Where is my mind?

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    « ..il punto è che non è servito a nulla. Li ha letti i giornali ultimamente, Padre? In Siria c'è ancora in corso una guerra civile. La Striscia di Gaza è catalogata come uno sterminio di massa. In Iraq si combattono ancora i militanti dello Stato Islamico. In Messico la guerra al narcotraffico ha fatto trentasette vittime solo negli ultimi cinque giorni. Ha idea di quanti civili sono morti nel complesso da metà settembre? Glielo dico io: un numero inquantificabile. E noi siamo qui a bearci della nostra ipocrita Restaurazione. » Pausa. « Ciò che voglio dire è che forse in fondo non ce lo meritiamo. Non sono mai stata una giustizialista. Ho fatto l'Auror per poco tempo.. ho capito subito che quello non era il mio posto. Non sono tipa da buoni e cattivi. Mi piace di più osservare. Raccontare. Credo si possa fare molto di più tentando di risvegliare le coscienze, capisce? » Un tic nervoso la obbliga a fermarsi, guardandosi attorno come spaesata. L'ambiente stretto e buio sembra metterla a disagio. Disturbarla in un certo qual modo. « Ora non sono più convinta nemmeno di quello. La gente vedrà e crederà sempre a ciò che le fa più comodo. Distoglierà sempre lo sguardo.. ora ci crogioliamo nelle nostre sicurezze ritrovate, come se niente fosse successo. Ma, nulla è cambiato. Siamo rimasti gli stessi ingrati, individualisti di sempre. Il mondo non è migliore di quanto lo fosse due anni fa. Anzi, se possibile, è peggiore.. è crollato in un giro di ipocrisia insostenibile. Come se non avessimo visto il volto della morte o del male. » Il prete dall'altra parte del muro che li divide nel confessionale sospira, e Teddy è già convinta che a tutte quelle perplessità, non ha alcuna risposta chiara. Mi propinerai il solito sermone. "Le vie del Signore sono infine." Non è forse così? Tira su col naso e si passa una mano tra i capelli in un chiaro attacco di nervosismo. « Perché senti il bisogno di dire queste cose sotto il sacro vincolo della Confessione. » A quel punto la Lupin sorride, costretta ad ammettere che nemmeno l'elevazione dello spirito riuscirà ad aiutarla a uscire da quell'impasse. Sin da quando è tornata alla vita di sempre ha sentito lo strano bisogno di avvicinarsi alla Chiesa. Andava spesso a sentire la messa, si confessava ogni qual volta potesse; l'ostia non la prendeva mai. Si sentiva troppo sporca, persino per stare troppo vicina al sacro ambiente che emanava l'altare. Ma nonostante ciò sembrava avesse bisogno di quella vicinanza, come se il sacro terreno di una chiesa qualunque, fosse l'unico posto in cui si sentisse al sicuro. « Perché se le dicessi a voce alta la gente capirebbe che qualcosa non va. Che in qualche modo sono diventata disfunzionale. » Quel posto si è risucchiato la mia luce, la mia positività. Il più delle volte tento di far finta che tutto vada bene, ma la verità è che non ricordo nemmeno com'è essere lucida. E in effetti, i grandi occhini colmi di venature rosse, erano il chiaro segno di quanto poco fosse lucida. Quella delle sostanze sembrava l'unica via in cui riuscisse a mantenere un contatto con la terraferma pur allineandosi. Percependo la realtà in maniera ovattata, paradossalmente sembrava essere in grado di affrontarla. Almeno in parte. « Dio vorrebbe che tu cercassi conforto nelle persone.. » « Dio non vuole niente, Padre. Se ne frega. E' l'unica spiegazione che io mi sia data. Perché altrimenti non capisco.. » Si stringe nelle spalle mentre lo sguardo si perde nel vuoto di fronte a sé. « ..non credo di esser stata una persona così orribile da meritarmi tutto.. tutto questo. » E Teddy non se lo meritava davvero. La dipendenza, il crollo psicologico, l'instabilità su ogni fronte, la precarietà e la depressione, la totale assenza e tangibilità rispetto al mondo. Tentava in tutti i modi di non mostrare gli effetti di quel terribile crollo, ma in realtà il fatto che stesse male, era probabilmente lampante agli occhi di tutti. Raccoglie allora le proprie cose, e spalanca la porta del confessionale. Il prete la segue a sua volta. « Teddy? » La bionda si volta. « Ti sei scordata l'assoluzione. » Lei sorride deglutendo. « Sono io a dover assolvere Dio da tutto ciò che ha consentito.. ma io non lo perdono. » Una fitta pioggia colora le strade di un luccichio multicolore, dovuto alle luci della città che vi si riflettono. Cammina a passo felpato sulla strada imboccando una serie di viuzze alternative alle arterie principali finché non arriva al posto del suo prossimo appuntamento. Ogni giorno la stessa routine. Prima la confessione poi il peccato, e poi ancora la confessione e poi il peccato, in un circolo vizioso dal quale non riesce e non vuole uscire. « Ce l'hai? » Ce l'aveva. Il flacone sigillato assieme alla bottiglia di vodka viene scambiata con un piccolo sacchetto in velluto rosso. Sta dando fondo ai suoi risparmi. Ai soldi dei suoi genitori, raccimolati negli anni con non pochi sacrifici. E anche per questo, Theodore Lupin si sente uno schifo. Ma nonostante ciò, finisce comunque nel parchetto adiacente al quartiere di Diagon Alley, su una panchina qualunque, a consumare sigarette, pasticche e alcol, nella speranza di condurre sogni più tranquilli una volta tornata a casa dove Lizzie non l'aspetta più ormai da settimane.

    Si sveglia di soprassalto. Un led sembra misurare il suo debole polso. Un serie di tubicini attaccati al suo braccio e la sensazione di dover vomitare. Si sporge appena in un improvviso attacco solo per vedersi avvicinare un secchio abbastanza per estirpare tutta quella merda dal suo corpo. Riesce a incontrare il proprio volto pallido e ormai scheletrico nel rifletto di un bicchiere metallico lì appoggiato in attesa che qualcuno se ne servi. Probabilmente la stessa persona che le ha avvicina il secchio. Solo allora solleva lo sguardo a sufficienza per poterla riconoscere. Cazzo! E' la sua prima reazione mentale mentre cerca di mettere ordine nei propri pensieri. Subito dopo esser stata internata al San Mungo per gli accertamenti post Upside Down, le hanno chiesto un recapito di emergenza. E Teddy non ci ha pensato due volte. Aveva dato il recapito di Dash. Non perché non avesse famigliari che si curassero di lei, ma piuttosto perché non voleva disturbarli. In fondo non si fidava di ammettere al loro cospetto che era un casino vivente. Non aveva avuto il coraggio di confidarsi con loro. Ma non aveva avuto nemmeno il coraggio di contattare Dash. Eppure, aveva indicato comunque il suo contatto in caso di necessità. Sapeva di aver parlato a sufficienza con Dash affinché lui capisse cosa andasse fatto nel caso in cui le cose fossero andate peggio di quanto si aspettasse. Lui avrebbe avuto, forse, si era detta Teddy tra se e se, la lucidità mentale di non insistere nel rianimarla se fosse diventata un caso disperato, avrebbe dato disposizione per i suoi organi affinché aiutassero qualcuno che ne avesse più bisogno, e avrebbe firmato affinché le staccassero le fottute macchine nel caso in cui per un motivo o per un altro prima o poi sarebbe diventata un vegetale. Chi aveva di fronte tuttavia, non era Dash. Era Mrs. Poppins. L'anziana signora le si siede accanto, avvicinandole il secchio mentre le accarezza dolcemente le spalle. « Shhhh.. shhh.. va tutto bene. Butta fuori. » E un'altra conato di vomito, mentre tenta di chiederle che cosa ci faccia lì. Una domanda che emana a malapena prima che lo stomaco la obblighi a buttare fuori tutto quel alcol mischiato alle pasticche che l'hanno portata dritta dritta su una barella di quello che riconosceva senza grandi rituali come il San Mungo. « Ci hanno chiamati. Hanno detto che Dash era il tuo contatto di emergenza. Ha avvisato anche la tua famiglia. » Cazzo, ha avvisato mezzo mondo. Quindi lui lo sa? Lui mi ha vista? E' qui? Cazzo. Un'improvviso senso di vergogna si insinua nelle sue vene, mentre allontana il secchio accettando di buon grado il bicchiere d'acqua che le viene posto poco dopo. « Perché- perché sono qui? » La voce è strozzata, chiaramente non in grado di parlare granché. « Sei collassata. Eri prossima all'overdose di - qualcosa - non ricordo precisamente cosa. » Si figuri. Non lo ricordo nemmeno io. « Hanno detto che erano già parecchie ore che stavi in quello stato. Non riescono nemmeno a capire come tu abbia trovato la lucidità per chiedere aiuto. Ti hanno fatto un lavaggio gastrico e tenuto sotto osservazione per tutto ieri e oggi. Dash e i Potter sono arrivati poco dopo. Erano tutti in pensiero.. per fortuna sei uscita dallo stadio critico poche ore dopo che ti hanno ricoverato. » Ieri e oggi. Ripete quelle parole in maniera ossessiva nella sua testa. E' in ospedale da un paio di giorni. Nella sua mente tutto sembra essersi susseguito nel giro di un nanosecondo. Un momento era al parco ad annegare la frustrazione nell'alcol, il secondo dopo è in ospedale, pronta a vomitare anche l'anima. « Che cosa hanno detto i miei? » A quel punto il terrore di averli delusi si insinua nella sua testa. Lo sanno già tutti? I miei amici? I miei fratelli? Tutti sono al corrente di quanto io sia terribilmente stupida? Al solo pensiero vorrebbe tornare a dormire e non risvegliarsi mai più. « Siamo contenti che sei ancora viva. » A quel punto Mrs. Poppins si alza, pronta a varcare la porta della sua stanza. Teddy si passa i capelli su una spalla, solo per accorgersi che il colore platinato che aveva portato negli ultimi mesi, era improvvisamente cambiato, tornando al suo naturale castano scuro. La tristezza e la iella non ha limiti. « Te lo vado a chiamare va bene? Sta aspettando.. » Vorrebbe dirle di non farlo. Non saprebbe comunque cosa dirgli di preciso, ma sa che sarebbe da veri stronzi anche solo tentare di mettere sul piatto quella ipotesi, e quindi decide di abbassare semplicemente lo sguardo, lasciandolo vagare nell'ambiente, finché non individua la propria giacca agganciata all'attaccapanni. La richiama a se con l'ausilio della bacchetta ed estrae il pacchetto di sigarette dalla tasca.
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    Un nuovo rumore di passi annuncia l'entrata di un ulteriore soggetto nella stanza. Teddy non trova il coraggio di alzare lo sguardo nella sua direzione, e così afferrata una sigaretta se la sistema tra le labbra tentando di accendersela con l'ausilio della bacchetta. Sa che se qualche medimago dovesse sorprenderla fumare come minimo la getterebbe giù dalla finestra assieme al mozzicone, ma in quel momento ha bisogno di stemperare la tensione. Sa che dovrebbe dire qualcosa, qualunque cosa andrebbe meglio di quel giro infinito di silenzio e di imbarazzo. Da dove iniziare? Dal motivo del suo silenzio stampa? O dal tentare di spiegargli che è cambiato tutto? Dovrebbe liberarsi finalmente in quello straziante pianto di cui ha bisogno dal momento in cui si è svegliata dopo il lampo bianco, oppure fare finta di niente? « Anche tu qui eh? » Dice infine, senza avere la minima intenzione di erge lo sguardo sulla sua figura. Vigliacca fino in fondo. Un tiro della sigaretta prima di fissare la flebo incastrata nella vena. Ha sempre odiato gli aghi, Teddy, sin da quando era solo una bambina e nonna Andromeda la portava a fare i vaccini dal medimago di fiducia. « Ho sempre pensato che se qualcuno doveva farsi del male e l'altro accudirlo, i posti sarebbero stati invertiti. Senza offesa, ma sei un vero impedito in un sacco di cose.. » Terribile modo di smorzare la tensione. Pausa. Una pausa lunghissima, tempo in cui continua a fumare. « Va beh, meglio se sto zitta.. la sigaretta non si finisce da sola. »

     
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    « Pronto? » « Sì, buongiorno, parlo con il signor Meachum? » « In persona. Lei è? » « Sono Cristal, del San Mungo, signore. La chiamo perché è stato indicato come contatto di emergenza della signorina Lupin. » « Io..cosa? Teddy sta bene? » « Signor Meachum, farebbe bene a venire. » Sono queste le poche parole che si è scambiato con Cristal, del centro infermieristico del San Mungo. Perché a sentire quelle ultime parole, Dash ha tagliato corto, chiudendo immediatamente la chiamata, per fare velocemente il numero dei Potter e di Mrs. Poppins, poi, prima di smaterializzarsi nell'atrio d'ingresso dell'ospedale. Ha scoperto soltanto da qualche giorno che Teddy, da lui ritenuta morta, è effettivamente in vita e ora è lì, che cammina lungo il corridoio, fuori dalla sua porta, aspettando di capire, di sapere qualcosa. Ma tutto quello che sa, proviene dall'imbuto di informazioni che passa attraverso la bocca di Harry e Ginny Potter. Perché lui non è un famigliare. Lui non è niente, eppure lei l'ha nominato come numero da chiamare in caso di emergenza. Come numero da chiamare nel caso in cui ti fossi calata chissà quali pasticche, annacquate con la vodka liscia. Dio, Teddy. Ha passato quella giornata e mezza lì dentro, tra le mura di quell'ospedale asettico, che non l'ha lasciato respirare, che l'ha lasciato lì, a torturarsi, mentre fingeva indifferenza, nel rimanere lì, perché è lì che lei lo voleva. Ma lui, lì, non sa se vuole starci davvero. In attesa, lui l'ha sempre odiato quello stato d'animo che non lascia respirare, che non lascia altro che dubbio, domande irrisolte, che lascia a crogiolare in quello stato d'oblio continuo. Succederà o non succederà? Vivrà? Morirà? E poi? E seppur abbia capito che, in fin dei conti, la pelle di Teddy fosse abbastanza dura da resistere anche a quella, c'è una rabbia, una vena di ira latente che anima le sue carni, che vorrebbe solo farlo entrare in quella stanza e sbraitare, urlare, dirgliene quante non ne ha mai dette a nessun altro sulla faccia della Terra. Ma rimane lì, con il bastone che sbatte ritmicamente sul pavimento, con i suoi occhiali scuri a coprirgli gli occhi da una luce che non lo infastidisce, con il naso che viene costantemente pizzicato e infastidito dal forte odore del disinfettante che usano nelle stanze. E' una tortura, lo è davvero, ma si rende conto di non essere l'unico a soffrirne, lì dentro. Lo vede tra i lineamenti stanchi di Ginny e nell'apprensione che riga il volto di Harry. Lo vede negli occhi dei suoi fratelli, che cercano di distrarsi come meglio possono, mentre stanno seduti, con le spalle contro lo schienale, con un occhio sempre rivolto verso le tendine tirate della camera da letto. Ringrazia il cielo che Lizzie e Jay non siano lì, non ha idea di che scusa abbiano inventato per farli rimanere a casa con nonna Molly, ma perlomeno non sono costretti a vivere tutta quell'attesa snervante che li obbliga lì, in fila, ad attendere il loro turno per poter fare un saluto. Un saluto che tu odierai, perché odi queste situazioni. Tu le odi, porca troia. Odi essere compatita. « Dash, tesoro... » La voce di Mrs. Poppins lo richiama a sé, costringendolo a voltarsi, lungo il corridoio, accennando un sorriso vago. « Puoi andare, ora è pronta. » Ah, certo, ora lei è pronta. Si ritrova a pensare, stringendo appena i denti e lei se n'è accorge, perché tiene nota sempre di tutto, come ogni madre fa. « Dash, ti prego, non fare piazzate. »
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    Lui alza le mani, scrollando il capo con un'espressione di diniego che gli piega le labbra. « Io? Le piazzate le faccio solo per le cose a cui tengo davvero. » Si ritrova a commentare, riscontrando nelle sue parole un punto di completo paradosso. Perché, se non avesse tenuto davvero a Teddy, lì non sarebbe rimasto per due giorni interi, lasciando il proprio ufficio nel caos più totale, lasciando che la propria vita si mettesse in pausa, per lei. Vede l'ombra della donna, mentre scuote la testa, percepisce il leggero schiocco che fanno le sue labbra, schiudendosi, per potergli dire dell'altro, ma lui alza una mano, come a volerla fermare sul nascere. No, basta, non ho più undici anni. Si incammina verso la porta e, senza alcuna esitazione, oltrepassa il varco, chiudendosela alle spalle. Percepisce la sua presenza e riesce a scorgere la sua ombra, ma rimane sulla soglia, quasi volesse tenere le distanze da tutto quel macello. « Anche tu qui eh? » Alza un sopracciglio, accennando quel suo solito sorriso da schiaffi, che sembra sempre distanziarlo così tanto dal resto del mondo. « Eh, sai com'è, se dai il mio numero come numero da chiamare in casi di emergenza..direi che il sillogismo è facile da completare. » Risponde caustico, per poi percepire un altro odore, che sovrasta quello fastidioso del disinfettante. Fumo. Sta fumando. Scuote la testa, appoggiando i denti sul labbro inferiore, in un chiaro segno di stizza. « Ho sempre pensato che se qualcuno doveva farsi del male e l'altro accudirlo, i posti sarebbero stati invertiti. Senza offesa, ma sei un vero impedito in un sacco di cose.. » « E invece hai visto? Ancora una volta ti sbagliavi. » Forse perché io ho la scusa per essere impedito in un sacco di cose, ma tu che scusa avevi per provare ad ammazzarti? « Va beh, meglio se sto zitta.. la sigaretta non si finisce da sola. » Annuisce, avvicinandosi di qualche passo. « Sì, hai ragione, sarebbe meglio. » Se ne esce, con quella sua solita freddezza, prima di usare i suoi occhi per prendere le misure, avvicinarsi, prenderle la sigaretta dalla bocca e spegnerla nel bicchiere pieno che si trova sul suo comodino. « Hai deciso di voler vincere il premio come più stupida dell'anno? No, perché davvero, ci stai riuscendo alla perfezione. » Si porta verso la finestra e rimane lì, per qualche istante, con una spalla appoggiata al muro, così come il manico del bastone, e le braccia conserte sul petto. « Mi sono fatto un sacco di domande, sai, dopo che sei scomparsa, inghiottita da quella nube di pece nera, come mi hanno riferito. Mi sono chiesta dove fossi, che fine avessi fatto, dove fosse Lizzie, se steste bene e, come conclusione finale di quei giorni di dubbi e punti interrogativi lasciati irrisolti, mi sono convinto che tu fossi morta. » Annuisce, stringendo le labbra, mentre continua a rivolgere lo sguardo verso la quasi certa plumbea Londra, tipica di Ottobre. « E alla fine mi sono anche messo l'anima in pace, sai? Ti sarei sempre stato riconoscente per aver prima pensato a me, per avermi messo in salvo, per avermi dato la possibilità di starvi accanto per un po', ma è per questo che hai dato il mio numero qui, no? Perché sono razionale, perché non mi faccio toccare da certi sentimentalismi e alla fine della giornata, penso sempre con una mente lucida, che mi permette di distinguere le varie situazioni. Sbaglio? » Si passa la lingua sull'arcata dentaria superiore, quasi a volersi prendere in giro da solo per quelle sue stesse parole. « Però una cosa voglio chiedertela, perché è un pallino fisso da ieri e sai quanto detesti le domande che non trovano una loro naturale risposta. » Il viso scatta verso di lei, come se la vedesse per davvero. Come se quei capelli, a detta di Mrs. Poppins, ora scuri, quegli occhi chiarissimi, potesse averli lì, perfettamente visibili, di fronte al proprio sguardo. «Cosa hai pensato? » Domanda. « Voglio sapere cosa ti è passato per il cervello quando hai deciso di ficcarti in bocca e mandare giù quel flacone di medicinali, insieme alla vodka. » C'è un silenzio piatto, che segue quelle parole congelate. « Voglio sapere se hai anche solo pensato ad uno di quei poveri stronzi qua fuori che aspettano da ieri di poter vedere come stai. » Respira, a fondo, un paio di volte, sentendosi fin troppo infervorato per potersi dichiarare così "tanto razionale", come gli piace credere. « Hai pensato al volto dei tuoi genitori? A quelli dei tuoi fratelli? Ti è passato, anche solo per un fottutissimo istante, per l'anticamera del cervello, di pensare a come avresti lasciato Lizzie? » Scuote la testa, immaginando la risposta. No che non ci hai pensato. Perché tu non pensi, ma fai, sempre. Perché il tuo dolore è ed era più forte di tutto, non è così? Più forte anche dell'orgoglio che avresti dovuto mettere da parte per farti aiutare? « Voglio solo capire quanto io mi sia sempre sbagliato su di te. » Perché questa non è la Teddy che conoscevo, questa non è nient'altro che una pallida imitazione di un qualcosa che è stato e che riesce a deludermi ogni secondo che passa. « Qual è stato il tuo ultimo pensiero mentre buttavi via la tua intera via, per cosa poi? Per un po' di sonno extra? O davvero volevi ammazzarti senza dire niente a nessuno? E' questo che sei diventata ora? » Una vigliacca?
     
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    Non le è mai piaciuto farsi rinfacciare le cose. Forse per questo Teddy ha sempre eluso di parlare dei propri problemi, che pur ha sempre avuto, come qualunque giovane donna che si rispetti. Le pressioni della società sono ricadute su di lei tanto quanto su chiunque altri, pur non essendosi lasciata decostruire da quest'ultime. Un sorriso sulle labbra sembra aver sempre cancellato le sue intrinseche insicurezze, a tal punto che a un certo punto persino lei si è convinta di essere serena. Cercava la felicità e la serenità, inseguiva il menefreghismo e il lasciar correre come un il sogno del somewhere over the rainbow. Ecco perché odia ciò che sa già succederà. Se solo Dash potesse guardarsi allo specchio si renderebbe conto di quanto dura sia la sua espressione. La mascella serrata in un'espressione che esprime intransigenza e fastidio, sincera preoccupazione e una dose non indifferente di delusione. Anche quella ha sempre tentato di evitarla: la delusione. L'ha evitata a tal punto da sforzarsi di non pesare sulle spalle di nessuno sin da quando ha messo piede fuori da Hogwarts. Il primo gesto tra i primi commenti di circostanza e sottrarle la sigaretta; un comportamento che accoglie con un sollevare le sopracciglia in un'espressione e un atteggiamento che rasenta la delusione e la frustrazione di non essere nella posizione di ribattere. Sospira affondo e si gira il pacchetto per metà ancora pieno tra le dita, cosciente di non voler fare altro se non accendersene una seconda. Evita per non far salire la tensione ulteriormente alle stesse di già. « Hai deciso di voler vincere il premio come più stupida dell'anno? No, perché davvero, ci stai riuscendo alla perfezione. » Sospira affondo, costringendosi a lasciarlo parlare. Normalmente Teddy è quella che interrompe sempre, che con l'entusiasmo a mille non ti dà nemmeno il tempo di appesantire la situazione, ma la verità è che ora, se anche ne avesse voglia, non ne ha le forze mentali, e quindi lo lascia parlare, abbassando lo sguardo e continuando a tormentare la fogliolina di plastica di quel pacchetto di sigarette. « Mi sono fatto un sacco di domande, sai, dopo che sei scomparsa, inghiottita da quella nube di pece nera, come mi hanno riferito. Mi sono chiesta dove fossi, che fine avessi fatto, dove fosse Lizzie, se steste bene e, come conclusione finale di quei giorni di dubbi e punti interrogativi lasciati irrisolti, mi sono convinto che tu fossi morta. » Anche io. Anche io ero convinta che fossi morta. E a onor del vero forse sarebbe stato meglio per tutti. Lo pensa davvero. La nube grigia l'ha prosciugata. Tutto ciò che di positivo albergava il suo animo sembrava esser semplicemente sparito. Non voleva essere toccata, non le piaceva la compagnia, non le piaceva il rumore ma nemmeno il silenzio. Sembrava completamente disincantata, come se il mondo, per Theodore Lupin fosse rimasto in bianco e nero anche quando per tutti gli altri si era nuovamente tinto di colori e positività. Che cosa avrete mai da festeggiare? si chiedeva ogni qual volta una notizia festante incantava le pagine animate dei giornali. Siamo comunque esseri terribili. Ci siamo dati battaglia l'un l'altro comunque. Ci siamo scagliati gli uni contro gli altri. Pensate che il problema sia la Loggia? Davvero? Come ci spieghiamo allora tutto il periodo precedente alla nube grigia? « E alla fine mi sono anche messo l'anima in pace, sai? Ti sarei sempre stato riconoscente per aver prima pensato a me, per avermi messo in salvo, per avermi dato la possibilità di starvi accanto per un po', ma è per questo che hai dato il mio numero qui, no? Perché sono razionale, perché non mi faccio toccare da certi sentimentalismi e alla fine della giornata, penso sempre con una mente lucida, che mi permette di distinguere le varie situazioni. Sbaglio? » Scuote la testa, profondamente sconfitta da quelle parole, dispiaciuta, forse addirittura pentita. Si pente di quello che ha fatto e si pente di non aver provato abbastanza empatia nei confronti di tutte quelle persone che in fondo le volevano sin troppo bene perché potessero superare la sua scomparsa così facilmente. « E' così.. » Dice infine sollevando lo sguardo vacuo sulla figura di lui. « In fondo, razionale lo sei stato se ti sei messo l'anima in pace in così poco tempo. » Non è un'accusa. In fondo, Teddy quel suo essere poco istintivo, sempre calcolato e sobrio nei suoi comportamenti e nelle sue azioni l'ha sempre apprezzato. Dash era tutto ciò che lei non sarebbe mai stato. Contenuto. Una qualità che gli ha sempre invidiato e che ha anche spesso e volentieri sottolineato prendendolo in giro nei mesi passati assieme. « Però una cosa voglio chiedertela, perché è un pallino fisso da ieri e sai quanto detesti le domande che non trovano una loro naturale risposta. Cosa hai pensato? Voglio sapere cosa ti è passato per il cervello quando hai deciso di ficcarti in bocca e mandare giù quel flacone di medicinali, insieme alla vodka. » Stringe i denti e i pugni cercando di farsi scivolare di dosso quelle implicite accuse che riescono a colpirla nel vivo della questione. « Dash.. smettila. » « Voglio sapere se hai anche solo pensato ad uno di quei poveri stronzi qua fuori che aspettano da ieri di poter vedere come stai. » « Basta.. » « Hai pensato al volto dei tuoi genitori? A quelli dei tuoi fratelli? Ti è passato, anche solo per un fottutissimo istante, per l'anticamera del cervello, di pensare a come avresti lasciato Lizzie? » Lizzie. La sua Liz. La piccola Elizabeth. Quel piccolo raggio di sole che ha cambiato la sua vita dal giorno alla notte e l'ha posta nella condizione di cambiare completamente tutte le sue abitudini. Non pensava fosse possibile amare così tanto un esserino, finché non era arrivata lei. E poi a lei si era aggiunto Jay. E tutti e tre assieme, si erano ritrovati a condividere un periodo idilliaco. Quei ricordi sono ancora così vividi nella sua mente che quando la nomina, i suoi occhi si tingono di sfumature lucide. « Sei uno stronzo. » Una frase che taglia di netto quella conversazione, mentre lo sguardo chiaro di lei si precipita verso il volto di lui come a tentare di spiegargli qualcosa che lui non vedrà comunque. Sei contento ora? Ti senti meglio? « Voglio solo capire quanto io mi sia sempre sbagliato su di te. Qual è stato il tuo ultimo pensiero mentre buttavi via la tua intera via, per cosa poi? Per un po' di sonno extra? O davvero volevi ammazzarti senza dire niente a nessuno? E' questo che sei diventata ora? » « OH, DAMMI UN PO' DI TREGUA! » Si ritrova a sbottare di scatto, in un raptus di rabbia che non ha nulla di naturale. Fa anche questo. Quella merda fa anche questo. E di scatto se ne accorge. Le mani tremano, il cuore batte con un'intensità talmente forte da essere sul punto di esploderle nel petto. E lì si convince a respirare. Estrae un'altra sigaretta dal pacchetto e lo fissa con uno sguardo minaccioso. Ormai è naturale sapere che con lui tutte quelle gestualità che funzionano con la maggior parte delle persone, non hanno effetto. Sa che deve parlare. E quindi « Non azzardarti a spegnermela o giuro che ti faccio male. » Non lo pensa davvero, e in fondo, Teddy è pur sempre uno scricciolo rispetto a Dash. Uno scricciolo particolarmente fastidioso, che parla tanto e a volte anche male, ma pur sempre uno scricciolo. E così si accende la sigaretta e ispira affondo. Una, due, tre volte, mentre il silenzio si instaura tra loro e lei riacquista uno stato mentale che si avvale di un po' di lucidità. Lizzie. Ancora una volta ci pensa e pensa a quanto le ha fatto male sentirlo parlare così, percepire tutta quella delusione che traspariva dalla sua voce. « Ricordi cosa ho detto quando Laura è morta? » Laura è pesata sulle sue spalle assieme a Jay per quasi due mesi; quando li aveva trovati era già molto malata e oltre a quello continuava ad annegare la propria malattia in una serie infinita di droghe più o meno leggere. Dash aveva vissuto soltanto la fase più difficile della sua malattia. Gli ultimi giorni prima che passasse a miglior vita. Eppure, non era stato difficile comprendere il tipo di persona che era stata.
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    « Ho detto.. meglio così. Chi cazzo dice questo della madre del proprio nipote? Avevamo appena finito di raccontargli trecento storie sul perché il padre non stesse tornando e ora dovevamo fare lo stesso per la madre. » Che vita di merda. Lo sguardo vacuo di lei si perde nel nulla mentre ricorda quanto difficili siano stati quei mesi. « Non ero tenuta a dire niente. Dovevo solo darle degna sepoltura. Eppure io l'ho detto e l'ho pensato. » E mi sono sentita una vera merda ai tempi. « Quella ragazza faceva solo stare peggio quel bambino. Lo mortificava e non lo capiva. E lui non capiva lei. Non serviva a niente. » Azzarda infine cinicamente, lasciando intendere nello specifico quanto la sua situazione con Lizzie sia simile a quella tra Laura e Jay di non più lontano di un anno prima. « Dopo il lampo bianco sono finita dritta nel CIM. Tre settimane dopo.. io ero Laura. » Si stringe nelle spalle mentre il dolore di quell'affermazione si dipana nelle sue arterie, fino a schiacciarle il cuore sotto il peso di quella consapevolezza. Non avevo nulla che non andasse. Me l'hanno detto e ridetto. L'hanno detto ai miei genitori. L'hanno detto a tutti i miei parenti. Avevo solo bisogno di riposo, hanno detto. Non avevo nulla che non andasse, eppure nulla andava bene. Potrebbe parlare per ore di quella condizione, di come si sentiva, ma a dirla tutta, non avrebbe nemmeno saputo da dove iniziare. Non era qualcosa in particolare. Era il tutto. Per un motivo che non riusciva a comprendere non riusciva più a vedere il bello della vita. Proprio lei che più di una volta lo aveva detto: i choose to see the beauty. « Proprio tu dovresti vederlo. Non è cambiato nulla. » Asserisce di scatto colta da un improvvisa frustrazione rimasta lì latente per tutto quel tempo. « Per cosa abbiamo lottato? Per cosa ho lottato io? Per cosa mi sono sgolata, per cosa ho rischiato la vita? Ora ci crogioliamo nelle nostre sopraggiunte sicurezze mentre là fuori, Dash, è tutto come sempre. Lo hai scritto questo nel tuo giornale? Hai scritto che non abbiamo imparato niente. I ricchi sono ancora ricchi. I poveri sono ancora poveri. La legge non è uguale per tutti, le guerre ci sono ancora.. ma a noi non ce ne frega un cazzo, perché oh, siamo in fase di Restaurazione e il sole splende ancora alto su Londra. » Scuote la testa. Si rende conto che non c'è nulla da fare. Si rende conto che il loro compito di giornalisti non è quello di combattere, ma di raccontare nella speranza che le coscienze delle persone si risvegliano. « Sai qual era la cosa migliore di ciò che c'era prima? Il fatto che uno valeva uno. Per la prima volta ci eravamo accorti di cosa significasse guadagnarci davvero ogni fottuto pezzo di pane che ci era concesso. » Pausa. « I babbani non ricordano cos'è successo e i maghi si crogiolano nell'illusione che ora tutto sarà diverso. » Di scatto la voce diventa niente più che un sussurro. « Ma oggettivamente.. tutto cambia perché nulla cambi. » Deglutisce. « Mi sembra di essere intrappolata in un fottuto loop temporale. Pare quasi che siamo tornati a due anni fa. Chi doveva pagare non ha pagato. Siamo tutti liberi, tutti allo sbando, tutti pronti a rifare di nuovo gli stessi errori.. a ricominciare.. » Si stringe nelle spalle sconsolata. « Come si fa a ricominciare quando ci siamo voltati le spalle l'un l'altro, ci siamo dati la caccia, abbiamo inveito l'uno contro l'altro. E' un'ipocrisia del cazzo. » Si passa le mani tra i capelli ormai esaurita. « Dove sono i colpevoli? Chi devo colpevolizzare per esser rimasta chiusa, al buio, in un posto di merda, per due mesi e mezzo, a errare tra mostri, al freddo, senza cibo e acqua, tra cadaveri e melma nera. » C'è rabbia in quelle parole. C'è un dolore lacerante che esala a denti stretti. « Con chi me la devo prendere? » Non lo so. Sto cercando qualcosa, qualcuno, una ragione, qualunque sorta di appiglio a cui aggrapparmi, ma non trovo niente. Niente.
     
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    « E' così..In fondo, razionale lo sei stato se ti sei messo l'anima in pace in così poco tempo. » Per Dash, il tempo è sempre stato estremamente relativo. Da metà agosto che lei è scomparsa, lui ha avuto tempo per pensare, elaborare e infine, decidere di provare a concentrarsi su altro. "Il suo sacrificio non deve essere stato fatto invano. Glielo devo." A quella Teddy, lui doveva la vita. Fino in fondo, era stata la Grifondoro che ricordava dai tempi di Hogwarts. Aveva messo, inspiegabilmente, i propri bisogni da parte e aveva dato la priorità a lui. Cosa per la quale, non poche volte, si era sentito in colpa. Lui, che solitamente vive solo di certezza e fatti oggettivi alla mano, era arrivato a rigirarsi nel letto, nelle prime notti dopo la seconda apertura di Hogwarts, con quel continuo e martellante pensiero fisso. I suoi occhi, quegli occhi che era riuscito a vedere, per qualche ora, fin troppi mesi prima, svanire nel nulla, tra nebbie e oscurità. La sua mente, razionale e distaccata, come dice lei, aveva ricamato per giorni un'immagine che i suoi occhi non avevano nemmeno visto, ma che era lì, presente, ogni qual volta provasse a chiudere le palpebre. E' colpa mia se è morta. Una frase, ormai, che era diventata la sua compagna fedele. Ed era scesa a patti con essa, è vero, perché Dash la morte la conosce da quando ha sei anni e come aveva visto la sua famiglia essere fatta a pezzi proprio di fronte agli occhi, anche in questa occasione ha deciso di farsi scivolare apparentemente la cosa addosso. La prima volta aveva avuto la fortuna di non vederci più, da lì all'anno successivo, con Teddy aveva preso il lavoro come unica via di scampo da quel suo continuare ad incolparsi continuamente. « Basta.. Sei uno stronzo. » Ha ragione, lo è davvero. Lo è perché l'unica cosa che riesce a pensare è che è anche colpa sua se Teddy ha buttato giù quelle pillole, annacquate con la vodka. Era stato tutto un effetto domino. Se lei non l'avesse salvato, non sarebbe stata presa dalle spire dell'oscurità e non avrebbe visto le peggio cose che l'hanno portata ad imbottirsi, per non pensarci, probabilmente. Ha senso, quel ragionamento, eppure, se c'è questa parte colpevole di lui, c'è anche una parte che non riesce a concepire quanto sia stata stupida nel buttarsi volontariamente in quella merda. E questa è la parte che prevarica, mentre il suo sguardo si indurisce sotto gli occhiali, scuri per l'occasione. « L'hai sempre saputo. Non è una novità. » Commenta, pizzicandosi la barba sul mento, mentre continua a guardare fuori. « OH, DAMMI UN PO' DI TREGUA! » Si aspettava una reazione simile, per questo non salta sul posto nel sentire quell'urlo che non ha niente di Teddy. « Non azzardarti a spegnermela o giuro che ti faccio male. » E' una continua battaglia, la loro. Anche dopo tutto questo tempo, si ritrovano a fronteggiarsi, per una sigaretta, questa volta. Si stringe nelle spalle, allora Dash. « E' evidente ormai che non ti frega nulla di te stessa, ma perlomeno potresti aver rispetto per gli altri pazienti qui dentro. Sai? Quelli che stanno male davvero. » Deglutisce, sentendo un nodo in gola nel dire quelle parole. Anche in quel frangente, non riesce a mettere da parte le proprie opinioni, il proprio giudizio personale. Forse perché spera di essere la sua "wake up call", di poterla scuotere da quel torpore nel quale è caduta irrimediabilmente. Forse semplicemente perché è uno stronzo fatto e finito, come ha appena giustamente detto lei. « Ricordi cosa ho detto quando Laura è morta? Ho detto.. meglio così. Chi cazzo dice questo della madre del proprio nipote? Avevamo appena finito di raccontargli trecento storie sul perché il padre non stesse tornando e ora dovevamo fare lo stesso per la madre. » Si perde dietro il ricordo di quei giorni, dietro quanta fosse stata la fatica impiegata nello spiegare a Jay il perché sua mamma non fosse più lì con lui. Un orfano, senza volerlo, com'era stato lui. « Non ero tenuta a dire niente. Dovevo solo darle degna sepoltura. Eppure io l'ho detto e l'ho pensato. Quella ragazza faceva solo stare peggio quel bambino. Lo mortificava e non lo capiva. E lui non capiva lei. Non serviva a niente. Dopo il lampo bianco sono finita dritta nel CIM. Tre settimane dopo.. io ero Laura. » Scrolla la testa, quasi come se non volesse sentire una sola parola di quelle che lei ha appena detto. « Ma che cosa stai dicendo? » Si ritrova a dire, mentre sente il sangue ribollirgli nelle vene. « Credi di essere diventata un peso per Lizzie? » Continua a tartassarla di domande, volgendo il capo verso la sua direzione. « Non so che ti sta succedendo nella testa, ma scendici a patti il prima possibile perché Lizzie è una tua responsabilità e di nessun'altro. E' tua figlia per l'amor del cielo, Teddy. Svegliati! I bambini non si abbandonano così. Non sono un ornamento carino che si usa solo quando fa comodo, ma poi, quando ci succede qualcosa, si decide di lasciarli indietro, tanto c'è qualcun altro di più meritevole che si prenderà cura di loro. Non funziona così. » E fa un cazzo di schifo, quando invece è così che gira il mondo. « Io non so niente sul come essere un bravo genitori, ma una cosa la so: a quella bambina glielo devi. Le hai fatto una promessa, che ti saresti presa cura di lei quando sua madre è morta. E non c'è nessun trauma psicologico che tenga. Lo devi mettere da parte perché lei conta su di te e abbandonandola a se stessa, non le stai facendo del bene. Non è "meglio così." La stai soltanto distruggendo. » Riprende fiato, accorato e decisamente poco calmo, per i suoi standard. Si sente la rabbia smuoverlo da dentro, la sente, che vorrebbe nuovamente farlo parlare, aprire bocca e dirgliene ancora altre mille, per spiegare quanto faccia schifo vedersi portar via un punto di riferimento così importante. Perché Lizzie è in quell'età in cui sente, percepisce, capisce tutto. E sente la mancanza di Teddy, ne è certo, non può fare altrimenti. E c'è una parte di Dash che sa bene che, se la ragazza continuerà a fare determinate scelte, allontanando la piccola sempre di più, Lizzie arriverà ad odiarla per questo e Teddy non se lo perdonerà mai. « Devi rimettere a posto i pezzi e farlo anche in fretta altrimenti sarà troppo tardi e te ne pentirai, credimi. » Riesce a dire dopo qualche istante, dopo aver preso qualche generoso respiro, per calmarsi. Perché lui, seppur li avesse visti morire, per mano di altri, da piccolo ha sempre dato un po' la colpa ai suoi genitori per aver fatto determinate scelte che li aveva portati alla morte. Lui si era ritrovato improvvisamente solo, privato dei suoi punti cardine, perché loro non avevano pensato. Così come sta facendo Teddy. Lei non pensa, o meglio, pensa solo a se stessa, immaginando che, essendo diventata un pallido ricordo della se stessa sui cui tutti facevano affidamento un tempo, a nessuno possa servire più. « Aggrappati a lei per tornare ad essere te stessa. » E non deludere anche lei. Pensa, deglutendo, voltando nuovamente il volto verso la fioca luce che Londra emana. Sta diventando tutto più complicato di quanto si aspettasse, più pesante e non in maniera voluta. L'aria intorno a loro si tinge non solo dell'odore del fumo della sigaretta di lei, ma anche del profumo di tutte quelle sensazioni angosciose che gravano su di loro. Non c'è più distensione, non c'è più benessere, né ilarità, solo tante emozioni represse con il tempo e che sembrano voler sfociare lì, in quell'esatto istante. « Proprio tu dovresti vederlo. Non è cambiato nulla. Per cosa abbiamo lottato? Per cosa ho lottato io? Per cosa mi sono sgolata, per cosa ho rischiato la vita? Ora ci crogioliamo nelle nostre sopraggiunte sicurezze mentre là fuori, Dash, è tutto come sempre. Lo hai scritto questo nel tuo giornale? Hai scritto che non abbiamo imparato niente. I ricchi sono ancora ricchi. I poveri sono ancora poveri. La legge non è uguale per tutti, le guerre ci sono ancora.. ma a noi non ce ne frega un cazzo, perché oh, siamo in fase di Restaurazione e il sole splende ancora alto su Londra. » Aggrotta le sopracciglia, sospirando rumorosamente. Certo che lo sa, la vede anche lui tutta l'ipocrisia di fondo che serpeggia alla Gazzetta come al Ministero, come ha potuto constatare durante una delle sue ultime interviste al nuovo Ministro. Nessuno ha veramente perdonato nessuno e tutti rimangono così, in balia delle loro posizioni sul campo, sperando di non cadere nuovamente dal piedistallo. « Sai qual era la cosa migliore di ciò che c'era prima? Il fatto che uno valeva uno. Per la prima volta ci eravamo accorti di cosa significasse guadagnarci davvero ogni fottuto pezzo di pane che ci era concesso. I babbani non ricordano cos'è successo e i maghi si crogiolano nell'illusione che ora tutto sarà diverso. Mi sembra di essere intrappolata in un fottuto loop temporale. Pare quasi che siamo tornati a due anni fa. Chi doveva pagare non ha pagato. Siamo tutti liberi, tutti allo sbando, tutti pronti a rifare di nuovo gli stessi errori.. a ricominciare.. Come si fa a ricominciare quando ci siamo voltati le spalle l'un l'altro, ci siamo dati la caccia, abbiamo inveito l'uno contro l'altro. E' un'ipocrisia del cazzo. Dove sono i colpevoli? Chi devo colpevolizzare per esser rimasta chiusa, al buio, in un posto di merda, per due mesi e mezzo, a errare tra mostri, al freddo, senza cibo e acqua, tra cadaveri e melma nera. Con chi me la devo prendere? » Rimugina sopra quelle parole e da qualche istante di silenzio, si propaga a minuti di completa quiete, fin quando decide di muoversi. Recupera il bastone, tastando il muro con le dita fino a trovarlo, per poi avvicinarsi all'ombra di lei. Trova una poltroncina, lungo il cammino, abbastanza vicina al letto e vi ci siede sopra. « Non è cambiato niente se è così che la vogliamo vedere. » Prende a dire, a voce bassa. « Le guerre non possiamo evitarle in alcun modo. Siamo umani, non siamo di certo degli Dei che dall'alto hanno facoltà di mettere bocca su certe cose. Ma per ora c'è la pace nella nostra società. Sarà provvisoria? Non lo so, ma c'è. » Si passa una mano sopra la barba rada, prima di appoggiare il braccio alla poltroncina. « E' un passo avanti. Nessuno ha detto che dobbiamo dimenticare, ma si sta cercando di migliorare, proprio a partire dai ricordi di ciò che è stato. Io sto provando a fare questo. Alla redazione, ora, ci sono persone che mi volevano morto, che erano dall'altra parte della barricata. Li devo uccidere per aver scelto una fazione opposta alla mia, per i loro sacrosanti motivi? No, cerco di andarci d'accordo, di trovare un punto di connessione per non arrivare mai più ad un malcontento tale da riaprire la guerra su due, tre, quattro fronti differenti. » Probabilmente quel discorso non farà assolutamente differenza per lei, non avrà alcun significato, ma se c'è una cosa che ha capito è che da ogni guerra, si esce così: nessun vincitore, nessun vinto, solo dei sopravvissuti che tenteranno nel loro piccolo di provare a ricadere nei vecchi e tossici errori. « Chi devi incolpare? Io non lo so. Posso dirti che hanno rinchiuso delle persone, legate a questa faccenda. Sono al CIM, di sotto. Le stanno valutando, stanno cercando di capire quanto fosse forte il loro l'asservimento con quel posto. » Si ferma qualche istante, per umettarsi il labbro inferiore. « Vuoi andare ad incontrarli? Vuoi vederli in faccia? Menarli? Peggio? E' questo di cui pensi di aver bisogno per tornare ad essere te stessa? Perché se così fosse, ti ci porto ora, subito. Se pensi davvero che questo possa darti un po' di pace, dai, andiamo ora. » Le fa cenno con la testa, verso la porta. Forza, se è questo che
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    vuoi, sono pronto.
    « Che vuol dire essere un eroe. Di James Ridley. » Prende a dire, mentre si porta in avanti, con i gomiti che si poggiano alle ginocchia e le mani che si stringono l'una all'altra. « Che cosa vuol dire essere un eroe? Guardati allo specchio e lo saprai. » Cita a memoria i primi passi di uno degli articoli che l'aveva convinto a prendere come collaboratore James Ridley, il suo pseudonimo maschile. « Guardati negli occhi e dimmi che non sei un eroe, che non hai sofferto, sopportato o perso le cose a te più care. » Continua nel ripeterle alcune delle sue parole. « Eppure, sei qui, una superstite e devi essere un eroe per essere sopravvissuta a tutto questo. » Aggiunge parole sue, fondendole e amalgamandole a quelle di lei. Alza lo sguardo e sorride, debolmente. « Alcuni lo sono più di altri, ma nessuno è mai davvero da solo. Tu non sei da sola. E tu vivi qui. Tu sei qui. Tu hai dato voce a chi non l'aveva più e puoi continuare a farlo, ogni giorno, per cause differenti. Perché tu vivi in mezzo alla gente, tu sai, vedi. Tu sei una giornalista, Teddy e questo è un bene prezioso. Non va sprecato. » Continua, con una cadenza sempre più veloce e piena di pathos, mentre le rivolge le parole che sua madre, al suo primo giorno alla Gazzetta, gli ha detto. « Hai resistito a tanto e devi continuare a farlo, a testa alta. Perché tu sei stata un eroe. Tu sei l'eroe di Lizzie. Se non per te stessa, fallo per lei. » Continuare ad andare avanti, non bloccarti, non arrenderti, continua. « Guardati allo specchio e vedi semplicemente ciò che sei veramente. » Riconosciti o sarai perduta.
     
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3 replies since 29/10/2018, 18:41   89 views
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