coffee-dependent forms of life.

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    Dal brusio indistinto alle sue spalle si sollevò una risatina acuta e penetrante che, scivolandole sotto la pelle, si insinuò fra i pensieri di June come il fastidioso, ritmico ticchettio di un orologio impossibile da ignorare. Le parole dinanzi ai suoi occhi, stampate nero su bianco sulle pagine del libro che stava tentando di riassumere da una buona ora e mezza, persero improvvisamente di significato. Le rilesse più volte ma, nel momento in cui avrebbe dovuto sfiorare la pergamena con la punta della piuma, il loro significato le sfuggiva, inafferrabile. Sospirò, rassegnata, sollevando gli occhi dal libro e ritrovandosi, con una vaga sensazione di sorpresa, seduta nello stesso tavolo in cui si era accomodata quello stesso pomeriggio. Si guardò intorno, spaesata: nonostante l’orario, la caffetteria era insolitamente affollata e i rumori di sottofondo – chiacchiere, risate, tazze posate sui tavoli – che la aiutavano a concentrarsi si erano ormai trasformati in una distrazione. Sospirò, di nuovo, desiderando di poter memorizzare in un battito di ciglia tutte le date, i nomi dei giocatori e degli arbitri coinvolti nei falli di Quidditch entrati nella storia. Ormai aveva perso il conto di quanti giocatori fossero stati sfigurati da un bolide, fossero atterrati sulla platea ferendo anche qualche spettatore o fossero stati colpiti da un fulmine per aver volato troppo in alto durante una tempesta. Richiuse il libro con un colpo secco, rassegnata. Una ragazza bionda seduta poco lontano le lanciò un’occhiataccia, forse infastidita, ma June nemmeno se ne accorse. Si sentiva stanca, svuotata, ed era stata seduta decisamente troppo a lungo. Si allungò appena sulla sedia, sollevando le braccia in alto, ed avvertì la tensione concentrata tra le scapole allentarsi un po’. L’ultimo allenamento dei Falcons era stato piuttosto intenso e, sebbene fossero passati un paio di giorni, avvertiva ancora un leggero dolore ai muscoli, ed in particolare alle ossa della schiena, che, oltre a farle scendere e salire le scale in maniera decisamente ridicola – il primo giorno aveva persino faticato a mettersi i calzini, da quanto gli addominali tiravano - la facevano sentire più simile ad un’acida vecchietta centenaria che inizia ad accusare i primi sintomi della vecchia che a una giovane ventenne in ottima salute e piena di energia. “Caffè.” Pensò, tamburellando con le dita sul tavolo. “Il caffè risolve ogni cosa.” E così, seguendo questa universalmente riconosciuta filosofia di vita, gettò maldestramente il libro all’interno della borsa a tracolla – la cui capacità era stata ampiamente allargata con un incantesimo – e si diresse al bancone. Mentre aspettava, sbirciò l’espositore del cibo: donuts ricoperte di glassa, scones e bagles salati facevano bella mostra di sé, talmente invitanti che lo stomaco di June produsse un ruggito, ricordandole che, tanto presa com’era della sua lettura, non aveva nemmeno pranzato. Il ragazzo davanti a lei pagò il dovuto e si allontanò, lasciandola faccia a faccia con il barista. «Salve! Cosa desidera?» June lo fissò con aria indecisa per qualche istante, infine sorrise, quasi per scusarsi di tanta incertezza. «Due caffè da portare via, due donuts e due bagles.» Ordinò infine, indicando espressamente con il dito indice i dolci glassati che voleva: glassa azzurra e bianca per lei, rosa shocking e spinkles per Fawn. Lo aveva deciso così, su due piedi: era tardi per studiare ma pateticamente presto per andare a casa. La giusta via di mezzo? Distogliere Fawn Byrne dallo studio, presentandosi nell’appartamento dell’amica senza alcun preavviso. Non era la prima volta che lo faceva: come per Olympia, June aveva presto assunto la brutta abitudine di presentarsi senza avvertire – o, come preferiva lei, fare loro delle sorprese. Era stata solo pura fortuna se, per ora, non si era ancora palesata nel momento meno opportuno. «Grazie e buona serata!» Esclamò, afferrando il sacchetto stampato Starbucks che il barista le porgeva e, al contempo, bilanciò i due bicchieri di caffè nel loro contenitore di cartone.
    Mentre usciva dal negozio, l’odore della caffeina le stuzzicò piacevolmente il naso. Fawn non sarebbe riuscita a resistere, ne era certa: la caffeina rientrava a pieno titolo tra le numerose somiglianze che condividevano, come se nelle loro vene, al posto del sangue, scorresse caffè bollente. June non ne avrebbe mai rifiutata una tazza, nemmeno a tarda notte. A passo spedito, percorse la breve distanza che separava la caffetteria universitaria dagli alloggi del campus. Trovò l’appartamento che Fawn condivideva con altre due ragazze e, dopo aver bussato sulla porta con il gomito, indietreggiò di un passo. Quando il viso di Fawn comparve sullo stipite, June le rivolse un largo sorriso. «Buonasera degna erede di Freud!» Esclamò, esibendosi in una ridicola – e precaria, per ciò che reggeva in mano – riverenza. «Vengo portando doni: pregiata caffeina bollente, per la concentrazione, zuccheri insalubri, per la dieta, e la mia irresistibile personalità, per il tuo diletto.» Si raddrizzò, più elegante di quanto chiunque avrebbe potuto immaginare vedendola volare a cavalcioni di una scopa. «Allora, mi sono guadagnata il permesso di entrare? Oppure ti ho disturbata in un momento… inappropriato Mentre pronunciava quelle parole il suo tono di voce assunse una sfumatura maliziosa. Il sopracciglio sinistro si inarcò, chiaro riferimento ad Erik Marchand. Fu una fortuna che June avesse le mani impegnate: se non altro, ciò le avrebbe impedito di mimare atti osceni con le dita.


    Edited by murphylaw‚ - 8/7/2019, 00:08
     
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    « Quindi, secondo i dati della ricerca svolta dal Ministero della - della - » Tre, due, uno... sbadiglio. L'ennesimo, in due ore di studio. Ed ecco cosa succede quando ti intestardisci e vuoi fare decisamente troppe cose insieme. E Fawn Byrne, signore e signori, sapeva benissimo come ci si sentisse, a voler portare a termine tutto. Sempre e comunque. Se poi consideriamo che tra le sue innumerevoli qualità rientrasse anche una certa propensione a voler portare il sovracitato tutto a termine subito, risulta piuttosto semplice figurarsi il tipo di vita che la giovane rosso-oro conducesse: quella di un qualche roditore di piccole dimensioni sotto acidi. Non sapeva stare ferma per più di qualche ora, i suoi pensieri si alternavano ad una velocità spaventosa, e sembrava sempre andare di fretta. Il più delle volte perché di fretta lo era davvero, dato che aveva sempre una qualche commissione da sbrigare, un posto dove andare, e qualcosa da fare. E, vista questa sua naturale propensione, sarebbe stato soltanto logico pensare che avesse intrapreso un percorso di studi che le permettesse di sfogare tutta questa sua energia, ma la verità era ben diversa. Aveva scelto Psicologia Criminale. Il che significava che le uniche montagne da scalare, nella sua vita, fossero quelle della conoscenza. E l'unico risultato di questa sua scelta, che in realtà era stata largamente ponderata, erano scenette come quella che stava avendo luogo in quel preciso istante. Ossia uno scricciolo in tenuta da casa, con i capelli tirati su alla bell'e meglio, l'aria di chi non vedeva la luce del sole da una vita e mezzo, che misurava la stanza a grandi passi, e per giunta parlando da sola. Ecco, un altro aspetto della propria persona che la ragazza aveva potuto scoprire grazie al percorso di studi intrapreso, era che la Biblioteca poteva anche essere un posto bellissimo, ma fino ad un certo punto. Lei aveva bisogno di parlare, esprimere i concetti appena appresi - possibilmente gesticolando - e discorrerne con qualcuno. Il più delle volte sé stessa, ma non era raro che la medesima, nefasta sorte toccasse a chiunque si trovasse a portata d'orecchio. Tutte le sue conoscenze, i suoi amici, o chiunque fosse capitato in casa sua durante quelle sue intense sessioni di studio, avevano ormai smesso di farsi domande. O di fargliene. Accettavano passivamente lo stato delle cose, che si poteva riassumere in questo modo: "il confine tra psicologo e potenziale paziente, è sempre piuttosto sottile. Fawn parla da sola. Quando succede, si tratta di discorsi piuttosto elaborati e pieni di terminologia tecnica... ed è meglio non interromperla. Sempre che non si abbia un desiderio nascosto - quello di morire giovani." « Sì, ma quindi chi è che ha fatto 'sta ricerca? » Si era bloccata a metà frase, l'aria di chi sta cercando di ricordare la data ed il luogo di nascita della prozia da parte di padre, che non è proprio una parente ma quasi, ed è stato preso in contropiede. Rimase così per qualche attimo, mentre i metaforici omini nella sua scatola rivoltavano i cassetti della stanza dove erano state deposte le informazioni riguardanti l'ultimo esame... per trovarci il nulla più assoluto. Il vuoto cosmico. « Scommettiamo che se mi convinco che non è importante, sarà automaticamente la prima cosa che mi verrà chiesta nel dettaglio? » Roteò gli occhi, emise un verso frustrato e si precipitò verso il manuale, che giaceva aperto sulla scrivania. Forse facevo bene a seguire il consiglio di Sirius e darmi alla coltivazione delle patate. E, in effetti, non c'era niente di male nel coltivarle. Erano cosa buona e giusta. Soprattutto buona. Appreso il dato di suo interesse, comunque, fece quasi per riprendere la propria sessione di trekking per la stanza, quando la sorte decise che non fosse il caso, palesando la propria volontà tramite qualcuno che bussava alla porta. All'inizio, se proprio la si voleva dir tutta, Fawn pensò di aver allucinato - cosa non succede, quando non dormi da due giorni, eh? - ma quando questo il bussare divenne più insistente, concluse che no, non fosse così.
    « Vado io! » Annunciò, precipitandosi in direzione della porta prima che potesse farlo Cassie. Allison non era in casa, perciò doveva sventare il pericolo da sé. Soprattutto perché era piuttosto ovvio che, chiunque ci fosse oltre la porta, era per lei - Cassie non riceveva visite. O meglio, se anche ne riceveva, metteva tutti al corrente dei propri programmi con largo anticipo, tramite un annuncio ufficiale prima, e una serie di memo poi. Fawn aveva ormai smesso di chiedersi il perché di tutto ciò - l'aveva dato per buono e basta. Come aveva smesso di far caso al borbottare della bionda, preferendo sempre arginare i danni. Non è che posso cambiare i miei amici e farmi avvertire tramite missiva ogni volta che vogliono passare a trovarmi. E fu soltanto quando raggiunse l'uscio, con le dita a pochi centimetri dalla porta, che si rese conto che in quel momento non fosse proprio Heidi Klum. E non solo perché le ci sarebbero voluti almeno venti centimetri di altezza in più, per esserlo. « Vabbè, spero solo che tu non abbia uno stomaco eccessivamente sensibile. » Asserì, facendo spallucce.
    «Buonasera degna erede di Freud!» Sul viso dell'americana si dipinse un sorriso speculare a quello dell'amica, mentre tirava un metaforico sospiro di sollievo. « Ah, sei tu! » E per poco non si trovò a saltellare, quando si rese conto che la Rosier non solo avesse portato con sé del cibo, ma anche quello che, secondo un'opinione condivisa da entrambe, era il vero nettare degli déi. « Io ti amo Così, su due piedi, mentre si scostava per permetterle di entrare ed evitava al contempo di attaccare a battere le mani come una bimbetta che aveva ingerito troppi zuccheri. «Vengo portando doni: pregiata caffeina bollente, per la concentrazione, zuccheri insalubri, per la dieta, e la mia irresistibile personalità, per il tuo diletto.» « Ho già detto di amarti? Entra! » Approfittò del momento per scoccarle un ulteriore sorriso smagliante e alleggerire il carico di June, rubandole parte delle cose che stava portando con un solo gesto fluido. « Hai mai visto qualche film sullo spionaggio? Ecco, siccome Cass è in camera sua che sta studiando, direi di appellarci alle nostre capacità recitative e raggiungere la mia in punta di piedi, come se fosse questione di vita o di morte. Probabilmente lo è. » Occhiolino tattico a seguito di quell'affermazione. Tanto perché poteva esserlo per davvero, questione di vita o di morte.
    «Allora, mi sono guadagnata il permesso di entrare? Oppure ti ho disturbata in un momento… inappropriato La Byrne sbuffò una risata dal naso mentre le faceva strada fino alla propria stanza. « Lo so che la mia mise di persona sconvolta potrebbe far pensare male, però ti garantisco che a questo giro l'unico a mettermelo in un certo posto è stato il professore, scegliendo un manuale zeppo di date. » Scosse la testa che ancora rideva, alzando gli occhi al cielo subito dopo. « Poi vabbè, mi piace pensare di non sembrare un troll di montagna, quando vedo Erik. » Raggiunta la propria camera a passo leggero, più leggero della definzione di leggero anzi, aprì la porta, facendo segno di entrare all'amica. « Allora. qual buon vento? » Ne approfittò per chiudere il volume sulla scrivania, dove poggiò il proprio bicchierone ed il sacchetto col dolce. « Dillo, ti mancavo? » Sfarfallò le ciglia in maniera esagerata, raggiungendo l'amica e sporgendosi leggermente verso di lei. « Oppure magari non ti mancavo per niente, ma sono sempre un'alternativa migliore della biblioteca. Oggi pomeriggio dovevi andare là, no? Intanto mi hai salvata da una serie infinita di date e statistiche, quindi ti sono debitrice in ogni caso. Dai, che mi sono persa in questi due giorni di eremitaggio? »


    Edited by lust for life - 4/6/2019, 04:02
     
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    Quando Fawn comparve sulla porta, a June bastò una sola occhiata per riconoscere la tipica mise da studentessa stressata: capelli raccolti sulla testa, abiti comodi e scoloriti, l’aria stanca e l’espressione speranzosa di chi sperava segretamente in un qualche pretesto che giustificasse il distrarsi dallo studio e imbavagliasse la parte responsabile della propria coscienza. Chi meglio di un’altra studentessa che si trovava nella medesima situazione avrebbe potuto servirle tale occasione su un piatto d’argento? « Ah, sei tu! » Fawn parve rilassarsi, confermando inconsapevolmente la sua ipotesi. Lo sguardo della giovane si posò sui beni di prima necessità che June teneva in mano, attratta dal caffè come una falena dalla luce. « Io ti amo Esordì, spostandosi per lasciarla entrare. June ridacchiò, porgendole un bicchiere e un sacchetto. « Se solo anche il genere maschile avesse il tuo stesso buon gusto. » Replicò, fingendosi addolorata. « Nel caso in cui decidessi di darti alle donne sappi che ho l’esclusiva. » La seguì all’interno, chiudendo delicatamente la porta. Quando si voltò, Fawn la stava ancora aspettando. « Hai mai visto qualche film sullo spionaggio? Ecco, siccome Cass è in camera sua che sta studiando, direi di appellarci alle nostre capacità recitative e raggiungere la mia in punta di piedi, come se fosse questione di vita o di morte. Probabilmente lo è. » June inarcò le sopracciglia, perplessa ma non troppo sorpresa. Il suo legame con la Partridge era superficiale ma, nonostante ciò, le era bastato trascorrere pochi minuti in sua compagnia per capire che possedevano personalità diametralmente opposte. Come Fawn riuscisse a viverci insieme restava un mistero irrisolto. « Non sia mai che la Signorina Rottermeier venga disturbata durante l’ennesima sessione di clausura. Tremo al pensiero di quanti post-it potrebbe lanciarci contro. » Scherzò, sottovoce, alzando gli occhi al cielo e ipotizzando conseguenze catastrofiche. In un altro contesto avrebbe trovato divertente – per quanto infantile – irritarla con il solo rumore dei propri passi ma, per amore di Fawn e della sua sanità mentale, Juniper aveva sempre evitato di prendere Cassie di petto, mordendosi la lingua e stringendo le labbra ogni volta che la Corvonero dava sfoggio della sua innegabile attitudine dittatoriale. « Lo so che la mia mise di persona sconvolta potrebbe far pensare male, però ti garantisco che a questo giro l'unico a mettermelo in un certo posto è stato il professore, scegliendo un manuale zeppo di date. » June fece una piccola smorfia. « Ugh. Come ti viene in mente di dire certe cose senza avvertire? Lo sai che sono una persona sensibile. » Sbottò, atteggiandosi da signorina per bene. Non sapeva se la facesse inorridire maggiormente il figurarsi un tale atto con Marchand, in quanto ragazzo di Fawn, o con uno dei noiosissimi professori del college. Probabilmente la seconda, ma non era pronta a scommetterci. « Poi vabbè, mi piace pensare di non sembrare un troll di montagna, quando vedo Erik. » Erik Marchand, tasto dolente. Sebbene non avesse mai fatto nulla di apertamente criticabile, June non era ancora riuscita a farsi un’opinione completa su di lui e, di conseguenza, nutriva ancora qualche dubbio circa il suo rapporto con Fawn. Poiché non era la diretta interessata, si era premurata di mantenere per sé simili pensieri ma, al contempo, non poteva fare a meno di nutrire un vago sentimento di sfiducia nei confronti. Se si fosse trattato di una storiella passeggera e superficiale, non avrebbe indugiato troppo sull’elusività di Gondor, come lo aveva personalmente soprannominato, ma persino ai sui occhi l’interesse di Fawn risultava palpabile e pericolosamente intriso di sentimenti. « Al posto tuo io non mi farei tutti questi problemi. È pur sempre un uomo, in qualunque condizione tu sia, stai pur certa che ti lascerà in una peggiore. » "In tutti i sensi." Replicò, sollevando entrambe le sopracciglia e facendole l’occhiolino per sottolineare il significato intrinseco di quelle parole. Non che fosse difficile da cogliere, in realtà.
    Seguì Fawn sino alla camera e, quando infine furono al sicuro tra quelle quattro pareti, si sedette sul letto. Si sfilò la borsa dalla spalla e la lasciò cadere per terra senza troppo riguardo. Il tonfo che produsse informò Fawn che al suo interno doveva esserci un tomo di notevoli dimensioni. « So che non dovrei gioire delle tue disgrazie accademiche ma… cheers. » Sollevò il bicchiere colmo di caffè nella sua direzione in un ironico brindisi alla sessione d’esame e lo portò alle labbra. I continui cambiamenti all’interno dell’amministrazione di Hogwarts e del college si erano inevitabilmente riflessi sull’organizzazione interna e sugli esami. In breve, il 99% degli studenti rischiava costantemente di affogare sotto una mole infinta di libri ed appunti, senza alcuna possibilità di prendere respiro tra un esame e l’altro. Le sue papille gustative riconobbero il sapore di caffè ancor prima che ne bevesse un sorso, solleticate dall’odore invitante, trasmettendo gli impulsi della caffeina sino al cervello. Deglutì, con gli occhi chiusi ed un’espressione estasiata sul viso. « Allora. qual buon vento? Dillo, ti mancavo? » June scrollò le spalle, raddrizzandosi leggermente. « Mi sembra ovvio. Questi giorni sono stati una tortura. Ha finalmente smesso di piovere e ci tocca rinchiuderci tra quattro pareti per sgobbare sui libri. La vita degli universitari è una sfilza di punizioni immeritate. » Si lamentò, il tono di voce velato da una vena polemica. E lo pensava davvero: essere costretti a studiare come forsennati, quando la bella stagione avrebbe finalmente permesso loro di rilassarsi all’aperto, era ingiusto. « Oppure magari non ti mancavo per niente, ma sono sempre un'alternativa migliore della biblioteca. Oggi pomeriggio dovevi andare là, no? Intanto mi hai salvata da una serie infinita di date e statistiche, quindi ti sono debitrice in ogni caso. Dai, che mi sono persa in questi due giorni di eremitaggio? » June afferrò un cuscino e lo lanciò verso Fawn senza troppa forza, soffocando una risata. Il cuscino la colpì sulla gamba, prima di ricadere per terra con un leggerissimo spostamento d’aria. « Ora che mi ci fai pensare questi giorni senza la tua assillante presenza non sono stati poi così male… » La prese in giro, alzando contemporaneamente la mano libera in segno di resa. Sperava che Fawn decidesse di non lanciarle indietro il cuscino o, con ogni probabilità, buona parte del contenuto del suo bicchiere avrebbe fatto il bagno sia a lei che alle lenzuola. « In realtà non è successo granchè. È sempre la solita routine: jogging, lezioni, studio, allenamenti coi Falcons, sbronze al pub, metropolvere per tornare a casa e svenimenti mezza-vestita sul letto. » Elencò, quasi senza prendere fiato. Si rabbuiò un istante, le labbra rosee sovrapposte in un broncio chiaramente seccato. « Ah, già… quasi dimenticavo. L’altra sera Scamander mi ha battuta a freccette. Diciamo che abbiamo pareggiato i conti ma dovrò lavare la sua divisa da allenamento per due settimane e andare insieme in palestra ogni mattina. » Annunciò con area funerea. Sebbene si fosse trattato di una serata divertente, il suo orgoglio ne era uscito ferito e quell’umiliazione era ancora troppo fresca per permettere a June di farsela scivolare addosso. « Eccessive esplosioni di testosterone a parte, in squadra mi trovo bene ma il Coach Carter si è raccomandato di mantenere una media alta e mi sembra di annegare in tutti questi impegni. » Sospirò, scuotendo appena il capo. Non era mai stata particolarmente brava a gestire il proprio tempo e, in particolare, il doversi concentrare sui libri per ore finiva sempre per annoiarla a tal punto da farla sbadigliare indipendentemente dalle dosi illegali di caffeina che le scorrevano nelle vene. In quel momento una parte di lei invidiò la ferrea determinazione della Partridge. « Onestamente non vedo l’ora che arrivi la fine della sessione… anche se mi sembra un miraggio. » La guardò per un attimo e le sorrise, gli occhi chiari improvvisamente brillanti. Era evidente che qualcosa stava prendendo forma nella sua mente e Fawn non avrebbe faticato ad intuirlo. « Mi è arrivata una lettera da mia madre ieri. A quanto pare i miei genitori hanno deciso di passare un romantico mese in giro per l’Europa. Da quello che so mia nonna trascorrerà l’estate con sua cognata, perciò… la villa ad Antibes sarà libera e a nostra disposizione per tutto il mese di agosto, perciò ritieniti prenotata. » Attese un istante per gustarsi la sua reazione, vedendosi già immersa nelle bellezze della Costa Azzurra: spiaggia, acqua cristallina, sole, pesce fresco ed ortaggi che non sapevano di acqua… un vero e proprio paradiso, soprattutto se paragonato agli esami imminenti. « Devo ancora dirlo a Lympy ma sono sicura che riusciremo a fare una settimana tutte insieme. Forse per qualche giorno ci saranno anche i miei fratelli ma non dovrebbero essere troppo d’intralcio. Basterà organizzare una grigliata a bordo piscina e chiamare qualche mio compagno di squadra e si dimenticheranno di noi in un battito di ciglia. » Ridacchiò, conoscendo sin troppo bene l’entusiasmo che Zach e Theseus sapevano sfoderare quando si trattava di Quidditch. Se non altro, in quel modo avrebbero preso due piccioni con una fava: avrebbero potuto organizzare una festa indimenticabile e si sarebbero tolte dai piedi i due piccoli mostri in men che non si dica. «Tu, invece? Come stai? Discutibili interazioni con i professori a parte. » Le domandò, bevendo un secondo sorso di caffè.

     
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    « Al posto tuo io non mi farei tutti questi problemi. È pur sempre un uomo, in qualunque condizione tu sia, stai pur certa che ti lascerà in una peggiore. » Fawn non riuscì proprio a trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo, scuotere la testa e riportare successivamente i grandi occhioni verdi sull'amica. Un momento di silenzio piuttosto esplicativo mentre, complice il fatto che non sapesse mantenere un'espressione neutra troppo a lungo, sollevava un sopracciglio. « Incoraggiante come sempre Rosier, grazie mille. Potevi dirmi, che so, che tanto sono bellissima sempre, cosa che tra l'altro sarebbe stata la più assoluta verità? No, ovviamente no. » Scosse la testa, palesemente divertita da tutta quella situazione. « Tanto è un uomo gni gni gni la canzonò, zittendosi per un attimo al solo scopo di gonfiare per un attimo le guance e farle subito poi una rapida linguaccia. Si sciolse in una risata. « -prima di tutto lo faccio per me. E poi è Erik, non uno qualunque. » E non solo si era premurata di calcare ben bene quelle due espressioni chiavi, ma si era anche presa la briga di mimare delle rapide virgolette con la mano libera, quella che non stava usando per reggere il bicchierone di caffè. Si sciolse in una risata scampanellante, segnale palese che stesse benissimo, se si escludeva lo stress. In effetti in quel momento non soltanto aveva gli occhi che brillavano, ma anche gli angoli della bocca che tremolavano, chiaro segno della fatica che stava facendo pur di non scoppiare a ridere. Se avesse colto il doppio senso? Ovviamente. Lei e June si capivano sempre, quando si trattava di cose di quel tipo, tanto che spesso bastava scambiarsi appena un'occhiata. Ma aveva comunque sentito il bisogno di puntualizzare. E non solo per rendere alla Rosier la presa in giro. No. La questione aveva molto più spessore di così. Da un lato - o forse si sbagliava? -, sebbene la mora non si fosse mai realmente espressa a sfavore del suo ragazzo, non le pareva nemmeno che avesse mai esplicitato l'opposto. E, per quanto la Byrne non avesse certamente bisogno dell'approvazione di nessuno, un po' le dispiaceva. E poi c'era la questione forse più importante: aveva diciassette anni, era cotta marcia, e per una volta si fidava da aver abbandonato il fastidioso bisogno di guardarsi le spalle da possibili passi falsi della sua controparte. Ma questo non era un qualcosa che si sarebbe mai messa a spiegare, come non avrebbe mai reso a parole la ragione esatta per la quale tale privilegio fosse stato riservato proprio ad Erik Marchand e non a qualcun altro. Da un lato la storia sarebbe diventata decisamente troppo lunga troppo in fretta, toccando per altro tasti piuttosto dolenti per l'americana; dall'altro non era certa di possedere i mezzi per poter razionalizzare, e quindi spiegare una cosa del genere. Perciò, dopo quella mezza battuta, si limitò a restituire tutta la propria attenzione all'amica, facendo qualche sorso di tanto in tanto. Fece cozzare il proprio bicchierone per il brindisi, prendendo una sorsata più generosa del liquido che, ne era certa, in quel periodo di sessione di studio matta e disperatissima, era l'unico responsabile del suo essere ancora in vita.
    « Mi sembra ovvio. Questi giorni sono stati una tortura. Ha finalmente smesso di piovere e ci tocca rinchiuderci tra quattro pareti per sgobbare sui libri. La vita degli universitari è una sfilza di punizioni immeritate. » Fannie annuì. Lei per prima, come un po' ogni suo collega di corso - e più o meno chiunque di sua conoscenza, che avesse fatto la medesima, nefasta scelta di proseguire gli studi - non vedeva la luce del sole da troppo tempo. « Il caro prezzo del sapere. Anche tu pensavi che sarebbero state solo le tasse? Questa vita adulta è una gran fregatura. » Affermò con aria solenne, fin troppo, poi bevve un po' del suo caffé ed aggiunse: « Però poteva sempre andarci peggio. Non chiedermi come. So solo che è matematico, e dunque assolutamente possibile, quindi magari non lamentiamoci troppo. » Un mezzo sorriso a seguito di quella perla di saggezza becera. In realtà, la giovane per prima stava assimilando - o tentando di assimilare - una quantità indecente di informazioni, era vittima dello stress e temeva gli esami più o meno come la propria prematura dipartita, ma si rifiutava di permettere a June di perdersi d'animo. Come sempre. Rise alla cuscinata, poggiando poi l'arma del delitto a debita distanza dalle grinfie dell'amica. Sia mai che avesse cercato di colpirla di nuovo. « In realtà non è successo granchè. È sempre la solita routine: jogging, lezioni, studio, allenamenti coi Falcons, sbronze al pub, metropolvere per tornare a casa e svenimenti mezza-vestita sul letto. Ah, già… quasi dimenticavo. L’altra sera Scamander mi ha battuta a freccette. Diciamo che abbiamo pareggiato i conti ma dovrò lavare la sua divisa da allenamento per due settimane e andare insieme in palestra ogni mattina. » Se la prima parte del resoconto l'aveva ascoltata con un'espressione comprensiva, sì, ma comunque piuttosto neutra, al secondo pezzo assunse un'aria prima vagamente disgustata - chi avrebbe mai voluto lavare le divise sporche di qualcun altro? -, poi decisamente più incuriosita. « Frena un attimo. » L'ammonì rapidamente e con tono perentorio, prendendosi un attimo per poggiare la propria bibita sulla scrivania e balzare in piedi. Puntò il dito contro la mora, assottigliando lo sguardo, quasi stesse cercando di carpire ulteriori informazioni soltanto guardandola. E la fissò per qualche secondo. « Racconto troppo sbrigativo e poco dettagliato. Ho come la sensazione che manchino dei pezzi. Quali? » A quel punto si mise nuovamente a sedere, squadrando June con aria inquisitiva. Che studiare Psicologia le avesse portato una strana deformazione professionale? « Avete pareggiato i conti: come? Che conti di preciso? E soprattutto: va bene, hai perso. Ma quali erano le condizioni dalla tua, di parte? » E le lanciò una di quelle occhiate significative, tipiche di Fawn, dove gli occhioni chiari sembravano scrutare tanto in profondità da poterti trapassare da parte a parte. Per un maggiore effetto, li spalancò pure, facendoli sembrare ben più grandi di quanto non fossero già, ed assunse un'aria interrogativa.
    « Eccessive esplosioni di testosterone a parte, in squadra mi trovo bene ma il Coach Carter si è raccomandato di mantenere una media alta e mi sembra di annegare in tutti questi impegni. Onestamente non vedo l’ora che arrivi la fine della sessione… anche se mi sembra un miraggio. » Di nuovo, l'americana annuì con aria comprensiva, lasciando che l'amica continuasse, mentre lei prendeva a giocherellare con una ciocca di capelli, arrotolandosela attorno al dito con aria pensierosa. « Mi è arrivata una lettera da mia madre ieri. A quanto pare i miei genitori hanno deciso di passare un romantico mese in giro per l’Europa. Da quello che so mia nonna trascorrerà l’estate con sua cognata, perciò… la villa ad Antibes sarà libera e a nostra disposizione per tutto il mese di agosto, perciò ritieniti prenotata. evo ancora dirlo a Lympy ma sono sicura che riusciremo a fare una settimana tutte insieme. Forse per qualche giorno ci saranno anche i miei fratelli ma non dovrebbero essere troppo d’intralcio. Basterà organizzare una grigliata a bordo piscina e chiamare qualche mio compagno di squadra e si dimenticheranno di noi in un battito di ciglia. » Fawn inarcò le sopracciglia, sciogliendosi prima in un largo sorriso entusiasta, salvo poi aggrottare la fronte, come sovrappensiero. « Non lo so... cioè, sei sicura che non sia un problema? Irrompere lì, dico, anche se i tuoi non ci sono... però sarebbe molto bello, sì. Mi piacerebbe. » Una pausa, un sospiro: « Devo vedere quanti esami mi mancheranno, però, perché non voglio restare indietro e sentirmi in colpa poi, perché magari sono andata a spassarmela con le mie amiche. O potrei portare i libri con me, mh... » Un momento di sonoro silenzio, mentre realizzava che persino a sé stessa ricordasse qualcuno. Cassie. Un secondo momento di puro orrore. Una mezza risata nervosa.
    Eppure non poteva farci niente: quello di voler fare tutto, subito, e bene - unito alla paura di perdere tempo - era uno dei suoi tratti preponderanti. Non era un caso, infatti, che la Byrne non stesse mai ferma troppo a lungo, e che in quella sua scatola cranica si avvicendassero mille e uno pensieri al minuto. «Tu, invece? Come stai? Discutibili interazioni con i professori a parte. » « Benone! » Pausa. Si rese conto che non fosse del tutto vero. « Cioè, la sessione mi sta sfinendo, il caldo mi uccide, ma tutte queste cose devo farle comunque. Quindi non mi lamento. » Come sempre. « Tra qualche settimana dovremmo avere la tech week - un inferno - al club di teatro per il prossimo musical, ma tanto niente può essere peggio di questa mole di studio. » Si sedette sul letto. « Sai che stavo pensando? Vorrei andare a New York appena ne ho il tempo, e... » Pausa. Respiro. Quello classico da dichiarazioni importanti, per intenderci. « Mi piacerebbe che Erik venisse con me. » E la bomba l'avea sganciata. Osservò June da sotto le ciglia per qualche frazione di secondo, abbozzando un sorriso più contenuto di quello di prima. Quella era una dichiarazione d'intenti vera. Era come dichiarare di volerlo presentare ai suoi. Ma meglio. « Sarebbe carino, no? »


    Edited by lust for life - 5/8/2019, 08:12
     
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    Se Juniper si fosse trovata a tu per tu con sé stessa poco meno di un anno prima, probabilmente si sarebbe lanciata in un’appassionata difesa del vero amore, con tanto di spada, armatura e scudo scintillante. Ora, invece, ripensava alla vecchia sé stessa come ad un’ingenua innamorata e, tra un barattolo di gelato e un film portatore di una verità universale tipo La verità è che non gli piaci abbastanza, si autocommiserava nella saggezza recentemente acquisita. Al pari di una vecchia zitella, era giunta a quel momento della vita in cui si sentiva sempre più distante dalle principesse delle fiabe e sempre più vicina a una versione animalista di Crudelia Demon. Volente o nolente, la prospettiva di dover ricominciare da capo – destreggiandosi tra approcci imbarazzanti, appuntamenti e indecisione - la sfiniva ancor prima della seconda uscita. Da quel punto di vista, il mondo delle relazioni sentimentali per June versava in uno stato di impalpabile grigiore a cui avrebbe preferito volentieri un rapporto superficiale e privo di legami. « Incoraggiante come sempre Rosier, grazie mille. Potevi dirmi, che so, che tanto sono bellissima sempre, cosa che tra l'altro sarebbe stata la più assoluta verità? No, ovviamente no. » Davanti a quell’accusa bella e buona – come no! – June sgranò gli occhi e si puntò un dito contro il petto, con finta aria incredula. Spalancò persino le labbra, oltraggiata, mentre Fawn proseguiva facendole il verso. La sua espressione cedette un poco, smascherata da un sorriso che le piegò l’angolo delle labbra. « -prima di tutto lo faccio per me. E poi è Erik, non uno qualunque. » “È proprio questo il problema.” Il sorriso sulle labbra della mora svanì appena e la ragazza si affrettò a scrollare le spalle, cambiando espressione. « Se lo dici tu. Erik non è uno qualunque gni gni gni. » La schernì a sua volta, alzando la mano libera in segno di resa. L’argomento ‘Marchand’ era ancora una sorta di tabù tra loro, una questione delicata su cui, per più di un motivo, June non riusciva a non serbare qualche dubbio. A livello razionale sapeva perfettamente che l’intera faccenda non la riguardava eppure, nonostante la sua buona volontà, il suo sesto senso la rendeva più pessimista che mai quando si trattava di Erik Marchand. Probabilmente non era nemmeno colpa sua; per natura, June sarebbe stata scettica nei confronti di qualunque essere di sesso maschile che si fosse avvicinato troppo a Fawn. Il fatto che Marchand apparisse sempre dannatamente ingessato, però, la portava a chiedersi la reale entità di quella prima impressione. No, Marchand avrebbe dovuto scomporsi un po’ di più prima di ricevere il suo personalissimo – e tutt’altro che richiesto - battesimo del fuoco.
    Portò il bicchiere alle labbra con nonchalance, evitando però di incontrare lo sguardo di Fawn. Erano sempre state in grado di capirsi con una sola occhiata e, se ciò aveva gettato le primitive fondamenta della loro complicità, in quel momento June non voleva instillare nell’amica alcun tipo di dubbio. Fin tanto che non fosse giunta a capo delle proprie incertezze – in un modo o nell’altro – le avrebbe tenute per sé. « Il caro prezzo del sapere. Anche tu pensavi che sarebbero state solo le tasse? Questa vita adulta è una gran fregatura. » La Grifondoro sollevò il bicchiere in direzione di Fawn, con aria rassegnata. « Amen, sorella. » Esordì, senza troppo entusiasmo. Sospirò, rimpiangendo l’estate dopo il diploma quando, una volta superati gli esami finali, non aveva fatto altro che crogiolarsi al sole, passeggiare sulla spiaggia e tuffarsi in acqua quando il caldo diventava talmente intenso da risultare insopportabile. La sessione estiva, invece, era una vera e propria tortura originatasi direttamente negli inferi. « Però poteva sempre andarci peggio. Non chiedermi come. So solo che è matematico, e dunque assolutamente possibile, quindi magari non lamentiamoci troppo. » June deglutì e scosse il capo. « Peggio di così? Cosa potrebbe esserci di peg- » Si bloccò, per scaramanzia, coprendosi le labbra con la mano libera. « Sai una cosa? Non lo voglio nemmeno sapere. » Alzò lo sguardo su Fawn con aria supplichevole. « Solo, ti prego, promettimi che mi sconterai le sedute psicologiche se tutto questo stress dovesse mandarmi fuori di testa. » E vi era più vicina di quanto sembrasse. Non solo era terribilmente emotiva ma, sebbene provvista di un carattere tutt’altro che arrendevole, faticava a gestire il tempo in maniera efficiente e ogni pretesto giustificava una meritatissima pausa. Chiunque la conoscesse abbastanza bene sapeva quanto poco June potesse resistere alla pressione, soffocandola in quel suo scarso metro e mezzo prima di scoppiare, in maniera plateale e con tanto di fuochi d’artificio. Doveva trovare una nuova valvola di sfogo – qualcosa di diverso da pettegolezzi, sport e alcol - ed anche in fretta. « Frena un attimo. » Smise di elencare gli avvenimenti apice della sua settimana e portò lo sguardo su Fawn, sorpresa dall’improvviso cambiamento di tono nella sua voce. Inarcò un sopracciglio, vedendola alzarsi in piedi. L’altra le puntò il dito contro con aria inquisitrice e June indietreggiò appena, lo sguardo azzurro che si spostava dall’indice di Fawn agli occhi verdi della ragazza, ormai ridotti a due fessure. « Che c’è? » Le domandò, presa in contropiede. « Racconto troppo sbrigativo e poco dettagliato. Ho come la sensazione che manchino dei pezzi. Quali? » L’espressione accigliata sul viso della mora divenne ancor più confusa. Aprì la bocca e poi la richiuse, cercando qualcosa da dire in propria difesa mentre gli eventi della serata si ripresentavano nella sua mente, privi della leggerezza dell’alcol. Abbassò gli occhi in una muta ammissione di colpa, soccombendo allo sguardo indagatore di Fawn. « Avete pareggiato i conti: come? Che conti di preciso? E soprattutto: va bene, hai perso. Ma quali erano le condizioni dalla tua, di parte? » Le lanciò un’occhiata torva, sistemandosi leggermente sul materasso. La serata al pub non era stata altro che una goliardica occasione sociale tra compagni di squadra ma l’interrogatorio di Fawn la fece sentire leggermente a disagio, senza che Juniper riuscisse a comprenderne il motivo. Si passò una mano sul viso e prese un profondo respiro, preparandosi a vuotare il sacco. Conosceva Fawn come le sue tasche ed era pronta a scommettere il suo posto tra i Falcons che, se non le avesse fornito un racconto soddisfacente, il cellulare di Dean Moses avrebbe incominciato a squillare non appena lei avesse lasciato la stanza. E mettere in moto la fantasia altrui era l’ultima cosa che desiderava, grazie tante. « Ok, ok. Ma non farti prendere dall’emozione, tenente Colombo. Non è successo nulla di memorabile o scabroso. » Si strinse nelle spalle, quasi a voler giustificare una scusa che suonava debole persino alle sue orecchie. Evitò di soffermarcisi oltre e proseguì, sperando così di distrarre l’attenzione di Fawn. « Allora… abbiamo giocato a freccette. La posta in gioco era il lavaggio delle divise, Scamander ha rilanciato con gli allenamenti mattutini. » Fece una smorfia, roteando gli occhi al cielo. « Ed ho perso. Di un solo punto e perché Sam ha barato! » Sottolineò quel particolare sollevando entrambe le sopracciglia. Ci teneva che fosse chiaro. Cristallino. « Continuava a girarmi intorno e sussurrare… cose. Era più fastidioso di una zanzara! » Balbettò, imbronciandosi ed arrossendo leggermente al ricordo dell’imbarazzo provato in quel momento. Bevve un sorso di caffè e si schiarì la voce. « Gli ho chiesto la rivincita a biliardo e – rullo di tamburi, prego - … » Si esibì in una stupida imitazione di un batterista, agitando la mano libera. « Il tuo fenomenale sugar daddy ha vinto! » Si alzò, esibendosi in un piccolo inchino, il bicchiere colmo di caffè ancora stretto nella mano destra. « Lo ammetto, mi sono dovuta abbassare al suo livello e parte del merito va alle gemelle » Si indicò il seno con la mano sinistra, evitando di riferirsi alle sue generose forme con il soprannome Thelma&Louise. « …ma ora Scamander dovrà insegnarmi a guidare la sua moto. » La sua voce salì di qualche ottava mentre pronunciava quella frase, gli occhi azzurri che brillavano di eccitazione. Sebbene sapesse padroneggiare egregiamente la scopa e avesse imparato a cavalcare sin da bambina, non era mai salita su una moto babbana. Non vedeva l’ora. « Credo che sia terrorizzato ma non potrà rifiutarsi. Era parte della scommessa. » Ridacchiò, appoggiandosi al materasso con la mano libera e bevendo un altro sorso di caffè. « Ah, già. Se avesse vinto lui avrei dovuto cantargli una canzone per chiedergli di farmi da accompagnatore per il matrimonio di Mun. » Si morse l’interno della guancia, abbassando lo sguardo su un interessantissimo strappo nel tessuto dei jeans, all’altezza del ginocchio sinistro. Ora che ripensava lucidamente alla sua performance, il dover descrivere il tutto ad alta voce era terribilmente imbarazzante. Esitò un istante, lanciando un’occhiata a Fawn di sottecchi. « Sì, insomma… un accompagnatore mi serviva comunque, perciò… lhoinvitatocantandoAreyougonnabemygirldeiJet. » Serrò gli occhi nel dirlo, buttando fuori la frase tutto d’un fiato, mentre spezzoni della serata tornavano a galla più vividi che mai. Riaprì un occhio, poi l’altro, rivolgendo a Fawn un’occhiata incerta. « Ero ubriaca, mi sembrava un’idea divertente… credi che abbia esagerato? » Pigolò, rendendosi conto solo in quel momento di quanto doveva essersi resa ridicola. Perché diamine non accendeva il cervello, prima di fare certe cose?
    La discussione virò nuovamente sulle prospettive post-sessione d’esame, un traguardo che, agli occhi di June, appariva come un miraggio irraggiungibile. « Non lo so... cioè, sei sicura che non sia un problema? Irrompere lì, dico, anche se i tuoi non ci sono... però sarebbe molto bello, sì. Mi piacerebbe. Devo vedere quanti esami mi mancheranno, però, perché non voglio restare indietro e sentirmi in colpa poi, perché magari sono andata a spassarmela con le mie amiche. O potrei portare i libri con me, mh... » Juniper le sorrise, scostandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio, salvo poi rabbuiarsi non appena Fawn iniziò a preoccuparsi degli ultimi esami. Sollevò il bicchiere di caffè con entrambe le mani e allungò le braccia davanti a lei, reggendolo come un crocifisso. « Chi sei tu e cosa hai fatto della mia amica? Esci da questo corpo, Partridge. Io ti bandisco, nel nome della caffeina, dei crop-top e dei musical. » Scherzò, con aria terribilmente teatrale, facendosi persino il segno della croce.
    « Tra qualche settimana dovremmo avere la tech week - un inferno - al club di teatro per il prossimo musical, ma tanto niente può essere peggio di questa mole di studio. » Fu il suo turno di annuire mentre Fawn parlava. La sessione stava sfinendo tutti quanti ed era più che evidente: il campus non era mai stato tanto deserto, la biblioteca tanto affollata e le crisi di nervi erano più prolifere della mononucleosi durante un festival nel periodo dello spring break. Si scostò leggermente per fare spazio a Fawn e si volse verso di lei, osservandola di profilo mentre parlava. « Sai che stavo pensando? Vorrei andare a New York appena ne ho il tempo, e... » Lo avvertì, l’esatto momento in cui la Byrne esitò. « Mi piacerebbe che Erik venisse con me. » June si irrigidì, il sorriso che per una frazione di secondo le si congelava sulle labbra. Cercò di riscuotersi immediatamente, battendo le palpebre e inclinando il viso di lato, gli angoli attorno alla bocca più tirati del solito. « Sarebbe carino, no? » Si sforzò di annuire, cercando qualcosa di plausibile da dire. La sua mente era in tilt. Vuoto assoluto. Che la notizia l’avesse shockata? . « Carino, certo… » Esordì, fallendo miseramente nel trasmettere del vero entusiasmo. Rivolse a Fawn un sorriso a labbra strette, stringendosi nelle spalle. « È sicuramente una proposta… importante. » Sottolineò l’ovvio, cercando di conservare un minimo di tatto. Tuttavia, quando i suoi occhi incontrarono quelli di Fawn, la maschera di Juniper crollò. « Mi dispiace, non ce la faccio. » Si scusò, consapevole di essere incapace di mentirle. Sospirò, arrendendosi. « Lo so che Marchand ti rende felice, persino un cieco se ne accorgerebbe. E so anche che non sono affari miei, ma… sei sicura della direzione che stanno prendendo le cose? » Pur facendo appello a tutta la sua delicatezza, non potè fare a meno di sentirsi in colpa nel porle quella domanda. Anche se aveva delle riserve al riguardo, non avrebbe mai voluto turbarla.

     
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    Se c'era una cosa che a Fawn era sempre stata chiarissima, era questa: quando si trattava di nascondere il proprio stato d'animo, June era enigmatica più o meno come un bambino colto in flagrante con le mani nel barattolo di marmellata dopo che gli era stato detto di non toccarla. Il che, bisognava ammetterlo, rendeva molto più semplici le sue indagini. Se l'americana avesse subito pensato che ci fosse qualcosa sotto, in quella scommessa con Sam? Non avrebbe saputo dirlo. O meglio: di sicuro non ci aveva davvero visto del marcio, ma i suoi sensi di ragno - e la brutta abitudine di ficcare il naso nella vita privata delle proprie amiche - l'avevano comunque spinta a dare il via a quella che si era diventata una raffica di domande. A prendere in contropiede lei, questa volta, furono le risposte di June. Certo, forse la mora aveva esagerato per prima, tra tono perentorio e tutto quanto, ma era anche vero che quella di mettere l'altra in imbarazzo non fosse propriamente sua intenzione. Voleva farsi due risate, lei. Ma qualcosa mi dice, che c'è meno da ridere di quanto non sembri. Sospirò in maniera appena udibile, mentre riprendeva possesso della propria bevanda e ne faceva un sorso piuttosto generoso. Devo ascoltare ed essere oggettiva prima di tutto - si disse - non vedere cose che non esistono, e soprattutto non partire in quarta. Puntò quindi lo sguardo nel suo, in silenzio, con la miglior poker face del suo arsenale, intervallando quel silenzio con qualche piccola sorsata. « Allora… abbiamo giocato a freccette. La posta in gioco era il lavaggio delle divise, Scamander ha rilanciato con gli allenamenti mattutini. Ed ho perso. Di un solo punto e perché Sam ha barato! Continuava a girarmi intorno e sussurrare… cose. Era più fastidioso di una zanzara! Gli ho chiesto la rivincita a biliardo e – rullo di tamburi, prego - … Il tuo fenomenale sugar daddy ha vinto!» Abbozzò un sorriso, ma lo sguardo rimase piuttosto vigile. Qualcosa le diceva che June stesse cercando di distrarla, e se non di distrarla almeno di perdere tempo. E non perché fosse in malafede, ma perché Fawn per prima aveva più volte usato la medesima tattica nelle situazioni scomode. Quale? Ma, ovviamente, quella di dire trecento parole al secondo al proprio interlocutore nella speranza, forse, di rincoglionirlo abbastanza da far sì che, nell'ascoltare quelle, si perdesse altri clou importanti. Tipo il linguaggio del corpo nell'esporre tutte quelle cose. E l'avrebbe notato anche un cieco che nel raccontare quella storia la francese fosse come minimo a disagio.
    « Lo ammetto, mi sono dovuta abbassare al suo livello e parte del merito va alle gemelle …ma ora Scamander dovrà insegnarmi a guidare la sua moto. » Ecco, Fawn l'aveva detto di voler essere discreta. E, sebbene le sue intenzioni fossero sincere e buone, non aveva mai affermato che sarebbe riuscita a portare a termine quanto si era prefissata. Alzò quindi un sopracciglio: « Come, prego? » E, ma a questo - forse per fortuna di entrambe non diede voce - ti sei dovuta abbassare al suo livello, o hai voluto farlo? Bisogna precisare che la giovane grifondoro si fidasse della concasata come di sé stessa, ma riconosceva che, almeno in quel caso, la sola fiducia non bastasse. Con questo non intendeva dire che June stesse sparando una serie di balle con l'intenzione di ingannare lei nello specifico, questo non avrebbe mai osato pensarlo. Solo che... si lasciò sfuggire uno sbuffo mentre cominciava a giocherellare distrattamente con una lunga ciocca scura, distogliendo lo sguardo da una June che, nel frattempo, stava continuando il proprio racconto. [...]« Ah, già. Se avesse vinto lui avrei dovuto cantargli una canzone per chiedergli di farmi da accompagnatore per il matrimonio di Mun. » Lo sguardo saettò nuovamente in quello della mora sul suo letto. « In che senso? » Non poté fare a meno di chiedere, a dir poco stupita da quell'affermazione. Si schiarì la gola, facendole un cenno con la mano per invitarla a proseguire e mordendosi contemporaneamente la lingia per evitare di commentare a sproposito. E sì, forse era riuscita nell'intento di non dar voce a quel che le stava passando in testa, ma era innegabile che lo sguardo le si fosse per un attimo adombrato. Era pensierosa. Solo a guardarla in faccia, sarebbe stato chiaro a chiunque che in quella testolina, al momento, si stavano avvicendando fin troppi concetti per una persona soltanto, e che lo stessero facendo ad una velocità pazzesca per giunta. Smise di giocherellare coi propri capelli per iniziare, invece, a tamburellare distrattamente sul copriletto chiaro. Sempre senza ancora dire mezza parola e con quell'espressione indecifrabile in volto. « Sì, insomma… un accompagnatore mi serviva comunque, perciò… lhoinvitatocantandoAreyougonnabemygirldeiJet. » Certo che se fai così, nemmeno tu aiuti a pensare che non ci sia nulla sotto. Passò a mordicchiarsi l'interno guancia senza che la sua espressione mutasse di molto. « Ero ubriaca, mi sembrava un’idea divertente… credi che abbia esagerato? » Quando chiamata in causa, la Byrne si trovò a raddrizzarsi. E, forse per la prima volta quel pomeriggio, a ponderare con molta attenzione quanto stava dicendo, e come lo faceva. « Tu cosa credi? » Le domandò quindi, facendo bene attenzione a mantenere leggero il proprio tono di voce. Non voleva farla sentire sotto giudizio; più invitarla a riflettere non tanto sulle conseguenze di quell'azione, quanto sul peso che questa avesse avuto per lei. Lasciò che il quesito aleggiasse nell'aria per qualche istante, il tempo che June ci riflettesse, poi riprese la parola. « Se vuoi la mia opinione ... » Cominciò dunque, distogliendo lo sguardo in direzione della finestra « sono del parere che queste cose, per quanto possano sembrare fatte a caso, non lo sono quasi mai. » Si strinse nelle spalle. Aveva cercato di essere il meno preoccupante possibile, questo sì, e quanto più velata riuscisse, ma questo non significava che avrebbe mai mentito ad una delle proprie migliori amiche. Fidati, ne so qualcosa di amiconi che poi tanto amiconi non sono. Non che fosse esattamente lo stesso, se ne rendeva conto, ma chissà perché, l'atteggiamento di Juniper le ricordava terribilmente il proprio qualche tempo prima. Sembravano ormai passati secoli a dire il vero, ed era ovvio che tutta quella storia fosse ormai acqua passata, ma anche lei aveva avuto di quegli sbalzi tremendi, quando c'era stato di mezzo Albus. Il loro, all'epoca, era un rapporto piuttosto ambiguo. E sebbene l'avesse negato fino all'impossibile, anche e soprattutto a sé stessa, a guardare indietro, si rendeva conto che l'interesse ci fosse stato sin da subito. E che l'avesse affrontato in maniera piuttosto evasiva. « June, non prenderla male, okay? Ma tu sei proprio sicura che non ci sia dell'altro sotto? Che ti interessi solo come amico e compagno di squadra? » Non farò pressioni. Devo fidarmi. Ma voglio anche capire. « Voglio dire: ci sta che i drink abbiano fatto il loro, ci sta che tu non ci abbia pensato più di tanto, ma...? » Ma sei sicura che non ci sia altro? Anche solo un po' troppa chimica?
    Poi venne il momento del discorso Erik.
    I realtà, June non era certamente la prima persona a venire a conoscenza del piano malefico della Byrne. Il primo - com'era logico che fosse - era stato il giovane Marchand. Fawn, dopotutto, almeno in queste cose, non peccava di incoerenza: non aveva bisogno dell'approvazione di nessuno, e perciò, la sua, più che una velata richiesta di un parere, era stata una dichiarazione d'intenti. E di certo, la reazione di Juniper non sarebbe mai stata sufficiente a farla vacillare. Tuttavia, quel drastico cambio d'atmosfera dovuto al mutamento nell'espressione dell'amica, ebbe il potere di fare... Altro. Farle saltare la mosca al naso. Irritarla.
    « Carino, certo… » Silenzio. Un silenzio, tra l'altro, la cui pesantezza risultava tangibile, mentre la Grifondoro raddrizzava istintivamente la schiena « Si? » Le chiese col tono di chi sa benissimo che tu ti stia arrampicano sugli specchi, ma sta comunque aspettando che capitoli per conto tuo. « È sicuramente una proposta… importante. » L'americana sollevò leggermente il sopracciglio sinistro, col risultato di apparire ben più altezzosa di quanto non fosse sua intenzione.
    « Che dire, interpretazione scarsina, Rosier. Ricordami di farti fare un giro a teatro, qualche volta. » Tentò la battuta, ma si rese conto suonasse piuttosto piatta persino alle sue, di orecchie. « Mi dispiace, non ce la faccio. » No, cara mia: sono io che non posso farcela , pensò con un certo distacco mentre ancora osservava June con un certo, involontario distacco. Era chiaro come il sole che fosse in attesa di spiegazioni, quasi l'altra fosse sotto esame. Non è che lo facesse apposta, la Byrne. È che non capiva quella diffidenza. Pur con tutto l'impegno, pur essendo conscia del fatto che l'atteggiamento della Rosier avesse cause ben più profonde del desiderio di mettere in dubbio Erik, che questa non volesse certo pestarle la coda col proprio atteggiamento, proprio non riusciva a non sentirsi offesa in prima persona da quel modus operandi. Vero che la relazione fosse sua e di Erik, vero che stessero bene, vero pure che in realtà non avrebbe cambiato una virgola nemmeno se avesse avuto il potere di farlo, ma era proprio per questo che non le piaceva che niente venisse messo in dubbio.
    Non pensi che lo scherzo sia bello quando dura poco?, osservò mentalmente, mentre, con un movimento quasi inconscio, frapponeva una leggera distanza tra sè e la francese. Era riuscita a metterla sulla difensiva.
    « Lo so che Marchand ti rende felice, persino un cieco se ne accorgerebbe. E so anche che non sono affari miei, ma… sei sicura della direzione che stanno prendendo le cose? » Un altro silenzio pesante, interrotto soltanto dal ticchettio dell'orologio poggiato sul comodino. Osservò l'amica per una decina di secondi buona, con l'espressione più neutra del mondo e lo sguardo impenetrabile, e quando finalmente prese la parola, lo fece a voce bassa, facendo bene attenzione a scandire quanto stava dicendo.
    « La direzione - » calcò la parola « - che stanno prendendo le cose. » Anche all'ultimo termine toccò la medesima sorte. « Perché, che direzione stanno prendendo, se mi permetti la domanda? » Il distacco non era ancora evaporato dallo sguardo della rosso-oro, ma stava comunque facendo lo sforzo di apparire quantomeno civile. Con risultati discutibili, considerata la sua naturale propensione al sarcasmo. « No, aspetta: siamo su 'non sapevo di essere incinta'? Potevi dirmelo subito, cazzo. Quanto mi manca? » Sbattè le ciglia, come confusa, guardandosi pure attorno con finto smarrimento. « Non so se te ne rendi conto » cominciò, abbandonando la pantomima « ma non stiamo parlando del primo stronzo conosciuto al bar. » Non si aspettava che June capisse tutto - lei per prima aveva sempre pensato che Erik non fosse una persona di facile lettura, né che fosse semplice inquadrarlo quando lo guardavi da lontano -, ma una risposta del genere non se la sarebbe aspettata. Parve soppesarla con lo sguardo per diversi altri istanti - era chiaro che quel silenzio servisse a comunicare la sua vaga delusione. Poi
    Sospirò, il tono ora inevitabilmente più pacato, lo sguardo più trasparente.
    « Lo so che ti preoccupi per me. E l'intenzione è sicuramente buona. » Anche se un po' mi fa incazzare l'idea che tu creda che possa dare fiducia a caso, a gente a caso, senza aver prima ponderato. Mi infastidisce da morire che pensi che Erik, Erik , sia come tutti gli altri- « Ma non mi è chiara la ragione per cui pensi che le cose stiano prendendo una qualche direzione diversa da quella originaria. Siamo sempre stati una cosa seria. E io forse ho sbagliato a non dichiararlo subito, ma è solo perché pensavo fosse già piuttosto evidente. » Inclinò la testa di lato, prendendosi un attimo per cercare le parole giuste. Voleva evitare di essere troppo dura, ma anche mettere bene in chiaro che quanto stava esponendo non sarebbe stato discusso ancora. Fawn era veloce a scattare quando c'era Erik di mezzo, più veloce di quanto non lo fosse per sè persino, ma le andava bene così. Perché aveva l'irremovibile certezza di avere di avere le spalle coperte. Erik era... Erik. E a volte le riusciva più facile fidarsi di lui che di sé stessa. Aveva persino smesso di chiedersene ossessivamente il motivo, non ne era più spaventata: era diventato un dato di fatto «Sai qual è il punto? » Le chiese, sciogliendosi finalmente in un piccolo sorriso, lasciando così calare la tensione che era venuta a crearsi. « Io non ho mai creduto nelle fiabe e nei per sempre. La gente si lascia. I miei si sono lasciati. E sì, la statistica mi dice che io ed Erik abbiamo ben poche possibilità di essere l'eccezione alla regola. Lo so bene. Ma so anche un'altra cosa. Ben più importante di ogni statistica. » Qui si sporse leggermente verso l'amica, sfiorandole il braccio e tornando a guardarla dritta negli occhi « Prima ancora di essere il mio ragazzo, lui è una persona meravigliosa. Prima di diventare il mio ragazzo, è stato un amico. Una spalla. Uno a cui ho lanciato scarpe, che si è sorbito esibizioni dalla doccia che Broadway levati, uno che pur studiando Medimagia non ha mai mancato di trovare del tempo per me. Ed è intelligente, così intelligente che a volte mi vengono i complessi, ma va benissimo, perché posso sempre imparare cose nuove. Nonostante questo, però, ha sempre preferito il fare, al raccontarmi un sacco di belle cose mai portate a termine...» senza aspettarsi niente in cambio, perché è fatto così e basta, e quando non era sicuro di poter fare quello che aveva promesso, so io come stava. Io l'ho visto. Io lo vedo. « Perciò in realtà non importa se un giorno decideremo di imboccare strade diverse. Non importa che le cose finiscano e che niente duri per sempre: Erik resta una persona che merita il mondo. E sai cosa? Sarò pazza, forse, ma in realtà il pensiero che un giorno potrei non esserci più io, con lui, più che spaventarmi e farmi venire voglia di chiudermi a doppia mandata... È una specie di incentivo. A fare di più, tutto quello che posso, perché un giorno, guardandosi indietro, possa ricordarsi di tutto questo come di una cosa che sia valso la pena avere nella propria vita. Capisci? » si scostò una ciocca di capelli dal viso, rendendosi conto che il suo tono si fosse addolcito notevolmente nel dire tutte quelle cose a June. Non erano i soliti discorsi, quelli, ed in genere era più semplice tenere certe cose per sé, ma alla Rosier voleva bene. voleva farle capire, anche in minima parte, il proprio punto di vista. « Di conseguenza. .. Non pretendo che ti piaccia, o che diventiate improvvisamente migliori amici. Ma ti chiedo il piacere di non mettere più in dubbio le mie capacità di giudizio. »


    Edited by lust for life - 5/8/2019, 12:30
     
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    Non sarebbe stato inesatto definire Juniper Rosier come un vero e proprio uragano; presto o tardi, vittima della sua stessa leggerezza, diveniva il fulcro della tempesta, nella quale trascinava, spesso e volentieri, coloro che aveva intorno. Non lo faceva con cattiva intenzione ma, scherzando su tutto, sminuiva inconsapevolmente il reale significato di azioni e sentimenti: una volta che il momento di euforia si esauriva, la portata dei danni collaterali variava enormemente. A quel punto, scontrandosi con la realtà, la natura emotiva ed impulsiva di Juniper scivolava in un abisso di dubbi ed incertezza, interrogandosi sulla gravità delle proprie azioni. Nel caso della serata al pub, non si era posta troppe domande: ai suoi occhi, sia lei che Sam avevano calcato un po’ troppo la mano su una serata goliardica, complice l’ennesima birra di troppo. Non era certo la prima volta che succedeva e non sarebbe stata l’ultima: ci avrebbero riso su come sempre, con una scrollata di spalle. « In che senso? »S’interruppe bruscamente, ricambiando lo sguardo perplesso di Fawn con espressione smarrita. In che senso, in che senso? Avevano fatto una scommessa e lei aveva cantato una canzone, invitando Sam al matrimonio di Amunet come suo accompagnatore. Non le sembrava così difficile da capire, né particolarmente sconcertante. O forse lo era? Quel dubbio si insinuò nella sua mente, il tono di voce più basso, esitante. Prese a giocherellare con lo strappo dei jeans, le dita che si insinuavano all’interno del tessuto bucato, sfilacciandolo ulteriormente. Con il capo chino, alcune ciocche di capelli le erano scivolate davanti al viso. June non le scostò, la mente che continuava a indugiare sulla perplessità che aveva percepito nella reazione di Fawn. Non riusciva a spiegarsene il motivo. Dopotutto, lei e Sam erano amici; perché la sua decisione di chiedergli di farle da cavaliere destava tutto quello scalpore? « Tu cosa credi? » Rialzò lo sguardo chiaro sino ad incontrare quello smeraldino di Fawn, sul viso la medesima espressione di uno studente distratto colto in flagrante nel bel mezzo della lezione. Aprì la bocca per dire qualcosa e la richiuse immediatamente. Affondò i denti nel labbro inferiore, mordicchiandolo nervosamente. Beccata. Era evidente che non avesse mai ponderato l’intera questione. Ciò che era accaduto qualche sera prima non le era parso poi così importante, nulla fuori dall’ordinario se non per la palpabile malizia che mai, in precedenza, aveva realmente intaccato il rapporto con Sam. Un dettaglio che sino a quel momento le era parso superfluo e trascurabile. Eppure aveva il presentimento che, se lo avesse rivelato, avrebbe fatto schizzare le sopracciglia di Fawn verso l’alto nel giro di un millesimo di secondo. « Se vuoi la mia opinione ... » Annuì, a labbra strette, senza smettere di tormentare lo strappo nei jeans. Si fidava di Fawn e, se c’era qualcuno in grado di farla riflettere, era proprio lei. « sono del parere che queste cose, per quanto possano sembrare fatte a caso, non lo sono quasi mai. » Dopo qualche istante di apparente riflessione, Juniper si accigliò. Se l’intera situazione le appariva confusa, la frase appena pronunciata Fawn era ancora più criptica. La fissò intensamente, cercando di essere il più possibile oggettiva. Stava forse suggerendo che la situazione che si era venuta a creare era stata cercata? Che, in qualche modo, il suo atteggiamento più vivace del solito – oppure quello di Sam, o addirittura di entrambi – fosse il riflesso di un’intenzione latente? “Naaah.” Accantonò prematuramente quell’ipotesi, non senza un certo scetticismo: se una delle parti avesse avuto un interesse la posta in gioco non sarebbe stata costituita da scommesse idiote come allenamenti extra o improbabili lezioni di guida. Portò il bicchiere colmo di caffè alle labbra e ne prese un generoso sorso. Magari la caffeina l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee. « June, non prenderla male, okay? Ma tu sei proprio sicura che non ci sia dell'altro sotto? Che ti interessi solo come amico e compagno di squadra? Voglio dire: ci sta che i drink abbiano fatto il loro, ci sta che tu non ci abbia pensato più di tanto, ma...? » Nell’udire quella domanda, June quasi soffocò per la sorpresa; deglutì a forza e tossì per liberare la gola. Quando infine riuscì a riprendere fiato aveva il viso paonazzo e gli occhi lucidi. « Mpf. » Si schiarì la voce e si raddrizzò. « Tu credi che… » Balbettò, puntando gli occhi azzurri su Fawn. « Io e Sam? » Spalancò ulteriormente le palpebre, incredula. Scosse il capo in segno di negazione ed una risatina acuta le sfuggì dalle labbra. « Naaah. Siamo solo amici. » Si strinse nelle spalle con fare ovvio e rivolse a Fawn un sorriso rassicurante.Un po’ troppo rassicurante. « Capisco che dall’esterno possa sembrare strano ma queste cose sono all’ordine del giorno tra i Falcons. È un modo per alimentare lo spirito di squadra o qualcosa di simile. » Lo pensava davvero: trovandosi a giocare in una squadra composta al 90% da uomini con cui era costretta a condividere il suo spazio – personale e fisico – per almeno tre giorni alla settimana, aveva imparato in fretta che il sarcasmo e l’ironia erano gli strumenti più efficaci per scongiurare eventuali imbarazzi; nottate al pub, sbornie colossali, gare di rutti e stupidi scherzi facevano solamente parte del pacchetto. Forse era un paragone stupido e riduttivo ma non potè fare a mento di pensare che se il suo modo di rapportarsi con Sam fosse stato indice di qualcosa di più, allora June avrebbe dovuto avere un flirt con metà dei suoi compagni di squadra. « Io e Sam andiamo d’accordo, è simpatico e… ammetto che ci sono visioni peggiori in divisa da allenamento » Concesse, alzando entrambe le mani con aria conciliante prima che Fawn potesse rimarcare qualche dettaglio. « ma questo è quanto. Voglio dire, se così non fosse sarebbe… » Si interruppe, alla ricerca della parola adatta a riassumere il caos che aveva in testa. “Sarebbe cosa? Assurdo? Innaturale? Impossibile?” No, il termine che stava cercando era spaventoso. Dopo ciò che Caesar le aveva fatto, qualcosa dentro di lei era silenziosamente andato in frantumi. Ora, l’ipotesi di poter provare dei sentimenti per un uomo la terrorizzava a morte. La sua espressione si adombrò improvvisamente; durò solo una frazione di secondo, prima che June riprendesse a parlare, con inaspettata vivacità. Non voleva pensare a Caesar. Non voleva sentirsi di nuovo la povera sposina abbandonata all’altare. Era stanca di rivestire quel ruolo, di non sentirsi più sicura di sè stessa. Talvolta, nei momenti peggiori, aveva pensato che essere lasciati senza una spiegazione fosse persino peggio di un lutto. Per lei, il dolore era stato altrettanto intenso, aggravato dalla consapevolezza che mentre Caesar andava avanti con la sua nuova vita, i suoi interrogativi non avrebbero mai ricevuto alcuna risposta. « Comunque sia, abbiamo sicuramente esagerato con il bere e dall’esterno deve essere stata una scena piuttosto ridicola, però non si tratta di nulla di eclatante. Davvero. » Non stava mentendo eppure qualcosa nel suo sorriso strideva con la leggerezza insita nel tono di voce. In compagnia dei Falcons aveva trascorso serate decisamente più spericolate di quella al The Cauldron. Serate in cui lei e Sam si erano punzecchiati senza esclusione di colpi. Serate in cui, a prescindere dai tasti sfiorati, June non si era mai sentita a disagio in sua compagnia. Abbassò istintivamente lo sguardo sul copriletto chiaro, la fronte increspata mentre ripensava all’imbarazzo che aveva provato quando Sam le si era fatto troppo vicino. Abbastanza da sentire l’odore del suo bagnoschiuma. Abbastanza da percepire il suo calore nei pochi millimetri che li separavano. Battè le palpebre e, sfregando nervosamente il palmo della mano libera sulla gamba, cercò Fawn con lo sguardo. Sapeva che la stava osservando e che, nel mentre, doveva aver elaborato tutto ciò che le aveva detto – e come lo aveva detto – secondo i suoi personalissimi parametri. Sospirò. « È che… è tutto così confuso. E strano. E spaventoso. » Continuare a soppesare ogni fatto avvenuto al pub non aveva senso. Forse un nuovo punto di vista le avrebbe fatto bene, in particolare se si trattava di qualcuno di notevolmente più perspicace di lei. « E non per Sam. Lui non ha fatto nulla di sbagliato. » Si morse il labbro inferiore. Era certa che non fosse stata sua intenzione turbarla in alcun modo. Quella possibilità non l’aveva nemmeno sfiorata. « Eravamo allegri e abbiamo scherzato, niente di più. Ma… ma è stato diverso. Io mi sono sentita diversa. » Infine lo aveva ammesso. Si era liberata della consapevolezza latente che, come un tarlo, l’aveva assillata con una sensazione di rimorso immotivato. « Credo di non esserci più abituata. O forse semplicemente non sono pronta a sentire di nuovo qualcosa. » Non pronunciò il nome di Caesar. Non ebbe bisogno di farlo. Sapeva che Fawn avrebbe compreso perfettamente ciò a cui stava alludendo. Si coprì il viso con una mano, inspirando profondamente. Quindi proruppe in un gemito, una sorta di lamento infantile e stizzito. « Come minimo questa intera faccenda si trasformerà in un incubo e mi esploderà in faccia, con tanto di feriti e danni collaterali. » Possibile che riuscisse sempre a combinare qualche guaio? « E ora cosa faccio? » Si tolse la mano dal viso, le labbra sovrapposte in un broncio e gli occhi chiari che fissavano Fawn, ricolmi di speranza.
    « Si? » June capì immediatamente di essersi inoltrata in un argomento pericoloso. Il cambiamento nell’atteggiamento di Fawn fu palese mentre, per la prima volta in assoluto, si inoltravano in un territorio sino a quel momento inesplorato ed archiviato sotto il titolo “Erik Marchand”. « Che dire, interpretazione scarsina, Rosier. Ricordami di farti fare un giro a teatro, qualche volta. » Juniper ammutolì, distogliendo istintivamente lo sguardo da quello improvvisamente impenetrabile dell’amica. Intrecciò le caviglie, cercando senza rendersene conto di occupare il minor spazio possibile come se, in quel modo, potesse rimangiarsi le parole appena pronunciate. Tutto in lei – la sua postura, lo sguardo basso, le labbra strette – urlava quanto si sentisse in difficoltà. Colse il leggero movimento di Fawn e quella distanza fisica, interposta fra loro, la colpì come uno schiaffo in pieno viso. Quando Fawn parlò, la sua voce squarciò il silenzio. « La direzione che stanno prendendo le cose. Perché, che direzione stanno prendendo, se mi permetti la domanda? » June non rispose, mordendosi l’interno della guancia. Era conscia che, qualunque cosa avesse detto, avrebbe unicamente peggiorato le cose. Da un lato, Fawn non le stava realmente chiedendo una risposta. Dall’altro, la sua difficoltà nell’esporre in maniera fluida ciò che pensava, unita alla sua natura diretta, l’avrebbe fatta risultare più rude e supponente di quanto avesse intenzione. « No, aspetta: siamo su 'non sapevo di essere incinta'? Potevi dirmelo subito, cazzo. Quanto mi manca? » June si raddrizzò, volgendosi in direzione di Fawn. Il suo sguardo era ancora turbato, eppure nel profondo delle iridi cristalline era percettibile un muto avvertimento. Sapeva di aver sbagliato. Era sin troppo evidente che si era intromessa in qualcosa che non la riguardava ma, pur disposta a prendere atto del proprio errore, non avrebbe sopportato a lungo quel trattamento. L’irritazione di Fawn era legittima, il trattamento che le stava riservando, invece, nient’affatto. « Non so se te ne rendi conto ma non stiamo parlando del primo stronzo conosciuto al bar. » “E chi ha mai detto il contrario?” Pensò, con una punta di irritazione, stringendo le labbra sino a farle sbiancare. Malgrado le sue riserve, non si sarebbe mai spinta a tal punto da mettere in dubbio l’importanza alla base del rapporto tra Fawn ed il giovane Marchand. In particolare quando, come in quel caso, era palese quanto la presenza di Erik rendesse felice Fawn. . « Lo so che ti preoccupi per me. E l'intenzione è sicuramente buona. Ma non mi è chiara la ragione per cui pensi che le cose stiano prendendo una qualche direzione diversa da quella originaria. Siamo sempre stati una cosa seria. E io forse ho sbagliato a non dichiararlo subito, ma è solo perché pensavo fosse già piuttosto evidente. » Sospirò silenziosamente, riflettendo su quella domanda e, al contempo, tentando di soppesare le proprie parole. Forse, dal suo punto di vista, l’origine della sua incertezza – se così si poteva definire ciò che provava – nasceva dalla compostezza insita nella persona di Marchand. Per lei, così fisica, emotiva ed istintiva, rappresentava quasi un muro impenetrabile. Eppure, dar voce a quella riflessione sarebbe stato come gettare benzina sul fuoco. «Sai qual è il punto? Io non ho mai creduto nelle fiabe e nei per sempre. La gente si lascia. I miei si sono lasciati. E sì, la statistica mi dice che io ed Erik abbiamo ben poche possibilità di essere l'eccezione alla regola. Lo so bene. Ma so anche un'altra cosa. Ben più importante di ogni statistica. Prima ancora di essere il mio ragazzo, lui è una persona meravigliosa. Prima di diventare il mio ragazzo, è stato un amico. Una spalla. Uno a cui ho lanciato scarpe, che si è sorbito esibizioni dalla doccia che Broadway levati, uno che pur studiando Medimagia non ha mai mancato di trovare del tempo per me. Ed è intelligente, così intelligente che a volte mi vengono i complessi, ma va benissimo, perché posso sempre imparare cose nuove. Nonostante questo, però, ha sempre preferito il fare, al raccontarmi un sacco di belle cose mai portate a termine… Perciò in realtà non importa se un giorno decideremo di imboccare strade diverse. Non importa che le cose finiscano e che niente duri per sempre: Erik resta una persona che merita il mondo. E sai cosa? Sarò pazza, forse, ma in realtà il pensiero che un giorno potrei non esserci più io, con lui, più che spaventarmi e farmi venire voglia di chiudermi a doppia mandata... È una specie di incentivo. A fare di più, tutto quello che posso, perché un giorno, guardandosi indietro, possa ricordarsi di tutto questo come di una cosa che sia valso la pena avere nella propria vita. Capisci? » Ascoltò quell’intero discorso in silenzio, l’espressione neutra; infine, annuì. Poteva comprendere il punto di vista di Fawn. Anzi, parlarne in termini emotivi era il modo migliore per permetterle di andare oltre ciò che, nei suoi sporadici contatti con Marchand, non era riuscita a cogliere. « Di conseguenza. .. Non pretendo che ti piaccia, o che diventiate improvvisamente migliori amici. Ma ti chiedo il piacere di non mettere più in dubbio le mie capacità di giudizio. » La mora rimase in silenzio per qualche secondo. Poi, scosse leggermente il capo. « Non intendevo… » Si interruppe quasi immediatamente. Forse era meglio lasciar correre ed evitare precisazioni inutili. Aveva già fatto abbastanza danni per quel giorno, perché ostinarsi a sfidare la sorte? « Sai una cosa? Lascia perdere. Non è poi così importante. » Borbottò, con una scrollata di spalle. Fissò Fawn per qualche secondo, ancora vagamente imbronciata per essere stata sgridata. « E comunque… Marchand mi piace. » Arricciò leggermente il naso in una piccola smorfia. Le faceva uno strano effetto dirlo ad alta voce. « Mi sta abbastanza simpatico. Non ce l’ho con lui o chissà cosa. » Specificò, dondolando nervosamente i piedi. Voleva che fosse chiaro che non si era messa in testa di avercela con lui per puro dispetto. « Solo che… - non vuole essere un giudizio, sia chiaro – probabilmente non sono ancora riuscita ad inquadrarlo. » Si strinse nelle spalle, scrollandole appena come se, di base, l’intera faccenda si potesse riassumere in quelle poche parole. « Devi ammetterlo: non è certo l’anima della festa. » Sputò quella sentenza dal nulla, la voce improvvisamente più vivace, scherzosa. Rifilò a Fawn un’occhiata di sottecchi, l’ombra di un sorriso che minacciava di mandare in frantumi quella finta provocazione. Per lei, la tempesta era già passata. Afferrò un cuscino con la mano libera e, non appena vide l’amica aprir bocca per replicare, la colpì ripetutamente dove capitava. « Non ho capito. » Cuscinata. « Hai forse detto qualcosa? » Cuscinata. « Sei rimasta senza parole, per caso? » Ennesima cuscinata. Sarebbe potuta andare avanti così per tutto il pomeriggio, se fosse stato per lei.

     
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    Più la Rosier parlava e meno Fawn ci credeva. Non che June fosse solita mentire alla gente come se non ci fosse stato un domani, anzi - forse era proprio quello il punto. La francese, come già detto, con le cazzate non andava d'accordo. Si agitava tutta, si corrucciava, sembrava rischiare di inciampare nelle proprie stesse affermazioni. Insomma: poker face non pervenuta. Per cui, dal momento in cui quella aveva cominciato il suo discorso sulla serata trascorsa con Scamander, la rosso-oro non aveva potuto fare a meno di scuotere la testa. Internamente, s'intendeva, perché era determinata a non far trasparire il proprio scetticismo all'esterno. Se facessi pressioni ora - si disse - finirebbe per puntare i piedi, intestardirsi ancor di più nel negare e tutti quei bei meccanismi di difesa che tutti conosciamo. Non che la mora pensasse che l'amica provasse chissà quali sentimenti di natura trascendentale per Sam, ma non le piaceva comunque il modo in cui era andata subito sulla difensiva. Quasi avesse la coda di paglia. « Io e Sam andiamo d’accordo, è simpatico e… ammetto che ci sono visioni peggiori in divisa da allenamento » Se i pensieri di Fawn avessero potuto farsi materia in quel momento, avrebbero probabilmente finito per partorire uno di quei disegnini caricaturali - alla Lizzie McGuire per intenderci - dove un suo doppio avrebbe roteato gli occhi. Tuttavia non successe niente, se si escludeva una silenziosa quanto discreta osservazione di Juniper. Senza commenti, per il momento. Tanto, a giudicare dal numero di decibel che la risata dell'altra aveva toccato, ci avrebbe messo poco a fornirle altro materiale per la sua analisi. « ma questo è quanto. Voglio dire, se così non fosse sarebbe… » La già citata caricatura in versione cartoon sollevò un sopracciglio con aria eloquente; la Fawn reale, al contrario, attese pazientemente che l'altra trovasse il giusto termine per descrivere la terrificante ipotesi che la Byrne l'aveva costretta a prendere in considerazione. Cosa che non accadde - l'amica decise di virare verso altri lidi. « Comunque sia, abbiamo sicuramente esagerato con il bere e dall’esterno deve essere stata una scena piuttosto ridicola, però non si tratta di nulla di eclatante. Davvero. » Il punto non è nemmeno che sia o no successo qualcosa di straordinario. Il mio punto è, piuttosto, che tu ti stia impanicando per qualcosa di tanto ordinario. Ma non importa. « È che… è tutto così confuso. E strano. E spaventoso. E non per Sam. Lui non ha fatto nulla di sbagliato. » Qui la versione cartoon della Byrne si mise comoda, con tanto di blocco degli appunti alla mano. Fannie, invece, annuì appena come per invitarla a proseguire, gli occhi verdi fissi su di lei. « Eravamo allegri e abbiamo scherzato, niente di più. Ma… ma è stato diverso. Io mi sono sentita diversa. Credo di non esserci più abituata. O forse semplicemente non sono pronta a sentire di nuovo qualcosa. Come minimo questa intera faccenda si trasformerà in un incubo e mi esploderà in faccia, con tanto di feriti e danni collaterali. E ora cosa faccio? » Le rivolse un'occhiata comprensiva.
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    Fawn, dopotutto, era il classico tipo di persona paradossale. Nel senso che, per quanto fosse brava a sviscerare e dunque comprendere i sentimenti altrui, coi suoi faceva più fatica. Certo, nel caso della compagna non era certa di poter parlare di sentimenti veri e propri, ma si rendeva ugualmente conto del fatto che, dopo una batosta come quella che aveva ricevuto lei, anche soltanto la semplice attrazione fisica potesse sconquassare l'equilibrio che era riuscita a crearsi. Dopotutto serviva tempo affinché determinate ferite potessero rimarginarsi - e la newyorkese era comunque convinta che avrebbero continuato a prudere lo stesso - ed aveva senso che la mora potesse sentirsi scombussolata, anche solo di fronte all'idea di avere ancora degli ormoni. Per cui, dopo essersi ricacciata una ciocca dietro l'orecchio, prese la sacrosanta decisione di non pressarla. Per il momento. Visto il suo stato, questo il parere della giovane, avrebbe pure potuto metterle in testa strani pensieri, portandola ad un panico ancora maggiore. « Guarda che è normale... » Disse dunque, con una punta di dolcezza nello sguardo smeraldino. « Voglio dire, ci sta che la cosa ti confonda. E poi, francamente, qua nessuno ha parlato di dover necessariamente provare qualcosa. Avete bevuto, hai scoperto che non ti dispiace, fine. Succede. Non è che tu debba per forza fare qualcosa di quest'informazione. » Fece spallucce, quasi a rafforzare quel concetto. « Magari non te l'aspettavi e basta, la situazione ti ha presa in contropiede e l'alcool ha fatto la sua parte. Insomma - alla fin fine, per quanto tu possa volerti convincere del contrario, non sei mica una novantenne in geriatria. Sono cose che capitano. Mi ha solo fatto strano l'invito al matrimonio, tutto qua. Ma, di nuovo, potrebbe essere solo che diamo un peso diverso alla cosa. Io sono pure americana, che ti aspettavi? » L'ultima domanda, posta in senso del tutto retorico, aveva comunque un fondo di verità per la Byrne. Per quanto abitasse in terra britannica da secoli, ormai, non era tipo da presentarsi alle feste di quel calibro con chicchessia, a meno di cause di forza maggiore. Per motivi di stampo culturale, piuttosto che andare con un accompagnatore qualunque, aveva sempre preferito andare da sola. Certo, le dovute eccezioni c'erano state - il ballo di Halloween degenerato nel lockdown, per esempio -, ma in quella situazione specifica, non si era sentita troppo libera di scegliere. Era un evento semi-ufficiale ed anche i sassi sembravano volerci andare in coppia, per cui alla fine l'aveva fatto anche lei. Ad eventi più privati, tuttavia, non aveva mai avuto problemi a presentarsi per conto proprio perché portarci il qualunque sarebbe semplicemente stato strano. Una nota stonata nel suo codice morale, dove farsi accompagnare ad un qualcosa del calibro di un matrimonio, significava, in un certo qual senso, fare un certo tipo di affermazione. Era fatta così, c'era poco da fare. Inoltre, nel corso di quella loro conversazione, si era convinta che lasciare tempo al tempo, senza instillare nella Rosier strani dubbi, fosse la maniera migliore di affrontarla. D'altronde, per natura, Fawn non amava particolarmente ficcare il naso negli affari di cuore - o ormoni, di qualunque cosa si trattasse - altrui, a meno che non le venisse richiesto. Era fermamente convinta che le cose private si chiamassero così per una ragione, e che ognuno avesse il pieno diritto di vivere le proprie esperienze senza pressioni esterne di alcun tipo.

    Ed era stato proprio quella sua convinzione appena espressa, a farla scattare tanto. Forse, a guardare l'aria mortificata dell'amica avrebbe dovuto sentirsi in colpa ma, contro ogni previsione, non accadde. Non più di tanto, almeno. Poteva pentirsi di essere stata un po' brusca nei suoi confronti, ma di sicuro non si sarebbe mai rimangiata quel che aveva detto. La sua vita, da che mondo era mondo, non era una democrazia. Non chiedeva pareri agli altri e, quando questi li esprimevano, finivano per venir metaforicamente calciorotati lontano. Sul discorso della sua relazione con Erik era sensibile, punto. Niente avrebbe cambiato le cose. Come mai? Ecco, di certo non perché necessitasse dell'approvazione di qualcuno in merito, quello no. Le faceva storcere il naso, semplicemente, quando il ragazzo veniva trattato con diffidenza senza ragione alcuna perché le sembrava quasi che fosse, come aveva detto poco prima all'amica, un affronto alle sue capacità di scegliersi un partner. E in più c'era un fattore ulteriore - quello che vedeva protagonista una sua personale consapevolezza riguardo tutto il tempo che aveva impiegato ad accettare che i suoi sentimenti non fossero passeggeri. Le ci era voluto diverso tempo per fidarsi e, adesso che quella fiducia era da parte sua totale, vederlo messo sotto esame da qualcuno, fosse stato anche una persona cara, le faceva inevitabilmente saltare la mosca al naso. L'esame più importante l'ha passato. Con lode.
    « Sai una cosa? Lascia perdere. Non è poi così importante. » Lanciò dunque un'occhiata dubbiosa all'amica. Forse era davvero stata troppo dura. Ma, conoscendola, avrebbe fatto passi indietro? Nah. « E comunque… Marchand mi piace. » Fawn sbuffò. « Ma dai! » Non riuscì a trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo per un attimo. « Mi sta abbastanza simpatico. Non ce l’ho con lui o chissà cosa. Solo che… - non vuole essere un giudizio, sia chiaro – probabilmente non sono ancora riuscita ad inquadrarlo. » Ah, vabbè - buona fortuna. Per sbloccare l'account premium ti ci vorrà qualche anno. Se caschi bene. Ma abbozzò un mezzo sorriso. « È solo più riservato di altri. » Fece spallucce, come a spiegare cosa non quadrasse all'amica. « Ma boh, a me sembra anche una bella cosa. » Si fa i cazzi suoi. « Devi ammetterlo: non è certo l’anima della festa. » Fawn assottigliò lo sguardo, pronta a ricambiare la stoccata: « Avessi voluto uno che si rotolava nel fango, mi sarei fidanzata con un maiale. Ah, aspetta - quella è la metà della popolazione maschi - » Ma venne interrotta da una cuscinata. Poi una seconda. Insomma, la cosa degenerò rapidamente in una vera e propria guerra. E, con quella, i discorsi carichi di significato vennero archiviati. O, forse, solo rimandati ad un'altra volta.




    Edited by anagapesis - 14/10/2019, 13:22
     
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7 replies since 5/5/2019, 21:27   268 views
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