Dragonfly in Amber

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  1. Calcifer;
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    Quando Alaska pensava al suo nome le veniva in mente qualcosa di freddo e scostante, quasi quanto il ghiaccio del nord. Pensava spesso che, se i suoi genitori lo avevano scelto, lo avessero fatto per auspicarsi qualcosa. Quando giungeva la brutta stagione era solita pensare che del glaciale clima artico non aveva nemmeno gli occhi: di un caldo colore d’erba e rami. Tutto in lei ricordava calore, familiarità, casa; persino nel suo essere esuberante dava la sensazione che vi fosse del fuoco, più che della neve, in quell’animo. I genitori della grifondoro erano ancora in vita, ma il loro lavoro li costringeva al movimento costante. E più loro intraprendevano strade, più Alaska diventava un luogo; un luogo nel quale poter tornare la sera, dopo una giornata difficile; un posto dove sentirsi a proprio agio; una località di vacanza nella quale rilassarsi. Sin da piccola il suo sogno più grande non era quello di essere nomade, bensì di trovare un luogo da chiamare casa e alla fine, per uno strano gioco del destino, era stata lei a diventare la casa di molti altri. C’erano molte cose di lei che la rendevano imperfetta: ad esempio quel suo animo competitivo, in grado di deturparle il volto per le urla, ma c’erano anche tante cose di lei che la rendevano, quanto possibile, una buona amica. La sua indole la induceva a pensare di essere una brava persona, per quello sorrideva spesso e dedicava del tempo alle persone a cui voleva bene.
    Quel giorno Alaska si trovava ai tre manici di scopa, era appena ricominciata la scuola, tuttavia era già stato possibile organizzare una gita ad Hogsmeade. Si trovava lì perché necessitava di un frappuccino alla zucca, una delle sue bevande preferite, i suoi compagni l’avevano lasciata di fronte al grosso camino ed erano andati a fare compere « Io rimango qui, non devo comprare assolutamente nulla, mi voglio godere questo sabato pomeriggio di svago! » aveva detto la ragazza, stringendosi nel grosso scialle che portava spesso con sé. Aveva ancora le mani sporche di pittura, l’aveva utilizzata la sera precedente, all’interno della sua stanza, ma si era dimenticata di lavare via il colore. Le capitava fin troppo spesso di uscire di casa così, quasi quanto i bambini quando utilizzano i pennarelli. Era stata Lydia a pregarla di andare con loro, per consigliarle qualche capo di abbigliamento, ma per tutta risposta aveva ricevuto un cenno di diniego « No, fa molto freddo fuori, e poi io sono la persona meno indicata per dare consigli! Non so se hai visto come mi vesto, come sai ho uno stile molto particolare, al massimo posso indicarti quale piercing all’ombelico utilizzare, per il resto ti direi di comprare un pantalone tutto fuorché trendy! » Lydia non aveva insistito, in realtà sapeva che l’amica non era la persona più adatta con cui andare a fare shopping, ma le dispiaceva lasciarla da sola.
    Una volta rimasta da sola Alaska si sedette in una delle poltrone vicine al camino, uno dei luoghi che amava più frequentare e si lasciò abbracciare dal calore: le piaceva proprio che il fuoco le lambisse l’animo. Si guardò intorno, cercando di fissare tutti i dettagli di quel micro-mondo: prima lasciò che le mani rugose della cameriera le si imprimessero nella memoria, pronta ad utilizzare quel dettaglio in uno dei suoi quadri, poi osservò le pagliuzze dorate che come fili di luce affioravano tra le ciocche dei capelli di una ragazza tassorosso; infine abbandonò lo sguardo tra gli occhi verdi di un persona che, in un certo senso, conosceva. Fawn era stata una grifondoro, Alaska ne ricordava la voce esuberante e l’entusiasmo.
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    Era poco più grande di lei, ma era sempre stata una figura di riferimento all’interno della sua sala comune. Di lei difficile sarebbe stato dipingere le iridi, di un verde dai toni freddi, verso l’esterno simili all’acquamarina. La cosa che più di tutto la colpiva era il contrasto con quei capelli neri, tutto fuorché fuori luogo in una ragazza del genere. Le era capitato spesso di pensare quanto finti sembrassero degli occhi verdi incastonati da ciocche corvine, non così per Fawn, dove il volto appariva delicato e pulito. Alaska fece un cenno del capo alla giovane, dopotutto non erano complete estranee, poi si ritrovò a parlare « Ti ho vista alla festa di Halloween con una tutina in lattex, in sala comune con un semplice completo, oggi così…io mi chiedo come tu faccia a trasformarti in questo modo, rivelami il tuo segreto! » Le indicò il suo scialle e poi il modo di vestirsi della ragazza più grande. Se c’era una cosa a cui non aveva mai dato peso erano la moda e le tendenze, ma alle volte le sarebbe piaciuto essere un po’ più trasformista. Alaska era sempre e comunque Alaska, in qualsiasi modo la si mettesse era sempre uguale a sé stessa, esistevano invece persone che sapevano mutare, senza mai perdere di vista il loro modo di essere. Quel tipo di persone erano solitamente quelle che le interessavano di più, soprattutto perché non era facile dipingerle. La Vesper era certa che, se qualcuno avesse tentato di descriverla, ne avrebbe subito colto l’essenza, per Fawn catturarne l’animo non era affatto semplice. « Non dirmi che stai seguendo una dieta di fagioli! Due giorni fa ho origliato la conversazione di una ragazza…diceva che stava seguendo una dieta depurativa perché “per essere belle fuori bisogna anche depurarsi dentro…non oso immaginare quanto si stia depurando! » Fece una smorfia, alle volte le persone erano proprio strambe! Quel tipo di dieta era una di quelle cose che sua madre avrebbe di sicuro fatto, Alaska ne era sicura perché ogni qual volta le capitava di avere ‘l’onore’ di rivederla, era solita essere a dieta: tutto pur di mantenere l’invidiata linea. La donna che l’aveva messa al mondo non aveva mai accettato che Alaska fosse stata scelta come successore nella stamberga degli artisti: una pittrice in famiglia voleva dire meno mani dedicate alla magia! Per lo meno era quello che la sua bionda madre andava a raccontare in giro. Chissenefrega di ciò che interessava alla figlia! « Sei venuta qui a studiare? Ora che corso stai seguendo? » Chiese amichevole lei. Aveva lasciato che gli amici andassero a far compere per rimanere tranquilla di fronte al camino, ma sembrava che il suo animo chiacchierone non avesse poi tanta voglia di stare in silenzio.
    In quell’istante la porta dei tre manici di scopa si aprì, lasciando entrare un gruppo di ragazzi serpeverde che, non appena videro Alaska iniziarono ad additarla « Ciao Hulk, stavi pensando di dare un pugno a qualcuno? » Alaska alzò il dito medio in loro direzione, diventando rossa in volto. Sapeva che quel nome non lo avrebbe mai abbandonata comportandosi così, ma Alaska non riusciva a lasciar perdere. Quel nome le era stato dato secoli prima, dopo aver dato un pugno a una ragazza che la prendeva in giro. « Non ho intenzione di far male a nessuno, smettetela con questo dannato soprannome!»
     
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    Fawn, in quella ritrovata normalità, ci si era letteralmente buttata a capofitto. Sembrava aver ritrovato tutta l'energia, tutta la sfacciata voglia di vivere che quel grigio aveva inghiottito, così come pareva essersi scrollata di dosso qualsiasi cosa l'avesse afflitta nei mesi precedenti. Nella sua mente, quella riconquistata libertà e quel nuovo mondo, significavano soltanto una cosa: una seconda possibilità. Un modo per ritentare, per rimettere la propria vita in piedi o, ancora, per costruirne da zero una che valesse la pena di essere vissuta. E così si era rimboccata le maniche, e con un certo piacere. Era tornata ad essere il solito esserino iperattivo che, chissà come, riusciva a portare avanti una quantità immane di cose, senza mai lamentarsene o perdere quel caratteristico sorriso che andava da un orecchio all'altro. Non era sicura di aver ancora trovato un proprio posto nel mondo, un pensiero che alle volte irrompeva in maniera piuttosto molesta, ma in quel momento - mentre era seduta davanti ad un libro ai Tre Manici di Scopa - nemmeno la toccava troppo. Si diceva, guardandosi indietro, di star costruendo davvero qualcosa. Di starsi muovendo. Di non essere ad un punto morto della propria vita. Sentiva, in quel momento, di poter finalmente scegliere. Poteva improvvisamente decidere come impostare la sua vita, secondo quali - sfrenati - ritmi viverla e, tutto sommato, sebbene di certezze non ne avesse molte più di prima, questa consapevolezza le permetteva la cosa più importante di tutte: quella di sentirsi finalmente libera. E di scelte ne aveva fatte a bizzeffe, una dietro l'altra, quasi temesse sulle prime che qualcuno potesse nuovamente privarla di quel diritto inalienabile. Aveva prima deciso di diplomarsi, poi si era offerta volontaria - come tanti altri - di rimettere in sesto Hogwarts, e poi si era iscritta al college. E con questo erano arrivate le attività extrascolastiche, ed il dover bilanciare la propria vita in modo tale da avere anche qualche attimo di respiro ogni tanto. Sì, senza dubbio i suoi ritmi erano tornati ad essere impossibili, ma c'era una differenza fondamentale rispetto a solo pochi mesi prima: tutte quelle cose, la ragazza, voleva farle. E quindi le faceva senza batter ciglio. In fondo, se c'era una cosa che non le era mai mancata, quella era la forza di volontà. Era naturalmente testarda ed altrettanto iperattiva, ragion per la quale a lei, i suoi ritmi e tutto quel caos, sembravano persino normali. Il minimo. La vita adulta. Stava passando in rassegna il locale, quando sentì qualcuno, la cui voce non era neanche troppo sconosciuta, rivolgerle la parola. « Ti ho vista alla festa di Halloween con una tutina in lattex, in sala comune con un semplice completo, oggi così…io mi chiedo come tu faccia a trasformarti in questo modo, rivelami il tuo segreto! » Lo sguardo saettò sulla ragazza poco distante da lei, un mezzo sorriso sulle labbra. Si ricordava di lei: l'aveva vista in Sala Comune negli anni passati e, per un qualche motivo, ricordava persino che dipingesse. Ecco, Fawn aveva una memoria strana. Poteva rimuovere completamente il ricordo di determinate persone - per esempio, a distanza di mesi, ancora non ricordava come diamine si chiamasse di preciso il suo ormai ex collega da Madama McClan - ed altre, come la Vesper appunto, se le ricordava per via di dettagli come quello. Dipingeva. Ed aveva sempre un'aria molto assorta nel farlo, ricordava, quasi dal risultato finale dipendesse qualcosa di estremamente importante. In un gesto del tutto istintivo, lanciò un'occhiata al proprio abito, quel giorno un semplice vestito nero, per poi sciogliersi in una risata. « Ispirazione, credo. Non c'è un vero criterio che vada oltre il "cosa voglio comunicare al mondo, oggi?" » Fece una pausa, che riempì con un delicato gesto della mano e un versetto assorto, quasi cercasse le parole giuste per far entrare anche l'altra nella sua ottica. « Tu... disegni, giusto? Ti capita mai di pensare che in un punto vada bene un colore e non un altro? In tutto questo non sai spiegare l'esatta ragione dietro la tua scelta; è così e basta. Ti piace. E per me è lo stesso. Che poi, alla fine, credo debba essere il criterio di selezione per... beh, un po' tutto. Non lo pensi anche tu? » E la mora lo pensava sinceramente che non ci fosse altro modo, per vivere serenamente, se non quello di piacersi genuinamente. Tutto partiva da sé stessi, non dagli altri. Era un concetto che la signora Cheryl, la sua insegnante di recitazione, di ormai parecchi anni prima, le aveva inculcato a suon di esempi, quando le aveva insegnato a stare su un palco. La percezione degli altri parte dalla tua. O da quella che vuoi dare. La presenza scenica riassunta in due semplici frasi. E così, forse per una deformazione professionale, quello di espandere la stessa filosofia anche ai vestiti, era diventato uno stile di vita. Si trattava di un modo per sperimentare sempre qualcosa di nuovo e non annoiarsi mai. E per piacersi, alla fine. « Non dirmi che stai seguendo una dieta di fagioli! Due giorni fa ho origliato la conversazione di una ragazza…diceva che stava seguendo una dieta depurativa perché “per essere belle fuori bisogna anche depurarsi dentro…non oso immaginare quanto si stia depurando! Sei venuta qui a studiare? Ora che corso stai seguendo? » A quel punto, la Byrne si sciolse in una risata, scuotendo lievemente la testa ed alzando pure le mani per sottolineare il concetto che avrebbe esposto di lì a breve: « No, guarda: il giorno in cui mi vedrai mettermi a dieta - lascia stare una di fagioli - grida al rapimento alieno e dì pure ai miei amici che sono stata rimpiazzata da un clone. Preferisco fare sport, non farmi le porzioni di cibo col contagocce. E comunque studio psicologia. Tu, invece? Come ti trovi quest' an... ?» Ma la sua domanda rimase sospesa nell'aria senza nemmeno poter essere conclusa. Tutto per via di una spiacevolissima interruzione. « Ciao Hulk, stavi pensando di dare un pugno a qualcuno? » Lo sguardo di Fannie si assottigliò nel momento stesso in cui il gruppetto, composto da ben tre individui, si mosse verso di loro. L'americana raddrizzò istintivamente la schiena dopo aver poggiato la propria tazzina sul tavolino, mentre rifletteva sul da farsi. Alaska, intanto, chiaramente in imbarazzo, si stava difendendo come meglio poteva.
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    « Senti, Alaska, sai cosa mi chiedo spesso? » Proruppe, senza nemmeno guardare i ragazzini che si erano avvicinate alle due a quel punto. « Come ci si debba sentire a condividere un neurone in tre, e poi magari trovarsi nella situazione in cui devi dire qualcosa, ma in realtà il tuo neurone l'hai prestato al tuo compare, quindi vien fuori una montagna di stronzate. » Soio a quel punto, l'espressione teatralmente confusa, riportò lo sguardo sul capobranco, sfarfallando pure le ciglia con fintissima innocenza. « Tu mi sembri un esperto, ti va di parlarmene? » E, prima che il ragazzino potesse dire qualsiasi altra cosa, la Byrne sollevò l'indice sinistro e se lo portò alle labbra, come ad intimargli di non rispondere. « Ssssh, lascia stare. » Disse, perdendo di colpo tutta l'aria affabile e sporgendosi leggermente in avanti. «Facciamo così: voi portate il vostro neurone condiviso a spasso da un'altra parte. Io e la mia amica, in cambio, ci dimentichiamo le vostre facce, il fatto che esistiate e pure che abbiamo un sacco di amici - davvero un sacco - che potrebbero, come dire, aiutarvi ad imparare le buone maniere. » Nel parlare aveva prima indicato il gruppo di bulletti e poi lei ed Alaska, come a sottolineare il concetto, l'espressione serissima. « Se questo piano d'azione non vi piace, posso sempre farvi saltare un paio di denti. O parlare con qualcuno dei vostri e spiegare che nel tempo libero mettete in ridicolo l'intera Casa di Serpeverde. A voi la scelta. » Resse i loro sguardi per un po' giocherellando con la bacchetta che aveva tirato fuori dalla tasca del cappotto per - come dire? - sottolineare il concetto, e solo quando quelli, seppur borbottanti, si furono allontanati dalle loro poltroncine, si rilassò nuovamente e riportò gli occhioni in quelli della ragazza seduta accanto a lei. « Ti succede spesso? » Aggrottò appena la fronte nel porgerle quella domanda. « In ogni caso ero seria: se hai bisogno di una mano, cercami pure. Anche se ti consiglierei di ignorarli quanto più puoi perché penso che il loro divertimento stia nel ricevere una reazione. »

    Edited by lust for life - 11/11/2018, 22:21
     
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  3. Calcifer;
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    Alaska non aveva mai dato peso alla sua fisionomia, né aveva notato tutti quei particolari che era solita trovare nei volti altrui. Si ripeteva che il suo viso era fluido, impossibile da dipingere, l’unico sulla faccia della terra a non essere possibile ritrarre, un po’ come erano soliti dire gli artisti di sé. Non si era mai arrischiata a dare un’immagine al suo volto perché guardandosi allo specchio non trovava nulla di interessante da dire. Non era come gli innumerevoli suoi compagni di scuola, ognuno dei quali con una particolarità unica, come la ruga di espressione che si formava tra le sopracciglia di Fred Weasley, oppure le pagliuzze chiare che coloravano gli occhi di Fawn. Tutto in Alaska era ordinario, ripeteva lei senza lamentarsene. Il suo era un modo come un altro per sottolineare che non avrebbe dovuto perdere tempo per dipingersi perché c’erano sempre cose migliori da fare. Per esempio avrebbe volentieri dato colore alla chioma corvina di Fawn, oppure a quella pelle che si tirava olivastra ogni volta che sorrideva. Molti dei suoi amici avevano scambiato quella sua qualità di osservatrice per la facilità di innamorarsi delle cose belle, la verità era che se una come lei non avesse notato la particolarità delle cose non sarebbe mai stata in grado di dipingere. « Ispirazione, credo. Non c'è un vero criterio che vada oltre il "cosa voglio comunicare al mondo, oggi?" » Il suo discorso era molto simile a quello che lei formulava con i suoi quadri, tanto è vero che la sorprese nel completare la frase
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    « Tu... disegni, giusto? Ti capita mai di pensare che in un punto vada bene un colore e non un altro? In tutto questo non sai spiegare l'esatta ragione dietro la tua scelta; è così e basta. Ti piace. E per me è lo stesso. Che poi, alla fine, credo debba essere il criterio di selezione per... beh, un po' tutto. Non lo pensi anche tu? » Alaska si trovava molto spesso in quella situazione sospesa, dove un quadro avrebbe funzionato solo ed esclusivamente con quel dettaglio di colore particolare: ecco perché annuì, subito dopo aver lasciato che un sorriso sincero le comparisse sul volto. « Se non mi capita c’è qualcosa che non va! Significa che il quadro che sto dipingendo non è come dovrebbe essere… » Prese un sorso della sua bevanda e continuò a osservare la ragazza di fronte a lei « Ma se dovessi mettermi di fronte ad uno specchio e scegliere il vestito giusto probabilmente andrei in panico! » C’era sempre stato qualcuno che l’aveva aiutata a scegliere gli outfit più adatti, ad esempio Maze era la persona più indicata quando si trattava di uscite, appuntamenti e feste. Lei era l’unica in grado di convincerla ad abbandonare i suoi comodi vestiti oversize per indossare qualcosa di più “estremo”… e nel vocabolario di Alaska estremo equivaleva a una qualsiasi scarpa con il tacco e a un qualunque vestito elegante. Non si sentiva molto a suo agio nelle vesti della ragazza sexy, tutta lustrini e trucco, per quel motivo ammirava molto la capacità delle altre ragazze di vestirsi bene, ma non ne invidiava la cosa. Era raro che Alaska provasse gelosia nei confronti delle caratteristiche altrui, la sua indole la portava ad accettarsi così per come era, compresi quei difetti che la rendevano insopportabile durante le partite di quidditch! In quel caso era come se la Vesper si volesse appropriare dell’aura di Fawn, così da instillarla tutta in un quadro. Molto probabilmente ne avrebbe dipinto uno con lei come protagonista quella sera. « No, guarda: il giorno in cui mi vedrai mettermi a dieta - lascia stare una di fagioli - grida al rapimento alieno e dì pure ai miei amici che sono stata rimpiazzata da un clone. Preferisco fare sport, non farmi le porzioni di cibo col contagocce. E comunque studio psicologia. Tu, invece? Come ti trovi quest' an... ?» fu rapida Fawn ad alzare le antenne, come un guardiano pronto a difendere i suoi concittadini. In un certo senso quella ragazza era molto simile ad Alaska, pareva tenere genuinamente a tutti i suoi amici, ma soprattutto appariva così attaccata alla giustizia da diventarne lei stessa un mandante. Fawn non accettava gli soprusi, pensò Alaska e questo faceva di lei una giovane della quale potersi fidare. « Senti, Alaska, sai cosa mi chiedo spesso? Come ci si debba sentire a condividere un neurone in tre, e poi magari trovarsi nella situazione in cui devi dire qualcosa, ma in realtà il tuo neurone l'hai prestato al tuo compare, quindi vien fuori una montagna di stronzate. » Trattenne il fiato, la giovane grifondoro, quasi pronta a lasciare che una risata cristallina le prorompesse tra le labbra di rosa. « Ho paura che sia molto difficile, soprattutto quando bisogna rispondere a tono » , cosa che lei era incapace di fare quando si trattava di prese in giro. Avrebbe smosso il mondo per proteggere gli altri, ma quando si trattava di sé stessa non sapeva far altro che arrabbiarsi e boccheggiare. Era stata vittima di scherzi e prese in giro sin dalla prima infanzia e, al posto di farsi le ossa, era ancora infastidita da quei nomignoli che erano soliti rivolgerle. « Tu mi sembri un esperto, ti va di parlarmene? » « Facciamo così: voi portate il vostro neurone condiviso a spasso da un'altra parte. Io e la mia amica, in cambio, ci dimentichiamo le vostre facce, il fatto che esistiate e pure che abbiamo un sacco di amici - davvero un sacco - che potrebbero, come dire, aiutarvi ad imparare le buone maniere. Se questo piano d'azione non vi piace, posso sempre farvi saltare un paio di denti. O parlare con qualcuno dei vostri e spiegare che nel tempo libero mettete in ridicolo l'intera Casa di Serpeverde. A voi la scelta. » Lei stessa si dava della stupida in quei casi, ma la lingua le si attorcigliava al palato e l’ossigeno si bloccava tutto sulle guance, al posto di far pensare il cervello.
    Ci aveva pensato Fawn quella volta, ma avrebbe dovuto imparare lei stessa « Ti succede spesso? » annuì, le gote rosse e le mani che si tenevano strette alla tazza fumante. « Sì, purtroppo… » sbuffò un po’ per vergogna un po’ per esasperazione « Ti ringrazio davvero…Da piccola mi prendevano in giro per il mio nome, dicevano che Alaska era il nome di una persona del polo nord e allora mi cantavano canzoncine come: tu scendi dalle stelle coi pattini a rotelle e vieni in una grotta col panettone Motta» odiava quella storpiatura! « Indovina che cosa ho fatto per togliermi di dosso quell’immagine? » Lo ricordava come fosse stato il giorno precedente: lei sulla barchetta che portava ad Hogwarts con la sua acerrima nemica Hetel, lei che tenta di trattenere la rabbia mai non ci riesce. La Vesper sogghignò quasi come se avesse combinato la marachella quello stesso giorno. « Ho tirato un pugno alla bambina che l’aveva inventata e da quel momento tutti hanno preso a chiamarmi Hulk. Un bel modo per migliorare la situazione, non ti pare? » c’era del divertimento in quel racconto, ma anche la consapevolezza di essere stata l’artefice del suo stesso destino. « In ogni caso ero seria: se hai bisogno di una mano, cercami pure. Anche se ti consiglierei di ignorarli quanto più puoi perché penso che il loro divertimento stia nel ricevere una reazione. » Erano veritiere le parole della giovane, ma nella pratica erano difficili da realizzare. « Il mio problema è che quando sono a casa, nel mio letto, mi vengono infiniti modi per rispondere a tono e farmi valere, ma nel presente rimango sempre senza parole, non ti capita di pensare ai mille modi in cui avresti potuto gestire meglio la situazione? » In quel momento stava pensando ai mille scenari che si era immaginata la notte dopo aver conosciuto Grindelwald: un oceano di diverse conversazioni, molto distanti da quello che era successo. Alaska non poteva dire di essere stata impacciata o insicura, ma di certo le parole del giovane l’avevano in alcuni punti spiazzata, tanto da renderle difficile il compito. « Con i ragazzi per esempio ci sono cose che a posteriori non farei o direi, ma lì per lì la genuinità dei momenti mi frega sempre! Quando si incontrano persone nuove è un po’ come un grande terno all’otto…non sono proprio capace di rispondere a tono alle loro battute… ci vuole grande spirito per fare una cosa del genere, ma dovrei imparare quando si tratta di prese in giro, non posso sempre contare sugli altri. »
     
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