Always someone else to blame

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  1. crazy&genius
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    « Cioè, ti rendi conto che imbecille? Si è spaccato praticamente sulla mia testa, l'idiota » un Landon particolarmente borioso stava passeggiando nei corridoi della Scuola affiancato da Jared, il povero e pazientissimo compagno con cui doveva condividere la sua stanza. « Be' oddio, non credo che lui possa inserire l'esperienza nella top ten delle cose piacevoli che gli siano capitate in vita » un giovane dal cuore d'oro era, l'unico che non aveva reputato repellente l'idea di dormire con quell'ex-Corvonero irascibile e odioso con cui praticamente nessuno aveva voglia di averci a che fare, se non per contrattare affari di compiti in cambio di falci o sigarette. « Ho capito, ma ha fatto l'esame tipo quattro o cinque anni fa, e ancora ha problemi a fare ste cose? Nel senso, mi sono ritrovato un pezzo di braccio sulla spalla, Cristo » alzò le mani al cielo esasperato dalla stoltezza dell'umanità, senza provare un minimo di compassione per il Grifondoro che giusto due giorni prima era dovuto andare al San Mungo per una materializzazione fatta male nei pressi di Hogsmeade. L'inglese si era ritrovato esattamente nel punto sbagliato al momento sbagliato, senza riuscire nemmeno a scostarsi prima di ritrovarsi con la maglietta color ciano imbrattata di sangue e la faccia a metà tra lo scioccato e il disgustato. « Boh, secondo me dovresti fare almeno un salto a trovarlo » si girò lanciando un'occhiata di fuoco al Tassorosso, lasciando che il suo silenzio esprimesse tutto l'astio che quell'idea assurda e patetica gli aveva provocato. Doveva essere pazzo se pensava che Landon fosse quel tipo di persona. Pazzo, rincretinito o del tutto fuso.
    « Io vado a farmi un caffè, ci becchiamo dopo » una pacca sulla spalla, e il Bronzo-Blu si era già dileguato in mezzo alla folla di studenti che scalpitanti si dirigevano giù dalle scale, desiderosi di mettere qualcosa nello stomaco o di godersi l'aria fresca dopo un'intensa mattinata di lezioni.
    Quel pomeriggio non solo non avrebbe avuto corsi, ma aveva ben tre ore libere prima di cominciare il turno lavorativo pomeridiano al Ghirigoro. Una cosa mai vista, una meravigliosa eccezione che brillava nella sua vita piena di delusioni.
    S'incamminò verso la Caffetteria Starbucks a passo lento, accendendosi una sigaretta ed inspirando il fumo con calma, godendosi il sole sulla pelle. Un sole di quelli piacevoli, che ti carezzavano le palpebre con dolcezza e che si assentava per qualche istante dietro una nuvola pallida e furba, per poi sbucare fuori nuovamente rinvigorito di luce. Landon avrebbe voluto fermare il tempo in quell'istante con un cronometro; raramente gli capitava di provare un sentimento di pace e serenità, e quando capitava non durava per più di due minuti, interrotto magari da qualche demente incapace di smaterializzarsi. Difatti, appena mise piede nel locale si pentì già della scelta: la caffetteria era strapiena, e probabilmente ordinare una tazza di caffè gli sarebbe costato almeno un terzo della sua preziosissima pausa, se non di più. « Un americano lungo extra-large, grazie. Sì sì, caldo. Niente zucchero. Mh.. da portar via, sì. Landon, sono Landon » si appiccicò in un angolo in attesa di sentire pronta la sua ordinazione, agognando di poter uscire da quel luogo incasinato il più in fretta possibile. « Americano pronto! » squillò dopo pochi minuti la voce allegra di una ragazza. Il Corvo si diresse frettolosamente verso il bancone afferrando la tazza rovente ricoperta di cartoncino verde e bianco, assaggiandolo prima di mettere il naso fuori dalla stanza. Storse le labbra sentendo il sapore zuccherino della bevanda, facendo rapidamente retro-front con aria corrucciata. « Non... questo non è mio » borbottò senza farsi sentire, cercando di tradurre l'incomprensibile grafia spalmata con un pennarello nero sul bicchiere. « Olive? C'è una Olive? No asp... Olympe? OLYMPE » si eresse in tutta la sua altezza, cercando la proprietaria girandosi su sé stesso nel tentativo di scorgere qualcuno nella sua stessa situazione. Che giornata di merda.
     
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    « No, mamma, questa sera non posso. » Una piuttosto indaffarata Olympia si dirige come una trottola impazzita verso Starbucks. Ha bisogno del suo quotidiano tè delle cinque, che possa ridarle un po' di carica per continuare in quel turbinio di cose che deve ancora fare. Ha la borsa a tracolla, un cartellone arrotolato sotto un braccio, alcuni compiti da riguardare per conto del professor Wilde nell'altra mano e tiene il cellulare in equilibrio precario tra la spalla e l'orecchio destro. « Non posso perché ho da fare, semplice no? » La madre borbotta dall'altro capo del telefono e Olympia si ritrova a sbuffare, decisamente infastidita da quel suo continuare ad insistere affinché lei e Rudy vadano a cena da loro. « Non sono maleducata, ma ti sto dicendo che ho da fare. Un impegno preso da tempo, sì. » « Con chi? » Trattiene una parolaccia a fatica, la rossa, mentre nessuno di buon cuore sembra disposto ad aiutarla nel tentativo di aprire la porta del locale senza far cadere tutto rovinosamente a terra. « Con il gruppo del Gineceo. Te ne avevo parlato, stiamo organizzando un'altra manifestazione. » Quest'ultima spiegazione sembra acquietare almeno un po' l'animo di Ginny Weasley, mentre una santa anima inviatale dal cielo le apre la porta, riuscendo a farla entrare. "Grazie" scandisce con le labbra alla ragazza, in segno di eterna gratitudine nei suoi confronti. « Amore sei sicura di star bene? Stai sempre al college ultimamente. O lì, o al gruppo. Non vieni a pranzo la domenica da quasi un mese. E' tutto okay? Con Rudy? Anche lui non lo vediamo da dopo Natale e non so, mi chiedevo..» « Mamma sì, è tutto okay. Sto benissimo, sono solo tanto incasinata perché sto cercando di seguire tutti i corsi e tutti i miei impegni per poter arrivare a fine anno esattamente in pari con tutto. » La madre non sembra ancora convinta, lo capisce dal tono con il quale continua, sospettosamente, a borbottare. La sente che sta per farle l'ennesima domanda, ma la rossa decide di mettere un freno alla cosa, una volta per tutte. « Scusa mamma, deve esserci qualche specie di interferenza perché non ti sento più tanto bene. Che dicevi? » « Dicevo che cominciamo ad essere preoc- « Mamma? Mamma? Ci sei ancora? » « Olympia mi senti? » « Niente, è andata. » Chiude la chiamata, con il cellulare che scivola a fatica dentro la borsetta, sentendosi leggermente in colpa. Non le piace dire così palesemente le bugie. Non è assolutamente una cosa da lei, ma cominciano ad infastidirla non poco quelle continue domande. Più la famiglia cerca di capire, più lei si chiude a riccio e si fa vedere e sentire sempre di meno. Sembra essere, quella, una reazione a catena continua. Una specie di domino che non ha alcuna intenzione di finire, all'apparenza. Sbuffando, si porta verso la cassa, appoggiando un po' tutta la sua roba a terra, per avere le mani libere per pagare. « Un tè, mela e cannella. Tanta cannella, per favore. » Sorride alla commossa, che le sembra di riconoscere. Le chiede che nome deve scrivere sul suo bicchiere e lei ha subito la risposta pronta, ancor prima di farle finire di formulare la domanda. « Già, sono sempre io, sempre qua! » Risponde soltanto, lasciando qualche falce sul tappetino della cassa, per poi appoggiarsi su un tavolino, poco più in là. Prende l'agenda da dentro la tracolla e comincia a controllare gli impegni della giornata successiva, cercando di incastrare riunioni e tirocinio, insieme alle tre lezioni che ha tra la mattina e il pomeriggio. E' nel pieno di quella sua speciale routine, che sembra rilassarla a tal punto da non sentire minimamente cosa sta succedendo intorno a lei, fin quando non è costretta a tornare alla realtà, con un veloce sbattere di ciglia. Si guarda intorno, frastornata, prima di incrociare gli occhi chiari della barista. « Olive? C'è una Olive? No asp... Olympe? OLYMPE » Sente la voce roca di un ragazzo. Inclina la testa di lato, per scorgerlo dietro un altro ragazzo. Sbraita con un bicchiere in mano che, con ogni probabilità, deve appartenere a lei. Olympe. Si alza allora, roteando gli occhi verso il cielo, per avvicinarsi a lei, vagamente stizzita. « Olympia. C'è un'Olympia. » Lo corregge, prima di far scivolare via dalle sue dita il bicchiere. « Grazie. » Se lo porta alle labbra e, dopo un primo sorso, si ritrova a sputare fuori tutto. Addosso al ragazzo. « Ma questo è caffè! » Commenta, pensando di volersi raschiare via dalla lingua quel sapore immondo, per poi portarsi una mano alla bocca, mortificata nel realizzare pian piano cosa ha appena fatto. « Oddio, mi dispiace un sacco. » Continua a scusarsi, poggiando il bicchiere al bancone. « Io...» prende a dire, sempre più confusa sull'accaduto. « Perdonami, io non bevo caffè e quello era decisamente caffè e non ci ho pensato..oddio che deficiente! » Si porta una mano ai capelli, prima di raggiungere con l'altra la bacchetta incastrata tra la schiena e la gonna scozzese a scacchi. Casta un semplice gratta e netta, così che tutte le macchie di caffè vanno dissolvendosi sotto i loro occhi. Si stringe nelle spalle, come a volersi scusare nuovamente, prima di tornare verso il bancone. « Io avevo preso un tè, mela e cannella, con tanta cannella. » Spiega al barista che si ritrova di fronte. « E mi chiamo Olympia. Lui, invece, aveva un..- si gira verso il ragazzo, con sguardo interrogativo - ...per farmi perdonare, è il minimo che possa fare. »
     
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