2 a.m.

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    Corvonero
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    L'insonnia non è mai un'amica particolarmente gentile. Non sa più nemmeno da quanto tempo ha cominciato a rigirarsi tra quelle lenzuola che le sembrano incandescenti, eppure le pare di sopportare questa situazione tanto scomoda da una vita. Da quando si è sdraiata sul materasso del proprio letto, questa sera, la giovane Apple Scamander non ha fatto altro che essere terribilmente consapevole di qualsiasi rumore la stesse circondando: i respiri leggeri di Alexandra, il ticchettio della sveglia sul proprio comodino, il verso cadenzato e ovattato di un gufo in lontananza, fuori dalla sua finestra. Tutto quanto sembra insinuarsi nella sua mente e urlarle addosso, in qualche modo, senza darle la possibilità di prendere sonno.
    Ogni tanto le capita. Deve ammettere che, da quando ha fatto ritorno a Hogwarts, queste nottate in bianco sono senza dubbio diminuite, complici le tante cose da fare durante il giorno che la stancano facilmente, ed i numerosi pensieri che le impediscono di far andare la propria mente in quegli angoli remoti in cui non deve. Spesso e volentieri si ritrova a costringersi di non pensare a determinate cose, a darsi pizzicotti nel bel mezzo della giornata per distogliere la mente dalla caduta libera nella quale talvolta viene colta da sé stessa. Questa notte in particolare, non ci sono pensieri spaventosi a tormentarla, né ricordi in particolare che l'affliggono: semplicemente, non riesce a dormire, ma sa già da sola che cosa succede quando questo avviene. Da sola, nel silenzio di quella stanza buia, incapace di cadere tra le braccia di Morfeo, si ritrova a vagare coi pensieri proprio lì dove non dovrebbe, un po' per noia ed un po' per la troppa solitudine. Non le è mai piaciuta l'idea di andare in Infermeria e farsi prescrivere dei sonniferi, o dei calmanti: sa che l'infermiera non lo farebbe con tanta leggerezza, e che la sottoporrebbe a domande che la metterebbero non poco a disagio.
    Dopo aver dato un'ultima occhiata allo schermo del proprio cellulare, scosta le pesanti coperte dal proprio corpo e si mette a sedere sul letto, attenta a fare meno rumore possibile. Lei la sua medicina ce l'ha già. Un po' si sente egoista a pensare a lui in questo modo, ma è chiaro che lo fa con tutto l'affetto del mondo, e l'ultima cosa che vorrebbe è essere opportunista. Forse un po' lo è, però, si ritrova a pensare, con una specie di senso di colpa che monta dentro, mentre si infila dei calzini scuri,
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    e si guarda allo specchio, con una certa attenzione. Si sistema alla bell'e meglio, infila una giacca per coprire le spalle altrimenti nude con la canotta che indossa, tira i capelli all'in su in una coda di cavallo, per essere più comoda, e alla fine recupera la bustina di plastica dall'interno del proprio baule - anche questo facendo attenzione a non fare troppo rumore per non svegliare Lexie, immersa nel più profondo dei sogni. Lancia un ultimo sguardo allo schermo del cellulare, per poi digitare qualche altra parola nella chat con Artie, e infine uscire nel buio del corridoio, chiudendosi la porta alle spalle, con estrema cautela.
    Cammina piano per i corridoi del castello e giù per le scale, attenta a non fare troppo rumore, consapevole ci saranno in giro dei professori o i Caposcuola a fare le solite ronde di controllo. Arriva fino ai sotterranei, per poi sgusciare all'interno della Sala Comune di Serpeverde utilizzando la parola d'ordine che le ha detto Sebastian, appena qualche giorno fa. Sale le scale che portano al dormitorio maschile, adesso con fare un po' più concitato, e una volta di fronte alla porta della stanza di Artie, chiude il pugno e fa per bussare, ma si blocca a mezz'aria. Decide, alla fine, che probabilmente è meglio mandargli semplicemente un messaggio, per non svegliare gli altri, e così fa. Recupera il cellulare e digita velocemente, nella sua chat: Sono qui fuori in corridoio, mi apri? Attende qualche istante, per poi avvertire dei movimenti all'interno della stanza. Qualche secondo dopo, la porta si apre, e rivela una figura avvolta quasi completamente nel buio: avanza verso di lei di qualche passo e, una volta illuminato dalla luce, Apple riconosce il viso del biondo, al quale sorride, contenta. « Ciao » sussurra a bassa voce, per non farsi udire da nessuno nei dintorni, e poi si spinge sulle punte per lasciargli un bacio sulla guancia. Dopodiché « Guarda qua » dice, mentre tira fuori dalla tasca del pigiama la bustina contenente l'erba che ha portato, per ammazzare il tempo e rilassarsi un po' in compagnia. « Prendi le cartine » gli suggerisce allora, sempre a bassa voce. Segue i suoi movimenti con lo sguardo e poi, quando torna vicino a lei, lo guarda con aria indecisa. « Che facciamo allora? Dove andiamo? » chiede, mentre si allunga dietro di lui per chiudere la porta della sua stanza. Chiaramente non possono stare lì dentro, non con i suoi compagni che dormono, e nemmeno nel caso in cui si dovessero svegliare. L'ultima cosa che vuole è improvvisare un festino senza volerlo e, soprattutto, di certo non ha intenzione di condividere con altri la propria erba.
     
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    Sbadiglia, Arthur, lo sguardo perso nel vuoto mentre si passa una mano tra i capelli, al solito, vergognosamente spettinati. Che non riesca a dormire, dopotutto, non è certo una novità. Ormai si è tanto abituato ad una simile situazione, che la notte ha imparato persino ad organizzarsi. ..Rompendo le palle ai suoi compagni di stanza, generalmente, e ricavandosi qualche cuscinata in faccia, quando gli va di lusso. Questa volta però resta fermo lì, lo sguardo perso nel vuoto di quel soffitto illuminato a malapena dal flebile bagliore lunare. A parte il respiro cadenzato e dal ritmo regolare dei suoi compagni, il tutto sembra immerso in un silenzio a tratti inverosimile. E vorrebbe dire che gli è mancato, come sarebbe giusto e da senso comune fare, ma non è così. La vita di Arthur Cavendish, dopotutto, si è sempre composta di silenzi. Asfissianti ed opprimenti silenzi in luoghi vuoti. Difficile da credere, spaventoso da dire, ma forse, durante quel periodo di caos, era riuscito a sentirsi più a suo agio. Il rumore delle trappole, le urla dei poveri malcapitati, riuscivano a fargli compagnia. E non è normale pensarlo, davvero non lo è, ma in fin dei conti cos'è mai stato normale per uno come lui? Basta anche solo guardarlo, per capire che nulla esiste di normale in quel ragazzo dal viso scavato e la pelle oltremodo pallida. Se ne sta lì a pancia in su, con le mani poggiate sul petto ed il corpo perfettamente immobile, quasi fosse morto. Se non fosse per quel battito di palpebre una volta ogni tanto, si direbbe che morto lo sia davvero. E la cosa più raccapricciante, o triste che dir si voglia, e che se così fosse non gli dispiacerebbe, nè se ne farebbe chissà quale problema al riguardo. Ci ha provato in quel tempo a migliorare, ad essere la versione più giusta di sè per riaffacciarsi a quella nuova vita ormai prossima, ma non ne è stato capace, a quanto pare, seppur a prima vista sembrerebbe il contrario. Gli affari della sua famiglia, nonostante la scomparsa di sua madre e sua sorella, continuano ad andare a gonfie vele. Lui è riuscito a giungere all'ultimo anno, dopo tutte quelle bocciature, sospensioni ed assenze. Ha degli amici, dei nuovi compagni di stanza. Ha un po' tutto, ma continua a sentire di non avere niente. Continua a sentirsi solo persino in una stanza piena zeppa di gente, e sa quanto questo derivi, e sempre deriverà, soltanto da sè stesso. A quel suo modo di fare, a quel suo volersi costantemente autodistruggere, e quell'innata capacità di rovinare ogni cosa. Già, rovinare ogni fottutissima cosa. Lo sguardo gli ricade sul tatuaggio che gli copre una piccola porzione del dorso della mano, ed un mezzo sorriso gli distende per un attimo un angolo della bocca, prima di tornare alla posizione di partenza. Respira a fondo, e per un attimo sembra pronto a fare qualcosa, chissà che cosa non lo sapremo mai, quando il cellulare vibra nuovamente, e la notifica di quella chat ormai conosciuta attira la sua attenzione. Sono fuori in corridoio, mi apri? Resta per qualche momento fermo lì, lo sguardo vacuo che fissa il cellulare senza nemmeno vederlo, prima di balzare giù dal letto, inciampare con dei vestiti lasciati per terra e precipitare al suolo. Ovviamente. Sta per imprecare a gran voce, quando si rende conto che forse farsi pestare da tutti e tre gli altri componenti della stanza non è poi una gran bella faccenda (non davanti ad una signorina per bene che lo aspetta fuori dalla porta, per lo meno, queste son le basi della cavalleria!) e allora si limita a mordersi la lingua, prima di rialzarsi. Barcollante -più del solito, quindi beh, figuriamoci!- si dirige alla porta allora, aprendola per trovarsi di fronte la figura esile della Corvonero. Le sorride di rimando ed istintivamente, mentre si scosta alcuni ciuffi di capelli dalla fronte. Piega appena la testa di lato per rubarle a sua volta un bacio sulla guancia non appena se la ritrova vicino, per poi calare lo sguardo nel vederla intenta a tirar fuori dalla tasca del pigiama la bustina. « Prendi le cartine »
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    Annuisce senza dire nulla, con una complicità che ha ormai dell'abitudinario. Una situazione, quella, che ha vissuto svariate volte, in passato. E che, seppur non dovrebbe, gli è mancata. Quando perdi qualcuno, che della tua vita ha fatto parte per svariato tempo, le prime cose che noti a mancare, sono le abitudini. Buone o cattive che siano. E quelle abitudini cattive lo sono state eccome. Ma alla fine eccoli comunque, con Artie che trotterella verso il proprio comodino, per estrarne le sopracitate cartine e tornare da lei. Dovrebbe sentirsi in colpa, perchè c'è già passato, perchè quello è stato l'inizio di ogni cosa, perchè lei è Apple e lui è Artie, ma decide di respirare a fondo, e lasciarsi scivolare addosso qualsiasi remora o preoccupazione. O quasi, almeno per il momento. « Che facciamo allora? Dove andiamo? » Si ripone il bottino in tasca e si guarda attorno, in cerca di una soluzione. Assottiglia lo sguardo, chiaro segno che sta pensando (sì, a volte succede, cari miei!) poi torna a guardarla. « Vieni con me. » Le dice, a bassa voce, sgusciandole accanto per uscire dalla camera e aspettare che anche lei faccia lo stesso prima di richiudere con delicatezza -o quasi- la porta. « E non farò battute sulla frase appena detta solo perchè è notte » Annuisce con fare solenne prima di incamminarsi e farle cenno di seguirlo. Oltrepassano i vari corridoi, giungendo infine all'atrio della Sala Comune, laddove il classico divano dai drappeggi verde e argento domina la scena. Si guarda attorno allora Artie, per accertarsi che non ci sia nessuno in giro, poi fa una giravolta su sè stesso ed allunga le braccia come per indicare il luogo in generale. « Tadààààààààà! » Squittisce, prima di trotterellare verso il divano. Vi si lancia sopra, facendo gracchiare le molle, poi incrocia le gambe e la fissa. « Quì va bene? Teeeecnicamente non sarebbe troppissimo indicato, ma ormai i miei concasati si inquietano quando non mi vedono fumare. Quindi non dovrebbe essere un problema.. » Si stringe nelle spalle con una certa indifferenza, poi allunga una mano, il palmo rivolto verso l'alto. « Erba a me baby che faccio la mia magia! » Aspetta che lei gli porga la bustina, agguantando le cartine. Se ne poggia una su di una gamba, vi immette la giusta quantità d'erba dentro, la arrotola ed infine si passa la parte in eccesso della cartina sulla lingua, per poterla richiudere. Fa lo stesso con una seconda sigaretta, con movimenti automatici dettati dall'abitudine, poi gliela porge. La fissa in silenzio, l'espressione statica ed inquietante al suo solito, che non lascia trasparire nient'altro, ma infine sorride, come risvegliatosi da chissà quale sonno, all'improvviso. « Ho dimenticato l'accendino, hai la bacchetta? Io potrei mandare a fuoco il castello, se ci provassi. E sì cioè figo, ma l'abbiamo appena ricostruito, chi li sente poi gli altri? » Ridacchia « Beh in realtà l'avete ricostruito, io sono stato piuttosto inutile. Ma hey, ho offerto erbetta rilassante ai poveri operai stressati! » Facendomi pagare da alcuni di loro ma hey, dettagli. « Quuuuindi, è una nuova regola dei prefetti, fumare erba? » La punzecchia « O il tuo piano e darmi la colpa se ci dovessero scoprire mh? Diabolica. » La incalza, poi ride, poggiandosi con la schiena contro il bracciolo del divano. « Come mai non riuscivi a dormire? »
     
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    « Vieni con me. E non farò battute sulla frase appena detta solo perchè è notte. » Rotea gli occhi al cielo, mentre lo segue giù per le scale a passo svelto, l'aria già più sveglia e pimpante di prima. Apple cambia completamente, quando c'è qualcuno accanto a lei. Sembra quasi fiorire, come d'improvviso, come se sentisse che da sola non vale la pena essere speciale. E lei si sforza di esserlo, terribilmente, quando è con qualcun altro, e in special modo se questo qualcuno è importante per lei, come Artie. Vuole essere quella cosa che manca, essere capace di riempire un vuoto negli altri. A volte si domanda se questo è uno dei motivi per cui si è aggrappata tanto al Serpeverde, negli ultimi anni. Perché lui ha milioni di vuoti da riempire.
    Questa riflessione gli balena nella mente, rapida come un razzo in un serenissimo cielo notturno, prima che risponda alla battuta di lui con sorriso sornione, sollevando le sopracciglia. « Appunto perché siamo di notte, le battute su questa frase sono adeguate. O mi sbaglio? » scherza a sua volta, incrociando le braccia al petto, mentre lo guarda avvicinarsi al divano e sedervisi sopra. Inarca un sopracciglio, come delusa, per poi avvicinarsi a sua volta, e sedersi accanto a lui.
    « Quì va bene? Teeeecnicamente non sarebbe troppissimo indicato, ma ormai i miei concasati si inquietano quando non mi vedono fumare. Quindi non dovrebbe essere un problema.. Erba a me baby che faccio la mia magia! » Si stringe nelle spalle, per poi porgergli la piccola bustina di plastica che teneva tra le mani, e lasciarlo lavorare. In questo, si sa, Arthur Cavendish è proprio un maestro.
    Mentre lui si dà da fare, Apple incrocia le gambe sul divano e si guarda intorno, un po' incuriosita. Non ha mai trascorso molto tempo all'interno della Sala Comune dei Serpeverde, e non si era accorta di quanto fosse asfissiante. Non ci sono finestre che danno sulla tenuta del castello, come nella Torre di Corvonero, quel verde acido che colora la stanza risulta particolarmente opprimente, se paragonato al sereno blu che, di contro, adorna le pareti della Sala Comune degli studenti di Rowena. « Sei diventato più pigro » dice, all'improvviso, dal nulla. Il suo sguardo pare perso nel vuoto, da qualche parte di fronte a sé, e le sue parole sembrano completamente fuori contesto. Resta in silenzio per svariati secondi, poi, senza esplicare meglio il proprio pensiero. A volte le capitano, questi momenti così. Non è distrazione, la sua, anzi, oserebbe dire che è una concentrazione più alta: è talmente immersa nei propri pensieri che si dimentica quasi, per qualche istante appena, della realtà che la circonda. Sospira, tornando improvvisamente sulla terra, per poi voltarsi verso il biondo e rivolgergli una mezza smorfia. « La Sala Comune, Artie, davvero? Una volta ti impegnavi di più a scegliere le location per le nostre fumate. Ma immagino fosse perché ti aspettavi qualcosa a fine serata... » Si stringe nelle spalle, un piccolo sorrisino che le spunta sulle labbra. Parla con candore, e con estrema tranquillità. Quella riflessione la fa ridere, semplicemente, e sente di volerla condividere con lui, ma non vuole che suoni come un'accusa. Per questo motivo appoggia una mano sulla sua spalla e gli regala qualche pacca, come a voler sottolineare che il suo è solo un modo di scherzare. In qualche modo. E d'altronde, sono sempre Apple e Artie, e le stranezze sono comunque il loro pane quotidiano.
    « Ho dimenticato l'accendino, hai la bacchetta? Io potrei mandare a fuoco il castello, se ci provassi. E sì cioè figo, ma l'abbiamo appena ricostruito, chi li sente poi gli altri? Beh in realtà l'avete ricostruito, io sono stato piuttosto inutile. Ma hey, ho offerto erbetta rilassante ai poveri operai stressati! » Ride insieme a lui, mentre scuote leggermente la testa e tira fuori la bacchetta, tenuta ferma sul fianco dall'elastico delle mutandine. Prende la sigaretta speciale che Artie ha appena confezionato e la porta vicino al viso di lui, infilandogliela poi tra le labbra. Infine, le basta un colpo secco della bacchetta per accenderne l'estremità, e sorridere soddisfatta tra sé e sé.
    « Ecco fatto » pronuncia, dunque, notando i primi cenni di fumo formarsi dalla canna, per poi riporre la bacchetta al sicuro dentro ai pantaloni. Appoggia un gomito alla spalliera del divano, facendo riposare la testa sul palmo della mano, e rimane a guardare Arthur fumare per un po'. « Eeee adesso si condivide » dice ad un tratto, e non aspetta oltre per sfilare con delicatezza la sigaretta dalla bocca del ragazzo, e portarla tra le proprie labbra. Inspira ed espira con decisione, guardando la nuvola di fumo grigiastro dissolversi di fronte ai suoi occhi chiari.
    « Quuuuindi, è una nuova regola dei prefetti, fumare erba? O il tuo piano e darmi la colpa se ci dovessero scoprire mh? Diabolica. » Ride sommessamente, per poi inarcare le sopracciglia con fare malandrino, come a volergli dire: È chiaro, no? Questo è il mio incredibile piano per incastrarti. A dire il vero Apple non si aspettava di diventare prefetto: e, per quanto possa farle piacere essere riconosciuta in questo modo dall'autorità, sa bene di non essere all'altezza del compito richiestole. Il fatto che in questo
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    momento stia violando almeno una decina di regole del castello tutte insieme, a pochi giorni dall'inizio della carica, la dice lunga al riguardo. Non pensa di non essere capace di portare avanti i suoi doveri; pensa, semplicemente, che non le importa più di tanto farlo. Si mostra alle riunioni, fa le ronde il pomeriggio e a volte anche la notte, ma il tutto avviene con un pizzico di svogliatezza e disinteresse - lo fa perché deve, non perché le piaccia. Le sembra assurdo dover sorvegliare i propri compagni, quando tutti sanno benissimo che spesso e volentieri è lei quella che necessita di essere tenuta d'occhio. Non che sia mai stata una grande scavezzacollo, per carità: al di là dell'occasionale canna notturna, o altro, Apple rispetta quasi tutte le regole di Hogwarts. Compila sempre il modulo apposito prima di richiedere dalla Biblioteca qualche libro della sezione proibita, che restituisce sempre in orario se non addirittura in anticipo, consegna i compiti per tempo ai propri insegnanti, non salta mai una riunione scolastica né una lezione, non va in giro a bighellonare per il castello quando sa dovrebbe essere da qualche altra parte. Apple, in poche parole, non è mai stata una scansafatiche, eppure l'essere sempre ligia al dovere non rappresenta nemmeno la sua priorità massima.
    « Spero che non smetterai di volermi vedere fuori dall'orario consentito solo per paura di questa spilla » dice ad un tratto, un sorriso che si allarga sulle labbra, mentre indica una spilla immaginaria che sul petto non c'è, per adesso. « Voglio dire... » Mentre parla, scivola di più accanto a lui. Gli rende la sigaretta nuovamente, e quando lo fa la sua mano rimane a mezz'aria, per qualche istante, prima di cadere, casualmente, sulla sua spalla. « Lo so che l'anno scorso ci siamo allontanati. E mi è dispiaciuto da morire. Nonostante tutto. » Un sospiro leggero lascia le sue labbra, mentre con le dita, in modo del tutto naturale, comincia a seguire il profilo del suo collo. « Vorrei che quest'anno fosse diverso. E voglio che tu sappia che so badare a me stessa. » Raggiunge il mento e, con estrema delicatezza, gli carezza una guancia con la punta delle dita, quasi la stesse dipingendo con queste ultime.
    « Come mai non riuscivi a dormire? » Si stringe nelle spalle, lasciandosi scappare un sospiro, mentre con lo sguardo segue il movimento delle labbra di lui, come ipnotizzata.
    « Non lo so » confessa, prima di rubargli nuovamente la canna e fare qualche altro tiro. « Immagino sia la tensione, o l'ansia... Non ne sono molto sicura. Ho sempre difficoltà ad addormentarmi ultimamente. » Si morde il labbro inferiore, abbassando leggermente lo sguardo ed evitando quello di lui. Sono tanti i motivi per cui il sonno non la prende, la notte, talmente tanti che se ne pronunciasse uno sarebbe tutto troppo riduttivo. Una miriade di pensieri le affollano la mente quando è tra le coperte calde del proprio letto e, più ci pensa, meno riesce a formularli a voce alta. Scuote poi la testa, come a voler sottolineare che non è poi così importante. « Non lo so, non ci voglio pensare davvero. Preferisco distrarmi un po'. Se ti va possiamo fare un gioco. » I suoi occhi s'illuminano a quella idea, mentre prende tra le dita la sigaretta. « Sai fare gli anelli di fumo? Facciamo che il primo che ci riesce vince... non so, che vince? Qualcosa. Ci provo io. » E subito dopo lascia fuoriuscire del fumo dalle sue labbra, piegandole in modo strano, ma il risultato è solo una nuvola grigia e compatta. Sbuffa, un po' delusa, per poi rendergli la canna. « Okay, adesso prova tu. »
     
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    « Sei diventato più pigro » Alza lo sguardo verso di lei, piegando leggermente la testa di lato, nel sentire quelle parole, mentre è ancora intento ad impacchettare perfettamente la loro preziosa canna. Aspetta una risposta per qualche istante, ma poi decide di rimanere in silenzio, tornando al suo lavoro. Apple è così che è fatta, e lui lo sa bene. Un tempo, era una delle cose che più gli piacevano di lei. Il suo vagare con la mente in chissà quale mondo, nonostante il suo corpo si trovasse lì, in quel loro mondo noioso e monotono. Ed è infatti ciò che le vede fare anche adesso, Artie, mentre lei tiene lo sguardo fisso nel vuoto, ad osservare chissà cosa, e pensare a chissà che, o forse semplicemente nulla. Ha sempre invidiato la sua capacità di estraniarsi da tutto e tutti, automaticamente, in maniera del tutto naturale. Senza l'aiuto delle droghe, a differenza sua. Perciò è lì che la lascia per quei minuti, il Serpeverde, a vagare in chissà quale sconosciuto sentiero mentale, senza interferire. « La Sala Comune, Artie, davvero? Una volta ti impegnavi di più a scegliere le location per le nostre fumate. Ma immagino fosse perché ti aspettavi qualcosa a fine serata... » Torna coi piedi per terra, Apple, e mentre lei lo fa, lasciando svolazzare quelle parole a prima vista spontanee e leggere nell'atmosfera cupa e silenziosa della Sala Comune, lui alza la testa di scatto. Sorpreso la guarda, gli occhi che sembrano sgranati, ma alla fine scoppia a ridere, mentre lei lo pacca sulle spalle. Se non si trattasse di Artie e Apple, probabilmente, di fronte a frasi del genere il disagio sarebbe più che palese. Perchè sono battutine particolari, quelle che si scambiano, così come particolare è l'aria che si respira ogni volta che si trovano assieme. Ma alla fine, proprio perchè è di Artie e Apple che parliamo, è tutto nella norma. « Quindi se ti avessi portata in sala comune, tempo fa, ti avrebbe fatto così schifo da dirmi di no? » La punzecchia dunque, il tono di voce ambiguo, come suo solito, con un sopracciglio inarcato. « A pensarci bene..Un no da parte tua non me lo ricordo. Mmmh... » Si stringe nelle spalle, la faccia da schiaffi, con due dita sotto il mento, poi ridacchia, osservandola mentre si sfila la bacchetta per accendere la sigaretta. « ..E questa dov'è che la tenevi, lì dentro? » Accenna ai suoi pantaloni col mento, l'espressione confusa, ma alla fine lei lo distrae, riponendogli la sigaretta tra le labbra. La imprigiona con due dita, sapientemente, mentre fa due o tre generosi tiri, lasciando andare il fumo che si espande sopra le loro teste in delle nuvolette evanescenti. « Eeee adesso si condivide » E non ha tempo di dire o aggiungere null'altro, che la ragazza gli sfila la canna dalla bocca, per usufruirne. Ridacchia allora, Artie, stringendosi le ginocchia al petto per poi poggiarvi il viso, girato di lato, su di una guancia. Le dita intrecciate tra di loro, mentre la osserva, silenziosamente, un lieve sorriso a piegargli le labbra sottili e pallide. Gli sembra di rivivere uno scenario già visto, ma non per questo noioso. Fumare assieme, in passato, rientrava infatti in una routine giornaliera fatta di gesti probabilmente automatici, ai quali dopo le prime volte non facevano nemmeno più caso, ma che quando erano finiti per andare perduti, gli erano mancati. La mancanza della quotidianità, dopotutto, Arthur l'ha sempre avvertita. In qualsiasi cosa, dalla più grave alla più insignificante. Riusciva ad abituarsi alle situazioni, alle persone, a renderle parte integrante di quella sua triste e monotona esistenza, e quando infine andavano via -perchè tutti, prima o poi, lo facevano e lo avrebbero sempre fatto- era col vuoto dentro che lo lasciavano. Un vuoto che si ostinava ad ignorare, ma che alla fine, in un modo o nell'altro, riusciva a diventare protagonista delle sue giornate, spingendolo a compiere quelle azioni trite e ritrite che facevano di lui Arthur Cavendish. E quel vuoto dentro, anche Apple glielo aveva lasciato. Non le dava una colpa e mai l'avrebbe fatto, ma superare l'ennesimo abbandono non era stato facile tuttavia. Estirpare dalla propria memoria tutti i ricordi e le abitudini. Tutte le situazioni e gli scenari, come quello che si ritrova davanti adesso, forse un po' inaspettatamente, o forse no. « Spero che non smetterai di volermi vedere fuori dall'orario consentito solo per paura di questa spilla » Quelle parole lo riportano alla realtà, conducendolo a sospirare, con una certa teatralità. « Non posso prometterti nulla... Sai, ho una reputazione da rifiuto umano da mantenere, io, non posso farmi vedere in giro con gli alti ranghi. Temo dovremo incontrarci solo di nascosto, clandestinamente.. » La prende in giro, con un sospiro affranto. « Voglio dire... » E a quel punto si avvicina, Apple, rendendogli nuovamente la sigaretta. La prende, e con due dita se la riporta alla bocca, socchiudendo gli occhi. Non dovrebbe fumare e lo sa bene. A dirla tutta, non dovrebbe fare tante cose che in questi giorni ed in queste notti fa eccome. Dopo la notte di Halloween, e dunque da qualche settimana a questa parte, Artie ha ripreso il suo abituale..ritmo. Un ritmo che comporta braccia piene di lividi, per le innumerevoli iniezioni endovena di chissà quale merda, pelle pallida e labbra smorte, talvolta violacee. Ha le occhiaie, il viso scavato dall'inappetenza, ed il fisco oltremodo magro che nasconde dietro vestiti che gli vanno ormai larghissimi. « Lo so che l'anno scorso ci siamo allontanati. E mi è dispiaciuto da morire. Nonostante tutto. » Riapre gli occhi, lo sguardo vacuo che si posa su di lei. Annuisce silenziosamente, senza sapere nemmeno perchè. E si mordicchia il labbro inferiore, fin quando non percepisce il suo tocco sulla pelle, sotto al quale si piega, come un micio in cerca di coccole. « Vorrei che quest'anno fosse diverso. E voglio che tu sappia che so badare a me stessa. » Alza una mano, a quel punto, andando ad incontrare la sua stessa posata sul suo viso. La stringe tra le dita gelide, istintivamente, poi le sorride. « Lo so, Apple, davvero. » Mormora, lasciandola andare. « Non voglio che sia il senso di colpa per quanto è successo tempo fa, tutto ciò che provi ogni volta che mi vedi. E' tutto okay » Annuisce, per auto convincersi. In realtà, in quella sua vita di merda, non vi è nulla che sia davvero okay. Una lista così infinita, che non riuscirebbe neanche a stilarla probabilmente.« E' dispiaciuto tanto anche a me, e mi sei mancata. Ma adesso siamo quì, no? » Le sorride, debolmente, stringendosi nelle spalle, mentre lascia andare l'ennesima nuvoletta di fumo. C'è nostalgia e tristezza in quel suo sguardo glaciale, quindi lo distoglie, prontamente. « Il che è un gran traguardo, perchè cazzo, chi se lo aspettava di campare un altro anno? » Black humor made in Cavendish. « Magari morirò a trentatre anni come Gesù e, in quel caso, voglio anche io un libro tutto dedicato a me. » E anche un po' di blasfemia che non fa mai male. Ridacchia, per sdrammatizzare.
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    « Non lo so. Immagino sia la tensione, o l'ansia... Non ne sono molto sicura. Ho sempre difficoltà ad addormentarmi ultimamente. » Annuisce, sommessamente, come a voler sottolineare un mi dispiace che non le dice, ma pensa comunque. Vorrebbe aiutarla, vorrebbe farlo davvero, ma è probabilmente la persona meno adatta. « Capisco » Mormora dunque « Immagino sia questione di riabituarsi » Si stringe nelle spalle « Beh, ad ogni modo, se ti può consolare, io non dormo mai. Quindi, quando ti succede, Artie c'è » Ride sommessamente, prima di soffermarsi sui suoi movimenti « Non lo so, non ci voglio pensare davvero. Preferisco distrarmi un po'. Se ti va possiamo fare un gioco. » e seppur lui, calato in quella depressione esistenziale, voglia di giocare proprio non ne abbia, annuisce, sforzandosi di sembrare entusiasta. « Sai fare gli anelli di fumo? Facciamo che il primo che ci riesce vince... non so, che vince? Qualcosa. Ci provo io. » Inarca un sopracciglio alla fine, e non ha nemmeno il tempo di aggiungere qualcosa, che lei è già intenta nell'impresa. Ispira dalla sigaretta, poi piega le labbra, ma tutto ciò che ne fuoriesce è una nuvoletta densa e grigiastra. E allora la fissa, per qualche istante, prima di porsi una mano sulla bocca per trattenere una risata divertita. « Okay, adesso prova tu. » « Sei proprio sicura? » La incalza, diabolicamente, ma alla fine agguanta la sigaretta a sua volta. « Mi sento buono, oggi, dai. Provo ad insegnarti. Devi tenere il fumo in gola. ..E se non soffochi, magari, sarebbe buono » Le lancia un'occhiata, poi riprende « Per il resto, è una questione di lingua. Devi tenerla verso dietro, in basso, per allontanare il fumo dalle labbra » E a quel punto inspira un tiro dalla canna, piega le labbra, e dopo qualche istante soffia fuori due o tre anelli di fumo. Li osserva mentre si dissolvono nel buio, poi torna a guardarla. Inspira nuovamente, e questa volta, le getta il fumo sul viso. « Vuoi provare? Ricordo che non eri male, con la lingua, in fondo. » Le fa l'occhiolino, poi le porge la sigaretta. « Ma dicono che il tempo abbellisce i ricordi. » Aggiunge, sibilando, provocatorio e dispettoso come un serpente a sonagli. « Io, nel frattempo, cos'ho vinto? »
     
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3 replies since 28/10/2018, 18:21   113 views
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