Happy Xmas (war is over)

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    Ministero della Magia
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    "Sinceramente non capisco proprio perché non hai preso il corso auror alla fine. Cioè, praticamente ti stava cucito addosso, e col curriculum che ti sei fatto avevi pure la strada bella che spianata." In tutta risposta il giovane Marchand si strinse nelle spalle, facendo cadere nel carrello con un pesante tonfo uno dei tanti tomi richiesti dai professori e spuntandolo immediatamente dalla lista che aveva in mano. La verità è che per quanto Nadim fosse un tipo simpatico e un ottimo compagno di studio, Erik non aveva ancora acquisito con lui il tipo di confidenza necessaria ad addentrarsi nel discorso con cui avrebbe elencato tutte le varie ragioni che lo avevano allontanato da quel tipo di percorso. Medimagia..beh, sicuramente era stato un bel salto - letteralmente di palo in frasca, ma in fin dei conti la materia gli piaceva e un nuovo inizio non poteva fargli altro che del bene. "E' che sai, semplicemente penso non fosse la mia strada. Preferisco starmene al di fuori del Ministero e adempiere semplicemente ai miei doveri di civile." Che è esattamente ciò che avrei dovuto fare sin dall'inizio, invece di prendere le decisioni col culo. Uuuuh dovrei proprio sfruttare gli amabili insegnamenti della mia infanzia per rendermi utile alla comodità: andrà tutto bene, in fin dei conti sono solo una bomba ad orologeria emotiva. E sì, era andato tutto bene, ma solo perché se ne era chiamato fuori in tempo. Non era stato affatto facile affrontare la realtà dei fatti: essere completamente inadatto al lavoro che aveva scelto e di conseguenza deludere le aspettative di tutti coloro che contavano su di lui. Così come non era stato facile presentarsi in seguito a Inverness e convincere chi viveva lì del fatto che lui volesse davvero soltanto aiutare. Persino Fawn era stata presa nel mirino per essersi affiancata a lui - e nonostante ciò gli facesse male, in fin dei conti non poteva dare completamente torto a quelle persone. Tanto da una parte quanto dall'altra la diffidenza si era alimentata così tanto da far sì che anche tra fratelli a volte ci si guardasse con sospetto. Ingiustizia? Paranoia? Forse. Ma se si accetta la guerra vanno accettati anche i mostri che essa crea - mostri capaci di sopravvivere ben più a lungo del conflitto stesso poiché non figli di politiche, ma frutto della mente umana. "Bo, fai come credi, ma secondo me è uno spreco." Sorrise, incanalandosi nella lunga fila alla cassa e voltandosi allora verso l'amico. "Beh, grazie per credere in me come futuro medimago, Nadim. Mi scaldi il cuore." commentò ironicamente, portandosi una mano al petto prima di avanzare di un passo più avanti. In tutta risposta il ragazzo alzò gli occhi al cielo, sbuffando pesantemente. "Dai bello, hai capito cosa intendo." Sì, lo aveva capito, ma preferiva di gran lunga sviare il discorso con un commento sarcastico.
    Una volta usciti si fece aiutare dall'amico a portare le buste colme di tomi giganteschi fino al proprio appartamento: un locale piuttosto semplice, situato all'ultimo piano di un palazzo talmente vecchio da non avere un ascensore. In seguito all'apertura del college si era trasferito lì per comodità, optando per l'offerta più spartana in circolazione sul mercato. D'altronde, ormai abituato ad avere una casa tutta sua, non se la sentiva di andare a vivere negli alloggi studenteschi, però non voleva nemmeno vivere distante dal centro della vita studentesca. L'opzione gli era dunque stata congeniale, se non fosse stato per il fatto che la vecchia signora dell'interno speculare al suo era un po' troppo acida e ficcanaso. "Saaalve signora Freeman." disse controvoglia, col fiato corto per la salita, adocchiando lo sguardo arcigno della donna che si sporgeva dalla porta - aperta tanto quanto i cinque catenacci permettevano - per osservare chi stesse salendo. "Ah. Sei tu. Chi è questo qui?" "Il mio amico Nadim, signora." Silenzio. "E' musulmano?" "Sì, signora." E a quel punto la risposta della donna fu chiudere di colpo il portone, rigirando la chiave nella toppa almeno cinque volte. Erik, dal canto suo, scosse il capo, trattenendo a stento una risata nell'aprire la porta di casa e lasciarvi dentro le buste della libreria. "Non ci fare caso, è un po' razzista."
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    Tra una chiacchiera e l'altra passò qualche minuto prima che lo sguardo ceruleo di Erik incontrasse l'orologio appeso al muro, portandolo di colpo a sgranare gli occhi e alzarsi di scatto dalla sedia. "Oh cazzo, scusa Nadim, non ti voglio buttare fuori di casa ma sono in ritardissimo. Dovevo essere da Starbucks tipo dieci minuti fa." Dieci minuti: la concezione di ritardo inaccettabile per Erik Marchand. A quel punto, dunque, si scapicollarono entrambi per le scale ripide del palazzo, dividendosi velocemente davanti al portone con la promessa di ritrovarsi in tarda serata a La Testa di Porco per prendere una birra. E lì, veloce come il vento, l'ex inquisitore si precipitò in caffetteria, dove trovò Fawn già seduta al tavolo con le ordinazioni di entrambi - perché ormai, per abitudine, la sua doveva averla memorizzata da un pezzo. "Scusa scusa scusa, ho perso la cognizione del tempo. Oh, ti saluta Nadim, dice che domani fa una serata di poker a casa sua e sei invitata." Adocchiò la tazza di cartone che doveva contenere il suo caffè nero, sorridendole. "Grazie per aver ordinato. Quanto ti devo?" ma non fece in tempo a finire la frase che la sua fronte si aggrottò nel leggere il nome scritto col pennarello sul fianco del bicchiere. Red. "No ok, ritiro tutto: non ti darò nemmeno un centesimo. Quando la smetterai mai di rinfacciarmi quella storia del dress code? Sono passati mesi, Fawn: seppelliamo i morti e diamogli pace eterna." Un commento che pronunciò sull'orlo di un sorriso, scuotendo il capo prima di portarsi alle labbra il bicchiere di cartone, prendendone un piccolo sorso. L'aveva invitata ad incontrarsi un po' perché ormai era abbastanza all'ordine del giorno, e un po' perché con le feste incombenti voleva trovare il modo di darle di persona il suo regalo di Natale con tutta calma, senza ritrovarsi a dover ritagliare dieci minuti all'ultimo per i mille impegni che sicuramente avrebbero sommerso entrambi. Così, dopo un altro sorso di caffè, si portò sulle ginocchia la grossa tracolla che ormai portava ovunque con sé, aprendola per tirarne fuori un pacchetto decisamente natalizio all'interno del quale avrebbe trovato un mazzo di tarocchi. Ma non uno qualunque: un mazzo unico. Erik lo aveva commissionato a una delle migliori divinatrici della Corte, dandole tutte le informazioni su Fawn necessarie a rendere le carte estremamente personalizzate. Ognuna di esse era disegnata e dipinta a mano, incantata affinché le immagini si muovessero e interagissero tra loro in sede di lettura. "Lo so, ci eravamo promessi niente regali, però ecco..più che come un regalo di Natale, prendilo come un pensiero che casualmente mi è balenato per la testa in questo periodo." Le allungò il pacchetto sul tavolo, rivolgendole un'occhiolino e un'alzata di spalle prima di nascondere il proprio sorriso dietro il bicchiere di caffè.
     
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    « Scusa scusa scusa, ho perso la cognizione del tempo. Oh, ti saluta Nadim, dice che domani fa una serata di poker a casa sua e sei invitata. » Ed eccolo. Fawn, con gli angoli della bocca che tremolavano nel tentativo di trattenere una risata, fece quello che ogni persona per niente melodrammatica avrebbe fatto. Si portò una mano alla fronte, finse di asciugarsi dell'immaginario sudore, e tirò un esagerato sospiro di sollievo, prima di riportare lo sguardo sul giovane e proferire in tono grave: « Meno male che sei arrivato. Un altro paio di minuti e ti avrei dato per disperso. Te lo immagini? Chiamare le autorità e spiegare loro che "no, non sono psicopatica - non capite! Lui non farebbe mai una cosa del genere! L'hanno rapito gli alieni, vi dico! » Una pausa, dove si trattenne ancora una volta dallo scoppiare in una sonora risata. « Sì sì, ok, da quanto non lo vedo? Eh, ieri? Eeeeh, sì, ma è in ritardo di un quarto d'ora." » E a quel punto, non riuscendo più a portare avanti la pantomima, si nascose dietro il proprio bicchiere di caffé, con le spalle che tremolavano traditrici, segno che una risata, prima o poi, sarebbe arrivata. Teatrini e ritardi a parte, però, una cosa era subito evidente: l'americana era di ottimo umore. Da un lato perché Natale era alle porte - e lei aveva sempre adorato le festività - dall'altro perché quello corrente era da considerarsi un upgrade di quello precedente. Insomma, dal passarlo in cattività, letteralmente, scappando dai mostri infernali, al potersi godere un caffé ad Hogsmeade, c'era il mare di mezzo. E poi in generale, nonostante tutti i mille impegni ed il fatto che spesso e volentieri non avesse nemmeno il tempo di respirare, complice la mole di studio e la sua incapacità di stare ferma per più di venti minuti, quello era un momento felice. Un vero e proprio nuovo inizio. Certo, come ogni cosa nuova, c'erano mille e una scocciatura ed altrettante sfumature cui abituarsi - nel suo caso la consapevolezza, stavolta effettiva, di essere per conto proprio al mondo -, ma quello non era un problema. Era un tipino adattabile, la mora, e le novità tendeva a prenderle di petto. A buttarcisi a capofitto. Senza contare che per una volta aveva avuto voce in capitolo per davvero e poteva dire di aver scelto quella vita in tutto e per tutto. « Parlando di alieni e Nadim: ma la signora 'non sono razzista, ma' come sta? Ancora barricata in casa o si è rassegnata al fatto che al mondo esistano anche persone più scure di una mozzarella? » La simpaticissima - come un gatto nero attaccato ai cosiddetti - vicina di Erik, era ormai diventata leggenda. La stessa Fawn, dopo aver subito un interrogatorio del tipo "chi sei-quanti anni hai-sei una terrorista" ed essere sopravvissuta, aveva buttato lì che dato che la donna "non era razzista, ma", nel caso la signora avesse avuto un malore Erik avrebbe sempre potuto dire di non essere ancora un medico a tutti gli effetti, e che quindi tecnicamente non sarebbe omissione di soccorso, visto che ancora non sai soccorrere. « Dai, per il poker ti faccio sapere domani: non mi ricordo se ho impegni. » Un classico. E forse qualcuno l'avrebbe vista come una banale scusa per lavarsi le mani da un evento al quale l'americana non aveva poi tanta voglia di presenziare, ma - ne era certa - così non sarebbe stato con Erik. Dopotutto avevano convissuto, e il giovane aveva avuto modo di scoprire da sé il fatto che l'altra tendesse a riempirsi così tanto di cose da fare da aver bisogno, letteralmente, di appuntarle per non dimenticarsene. Aveva un'agendina e nell'agendina i post-it con le varie note del caso. Pure quelle un codice cifrato. E certo, quell'estate erano state gravose al punto da risultare a tratti insopportabili, ma la tendenza a voler fare troppe cose tutte insieme non l'avrebbe mai davvero abbandonata - era indole, punto. « Grazie per aver ordinato. Quanto ti devo? » Fawn si limitò ad annuire con la miglior poker face dal suo arsenale, senza ancora dire niente. Anzi, per riempire il lasso di tempo tra l'affermazione di lui ed il momento della verità, decise persino di prendere un sorso del proprio caffè corretto. Tre...due... « No ok, ritiro tutto: non ti darò nemmeno un centesimo. Quando la smetterai mai di rinfacciarmi quella storia del dress code? Sono passati mesi, Fawn: seppelliamo i morti e diamogli pace eterna. » Rise. Ma una risata piena, scampanellante, fin troppo divertita considerata l'entità del dispetto che gli aveva fatto per l'ennesima volta. Aveva ragione, erano passati mesi ormai. Ma gliel'aveva già detto: la faccia di lui nel momento della realizzazione non aveva prezzo. E di certo il non ricevere indietro i soldi di un caffè non l'avrebbe frenata. Anzi, questo dettaglio rendeva il tutto ancora più divertente, se possibile.
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    « Smetterò quando troverò qualcos'altro da rinfacciare, mi sembra ovvio. Che domande fai? » Ancora tutta gongolante, però, girò il suo bicchiere in modo che potesse vedere cosa ci avesse fatto scrivere. "Petty". Dai, almeno me lo riconosco. Portata a termine quest'importantissima operazione di mea culpa, la Byrne tornò a sorseggiare la propria bevanda in silenzio. Nello sguardo aveva ancora una luce divertita. « Lo so, ci eravamo promessi niente regali, però ecco...» ...siamo pessimi a mantenere questo genere di promesse? Si limitò a guardarlo con aria interrogativa, col bicchiere che la nascondeva ancora per metà dalla sua visuale. «..più che come un regalo di Natale, prendilo come un pensiero che casualmente mi è balenato per la testa in questo periodo. » Per chi ancora non l'avesse capito, Fawn era una persona naturalmente curiosa. Per cui, già quando il ragazzo aveva estratto il pacchettino dalla tracolla, lo sguardo di lei ne aveva seguito i movimenti. Ma quando le venne annunciato che quello che c'era dentro fosse per lei... beh, accaddero un sacco di cose tutte insieme. Lo sguardo le si illuminò, e sul viso apparve un'espressione alquanto intrigata. Probabilmente, se una vocina nella sua testa non le avesse ricordato che fossero in un luogo pubblico e che lei avesse superato i cinque anni ormai da un pezzo, si sarebbe anche messa a saltellare. A Fawn il Natale piaceva, come già detto, ed in più adorava i regali. Se poi a questo si aggiungeva il fatto che si entusiasmasse piuttosto facilmente, è facile immaginare quale fu la sua reazione. Prima, vi fu un debole tentativo di fare la persona decente. « Erik, non dovevi! » Credibile. Molto credibile. Così credibile che tempo due secondi e, da brava scimmietta curiosa qual era, aveva già preso il regalo. « Posso aprirlo, vero? » Gli occhioni da Gatto con gli Stivali, che sollevò casualmente sul proprio interlocutore, erano chiaramente una tattica per distrarlo dal fatto che ormai fosse troppo tardi per dirle di no, dato che il regalo lo stava già aprendo. Velocemente anche. Quasi si aspettasse che lui glielo negasse davvero. In quel caso posso sempre tentare col labbruccio. « Comunque se è un modo per distrarmi dalla questio-woooooah. » Se l'intento di Erik Marchand, era quello di mandare il cervello della Byrne in cortocircuito, era chiaro come il sole che ci fosse riuscito. L'aveva rotta. Fawn aveva superato con successo la prima barriera - quella della carta da regalo - ed aveva aperto anche la scatolina mentre parlava fitto fitto, ma una volta arrivata alle carte, si era bloccata e basta. Rimase lì con la bocca schiusa a fissare il mazzo per qualche istante. Poi lasciò che lo sguardo si spostasse da quello ad Erik. E di nuovo. E ancora una volta, mentre cercava di raschiare quel che restava del dono della parola che le era stato un tempo conferito da delle metaforiche pareti. Ancora con la bocca socchiusa. « Woooah, ma cambiano?! Guarda guarda guarda, se faccio questa cosa, poi fanno... wooooah! » Doveva esserle sfuggito, in quel momento di scoperta, che Erik quelle carte doveva pur averle scelte, quindi era solo logico che ne conoscesse le proprietà. Ma in quel momento non c'era spazio per cose trascurabili come la logica nella testa di Fannie. Fu infatti un miracolo che si fosse ricordata di richiudere la bocca, memore probabilmente del famoso detto "se tieni la bocca aperta troppo a lungo, ci entrano le mosche". Quando risollevò lo sguardo sul biondo, sulle labbra aveva un sorriso che andava da un orecchio all'altro e una strana sensazione di occhi che pizzicavano. Se in quella sua testolina non fosse accaduto un cortocircuito, probabilmente si sarebbe anche accorta di avere la visuale leggermente appannata. « Grazie, non dovevi davvero, io... » Non sono abituata ai regali? Mi metto a piangere se me ne fanno uno così bello? Scosse la testa e si alzò in piedi solo per raggiungerlo e stritolarlo in un abbraccio dei suoi. « Grazie. Non solo del regalo anche... boh, di tutto il resto? » Aveva parlato contro la sua spalla quindi poteva ancora sperare che l'altro non avesse notato la voce più soffocata del solito, o il fatto che ad un certo punto avesse tirato su col naso. Perché ancora una volta, il punto non era stato il regalo. Il punto era stata una realizzazione improvvisa. Scatenata dal regalo, sì, ma a sé stante. Era come se tutta la gratitudine nei suoi confronti, quella di mesi, le si fosse riversata addosso di botto per travolgerla. E lei, dal canto suo, non aveva potuto far altro che catalizzarla in quell'abbraccio, dimenticandosi di non avere più dieci anni e di essere in un luogo troppo poco privato perché la cosa fosse da considerarsi normale. Tirò di nuovo su col naso, prima di sciogliere quell'abbraccio, sbattendo le palpebre e abbassando lo sguardo per salvarsi in corner. Sorrise, facendo un passo indietro per tornare al proprio posto. « Però sei una brutta persona. » Tentò di sdrammatizzare mentre si sedeva. « Anche io ti ho preso una cosa, ma non l'ho portata per la politica del "niente regali". Contavo di fare quella ganza che te lo spedisce e fa finta di niente, e invece mi hai battuta sul tempo. Cioè, davvero mi hai ridotta a doverti dire che per oggi sono io il regalo? » E non contenta
    prese un sorso del suo caffé con aria fintamente accigliata. O forse quello fu solo un pretesto per nascondere sé stessa e le troppe emozioni dietro la tazzona.

    Edited by lust for life - 23/12/2018, 10:32
     
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