shame

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  1. kween bee
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    « Ma, tipo, a qualcuno è venuto il leggero sospetto che ad allenarci con un tempo del genere, potremmo avere non pochi problemi? » Cinguetta la mora, lanciando un'occhiata verso i grossi finestroni che la separano dal mondo esterno. Si trova assieme alle sue compagne di squadra all'interno degli spogliatoi femminili, in prossimità del campo da quidditch. La scuola è iniziata da poco, e tutto sta -lentamente- tornando alla normalità. Lezioni, pranzi e cene, allenamenti, ogni cosa. Hanno fatto un bel lavoro, dopotutto. Hanno, per l'appunto, perchè lei -sostanzialmente- non ha smosso un dito in tutto ciò. Non che non abbia voluto farlo, s'intende (beh a volte sì, ma, a sua discolpa, non sempre!) ma semplicemente, non era capace di farlo. Sì insomma, ogni qualvolta stringesse la bacchetta tra le mani, trotterellando qua e là con l'intento d'aiutare, qualche esplosione involontaria o i capelli di una povera malcapitata mandati involontariamente (non si trattava mica di Meredith Copperfield, da anni acerrima rivale della buon vecchia Greengrass, nono!) a fuoco capitavano assai inaspettatamente. In poche parole, alla fine, l'ormai soprannominata schizzata Ariadne Silente, era stata gentilmente allontanata da qualsiasi raggio d'azione. Per il bene suo e, specialmente, di chi le stava attorno. Non che di questo, Beatrix, se ne fosse accorta in quei giorni. I suoi commenti ai vari "no, Ari, tranquilla, ce la vediamo noi" si rivelavano sempre un misto tra "oh che gentile" e qualche "ci sono ancora i gentiluomini di una volta", con conseguente eyeroll da parte della povera Vicky. Ma in fin dei conti, era fatta così. La sua testolina non arrivava oltre quel limite preimpostato, e dopotutto mai se ne era lamentata, figuriamoci adesso, che di problemi ne aveva di ben più gravi. Tipo in questo momento. « Andiamo, come ci si allena col vento forza mille? E se mi si staccano i capelli e volano via? E se quando ti lanciamo il vento ti trascina chissà dove come un palloncino? » Lancia un'occhiata verso la Weasley, l'espressione seriamente preoccupata. « Sei piccolina e leggera..Può succedere no? » Batte le palpebre più di una volta, in un chiaro segno di confusione, prima di percepire alcune risatine alle sue spalle. Si gira di scatto, dunque, lo sguardo glaciale terribilmente assottigliato, pronta a sguainare una lingua intrisa d'acido contro le stronze (alias: le sue compagne di squadra, a parte Victoire) alle sue spalle. E sta per schiudere le labbra, quando è la Weasley a contrapporsi tra lei e le ragazze. « Non creeeeeeedo che succederà, ma sei davvero gentile a preoccuparti per la mia salute, Ari. Il buon cuore non è mai una colpa, vero? » Sembra rivolgersi a tutto il resto della squadra, che torna in religioso silenzio, chi intento a sistemare le divise, chi a frugare nei propri armadietti. « Forse hai ragione, però. Non penso che qualcuno piangerà, se ritardiamo gli allenamenti di qualche giorno. ..Beh a parte i guardoni già appostati in platea, immagino! » Ridono entrambe, di una risata cristallina che aleggia nell'atmosfera generale dello spogliatoio. E' sempre così, dopotutto, quando si tratta di Vicky. Quella biondina che un tempo avrebbe reputato solo l'ennesima infornata di quella vagonata di poveracci, in quei pochi giorni di convivenza, si è rivelata per lei una presenza costante e, specialmente, essenziale. Le piace passare il suo tempo con lei, tanto da considerarla la sua prima -vera- amica lì dentro, al di là di Maze. Perciò annuisce, la mora, ravvivandosi i capelli con le dita e lanciando un'occhiata fuori; il vento che colpisce duramente i vetri, facendoli vibrare violentemente. « I tornado esistono solo nei film e in America, vero Vicky? » La bionda ride, annuendo, per poi agguantare il borsone e proferire qualche passetto verso l'uscita interna che le ricondurrà al castello. E fa per seguirla, Trix, quando un pensiero la fa balzare sul posto, con tanto di palmo della mano sbattuto contro la fronte, con fare teatrale a prima vista, ma in realtà così naturale per lei, che si rivela un cartone animato vivente, principalmente. « Ho lasciato le mie cose sopra, al campo. » Annuncia « Lo so, non è stata una mossa intelligente, ma.. » Si stringe nelle spalle. « Ti raggiungo io in sala grande, okay? Dobbiamo fare merenda che ho super mega famissima! » Annuisce, sporgendosi in avanti per lasciare un candido bacino sulla guancia dell'amica. « Sicura di non volere compagnia? » Le domanda quest'ultima, l'espressione vagamente apprensiva « Tranquilla, non mi mangerà nessuno. Con questo tempo chi vuoi che ci sia, al piano di sopra? » [...] « ...Ma perchè parlo? » Borbotta tra sè e sè, lo sguardo che vaga sulla platea non zeppa, ma abbastanza piena di gente. Pressochè pubblico maschile, casualmente, molto più coraggiosi di lei, a fronteggiare quel tempaccio. Respira a fondo, dunque, stringendo i pugni ed annuendo tra sè e sè. Neanche si sono accorti di me. Adesso prendo la borsa e sparisco. E' tutto perfettamente okay. Si ripete come un mantra, mentre avanza impettita verso il borsone dalla stoffa violetta, abbandonato su di una panca distante di qualche metro. Lo raggiunge con passetti veloci e ticchettanti, ma non appena si china, per controllare che nulla sia stato trafugato dalla sua borsa, una folata di vento per poco non la fa volare. Squittisce, presa alla sprovvista, ma sa bene che non finisce lì, perchè in fondo lei è lei, e la sfiga è la sfiga. E infatti, non appena si rimette in posizione eretta, ecco che ulteriori folate le lasciano svolazzare la gonna, scoprendola interamente. Urlacchia, e quando si copre davanti la gonna si alza da dietro, e viceversa. Resta impantanata in quell'umiliante spettacolo per dei buoni cinque minuti, fin quando il vento decide di essersi divertito abbastanza, lasciandola finalmente in pace e..libera di soffermarsi sul resto. Ovvero una vagonata di gente che adesso la sta fissando.
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    Ci sono risatine ovunque, specie tra i ragazzi più vicini, che si scambiano occhiatine e gomitate. E generalmente la prenderebbe a ridere, una cosa del genere, Trixie, la solita Trixie di sempre. Ma non adesso, no. Adesso si sente le guance andare a fuoco, ed una sensazione di soffocamento non indifferente, che fa sì che tutti i fischi, le risate ed i commenti di dubbio gusto di alcuni dei suoi compagni aleggino nella sua mente in maniera ovattata, come si trovasse in una bolla. Una bolla dalla quale sente la necessità di scappare, e questo fa, agguantando il borsone alla meno peggio per metterselo in spalla. E cammina veloce, quando l'ennesima folata di vento la colpisce di nuovo. Si gira, le dita serrate sui lembi della gonna svolazzante, per controllare che non abbia dato ulteriore spettacolo, ma non ha neanche il tempo di accertarsene, che si ritrova a sbattere contro qualcosa di duro. O meglio, qualcuno, ma di questo se ne accorgerà soltanto una volta riaperti gli occhi al seguito della sua brusca caduta al suolo. « Cavolo! » Sbraita, i capelli davanti alla faccia e le gambe divaricate. « Se sei quì per uno spettacolino privato fatti un favore e vacci da solo a fanculo prima che ti ci mandi io! » Urlacchia, scostandosi i capelli dalla faccia con fare nervoso. Alza lo sguardo solo in quel momento, ed è allora che le si raggela i il sangue nelle vene. Okay, non solo tutti conosceranno il mio culo da oggi in poi, ma adesso passerò alla storia anche come la povera stronza morta d'infarto a sedici anni. Dopo aver mostrato il culo a mezza scuola. Che morte di merda. Resta con lo sguardo sbarrato, a boccheggiare, mentre continua a fissare il malcapitato in questione. Sebastian Grindelwald si erge dinnanzi a sè in tutta la sua affascinante figura, con lei che è lì, col culo per terra, le gambe aperte e la gonna svolazzante. Se ne rende conto solo in quel momento e le richiude, improvvisamente, con una mossa decisa. Dio, uccidimi ora. Non sa cosa fare, allora decide di rialzarsi con un balzo veloce, ma la testa le gira ed ha bisogno di qualche momento prima di riprendere equilibrio. Bene, e ora che faccio? Lo guarda di sottecchi, torturandosi l'interno della bocca. « Non..Non devi andarci a fanculo davvero, scusa » Mormora, visibilmente a disagio « Pensavo fossi uno di loro.. » Indica alle sue spalle, ma non si gira a guardare quei disgraziati che è più che certa stiano rincarando la dose, adesso, trovandosi a parlare con un maschio. Nota però, nonostante tutto, che la sua gonna deve essersi strappata durante la caduta, rendendo la sua situazione precaria, ancora più critica. Sospira « Se vuoi ridere anche tu però non ti picchio, tanto ormai.. » Non ho più una reputazione e tu probabilmente mi odi. Wiiiii! « Lo so, lo so che dovremmo parlare, e non scapperò, promesso...Ma possiamo farlo non quì? Per favore. »
     
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    Ha deciso di provare a fare scatti diversi, per arricchire maggiormente il bagaglio del proprio portfolio. Ha quelle artistiche, ha i ritratti, ha un sacco di soggettive, ma non ha fotografie in movimento e dove può trovare maggior movimento se non al Campo da Quidditch? Ha passato tutta la mattina a settare la propria macchinetta, con il naso appiccicato al libro di fotografia, per capire i parametri migliori per riuscire ad usare quella particolare tecnica magica. Solitamente, si è sempre e solo fermato alla semplice fotografia babbana, un qualcosa di statico, che rimane immutato nel tempo, ma che, con il senno di poi, non è mai riuscita a fargli provare, effettivamente, l'emozione che andava ricercando in quello scatto. Per questo motivo, vuole provare a capire se, con il movimento, può riuscire ad arrivare alla vera essenza, così da percepire il mood della foto, anche ad una semplice occhiata, ad anni di distanza. Così, dopo aver studiato al meglio il settaggio magico della macchina fotografica, decide di spericolarsi verso il campo, seppur sia in atto una vera e propria tempesta. Non si stupirebbe se, da un momento all'altro, si alzasse un uragano da terra e lo trascinasse via, inglobandolo nella sua forza disumana. C'è troppo vento, così tanto da fargli quasi resistenza, mentre si spinge imperterrito in avanti. Ad occhi semichiusi, si stringe nella giacca di jeans imbottita di pelo, con la sciarpa che gli copre fin sopra la bocca e le braccia che pressano contro il petto, così da proteggere sia la macchina, sia se stesso. Okay, forse non è stata proprio una grandissima idea, si ritrova a pensare quando, una volta arrivato al campo, non sembra esserci nessuna squadra intenta ad allenarsi. Sale le gradinate, a due a due, finché non è arriva nella parte più alta, lì dove sembra essersi radunata un po' di temeraria gente. Il vento continua a schiaffeggiarlo da ogni angolazione, ma lui, impavido, si avvicina ad una ragazza, cercando di non cadergli addosso, tanto è la furia che gli si sta riversando addosso. « Ehm, scusami, sai per caso se qualche squadra spiccherà il volo, oggi? » La ragazza, seduta, si volta verso di lui e per un attimo lo fissa in silenzio. Okay, imbarazzante, ora conto fino a tre e indietreggio con lentezza e nessuno se ne accorgerà. Uno..due.. « Secondo te? Con questo tempo riuscirebbero ad allenarsi? » Sebastian corruga le sopracciglia nel momento esatto in cui si sente preso alla sprovvista da quell'appunto così lineare e logico. Annuisce perciò, dopo qualche istante, sorridendo al di sotto della sciarpa. « Oh, beh, non fa una piega in effetti, hai ragione! » La voce esce ovattata da sotto il pesante strato di lana, ma immagina che la ragazza di Corvonero abbia capito alla perfezione le sue parole perché sorride, a sua volta. « Ma se devi fotografare per forza qualcosa, c'è sempre l'allenamento delle cheerleaders. Credo che oggi tocchi alle Fairies. » Si guardano per qualche istante, prima che sia lei a proseguire. « Sei qui per questo, no? Non sei tu il fotografo del giornalino? » Lui annuisce per qualche istante, per poi scrollare la testa, in maniera del tutto confusa. « Ero. C'è l'idea di farlo risorgere, ma ecco, niente di concreto al momento. » « Quindi sei qui per..? » Perché sono qui? Boh, io volevo solo fare qualcosa di diverso oggi. « Per un qualcosa che pensavo sarebbe avvenuto ma che non avverrà, a quanto pare. » Parla e si rende conto, soltanto in un secondo momento, di quanto quella frase possa apparire confusa e un blaterale senza senso. Così accenna una risata. « Enniente, grazie mille e buona giornata! » Saluta con un cenno di mano, prima di cominciare a ridiscendere gli scalini di corsa, per sconfiggere la forza del vento che gli si oppone. E' da qualche secondo con i piedi immersi nell'erba bagnata della pioggerellina che è scesa di prima mattina, quando qualcuno gli si scaraventa addosso, rimbalzando all'indietro, mentre lui rimane in piedi, come se niente fosse, seppur leggermente intontito. « Ehy, guarda un po' dove metti i piedi! » Commenta, scrollando la testa, come a volersi riprendere da quella botta improvvisa, quando il suo sguardo si ferma sulla ragazza che è a terra. E gli si gela il sangue nelle vene, così come la mascella si serra sotto la pesante coltre della sciarpa. « Cavolo! Se sei quì per uno spettacolino privato fatti un favore e vacci da solo a fanculo prima che ti ci mandi io! » Inarca le sopracciglia, vagamente confuso, mentre lo sguardo bicolore vaga oltre le sue spalle, lì dove c'è una folta folla di spettatori, sugli spalti, perlopiù ragazzi che guardano Ariadne, si danno gomitatine tra di loro e ridacchiano sotto i baffi. Sembrano ridere di lei.. Non sa cosa sia successo, ma lo sguardo si inasprisce a tal punto da costringerlo a parlare. « Che ne dite di andarvi a fottere tutti? Magari a vicenda, così, per scoprire i nuovi orizzonti. » Urla loro contro, prima di essere richiamato all'attenzione dalla mora che, in tutta fretta, si rialza, come avesse preso la scossa. « Non..Non devi andarci a fanculo davvero, scusa. Pensavo fossi uno di loro..» Si stringe nelle spalle, non tornando a guardare oltre le sue spalle, solo per decenza. « Beh, sbagliavi! » Taglia corto, non riconoscendosi in quella fredda e aspra voce, ma gli è impossibile fare qualsiasi altra cosa con lei. « Se vuoi ridere anche tu però non ti picchio, tanto ormai..Lo so, lo so che dovremmo parlare, e non scapperò, promesso...Ma possiamo farlo non quì? Per favore.. » La guarda per qualche istante, lasciando poi scivolare i propri occhi verso il basso, lì dove la sua gonna sembra essersi
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    strappata. Senza dire nulla, si toglie la giacca e gliela passa, con espressione distante e quasi scocciata. « Copriti, sentirai freddo » le dice, mentre si stringe nella propria felpa, cominciando ad incamminarsi verso l'uscita del campo. E' in quell'istante in cui risente le parole di Brandon nella sua testa. " Dato che la tipa in questione ti ha riservato un comportamento da stronza, io lo prenderei come una vera e propria risposta a qualunque chiarimento tu le voglia chiedere: è una stronza, punto." E una certa dose di rabbia sembra rimontargli nelle vene, una rabbia però che riesce a tenere sotto controllo, senza nemmeno troppo sforzo, ormai abituato a quella nei suoi confronti. Ci ha convissuto dei mesi, prima di farsene quasi una piena ragione, fintanto che non l'aveva rivista lì, così distante, così diversa, tanto da non avvicinarsi nemmeno a lui. Di tanto in tanto, le lancia un'occhiata di sottecchi, come a voler controllare che sia ancora lì, seppur rimanga in silenzio, concentrando tutto se stesso sul provare a riscaldarsi con la forza della mente, così come le ha detto di aver visto fare alla tv, sua madre, un giorno in cui sembrava essere particolarmente lucida. « Credo che il momento delle chiacchiere e delle spiegazioni sia passato da tempo. » Lascia andare quelle parole tra di loro che, il vento sferzante, sembra voler confondere tra le spire di quella sua danza rumorosa. « Potevi, non so, parlarmi quando sei fuggita dall'ospedale, tipo, prendendo carta e penna, scrivendoci sopra le tue motivazioni, se proprio non ti andava di farlo a voce. » Riprende a dire, con più convinzione. Lasciare un bigliettino, dopotutto, per quanto sia davvero da vigliacchi, non lo sarà mai come lo sparire completamente da ogni radar. E' comunque più dignitoso e più rispettoso per chiunque è rimasto lì, in balia del non saper nulla. « Potevi scrivermi un messaggio, se di nuovo non ti andava di parlarmi. Potevi scrivermi una lettera, successivamente. Potevi fare mille cose e non ne hai fatta nemmeno una. » E io che, per il primo mese, non c'è stata una mattinata in cui non mi sia svegliato sperando di trovare un tuo post-it, attaccato alla porta, come facevi sempre per far pace, dopo aver litigato furiosamente. Sospira, con il fiato caldo che si infrange contro la lana pesante della sciarpa, inumidendola appena, mentre continua a camminare spedito, verso il castello. « Però c'è una cosa che ho capito, comune ad ognuna delle varie cose che avresti potuto fare e non hai fatto. C'era una premessa, ad ognuna di queste. "Se non ti andava di parlarmi a voce." » Riprende a dire, per poi voltarsi a guardarla, per la prima volta direttamente, da quando sono usciti dal campo. « Immagino che ormai sia chiaro il messaggio: non ti andava di parlarmi, non ti andava di scrivermi, non ti andava di far nulla a riguardo. E va bene, ci sta, non condivido assolutamente il comportamento che mi hai riservato, ma è in tuo pieno diritto comportarti come meglio credi e desideri. Sei nata libera. » Alza le sopracciglia, quasi a voler suggerire l'espressione amara che ha sul volto coperto a metà. « Perciò, spero che sia altrettanto chiaro quanto non rientri più nelle mie intenzioni il voler parlare, per provare a capire cosa ti sia passato per la testa. » Annuisce una volta, per poi guardare di fronte a sé. « Sono a posto così! »



    Edited by wanheda‚ - 3/11/2018, 19:30
     
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  3. kween bee
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    « Che ne dite di andarvi a fottere tutti? Magari a vicenda, così, per scoprire i nuovi orizzonti. » In tempi diversi, decisamente migliori, sarebbe rimasta a fissare un tale atteggiamento di difesa nei suoi confronti con grandi occhi meravigliati. Beatrix Greengrass, dopotutto, nel principe azzurro ci ha sempre creduto. Nel cavaliere dall'armatura scintillante, pronto a tenderti la mano nei momenti di difficoltà. Come quelli delle fiabe, perfetti nell'aspetto e nel carattere. Non è mai stata dotata, dopotutto, di quello che in tante decantano come femminismo. A Trixie essere la dama indifesa, da salvare, piace ed è sempre piaciuto. Essere la principessa della fiaba in attesa del suo guerriero, pronto a strapparla dalle fauci di chissà quale drago, solo e soltanto per amore. Ma, come già detto in precedenza, questi son tempi diversi. Non dei migliori. Lei è cambiata, così come cambiate sono le sue abitudini, i suoi modi di pensare, e le sue aspettative verso quel mondo che la circonda. Le fiabe l'hanno abbandonata nello stesso momento in cui è stata dichiarata morta. Ed il suo cavaliere senza macchia e senza paura ha perso il treno quando Tom ha deciso di entrare nella sua vita per rovinarla completamente. Aggiungiamoci poi il fatto che lei, proprio lei, ai conti dei fatti, da quel ragazzo non può e non deve meritarsi nulla, e arriveremo dunque al risultato ultimo. Un triste risultato in cui quel gesto si perde col vento, ed i suoi sogni da principessa assieme ad esso. Sospira, passandosi le mani sulla gonna stracciata, socchiudendo gli occhi nel sentire ancora qualche risatina alle spalle. Tutto ciò che vorrebbe in questo momento, sarebbe avere ancora Maze nella propria testa. Lei sì, che saprebbe come rivoltarsi verso quei quattro idioti e farli mettere a piangere, con due sole parole o una sola occhiata. Ma Trixie non è Maze. Trixie se ne resta lì, sotto le folate di quell'odiosissimo vento, lo sguardo basso in attesa che tutto finisca, da solo così come è iniziato. E sta ancora attendendo, quando lui le ripone la propria giacca sotto il naso e lei, confusa, il nasino arricciato, il muso imbronciato e gli occhi leggermente velati, rialza lo sguardo verso di lui. « Copriti, sentirai freddo » Allunga un braccio, come un animaletto ferito e spaventato, per agguantare quanto lui le sta porgendo. Il tono è scocciato, e ciò la fa sentire di troppo, ma ciò nonostante accetta comunque quel gesto, con un leggero sorriso a rischiararle il viso rabbuiato. Che gran rompipalle che devo essere. Ti abbandono, e quando rientro nella tua vita ti costringo pure ad essere gentile con me. « G-grazie » Mormora, prima di sollevare la giacca per infilarsela, attraverso le maniche, e poi abbottonarla. Le sta abbastanza grande e lunga da coprirla fino a metà coscia, riuscendo a nascondere così qualsiasi inconveniente. Vi si stringe dunque attraverso, riscoprendosi in una sensazione assai piacevole. Percepisce ancora il calore di lui attraverso la stoffa ed il suo profumo. E sa di buono, pensa, mentre ispira a pieni polmoni. Le piace. Ma non ha il tempo di soffermarsi ulteriormente, nè quello di concentrarsi se tutto ciò riesce a stuzzicare chissà quale ricordo remoto appartenente ad una coscienza a prima vista morta e sepolta, che si ritrova a doversi apprestare per seguirlo. Lui cammina, a grandi falcate che facilmente superano il suo passetto corto, e allora trotterella il più veloce che può, per arrivare a suo fianco. E a quel punto, con la grossa borsa issata su di una spalla ed i capelli che le svolazzano fastidiosamente sul viso, tanto da trovarsi a sputacchiare di tanto in tanto, per non mangiarseli, si concede di guardarlo. Per molto tempo da quando è rinata, si è domandata cosa Ariadne, la sua ospite, ci abbia mai trovato in quel Sebastian Grindelwald. Nessuna malizia, nessuna cattiveria, solo semplice curiosità. Solo un inutile voler trovare un punto di contatto con una persona ormai morta. Sarebbe tutto più semplice, se tu fossi quì, ad aiutarmi a vivere la tua vita. Almeno un po'. Ha sempre pensato e pensa anche adesso, mentre è intenta a guardarlo. Lui le lancia qualche occhiata di sottecchi di tanto in tanto, ma per il resto il suo atteggiamento resta freddo e distaccato. Guarda quanti guai ti sto portando, Ari. Pochi mesi che sono quì e già ti guarda con disprezzo. Ricerca inutilmente una voce che le risponda, un po' per abitudine, un po' per vile speranza, ma alla fine è lui a riportarla alla realtà, strappandola da quella desolazione che è la sua mente. « Credo che il momento delle chiacchiere e delle spiegazioni sia passato da tempo. » Sospira, mentre quelle parole aleggiano tra di loro, svolazzando attraverso il vento sferzante che li colpisce. « Potevi, non so, parlarmi quando sei fuggita dall'ospedale, tipo, prendendo carta e penna, scrivendoci sopra le tue motivazioni, se proprio non ti andava di farlo a voce. Potevi scrivermi un messaggio, se di nuovo non ti andava di parlarmi. Potevi scrivermi una lettera, successivamente. Potevi fare mille cose e non ne hai fatta nemmeno una. » Incassa quei colpi, Trixie, silenziosa come non mai. Si stringe il borsone al petto e poi nel maglione, come se accucciarsi potesse servire a pararsi da tutto ciò. Vorrebbe andarsene da lì, scappare e non farsi più vedere, come ha fatto sino ad ora. Vorrebbe tornare ad essere la solita vigliacca di sempre. La solita Beatrix Greengrass che dinnanzi ai grossi problemi, si è sempre voltata verso chissà chi altro, per aiutarla a risolverli. Ma sa che non può farlo. Sapeva che questo momento sarebbe arrivato prima o poi e non affrontarlo, per l'ennesima volta, continuerebbe a gettare cattiveria gratuita verso un ragazzo che, di tutto questo, non si meritava proprio nulla. « Però c'è una cosa che ho capito, comune ad ognuna delle varie cose che avresti potuto fare e non hai fatto. C'era una premessa, ad ognuna di queste. "Se non ti andava di parlarmi a voce." » Si volta a guardarla, lui, inchiodandola lì sul posto e lei, dal canto suo, si mordicchia il labbro inferiore, calando lo sguardo. « Immagino che ormai sia chiaro il messaggio: non ti andava di parlarmi, non ti andava di scrivermi, non ti andava di far nulla a riguardo. E va bene, ci sta, non condivido assolutamente il comportamento che mi hai riservato, ma è in tuo pieno diritto comportarti come meglio credi e desideri. Sei nata libera. » Si sente il labbro inferiore tremare e allora se lo imprigiona tra i denti. Se piangi ti ammazzo. Si minaccia mentalmente, mentre stringe i pugni e cerca di trovare un minimo di quel coraggio che, sicuramente, non le appartiene. Hai affrontato di peggio, puoi superare anche questa, in qualche modo. Continua, e per un attimo sembra quasi convinta di tutto questo, se non fosse che le basta anche un solo sguardo, sul viso di lui, per capire quanto sia deluso, quanto sia amareggiato da tutto questo. E lei non sa cosa fare, non sa cosa pensare, nè come rimediare. Sono scappata per non farci odiare e guarda un po' a cosa ci ha portate. « Perciò, spero che sia altrettanto chiaro quanto non rientri più nelle mie intenzioni il voler parlare, per provare a capire cosa ti sia passato per la testa. Sono a posto così! »
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    Annuisce, portando a sua volta lo sguardo di fronte a sè, in silenzio, le dita delle mani strette così violentemente contro la tracolla della borsa da farle persino male. Al di là di quanto sembri, Beatrix a Sebastian Grindelwald, ci ha pensato e pure parecchio. Risvegliarsi in un corpo non suo, dopotutto, non è stato semplice. Era stata lei stessa a richiederlo a Maze, ormai estranea nella sue stesse spoglie, ma ciò nonostante, ricominciare, si era rivelato parecchio complesso. Il passato di chi le aveva ridonato la vita, dopotutto, non poteva esser cancellato. Così Beatrix, una volta ritornata in questo mondo per l'ennesima volta, si era ritrovata sulle spalle il peso di non una, ma ben due vite. Sebastian Grindelwald l'aveva scoperto per caso, una mattina. Aveva deciso di rompere la prima barriera, presentandosi a casa Silente, dove aldilà di quanto si sarebbe aspettata, era stata accolta quasi subito. Il nonno di Ariadne, Abenforth, era un uomo strano. Un visionario, forse un po' matto, che di tutta quella strana storia, aveva saputo trarne la parte migliore. Mi stai dando la possibilità di abbracciarla, ancora una volta, come potrei mai odiarti? Era in casa sua che aveva ritrovato quel diario, lo stesso che si sarebbe portata dietro per i giorni a seguire, e che ancora oggi si trova nella sua borsa, inseparabile. Lì c'era scritto quanto della giovane Ariadne avrebbe avuto bisogno di sapere. Di suo pugno, con una scrittura elegante ma non troppo macchinosa, la giovane aveva regalato a quelle pagine il privilegio di conoscerla. Lì c'erano scritte le sue giornate. Le sue emozioni, le sue paure, i suoi sogni. E tra tutto questo, c'era anche lui. C'erano interi capitoli dedicati a Sebastian. Descrizioni, citazioni, foto. Dio, era pieno di foto. L'aveva visto lì, per la prima volta. Con un sorriso contagioso, in una foto dall'inquadratura un po' sbilenca. A giudicare da quanto v'era scritto nella pagina accanto, quel giorno Sebastian le aveva insegnato, o quanto meno ci aveva provato, ad usare una macchina fotografica e dopo chissà quanti tentativi, e polaroid sfocate che erano state prontamente appiccicate nelle varie pagine, era riuscita in quel ritratto. Che faceva un po' schifo, ma in cui Seb era bello come sempre, quindi distrae; così c'era scritto. Da quel giorno dunque, Beatrix quelle pagine se le era divorate. Le aveva lette, giorno dopo giorno, a volte persino di notte, tanto da impararle a memoria. Ed è questo che ripensa, mentre schiude le labbra. « Tua made si chiama Angelica, Grindelwald, ma a te questo cognome non è mai andato poi così tanto a genio. Hai un fratello più piccolo, di nome Jesse. Fai sempre finta che non ti piaccia, che sia una palla al piede, ma faresti di tutto, per lui. » Comincia, mentre davanti ai suoi occhi, quelle lettere sembrano scorrere come scene di un film. « A sette anni ti ha morso un cane, ed è per questo che hai quella cicatrice sul viso. Non sai nuotare, e preferisci i cibi salati, per lo meno a colazione. » Pausa. « Pensi di essere bravissimo a raccontare barzellette, e anche se non è così, sei troppo adorabile per fartelo notare. Fumi, ti piace andare sullo skateboard, e sai riparare qualsiasi oggetto elettronico ti capiti sotto mano. E' così che hai conosciuto Ariadne. » E a quel punto si blocca, tira giù la borsa, si china per frugarci un po' dentro, ed infine lo estrae. Un diario di quelli vecchio stile, con la copertina in cuoio, pieno di carte, adesivi, post-it e angoli di foto a fuoriuscire da ogni lato. « A lei piaceva inventare, a te riparare e costruire. Assieme eravate il duo perfetto: la mente e il braccio. » Glielo porge, a quel punto, aprendolo e sfogliandolo, sino a fermarsi. « Oggi Seb mi ha insegnato ad usare la macchina fotografica. Sì, si chiama così quella scatola babbana che vomita foto. A lui non piace quando la chiamo così, ma mi fa ridere l'espressione sconcertata che fa ogni volta che glielo dico apposta. » Recita a memoria quanto scritto in quelle pagine « Gli ho fatto un ritratto. Che poi io pensavo che i ritratti fossero solo i quadri, ma lui dice che si chiama così e se lo dice lui, mi fido. L'inquadratura fa abbastanza schifo, ma Seb è sempre troppo gentile per dirmelo. E poi è uscito bellissimo, come sempre, quindi distrae dalla mia incapacità totale. » E a quel punto sospira, battendo più volte le palpebre per scacciare via quel velo di lacrime che ripensare ad una persona che non c'è più, ma che in quei mesi ha sentito così vicina pur non avendola mai conosciuta, le causa inevitabilmente. « So tutte queste cose perchè, a differenza di ciò che credi ed hai creduto -giustamente- per tutto questo tempo, io ti ho pensato, ogni giorno. » Ti ho studiato, ti ho conosciuto attraverso parole non mie. « Ma io non sono chi tu credi che sia, ed è per questo che sono scomparsa. Pensavo di farti meno male, così, ma non ha funzionato, è stato peggio, e non te lo meritavi nè te lo meriti. » Allunga le manine, le dita affusolate che vanno ad infilarsi in una tasca del diario stesso. Ne estrae un mazzetto di lettere, rilegate con del filo di spago. « Ma neanche lei se lo merita. Ho finito per fartela odiare, e non era ciò che volevo. Perchè ti amava tantissimo, ti amava davvero tanto. » Ed il destino è stato crudele, a portartela via. « Queste lettere sono tutte quelle che ti ho scritto, senza mai avere il coraggio di spedirtele. Ho spiegato ogni cosa, al loro interno, qualsiasi particolare. » Rialza lo sguardo verso il suo, incrociandolo e, questa volta, sforzandosi per sorreggerlo. Respira a fondo « So che probabilmente al momento ti sembrerò una pazza che parla di sè in terza persona. E fin quando non sarai pronto a scoprire la verità, che potrebbe non piacerti, va bene così, davvero. Ma quando vorrai..concedimi, concedile una possibilità. » E allora si allontana, facendo qualche passetto verso dietro. « E' tutto scritto lì. Tutte le risposte che cercavi, sono in quelle lettere. »
     
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    C'è del palpabile imbarazzo che aleggia, per nulla silenziosamente, tra di loro. Comincia ad essere piuttosto fastidioso, a dirla tutta, ma Sebastian cerca di non pensarci. Pensa che ci siano poche obiezioni da poter fare alla sua ultima frase, così guarda dritto di fronte a sé, con la macchinetta che gli sbatte contro il petto ad ogni passo, mentre è costretto a tenere rintanate le mani nelle tasche dei jeans. Gli occhi bicolore che fissano l'orizzonte, mentre risalgono velocemente la piccola collinetta, dietro la quale si staglia il profilo del castello. Guarda di fronte a sé con insistenza, quasi non volesse altro che passare la porta d'ingresso per dileguarsi verso i Sotterranei. « Tua made si chiama Angelica, Grindelwald, ma a te questo cognome non è mai andato poi così tanto a genio. Hai un fratello più piccolo, di nome Jesse. Fai sempre finta che non ti piaccia, che sia una palla al piede, ma faresti di tutto, per lui. » Per quanto si sia costretto a guardare di fronte a sé, per non incrociare il suo sguardo, ora è inevitabile quello scivolare fulmineo verso di lei. La guarda fissa, aggrottando le sopracciglia. « Giochiamo a "Quante cose sai di me" ora? Non è un gioco che mi può piacere, lo sai. » Commenta, allo stesso tempo affascinato e indispettito da quella reazione decisamente strana. « A sette anni ti ha morso un cane, ed è per questo che hai quella cicatrice sul viso. Non sai nuotare, e preferisci i cibi salati, per lo meno a colazione. Pensi di essere bravissimo a raccontare barzellette, e anche se non è così, sei troppo adorabile per fartelo notare. Fumi, ti piace andare sullo skateboard, e sai riparare qualsiasi oggetto elettronico ti capiti sotto mano. E' così che hai conosciuto Ariadne. » Sta cominciando a diventare strano commenta tra sé e sé, mentre il suo passo, inconsapevolmente, accelera, come a volersi distaccare da quella conversazione che sta prendendo una piega decisamente, decisamente strana. E' così che ho conosciuto Ariadne. Alla fine il suo cervello elabora quelle ultime parole e allora si blocca. Parla di se stessa in terza persona, nemmeno fosse più lei. Allibito e senza un cavolo da dire, la guarda, confuso, mentre le mani affondano ancora di più nelle tasche, a cercare un rifugio in esse. E mentre la guarda, con quello sguardo da ebete, lei tira fuori uno dei suoi diari, uno di quelli che conosce alla perfezione perché il primo è stato un suo regalo, per Natale. Ne riconosce il cuoio consumato lungo la spina e i fogli scoloriti sui bordi, lì dove Ari ha attaccato post it e adesivi vari, per farlo sentire più vissuto. « A lei piaceva inventare, a te riparare e costruire. Assieme eravate il duo perfetto: la mente e il braccio. » Come un automa, si ritrova il diario tra le mani, mentre lei lo sfoglia e prende a leggere. Ma lui guarda dritto di fronte a sé, incapace di capire, incapace di star dietro ad una tale reazione assurda. Lei continua a parlare, a leggere alcuni passi che lui conosce perfettamente a memoria, ma è come se non riuscisse a capire effettivamente ciò che lei sta dicendo. « So tutte queste cose perchè, a differenza di ciò che credi ed hai creduto -giustamente- per tutto questo tempo, io ti ho pensato, ogni giorno. Ma neanche lei se lo merita. Ho finito per fartela odiare, e non era ciò che volevo. Perchè ti amava tantissimo, ti amava davvero tanto. Queste lettere sono tutte quelle che ti ho scritto, senza mai avere il coraggio di spedirtele. Ho spiegato ogni cosa, al loro interno, qualsiasi particolare. So che probabilmente al momento ti sembrerò una pazza che parla di sè in terza persona. E fin quando non sarai pronto a scoprire la verità, che potrebbe non piacerti, va bene così, davvero. Ma quando vorrai..concedimi, concedile una possibilità. E' tutto scritto lì. Tutte le risposte che cercavi, sono in quelle lettere. » E' rimasto immobile, come una statua di ghiaccio, fino a quel momento. Mentre il suo cervello lavora svelto, lui rimane come pietrificato da quelle parole. Perché non è un qualcosa di normale. Non è una reazione che rientra in quelle che ha sempre immaginato essere le possibili, se mai si sarebbero riparlati, un giorno. E' tutto sbagliato. Comincia a scrollare la testa, ripetutamente. Si ferma, poi riprende, quasi come in un loop perpetuo. Alla fine sbatte gli occhi ed è come se il ghiaccio si stia sciogliendo, perché riprende a muoversi, con le mani che lasciano cadere a terra lettere e diario. « Okay, wow. » E' allibito, mentre scandisce una per una quelle lettere, come una smorfia che gli contrae il viso. Si passa la lingua sull'arcata superiore, lasciando schiusa la bocca, con una risata amara che gli risale la gola. « Davvero, Ari? Siamo arrivati a questo? Sei riuscita ad arrivare a questo? » E' sconvolto, mentre la fissa con quella punta di rabbia che gli accartoccia i lineamenti. « Non c'era bisogno di inventarti una cazzata di proporzioni così enormi per lasciarmi, eh. Avrei capito comunque, alla cara vecchia maniera. Non sono stupido. » Dice, scrollando il capo, con i ricci che gli ricadono davanti agli occhi. Ricci che prontamente si porta all'indietro, con una manata che sa veramente di poca grazia. « Assurdo...assurdo, davvero assurdo. » Borbotta e ride, non potendo credere a quanto gli faccia male quel comportamento. La lingua che sguscia fuori per andare a toccare il labbro superiore, in un gesto atto a calmarlo. « Cos'è? Mi vuoi far credere di aver sviluppato una doppia personalità? E' su questo che vuoi giocare? Sul disturbo post traumatico da stress che ti avrebbe portato il coma? » Non riesce a stare fermo, così si muove, con la macchina che continua a battergli, sempre più forte, contro lo sterno. Ma non sente il dolore, perché ha l'adrenalina in corpo, fin troppa per far sentire anche solo qualche altra sensazione. No, c'è solo confusione mista a rabbia. Cieca rabbia. « Oh, ora capisco il perché di tutte queste stranezze. Sono giorni che va avanti. Fai finta di non essere capace di usare la bacchetta magica, quando invece sei sempre stata un asso con gli incantesimi. Urli e schiamazzi se un insetto ti si posa addosso e addirittura scrivi delle lettere dove parli di te come se non fossi davvero te. » Pensavo di aver toccato il fondo con Melanie, oh ma tu, tu le batti davvero tutte, persino lei. « Ma certo, come ho fatto a non pensarci prima? » Si dà una manata forte sulla fronte, mentre continua a camminare in tondo e a gesticolare, per sfogarsi, ma allo stesso contenere quell'impeto irruento che sente crescere dentro di sé. « Sei entrata pure nella squadra di cheerleader, cosa che non avresti mai fatto in vita tua. Dicevi che ti faceva schifo tutto il maschilismo che vi è dietro. "Svolazzare in quelle gonnelline oggettivanti solo per gongolare un po' con gli apprezzamenti dagli spalti." » Una risata aspirata fuoriesce dalle sue labbra, mentre si stropiccia gli occhi con
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    le dita. « Ma cosa sei diventata? » Scuote nuovamente la testa, mentre torna da lei, a grandi falcate. Le si porta di fronte e la guarda, con la delusione e il dolore che circolano nei suoi occhi, mentre la costringe a guardarlo, portandogli un dito sotto il mento. « Nemmeno hai le palle di lasciarmi come farebbe qualsiasi persona normale? » Una persona sana di mente. « Guardami e dimmi che ti sei divertita a farmi andare all'ospedale per due settimane, ogni giorno, dalla tua scomparsa, per sentirmi dire che non potevano dirmi niente. Che non ero un tuo cazzo di parente e tali informazioni non le potevo avere. » Lo sguardo duro, mentre, per la foga, avvicina il proprio viso a quello di lei. « Guardami negli occhi e dimmi quanto non ti è fregato un cazzo di niente. Che non mi hai mai amato. » Perché questo n0n è amore, non lo è nemmeno lontanamente. La lascia andare alla fine, mentre fa un passo all'indietro, con le spalle ricurve, quasi a voler incassare il colpo. « Che ti ho fatto di così male da non poter avere nemmeno la limpida e chiara verità? Io non me lo merito un simile comportamento. Hai capito? » Si porta l'indice al petto e si indica, ripetutamente. « Non me lo merito. » La voce che si abbassa, mentre si morde l'interno del labbro, con forza, a fermare qualsiasi forma di emozione. « Mi hai rotto. » In tutti i modi possibili e immaginabili. « Volevi farti odiare di meno, facendo così? Notizia flash: sei riuscita a fare solo l'esatto contrario. » E dopo questa scenetta, Sebastian è certo di non voler avere più niente a che fare con la ragazza che ha di fronte a sé. Perché non è più lei, perché ha detto una marea di cazzate, perché l'ha ferito in ogni modo in suo possesso e continua a farlo, senza alcun ritegno. « Ha ragione Brandon, sei una grandissima stronza e davvero non mi spiego come ho fatto a non capirlo prima. » E senza pensarci, si volta e prende a risalire la distesa a passo svelto, per allontanarsi da tutto ciò che pensava essere il suo passato, ma non è nient'altro che un mucchio di menzogne.
     
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