotto ed ha ferite ovunque, che le aprono grossi squarci lungo il corpo. E' quando si rende conto delle sue reali condizioni, che si sente mancare. Barcolla appena, e batte numerose volte le palpebre. Deve restare vigile, cazzo. Non può svenire. Alza lo sguardo verso la donna, che lo sta ancora aspettando, e infine annuisce. Quell'anomala stanchezza si fa sempre più opprimente, e quando infine capisce di non poter più fare nulla, di non essere più lui la sua ancora di salvezza, fa un ultimo sforzo per adagiarla sulla barella. E cerca di aprire bocca, per farsi promettere che andrà tutto bene, ma infine il buio lo avvolge, e le urla della donna sono l'ultima cosa che riesce a recepire.

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    « Sei ancora tra noi? » La voce di Hank lo riporta alla realtà. Si gira verso di lui, guardandolo ma non vedendolo davvero, e gli ci vogliono alcuni minuti prima di ricollegare tutto. « Benissimo. » Se ne esce dunque « Quella non l'ammazzi manco con le cannonate. » E questa è una gran stronzata. Non sta bene Bobbie, non sta bene per niente. Non parla con nessuno, nelle ultime settimane. E' più distante del normale, se ne sta nel suo, a volte sparisce per ore ed ore senza che nessuno sappia dove diavolo si sia rintanata. La sta perdendo, più di quanto non abbia rischiato di perderla durante l'attacco ad Hogsmeade, e questa volta non ha la più pallida idea di cosa fare per salvarla. « Ne sei sicuro? » Annuisce, e fa per dire qualcosa, quando due sagome al di là del tavolino da biliardo non attirano la sua attenzione. Assottiglia lo sguardo, per vederci meglio, e nonostante il malditesta, riesce e riconoscerle. E' lei. E' lei e non è da sola. « D'accordo...No perchè insomma, devi avere pazienza, e lo sappiamo tutti che non ti appartiene. » La voce dell'uomo risulta come un fastidioso ronzio alle sue orecchie, al quale però non fa nemmeno caso, intento per com'è a fissare quella scenetta di fronte a sè, mentre serra la mascella così forte da far stridere i denti. « E quì tra lupi giganti, orsi, creature di chissà quale tipo se vi lasciate prendere dalla rabbia sono guai per tutti noi poveri umani. » La risatina di Hank lo ridesta, inducendolo a girarsi verso di lui. « Andiamo Hank, ma te pare? Devi stà tranquillo, lo so gestire un po' de rodimento de culo. Figuramose. » Una risata roca gli scuote il petto, poi allunga un braccio verso di lui, porgendogli il calice di birra. « Mò, se vuoi scusamme n'attimo, vado ad ammazzare quel figlio di puttana. » E dicendo ciò avanza, senza attendere mezza risposta. Si ritrova il tavolo da biliardo nel suo tragitto, che si premura a spostare con un calcio, facendolo camminare di un mezzo metro nelle lamentele generali. Infine si ferma davanti ai due, dando un'occhiata veloce a lei, e rivolgendosi poi a lui. Non dice nulla nè aspetta un solo minuto, prima di mollargli un pugno in pieno viso, sul naso. « Che cazzo vuoi da lei, mh?! » Ruggisce, mentre il ragazzo si contorce per terra dal dolore, le mani riposte sul naso ormai sanguinante. « Che merdata le hai messo nel bicchiere per farla stare qua con te? Bastardo! » Gli molla un calcio, facendolo ribaltare su sè stesso, poi si gira verso di lei, di scatto. Ci vede doppio e tutta l'adrenalina che sale sempre di più gli annebbia ulteriormente qualsiasi sprazzo di razionalità, ma ciò nonostante digrigna i denti, stringendo i pugni. « E tu che cazzo ci fai qua? A noi cojoni che te volemo bene nun ce degni de na cazzo de risposta ma poi te ne esci coi cazzoni che se scoperebbero pure mi madre morta? » Non riesce a contenersi. Non capisce se sia colpa dell'alcool o meno. Se si tratti di invidia, delusione, gelosia o semplice rabbia. Nel dubbio, prova ognuna di quelle fottutissime cose, ed il risultato di quel cocktail non è di certo tra i migliori, a giudicare dal fatto che, nonostante ci sia già un ragazzo sanguinante per terra, il peggio deve ancora arrivare. « Qual'è il tuo problema? Ce sto provando da settimane a capirlo ma nun ce riesco. Qual'è il tuo cazzo di problema?» Perchè le provi tutte per mandarmi a puttane? Infine Marcus si rialza, e prova a mollargli un pugno, ma il gigante è più veloce, bloccandogli il braccio a mezz'aria, stringendogli le dita con le proprie, in una morsa scricchiolante. « Te la stacco e te la ficco su per il culo questa mano se m'interrompi mentre parlo n'artra volta, okay? » Beh, che dire ragazzi, lo sa proprio gestire un po' di rodimento di culo, questo Dragomir.
     
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    Che cazzo stai facendo? E' questo il mantra continuo che si ripete in testa, da qualche settimana a questa parte. Sono state giornate difficili, specialmente le prime, quelle nelle quali aveva capito che non riusciva più a muovere il polso allo stesso modo. La mano non rispondeva più ai suoi comandi, tanto da costringerla sempre a fitte e a movimenti inusuali per cercare di alleviare il dolore. "Tornerà a funzionare, è una cosa mentale, Bobbie, puoi farcela." La guaritrice le continua a dire questo, mentre lei non riesce a pensare ad altro che alla sua mano fuori uso. La mano con la quale fa tutto, dallo scrivere, al prendere le cose, ad impugnare le armi. Ed è come non averla più attaccata al suo braccio. Ha la sindrome dell'arto fantasma, pur avendocela ancora lì, visibilmente ancora ancorata al proprio corpo, ma non nella sua testa. Perché senza la propria mano primaria, a lei cosa rimane? Cos'è un sicario senza la mano con la quale preme il grilletto? Niente. Non è più niente perché non ha più quel qualcosa che lo rendeva speciale e unica. E tolta l'abilità con le armi e le altre skills da spia, Bobbie sente di non aver più niente. Non ha più la sua vita, non ha più uno scopo, non ha più una peculiarità. Ormai lontana da chi era, lontana dalla vita che aveva, dai sogni che aveva, dall'idea che si era fatta di se stessa. Completamente persa e da sola, in mezzo a quel lago di dubbi e cose irrisolte. Non sono più niente. E' questo che si risponde, quando è al quinto giro di vodka. E' più il tempo che passa dentro quel barraccio, di quando è a casa. E' sfuggente, parla poco con Alina, per nulla con Rocky. Appena lo incrocia, in giro, volge lo sguardo dall'altra parte e si dirige nella direzione opposta, per paura di dover tenere con lui una discussione seria. Scappa da tutti, rintanandosi in armeria, per prima cosa. Cerca, senza buoni risultati, di riprendere la mano con quelle che ha sempre creduto essere l'estensione naturale della sua mano. Si sforza con tutta se stessa, scoppiando a piangere il più delle volte, mentre stringe i denti, affranta e sconsolata. E' per quello poi, che subito dopo si rintana in quel posto, lontana dagli occhi di tutti, all'inizio, richiedendo un continuo ricircolo di alcol che deve passare sotto il proprio naso. E beve, beve, beve fin quando non le viene da vomitare all'idea di buttare giù altra vodka e arrivata a quel punto, solitamente è talmente fuori, da non ricordarsi nemmeno il proprio nome, se non presta troppa attenzione. Un po' com'è successo questa sera. Si è fatta servire i primi giri di alcol buttandoli giù con la stessa velocità con la quale Hank glieli ha serviti. Si è guardata intorno, con le mani appoggiate alla fronte, per ritrovarsi di fronte il volto illuminato di Marcus. « Ti offro il prossimo giro e quelli a seguire, se mi batti a biliardo. » Era cominciata così, quella serata. Con lei che accettava la sfida, di buon grado e lui che la punzecchiava, per tutto il tempo della partita. Partita che aveva perso miseramente, ma del quale non gli fregava niente, non quando avevano preso a ballare. « Mi fai girare la testa se continui a ballarmi intorno. » Prende a dire, tra un principio di risarella e il capo che ondeggia a ritmo con la musica. « Vuoi che ti faccia girare anche altro? » Bobbie blocca la testa e torna a guardarlo, stringendo appena l'occhio sinistro. Lo scruta seria, come risvegliata da quell'oblio nel quale si è cacciata volutamente, prima che le narici si allarghino e una risata roca le risalga la gola. « E' il meglio che sai fare per provare a portarmi a letto? » Gli risponde, per poi scuotere il capo, ravvivando all'indietro i capelli che sembra essere cresciuti ancora di più, nelle ultime settimane. « Preferisci i fatti? » La mano di lui scivola velocemente dalla sua schiena al suo fianco, per poi soffermarsi a metà, verso il suo sedere. Bobbie la osserva, rimanendo per qualche istante in silenzio, cercando di capire se le fa davvero piacere quel contatto, oppure no. E poi alza lo sguardo, ridacchiando ancora una volta, incapace di fare altro che quello. « E' un iniz- Non riesce a finire, che sente un mormorio concitato alle sue spalle e, seppur decisamente rallentata nei riflessi, riesce a voltarsi, osservando il pugno di Rocky in azione, che va ad infrangersi contro il viso di Marcus. « Che cazzo vuoi da lei, mh?! » Rimane allibita, Bobbie, mentre guarda la scena da spettatrice che non riesce a muovere nemmeno un muscolo. Rocky è furibondo, Marcus si contorce a terra per il dolore, con le mani insanguinate e lei ha gli occhi sgranati per lo shock. Ma che sta succedendo? « Che merdata le hai messo nel bicchiere per farla stare qua con te? Bastardo! » E' solo quando gli dà un ulteriore calcio, che la mente di Bobbie sembra riprendere a girare, tirando indietro Rocky per un braccio. Ed è allora che incontra il suo volto rosso e i suoi occhi furenti. « E tu che cazzo ci fai qua? A noi cojoni che te volemo bene nun ce degni de na cazzo de risposta ma poi te ne esci coi cazzoni che se scoperebbero pure mi madre morta? » E' sconvolta, è palese sul suo volto sul quale si è posata una maschera di pietra. « Ma che stai dicendo? » Gli chiede incredula. « Qual'è il tuo problema? Ce sto provando da settimane a capirlo ma nun ce riesco. Qual'è il tuo cazzo di problema?» Eh? E' intontita, sia dall'alcol, sia dalla situazione davvero surreale nel quale avrebbe mai creduto di ritrovarsi. Vede con la coda dell'occhio il braccio di Marcus che tenta di muoversi verso Rocky, ma il mezzo gigante è più veloce e lo frena in volo. « Te la stacco e te la ficco su per il culo questa mano se m'interrompi mentre parlo n'artra volta, okay? » E' in quel momento che Bobbie si scioglie. L'incredulità e la sorpresa generale lasciano spazio all'incazzatura becera. Tanto da costringerla a mettersi in mezzo, stringendo la propria mano sopra quella di lui. Stringe, lasciando che sia il lycan a far fuoriuscire la propria forza. « Rocky, lascialo immediatamente o giuro che ti rifaccio tutta la dentatura. » Si ritrova a sibilare, mentre sente la mano cominciarle a fare male. Lo sa che è un fattore psicologico, lo sa perfettamente, ma non riesce più a tenere salda la presa e allora la lascia, scrollando le dita, quasi si fosse scottata. Poi si guarda intorno. C'è Hank che è già pronto ad avvicinarsi per placare la situazione, c'è il resto della clientela che li guarda, con facce incredule. « Da bravo italiano quale sei, hai fatto la piazzata napoletana. Sarai contento. » Sibila, a denti stretti, prima di prenderlo per la maglia, con le dita che si avvinghiano alla sua maglia con forza. Lo guarda con occhi truci, con occhi che dicono "se provi a fare resistenza, ti rifaccio la dentatura e i vecchi denti te li faccio ingoiare" mentre se lo trascina via. E non lo lascia, non fin quando si lasciano la porta del bar alle spalle e l'aria di quella sera estiva non li accoglie con il suo calore. E' solo allora che lo scrolla via, con forza, voltandosi dall'altra parte. Ha il battito cardiaco accelerato, l'adrenalina pompata a mille e l'effetto dell'alcol che sembra accrescere la rabbia furente che prova. Così si volta nuovamente verso di lui e gli si avventa contro, come un'arpia.
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    « Che cazzo ti dice il cervello? Eh? CHE CAZZO VUOI DA ME? » Urla, spingendolo e facendo leva con le mani contro il suo busto. « Cos'è? Deve avermi messo per forza qualcosa nel bicchiere per famme scioglie, no? Perché so' na frigida de merda artrimenti. » Prende a parlare come lui, perché, in un modo totalmente inaspettato, la sua psiche si amalgama con quella di lui. Si fondono. Lei diventa lui e lui diventa lei, unendo le proprie forze e unendo le proprie emozioni, lasciando che tutto diventi un concentrato esplosivo. « Qual è il mio problema? EH? » Lo spinge ancora una volta, prima di tirargli un pugno al viso con la mano destra. Il proprio viso si accartoccia sotto il dolore mentale che ciò le provoca, sentendo anche il dolore di lui come proprio. « Sei tu il mio cazzo di problema. » Gli tira un altro pugno, questa volta con la sinistra, facendolo indietreggiare ancora di qualche passo. « Avevi promesso, cazzo, avevi promesso che saresti rimasto al sicuro. Che saresti rimasto nel pub. AVEVI PROMESSO. » Non si rende conto di quanto possa apparire una furia senza controllo all'esterno, tanto è presa da quell'ondata di frustrazione. « Non sono incazzata a morte perché hai voluto fare il principe azzurro della situazione, ma perché mi hai fatta preoccupare per la tua vita. Mi hai distratta, hai voluto tutta la mia attenzione per te. Mi hai rotto. » E quella è una cosa che non le è mai capitata sul campo. Di Alina non si è mai dovuta preoccupare, conoscendo alla perfezione ogni sfaccettatura della donna, tanto da riconoscerla come assolutamente invincibile su campo aperto. Ma lui..Rocky era un soldato, è vero, ma è fin troppo passionale e poco distante dalle situazioni, per poter fare un lavoro pulito e chirurgico. E' troppo dentro alle cose. E ha trasformato anche lei, facendola calare in quella rete intricata di sensazioni ed emozioni che mai avrebbe messo in mezzo alle sue missioni, anni prima. Ma ora è diverso perché era lui. Perché era lui ad essere in pericolo e non ci ha pensato due volte a mettersi in mezzo per salvarlo. Perché era lui e lei ha messo da parte ogni cosa, non vedendo più il punto focale di quella missione, ma sentendo solo il suo dolore. Ma ora è diverso perché è lui. E lei è rotta, in ogni modo possibile ed immaginabile. E non per la mano, no, ma è qualcosa di più profondo e radicato, qualcosa che l'ha tormentata per tutte quelle settimane. Perché se da un lato c'era la preoccupazione per il buco nero che si prospettava essere ormai il suo futuro, dall'altra c'era sempre il ricordo della paura che aveva provato nel vederlo ergersi contro il demone. Un pensiero fisso, fastidioso a tal punto da farle visita di notte, facendola dormire a fatica. Ed è tutta colpa sua. « Avevi promesso, avevi promesso, avevi promesso. » E' come un disco rotto, mentre continua a spingerlo chissà dove, in preda ad un delirio interiore. « Reagisci. » Gli urla poi, guardandolo negli occhi, per la prima volta, davvero, da quando hanno preso a litigare. E' si sente terribilmente umiliata nell'avergli confessato quel suo segreto, tanto da costringersi a spostare la conversazione su qualcosa di più fisico e immediato com'è il dolore. « REAGISCI, CAZZO! » La voce le si incrina, sotto la pressione di emozioni contrastanti, prima di alzare la mano per farla infrangere contro il suo volto. « COLPISCIMI! » Dammi qualcosa in cambio, me lo devi.

    So far from who I was
    From who I love
    From who I want to be

    So far from seeing home
    I stand out here alone
    Am I asking for too much?


     
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    « Rocky, lascialo immediatamente o giuro che ti rifaccio tutta la dentatura. » La presa di lei sulla sua mano è forte, e fa male, ma il gigante non desiste, mentre serra la mascella e la fissa, dritta in faccia, senza alcun cenno di cedimento. « Ah quindi lo difendi pure? Wow, a quando le partecipazioni per il matrimonio? » Sputa fuori, acido come non mai, fin quando lei non lo lascia andare, allontanandosi da quel contatto, come scottata. Lancia un'altra occhiata al ragazzo per terra, fin quando lei non lo afferra per la maglia, con forza. « Da bravo italiano quale sei, hai fatto la piazzata napoletana. Sarai contento. » « Certo, perchè mò è tutta colpa mia. » Ringhia, per poi giungere fuori entrambi, con Bobbie che continua a trascinarlo dietro di sè, oltrepassando chiunque e qualsiasi cosa, senza fermarsi neanche un attimo. Solo una volta giunti fuori lei lo scrolla via con una certa violenza, e lui indietreggia, istintivamente, ma non accenna nè ad andarsene, nè a fare nient'altro. La guarda e basta, mentre lei gli dà le spalle. Non ha la più pallida idea di ciò che stanno facendo nè di dove tutto ciò li porterà entrambi, ma ciò nonostante resta lì, con la testa che sembra farsi sempre più pesante, e l'adrenalina di tutta quell'intera situazione che si espande sempre di più in ogni suo vaso sanguigno. Bene, e adesso? Quando iniziamo? Ed infine iniziano davvero. « Che cazzo ti dice il cervello? Eh? CHE CAZZO VUOI DA ME? » Lei si rigira verso di lui, e come una furia lo spinge, con le mani che vanno a sbattere contro il suo petto. « Cos'è? Deve avermi messo per forza qualcosa nel bicchiere per famme scioglie, no? Perché so' na frigida de merda artrimenti. » Parla come lui, come succede sempre tutte le volte che è arrabbiata. E Rocky la sente quella rabbia, gli cresce attraverso, unendosi alla propria gelosia, in una miscela esplosiva e letale. « Qual è il mio problema? EH? » Ha giusto il tempo di sentire l'ultima parola di quella domanda, che un pugno gli si schianta contro il viso. Lo becca in pieno, un po' perchè ubriaco, e quindi i suoi riflessi non sono certo dei migliori, un po' perchè, volutamente, decide di non parare nessuno di quei colpi che lei gli sta riversando contro, con tutta la sua furia. Non l'ha mai vista così, e la cosa peggiore è che non l'abbia mai sicuramente vista così con lui. Prova delusione, questo è certo. E' ferito nel vederla così capace di fargli del male, lasciandosi prendere da quell'ira cieca che ne determina qualsiasi azione e reazione. Ma le sue emozioni sono soggiogate dall'alcool, e come se non bastasse da tutto ciò che di lei scorre dentro di lui, quindi non è facile capire cosa sia reale e cosa meno. Il dolore che però inizia ad espandersi attraverso il suo viso, a partire dallo zigomo sinistro, laddove lei lo ha beccato in pieno, quello è reale. « Sei tu il mio cazzo di problema. » Dolore che aumenta, ulteriormente, quando gli molla un altro pugno, che questa volta lo colpisce in pieno, sul naso. Qualcosa di caldo gli scivola sul viso, mentre lui indietreggia, asciugandosi quel rivolo di sangue con la manica della felpa. Ma tutto ciò che sta provando di fisico -che fidatevi, a giudicare da quanto siano arrabbiati entrambi, e quanta forza fisica posseggano, non è per nulla poco- non è neanche lontanamente paragonabile a ciò che lo scuote dall'interno, ad ogni colpo che lei gli molla, ad ogni parola che gli ringhia contro con rabbia. Come cazzo ci siamo arrivati a questo punto? Perchè non possiamo essere normali? Io volevo solo qualcosa di normale. Non è chiedere troppo, no? « Avevi promesso, cazzo, avevi promesso che saresti rimasto al sicuro. Che saresti rimasto nel pub. AVEVI PROMESSO. » E' una furia mentre gli riversa contro quelle parole, con voce rotta. Riesce a percepire ogni cosa, ogni sua emozione. Tutta quella frustrazione che sente, quel senso di impotenza, quella confusione che gli vorticano dentro non gli appartengono. Lui diventa lei così come lei diventa lui, e si ritrova immerso da sensazioni sconosciute, eppure così forti. Quindi indietreggia, sotto i suoi spintoni, esitante e spaesato a sua volta. In una situazione normale le bloccherebbe le mani per i polsi, la spingerebbe al muro, e le indurrebbe a calmarsi. Ne ha vissuti di scenari simili, quando era un soldato, ed ha sempre trovato il metodo per sgusciarne fuori, nel migliore dei modi, la maggior parte delle volte. Ma questa volta è di Bobbie che si parla, non di un compagno qualunque. E' di Bobbie che si parla e quando si parla di lei, lui perde qualsiasi certezza. Qualsiasi capacità, qualsiasi sicurezza, e si ritrova lì come un ragazzino alle prime armi, con il mondo in tempesta dentro di sè, ed un tornado di rabbia fuori ad assalirlo. « Non sono incazzata a morte perché hai voluto fare il principe azzurro della situazione, ma perché mi hai fatta preoccupare per la tua vita. Mi hai distratta, hai voluto tutta la mia attenzione per te. Mi hai rotto. » In un primo momento, quelle parole si ritrova ad interpretarle a suo modo. E scuote la testa, d'istinto, mentre l'onda d'urto lo colpisce in pieno. Sei tu il problema. Hai voluto tutta la mia attenzione per te. Mi hai rotto. Frasi che girano nel suo cervello come la punta in metallo di un trapano. Frasi che interpreta secondo il proprio punto di vista, che, per via dell'alcool forse, o un'insicurezza propria di base, non è dei migliori. Si sente dare la colpa per tutto ciò che è successo. Si sente responsabile di quell'incidente, di quello stato in cui lei si ritrova. Lui, che ha sempre voluto il suo bene, lui che l'ha voluto anche e specialmente quando ha deciso di gettarsi in mezzo al caos per proteggerla. Giudica le cose a prima vista per come sembrano, e ciò che sembra è che lei lo stia ritenendo responsabile di quella mano fuori uso e tutte le conseguenze successive. E ciò gli spezza qualcosa dentro, tanto che per qualche momento, grande e grosso per com'è, si sente persino le gambe tremare. Ma poi, quando il suo cuore è prossimo a spezzarsi, in maniera probabilmente irreparabile, qualcosa inizia a serpeggiargli dentro. Una consapevolezza diversa, estranea eppure così intima. Si ritrova collegato alle emozioni di lei che si fondono alle sue, e allora quel discorso inizia a prendere una piega differente, a farsi vedere sotto una luce diversa. Non sono incazzata a morte perché hai voluto fare il principe azzurro della situazione, ma perché mi hai fatta preoccupare per la tua vita. E capisce che forse non è qualcosa di superficiale -per quanto superficiale possa essere- come una mano fuori uso il problema. No, il problema è qualcosa di più insito, qualcosa di non detto, ben nascosto. E dovrebbe esser felice di questo qualcosa. Dovrebbe esserlo perchè per quanto questo possa essere -decisamente- il modo più anticonvenzionale per rivelare qualcosa di questo genere, sono pur sempre preziose parole, concetti rari, che aveva ormai perso le speranze di sentirsi dire un giorno da lei. Ma appunto, siccome è di lei che stiamo parlando, e siccome sono le sue emozioni quelle che Rocket si sente vibrare dentro con forza, non riesce a formulare un pensiero compiuto che gli appartenga propriamente. « Avevi promesso, avevi promesso, avevi promesso. » Quindi continua a restare in silenzio mentre lei dal canto suo continua ad avventarsi su di lui, spingendolo e spingendolo ancora. E gli fa male tutto, il petto, il busto, la faccia e quei tagli che lei gli ha causato, ma ciò non basta a farlo reagire. Non ancora. « Reagisci. » Ma è quando lei lo guarda finalmente negli occhi, e lui fa lo stesso con lei -come non aveva fatto sin dall'inizio-, che qualcosa cambia. Assottiglia lo sguardo, si irrigidisce nel corpo, incassando i suoi colpi con più prontezza e meno dolore
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    « REAGISCI, CAZZO! » La sua voce si incrina ulteriormente « COLPISCIMI! » ed infine l'ennesimo colpo arriva, strappandolo via da quello stato di confusione mentale, e lui si rigira di scatto, allungando una mano per afferrarle il polso col quale l'ha appena schiaffeggiato, e spingerlo via con forza. « Ora basta!! » Tuona, la voce più simile ad un ruggito che altro. La inchioda con lo sguardo, senza lasciarle via di scampo alcuna, mentre le sue mani si protraggono in avanti, per andare a cozzare contro le sue spalle, e fa forza, come un toro, per costringerla ad indietreggiare fin quando non raggiungono il muro del vicolo dove sono andati a finire, contro il quale ce la sbatte. La fissa, irato, e forse trattasi della sua influenza, o dell'alcool, ma l'istinto di sfogare tutta quella rabbia repressa colpendola c'è. E sembra sul punto di farlo, quando devia direzione, ed il suo pugno si schianta contro il cemento alle sue spalle, a pochi centimetri dal suo viso. Poi ritrae il braccio, con le ossa delle dita che gli fanno male, ed è una crepa quella che rimane lì, sul muro, laddove lui ha deciso di colpire. « E avrei dovuto lasciarti morire? Mh? Avrei dovuto restare a guardà mentre quei bastardi ti facevano a pezzi? » Ruggisce, a pochi centimetri da lei. « Non puoi chiedermi questo, hai capito? NON PUOI. » E a quel punto le mani si arpionano alle sue spalle, spingendola contro il muro. « Tu puoi affrontà la cosa come cazzo vuoi, me so pure abituato. Ma questo è il mio modo di affrontarla, ed il mio fottutissimo modo di affrontarla nun me permette de lascià la donna che amo a fasse fà a pezzi mentre io sto a guardare. » Non si rende nemmeno conto di ciò che ha appena detto, con tutta quell'adrenalina che ormai gli circola in corpo. « Quindi puoi fà il cazzo che te pare, da parte tua, nun m'intrometto più, ma quanno se tratta di salvarti la vita, quanno se tratta se scegliere tra te ed il fingere che nun ce stia 'ncazzo tra di noi, è questo quello che farò sempre. E se dovesse ricapità lo farò di nuovo, e poi di nuovo ancora. Perchè col cazzo che te lascio morì. Mi hai sentito? COL CAZZO. » La spinge di nuovo, poi si allontana, poggiandosi le mani sulla testa. Si stringe le dita fino alle radici, fin quando non sente dolore, senza guardarla mentre cammina avanti e indietro. Cerca di calmarsi, respirando a fondo, poi torna a lei, il tono di voce meno irruente rispetto a prima. « Non puoi pretendere che la gente non ci tenga a te solo perchè ne sei spaventata. Si chiama preoccuparsi, se chiamano fottute emozioni. Non ti ho rotta, hai reagito come qualcuno che ci tiene, perchè cazzo ti fa così schifo accettarlo? » Sospira, stanco. « Se questo è il tuo modo per non farmi male, per non famme soffrì, stai facendo un lavoro davvero di merda. » Sentenzia infine, una punta di delusione e fastidio nel tono di voce. « Ma se tu preferisci tutto questo.. » Sibila dopo un po', respirando a fondo ed infine avvicinandosi. Le prende una mano tra le proprie, e richiude le dita, per stringerla a pugno. Poi se la porta sul viso, tenendola per il polso, e ve la sbatte contro, più volte. « Forza, continua a farmi male. » Continua, con più decisione e più forza. « Picchiami, avanti fallo. Distruggimi fuori come mi stai distruggendo già dentro. » La fissa. « Fammi cambiare idea, e me ne andrò. Picchiami così forte da famme dimenticà tutto ciò che provo per te. » La voce si incrina leggermente. « E' questa l'unica possibilità che hai, se non t'era già chiaro. E' questo l'unico modo per farmi smettere d'amatte.» E forse nemmeno questo funzionerà.
     
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    « Ora basta!! » Le scansa via il polso, con decisione, mentre la voce tonante e possente la inchioda lì sul posto. Ci sono state poche volte nelle quali Bobbie ha assistito veramente ad una reazione del genere da parte sua, ma mai, mai una volta ne è stata oggetto lei, in prima persona. Mentre ora è lei l'occhio del ciclone che le sta scatenando addosso Rocky, un uragano che, forse, inconsciamente, ha stuzzicato da giorni e giorni e che ora finalmente è sfociato in qualcosa di reale e tangibile. Con forza, la sbatte contro il muro e sente il proprio corpo modellarsi contro i mattoni, che sembrano scricchiolare sotto il suo peso. Fa una smorfia di dolore, socchiudendo gli occhi per quelli che sembrano due secondi, prima di tornare a guardarlo, così come fa lui, con la fierezza di un'amazzone che non ha alcuna paura né tanto meno vergogna. Hai cominciato tu, se ti facevi gli affaracci tuoi, non saremmo qui. Nel suo sguardo un palese messaggio che arde tra le fiamme di quella rabbia. Non mi pento di nulla, seppur, in tutta onestà, non riesce a fissarsi in altro che non siano i suoi occhi, visti i rivoli di sangue e le abrasioni che ha su tutto il viso. Ed è a quel punto che lui carica il pugno e Bobbie è già pronta a divincolarsi, per cercare perlomeno di schivarlo, quando lui colpisce il muro, a pochi centimetri dal suo viso. Il muro trema, sotto la sua forza e lei cerca di non muoversi, non tradendo quella flebile scintilla di elettricità che le ha percorso la schiena. « E avrei dovuto lasciarti morire? Mh? Avrei dovuto restare a guardà mentre quei bastardi ti facevano a pezzi? »« Avresti dovuto. » Avrei preferito morire, che trovarmi ad assistere a tutto questo. C'è un'incredibile freddezza nel sentenziare quelle parole. Forse perché, da soldato a soldato, Bobbie si aspettava che lui avrebbe capito, che avrebbe compreso la sua volontà, se fosse veramente arrivato il suo momento. « Ho firmato questo contratto quando avevo sei anni e l'ho firmato nuovamente quando mi sono trasformata, l'anno scorso. La conosco, la morte, l'ho accettata, in qualsiasi momento lei arriverà e per quanto tu possa ostinarti, per quanto forse nella tua testa ti stai raccontando che cercherai sempre di salvarmi, ci sarà un giorno in cui non sarà abbastanza. Lo sai questo? » Certo che lo sai, ma tu vuoi comunque provarci, per sentirti a posto, in caso, per aver provato a fare di tutto, senza ascoltare il mio di dovere. Si ritrova a pensare che tutti quei discorsi la dipingono come una pazza suicida, come una persona che la morte la desidera, che ne va alla matta ricerca. Ed è così, probabilmente, o comunque lo è stato in passato. Piuttosto consciamente, c'è stato un periodo della sua vita nella quale ha sperato di essere risucchiata da quel buco pieno di vuoto che era diventata la sua vita. Il crollo di nervi e la conseguente depressione, l'hanno portata spesso e volentieri sull'orlo del precipizio, spingendosi sempre un po' più in là, per cercare di testare i propri limiti e, magari, farla finita una volta per tutte. Ripensare a certi momenti, riescono a farla tornare più lucida di quanto si aspettasse di essere. Sente ora qualsiasi cosa. Il dolore fisico di Rocky, quello psicologico e, infine, il proprio. « Non puoi chiedermi questo, hai capito? NON PUOI. » Lo so che non posso, io a parti inverse non ascolterei nemmeno una delle tua obiezioni. « Tu puoi affrontà la cosa come cazzo vuoi, me so pure abituato. Ma questo è il mio modo di affrontarla, ed il mio fottutissimo modo di affrontarla nun me permette de lascià la donna che amo a fasse fà a pezzi mentre io sto a guardare. » Scuote la testa, guardando altrove. Sono di nuovo in quella posizione, lei con le spalle al muro, letteralmente e metaforicamente, lui che prova a farla ragionare, inutilmente. Ma questa volta lui si spinge oltre, usa quella parola, quella che Bobbie non riesce nemmeno a riformulare nella sua testa, tanto è la sua ostinazione a non volergli credere. Farò finta di nulla, ti è uscito perché sei scosso e incazzato nero. Non ha importanza ciò che dici quando si è in questo stato. « Quindi puoi fà il cazzo che te pare, da parte tua, nun m'intrometto più, ma quanno se tratta di salvarti la vita, quanno se tratta se scegliere tra te ed il fingere che nun ce stia 'ncazzo tra di noi, è questo quello che farò sempre. E se dovesse ricapità lo farò di nuovo, e poi di nuovo ancora. Perchè col cazzo che te lascio morì. Mi hai sentito? COL CAZZO. » Digrigna i denti, facendo una smorfia, mentre cerca, con ogni fibra del suo corpo, di non scoppiare a piangere, perché è stufa di piangere, è stufa di essere così debole, di essere così difettosa da dover sempre tappare un buco qua e là, per cercare di riottenere una parvenza di equilibrio. Ma più si sforzi di avere tutto sotto controllo, più tutto le sfugge tra le mani. Lo vede soffrire e sente dentro di sé quella parte di oscurità smuoversi a quella vista. Perché è opera sua, è tutta opera sua. « Non puoi pretendere che la gente non ci tenga a te solo perchè ne sei spaventata. Si chiama preoccuparsi, se chiamano fottute emozioni. Non ti ho rotta, hai reagito come qualcuno che ci tiene, perchè cazzo ti fa così schifo accettarlo? » Perché te ne andrai come lui. Perché lo stai già facendo e sono io a spingerti a farlo. « Se questo è il tuo modo per non farmi male, per non famme soffrì, stai facendo un lavoro davvero di merda. » E nella sua testa, Bobbie continua ad accaparrarsi scuse. Si dice che è colpa sua, che lei gli aveva chiesto di aiutarla a non dargli modo di farlo soffrire, ma che lui ha dovuto fare il geloso, al solito suo. Ha dovuto rovinare tutto. Lui. Si dice che se sta male, in fondo, è colpa sua, perché lei l'aveva avvertito di starle alla larga, di non aizzare il can che dorme, ma di stare al posto suo. « Ma se tu preferisci tutto questo.. » Non fa in tempo a togliersi dal suo mirino, che lui le agguanta una mano, dal polso, e comincia a sbattersela contro il proprio viso. « Forza, continua a farmi male. » E continua, sempre con più forza e per qualche istante soltanto, vede in lui ciò che lei era diventata anni prima. C'è la follia di un amore malato nei suoi occhi, di un amore che ti porta alla pazzia. Così certa di opporsi, di trattenere il braccio, di aprire la mano, ma i suoi movimenti sono dettati dall'ira cieca di lui. « Picchiami, avanti fallo. Distruggimi fuori come mi stai distruggendo già dentro. » Per un attimo, rimane senza fiato. Perché un conto è immaginarsele le cose, un conto è sentirsele dire, palesandole come reali sotto i suoi occhi. Lo sto distruggendo. Io. Non lui. IO. « Fammi cambiare idea, e me ne andrò. Picchiami così forte da famme dimenticà tutto ciò che provo per te. » E' come ricevere una coltellata allo stomaco. Forse, conoscendone il dolore, Bobbie si sente di dire che la preferirebbe, a quelle parole. « E' questa l'unica possibilità che hai, se non t'era già chiaro. E' questo l'unico modo per farmi smettere d'amatte.» Rimane il silenzio. E il suo cuore che batte troppo forte nelle sue orecchie,
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    tanto da farle percepire un sibilo fastidioso. « Basta, smettila! » Gli urla in faccia, facendo leva con l'altra mano per liberare la propria dalla sua presa. Sgranchisce le dita, per poi vedere il segno di quelle di lui sul proprio polso. « La devi smettere, ti prego. » Non ce la faccio più. Un comando e una supplica, con una voce dal tono isterico, ma al tempo stesso esausto. « Smettila di dirlo. » Smettila di dire di amarmi. Invece che ottenere un responso positivo, a quelle parole, con lei si ottiene l'esatto contrario. Perché vuole essere amata, ma poi ha troppa paura di accettare un tale sentimento, da respingerlo in tutti i modi immaginabili, arrivando a quello. Arrivando a sgretolargli l'anima. « Tu non puoi, non puoi amarmi, apri gli occhi, Cristo Santo. » Gli occhi le si gonfiano di lacrime e cominciano a sgorgare, senza ritegno, in quel misto di dolore, rabbia e sbornia, che si combinano in un qualcosa di inguardabile. « Non puoi amare la stessa persona che ti distrugge. Non devi, per te stesso. Non è giusto. Non ti meriti tutto questo. » Riesce a parlare a fatica, con il sapore sulla punta della lingua che prende a farsi sempre più salato. E si rende conto, soltanto in quel momento, di quanto lei non sia giusta per lui. Potrebbe esserlo, in via teorica, se non esistesse anche quell'altra percentuale di lei, quella che continua a respingerlo come il peggio cane rabbioso incontrato per strada. Potrebbe esserlo, se l'avesse conosciuto anni prima. Forse con te sarebbe stato diverso, forse saresti riuscito a salvarmi, prima che mi lasciassi fare a pezzi. E allora si morde le labbra, cominciando a singhiozzare come una povera scema, vergognandosi così tanto nel farsi vedere così, da passare sotto al suo braccio, per allontanarsi da lui. Il pianto si fa sempre più isterico, con tanto di respiri rotti, che non le permettono di ossigenarsi nel modo appropriato e che per un attimo le fanno perdere l'equilibrio, tanto da doversi appoggiare al muro. Gli dà le spalle, mentre tenta in tutti i modi di opporsi a quella crisi di pianto e cerca di calmarsi, quel tanto che le serve per respirare a pieni polmoni e tentare di parlare. « Non me lo merito. Non mi merito niente di tutto questo. » Alla fine riesce a bisbigliare. « Così come tu non ti meriti tutta la merda che ti lancio addosso, ogni giorno, così come tu non ti meriti di stare così male, io non mi merito te. » Non sono la tua persona ed è inutile che continuiamo ad ostinarci nel pensare il contrario. Le lacrime riprendono a scendere, con lei che non si preoccupa di rendersi più presentabile, di ripulirsi da quello scempio. Si volta, lo guarda e cerca di capire come poterlo aiutare. Per un attimo, le balena in testa il pensiero di sbattergli talmente forte la testa contro il muro da fargli dimenticare qualsiasi cosa. Ma no, lei vuole aiutarlo a guarire, non a farsi ancora più male. « Mi dispiace, Rò. » Si stringe nelle spalle, togliendosi le lacrime che sono andate a ristagnarsi sotto il mento, con il dorso della mano. « Mi dispiace per il mio continuare a scegliere la sicurezza, rispetto allo scegliere quel qualcosa di non detto. » Perché è questo che fa, ogni giorno. Preferisce la sicurezza di non perderlo, come amico, che perderlo magari un giorno, se solo si concedesse di farlo entrare ancora di più nella propria vita. E se decide di non permettersi di andare oltre, è per il semplice motivo che gli vuole troppo, davvero troppo bene per vederlo soffrire ancora di più, magari, un giorno. Perché lo vorrebbe, spera che questo sia ormai chiaro anche a lui, ma non lo fa. « Mi dispiace davvero non riuscire ad essere la donna di cui hai bisogno al tuo fianco, sai? » Lacrime di rassegnazione le rigano il volto, mentre un sorriso amaro le si dipinge sulle labbra. Quel sorriso da "ma è così, non lo sono, me ne sono fatta una ragione da tempo." « Mi dispiace vederti così, mi dispiacere averti colpito, mi dispiace sentire il tuo dolore, perché lo sai che lo sento. E questo non è amore, nemmeno lontanamente. Non è una cosa giusta. » Lo capisci? « Non è normale, è una cosa malata. E io non posso, non posso continuare a vederti così, a sentirti così.» Sei te che diventi me e questo non va bene, non posso permetterlo. « Mi dispiace non essere la persona giusta per te. E mi dispiace averti fatto soffrire così tanto, finora. » Si morde la lingua, guardandolo fisso negli occhi, in quel vicolo di Inverness, illuminato da qualche braciere. « Mi dispiace così tanto, non hai idea. Spero che un giorno potrai perdonarmi..» Si avvicina a lui di qualche passo, mantenendosi però a debita distanza. « Ma voglio aiutarti perché sono la causa di tutto e vorrei essere anche la fine. Esistono pozioni, esistono incantesimi che tolgono i ricordi, che aiutano a lenire il dolore, che aiutano a guarire. Permettimi di fare qualcosa, farei qualsiasi cosa, per toglierti questo peso. » Permettimi di salvarti, come ho sempre sperato che qualcuno facesse con me, quando ne avevo bisogno.
     
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    'sono stati gli zinghiri'
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    « Basta, smettila! » Fa leva con l'altra mano per liberarsi dalla sua presa, mentre gli urla in faccia. Le braccia gli vanno a ricadere lungo i fianchi, penzoloni, e lui si ritrova costretto ad indietreggiare, seppur appena di qualche passo. « La devi smettere, ti prego. » Non posso, lo vuoi capì? Pensa, con ancora la testa che gli gira, forte, e la faccia che è ormai un'esplosione di dolore, un po' ovunque. Si sente stordito, per colpa dell'alcool, dei colpi che si è preso e beh, tutto il resto, specialmente tutto il resto. « Smettila di dirlo. » Dire che? Vorrebbe domandarle, ma quando sta per farlo se ne rende conto. Flashback di solo qualche minuto prima iniziano a scorrere nella sua mente, e quelle parole lo investono in pieno. Ma questo è il mio modo di affrontarla, ed il mio fottutissimo modo di affrontarla nun me permette de lascià la donna che amo a fasse fà a pezzi mentre io sto a guardare. E quindi, alla fine, l'ha detto. E sarebbe più facile, Dio sarebbe davvero facilissimo, se il pensiero di averlo fatto solo per quella sbornia ormai nel suo culmine peggiore riuscisse a convincerlo. Ma no, non è così. Forse l'alcool lo ha aiutato, questo è vero, ma è proprio con l'alcool che si dicono cose, che di sovente, si vorrebbe tanto dire ma si ha paura di farlo. E Rocky ha sempre avuto davvero paura di farlo. Quelle due parole, mai dette, mai neanche lontanamente pensate, da lucido, sapeva bene quanto avrebbero rovinato ancora di più quella loro situazione già di per sè terribilmente tesa. Si era ripromesso dunque, per non perderla ulteriormente, che quello strano sentimento -che stentava in realtà a riconoscere come amore, non avendovi mai avuto a che fare prima- era possibile nasconderlo e metterlo da parte, aspettando che sfociasse col tempo, tattica quella che ormai aveva deciso di sfruttare come tattica, con Bobbie. Col tempo passerà tutto si diceva, ma la realtà è che il tempo poteva davvero scorrere, le cose potevano affievolirsi forse, ma bastava anche un minimo dettaglio, una piccola scintilla non condizionata, da stravolgere l'intero equilibrio. Equilibrio adesso bello che distrutto, a giudicare dai fatti. Quindi deglutisce, e la confusione, quasi come in una sorta di autodifesa, lascia spazio alla consapevolezza. Sì, l'ho detto, so ubriaco, ma domani lo penserò lo stesso. E sta quasi per dirglielo, ma alla fine è lei a parlare. « Tu non puoi, non puoi amarmi, apri gli occhi, Cristo Santo. » La sente, quell'angoscia che lo invade, sin dal profondo. Non gli appartiene, eppure esplode in lui, come all'improvviso, costringendolo a respirare a fondo e serrare la mascella. Lui diventa lei così come lei diventa lui, e rabbia e disperazione si fondono assieme, pericolosamente. Senza neanche guardarla sa già che il suo viso è rigato dalle lacrime. Lacrime che si sente sgorgare sulle proprie di guance, seppur non ne abbia nemmeno una. E' partecipe in quel suo pianto, ne avverte ogni singulto, ogni sospiro come fosse proprio. E tutto ciò fa male il doppio. Perchè non solo la consapevolezza che lei stia piangendo, per qualcosa che sostanzialmente lui ha fatto, lo distrugge, ma anche il sentire perfettamente tutto quello che lei prova, in quel momento non è facile da sopportare. E lui di cose ne ha sopportate davvero tante, troppe potremmo anche dire, ma questa.. « Non puoi amare la stessa persona che ti distrugge. Non devi, per te stesso. Non è giusto. Non ti meriti tutto questo. » Boccheggia, ma alla fine non trapela alcun suono dalle sue labbra. Non continuare, non farlo, ti prego. Ma lei continua, continua fin quando non esplode in un pianto nervoso. Non l'ha mai vista così, Rocky. A dirla tutta, semmai qualcuno gli avesse riferito di aver visto Bobbie -la stessa Bobbie con cui ormai conviveva- piangere, la sua risposta sarebbe stata solo e soltanto una grossa quanto fragorosa risata. Ma adesso lei è lì, che gli dà le spalle per non farsi vedere. E non sa se sia colpa dell'alcool e del suo effetto, ma ciò che sa è che se ne sente responsabile, ed ogni singhiozzo di lei è una coltellata per lui. Quindi avanza un po', facendo per sfiorarle la spalla, con l'istinto sempre più crescente di abbracciarla. Ma alla fine lo lascia ricadere lungo il fianco, indietreggiando nuovamente di qualche passo. Sta così male per te. Sta così male perchè tu sei così coglione da non voler accettare che non ti vuole, e basta. E con questo pensiero, e l'incapacità di sopportare ancora quelle sue lacrime o porvi rimedio, è quasi deciso ad andarsene. Forse domani cambierà idea, forse la lucidità lo porterà di nuovo a quell'ostinato ottimismo che lo ha sempre caratterizzato, ma adesso di quest'ultimo non vi è neanche l'ombra. La speranza è andata, completamente. Fattene una ragione, non funzionerà. « Non me lo merito. Non mi merito niente di tutto questo. Così come tu non ti meriti tutta la merda che ti lancio addosso, ogni giorno, così come tu non ti meriti di stare così male, io non mi merito te. » Ma alla fine è lei a rompere di nuovo il silenzio, e lui si blocca, assottigliando lo sguardo. Non capisce cosa voglia dire. Da colpevole passa a vittima, lui, ed il passaggio è così veloce da lasciarlo lì, senza sapere cosa fare. E' una situazione che non si sarebbe mai aspettato quella, e viverla adesso, con tutto quell'alcool che gli brucia nelle vene, non è per nulla facile. Lei continua a piangere così come lui continua a trattenersi, serrando così forte la mascella da percepire un discreto dolore forte e chiaro. « Mi dispiace, Rò. » Si ritrova a scuotere la testa, istintivamente. Un mi dispiace non presagisce mai nulla di buono. « Mi dispiace per il mio continuare a scegliere la sicurezza, rispetto allo scegliere quel qualcosa di non detto. » E a quelle parole, infine, il cuore gli sale in gola, bloccandosi per qualche istante, per poi riprendere a battere come impazzito. Quelle speranze lasciate alle spalle ritornano, mentre il mondo prende a girare attorno a lui con un nuovo ritmo. Ed è strano, perchè di speranze di fronte a parole del genere chiunque troverebbe difficile trovarne. Ma non lui, lui che -forse inconsciamente- ha sempre sperato, in fondo, che lei potesse guarire da queste sue paure. Che lui potesse aiutarla, in qualche modo, a trovare quella felicità che sembrava sempre tanto intenzionata a scacciar via, con le unghie e coi denti. « Mi dispiace davvero non riuscire ad essere la donna di cui hai bisogno al tuo fianco, sai? » E tutta quella paura, fino ad ora solo immaginata per ovvi motivi, la vede palesarsi concretamente sotto i suoi occhi. Ha paura, Bobbie non lo odia, Bobbie ha semplicemente paura. Una strana sensazione lo invade dall'interno. Un miscuglio indefinito, che lo porta a provare pena per lei, dispiacere, e tenerezza. Pena perchè, per quanto la ragazza sia sempre stata abbastanza restia dal fornire troppi dettagli sulla sua vita, Rocky ha imparato a capirla, col tempo. Ed ha capito che dietro quella guerriera, dietro quella valchiria, si è sempre nascosta una donna ferita da un passato ingrato. Forgiata come una combattente, impossibilitata ad amare e, quando forse ne era stata capace, tradita da quell'amore. E tutto questo è ingiusto, e fa schifo. Fa schifo perchè quando ti capitano fin troppe cagate, nella vita, di giorno in giorno, arriva il momento in cui pensi di meritartele. « Mi dispiace vederti così, mi dispiacere averti colpito, mi dispiace sentire il tuo dolore, perché lo sai che lo sento. E questo non è amore, nemmeno lontanamente. Non è una cosa giusta. Non è normale, è una cosa malata. E io non posso, non posso continuare a vederti così, a sentirti così. Mi dispiace non essere la persona giusta per te. E mi dispiace averti fatto soffrire così tanto, finora. » Lo guarda fisso negli occhi, mentre lui si morde l'interno della guancia. Tutte quelle parole gli vorticano in testa, mentre cerca di assimilarle. Sì, arriva proprio il momento in cui pensi di meritartele. Questo è quello che Bobbie fa costantemente. E' ormai convinta che tutto ciò che possa anche solo un minimo aiutarla ad essere felice, non faccia per lei. E no, questo non vuol dire che Rocky abbia mai avuto la presunzione di ritenersi capace di fare qualcosa del genere. Ma vorrebbe, cazzo, vorrebbe eccome. Se solo gli desse una possibilità, se solo... Sospira, indietreggiando appena quando lei si avvicina. Non sa cosa fare e la confusione di lei si unisce alla propria, assieme a quel groppo alla gola che si fa sempre più pesante ed impossibile da sciogliere. Deglutisce a fatica dunque, passandosi le mani sugli occhi per strofinarli, e poi battere numerose volte le palpebre, con la testa che gli gira. « Ma voglio aiutarti perché sono la causa di tutto e vorrei essere anche la fine. Esistono pozioni, esistono incantesimi che tolgono i ricordi, che aiutano a lenire il dolore, che aiutano a guarire. Permettimi di fare qualcosa, farei qualsiasi cosa, per toglierti questo peso. » Ma nonostante tutto torna a guardarla, in istanti di assoluto silenzio che gli sembrano ore. Può aiutarlo a non soffrire più. Gli sta proponendo la possibilità di estirpargli tutto ciò che prova per lei. Una vita senza quell'amore, senza quello struggimento, senza niente di tutto quello. Una vita senza Bobbie. Neanche se lo ricorda, come fosse, ogni cosa, prima di lei. E' come se faccia parte della sua vita da sempre, ed a tutto ciò che c'era prima non riesce nemmeno a ricollegarsi. E ciò che lei gli sta proponendo, con quelle parole, è di ritornare a tutto quello. Di riconnettersi con quel..vuoto anonimo. Però non soffrireste entrambi, si dice in un primo momento, lei smetterebbe di soffrire per te e tu per lei, una prospettiva allettante che però lui non è capace di cogliere. Non vuole cogliere. Infine dunque, spinto da un istinto completamente incontrollato, dopo minuti di assoluto silenzio che sembrano ore, si spinge in avanti. Segue quella voglia di poco fa di abbracciarla, ed è ciò che fa adesso, mentre le stringe le braccia contro il busto, forte, inglobandola in quella sua mole massiccia. Sa che con ogni probabilità lo respingerà a breve, forse si beccherà l'ennesimo pugno, forse la vedrà sparire per sempre ed allontanarsi ulteriormente da lui. Ma al momento poco gli importa, tutto ciò che vuole è darle calore, tutto quello che ha a disposizione. Farle capire che lei può, può davvero avere tutto questo perchè se lo merita. Quindi la stringe, con una mano dietro la sua testa, ad intrecciarsi coi suoi capelli, e l'altra sul suo fianco sinistro, gli occhi chiusi ed il meno poggiato sulla sua fronte. « Basta, per favore... » Mormora, mentre percepisce qualcosa di caldo rigargli una guancia. Ora che ha abbassato la guardia, una lacrima solitaria si fa strada sul suo viso. Si scosta appena, quel tanto che basta per poterla guardare, entrambe le mani che dopo qualche istante vanno a poggiarsi sul suo viso. Le asciugano le lacrime, mentre lui esita un po'.
    ITLuVE8
    « Se c'è una cosa che non meriti è soffrire, quindi adesso basta. » Sospira « Non mi piace, okay? Nun me piace vederti così. » Si sofferma a guardarla per un po', poi sospira, senza però distogliere lo sguardo. « Sei la persona giusta per me. Io è così che ti ho conosciuta, ed è così che ti voglio. Non ho conosciuto una Bobbie "giusta per me", nè una parte di te migliore. Ho sempre avuto a che fare con questa te, e proprio questa te m'ha fatto innamorà. Ti voglio perchè sei così. Perchè a volte mi prendi a capocciate, perchè se mannamo a fanculo ventiquattrore su ventiquattro. Perchè a volte sei più maschio del meccanico sulla tredicesima ed a volte invece me fai girà la testa quanno te ce metti in tiro. Ti voglio col tuo passato di merda, co le tue pippe mentali, coi tuoi istinti, con le tue paure. Te ce voglio così, con tutto questo, le cose belle e le cose brutte, perchè senza qualcuna de queste a mancà, non saresti te, ed io è di te che me so preso no svarione. » Pausa. « Quindi puoi pensà de non esse la donna giusta per me, puoi pensà che in giro ci sia il mondo meglio. Cazzo ne so, forse c'è, meglio di te, meglio di me, meglio di chiunque. Ma a me non frega 'ncazzo del meglio, io voglio questo. Voglio te, così come sei. E so ubriaco marcio, e penso che tu sia bellissima anche quanno piangi. E domani sarò lucido, e penserò che tu sei bellissima anche quando sorridi. » Le labbra gli tremano mentre un'altra lacrima scende solitaria, quindi le lascia andare le mani, per asciugarsi. Rimane in silenzio per qualche minuto, lo sguardo che vaga altrove, poi respira a fondo, tornando a lei. « Se continui a non volermi amare, a non poterlo fare, concedimi almeno oggi, almeno stanotte. Semo ubriachi, domani non ricorderemo nulla e tutto tornerà come prima per te. » Anche se non vorrei che tornasse tutto alla normalità per te. Non senza di me. « Io voglio una possibilità, Bobbie, è tutto ciò che chiedo. » Si avvicina un po' a lei, istintivamente, tanto da sfiorarle il busto col proprio, il viso a pochi centimetri dal suo. « Una possibilità per amarti come voglio e come meriti. Perchè te lo meriti. Te lo meriti perchè vorresti essere la donna di cui ho bisogno al mio fianco. » Cita le sue stesse parole « Se non vuoi che questo duri per sempre, concedimi almeno stanotte, almeno per qualche ora. » Sospira, il respiro che va ad infrangersi contro il viso di lei, mentre le scosta alcune ciocche di capelli che le coprono la fronte. Le sorride, appena. « Prenditi sta cazzo de felcità che ti meriti ma non vuoi accettà. Solo per oggi, solo per ora, solo con me. »
     
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    E' a terra, le manca completamente il senso della ragione, mentre lo guarda, con gli occhi vacui e persi nel nulla. Ed è soltanto quando lui decide, infine di avvicinarla, che capisce quanto sia imbarazzata e quanto davvero si vergogni per ciò che è successo. Dalla prima parola, all'ultima che gli ha detto, nell'arco di quella mezz'ora di tempo. E' come se tutto l'alcol che avesse in circolo, si vada lentamente diradando, così come lo fa il suo effetto, solo per permetterle di essere vigile e cosciente di fronte a ciò che è stata: un'emerita testa di cazzo, senza mezze misure. Lui si avvicina ancora un po', mentre valuta la situazione, come se avesse paura di avvicinarsi ad una bestia inferocita. Perché è questo che sono, una belva selvatica. Pensa, nell'esatto istante in cui lui la ingloba in un abbraccio rassicurante. E più lui stringe, più la sua testa ha voglia di scostarsi, urlando di lasciarla in pace, ma non il suo corpo, non il suo cuore. Loro la tengono piantata lì, con il naso colante, le mani lungo i fianchi, ma tra le sue braccia. E' in balia di quel calore e soltanto per qualche istante, si rilassa completamente, lasciandosi andare contro di lui, con gli occhi chiusi e la voglia di scomparire dalla faccia della Terra sempre più pressante nelle sue vene. « Basta, per favore... » Si fonde con lui e ci rimane ancora più di merda quando sente quell'unica lacrima rigare anche la sua di guancia. E' solo una sensazione, lo sa bene, eppure fa male più di qualsiasi altra cosa, perché non crede di averlo mai visto piangere e, in un modo o nell'altro, è tutta colpa sua. Si scosta da lei e posa entrambe le mani sul suo volto, andandoglielo a ripulire da quelle lacrime fastidiosamente vergognose. Fa per scostarsi da quel tocco, portando il viso di lato, ma lui è più veloce e lei è fin troppo debilitata da tutta l'intera situazione per essere presente a se stessa, per poter anche solo pensare di riprendere le redini e rialzare le mura che ha sempre ben salde intorno a sé. « Se c'è una cosa che non meriti è soffrire, quindi adesso basta. Non mi piace, okay? Nun me piace vederti così. » Nemmeno a me. Soprattutto perché lo sente, quel lento ricalarsi in vecchie abitudini che non le hanno giovato altro che puro e sordo dolore. Si sente scivolare nuovamente, passo dopo passo, centimetro dopo centimetro, dentro quell'abisso dal quale si è tenuta alla larga per il rotto della cuffia, un precipizio che le sembra così allettante, ora come ora. Come se nient'altro avesse importanza, non dopo aver fatto a pezzi Rocky, nuovamente, e in piena coscienza. Sei una grandissima persona di merda. Se lo continua a ripetere, mentre rimane lì, con il viso tra le sue dita, mentre lui ne ricerca lo sguardo e lei guarda un punto non definito alle sue spalle. Sei davvero una persona orribile. E mentre lei si dice questo mentalmente, lui se ne esce con l'esatto opposto, come a voler risolvere le equazioni di quel rompicapo senza senso che Bobbie continua a proporsi, giornalmente, per continuare ad andare avanti. Sono fatta così, sono una persona di merda, nessuno ti costringe a rimanere, anzi, quella è la porta, se te ne vai in silenzio mi fai anche un favore. Una complicata equazione che si è sempre raccontata, un po' a difesa di se stessa e di quella fragilità nascente che non avrebbe potuto affrontare in altro modo, un po' a difesa di coloro a cui teneva davvero, che negli anni hanno gravitato intorno a lei. Ma ora lui la risolve, nel giro di poche parole, andando a dirle le uniche parole possibili che mai avrebbe pensato di poter risentire sulle labbra di qualcuno, nei suoi confronti. « Sei la persona giusta per me. Io è così che ti ho conosciuta, ed è così che ti voglio. Non ho conosciuto una Bobbie "giusta per me", nè una parte di te migliore. Ho sempre avuto a che fare con questa te, e proprio questa te m'ha fatto innamorà. Ti voglio perchè sei così. Perchè a volte mi prendi a capocciate, perchè se mannamo a fanculo ventiquattrore su ventiquattro. Perchè a volte sei più maschio del meccanico sulla tredicesima ed a volte invece me fai girà la testa quanno te ce metti in tiro. Ti voglio col tuo passato di merda, co le tue pippe mentali, coi tuoi istinti, con le tue paure. Te ce voglio così, con tutto questo, le cose belle e le cose brutte, perchè senza qualcuna de queste a mancà, non saresti te, ed io è di te che me so preso no svarione. Quindi puoi pensà de non esse la donna giusta per me, puoi pensà che in giro ci sia il mondo meglio. Cazzo ne so, forse c'è, meglio di te, meglio di me, meglio di chiunque. Ma a me non frega 'ncazzo del meglio, io voglio questo. Voglio te, così come sei. E so ubriaco marcio, e penso che tu sia bellissima anche quanno piangi. E domani sarò lucido, e penserò che tu sei bellissima anche quando sorridi. » I suoi occhi verdi, lentamente, dal guardare il nulla, si spostano in quelli di lui, i lineamenti del viso si rilassano. Non sono più austeri e duri, ma sono più morbidi e quasi docili. Gli occhi si stringono, come a tradire l'assolutamente sorpresa che sta provando la donna in quell'istante. E il tutto è accresciuto da quell'ennesima lacrima che si muove lungo il viso di lui. Ne segue il percorso, in silenzio, dall'occhio, alla guancia, per finire intrappolata tra le dita di lui. Smettila di piangere, non ne vale la pena. « Se continui a non volermi amare, a non poterlo fare, concedimi almeno oggi, almeno stanotte. Semo ubriachi, domani non ricorderemo nulla e tutto tornerà come prima per te. » Spalanca gli occhi, capendo, poco a poco, la richiesta che le ha appena avanzato. Non solo non vuole essere aiutato a dimenticarla, ma fa una controproposta. Una notte. Deglutisce, indietreggiando inconsapevolmente di qualche passo, come spaventata all'idea di compromettersi così tanto. Perché il sesso, che si voglia o meno, porta ad inevitabili complicazioni. « Io voglio una possibilità, Bobbie, è tutto ciò che chiedo. Una possibilità per amarti come voglio e come meriti. Perchè te lo meriti. Te lo meriti perchè vorresti essere la donna di cui ho bisogno al mio fianco. » Lui mette fine alle loro distanze, con un passo in avanti, mentre i loro corpi entrano in contatto, bacino contro bacino e a lei manca il respiro, per qualche istante. « Cosa stai facendo? » Sussurra con voce tremolante, mentre alza gli occhi a guardarlo. Non lo fare, io..non lo fare. Scuote la testa, spaventata e con gli occhi spalancati. « Se non vuoi che questo duri per sempre, concedimi almeno stanotte, almeno per qualche ora. » Si accorciano sempre più le distanze e lei capisce che non può più scappare, mentre il fiato caldo di lui si infrange contro la pelle del suo volto in fiamme. « Prenditi sta cazzo de felcità che ti meriti ma non vuoi accettà. Solo per oggi, solo per ora, solo con me. » Alza le mani, in segno di resa, scrollando la testa, per poi farli ricadere lungo i fianchi. « No.» Continua a scrollare la testa, spostandosi all'indietro di qualche passo. « No, tu non vuoi questo. » E io? Io cosa voglio? « Domani sarà un casino, tu, io, perché complicare di più le cose? Sono già così tanto in bilico, pronte a crollare ancora una volta a pezzi. » Continua a scuotere la testa, cercando di regolarizzare il proprio respiro, spostandosi di lato, pronta ad andarsene, questa volta per davvero. Ti farei del male per l'ennesima volta. No. Ma poi lo guarda nuovamente. Si fissa a guardarlo, con i rivoli di sangue che scivolano via dal suo volto, con gli occhi imploranti e il chiaro rincoglionito tipico di cui è ubriaco fradicio. "Semo ubriachi, domani non ricorderemo nulla." Deglutisce. Che male posso farti, se tu non ricorderai nulla? Continua a guardarlo per qualche altro secondo, mentre valuta ogni pro e ogni contro, ma alla fine decide di fregarsene perché in fondo la sua vita si è trasformata ormai nel relitto di ciò che era un tempo, si sta sgretolando, giorno dopo giorno, sotto i suoi occhi e un errore in più, uno in meno, che male può fare? Così si muove verso di lui, fin quando i loro corpi non entrano nuovamente in contatto. Osserva prima le proprie mani muoversi su quelle di lui, per poi alzare lentamente lo sguardo ad incontrare quello chiaro di lui. « Spero davvero che tu possa non ricordare niente domani » riesce a dire prima di chiudere le proprie labbra su quelle di lui. E' un bacio che fa fatica a partire, sembra nascere dall'esitazione e dalla paura di mandare tutti in pezzi, per questo motivo, dopo qualche istante, si stacca e lo fissa da sotto le ciglia. Sembra voler valutare la sua reazione al proprio gesto, come a voler capire se gli vada bene e se stia effettivamente bene. « E' okay? Dimmi qualcosa.. » Si sente una cretina, mentre si ritrova a sorridere come un'adolescente alle prime armi, che si sta per approcciare alla sua prima volta. Un po' come lo è davvero lei, in quel momento. Perché non solo sarà la prima volta con lui, ma è la prima volta dopo tanto, troppo tempo. Dopo lui. E lo stai per fare con ubriaco che non si ricorderà niente domani, sei un cazzo di genio Bobbie, davvero. Scelte sempre fatte con il culo, mi raccomando. Finge di non sentirla, quella vocina, che solitamente si rifà viva solo in occasioni del genere - e non le è mancata affatto, a dirla tutta - per avventarsi nuovamente sulle labbra, questa volta con più decisione. Fanculo tutti. La lingua si fa strada nella bocca di lui, quasi implorante nel ricercare una sua risposta. Dammi quello che mi hai promesso, fammi sentire questa tua felicità. Sussurri che si perdono tra un bacio e un altro, mentre si aggrappa ai suoi vestiti con forza e lo spinge con il muro alle sue spalle. Le labbra che prendono a scivolargli sul collo, in calde scie di desiderio, per poi risalire verso la guancia, lì dove è ancora sporco del sangue che le ha fatto uscire lei stessa. E quasi come se si sentisse in colpa a quella vista, decide di guarirlo. Passa la lingua sulle ferite, sperando che la saliva, impregnata del proprio sistema rigenerativo, possa aiutarlo a rimarginarsi più in fretta. Poi lo guarda e sorride, con una scintilla di malizia negli occhi, con il sapore del suo sangue sulla punta della lingua che, stranamente, non le dà alcun fastidio. Okay, sei più fuori di quanto credessi, punto bonus per te! Ignora nuovamente, continuando a sorridere. « Deformazione di razza. » Alza le sopracciglia, per poi rituffarsi nuovamente sulle sue labbra. Si perde completamente, annebbiando qualsiasi pensiero, lasciandosi andare tra le sue calde braccia, ma per un attimo, ha uno spiraglio di lucidità, e allora arpiona le proprie mani su di lui e si stacca dal
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    bacio. « Non è il caso di continuare a dare spettacolo qui, insomma, è pur sempre la Santissima Città. » Gli scocca un occhiolino. « Reggiti forte, non sia mai che perdi qualche pezzo per strada. » E detto ciò, focalizza il proprio pensiero sulla propria casa, smaterializzando entrambi, per atterrare con i piedi sul pavimento del corridoio che dà alla loro ala di casa. Non gli dà nemmeno il tempo di respirare che eccola che riparte all'attacco, con le mani che afferrano ogni parte del suo corpo, con le labbra che fanno proprie quelle di lui. Si vanno sbattendo lungo tutto il corridoio, prima lui con le spalle al muro, poi lei e ancora lui, fin quando non entrano nella sua stanza e si chiude con forza la porta alle spalle. E poi arriva il momento. Sente le mani di lui che si muovono verso i suoi pantaloni e lei si gela, all'istante. Allarme rosso, signorina. Ricordiamo la situazione "ragnatele da anni" lì sotto? Si stacca, sgranando gli occhi e lo guarda, interdetta. Glielo dico? Che si fa in questi casi? Cristo Santo, da quanto non scopo? « Io, ehm..» guarda la porta del bagno e per qualche istante si sente davvero Bridget Jones. La indica, per poi tornare da lui. « Aspettami un attimo, okay? Tu..non lo so, mettiti comodo. » Senza dargli possibilità di replica, si fionda in bagno e appoggia le spalle alla porta chiusa, sospirando. Rimane così qualche istante, per poi dare una veloce occhiatina alla situazione, allargando i pantaloni. Merda, e ora che cazzo faccio? Perché insomma, diciamocelo, non facendolo davvero da tanti, ma proprio tanti anni, Bobbie non si è mai curata troppo di essere perfettamente in riga sotto ogni punto di vista. La modalità yeti è sempre stata la sua preferita, perché tanto, con il senno di poi, nessuno avrebbe mai avuto la fortuna di vederla effettivamente nuda. Fino a quel momento. Si avvicina allo specchio, guardandosi per qualche secondo, mentre rimugina sopra sul da farsi. Pensa, pensa a qualcosa, non puoi presentarti così di là. Okay che non si ricorderà niente, ma dai su! Alla fine opta per l'incantesimo che facevano usare alle giovane cadette dell'Accademia che, in quanto Valchirie, dovevano essere perfette, in ogni loro frangente. Quando è abbastanza soddisfatta del risultato, tanto da provare quasi tenerezza nel rivedersi così bella e curata, fa un gran respiro e si costringe ad uscire. Rimane sulla porta, a guardarlo, domandandosi come ricreare l'atmosfera. Devo abbassare la luce magari? Così è troppo sparata? Scrolla la testa e alla fine gli si avvicina, con un sorriso mesto. « Beh, che facciamo? » Oh, questo sì che è ricreare una scena romantica e da strappamento di mutande, davvero complimenti! « Dove eravamo rimasti? » Ecco, già meglio, ma scarsino comunque come approccio. Si alza in punta di piedi e riavvicina le labbra a quelle di lui, in un contatto morbido, attuo a fargli capire quanto sia effettivamente spaventata ed eccitata allo stesso tempo. Lo bacia con delicatezza, cambiando nuovamente l'andamento di quel ballo, mentre le sue dita corrono alla maglia di lui. Gliela alza senza difficoltà, lasciando a lui il compito di togliersela del tutto. E mentre lui lo fa, lei rimane in attesa, guardandolo. L'ha visto tante volte a torso nudo, ma quella è la prima volta che lo vede così da vicino. Ne rimane colpita e non può fare a meno che allungare una mano, esitante, a tratteggiare ogni sua cicatrice, con una dedizione e una precisione da far spavento. Solo dopo qualche minuto di questa lunga e meticolosa entrata in contatto con il corpo di lui, alza lo sguardo. « Che c'è? Non posso guardarti? Dai su, dilla, la sento la battuta che hai sulla punta della lingua. » Si fa canzonatoria, seppur sappia alla perfezione che quella che parla è non altro che l'agitazione che sta provando in quel momento. Perché in tutta onestà non sa da dove cominciare, che cosa fare, che cosa a lui possa piacere, seppur l'abbia fatto altre volte in passato. Ma ora è tutto diverso. Perciò, senza pensarci, si avvicina al comodino e abbassa l'intensità della luce della lampada, per poi voltarsi verso di lui. « Meglio? O la preferivi prima? » Fa una piccola pausa. « Oddio, la preferisci spenta del tutto? Cioè a me va bene eh, anzi, forse è meglio, almeno..» comincia a delirare, per poi stringersi nelle spalle, andando a stritolarsi con le proprie stesse braccia, a mo' di protezione per quegli istanti di puro imbarazzo e disagio. « Okay, potrei cominciare ad iperventilare da un momento all'altro, forse sono un tantino agitata. Lo ammetto. »
     
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