Cammina, svelta, sul pavimento selciato che conduce alla porta d'ingresso che le è stata gentilmente indicata dalla segretaria al desk del San Mungo. Apre la porta principale di quello che sembra essere un vivaio babbano abbandonato e, come d'incanto, attraversa una barriera che le fa attraversare i due mondi, finendo dritta dritta nel posto dove deve andare. Il Centro Igiene Mentale del San Mungo. Un posto che è sempre esistito, ma con il quale Victoire entra in contatto solo in quel preciso istante. Perché lì dentro c'è qualcuno che le è caro. Non è sicura su quale tempo verbale usare in quel frangente. Forse il presente va bene, o forse è meglio usare un passato? Perché non è più tanto certa di ciò che si troverà di fronte. Benjamin, quello che era sempre stato, in un certo qual modo, un punto fisso, un cugino particolare, sicuramente, ma con il quale aveva sempre trovato numerosi punti di contatto, grazie ai quali era riuscita sempre a sentirglisi particolarmente vicina. Mentre aveva deciso di tornare al castello per le ristrutturazioni dell'edificio e di
se stessa, le era giunta la notizia che Ben aveva deciso di consegnarsi spontaneamente per quella valutazione psicologica che tutti gli
individui a rischio dovevano ricevere, per decretare se fossero in grado o meno di reinserirsi in una società che di certo non aveva bisogno di pazzi e omicidi. Accostarlo a simili figure, agli occhi di Vicky sembra essere davvero un'insensatezza.
Come è possibile che mio cugino possa essere anche soltanto associato a pazzi psicolabili? Cerca di trovare una giustificazione, di darsi un perché di quel comportamento che le sembra stonare così tanto. E' forse un meccanismo di difesa il suo, perché lei dalla Loggia, che lui sembrerebbe aver servito, ha ottenuto soltanto dolore e una quasi prematura morte. Lei, dai
capi di Ben, non ha ottenuto altro che incubi e spaventi continui che si sono tramutati in tic, in paure che si celano dietro gli angoli, che l'attendono nel buio della sua camera, per pungerla nel momento in cui si ritrova da sola con se stessa, quando non c'è più luce e ricadono le tenebre. E probabilmente è lì proprio per quel suo processo di ristrutturazione. Se c'è un qualcosa che ha capito è che, per chiudere definitivamente con il proprio passato, si deve chiudere ogni minima porta, da quelle più grandi ed evidenti, a quelle minuscole e quasi difficili da vedere. E quel dubbio che ormai si è installato nella sua testa, che la logora ogni volta che vi si sofferma il pensiero, come un tarlo che corrode tutto ciò che ha intorno, è diventato questo per lei: un ultimo appiglio con una storia della quale è ormai decisa di liberarsene.
« Desidera? » La donna al desk la guarda da sopra la sua montatura tartarugata, aspettandosi una risposta piuttosto celere. La bionda allora le sorride, con fare ingenuo, appoggiandosi appena al bancone.
« Sono qui per l'ora di visita. Se non sbaglio dovrebbe cominciare tra pochi minuti. » Risponde, tranquilla. mentre la donna le mette davanti un plico bianco, sfogliandone qualche pagina per poi arrivare a quella che reputa essere giusta.
« Visita per? » « Benjamin Weasley. » « Ah. » Commenta soltanto lei, prima di indicarle un punto del foglio.
« Firmi qui e poi può raggiungere Cedric, laggiù, che la scorterà fino alla sala visite. » Vicky annuisce di rimando, prendendo una penna da sopra il bancone per firmare, per poi lanciare un'occhiata furtiva al ragazzo alle sue spalle.
« Ha con sé qualcosa da dichiarare? » La bionda arriccia le labbra in una smorfia, per poi tirare su la borsa che stringe tra le dita, affinché entrambi possano vedere il suo contenuto.
« Sicuramente niente che mio cugino possa usare per scappare da qui. » Si ritrova a commentare, con tono sbarazzino, prima di salutare la donna e avviarsi silenziosamente dietro il ragazzo. Attraversano un lungo corridoio asettico, che sembra non finire mai, fin quando Cedric non si arresta e Vicky, sovrappensiero, non gli finisce contro.
« Scusami, io.. » scrolla la testa, prima di mettere su un bel sorriso che possa rassicurarlo a tal punto da sorriderle a sua volta, mentre le indica la porta d'entrata.
E' tutto così bianco e impersonale si ritrova a pensare, mentre si guarda intorno e capisce all'istante di essere la prima ad essere arrivata per le visite.
O forse l'ultima. Si siede al tavolo che sembra piacerle di più, abbastanza lontano dalla porta d'ingresso, abbastanza vicino alla finestra. Sistema i gomiti sopra il tavolo e lì attende, con lo sguardo sempre puntato verso la porta. In attesa di sapere. E quando arriva, per qualche istante, riconosce quella ruga che gli si forma sulla fronte nei momenti in cui la sua mente si interroga, quando è confusa. Quando è presa in contropiede.
Non mi aspettava, è chiaro. "Vicky. Sei venuta a portare le arance al cugino detenuto?" Si stringe nelle spalle, socchiudendo appena gli occhi non appena le sue labbra entrano in contatto con la sua pelle.
Sembri sempre tu. Eppure lo sei davvero? « Non le arance, per la roba salutare devi aspettare la visita di Olympia. Mi dispiace. » Commenta, piegandosi verso la busta per tirarne fuori dei dolciumi di prima scelta direttamente da Mielandia.
« Appena ha riaperto, mi sono fiondata. Spero di essermi ricordata i gusti giusti, se non sono cambiati. » Non c'è alcuna malizia nelle sue parole, alcun secondo fine o frecciatina.
"Allora, sii sincera: qual'è la posizione della famiglia? Mi ritengono un avanzo di galera - anche se dubito che nonna Molly sia ancora propensa a togliere quel titolo ad Albus -, il nipote-cugino pazzo o semplicemente la prole di Satana? Sai..per sapere cosa aspettarmi quando uscirò di qui." Si sistema meglio sulla seggiola, andando ad incrociare le mani sopra il tavolo, mentre prende tempo per ragionare su quale sia la migliore risposta da dargli.
« Sarò sincera: non lo so. Non è che abbia parlato poi molto con il resto della famiglia. Ho rivisto un po' tutti al matrimonio, piuttosto frettolosamente, ma poi sono stata solo qualche giorno a Villa Conchiglia, prima di partire per Hogwarts. » Anche lei, in fondo, come lui, per motivi diversi, sembra aver perso i contatti con la famiglia.
« Per mia madre sei stato soltanto tanto malchanceux. » Sfortunato. Lo sei stato davvero? Vittima: lo sei stato davvero? « Quindi hai passato la valutazione? Ti rilasciano a breve? » Si informa, per poi prendere ad aprire una delle scatoline Tutti Gusti +1 che ha sparso sopra il tavolo. Prende quella che dovrebbe essere al sapore di menta e se la mette in bocca, assaporandola lentamente.
"Ha un che di ironico questa rimpatriata. Tu sei quella che credevano morta e io quello che vorrebbero morto. E' proprio vero che a questa famiglia non gliene va una a verso. Sono contento di rivederti. Avrei preferito in circostanze diverse, ma per ora va bene così. Come stai, Vicky?" Annuisce, con un'espressione indecifrabile, mentre lo fissa, al di là del tavolo, quasi gli volesse entrare nella testa, per scoprire tutti i suoi segreti più oscuri. Quelli che le ha tenuto nascosto, quelli che ha tenuto nascosti a tutti.
« E' davvero ironico. » Commenta con un mezzo sorriso, prima di abbassarsi nuovamente verso la busta per estrarne un gioco da tavolo. Scarabeo, un gioco con cui giocavano spessissimo da piccoli, nei primi anni in cui avevano imparato a parlare e a scrivere. E via via, crescendo, era sempre stata una sfida continua nel trovare la parola più strana che desse più punti o quella più lunga che decretasse così una sconfitta schiacciante.
« Ora sto bene. Grazie per avermelo chiesto. » Sorride, con la solita innocenza che ha sempre caratterizzato quei suoi sorrisi infantili.
« Si direbbe che anche tu stia bene. » Ed è una constatazione dei fatti, non una domanda, quasi una silente accusa. Un qualcosa di non detto che serpeggia tra di loro, mentre lei decide di aprire il gioco, senza fare troppe cerimonie.
« Vuoi giocare? Mi manca giocare con te. » Un lato delle labbra si alza impercettibilmente, prima di tornare immediatamente al suo posto. Dispone tutto sul tavolo: tabellone e le otto lettere a testa.
« Comincio io, per cavalleria. » Ridacchia, per poi guardare le proprie lettere. E sembra essere un segno del destino, mentre le cala sul tabellone.
Vittima. « Sono curiosa e vorrei che fossi sincero, almeno con me.» comincia, tamburellando le dita contro la superficie fredda.
« Quando?» Gli chiede, alzando un sopracciglio mentre lo fissa intensamente.
« Quando è cominciato? Lo sei mai stato davvero? Una vittima? » Lo incalza nuovamente, prima di cominciare a spostare le letterine dal tabellone, per contare il suo punteggio.
« 15 punti, ottima partenza. Che ne dici? Lo senti il fiato sul collo? »