I hold on, I stay strong

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    Un'infinità di scartoffie, ecco cosa significava il suo lavoro; una quantità inimmaginabile di fascicoli che richiedevano la sua attenzione. Quando aveva ricevuto quella nomina si era illuso di poter delegare la noiosa burocrazia, ma con il tempo aveva capito che quella era il fulcro della sua carica. Ogni documento prodotto dalla squadra auror passava dalla sua scrivania e prima di essere consegnato ai piani alti doveva essere revisionato, una nuova politica che gli permetteva di sapere ogni aspetto dei compiti svolti dalla sua squadra. Le carte richiedevano un attenzione minuziosa, quasi certosina, motivo per cui ci si dedicava quando la maggior parte delle persone aveva lasciato l'ufficio. Si sedeva alla sua scrivania, accompagnato da un forte caffè nero che avrebbe avuto il compito di tenerlo sveglio e impedirgli di appisolarsi sulle carte. Un colpo alla porta lo spinse ad alzare lo sguardo, era raro che venisse interrotto durante quelle serate in solitaria, ma ogni tanto capitava che la sua segretaria si fermasse più a lungo in caso lui avesse avuto bisogno di una mano. La persona alla porta però non era Emily, ma uno dei suoi agenti. « Victor, non mi aspettavo di vederti...il tuo incarico non sarebbe dovuto terminare prima di un paio di mesi... » Era stato assegnato alla divisione estera che si occupava dell'est-europa, il ché rendeva raro scorgerlo tra le mura del ministero inglese. Il volto dell'uomo non mostrava alcuna espressione, tranne la tipica mancanza di sonno nei giorni in cui erano costretti a viaggiare parecchio. Gli fece cenno di sedersi e con l'ausilio della bacchetta fece levitare una tazza di caffè di fronte al collega. « Qualcosa è andato storto? Il tuo ultimo rapporto parlava di grandi passi avanti... » Avevano lavorato insieme in passato e quando aveva dovuto scegliere un uomo per quell'incarico Victor gli era sembrato perfetto, parlava correttamente il russo e il tedesco, inoltre vantava una rete di informatori che solo anni e anni di duro lavoro potevano costruire. « La missione procede, ma mentre eravamo sul campo ad indagare siamo incappati in qualcos'altro... » Non era raro che succedesse, spesso indagare su alcuni casi portava all'apertura di nuovi. « Recenti sviluppi ci hanno portato a sospettare che la cellula che stavamo inseguendo aveva connessioni qui in Inghilterra... » Gli porse un plico di fotografie e spostamenti riguardanti i maghi sospettati di un traffico illecito di creature altamente pericolose. « Qualche giorno fa la mia fonte ha parlato di uno scambio che sarebbe avvenuto oggi pomeriggio al cimitero di Little Hangleton. » Un cimitero più che noto a tutta la comunità magica. Rj non riusciva ancora a capire come quei criminali fossero in grado di entrare e uscire così facilmente dal loro paese, catturarli li avrebbe sicuramente aiutati a far luce sul come. « Siete riusciti ad assistere allo scambio? » Beccarli in flagrante li avrebbe sicuramente aiutati a fare passi avanti, permettendo loro di arrestare anche la controparte inglese che sembrava disprezzare tanto le leggi del suo paese natale. « Non si è presentato nessuno ma... » La greve pausa che fece l'uomo lo mise in allerta, quasi come se sapesse che ciò che gli stava per dire lo avrebbe sconvolto. « ...ma abbiamo trovato Karen capo, vagava in stato confusionale per il cimitero. » Un macigno sembrò crollare sul petto dell'uomo, togliendogli qualsiasi possibilità di respirare. Nella sua testa non faceva altro che ripetersi il nome di Karen all'improvviso, spingendolo a ricordare tutto ciò che aveva preceduto la sua scomparsa. Si alzò di scatto, rovesciando la tazza di caffè sui documenti che fino a qualche minuto prima avevano tutta la sua attenzione. Karen era la sorella di quella che ormai era la sua ex-moglie, ma era stata anche la sua partner in quel lavoro e una delle amiche più care che aveva mai avuto. Dopo che il suo matrimonio era letteralmente finito nel cesso si era rivoltato contro di lei, convinto che anche lei fosse a conoscenza delle bugie e delle menzogne che sua moglie gli raccontava; convinzione che l'aveva portato ad allontanare la ragazza. « Due anni... » sussurrò più a sé stesso che a Victor. Due anni erano passati dalla sua scomparsa, scomparsa di cui Rj si incolpava e per cui non riusciva a perdonarsi. Il suo risentimento lo aveva reso incauto, cieco di fronte ai pericoli; impedendogli di accorgersi dell'imboscata in cui stavano per finire. Svegliarsi in infermeria e scoprire che lei era scomparsa era stato devastante, aveva lavorato alla sua scomparsa nonostante il capo dell'epoca glielo avesse caldamente sconsigliato. Sei troppo coinvolto. Gli aveva detto, ma nonostante ciò non aveva potuto fare a meno di dare tutto sé stesso per trovarla. Ogni vicolo cieco in cui finiva non faceva altro che strappargli un pezzo di anima. « Dov'è adesso? » « Al San Mungo, ma Rj non so se... » Victor non fece in tempo a finire la frase che Rj si era già smaterializzato nei corridoio dell'ospedale. Sapeva benissimo che quando una persona scomparsa riappariva c'era un preciso iter da seguire; prima di avvisare i famigliari i medici e i famigliari cercavano di scoprire se la persona che aveva fatto ritorno fosse o meno un impostore. Appurata la sua identità venivano informati i famigliari e con le dovute attenzioni si procedeva ad un primo incontro. Un iter che Rj non poteva permettersi di rispettare, perchè nonostante il precedente capo avesse interrotto le ricerche lui non aveva mai smesso di cercarla. Il fatto che Victor e la sua squadra fossero incappati in lei quasi per caso lo spingeva a digrignare i denti e biasimare sé stesso per non essere stato in grado di trovarla. « Buonasera, sono Roger Moore capo della squadra auror...sono qui per la signorina Longbottom. » L'infermiera lo guardò quasi spaventata, nonostante intimasse a sé stesso di rimanere calmo sembrava fuori di sé, in preda all'agitazione. « Il dotto Clark pensa che sia meglio lasciarla sola...stiamo cercando di contattare la sua famiglia. » Non appena ci fossero riusciti per lui sarebbe stato difficile arrivare a lei, doveva cercare in tutti i modi di vederla prima di loro; vederla con i suoi occhi. Forse alla ricerca di un perdono che nemmeno lui pensava di meritare. « Capisco signorina, ma quella donna è uno dei miei auror...sparita in missione due anni fa, voglio solo vederla. » Fece del suo meglio per sembrare il più calmo possibile, un semplice capo preoccupato per un membro della propria squadra. L'infermiera lo guardò e per la prima volta Rj pregò che qualcuno avesse pietà di lui. Quando gli fece cenno di seguirla cercò di ringraziarla con un sorriso, ma tutto ciò che gli uscì fu una sorta di smorfia tirata. « Pochi minuti signor Moore...giusto il tempo di finire questo giro di controllo. » Quando l'infermiera si allontanò Rj si affacciò alla piccola finestrella della porta che gli era stata indicata. Al suo interno tutti i letti erano liberi meno uno, la donna seduta al centro gli dava le spalle; concentrata sul mondo che scorreva al di là della finestra. Lunghi capelli biondi si increspavano sulla curva della schiena, capelli che lo riportarono indietro nel tempo; a quando più volte le aveva spinto una ciocca dietro l'orecchio, a quando scherzosamente gli intimava di legarli durante le missioni sul campo. Entrò silenziosamente in quella stanza, spaventato dall'idea che un minimo rumore potesse farla scattare. Si costrinse al silenzio, quando l'unica cosa che voleva fare era subissarla di domande e scoprire cosa le era successo in quei due anni; farle sapere che nonostante il suo fallimento non aveva mai smesso di cercarla. Ritrovarsi faccia a faccia fu come ricevere un pugno nello stomaco, quella donna era la sua Karen, ma allo stesso tempo qualcos'altro; il frutto di ciò che le era capitato e di cui lui non poteva fare a meno di sentirsi responsabile. « Probabilmente sono l'ultima persona che vuoi vedere in questo momento e non posso assolutamente biasimarti... » Io stesso non saprei reggere la mia immagine in uno specchio. « Però dovevo farlo...dovevo vederti prima degli altri. » Avevo bisogno di vedere che eri tu, perchè nonostante tutti si fossero convinti del contrario io non riuscivo ad accettare l'idea che tu potessi essere morta.
     
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  2. saturnine.
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    Non aveva fatto altro che continuare a fissare il soffitto della stanza mentre il ticchettio ritmico della flebo aveva insistentemente scandito i secondi dal suo arrivo. L'ago bruciava sotto la pelle livida del braccio, lí dove un'infermiera inesperta aveva fallito un paio di volte prima di trovare la vena. « Scusami, è che sei cosí disidratata » continuava a giustificarsi, ma Karen non aveva fatto una piega, nemmeno una smorfia contrariata ogni qual volta la cannula faceva dietro front per conficcarsi nuovamente nella carne e scavare. Il dolore non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che aveva provato negli ultimi due anni, tanto che faticava addirittura a rilevarlo ed a lamentarsene come avrebbe voluto, poichè era talmente amareggiata che cercava solamente un pretesto per cui esplodere. Uno qualsiasi, che fosse la flebo messa male o il materasso scomodo, il cibo scadente o la troppa luce che filtrava dalle tapparelle dalla finestra; avrebbe potuto anche protestare per il colore accecante delle pareti, cosí bianco da annebbiarle la vista giá compromessa. Le bruciavano gli occhi, cosí tanto che quasi faticava a tenerli aperti e farli rimanere vigili: in parte era colpa della stanchezza che, tutta insieme, aveva deciso di presentarle il conto; un'altra parte della colpa, invece, andava attribuita all'immenso bisogno di piangere che Karen aveva accumulato in corpo. Non sentire nessuno vicino, poi, le stava provocando un'amarezza doppiamente dolorosa, visto che si aspettava di rivedere tutta la famiglia riunita attorno a lei, ma la realtà dei fatti aveva tradito ogni sua aspettativa; dopotutto era cosí che aveva immaginato il suo ritorno, in tutti quei mesi di prigionia: si sarebbe risvegliata nel suo letto, con i volti dei genitori e dei fratelli a sorriderle; successivamente ci sarebbe stato un grande ricevimento per festeggiare quel miracolo, e Karen avrebbe avuto la possibilitá di riabbracciare tutti i suoi colleghi auror. Eccetto uno. Le si annodó la gola al solo pensiero, mentre sistemava una mano sotto al cuscino, in religioso silenzio, tentando di non singhiozzare: Rj era morto o, perlomeno, Karen ne era estremamente convinta. Lo aveva visto rimbalzare a terra con i suoi occhi, dopo quel bombarda maxima che aveva colto tutti di sorpresa durante la loro ultima missione. Ricordava di aver urlato prima di perdere completamente i sensi; si era ripromessa di tornare a Londra unicamente per lui, per accertarsi che fosse stato ricordato come meritava, perchè, di sicuro, Rj avrebbe avuto la stessa accortezza per lei« So che fa male stare confinata qui dentro, ma vedrai che fra qualche giorno ti faranno uscire e tornare dai tuoi » L'infermiera aveva cercato invano di interagire con Karen che, per tutta risposta, non aveva nemmeno schiuso le labbra pallide. Era rimasta a fissare il vuoto per tutto il tempo in cui la donna era rimasta in camera, sottoponendola ad esami clinici e ricucendole le ferite. Aveva cercato di farla sentire finalmente a casa, ma invano. Il protocollo parlava chiaro riguardo i ritrovamenti di persone scomparse, soprattutto se queste erano impiegate ministeriali o auror: bisognava verificarne l'effettiva identitá prima di poter procedere al reinserimento. Karen lo sapeva bene, cosí come immaginava che, in quell'esatto istante, sotto la sua camera si fossero inchiodati talmente tanti auror da perderne il conto. Pronti ad ogni evenienza. Non appena la donna si congedò dalla stanza, trascinandosi dietro un carrellino di ferri, Karen si mise a sedere fra le lenzuola stropicciate, cercando di assorbire uno stralcio di vita attraverso il vetro della piccola finestra che, adesso, aveva davanti. Il colore fulgido del cielo gli era sfuggito dalla mente, cosí come la sensazione di estrema libertá che sapeva trasmettere; la forma delle nuvole, il modo in cui il vento sapeva far svolazzare le foglie degli alberi. In tutto quel tempo aveva vissuto nell'ansia perenne, nel panico asfissiante, e le sue percezioni si erano affinate a tal punto che il minimo rumore era capace ad insospettirla e farla scattare in allerta; fu proprio questo il motivo per il quale si voltó alle proprie spalle, perdendo un battito non appena intercettó lo sguardo di Rj fisso nel proprio. Fu come ricevere una pugnalata. « Probabilmente sono l'ultima persona che vuoi vedere in questo momento e non posso assolutamente biasimarti... »
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    Dovette far appello alle ultime forze che le erano rimaste per non iniziare a piangere quando realizzó che quello non era frutto di una delle sue ricorrenti allucinazioni, ma Rj era davvero in quella stanza, seduto di fronte al suo letto. Karen non sapeva davvero descrivere ció che provava, se gioia per quella scoperta o rabbia, perchè dopotutto non era stato Rj a trovarla e, forse, nemmeno a cercarla. Magari due anni erano bastati davvero a cancellarla del tutto ed a farla diventare solo un ricordo inconsistente. « Però dovevo farlo...dovevo vederti prima degli altri. » Una mano andó a coprire le labbra ora schiuse, tremanti, lo sguardo lucido divenne gradualmente appannato; non ebbe il coraggio di dire nulla se non di alzarsi ed arrivare fino a lui, affondando brevemente il capo contro la sua spalla ed abbracciandolo di slancio, seppur debolmente. « Ti ho creduto morto per due anni » Soffiò, socchiudendo gli occhi che ormai non trattenevano piú le lacrime, staccandosi nell'istante in cui si sentí sfiorare dalle sue dita che, probabilmente, tentavano di ricambiare quel contatto. « ...Eri…Sei vivo e non mi hai cercata » Aggiunse con tono profondamente ferito, asciugandosi gli zigomi per sostare immobile davanti a lui, con i piedi nudi a contatto col pavimento freddo. «Due anni, ed ero piú preoccupata io a voler tornare per te, che tu per me. » Tirò indietro il fiato, in un paio di singulti appena percettibili che le scossero il petto. Si diceva di dover rimanere calma, però non ci riusciva, era come se un grosso nodo che le gravava sulla coscienza si fosse finalmente sciolto, lasciandola libera di poter respirare nuovamente. Karen abbassò lo sguardo, stringendosi in un flebile abbraccio per voltarsi e dargli nuovamente le spalle, carezzandosi lentamente i cerotti incollati alla pelle. «Perchè sei venuto? Addirittura scomodare il capo auror, mi viene da pensare che sia sorto qualche problema con la mia identità » Sarcasticamente abbozzò una piccola risata delusa, tornando nuovamente ad asciugarsi gli occhi in modo nervoso, stressato. Il cuore le sarebbe esploso in petto da un momento all'altro, vista la frenesia con la quale colpiva la cassa toracica. «E' stato per Sarah? » Mugugnò dopo qualche minuto di assordante silenzio, stringendosi successivamente fra le spalle «...eri ancora incavolato per quella storia, eri arrabbiato con me e hai deciso di lasciare le cose così come stavano. Perchè lo avevi detto, dopotutto, che non mi avresti più voluta vedere. Ti si è semplicemente presentata l'occasione giusta affinchè questo tuo desiderio si realizzasse.» Ancora ricordava la litigata furibonda che li aveva nettamente separati, qualche settimana prima della loro ultima missione. L'ultima, appunto, e lo sarebbe stata comunque, perchè entrambi avevano già deciso di non essere più partner sul lavoro: si sarebbero incontrati meno volte in ufficio ed avrebbero eluso l'imbarazzo di qualcosa che ormai fra di loro si era rotto, e non li avrebbe fatti più essere gli stessi di un tempo. " Non potevo dirti che mia sorella ti tradiva, come potevo?" Ma forse poteva e, forse, se anche Karen non avesse tradito la sua fiducia, avrebbe potuto evitare le conseguenze.


    Edited by saturnine. - 13/5/2019, 19:08
     
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    Osservò una miriade di emozioni passare sul suo volto, l'esatto specchio di quelle che lui stava provando dentro di sé. L'aveva cercata talmente a lungo che ora stentava a credere che fosse lì davanti a lui in carne ed ossa. La strinse tra le braccia, beandosi di quel contatto, se avesse potuto scegliere non l'avrebbe mai più lasciata andare. Era dimagrita, stringendola riusciva chiaramente a sentire le ossa sporgenti; portandolo a chiedersi che cosa avesse dovuto passare in quegli anni. « Ti ho creduto morto per due anni » Avrebbe voluto rispondere anche io, ma sarebbe stata una bugia e non avrebbe spiegato la sua continua ricerca e il suo totale rifiuto a dichiarare chiuso il caso della sua presunta morte. Le accarezzò il viso, asciugando le lacrime che lo bagnavano; sentendosi in parte l'artefice di tutto quel dolore. « ...Eri…Sei vivo e non mi hai cercata » Scosse immediatamente la testa perchè quella non era la verità, l'aveva cercata e l'aveva fatto a lungo. « Non è assolutamente così! » Strinse i pugni per controllare quel risentimento che provava nei confronti di sé stesso. « Ti ho cercata per mesi, ho seguito ogni pista possibile e inimmaginabile, ma eri semplicemente svanita senza lasciare nessuna traccia... » Aveva provato qualsiasi pista, dalla più scontata a quella più assurda, ma ad un certo punto aveva dovuto fare i conti con la realtà che lo aspettava a Londra. Aveva una nipote di cui prendersi, sua sorella l'aveva scelto come tutore e non poteva tirarsi indietro da quelli che erano i suoi doveri. «Due anni, ed ero piú preoccupata io a voler tornare per te, che tu per me. » Un sorriso amaro si dipinse sulle labbra di Rj, aveva passato notti insonni dopo l'attacco e le poche volta che riusciva ad addormentarsi veniva svegliato da incubi tremendi che la vedevano in fin di vita. « Non è così Karen, non è assolutamente andata così... » Le appoggiò le mani sulle spalle, non sopportava quella lontananza, ma allo stesso tempo non voleva essere invadente; non sapeva nemmeno cosa le era capitato in tutti quei mesi in cui era sparita. «Perchè sei venuto? Addirittura scomodare il capo auror, mi viene da pensare che sia sorto qualche problema con la mia identità » Rj avrebbe voluto scuoterla per farle aprire gli occhi, così che si rendesse conto di quanto il suo ritorno lo destabilizzasse. « Problemi con la tua identità? Ma che assurdità dici? Secondo te mi sono scaracollato qui perchè temevo fossi un'impostora? O forse perchè volevo vedere con i miei occhi che non ho sperato invano? Che il mio rifiutarmi di chiudere la ricerche aveva un senso? » Cercò di controllarsi per non spaventarla, per non turbarla più di quanto la situazione non lo facesse già. L'identificazione di una persona scomparsa che si rifaceva viva era sicuramente parte del protocollo, ma a Rj non fregava niente dell'iter da seguire; dal momento in cui aveva posato gli occhi su di lei sapeva che quella donna era Karen e non un'impostora. « E' stato per Sarah? Eri ancora incavolato per quella storia, eri arrabbiato con me e hai deciso di lasciare le cose così come stavano. Perchè lo avevi detto, dopotutto, che non mi avresti più voluta vedere. Ti si è semplicemente presentata l'occasione giusta affinchè questo tuo desiderio si realizzasse. » Odiava che lei pensasse una cosa del genere, ma per questo Rj non poteva fare altro che incolpare e biasimare sé stesso. Era stato lui a riversare tutta la sua frustrazione su di lei incurante di quanto ciò l'avrebbe fatta soffrire, ma in quel momento era preda della sua stessa rabbia causata dallo svanire di tutti quei progetti che il tradimento di Sarah aveva mandato in fumo. Il solo pensiero che Karen sapesse tutto gli aveva dato il colpo di grazia. « Ho passato sei mesi lontano da Londra senza mai fermarmi, ma mia nipote era a Londra e non potevo rimandare oltre...ma non pensare neanche per un momento che io abbia pensato di lasciare le cose come stavano. » Karen non era mai stata solo una cognata, ma prima di ciò era la sua migliore amica; la persona da cui si recava quando aveva bisogno di confidarsi, di dar voce ai suoi tormenti interiori. Quando il suo matrimonio era crollato aveva perso ogni appiglio, le menzogne lo avevano spinto a dubitare di chiunque lo circondasse. « E' vero che ti avevo detto di non volerti più vedere...ma erano parole frutto della rabbia, non hanno fatto altro che tormentarmi. » Non avrei mai voluto che ti succedesse niente. Si era incolpato fino alla sfinimento, biasimando sé stesso per la sua disattenzione che aveva portato al fallimento e alla cattura di Karen. Quando si era risvegliato in ospedale aveva chiesto immediatamente dove fosse lei, ma quando gli comunicarono che era data per scomparsa si era alzato dal lettino contro il parere medico; impaziente di prendere parte alla ricerche. « Non ho masi smesso di cercarti... » Né mai lo avrei fatto. L'infermiera che lo aveva aiutato ad intrufolarsi entrò per controllare e quando vide gli occhi lucidi di Karen lo guardò di traverso; gli aprì la porta e gli fece segno di uscire. « La prego ho bisogno di qualche minuto, prometto di non turbarla oltre... » Lo guardò con le sopracciglia alzate, quasi come se non credesse alle sue parole. « La decisione spetta alla paziente, se deciderà di volerla fuori di qui nemmeno il ministro in persone sarà in grado di farla entrare. » Guardò la donna quasi supplicandola, nel momento in cui avrebbero rintracciato la sua famiglia lui sarebbe stato tenuto alla larga. Secondo loro era l'unico colpevole della sua scomparsa, quasi come se l'avesse usata per vendicarsi del torto subiro da Sarah. « Non cacciarmi adesso che ti ho ritrovata... » Permettimi di lenire quelle ferite che io stesso ho causato.
     
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