moving along

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    « Signorino, non dovrebbe bere così tanto, le fa male.. » La vocina sottile dell'elfo domestico sembra ridestarlo per qualche attimo. Eccolo lì, Arthur Cavendish nel suo elemento base: essere un rifiuto umano che si comporta da rifiuto umano. Si era rintanato nelle cucine ormai da ore, e anche adesso, seduto con le gambe incrociate, accovacciato sotto un tavolino fin troppo basso rispetto la sua statura, è lì che si trova. Una bottiglia ormai semivuota di liquore per dolci stretta tra le dita scheletriche. « Andiamo, è liquore per dolci. Lo sanno tutti che col liquore non ci si ubriaca. Sennò non lo usereste per i muffins a colazione, no? » Ribatte il ragazzo, in quel ragionamento che, a sua detta, sembra proprio non fare una piega. Se non fosse per il fatto che è completamente andato, forse potrebbe anche considerarsi un'affermazione abbastanza sensata, dopotutto. Ma appunto, di sensato al momento, nella testolina fuori controllo di Arthur Cavendish, non vi è proprio nulla. Sono giorni che sta così. Giorni che non mangia, più del normale, decidendo di sfondarsi il fegato di alcool sopra alcool, di qualsiasi tipo o genere possa trovarne in giro. Giorni che salta le lezioni, o che si fa recuperare da questo o quello studente a dormire in chissà quale punto sperduto del castello, con tanto di bava alla bocca, alle volte. Giorni che si guarda allo specchio, e ciò che il vetro gli rimanda indietro, di volta in volta, è soltanto l'ombra di un ragazzino del cazzo che si comporta in maniera altrettanto del cazzo. Pelle oltremodo pallida, lividi ovunque, occhiaie a cerchiargli gli occhi spiritati e viso tremendamente scavato. Un riflesso quello nel quale non si riconosceva da un po', ma che ad oggi lo perseguita, fissandolo con sguardo vitreo attraverso qualsiasi superficie lucida si trovi vicino. E la cosa triste è che Arthur, in quel riflesso, si riconosce perfettamente, e pur facendolo, non è capace di evitarlo. Non sa metter da parte quanto lo rende in quella maniera, quanto lo distrugge, irrimediabilmente, e tutto ciò è patetico. Ma in fin dei conti, tutto della sua vita è tremendamente patetico. Basta solo guardarlo, dopotutto. Nascosto sotto un tavolo da ore, seduto per terra, la camicia strappata, a trangugiare alcool di quarta categoria per sopperire ad una dipendenza sempre più degradante. Si fa pena, decisamente pena, ma forse non abbastanza da riuscire a smetterla. Perchè farlo, dopotutto? Perchè smetterla? Ci aveva provato, provato davvero, ed ecco a cosa tutto ciò l'aveva portato, infine. Aveva rovinato ogni cosa, come d'altra parte era sempre stato un maestro a fare. Mandare a puttane quanto di sano, quanto di normale e vagamente bello ci fosse nella sua vita di merda. E Vicky era stata decisamente qualcosa di bello. Con quel suo sorriso sincero, capace di riaprire squarci in quella sua anima nera, e quella risata cristallina che talvolta gli sembrava di sentire riecheggiare per le pareti. Aveva provato a parlarle, quel giorno, soltanto qualche ora fa. Seduto sul muretto del cortile, con un porta pranzo inutilmente riposto sulle gambe, aveva mantenuto lo sguardo fisso di fronte a sè, per minuti su minuti che a lui, in realtà, sembravano solo secondi. « Ma è più bionda, oggi, o sono io? » Aveva chiesto, sospirando, rivolto ai due amici. Randy da un lato, intento a fumare, e Seb dall'altro, impegnato a fare lo stesso. « Bella è più bella, quello è evidente. Vero che è evidente? » Aveva continuato, con quel tono che sembrava provenire da un altro mondo. Cosa che effettivamente trovava delle solide basi nel suo essere terribilmente fatto, già di primo pomeriggio. « Perchè non vai a parlarci? Sono giorni che stressi. Vuoi parlarci, vacci a parlare, cosa c'è di più semplice? » Persino le parole di Seb, severamente sincere, non erano riuscite a destarlo da quella trance in cui sembrava esser precipitato. Si era limitato a scuotere la testa infatti, Artie, con l'ennesimo sospiro, senza smettere di guardarla. « Non posso » Ti prego, non seguirmi « Davvero, non posso » « Ma è lì, cazzo, è lì! » Ed era vero, Vicky era lì, a pochi metri di distanza, quel pomeriggio. E lui per qualche istante si era addirittura alzato, per protrarsi di qualche passo nella sua direzione. Ma non era un cuor di leone, Arthur, mai lo era stato, e temendo un suo rifiuto, per la seconda volta dopo averle mandato quei messaggi, qualche sera fa, aveva cambiato direzione, correndo per il corridoio senza guardarsi alle spalle. Per giungere infine alle cucine, e qui termina questa breve storia triste. Assieme alla bottiglia di liquore. « E' finita, hai dell'altro? » Domanda, scuotendo la bottiglia e battendosela sopra la bocca spalancata, come a volerne trarre le ultime goccioline. Non ottiene nulla, e allora striscia fuori da sotto il tavolo, poggiandola per terra. L'elfo domestico gli lancia un'occhiata esasperata, con quei suoi due enormi occhi verdi. A differenza di molti altri del suo ceto sociale, Arthur non aveva mai maltrattato, quelle creature. Non lo trovava sensato, nè divertente. Era anche per questo che nell'enorme villa Cavendish non si vedeva un elfo domestico da anni, vista l'abitudine del ragazzino di liberarli tutti, prima o poi. Con quelli del castello aveva stretto amicizia da tempo, specialmente con Tinky, che da quando l'aveva trovato un giorno nei bagni, con i polsi recisi, terribilmente sfregiati e dopo avergli salvato la vita, sembrava averlo preso davvero a cuore. « No, è finito tutto » La sua vocina è decisa, mentre prende a scuotere la testa vistosamente. « Ammenochè non voglia il vino per sfumare lo stufato di carne » Ridacchia, la creaturina, probabilmente soddisfatta della propria battuta di spirito, ma quando lo sguardo si posa sul serpeverde, è tremendamente serio che lo ritrova « ...No. » « Andiamo Tinky non farti pregare » « Nooooooo! » Urlacchia, ormai troppo tardi, perchè il biondo si è già alzato, per dirigersi deciso verso la credenza dove sa per certo si trovino tutti i vari alcolici. Con l'elfo ancora appiccicato ad una gamba, nel vano tentativo di fermarlo, stappa la bottiglia, la annusa qualche secondo, fa spallucce e inizia a bere. E' pesante, è davvero pesante, e sente il suo stomaco gorgogliare nell'accogliere quel liquido infuocato, ma non ci fa caso. Così come non fa caso alle preghiere di Tinky, che lo supplica di rimanere lì in cucina -luogo che non può lasciare fuori coprifuoco- per tenerlo d'occhio e non mandarlo in giro in quelle condizioni. Ma Artie a quelle condizioni è ormai abituato, e quindi, nel buio di quella notte inoltrata, si incammina per i corridoi, senza nemmeno preoccuparsi di far luce. Avanza nel buio, andando a sbattere qua e là. « Ragazzo, attento a dove metti i piedi » « Fottiti » Mormora, rivolgendosi ad uno dei tanti quadri affissi alle pareti. Barcolla, per poi poggiarsi una mano sullo stomaco, laddove ha appena sbattuto contro non saprebbe dire cosa. Sembra fare più male del normale, e mentre tasta la pelle al di sotto della maglietta larga e fin troppo leggera per il freddo Novembre inglese, le sue dita vanno a poggiarsi sugli ematomi che solo qualche giorno fa, a seguito di una rissa, si è assai poco furbescamente ricavato. Continua a tastarli, imprimendoci le dita sopra, come a volersi far male volontariamente e sadicamente, ed è in un repentino quanto effimero sprazzo di lucidità, dovuto al dolore provato, che quell'idea lo coglie all'improvviso. Alza il capo allora, guardandosi attorno. Non sa bene dove si trovi, quindi gira su sè stesso, come a volersi orientare. Ma più gira, più peggiora la situazione, oltre che il suo equilibrio, che lo porta a precipitare per terra, sbattendo la faccia contro qualcosa di duro. Si rialza a fatica, il naso sanguinante, e decide di risciacquarselo con del vino, uscendo la lingua fuori, per non sprecarne troppo. Risparmiatore, questo Cavendish.
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    Quindi, ripulitosi con la manica, senza possibilità di vedere l'effettivo pasticcio che è al momento la sua faccia, riprende a camminare. E alla fine, dopo minuti che gli sembrano ore, e forse lo sono davvero, riesce a giungere a destinazione. L'ingresso della Sala Comune di Grifondoro. Fa per entrare, ma va a sbattere contro il quadro che lo separa dall'ingresso. Perciò vi scivola attraverso, lentamente, andandosi ad adagiare per terra. « Figliolo, è tardi » La voce della Signora Grassa lo accompagna mentre si accovaccia per terra, una mano sulla pancia, la testa che va a toccare il pavimento gelido. « Non dovresti essere quì. E non mi sembri nemmeno uno dei miei figli » Le fa il verso, il biondo, mentre ride, gli occhi socchiusi, una gamba a cavallo. Poi si rimette a sedere, riagguanta la bottiglia di vino, ne manda già altri quattro o cinque sorsi, e reprime l'istinto di vomitare con qualche singulto. « Posso entrare? » Domanda, rialzandosi « Per favore » dice. Ma la donna nel quadro, che lui riesce a scorgere a malapena, è irremovibile. « Torna al tuo dormitorio ragazzo, e.. » « Per favore. Fammi entrare » Si lamenta, riavvicinandosi, con una spalla che va a sbattere contro la tela del quadro. Una prima volta, poi una seconda, poi una terza, sempre più forte. « Ho detto per favore » Dice, sbattendo di nuovo, poi si allontana, alzando una gamba per dare un calcio alla cornice, e poi un altro. « Fammi entrare, stronza! » Continua a mollare colpi, come una iena impazzita, senza curarsi del baccano, nè delle proteste della Signora Grassa. Alla fine si allontana, giusto di qualche passo, portandosi le mani alla bocca. « Vicky! Victoire Weasley! » Urla « Esci fuori Vicky! Esci fuuuuooori! » Is it weird that I'm drunken on my sofa? Is it weird that I'm naked on my sofa? All alone, damn, I wish I didn't know ya. Is it weird, so weird. « Sono stato un coglione, ti prego, perdonami! » La voce è incrinata dal troppo alcool in circolo, ma non ci fa caso, mentre continua ad urlare cose senza senso, ed intonare anche quelle che sembrano canzoncine da classico ubriaco marcio. I know I'm the stupid one who ended it. And now I'm the stupid one regretting it. It took me a couple drinks to admit it I know I'm the stupid one. « Torna da me, ti prego- Respira a fondo -Non è vero che è okay così, come stanno le cose. Odio come stanno, lo odio fottutamente. Voglio vederti, voglio parlarti, voglio abbracciarti- Continua, trangugiando ancora un altro sorso. -Ti voglio quì, per me, e ti voglio adesso! » Batte i piedi per terra « E non me ne andrò fin quando non ti vedrò. Cazzo no! » Scared of moving on, but you're already gone. So if you're moving on, won't you just tell me?
     
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    « Ari, stiamo qui fino alle quattro di mattina se non finiamo questo saggio. » Prende a dire, sconsolata, mentre rialza gli occhi dalla propria pergamena giusto qualche istante. La mora sbuffa, dall'altro lato del piccolo tavolino che hanno attrezzato alla bell'e meglio come una scrivania sulla quale entrambe possono finire di scrivere i loro manoscritti sul perché vi sono solo cinque eccezioni alla legge di Gamp. « Ma seriamente a qualcuno interessa questa roba? » Ari apre bocca, quasi cantilendando e gli occhi di Vicky si alzano nuovamente dal tavolo, per fare una smorfia stanca. « E' la regola che è alla base della Trasfigurazione, no? A qualcuno deve importare per forza. » E l'elementare Watson alla fine dove lo lasci, Sherlock? Fa la sua osservazione brillante, per poi sbadigliare ancora una volta. Non c'è alcun dubbio sul fatto che entrambe non siano degli assi in materia di studio, ma da quando sono in camera insieme, cercano sempre un po' di supportarsi a vicenda, specie in situazioni del genere dove la noia e l'assoluta non voglia prendono il sopravvento. Altre 30 righe e sono alla fine della quinta pagina. Posso farcela, ancora un po' e poi andrò a letto. Devo farcela, altrimenti la Bellynard domani mi uccide. In fondo, lo sa benissimo, non sarebbe la prima volta in cui si ritroverebbe a consegnare qualcosa di incompleto, "perché è meglio di qualcosa no prof?", o a non consegnare proprio il compito, provando ad arrampicarsi sugli specchi, usando anche la scusa dei nuovi incarichi di Caposcuola e cheerleader che le portano via più della metà del tempo da vivere. E da una parte ne è felice. E' felice di non dover pensare per la maggior parte della sua giornata. Perché non ha tempo per farlo, quando deve alzarsi presto la mattina, stare dietro a sei ore di lezione, intramezzate, qua e là con qualche pausa ristoro alla quale non può assolutamente rinunciare, poi di corsa al campo per gli allenamenti, poi nuovamente al castello per ficcarci in mezzo una o più ronde insieme a suo cugino e, nell'ultimo periodo, anche svariati incontri fuori dal campo con le altre cheerleaders per finire di mettere a punto la realizzazione dell'asta di appuntamenti e la fiera natalizia. Senza contare le ore che dovrebbe ricavarsi per studiare e finire i saggi da consegnare entro le scadenze previste. Ed ecco finita una giornata tipo di Victoire Weasley, talmente piena da non farle riuscire a trovare un po' di tempo per se stessa, ma appunto, è un bene. Perché se ha tanto, troppo da fare, troppe cose alla quale badare, non può pensare. Non può accarezzare il pensiero di Artie, che fin troppo spesso, specialmente nelle ore di studio, dove il suo cervello fa tutt'altro che stare sui libri, le arriva a ricordare quanto successo. Un qualcosa che non sa spiegarsi, non lucidamente perlomeno. Seppur sia cosciente che, con ogni probabilità, il giorno dopo entrambi avrebbero fatto finta di nulla, sinceramente avrebbe preferito quella possibilità a ciò che è effettivamente accaduto. Deve essersi rabbuiata, visibilmente, perché Ari si schiarisce la voce, per riprendere a parlare. « Ma questo signor - com'è che si chiamava? - Gamp non aveva altro a cui pensare che pensare ad inventarsi questa legge? No, dico io, crede di aver fatto una cosa buona dicendo che il denaro non si può creare dal nulla? Genio vero oh! » Vicky è grata alla ragazza per quell'intromissione che riesce a strapparla dal pensiero degli occhi di Artie, quando si è reso conto di aver fatto un casino. Così tristi e così colpevoli allo stesso tempo. « Ma tu lo sai quanta roba potevo comprarmi se avessi potuto moltiplicare i soldi, creandoli dal nulla? Borse a volontà, quegli stivali neri che abbiamo visto ad Hogsmeade sabato, vestiti come se piovesse. Mi sarei anche ricordata di te, pensa un po'. Tutto questo alla faccia di questo Gamp qua. » A questo punto non può che scoppiare a ridere, intenerita allo stesso tempo dal pensiero di Ari. « Grazie, troppo gentile. E cosa mi avresti comprato? Sentiamo. » Alza le sopracciglia, come a volerla sfidare nel proseguire su quel sentiero impervio. Sentiamo che pensi sul mio modo di vestire. La mora ci pensa su, scostando di lato il rotolo di pergamena sul quale stava scrivendo, chiara dimostrazione d'intenti. « Ti porterei sicuramente dal parrucchiere, per prima cosa. Ti vedrei bene con una frangia latrale e magari cambierei colore. Hai mai pensato al rosa o al viola? » Vicky aggrotta le sopracciglia, andando ad intrappolare le punte di una ciocca, tra indice e medio, per portarsele davanti agli occhi. « Che hanno i miei capelli che non va- ma non fa in tempo a finire, perché un urlo a squarciagola la costringe a fermarsi. Le due si guardano, incredule, fin quando Vicky non decide di avvicinarsi alla finestra della stanza, per affacciarvisi. « Non c'è nessuno qua fuori. » Ma le urla proseguono. « Vicky! Victoire Weasley! Esci fuori Vicky! Esci fuuuuooori! » Deglutisce, la bionda, mentre i suoi occhi saettano verso Ari, che dal canto suo, si sta trattenendo a stento, mentre quello che ormai ha capito essere Artie, canta a squarciagola, probabilmente da fuori la Sala Comune. La vede, che si contorce, ma vorrebbe dire qualcosa e allora rotea gli occhi al cielo. « Vai, parla! » « Ma lo senti? Ti sta facendo una serenata. Ora, ormai non mi frega niente dei ragazzi, sia chiaro, ma è una cosa carina no? Ha fatto lo stronzo, verissimo, ma..sta cantando per te. E lo senti che dice? Sta chiedendo il tuo perdono. » Scrolla la testa, Vicky, leggermente rossa in viso al pensiero che tutta la torre sentirà quell'urlare a profusione. « E' sicuramente ubriaco fradicio. » C'è della sconsolatezza nel suo tono di voce, simile a della rassegnazione. « Sicuro, non si chiamerebbe Arthur Cavendish altrimenti. Ma è comunque qualcosa. Da che so, e ne so davvero tante su di lui, non ha mai fatto niente del genere per nessun altro. » Continua a scrollare la testa, Vicky, quasi come meccanismo di difesa. Non mi importa, non è così che si fa. Lui continua ad urlare e alla fine, sbuffa, agguantando la vestaglia ai piedi del suo baldacchino, mettendosela velocemente. « Se non scendo, è probabile che sveglierà tutta la torre. Finisci il compito, che ci metterò poco. Si tratterà di mandarlo soltanto a letto, tanto sarà fuori. » Cretino. « Torna da me, ti prego. Non è vero che è okay così, come stanno le cose. Odio come stanno, lo odio fottutamente. Voglio vederti, voglio parlarti, voglio abbracciarti. Ti voglio quì, per me, e ti voglio adesso! » Scende le scale di corsa, con la bacchetta che sobbalza nella tasca della vestaglia ad ogni balzo in avanti, mentre cerca di velocizzarsi, man mano che il Serpeverde sembra non avere alcuna intenzione di smettere. « E non me ne andrò fin quando non ti vedrò. Cazzo no! » Alla fine, il passaggio si apre, mentre il quadro scivola di lato e alla fine del tunnel, la figura di Artie prende forma, illuminato dalla luce del focolare più vicino. « No dico, ti sembra il caso? » Prende a dire, ancor prima di sbucare fuori dal buio del cunicolo, per poi avventarsi su di lui, andando a tappargli la bocca con la mano, sbilanciandosi, per forza di cose verso l'alto. « Artie sono le 2 di notte, per l' amor del cielo. Fai silenzio!! » Sibila, con convinzione, mentre sente la Signora Grassa brontolare alle sue spalle. « E' un tuo amico? » Una specie. Annuisce, voltandosi a guardarla per qualche istante, notando la sua espressione decisamente contrariata. Ma non fa in tempo a ribattere altro che sente qualcosa di caldo pizzicarle la pelle della mano. Si volta nuovamente verso Artie e nota il sangue scendere dal suo naso, andandole a macchiare le dita che stanno ancora ferme, sulle sue labbra. « Ma stai sanguinando..» commenta, sovrappensiero, per poi risvegliarsi. « Perché stai sanguinando? Che hai fatto? Ti ha menato qualcuno? » Una raffica di domande, mentre allontana la mano dal suo volto, per poi stringergli un braccio, costringendolo ad incamminarsi in avanti. « Lui non può entrare. » Victoire alza gli occhi e nel suo sguardo è visibile tutta l'aria di sfida di cui è acceso. Prova ad impedirmelo. « Se ne sarà necessario, sarò io stessa a renderne conto alla preside. Buonanotte. » Così dicendo, si lasciano alle spalle il quadro, che si richiude velocemente, mentre con la mano libera, Victoire accende la bacchetta per poterla puntare nel
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    buio del tunnel. Lo oltrepassano velocemente per poi entrare nello spazio comune di Grifondoro. In silenzio, si muove. Lo aiuta a sedersi sul divanetto più vicino, prima di puntare la bacchetta verso il focolare per riavviare le fiammelle ormai quasi sopite. Queste prendono a danzare nuovamente sopra i ceppi ardenti e lei si volta verso il biondo. E' conciato male. Sul profilo del naso è comparso un ematoma violaceo e il sangue incrostato sotto le narici viene continuamente ricambiato dal fiotto che prosegue ad uscire. « Cielo, che disastro! » Commenta, prima di dargli un paio di schiaffi sul volto per avere la sua attenzione. « Ehi, ehi, non addormentarti, rimani qui. » Prende a dire, prima di puntargli contro la bacchetta per cominciare a ripulirgli il volto, mentre si tasta le tasche, fin quando non ritrova al loro interno un fazzoletto di tela. Gli tasta per qualche istante il naso con le dita, seguendo il profilo dell'osso, con una smorfia. « Non sono una guaritrice, ma non credo sia rotto. » Commenta, portando il fazzoletto sotto il suo naso, per tamponare il flusso che continua a scendere. « Ma fossi in te andrei a farmi dare una controllata in infermeria. » Forse dovrei portarcelo io, così magari gli fanno una bella fisiologica per riprendersi da questa botta. Ma il flusso di sangue sembra diminuire, a poco a poco, rincuorandola almeno un po' sul fatto che sì, non sta messo bene, ma perlomeno è meno grave di quanto possa apparire. Alla fine gli prende la mano e la mette sopra il fazzoletto, affinché sia lui a tenerselo tamponato, mentre lei prende posto nella poltroncina accanto al divano. Guarda per qualche istante il fuoco crepitare davanti a lei e sospira, infine, quando sente che quel silenzio è diventato davvero insostenibile. « Artie, non puoi fare così! » Si ritrova dire, deglutendo. « Non puoi presentarti qui e urlare come un pazzo, nel bel mezzo della notte, come se bastasse questo per risistemare tutto. » Volta il capo e lo guarda fissa. « Mi potevi mettere nei casini. » Potrei ancora finirci in mezzo se la Signora Grassa decide di spifferare che ti ho fatto entrare qui dentro. « Perché? » Sbotta dopo qualche istante di silenzio. « Perché hai deciso, nuovamente, di ributtarti in questo baratro? Guarda come sei ridotto, nemmeno ti reggi in piedi da solo e gli Dei solo sanno che cosa circola nelle tue vene in questo momento. » Le è giunta voce degli spettacoli indecenti che ha dato negli ultimi giorni, sempre fatto come una pigna, in giro per il castello e anche oltreoceano. « Non ti vuoi bene nemmeno un po'? » Continua ad incalzarlo, sperando, forse, che sia talmente poco presente a se stesso da crollare lì, seduta stante. « E a me? Non ne vuoi nemmeno a me? Pensi che mi faccia piacere vederti così? Pensi che non mi faccia male costantemente? » Gli domanda ancora. « O magari punti proprio a farmi pena. Beh, se è così, sappi che hai fallito la missione perché l'unica cosa che provo al momento è rabbia. Sono arrabbiata, tanto. Perché non ti meriti lo schifo al quale continui a sottoporti. » Non te lo meriti, capiscilo da solo. Scrolla la testa, appoggiandola poi allo schienale. Respira a fondo un paio di volte. « Ti prego, smettila di farti del male. »

     
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