Do you ever feel cursed?

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    « Mi passi il sale, per favore? » E' questa l'ultima frase che è riuscita a dire Lucien, prima che degli sciagurati hanno deciso di irrompere in casa loro. Con un "bombarda" hanno buttato giù la porta e si sono lanciati su Lucien in men che non si dica. Non è riuscita nemmeno a fare mente locale su ciò che stesse effettivamente succedendo in cucina, che quelli che, con il senno di poi, Maze ha capito essere Auror, l'hanno trascinato via, prima di smaterializzarsi, appena messo il piede fuori dalla soglia della porta di casa. E da quel momento, silenzio. Silenzio al quale la ragazza non avrebbe sottostato in alcun modo, lo sapeva lei, lo sapeva Lucien e lo sapeva chiunque la conoscesse abbastanza bene da conoscere la tenacia e la testardaggine con le quali si aggrappa alle persone che ama veramente. Per questo motivo, dopo aver passato le prime ore a girare per la casa come un'ape impazzita, aiutata fortunatamente dalla presenza silenziosa ma costante di Trixie ed Elliott, si era rimboccata le maniche, dopo aver sentito l'annuncio alla radio. "Resta critico il tema di tutte le vittime della Loggia, una categoria di soggetti che la Corte di Giustizia Wizengamot, ritiene fragile e che per dovere civile e questioni legate alla sicurezza pubblica, sono tenuti a presentarsi presso il Centro Igiene Mentale al San Mungo, in una struttura che è stata attentamente riqualificata per occuparsi di accertare le effettive condizioni fisiche e mentali di chiunque sia stato vittima della soggezione della Loggia Nera." E da quel momento al momento in cui si ritrova a camminare sul pavimento lastricato del San Mungo, nei suoi ticchettanti tacchi e i suoi nuovi abiti, il passo è davvero breve. Si risistema un ciuffo di capelli ribelli, riportandolo all'ordine dietro l'orecchio, mentre si specchia contro la vetrata della porta che sta per aprire. Sono uno schianto si ritrova a commentare il proprio aspetto, trovando che il biondo le stia particolarmente bene, così come gli occhi azzurri cielo. Faccia migliore non potevo scegliere. Si umetta le labbra, mentre sorride a questo e quell'altro inserviente, per poi passare di fronte al bancone dell'accettazione. Dà una veloce occhiata al cartellino che la donna porta al petto, prima di sorriderle amabilmente, entrando perfettamente nella parte che aveva deciso di recitare. « Magda, tesoro. Come è andato il fine settimana? » La donna, sulla sessantina, la squadra dall'alto al basso, prima di decidere di regalarle un timido sorriso. « Agitato, a dire il vero. Hai sentito dei nuovi arrivi al Centro, no? E' per questo che sei stata chiamata qui d'urgenza, sbaglio? » Maze annuisce, spingendosi in avanti, per poggiare la mano sopra quella di lei, come a volerle infondere coraggio. « E' una situazione critica, ma riusciremo a recuperarli. » Affila un sorriso furbo, lasciando intravedere la fila di denti perlacei che vi ha al di sotto. « E se così non fosse, il Centro diventerà la loro casa in eterno, dico bene? » Alza un sopracciglio, prima di ridacchiare, dandole qualche pacca sulla mano. La donna sembra rilassarsi in un sorriso più sincero, mentre si lascia consolare dal pensiero che quei pazzi verranno tenuti lì dentro, chiudendo la loro chiave per poi buttarla all'aria, se ce ne fosse bisogno. « Hai i colloqui individuali oggi. » Le dice, quasi dispiaciuta per lei, con un'espressione triste sul volto, un'espressione che la bionda cerca di assecondare con un sorriso rassicurante, mentre abbassa gli occhi sulla pila di cartellette che la donna ha spostato sul bancone. Le sposta con le dita perfettamente curate, fingendo di revisionarle una ad una, soffermando la sua attenzione su quella che riporta il nome di Lucien Parker. La prende, la apre, se la studia per qualche secondo. Creature magica instabile. Preso con la forza. Rifiuta le cure orali, introdotti i medicinali endovena per calmare la sua indole. Sotto stretta osservazione. Perizia psicologica non ancora completa. La bocca dello stomaco le si chiude all'istante nel leggere quella che dovrebbe essere la descrizione di Lucien, ma Maze, in quelle parole, non ritrova niente del suo uomo. Che ti hanno fatto, amore mio? Si ritrova a pensare, stringendo le dita intorno a quei fogli che farebbe bruciare volentieri nel giro di pochi istanti. Darebbe fuoco all'intero stabilimento, se avesse la certezza che Lux possa così uscire da lì, libero e vegeto. « Partirò con lui. » Commenta, sovrappensiero, rialzando gli occhi verso la donna, richiudendo poi la cartelletta che si porta al petto. « Sei sicura? E' il più pericoloso ed è costantemente sotto farmici. » « Comincio da lui. Grazie. » Risponde, secca, mentre ricontrolla la parte alta del primo foglio, per accertarsi
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    di quale sia la sua stanza. « A dopo, Magda, buona giornata. » La saluta, allontanandosi velocemente, per andare verso il corridoio che spera portino alle stanze dove vengono tenuti i pazienti. Ancheggia lungo di esso, con il bordo del camice che le solletica ad ogni passo il dietro delle ginocchia. Arriva alla stanza 106, si ferma per qualche secondo per darsi una risistemata, sapendo perfettamente che lui non la riconoscerà, prima di bussare delicatamente. Pronta alla visione di qualsiasi cosa le si parerà di fronte. O questo è quello che crede, perché quando entra è tutto molto peggio. Le viene da vomitare, la nausea le stringe forte lo stomaco, nel vederlo completamente assuefatto e ridotto al pallido fantasma di se stesso, ricurvo come un uomo anziano. Deglutisce, prima di sorridere, rientrando in quella parte che si è scelta per poterlo tenere d'occhio, per potergli stare vicino, al di fuori di quelle ridicole ore di visita. Per cercare di trovare un modo per tirarlo fuori da lì, dall'interno. « Buongiorno, Lucien. Come stai oggi? » Ti prego, non rispondermi, il solo vederti così è una risposta sufficientemente dolorosa. « Sono la dottoressa Cavendish. Delicious Cavendish. » Si indica il badge al petto con l'unghia smaltata, come a dargli una prova tangibile delle sue referenze. Guarda poi la seggiola di plastica che è stata sistemata di fronte al tavolo appoggiato al muro. « Spero non ti dispiaccia se mi siedo e sto un po' qui con te. » Non una domanda, una semplice constatazione, mentre si accomoda e lo guarda, inclinando la testa di lato. Vorrebbe avvicinarsi, cospargerlo di baci, di carezze, vorrebbe confortarlo, dirgli che non è da solo. Vorrebbe palesarsi a lui, nel momento del bisogno, ma per il momento decide di mantenere intatta la sua identità. Ha bisogno che lui si fidi di lei in quelle vesti, ha bisogno che lui pensi di non essere solo, al di là della vera se stessa, ma che si affidi alla sua figura professionale lì dentro. Così sorride, affabile, fingendo di leggere con interesse la sua cartella, per qualche istante, per poi chiuderla di botto, tornando a lui. « Non mi interessa quello che c'è scritto qui dentro. » Quello che hanno scritto..quello non è il vero te. « Mi piacerebbe tanto che tu mi raccontassi qualcosa di te. Un qualcosa che senti ti possa identificare come persona. Il tuo ricordo più felice, quello più triste, quello che ti ha colpito a fondo, tanto da sentirlo come catalizzatore di vita per te. » Si umetta il labbro inferiore, accavallando le gambe cinte da una gonna scura. « Lo faresti per me? Ti va di farti conoscere, un po', aiutandomi così a capire? » Fidati di me anche così, ti prego. Sbatte le ciglia un paio di volte, con un sorriso bonario sulle labbra. « Non voglio farti del male, voglio solo capire chi sei, veramente, e non attraverso le parole che qualcun altro ha scritto su un foglio di carta. Vorrei capire chi sei dalle parole che escono dalle tue labbra. » Fa una pausa tattica, riprendendo a fissarlo intensamente. « Voglio soltanto aiutarti, Lucien, davvero. »

    I never thought I’d be so fragile
    (You’re not alone)


     
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    « Ti sei perso il suo compleanno. » Lucien scuote la testa, rigirandosi nel letto. « Va' via. » Chiude gli occhi, tentando di concentrarsi. Sa già che non riuscirà a dormire, e che se anche lo facesse, non riuscirebbe mai a liberarsi di lui, ma ci prova. Ci prova da giorni, ormai. « Io dico, quale maritino si perde il compleanno della sua donna? »E continua a provarci inutilmente. Come liberarsi di sè stessi, dopotutto? Perchè sì, è di sè stesso che stiamo parlando. Il suo demone, a differenza degli altri coinquilini in quella prigione dall'aspetto di un ospedale del cazzo, non l'ha mai abbandonato. Come avrebbe potuto, in fin dei conti? Erano stati fortunati, gli altri. Quei bastardi dalla lamentela sempre pronta, non sapevano quanto cazzo fossero stati fortunati. Abbandonati per sempre da quelle creature di un'altra dimensione che, seppur celandolo sotto forma di vantaggio, avevano ed avrebbero continuato a rovinare loro la vita. Per loro era finita, era finita una volta e per tutte, con ogni probabilità. Un capitolo da considerarsi chiuso quello, volenti o nolenti che fossero. Ma per lui era diverso. Per lui quelle fottute pagine non erano state dotate di un punto, ma di una semplice virgola. Il demone non poteva certo abbandonarlo, se era lui stesso, il suo personale demonio. Ci era riuscito, a metterlo da parte, in qualche maniera, grazie a lei. Lei, i suoi sorrisi, le sue carezze, le sue parole. Lei ed il suo amore che, da sempre e per sempre, avrebbero continuato a salvarlo da qualsiasi cosa. Ma adesso è solo, al di là di due insulse ore a giorni alterni che non gli basterebbero mai e poi mai, e solo non sa come gestire tutto questo. La prigionia, le minacce, i sedativi, le crisi. L'hanno legato ed incatenato, qualche giorno fa. Un provvedimento al quale i piani alti non erano propensi a trattare, ma che, con lui, si era rivelato necessario. Durante la notte successiva al compleanno di Maze, la sua Maze, Lucien aveva perso la testa, e tutti gli inibitori, sedativi, o chissà cos'altro, non erano bastati a contenerlo. Aveva distrutto la sua camera, per poco non aveva sfondato il muro in titanio, e tutti coloro che avevano provato a placarlo si erano ricavati non pochi danneggiamenti. Il pensiero che l'avessero rinchiuso lì poco tempo prima di quel giorno che ormai da mesi aveva organizzato nei minimi particolari, era stata la miccia per far esplodere tutto ciò che, a suon di battute idiote e comportamenti infantili, si era tenuto dentro fino a quel momento. Maze, la sua Maze da sola durante il giorno del suo fottutissimo compleanno. Durante il suo giorno, quello in cui sarebbe stata la sua regina e lui come tale l'avrebbe trattata, dall'inizio alla fine. « E avresti potuto fare molto di più » Il suo demone si siede ai piedi del suo letto, con una gamba a cavallo e le mani compostamente riposte sul ginocchio. « Potresti uscire di quì quando ti pare. E invece continui a lasciarti abbattere dagli effetti di queste fottutissime droghe umane. Se ci tenevi davvero, alla tua preziosissima donna, nulla avrebbe dovuto fermarti. » Sospira, rigirandosi di nuovo, per poi infilare la testa sotto al cuscino. « La verità è che ti hanno indebolito. Questi umani a cui tieni tanto, e lei. E' per colpa loro se sei quì dentro. E per colpa sua, e lei dov'è, adesso? » Si alza di scatto a quel punto, Lucien, afferrando il solito vassoio della colazione -che si rifiuta puntualmente di consumare- riposto sul comodino e lanciandolo contro quella proiezione di sè stesso. Lo trapassa, di parte a parte, e questi sparisce. Rimane seduto tra le lenzuola, a quel punto, con ancora un ringhio a scuotergli il petto, mentre osserva i resti di quel vassoio andato in frantumi tanta la furia con la quale si è schiantato contro il muro. « Visto? » La voce del demone riecheggia per tutta la stanza. « E avresti potuto fare molto di più. »

    [...] Apre gli occhi di scatto, piantandoli contro la porta. E' seduto per terra, le ginocchia strette al petto. Gli hanno iniettato l'ennesima dose di inibitori in quella giornata, dopo aver malmenato gran parte degli assistenti, come al solito. Ha spezzato due dita ad uno e cavato gli occhi ad un altro, questa volta. Gli occhiali del secondo malcapitato si trovano lì sul tavolo, ancora sporchi di sangue. Ha imparato che gli piace, tenersi qualche ricordino della gente a cui fa del male, lì dentro. Ma, ad ogni modo, non è questo il punto. No, il punto è che sente qualcosa. Non riesce a distinguerlo bene, anzi trattatasi perlopiù di una semplice sensazione, ma è lì, vivida e concreta in mezzo a quel mondo di allucinazioni. Un battito familiare, un odore che..E' lei. Un sorriso gli distende le labbra, e nel suo sguardo vitreo si dipinge per qualche istante una nota di speranza, come sempre quando la percepisce stare per arrivare a fargli visita. Non ha idea di come sia possibile che lei sia lì, considerato l'orario, ma non si stupirebbe se fossero passate intere ore, o forse addirittura tutto il giorno, senza che lui se ne sia accorto, imbottito di droghe per com'è. « E' quì, è lei. Hai visto, stronzo? » Annuncia, a quel demone che sa essere lì in ascolto, da qualche parte, fin quando -dopo qualche minuto- non sente bussare. Perchè dovrebbe bussare? Si domanda, stranito, mantenendo lo sguardo fisso sulla porta, fin quando non si apre. La figura slanciata di una donna si profila sotto il suo sguardo. Capelli biondi, pelle di porcellana, curve perfettamente sagomate da quel camice impeccabile. « Buongiorno, Lucien. Come stai oggi? » Quando la sua voce trapela in quel cupo silenzio, a legittimare ulteriormente il suo non essere chi sperava che fosse, qualsiasi scintilla di vita nei suoi occhi si spegne, e lui sospira, tornando a guardare un punto fisso. « Sono la dottoressa Cavendish. Delicious Cavendish. » Non risponde nè la guarda più, socchiudendo gli occhi per far finta che non sia nemmeno lì. « Spero non ti dispiaccia se mi siedo e sto un po' qui con te. » Ma la donna insiste, incurante del suo atteggiamento assai poco collaborativo. Allora, come fa sempre quando qualcuno entra nella sua camera e lui si ritrova in quello stato, inizia a sbattere la tempia sinistra contro il muro. Inizia piano, in maniera ancora piuttosto impercettibile. E' un'abitudine che si è preso da quando gli hanno iniettato quella merda nelle vene. Dare colpi alle cose, fino a quando queste non si piegheranno sotto la sua forza, segno indelebile dell'ormai sfumato effetto degli inibitori. E' per questo che -colpevoli i medicinali che limitano di gran lunga il suo processo di rigenerazione- la sua pelle diafana ed in genere priva di qualsiasi imperfezione presenta invece numerosi lividi, ferite o chiazze di sangue pestato. In particolar modo le mani, o, appunto, il viso, in prossimità della fronte o le tempie, come adesso. Si trova già al terzo cadenzato colpo, quando apre gli occhi per guardarla. La scruta, incuriosito: una bella ragazza, dopotutto. Sarà uno spreco, mutilarti. « Non mi interessa quello che c'è scritto qui dentro. Mi piacerebbe tanto che tu mi raccontassi qualcosa di te. Un qualcosa che senti ti possa identificare come persona. Il tuo ricordo più felice, quello più triste, quello che ti ha colpito a fondo, tanto da sentirlo come catalizzatore di vita per te. » Inarca un sopracciglio, scettico. Ho capito, siamo passati alla psicanalisi. E mi mandate pure una ragazza carina nella speranza che io non ve la rimandi indietro a pezzi. Wow, dei geni. « Lo faresti per me? Ti va di farti conoscere, un po', aiutandomi così a capire? » Una debole risata gli scuote il petto, mentre si blocca. « Esattamente, perchè dovrebbe andarmi di fare questo per te? Cosa sei, per me? A parte l'ennesima carceriera impacchettata in una visuale un po' più piacevole del normale? » Si stringe nelle spalle, distogliendo lo sguardo, quasi più che sicuro che ciò basti a farla desistere dall'intento. « Non voglio farti del male, voglio solo capire chi sei, veramente, e non attraverso le parole che qualcun altro ha scritto su un foglio di carta. Vorrei capire chi sei dalle parole che escono dalle tue labbra. » Ma si sbaglia. Quella sconosciuta, quella Delicious, è dotata di una fermezza ed un'ostinata insistenza che gli risultano inverosimilmente familiari. A dirla tutta, ogni cosa di lei gli risulta familiare, a cominciare dalle movenze per finire a quel modo bonario ed apprensivo col quale gli si rivolge. « Voglio soltanto aiutarti, Lucien, davvero. » Ti comporti come lei ma non sei lei. E questo mi fa stare ancora più male. Pensa, mordendosi il labbro inferiore e deglutendo rumorosamente per mandare giù il solito nodo alla gola che lo blocca tutte le volte che pensa alla sua donna. Infine, dopo minuti di infinito silenzio, in cui lui ha semplicemente ripreso a sbattere la testa contro il muro, con un semplice movimento del collo non ancora particolarmente pronunciato, torna a guardarla. « Non te ne andrai tanto facilmente, non è così? » La fissa, attentamente, poi si stringe nelle spalle. « Okay, vabene. Ognuno si sceglie da sè il modo in cui vuole morire, io non sono nessuno per giudicare. » Sospira, noncurante. « Mi incuriosisce, la cosa, dopotutto. Perchè non dovresti credere a quanto dicono le cartelle cliniche, sul mio conto? I fatti sono fatti. E i fatti dicono che sono un mostro. Non conta tutto il resto, no? » Si stringe nelle spalle. « Non conta il fatto che il mio ricordo più felice sia l'aver fatto l'amore per la prima volta con la mia donna, e quello più triste l'averla vista morire, un tempo. Non conta neanche che il mio momento catalizzatore, probabilmente, sia stato vederla abusata da un bastardo, davanti ai miei occhi, e non essere riuscito a prevederlo, nè impedirlo del tutto. Non ha importanza che io mi senta ancora in colpa, dopo tutto questo tempo, e che continui a pensare a tutto ciò che avrei potuto fare, per evitare quella fottutissima visione. » Pausa. « No, non ha proprio senso. Perchè le cartelle parlano chiaro, ed io sono un mostro, è per questo che sono rinchiuso quì, no? Perchè il mio momento più felice è stato spezzare il collo ad un bambino, quello più triste vedere il mondo rinascere, e quello catalizzatore mutilare di giorno in giorno infermieri e guaritori. » E' così che funziona. E' così che funzionerà sempre, per me. Perchè io non sono come tutti gli altri. Io non potrò mai ottenere il perdono. Resta immobile per qualche istante, lo sguardo vitreo fisso su di lei, guardandola senza vederla davvero, poi richiude gli occhi, riprendendo a sbattere la testa contro il muro, con più forza, questa volta. « Ma immagino non te ne andrai comunque. Quindi illuminami, qual'è invece il tuo momento più felice, dottoressa? » L'ennesimo colpo al muro, che, questa volta, lo fa bloccare per qualche istante, per il dolore. Poi riprende. « Quello più brutto è inutile che io te lo chieda, si intende. Dato che lo vivrai quando questo muro si piegherà sotto la mia testa ed io potrò alzarmi per conoscerci meglio. » Sorride. « Ti lascio libertà di scelta su quale ricordino lasciarmi, già da ora- Indica il tavolo con gli occhiali insanguinati riposti sopra -giusto perchè sei nuova, sono gentile. »


    Edited by king with no crown - 2/10/2018, 18:02
     
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    Vorrebbe urlare. Vorrebbe portarsi le mani a stringersi forte quei capelli biondi che sembra adorare così tanto, vorrebbe inginocchiarsi e urlare cosi forte da far vibrare i vetri di tutta quell'intera struttura. Vorrebbe farlo così forte da essere udita da chilometri di distanza. Vorrebbe essere ascoltata, specialmente da lui, così da farlo smettere di battere la testa contro il muro, ripetutamente. E ancora e ancora e ancora, così tante volte da diventare quasi un lento e inesorabile scandimento del tempo che passa, mentre Maze si sente gelare il sangue nelle vene. Deglutisce, a fatica, sentendo che quel groppo alla gola non ha alcuna intenzione di districarsi per lei, mentre nota gli ematomi che si vanno, via via, formando sulle sue tempie ed è allora che sente un'ondata di dolore fisico attraversarla da parte a parte, come una scarica di adrenalina che le allerta ogni terminazione nervosa, in uno spasmo affaticato che le mozza il respiro. Tutto il suo intero corpo è in tensione, seppur sia seduta composta sulla sedia, calatasi alla perfezione nella sua nuova forma. Ogni sua cellula, però, è protratta in avanti, perché oltre all'urlare, oltre a lasciar sfociare quel dolore che le provoca la vista di lui così, vorrebbe andare lì e fermarlo. Vorrebbe tornare in sé e cullarlo, come ha sempre amato fatto, farlo sentire meno solo, così da farlo smettere di torturarsi, sotto l'effetto di quei medicinali che gli stanno annebbiando la testa e la capacità di giudizio. Concentrati, non perdere il controllo di te stesso, non ora. Non far tornare l'oscurità. E ti prego, ti scongiuro, smettila di farti del male. La sua mente le urla, mentre rimane impassibile di fronte alla freddezza che lui le rivolge. Ma non potrebbe essere altrimenti. Lei, per lui, non è altro che l'ennesima che si presente nella sua stanza, pronta a fargli una lobotomia per guardare cosa gli frulla dentro quel cervello contorto che è descritto nella sua cartelletta piena di bei paroloni e tanta più carne al fuoco di quella che in realtà i suoi occhi chiari riescono a vedere. E' una vittima quella che voi riuscite a definire una belva furiosa? E' lui che riuscite a descrivere come un mostro instabile e pericoloso? Facile sputare sentenze quando si porta naturalmente l'altro a comportarsi secondo il più basso dei suoi istinti. E a quel punto tutti sono dei terribili mostri che escono da sotto il proprio letto, non è così? Si passa una mano sul viso, a ritirarsi indietro quel dannato ciuffo che continua a ricaderle di fronte agli occhi. « Esattamente, perchè dovrebbe andarmi di fare questo per te? Cosa sei, per me? A parte l'ennesima carceriera impacchettata in una visuale un po' più piacevole del normale? » Lui ride, di una risata cupa e dai risvolti prettamente maligni. La sa riconoscere bene, ormai, quella particolare risata, gliel'ha sentita fare più di una volta in passato, quando entrambi erano di là. I reali di un posto che non esiste più, perlomeno per lei. Ma forse non per lui, forse lei ha semplicemente sottovalutato il suo legame con quella che lui ha sempre e solo potuto chiamare casa. Forse quel filo che è stato staccato è davvero quello che lo rendeva se stesso. Ma non vuole crederci, perché lei ha visto altro e pazza, nonostante tutte le dicerie, non lo è mai stato fino in fondo. Quindi continua a credere alla propria di storia, quella che è completamente diversa da quella che è scritta nel fascicolo richiuso davanti a sé. E sorride, con pacata accondiscendenza di fronte alle sue parole dall'affilatura chirurgica. « Forse perché, Lucien, sono la tua unica possibilità di uscita? » Continua a sorridere, quasi a volerlo deridere, quasi a voler ridere di fronte alla sua resistenza stoica. Ma lui, alla fine, decide di cedere. Quasi. « Non te ne andrai tanto facilmente, non è così? Okay, vabene. Ognuno si sceglie da sè il modo in cui vuole morire, io non sono nessuno per giudicare. » Sbuffa fuori una risata ironica, riconoscendo finalmente qualcosa di lui. Le minacce a vuoto. Così le ha sempre chiamate, seppur siano andate a centro non poche volte con lei, ferendola nel profondo, più di quanto lui si potesse mai immaginare. « Mi incuriosisce, la cosa, dopotutto. Perchè non dovresti credere a quanto dicono le cartelle cliniche, sul mio conto? I fatti sono fatti. E i fatti dicono che sono un mostro. Non conta tutto il resto, no?Non conta il fatto che il mio ricordo più felice sia l'aver fatto l'amore per la prima volta con la mia donna, e quello più triste l'averla vista morire, un tempo. Non conta neanche che il mio momento catalizzatore, probabilmente, sia stato vederla abusata da un bastardo, davanti ai miei occhi, e non essere riuscito a prevederlo, nè impedirlo del tutto. Non ha importanza che io mi senta ancora in colpa, dopo tutto questo tempo, e che continui a pensare a tutto ciò che avrei potuto fare, per evitare quella fottutissima visione. » Non sa nemmeno come riesca a rimanere ferma, in quel preciso istante. Le si irrigidiscono i lineamenti del volto, è vero, ma rimane ferma. Seduta. Senza alzarsi di scatto e scivolare in ginocchio di fronte a lui, per poi baciare ogni angolo del suo bellissimo volto martoriato. Rimane a guardarlo mentre vorrebbe piangere, per la felicità nel sentire quelle parole. Perché sta parlando di lei. Di cose successe a lei. La sua morte. Il suo essere stata stuprata. Di cose successe con lei. Il fare l'amore dopo avergli sentito dire "ti amo" per la prima volta. Ed è lei, il suo ricordo più bello, quello più triste e quello catalizzatore. Continua a sostenerne lo sguardo, mentre dentro di sé, volente o nolente, è un tripudio di gioia, contentezza e lacrime che non può versare in quel preciso istante, ma che si annota mentalmente, per quando andrà a trovarlo come Maze e non come Delicious. « No, non ha proprio senso. Perchè le cartelle parlano chiaro, ed io sono un mostro, è per questo che sono rinchiuso quì, no? Perchè il mio momento più felice è stato spezzare il collo ad un bambino, quello più triste vedere il mondo rinascere, e quello catalizzatore mutilare di giorno in giorno infermieri e guaritori. » Per un attimo di luce, ecco di nuovo tutta la sua oscurità nel suo massimo splendore: il dolore altrui. « Ma immagino non te ne andrai comunque. Quindi illuminami, qual'è invece il tuo momento più felice, dottoressa? Quello più brutto è inutile che io te lo chieda, si intende. Dato che lo vivrai quando questo muro si piegherà sotto la mia testa ed io potrò alzarmi per conoscerci meglio. Ti lascio libertà di scelta su quale ricordino lasciarmi, già da ora -giusto perchè sei nuova, sono gentile.» Segue il cenno del suo capo e osserva gli occhiali insanguinati che vi sono posati sopra, scompostamente. Devono di essere di qualche guaritore, uno dei suoi tanti trofei, come ha sempre adorato fare. Prima c'erano le sue bambole, poi i suoi giocattolino e ora ci sono i trofei, quelli che indicano le sue vittorie lì dentro. Quelli che non indicano altro che tutte le perdite che si sta procurando consenzientemente. Si passa la lingua sull'arcata superiore dei denti, prima di cominciare a far oscillare il piede della gamba accavallata, sotto il tavolo. « Sai, questo tuo voler continuare a fare il duro, a recitare la parte che ti hanno detto di recitare gli altri, per proteggere il vero te stesso ha un qualcosa di ammirevole, un qualcosa di davvero affascinante. Lo fai per non deludere le aspettative altrui o perché hai paura che, mostrandoti come sei davvero, gli altri non ti apprezzeranno tanto quanto ti temono? » Chiede distrattamente, quasi a non voler dar peso a quelle parole. Si risistema la gonna, in una mossa atta a prendere tempo. Passa la mano sul tessuto scuro e lo dispiega, facendolo tornare immacolato come un tempo. Poi torna a guardarlo, indicando con l'indice la porta alle proprie spalle. « Ma credi davvero che a qualcuno di quelli che stanno lì fuori freghi qualcosa di te? » Una vena sadica si insinua a colorarle il tono della voce, mentre si morde il labbro inferiore quasi con fare innocente. « Tu, per loro, sei ciò che c'è scritto qui dentro. Non sei altro che qualche riga dentro una cartelletta
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    dal colore anonimo. »
    Alza il fascicolo, prima di farlo ricadere sul tavolo. « Loro ti terranno qua dentro per sempre. Nessuno ti lascerà andare, perché tu sei solo qui dentro. » Hai tutti contro, nessuno che vuole prendere le tue parti. « Ma io, povera stupida, sono qui che voglio aiutarti. Sono la dottoressa delle cause perse, lo sanno tutti. E tu, caro Lucien, sei la causa più persa che io abbia mai visto. Per questo voglio aiutarti ed è per questo che io, soltanto io, sono la tua unica speranza per uscire da questo buco, dato che tu non sembri assolutamente volerti aiutare. Perché è più facile sabotare se stessi prima che lo faccia qualcun altro, ferendoti a morte, non è così? » Farti male prima che lo faccia qualsiasi altra persona ti è sempre riuscito così bene, in fondo. Rimane in silenzio, per qualche istante, lasciando che i colpi della sua testa contro il muro diventi l'unico rumore nella stanza. Fin quando sente di non poter reggerlo un secondo di più, e si alza, mettendo la mano tra lui e il muro, approfittando di quel momento nel quale i suoi occhi sono chiusi. La testa batte contro il dorso della sua mano e lei è costretta ad affondare i denti nel labbro inferiore per non urlare dalla fitta di dolore che si propaga da essa al resto del corpo. Chiude gli occhi e cerca di concentrarsi, sperando che smetta, prima o poi. « Il mio ricordo felice è quando il mio uomo mi ha vista davvero. Dopo troppo tempo, finalmente mi ha vista, di fronte a lui, con il cuore tra le mani e l'ha accettato, donandomi il suo a sua volta. » Sussurra a pochi centimetri dal suo viso, mentre lo guarda con il capo inclinato di lato, per cercare di captare il suo sguardo. « Forse siamo due patetici romantici, visto ciò che mi hai appena raccontato, ma siamo identici perché il mio ricordo più bello è il sussurro che ha accompagnato il suo dirmi che mi amava, per la prima volta, il bacio con il quale mi ha sfiorata pochi attimi successivi e la dolce confusione che ho visto nei suoi occhi quando ha realizzato ciò che aveva appena detto. » Un sorriso quasi nostalgico si profila sulle sue labbra. « E' stato così bello, speciale ed intimo da essere diventato il ricordo con il quale riesco ad evocare il mio patronus, pensa un po'. » Si stringe nelle spalle, per poi lasciare che la mano scivoli via dal muro, per andare, insieme all'altra verso i propri capelli. Si toglie il bastoncino lungo che li teneva legati in quella specie di crocchia. I capelli biondi le ricadono sulle spalle, mentre lei si porta il fermaglio di fronte agli occhi, così che anche lui possa vederlo. Alla sua sommità c'è una piccola catena alla quale è attaccato un pendente. Lo indica con un cenno del mento, per poi sorridere. « E' abbastanza come ricordino? Scusa, ma la mia biancheria intima mi sembra proprio poco appropriata al caso. » Sorride, affabile ed ingenua allo stesso tempo, prima di tornare seria e prendere il ciondolo tra le dita. « Sai cos'è questa? » Gli chiede, fissandolo, per poi far scivolare le dita sopra quella piccola manina, al cui centro vi è incastonata una pietra rossa. « Viene chiamata la Mano di Fatima. E c'è tutta una strana leggenda dietro. » Forse la conosci già. « Parla di una donna terribilmente innamorata di suo marito. Una sera, mentre stava cucinando, lo vide rientrare a casa con un'altra donna e sconvolta da questa visione, usò la propria mano destra al posto del mestolo, mettendola nella minestra cocente che stava preparando. Ma non si accorse subito del grande dolore perché aveva un dolore più forte: quello che provava dentro il suo cuore. Il marito, stranamente, entrando in cucina, si accorse della situazione e l'aiutò a riprendersi dall'ustione, ma non rinunciò alla notte con l'amante e Fatima, con il cuore a pezzi, accettò la cosa, perché la sua religione ammetteva più di una donna per un solo uomo. Ma decise di spiarli, sadicamente. » Si ritrovò a sorridere, quasi amaramente nel pronunciare quelle parole, forse perché lei si è rivista in Fatima così tante volte da essere diventata lei, infine. E quella mano, con il tempo, è diventato anche il suo di simbolo. La mano di Mazikeen. La mano che lui le chiese la prima volta che si videro. La mano che lei gli porse, accettando il suo destino fin dall'inizio. « Si avvicinò al letto e nel vedere il loro primo bacio, si mise a piangere. Una lacrima corse lungo il suo viso e andò a bagnare la spalla del marito che finalmente capì. La vide, per la prima volta, innamorata, fedele, la sua più grande alleata e il suo miglior soldato. E solo in quel momento rinunciò all'amante perché l'amore di Fatima era tutto ciò che contava per lui. » Si stringe nelle spalle, per poi allungare una mano verso quella di lui. Gliela apre con difficoltà e vi lascia cadere al suo interno il fermaglio, con un sorriso pacifico. « So che non è come un bel paio di occhiali, ma è un simbolo che mi sta particolarmente a cuore. » Si scosta appena da lui, per guardarlo meglio in volto. « Se c'è davvero una donna che sembra essere il filo conduttore dei tuoi ricordi migliori e peggiori, perché fai tutto questo? » Gli domanda poi, senza preavviso. « Più fai così, più rimarrai qui dentro, più lei rimarrà da sola, fuori. Preferisci così? Che rimanga da sola per sempre perché tu hai deciso di sabotare entrambi solo per non mostrarti come sei veramente? » Lo incalza nuovamente. « Cosa credi di ottenere da tutto questo? Fama? Gloria sulle più importanti testate giornalistiche? Pensi che si ricorderanno di te, a lungo termine, per aver morso e mutilato e ucciso degli infermieri qui dentro? No, nessuno si ricorderà di te, se non lei. » Tenta di giocarsela così, puntando su se stessa, perorando la propria causa, sperando che lui sia abbastanza ragionevole da seguire quella strada. « E' questo che vuoi? »
     
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    « Sai, questo tuo voler continuare a fare il duro, a recitare la parte che ti hanno detto di recitare gli altri, per proteggere il vero te stesso ha un qualcosa di ammirevole, un qualcosa di davvero affascinante. Lo fai per non deludere le aspettative altrui o perché hai paura che, mostrandoti come sei davvero, gli altri non ti apprezzeranno tanto quanto ti temono? » « Perchè cosa ne sai, dottoressa, di come sono davvero? » Perchè continui a parlare come se mi conoscessi. Non sai un cazzo di me. Non sapete un cazzo di me. « Se lo sapessi, davvero, non saresti quì. » Sola, senza un paletto di frassino a portata di mano o delle guardie che si rivelerebbero inutili tempo cinque minuti. Sospira, tornando a quel suo mantra cadenzato, intenzionato ad ignorarla, seppure lei glielo renda particolarmente difficile. « Ma credi davvero che a qualcuno di quelli che stanno lì fuori freghi qualcosa di te? Tu, per loro, sei ciò che c'è scritto qui dentro. Non sei altro che qualche riga dentro una cartelletta dal colore anonimo. Loro ti terranno qua dentro per sempre. Nessuno ti lascerà andare, perché tu sei solo qui dentro. » Loro ti terranno qua dentro per sempre. Si gira di scatto a guardarla, nello sguardo quella solita nota scarlatta di quando è prossimo ad attaccare. E lo farebbe pure, se solo non gli mancasse la forza anche solo per urlare. Perchè vorrebbe urlare, vorrebbe farlo davvero. Così forte da spaccare tutti i fottutissimi vetri di quel fottutissimo posto. Vorrebbe buttare fuori tutta quella rabbia che cova dentro, e che alimenta ogni giorno quelle sue schifosissime ore. Ma tra le altre cose, gli hanno impedito di fare anche questo. A volte ci prova, ma tutto ciò che trapela dalla sua bocca sono solo statiche urla, silenziose, che si limita a soffocare contro il cuscino, spesso, o il materasso. Lui, Lucien, non ha la forza neanche per quello. E se pure l'avesse, a cosa servirebbe? Nessuno lo lascerà andare, perchè è solo, là dentro. La sola prospettiva, adesso ai suoi occhi stranamente così vivida, di restare in quella prigione per sempre lo opprime e lo terrorizza al tempo stesso. Sa che non ce la farà mai, lì dentro, per sempre. Sa di non essere forte abbastanza, senza di lei. Che non gli basterà ancora per molto, vederla solo due ore al giorno. Sa di essere sul filo di un rasoio, con l'unica speranza di tornare da lei a tenerlo in equilibrio. Ma se perde anche questa, cosa gli rimane? Stringe i pugni e serra la mascella, chiudendo gli occhi e mordendosi la lingua con tanto nervosismo da percepire il gusto metallico del proprio sangue. Il dolore, l'ennesimo, sembra portarlo alla realtà, aiutandolo a mandare giù quell'opprimente nodo alla gola. Ho promesso che tornerò da te, ma come? Come posso farlo? Se non sono forte abbastanza neanche per zittire una dottoressa del cazzo. « Ma io, povera stupida, sono qui che voglio aiutarti. Sono la dottoressa delle cause perse, lo sanno tutti. E tu, caro Lucien, sei la causa più persa che io abbia mai visto. Per questo voglio aiutarti ed è per questo che io, soltanto io, sono la tua unica speranza per uscire da questo buco, dato che tu non sembri assolutamente volerti aiutare. Perché è più facile sabotare se stessi prima che lo faccia qualcun altro, ferendoti a morte, non è così? » Altre parole che lo colpiscono nel profondo, scuotendolo violentemente dall'interno, ma che caccia via con l'ennesima testata contro il muro, questa volta più forte delle altre, con la speranza di stordirsi abbastanza da non doverla stare più a sentire. Ma il mondo continua ad esser crudele con lui, e quella tortura non gli dona neanche il sollievo di un attimo, come farebbe a qualsiasi essere umano con una resistenza assai meno sviluppata della sua. E quindi è dolore, soltanto dolore senza fine. Perché è più facile sabotare se stessi prima che lo faccia qualcun altro, ferendoti a morte, non è così? Ha ancora gli occhi chiusi, quando andando di nuovo a sbattere la tempia contro il gelido muro, percepisce una consistenza ben diversa. Li riapre dunque, quel tanto che gli basta per ritrovarsela vicino, col palmo della propria mano ad ammortizzare i suoi colpi. La guarda, confuso, per qualche momento, poi dà un altro colpo, ed un altro, ma alla fine si blocca, testando quanto sia irremovibile l'insistenza della donna. Quella decisione, quel farsi male per impedirgli di farsene a sè stesso, gli sono così dannatamente familiari, e allora si ferma davvero, smosso da quella nota di tenerezza che il solo ricordo di lei gli suscita automaticamente. « Perchè lo fai? » Sibila dunque, lo sguardo bicolore che si pianta in quello glaciale di lei. « Non te ne viene niente, in cambio. Non hai nessun vantaggio, ad aiutarmi. Semmai dolore, soltanto dolore, così è sempre stato. » E così sarà sempre.
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    « Il mio ricordo felice è quando il mio uomo mi ha vista davvero. Dopo troppo tempo, finalmente mi ha vista, di fronte a lui, con il cuore tra le mani e l'ha accettato, donandomi il suo a sua volta. Forse siamo due patetici romantici, visto ciò che mi hai appena raccontato, ma siamo identici perché il mio ricordo più bello è il sussurro che ha accompagnato il suo dirmi che mi amava, per la prima volta, il bacio con il quale mi ha sfiorata pochi attimi successivi e la dolce confusione che ho visto nei suoi occhi quando ha realizzato ciò che aveva appena detto. » Batte le palpebre più volte, rispecchiandosi in quelle parole più del dovuto. Il sospetto che quella donna sia capace di leggergli nel pensiero ed usarne le proprie memorie più preziose per instaurare un legame con lui è forte, e senza dubbio logico e sensato, viste le sue parole tremendamente azzeccate, ma, stranamente, non riesce a provare rabbia. No, non al momento. Adesso è solo il ricordo di quei momenti, magici a dir poco, ciò che occupa quella sua mente annebbiata. Le labbra calde di Maze sul suo corpo, il suo sorriso nel sentirsi dire quelle parole attese da più di una vita, i loro corpi intrecciati in quel fare l'amore, e farlo davvero, per la prima volta. Un leggero sorriso gli distende le labbra sottili, mentre si passa una mano sugli occhi, riscoprendosi poi il palmo leggermente sporco di un alone rossastro. « E' stato così bello, speciale ed intimo da essere diventato il ricordo con il quale riesco ad evocare il mio patronus, pensa un po'. » Tira su col naso, non appena lei lo riporta alla realtà. E per un istante, un solo istante, gli sembra di avere un legame con quella sconosciuta. Tanto che le sorride, per pochissimi istanti certo, ma lo fa sinceramente. Poi la vede sfilarsi qualcosa da dietro i capelli, che le ricadono morbidamente sulle spalle. Un fermaglio, con una piccola catenella rappresentante un simbolo assai familiare. « E' abbastanza come ricordino? Scusa, ma la mia biancheria intima mi sembra proprio poco appropriata al caso. » « Mhh, peccato. » La incalza, ambiguamente, più per abitudine che per reale interesse. « Sai cos'è questa? Viene chiamata la Mano di Fatima. E c'è tutta una strana leggenda dietro. » Lo so, la conosco bene. « Parla di una donna terribilmente innamorata di suo marito. Una sera, mentre stava cucinando, lo vide rientrare a casa con un'altra donna e sconvolta da questa visione, usò la propria mano destra al posto del mestolo, mettendola nella minestra cocente che stava preparando. Ma non si accorse subito del grande dolore perché aveva un dolore più forte: quello che provava dentro il suo cuore. Il marito, stranamente, entrando in cucina, si accorse della situazione e l'aiutò a riprendersi dall'ustione, ma non rinunciò alla notte con l'amante e Fatima, con il cuore a pezzi, accettò la cosa, perché la sua religione ammetteva più di una donna per un solo uomo. Ma decise di spiarli, sadicamente. » Ognuna di quelle parole penetra nel suo spazio vitale prepotentemente, trascinandosi dietro un peso che gli si va a posare addosso. La rivede, la rivede ovunque, la sua Maze. La identifica in quella legenda, protagonista indiscussa. La scorge lì, a guardarlo impotente assieme ad un'altra donna. Ad accettare la cosa, nonostante la pena nel cuore, pur di non perderlo. A rivolgergli un sorriso, tutte quelle volte che lui tornava da lei, seguito da un ti amo, nella speranza che lui avrebbe capito, capito davvero, e fosse rimasto, per questa volta e per tutte. Quanto ti ho fatta soffrire, amore mio? Quante volte ho ignorato le tue lacrime, quante volte non ti ho vista, per ciò che eri e sei sempre stata davvero? « Si avvicinò al letto e nel vedere il loro primo bacio, si mise a piangere. Una lacrima corse lungo il suo viso e andò a bagnare la spalla del marito che finalmente capì. La vide, per la prima volta, innamorata, fedele, la sua più grande alleata e il suo miglior soldato. E solo in quel momento rinunciò all'amante perché l'amore di Fatima era tutto ciò che contava per lui. » Perchè l'amore di Fatima era tutto ciò che contava per lui. Perchè l'amore di Maze è tutto ciò che conta per lui. Così è e così sarà per sempre. Il ricordo del suo sguardo innamorato, della sua risata, delle sue parole sussurrate all'orecchio, durante quella loro prima volta, sembra tirarlo via da quel baratro buio, per alcuni attimi. « So che non è come un bel paio di occhiali, ma è un simbolo che mi sta particolarmente a cuore. » Gli dischiude le dita, per lasciar scivolare il ciondolo nella sua mano. « Se c'è davvero una donna che sembra essere il filo conduttore dei tuoi ricordi migliori e peggiori, perché fai tutto questo? Più fai così, più rimarrai qui dentro, più lei rimarrà da sola, fuori. Preferisci così? Che rimanga da sola per sempre perché tu hai deciso di sabotare entrambi solo per non mostrarti come sei veramente? Fama? Gloria sulle più importanti testate giornalistiche? Pensi che si ricorderanno di te, a lungo termine, per aver morso e mutilato e ucciso degli infermieri qui dentro? No, nessuno si ricorderà di te, se non lei. » Si morde il labbro inferiore, lo sguardo fisso su quella piccola manina argentata, con quella pietra rossa, il suo colore, in mezzo. « E' questo che vuoi? » Scuote la testa, rigirandosela tra le dita, poi alza il capo verso di lei. La fissa, per minuti che sembrano ore, fin quando con la mano libera non le sfiora il viso. Le dita oltrepassano dapprima la guancia, sfiorandole le labbra. Piega la testa di lato, passandosi la lingua sulle proprie.

    « Tu mi ricordi tanto lei.. » Mormora, la mano che va a scendere sul suo collo, soffermandosi per qualche momento. E' allora che sente una risata metallica provenire da qualche angolo della stanza. Lo sguardo saetta alle spalle di lei, dove si vede, sè stesso, a scuotere la testa, divertito. « No. » Asserisce dunque, stringendo le dita contro la gola della donna. Ci è già passato, tante, troppe volte. Tutte le volte che Maze non c'era, lui la ricercava in altre donne. E anche quando c'era, a suo fianco, continuava a farlo. Un mantra che l'ha accompagnato per secoli, fino a soli pochi mesi fa. « Tu non sei lei. » Stringe un po' più la presa « Ho capito a che gioco state giocando. Le somigli, per farmi cedere. Per farmi ricadere negli stessi errori e farmi abbandonare l'idea che possa esser diventato migliore. Oh sì, è così. Ma io non cederò, no. Non questa volta. » Digrigna i denti « Probabilmente non sei nemmeno quì, ed è solo opera sua. Sei stato tu a fare..- Alza lo sguardo, in cerca del demone, ma tutto ciò che scorge adesso, alle spalle della dottoressa, è soltanto quell'anonima porta in legno massiccio. Quindi batte numerose volte le palpebre, confuso, prima di rendersi conto soltanto in quel momento di quanto stia stringendo le dita contro il suo collo, dal quale si stacca, all'improvviso, lasciandola andare. La guarda per qualche momento, poi scuote la testa, coprendosi la testa con le braccia e nascondendo il viso tra le ginocchia, mentre dondola su sè stesso. E gli sembra di restare in quella posizione per ore intere, prima di sospirare. « A volte penso che stare quì dentro sia solo un bene, per lei. » Mormora, senza guardarla, nè essere certo che lei sia ancora lì. « Le ho sempre complicato la vita, sin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati. Credo di non averlo mai fatto apposta, è solo che..sono fatto così. Distruggo la gente, non riesco a fare altrimenti, a volte non me ne accorgo nemmeno. » Sospira « Forse il mio comportamento, quì, in un certo senso, è un modo per proteggerla. Mi ama, cazzo, mi ama tantissimo. Ed è per questo che stare lontani credo sia un bene, per lei. Perchè farebbe di tutto, perchè è il mio soldato, ed io non voglio più che lei combatta per me. » Voglio che riponga le armi, una volta e per tutte. Voglio che abbia una vita felice, voglio che sia umana, finalmente. « Il fatto è che forse io non la amo abbastanza da riuscire a lasciarla andare davvero. E' solo che se non fosse per lei, l'avrei fatta finita da tempo. » Alza appena il capo, poggiando il mento sulle ginocchia « Probabilmente al primo giorno di reclusione. Piuttosto che restare quì, in gabbia in mezzo agli altri, avrei preferito tornarmene all'inferno, a scontare le mie giuste pene. Ma pensare un'eternità senza di lei.. » Scuote la testa, lo sguardo vacuo, piantato in un punto non ben definito « Non so neanche immaginarmela. Non so nemmeno come potrebbe essere, non me lo ricordo più. E' come se la mia vita non fosse mai esistita, ed avesse iniziato a farlo da quando lei è nata. » Sospira, poi alza lo sguardo verso di lei. Ne scorge i segni rossastri sul collo, dapprima, poi lo sguardo si abbassa verso la mano e nota altri piccoli ematomi. Si mordicchia il labbro inferiore, poi si rialza, senza preavviso. Ha bisogno di sorreggersi dal muro, ed il suo passo è barcollante, mentre la testa gli gira, ma riesce a camminare fino all'armadietto dall'altro lato della stanza, laddove sa si trovino tutti i medicinali. E' chiuso con un lucchetto apposito, ed a lui non è mai interessato aprirlo, ma non ci mette poi molto, a rompere la serratura, adesso. Lascia ricadere il catenaccio spezzato a metà per terra, e assottiglia lo sguardo, agguantando alcune bende, un panno e del ghiaccio magico. Torna da lei, risedendosi per terra a fatica, e poggiando le varie cose sul pavimento. « Ti farei bere il mio sangue, ma con tutta la merda che mi ci sparano dentro ogni giorno, penso ti ucciderebbe e basta » Pausa « E so che siamo in ospedale e puoi benissimo uscire e farti castare qualche incantesimo rigenerante ma.. » Permettimi di fare qualcosa. Lascia cadere la frase a metà, mentre si appresta a coprire il ghiaccio col panno per poggiarglielo delicatamente sul collo, sopra ai segni delle sue dita, invitandola a sorreggerlo da sola. Poi fa lo stesso con la mano, prima di avvolgerla delicatamente con le bende. « Prima provo ad ucciderti, poi ti voglio curare. Sono proprio una causa persa, eh? » Ridacchia debolmente, alzando lo sguardo per incontrare quello di lei. Si specchia in quelle iridi di ghiaccio per qualche momento, poi sospira. « Non posso ucciderti. Hai qualcuno da cui tornare a casa..Quell'uomo che dopo tanto tempo è riuscito a vederti, e col quale potete finalmente vivere assieme, felici e contenti. Ti starà aspettando, immagino, magari ti ha dato anche della pazza, a venire quì -e beh, non avrebbe tutti i torti- » Richiude le bende, ridendo, continuando però ad adagiarle il ghiaccio sul palmo della mano. « Non posso portarti via a lui- Mormora -Perchè se succedesse a me, se me la portassero via, di nuovo, non so cosa farei. Sarebbe..la fine di tutto, immagino » Niente di più, niente di meno. « Mi dispiace per.. » Accenna alla sua gola, con un gesto del capo « Passerà, con qualche incantesimo, sicuramente » Cala lo sguardo, a disagio. « ..Ma vedila così, una buona scusa per farti coccolare dal tuo uomo, no? Dovresti ringraziarmi! » Cerca di sdrammatizzare « Sai? Vi invidio un po'.- Voi potete vivere assieme, finalmente. Nessuno vi ha separati. Nessuno vi farà soffrire. -Allora, com'è? Più bello di me -impossibile-? Come vi siete conosciuti? Per quanto tempo è stato un coglione senza riuscirti a vederti ma -scommetto- ti ha ricercata in qualsiasi troietta si portasse a letto? » Le sorride, con una nota amichevole, sperando di non aver già rovinato tutto. « Maze è la mia Fatima. » Se ne esce dopo un po' « La mia più grande alleata ed il mio miglior soldato. E vorrei tornare da lei, lo vorrei tanto.. » Ma non so come fare. Non so cosa sia giusto e cosa sbagliato. Io... « Ma ho bisogno del tuo aiuto. » Ammette « Come posso fare? Come posso..Batterlo? » Lo sguardo si posa sui lividi sopra la sua pelle, con una nota di reale senso di colpa, attraverso le iridi bicolore. « Come posso tornare da lei? »
     
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    Sembra essersi calmato. Ogni terminazione nervosa le dice che è solo la quiete, prima che arrivi l'uragano, ma lei continua a rimanere lì, a bearsi dei lineamenti di lui che sembrano addolcirsi, al sentire le sue parole. Mi stai pensando. Lo so che mi rivedi in ogni parola che ti ho detto. Lasciati aiutare da queste parole, continua a focalizzarti sulle cose davvero importanti. Continua a fissarlo, sentendo l'irrefrenabile desiderio di avvicinarsi, ancora un po'. E così, quando lo vede abbassare anche l'ultima delle difese, quando legge la vulnerabilità nei suoi occhi, si protrae verso di lui. E' a pochi centimetri dal suo viso, una vicinanza totalmente inadatta, del tutto inappropriata per una professionista quale dovrebbe essere lei. Lei che non pensa ad altro che guardare quelle labbra che lui si tortura con i denti, che tremano al di sotto di essi, spaventate e colte di sorpresa dalle parole che lei gli ha appena riservato. Le fissa, per un numero di secondi incommensurabile, fin quando non è lui a spezzare quel silenzio carico di ansia e una tensione che forse sente soltanto lei, ma che riesce a pervaderla in ogni centimetro del suo corpo. Gli occhi saettano in quelli di lui, per poi spostarsi sulla mano, la mano di lui che le si avvicina, lentamente, per poi soffermarsi sulla sua guancia. In altri situazione, avrebbe chiuso gli occhi, per godersi quel momento in ogni suo istante prezioso, ma non sei tu, si ricorda con fermezza, perciò continua a mantenere vivo il contatto visivo, mentre non tradisce alcuna sensazione particolare nei lineamenti del volto. La mano scivola, quasi a sembrare una carezza, fino a muoversi verso il proprio candido collo. « Tu mi ricordi tanto lei.. » Impercettibilmente si sente di star rabbrividendo. Sa di non potersi permettere altro che quello, eppure è lì, che si ritrova a bramare un contatto più profondo, quasi tremante all'idea di fare suo qualcosa che suo non dovrebbe essere. Non di Delicious. Un qualcosa di peccaminoso da riuscire a stuzzicarla molto più del dovuto, seppur vi sia quella flebile voce che continua a volerla mantenere vigile, quasi avesse un presentimento strano, conoscendo fin troppo bene l'uomo che ha di fronte. Ti sta toccando, sta toccando una donna che all'apparenza non sei te. Insinua il dubbio nella sua mente, insinua l'ennesima prova di infedeltà tra i suoi pensieri, ed è a questi che sta pensando, quando è decisa a tirarsi indietro. Ma lui serra la stretta intorno al suo collo. « No. » La morsa gelida le toglie il fiato, la gola comincia ad ardere e i polmoni si infiammano di rabbia nel non potersi riempire di fiato e respiro. « Ho capito a che gioco state giocando. Le somigli, per farmi cedere. Per farmi ricadere negli stessi errori e farmi abbandonare l'idea che possa esser diventato migliore. Oh sì, è così. Ma io non cederò, no. Non questa volta. » Sgrana gli occhi, Maze, mentre si paralizza in quello stato di impasse. Non è la prima volta che prova a strangolarla, ironicamente parlando, ma è la prima volta che lo fa perché non è stessa. E' la prima volta in cui lui non vuole nessun'altra se non lei, la vera lei, e per quanto sia malato, nel momento in cui non riesce nemmeno a respirare ed è più vicina allo svenimento che alla vita, Maze è contenta, felice di constatare quanto effettivamente lui la veda. Non è più invisibile, ma totalmente visibile e tangibile ai suoi occhi bicolori. Non si difende, non porta una mano sopra a quella di lui per provare a fermarlo, ma continua a guardarlo, con gli occhi che diventano sempre più grandi ed iniettati di sangue, secondo dopo secondo. « Probabilmente non sei nemmeno quì, ed è solo opera sua. Sei stato tu a fare..- Guarda altrove, alle sue spalle. Devi vedere nuovamente i tuoi demoni, non è così? E alla fine la lascia andare, con espressione quasi schifata, nel constatare ciò che ha appena fatto. La testa le ricade in avanti, mentre il proprio corpo annaspa, alla ricerca di aria da poter immettere nei polmoni per far ricominciare il flusso della vita. Tossicchia, con i capelli che le ricadono di fronte al viso, carezze delicate, mentre sente del movimento da parte di Lucien. Lo osserva di sottecchi, tra i filamenti di capelli, mentre lui si dondola sul posto, come fa quando è scosso, quando è spaventato e impaurito da se stesso. Come ha fatto la sera in cui è tornato, zuppo di sangue, demoniaco e umano. Le si stringe il cuore, nel vederlo così. Si sente male per lui e con lui, in una fitta dolorosa che le prende tutto il corpo, non appena lui pronuncia le parole successive. « A volte penso che stare quì dentro sia solo un bene, per lei. » Si pietrifica, le spalle si irrigidiscono e cerca di rimanere relativamente calma, mentre si accorge di quanto quelle parole le facciano male. « Le ho sempre complicato la vita, sin dal primo giorno in cui ci siamo incontrati. Credo di non averlo mai fatto apposta, è solo che..sono fatto così. Distruggo la gente, non riesco a fare altrimenti, a volte non me ne accorgo nemmeno. Forse il mio comportamento, quì, in un certo senso, è un modo per proteggerla. Mi ama, cazzo, mi ama tantissimo. Ed è per questo che stare lontani credo sia un bene, per lei. Perchè farebbe di tutto, perchè è il mio soldato, ed io non voglio più che lei combatta per me. » Scrolla mentalmente la testa, ripetutamente, mentre un "no" costante si palesa tra i suoi pensieri. No, non te lo permetto. Non mi lascerai di nuovo, non ora. Si ritrova a pensare, in maniera ferrea e quasi autoritaria. Se ci provi anche solo lontanamente, te la faccio pagare, con gli interessi. « Il fatto è che forse io non la amo abbastanza da riuscire a lasciarla andare davvero. E' solo che se non fosse per lei, l'avrei fatta finita da tempo. Probabilmente al primo giorno di reclusione. Piuttosto che restare quì, in gabbia in mezzo agli altri, avrei preferito tornarmene all'inferno, a scontare le mie giuste pene. Ma pensare un'eternità senza di lei..Non so neanche immaginarmela. Non so nemmeno come potrebbe essere, non me lo ricordo più. E' come se la mia vita non fosse mai esistita, ed avesse iniziato a farlo da quando lei è nata. » Deglutisce, mentre cerca di darsi una ricomposta. Rialza il capo, andandosi a sistemare i capelli dietro le orecchie, per poi passarsi una mano distrattamente sul collo. Le fa male, male come le fa il dorso dell'altra, quella che sembra aver preso la forma della testa di lui, nei punti dove hanno cominciato ad affiorare i primi lividi violacei. Lui si alza e lei rimane lì, gli dà le spalle, convinta, ormai, che non le farà più del male. « Io credo che, questo tuo riconoscere e valorizzare quanto tu effettivamente riceva da lei, sia un profondo atto di consapevolezza. Sai e sei spaventato. Spaventato dal poterlo perdere, dal non essere abbastanza per ripagarlo. Hai paura, è una delle componenti più belle e fragili di un umano. Non ci sei abituato, ma è grazie ad essa che si riesce ad apprezzare a fondo un qualcosa. Il pensiero di perderlo fa talmente male da farti capire quanto sia veramente importante per te. E' una bella cosa. » E' una grande, importantissima. E' uno dei veri sensi che una vita può donarti. Commenta, prima di guardarlo da sopra la spalla, richiamata dal rumore secco di catene che sente. Sta prendendo delle medicine, per lei. « Ti farei bere il mio sangue, ma con tutta la merda che mi ci sparano dentro ogni giorno, penso ti ucciderebbe e basta. E so che siamo in ospedale e puoi benissimo uscire e farti castare qualche incantesimo rigenerante ma.. » Scrolla allora la testa, con un sorriso visibilmente gentile a dipingerle le labbra. Vedi quanto sei effettivamente cambiato, amore mio? Sobbalza appena, al contatto freddo tra il ghiaccio e la sua pelle. « Dovrò far finta che molte cose non siano successe oggi, dico bene? » Commenta, portando il viso dalla parte opposta, con la mano che tiene ben fermo il ghiaccio e l'altra che viene presa da quelle di lui, per bendarla alla meno peggio, riuscendo a strapparle un broncino intenerito che fa di tutto per far rientrare velocemente. « Prima l'aggressione a personale medico, poi la prova schiacciante che tu effettivamente non sia chi è descritto nella cartelletta. » Alza lo sguardo, per incontrare quello di lui, mentre l'ennesimo sorriso si profila sulle sue labbra scarlatte. « Prima provo ad ucciderti, poi ti voglio curare. Sono proprio una causa persa, eh? » Si stringe nelle spalle, annuendo contemporaneamente, in un'espressione divertita e, al contempo, attua a dargli ragione. Sarai una causa persa soltanto quando non avrò più aria nei polmoni per urlare il contrario. « Non posso ucciderti. Hai qualcuno da cui tornare a casa..Quell'uomo che dopo tanto tempo è riuscito a vederti, e col quale potete finalmente vivere assieme, felici e contenti. Ti starà aspettando, immagino, magari ti ha dato anche della pazza, a venire quì -e beh, non avrebbe tutti i torti. Perchè se succedesse a me, se me la portassero via, di nuovo, non so cosa farei. Sarebbe..la fine di tutto, immagino » Rimane in silenzio, dando il giusto peso ad ognuna di quelle parole. Abbassa lo sguardo sulle loro mani, e rimane a guardare quella di lui, intenta a finire la fasciatura. « Mi dispiace per..Passerà, con qualche incantesimo, sicuramente..Ma vedila così, una buona scusa per farti coccolare dal tuo uomo, no? Dovresti ringraziarmi! » Ironia della sorte. La risata nella sua testa si unisce a quella tangibile che fuoriesce dalla sua bocca. « Sai? Vi invidio un po'.- Guarda, immagino quanto tu ci possa invidiare, egocentrico come sei. -Allora, com'è? Più bello di me -impossibile-? Come vi siete conosciuti? Per quanto tempo è stato un coglione senza riuscirti a vederti ma -scommetto- ti ha ricercata in qualsiasi troietta si portasse a letto? » Si stringe nelle spalle, prima di portarsi all'indietro i capelli. « Percepisco qualcosa di autobiografico e referenziale nelle tue parole. Mi sto forse sbagliando? » Appoggia le spalle alla rete del letto, decisa a rimanere lì, in quella posizione per nulla professionale, ma assolutamente al suo pari. « Tu me lo ricordi un po'. » Lo cita, più o meno, con un mezzo sorriso ad incresparle il viso.
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    « Ma lui è molto più bello di te, scusami. » Ridacchia. « Ci siamo conosciuti al lavoro. Lui era il mio capo, io la novellina appena arrivata, piuttosto ingenua, piuttosto credulona e anche piuttosto inesperta. Poi, immagino tu sappia come vanno a finire certi giochi di potere, quando uno dei prevarica sull'altra che è già inevitabilmente innamorata, una cosa tira l'altra e sono diventata la sua preferita. Ma non l'unica, mai l'unica. » Si stringe nelle spalle, con fare quasi rassegnato. « E' andata avanti un paio di anni. » Un paio di secoli. « E ci sono volute una mia decisa presa di posizione e quasi la morte per fargli capire che deficiente e coglione è sempre stato. Ma immagino che qui possa valere il detto "meglio tardi che mai", no? » Fa una leggera pausa, prima di voltarsi a guardarlo, quasi spalla contro spalla, mentre il suo viso si rischiara. « Ma per ogni lacrima, ogni dolore, ogni pezzo di cuore che mi abbandonava, sono stata ripagata. Perché, alla fine, ne è valsa la pena, per tutto. » Stringe le labbra, in un gesto di ammissione, di pura e limpida convinzione di quelle parole. « Maze è la mia Fatima. La mia più grande alleata ed il mio miglior soldato. E vorrei tornare da lei, lo vorrei tanto.. Ma ho bisogno del tuo aiuto. Come posso fare? Come posso..Batterlo? Come posso tornare da lei? » Il cuore le si riempie di gioia, mentre sembra fare una capriola in avanti e una all'indietro. All'esterno annuisce, sinceramente contenta di quel cambiamento di intenzioni. « Ammettere di aver bisogno di aiuto è il primo passo sulla via della guarigione. » Cita testualmente l'incipit di uno dei manuali di psicologia che si è letta, per entrare meglio nella parte, pensando di dover essere abbastanza preparata da essere in grado di poter sostenere una conversazione tra colleghi, durante una pausa caffè, magari, giusto per non destare troppi sospetti. Abbassa lo sguardo, mentre la propria mano scivola lungo il pavimento, lentamente, per poi andarsi ad incastrarsi con quella di lui, fin quando le dita non cozzano dolcemente. E a quel punto lo rialza, andando ad incontrare quello di lui, vi ci si specchia dentro, per poi accennare un sorriso. « Devi dargli ciò che vogliono. » Semplice, no? « Loro vogliono soltanto che ti penta. Che faccia un'ammissione di colpa. » Che tu li faccia sentire onnipotenti nel riavere raddrizzato una bestia. « Più ti fai vedere pentito, amareggiato e tremendamente dispiaciuto, prima uscirai e tornerai da lei. » Fa una leggera pausa. « Potresti cominciare con cose tipo "Non dormo la notte nel ripensare a quanto male io abbia fatto, a quanto dolore io abbia sparso, ingiustamente." Devi mostrarti vulnerabile, devi chiedere aiuto a loro, così come hai fatto con me e loro si sentiranno indispensabili. E potresti arrivare a dire, non so, che vuoi essere d'aiuto per le anime a cui hai donato solo sofferenza in passato, cose così. » Finisce di parlare e si rende conto di quanto sia stato poco professionale, all'apparenza, quel discorso. Con l'uso di quel "loro" assai impersonale, così distaccato dalla collettività a cui dovrebbe far parte lei stessa, con quei consigli che vanno completamente contro qualsiasi logica di vero pentimento e guarigione. Così accenna una risatina imbarazzata, mentre toglie il ghiaccio dal collo. « Sì insomma, se facessi così, usciresti in men che non si dica, considerate le tue palesi doti attoriali. Certo, sarebbe meglio se le pensassi anche, certe parole. » Lo guarda, prima di andargli a stringere la mano intorno al braccio, in quella zona neutra, con quel gesto che rimarca ancora una volta il suo sostegno. « Sicuramente dovresti mettere da parte il tuo orgoglio e non per codardia, ma perché c'è qualcosa di più importante. Ogni volta che vieni spinto a fare qualcosa che ti terrebbe ancora più tempo qui dentro, pensa a ciò che hai fuori. Focalizzati su quella paura che provi nel vederti scivolare dalle mani la tua Fatima. » Dopo essersi soffermata ancora qualche secondo sulle sue labbra, sorride, per poi alzarsi in piedi, dopo qualche macchinazione tecnica, dovute alla gonna troppo stretta. « E con questo voglio dire: non lasciarti stuzzicare dai tuoi istinti peggiori, non lasciarti provocare dagli altri pazienti e lascia fare il suo lavoro al team medico. Lasciati aiutare, ma al contempo aiutati a non scivolare in quella bolla invitante di tenebra che sembri portarti dietro da sempre. » Fa per lisciarsi i vestiti, per poi portarsi nuovamente verso il tavolo, lì dove si appoggia con il sedere, per poi prendere ad intrecciarsi una treccia veloce, di lato, per nascondere i lividi rossastri sul collo. « E' il consiglio migliore che posso darti, per sopravvivere qui dentro - indica l'intero stabile con il dito, per poi picchettare la propria tempia - e qui dentro. » Sorride, dolcemente. « Per il resto..hai bisogno di qualcosa? Ti manca qualcosa qui dentro? Hai bisogno di sangue diverso? Di svaghi diversi? Preferisci non passare le ore comuni con determinati individui? Ora che siamo amici stretti..- ridacchia, lanciandogli un'occhiata divertita -..dovresti far leva su questo. Fanno questi gli amici, no? Si guardano le spalle e si aiutano, nonostante tutto. »
     
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    « Dovrò far finta che molte cose non siano successe oggi, dico bene? » Annuisce, Lucien, mentre è intento a medicarle alla meno peggio la mano ferita, lanciandole qualche sguardo di sottecchi, di tanto in tanto. E' disagio ciò che prova, e non perchè non le piaccia stare lì con lei, in quel momento. Non è abituato, Lucien, a tutta quella gentilezza nei suoi confronti. Non certo da una donna che ha appena conosciuto e che, a quanto pare, non voglia ottenere nient'altro se non il suo bene. Quando ti trattano come una bestia, dopotutto, reagire è semplice. Ma quando una bestia lo sei, e ti viene tuttavia offerta pietà, allora lì diventa tutto automaticamente complicato. « Prima l'aggressione a personale medico, poi la prova schiacciante che tu effettivamente non sia chi è descritto nella cartelletta. » Si stringe nelle spalle con fare colpevole, l'espressione ironicamente innocente. « Beh, sì, se potessi farlo..Sarebbe carino. » Si ritrova a mormorare, nel tono di voce una nota di sincero rammarico, prima di completare la sua opera, e lasciarle andare la mano. Non è mai stato un asso nell'arte curativa, lui, che le ferite le infligge e non le guarisce, ma ci ha provato, quanto meno. « Percepisco qualcosa di autobiografico e referenziale nelle tue parole. Mi sto forse sbagliando? » Non sa come quella donna riesca a capirlo in pochi minuti meglio di qualsiasi altro strizzacervelli abbia tentato nell'impresa, giorno per giorno, e solitamente, geloso ed ossessivo per com'è delle proprie cose reagirebbe con un muro ad un certo tipo di domande, o con la violenza. Ma questa volta si ritrova a ridacchiare, come un bambino che è stato sorpreso con le mani dentro la marmellata, mentre scuote la testa, colpevole. « No, non ti sbagli, purtroppo » Dice, prima di asciugarsi le mani su quei pantaloni di merda e mettersi seduto con le gambe incrociate, di fronte a lei, che sembra non volersi alzare. « Tu me lo ricordi un po'. Ma lui è molto più bello di te, scusami. » Inarca un sopracciglio « Oh..devi amarlo davvero tanto, se ti auto convinci che possa essere più bello di me.. » Annuisce, ridacchiando leggermente mentre la prende in giro. « Ci siamo conosciuti al lavoro. Lui era il mio capo, io la novellina appena arrivata, piuttosto ingenua, piuttosto credulona e anche piuttosto inesperta. Poi, immagino tu sappia come vanno a finire certi giochi di potere, quando uno dei prevarica sull'altra che è già inevitabilmente innamorata, una cosa tira l'altra e sono diventata la sua preferita. Ma non l'unica, mai l'unica. » Perchè non riusciva a capire quanto di prezioso avesse sotto le mani. Non era capace a credere di meritarselo e ciò che più gli riusciva semplice fare, era ricercarlo altrove, in tanta altra gente. « E' andata avanti un paio di anni. E ci sono volute una mia decisa presa di posizione e quasi la morte per fargli capire che deficiente e coglione è sempre stato. Ma immagino che qui possa valere il detto "meglio tardi che mai", no? » Annuisce, mentre continua a non staccarle lo sguardo di dosso neanche per un momento. Decide di concedersi di guardarla, osservarla davvero. E' bella, Delicious, dopotutto. Capelli d'oro, occhi di ghiaccio, pelle di porcellana. Non biasima di sicuro il suo uomo, per essersene innamorato. Quasi riesce ad immaginarselo. A dirle, dopo la loro prima volta, che per lui in fondo non era stato nulla. Che l'aveva fatto così, solo e soltanto per provare. Per usarla, con ogni probabilità, aggiungendola alla variegata lista di conquiste impossibili. Sì, le aveva sicuramente detto tutto questo, solo per difendersi da quanto, in realtà, sicuramente aveva provato. Non sei nulla, eppure non riesco a toglierti dalla testa. Quasi li sente i pensieri di quell'ipotetico uomo, fondersi coi suoi, di anni luce passati, eppure sempre così vicini e vividi, nella sua mente. « Ma per ogni lacrima, ogni dolore, ogni pezzo di cuore che mi abbandonava, sono stata ripagata. Perché, alla fine, ne è valsa la pena, per tutto. » Sorride a quelle parole, perchè gli sembra di sentire le parole della sua Maze. Quei discorsi, veri e sinceri, che è sempre stata perfettamente brava a fare. Quelle parole che da un lato non avrebbe voluto sentire, perchè spaventose per uno come lui, immeritate, ma delle quali, dall'altro, non avrebbe potuto farne a meno. Perchè Lucien di Mazikeen non ne ha mai potuto farne a meno, e questa ormai è cosa assai nota. Gli ci sono voluti secoli per capirlo, eppure adesso è quì, a specchiarsi nello sguardo limpido di quella donna e vedere nient'altro che lei, solo e soltanto lei. Ho una bella donna di fronte a cui potrei, potenzialmente, fare di tutto e penso a te, tesoruccio. Vedi un po' te. « E lo ami ancora, nonostante tutto? » Si ritrova dunque a chiedere, e lo domanda a Delicious, come se ciò che dice potesse rispecchiare le risposte di chi, in quel momento, sta pensando ininterrottamente. « E' davvero possibile, continuare ad amare qualcuno quando tutto ciò che ci ha dato, per tanto tempo, è stata solo e soltanto sofferenza? » Se lo chiedessi a lei, conoscerei già la risposta. Voglio capire, voglio sapere se è davvero possibile, tutto ciò. « Ammettere di aver bisogno di aiuto è il primo passo sulla via della guarigione. » Sospira, rassegnato, con una smorfia di fastidio a dipingergli ironicamente il viso scarno. Poi si blocca per qualche momento, non appena la mano di lei incontra la propria. Un calore, un contatto, quello, che gli risulta dannatamente familiare, e che non lo porta a distaccarsi di colpo, come in genere sarebbe portato a fare. Ma stavolta un angolo della sua bocca si piega semplicemente in un sorriso, mentre stringe le proprie dita gelide contro quelle calde di lei, e rialza lo sguardo, per rincontrare il suo. « Loro vogliono soltanto che ti penta. Che faccia un'ammissione di colpa. Più ti fai vedere pentito, amareggiato e tremendamente dispiaciuto, prima uscirai e tornerai da lei. » La prospettiva, a dirla tutta, gli fa piuttosto schifo. Seppur si sia pentito di fatti che è stato costretto a compiere, Lucien non ha mai denigrato la sua originaria causa. E' vero, ha aiutato gli umani, ha tradito la propria gente per salvaguardare la loro, ma sono stati quegli stessi fottutissimi umani a rilegarlo lì, in quel posto di merda con gente di merda. Pentirsi dunque, chiedere il loro aiuto ed accettarlo, mettendo da parte una dignità ed un orgoglio divino che da sempre gli sono appartenuti, non è cosa facile. Prima uscirai e tornerai da lei, questo, tuttavia, è ciò che c'è in ballo. Ciò che lo dovrà portare a compiere una scelta, per la seconda volta: scegliere il proprio potere, o l'amore. « Potresti cominciare con cose tipo "Non dormo la notte nel ripensare a quanto male io abbia fatto, a quanto dolore io abbia sparso, ingiustamente." Devi mostrarti vulnerabile, devi chiedere aiuto a loro, così come hai fatto con me e loro si sentiranno indispensabili. E potresti arrivare a dire, non so, che vuoi essere d'aiuto per le anime a cui hai donato solo sofferenza in passato, cose così. » La voce della dottoressa rimarca su quei loro in maniera anomala, tanto da portarlo ad assottigliare lo sguardo, per qualche istante. « Non mi nascondi nulla, dottoressa, mh? » Perchè parli di loro, quando anche tu ne fai parte? « Non devo sospettare una piccola codina da diavolo nascosta sotto la gonna, mh? A parte la biancheria non adatta, s'intende. » La punzecchia, con un sopracciglio inarcato. « Sì insomma, se facessi così, usciresti in men che non si dica, considerate le tue palesi doti attoriali. Certo, sarebbe meglio se le pensassi anche, certe parole. » « Sul recitare divinamente la parte, posso farlo. Sul pensarle davvero, certe cose...ci lavorerò. » Fa una smorfia di scherno, ridendo sommessamente. « Sicuramente dovresti mettere da parte il tuo orgoglio e non per codardia, ma perché c'è qualcosa di più importante. Ogni volta che vieni spinto a fare qualcosa che ti terrebbe ancora più tempo qui dentro, pensa a ciò che hai fuori. Focalizzati su quella paura che provi nel vederti scivolare dalle mani la tua Fatima. » Annuisce, prima di notare lo sguardo di lei soffermarsi sulle sue labbra, che istintivamente si inumidisce con la lingua. Poi si alza, Delicious, e lui si lascia scivolare addosso quel dubbio, senza però smettere di guardarla. « E con questo voglio dire: non lasciarti stuzzicare dai tuoi istinti peggiori, non lasciarti provocare dagli altri pazienti e lascia fare il suo lavoro al team medico. Lasciati aiutare, ma al contempo aiutati a non scivolare in quella bolla invitante di tenebra che sembri portarti dietro da sempre. » Annuisce silenziosamente, mentre si alza lentamente, a sua volta, per trascinarsi sopra il letto. Si siede sul materasso fin troppo rigido, e sospira. Non si fida di sè stesso, e per quanto le parole della dottoressa possano rivelarsi confortanti e veritiere, sa quanto sarà difficile prestarvi fedeltà. « E' il consiglio migliore che posso darti, per sopravvivere qui dentro - Si indica la tempia - e qui dentro. » Una leggera risata gli scuote il petto, mentre poggia le mani ai lati dei fianchi, sul materasso.
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    « Ti è bastato così poco per capire il caos che ho in testa? » Domanda, sorridendo, prima di stringersi nelle spalle e bloccarsi per qualche istante a fissare i segni che si intravedono, nonostante i capelli ormai sciolti, sul suo collo. Per qualche momento ripensa a quel senso d'onnipotenza provato ogni qualvolta le sue mani si stringano contro l'esile collo di qualcuno. E' qualcosa difficile da descrivere a parole, ma a dir poco meravigliosa da provare. Avrebbe potuto continuare, pensa. Potrebbe farlo ancora adesso, alzandosi e sbarrandole la strada. E' debole, certo, ma lei ormai si fida di lui e lui è sicuramente più veloce, nonostante tutto. Ma infine sospira, mordendosi la lingua e scuotendo la testa. Non oggi. Non con lei. E' un'amica. Si ripete mentalmente, a quella voce immaginaria che ride, al momento, sibilandogli come un mantra che lui, di amici, non ne ha mai avuti e mai ne avrà. Socchiude gli occhi, per poi riaprirli nel sentirla nuovamente parlare « Per il resto..hai bisogno di qualcosa? Ti manca qualcosa qui dentro? Hai bisogno di sangue diverso? Di svaghi diversi? Preferisci non passare le ore comuni con determinati individui? Ora che siamo amici stretti..-dovresti far leva su questo. Fanno questi gli amici, no? Si guardano le spalle e si aiutano, nonostante tutto. » Amicizia, un qualcosa di sconosciuto, per uno come lui, un tempo, eppure così importante e sacro, come legame. « Avrei bisogno di sangue umano, quello che mi rifilano è la roba più scadente -animale, per giunta- che io abbia mai assaggiato. Ma è il minor problema, non sono un tipo particolarmente d'appetito » A questo posso resistere. « Non vorrei accanto a me alcuni soggetti. Sai, la rossa ed il pazzo, credo siano abbastanza rinominati, quì dentro. » La guarda. Hai detto che ti piacciono le cause perse, sono sicura che li conosci. « Vogliono farmi fuori. ..Beh in realtà molta gente quì dentro lo vorrebbe, ma loro più di tutti, immagino. Non ne ho paura, la faccenda mi diverte pure ma..Se dovessero provarci, potrei rischiare di passarci l'intera esistenza quì dentro, per omicidio. » Si stringe nelle spalle. « Se riuscissi ad evitare di farmeli avere tra i piedi, sarebbe un aiuto valido » Fa una pausa, lo sguardo che si perde in un punto non ben definito della camera. Rimane in quella pausa per un po', poi schiude le labbra. « E ci sarebbe un'altra cosa.. » Mormora « La notte. Mi fa paura passarla da solo. Non ci sono rumori, di notte, non c'è vita, e i demoni sono più forti. Potresti.. » Respira a fondo, cercando di mettere da parte l'orgoglio « Potresti farmi visita? Per parlare, o fare quello che vuoi. Tranne scopare, mi spiace, siamo due bimbi impegnati ahimè... » Fa un broncino teatrale « E' solo che..vedo qualcuno. Nella mia testa, intendo. Lo vedo da quando io e lei stiamo assieme. Non gliel'ho mai detto, perchè di cazzate da parte mia ne sopporta fin troppe, ma..C'è. Mi parla, costantemente, mi dice cose da fare che non voglio fare. Cosa da farle, che non voglio farle. » Si mordicchia il labbro inferiore. « Di solito mi bastava stringerla per non pensarci, sentire il suo battito ed il suo respiro ma ecco..beh, lei non c'è quì, per adesso, a differenza di lui, che c'è più che mai. » Più forte di sempre. « Puoi aiutarmi in questo e..non riferirlo a Maze, quando la vedrai? » Pausa. « Quindi..ci vediamo stanotte? » Le domanda poi « Ah, Delicious, grazie. » ed aggiunge, con un sorriso a distendergli le labbra sottili e pallide. « Il tuo uomo è fortunato ad averti. Se non se ne è accorto ancora, lo farà molto presto. Ne sono sicuro. » Lo so.
     
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