{CHAPTER FIFTEEN} Saturday Night Fever

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    PLAYERS

    Pottergeist the soul of morthacci yours. Unexpected Virtue of BEAUTY lust for life

    roman candle on the edge‚ blue velvet psychomachia anesthæsia¸

    Shadow of a Doubt « stupor mundi » scamander¸ undercover

    Ormai portati all'estremo della sopportazione, alla fine ciascuno di loro è stato costretto a toccare quella maledetta passaporta. Oggetti di comune utilizzo che li ha portati in un posto tutto fuorché comune. Ciascuno di loro atterra su una poltroncina, in una stanza di dimensioni decisamente ridotte. Buia se non per la presenza di un paio di spie lampeggianti. Telecamere che li osservano da ogni angolazione. Tutto tace, sono completamente al buio e non vi è nessuna via di uscita. Nessuna porta, nessuna crepa alle pareti. Qualunque incantesimo o possibilità di comunicazione con l'esterno verrà loro negata per ore ed ore, prima di poter lasciare la stanza. Indipendentemente dalle loro condizioni al momento dell'atterraggio, resteranno lì, finché dopo ore di attesa, la stessa poltroncina non si attiverà a mo di passaporta, rispedendoli in luoghi del tutto casuali. Luoghi e città estranei; privati ormai della loro dignità e del libero arbitrio, torneranno ad assaporare la libertà solo durante le prime ore dell'alba.

    Dopo le rispettive sfide, i Players verranno chiamati a viaggiare con una passaporta che li spedirà ciascuno in una stanza piccolissima e buia. Nessun arredamento, nessuno modo di comunicare. Incantesimi di qualunque sorta non saranno d'aiuto. Sono come murati vivi all'interno di un scatola di mattoni in cui ovviamente i cellulari non prendono e non è possibile mandare patronus di soccorso o comunicare tramite oggetti magici. Verranno liberati on game, solo dopo che gli watchers avranno finito la loro sfida. Nessuno però è a conoscenza di quanto ci vorrà perché vengano liberati e soprattutto se ne usciranno vivi.


    WATCHERS

    lilac; murphylaw‚ Christopher Willhunting Winchest Alenko Sleeping sun

    ;mudblood dark phoenix. blackwater‚ ;malfoy nowhere boy. art déco

    strawberry fields. Jack‚ the ripper Soffio di Fiamme Danzanti icarus

    Le passaporte hanno portato ciascuno degli invitati al centro della sala principale dell'ex Pandemonium ormai in ristrutturazione da un paio di mesi. Non appena tutti atterrano sul cemento umidiccio, tutte le vie di accesso nel locale si murano magicamente. Non c'è via d'uscita per gli watchers, la cui attenzione viene attirata dal palcoscenico fresco di costruzione, al centro del quale decine di monitor sono stati montati esclusivamente per loro. Una serie di seggiole sono rivolte verso quella che ha tutta l'aria di essere una torre di controllo illuminata da mille lucine colorate e lampeggianti, in mezzo a un cantiere chiuso, con mattoni a vista, polvere, calcinacci e teli ovunque. C'è un forte odore di materiali freschi e il grigiume e il freddo che li circonda è spaventoso. L'atmosfera è quella di una tomba, non poi molto diversa da quella in cui si trovano i players, se non per le dimensioni decisamente più ampie dell'ambiente in cui si trovano. Sui vari schermi sono raffigurate in tempo reale le mosse di ciascun player. Un pulsante in prossimità dell'immagine che li rappresenta, permette ai ragazzi presenti nella salone del Pandemonium di accedere al suono all'interno di ciascuna stanzetta. Possono sentirli ma non comunicare con loro. Su un tavolo non molto distante ci sono decine di scartoffie che hanno a che fare con le loro vite - chat, conversazioni, documenti più o meno ufficiali che li riguardano. Inoltre, lo Shame ha messo loro a disposizione un paio di portatili con uno speciale motore di ricerca. Digitando ciascuno dei loro nomi, potranno accedere a parte delle loro vite - qualunque cosa di ufficiale abbiano fatto, registri in cui compaiono, premi ricevuti, articoli in cui sono comparsi anche solo con una breve menzione - tutto è rintracciabile (tranne i loro crimini e segreti più oscuri). Ci sono foto che li ritraggono, spesso in momenti in cui non pensavano di essere fotografati. Tutti gli strumenti sono messi a uso e consumo degli invitati affinché abbiano la più ampia panoramica possibile delle vittime con cui si andranno a scontrare durante la serata. Le loro vittime. In fondo al palco, c'è anche un piccolo buffet, segno che, la loro permanenza non sarà davvero così breve come si aspetterebbero. Per quanto ne sanno, lì dentro potrebbero rimanerci almeno fino a lunedì, quando i primi operai si ripresenteranno al lavoro. Su una lavagna ci sono i nomi di ciascuno.
    CITAZIONE
    Sirius Potter; Judah Carrow; Ftzwilliam Gauthier; Fawn Byrne; Thomas Montgomery; Malia Stone; Amunet Carrow; Albus Potter; Olympia Potter; Beatrice Morgenstern; Nathan Douglas; Samuel Scamander; Elizabeth Branwell.

    Sopra i loro nomi e le loro teste già messe sulle picche, vi è un semplice titolo scritto a colori fluo lampeggianti. WATCHERS//PLAYERS - Saturday Night Fever.
    Lasciato loro il tempo di ambientarsi nella loro nuova temporanea casa, infine una voce modificata riempie l'ambiente. Non sembra umana, ma non sembra nemmeno non umana. E' una voce, rauca, bassa e leggermente scattosa, ma chiara nei suoi intenti e nelle specifiche che dà loro.

    "Benvenuti! Non credo ci sia bisogno di presentazioni: se siete qui è perché, ad un banale Sabato, avete scelto l’alternativa, il divertimento, l’opportunità. Permettetemi di dire che avete fatto la scelta giusta: probabilmente siete i soli ad averla fatta stanotte. Ma non bruciamo le tappe. Avvicinatevi amici, non abbiate paura! Ciò che vi offro stasera è un posto alla regia, un’angolazione privilegiata da cui poter guardare il marcio che vi circonda. Nella fattispecie, il marcio si trova di fronte a voi, separato da uno schermo. Vedete quella variegata fauna umana, chiusa nelle loro piccole gabbie? Non fatevi ingannare dalle apparenze, sono tutti peccatori. Tutti, nessuno escluso.
    Uno di loro è un bugiardo incallito, mentirebbe perfino a sé stesso.
    Uno di loro è un violento, non è certo se sia lucida follia o premeditazione.
    Uno di loro ha ucciso in passato e non c’è due senza tre.
    Uno di loro è uno spergiuro e ha rotto un giuramento.
    Uno di loro è un bullo, se messo con le spalle al muro ruberebbe le caramelle a un bambino.
    Uno di loro è un criminale, si macchierebbe di qualunque crimine con la giusta motivazione.
    Uno di loro ha ricorso alla tortura contro una persona amata.
    Uno di loro è un ipocrita, predica bene e non fa altro che razzolare male, sempre, comunque.
    Uno di loro è complice di un delitto e non ha alzato un dito per fare la cosa giusta.
    Uno di loro è un ignavo che non alza mai la testa per correggere un errore.
    Ma chi sono io per giudicare? Nessuno. Ecco perché a giudicare sarete voi. Non vi siete chiesti perché la vostra preside sia stata sostituita di punto in bianco nel bel mezzo dell’anno scolastico? Presto detto: la vostra preside è morta e uno di loro l’ha uccisa. Potete credermi, io non mento mai. Non ho bisogno di mentire, dopotutto: la verità è molto più affilata e penetrante di una vile menzogna. Vi dirò allora una seconda verità: stanotte dovrete decidere chi secondo voi ha ucciso la Preside o moriranno tutti, uno dopo l’altro, nessuno escluso. Guardateli, alcuni sono visibilmente feriti, altri vi sembra stiano bene ma sono reduci da una lunga sessione di tortura, altri sono semplicemente lesi nell’animo. Tutti loro non hanno più tempo. E neanche voi. Mettetevi comodi perché sarà una lunga notte. Avete un’ora. Fra un’ora, inizieranno a morire e sarà lo spettacolo più lento che abbiate mai visto. Mettetevi comodi e fate la vostra scelta."


    Chiedo venia per non aver mandato gli inviti a tutti, ma molti di voi sono sprovvisti di casella postale. Fate conto in ogni caso che si è ricevuti una passaporta e volenti o nolenti, siete stati portati a lasciarvi trasportare dalla stessa nel luogo prestabilito. Spero di non essermi dimenticata di taggare nessuno. Nel caso in cui qualcuno non è stato invitato né tramite tag, né tramite invito diretto, contatti un membro dello staff. Chiaramente se qualcuno volesse aggiungersi ancora in questa fase iniziale, potete farcelo sapere in qualunque momento.





    Edited by {LAST HORCRUX} - 21/2/2021, 12:11
     
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    Mi stavo giusto chiedendo quando ti saresti fatta viva. Toccare la passaporta e lasciarsi trasportare nell'ignoto era stata la cosa più facile che avesse fatto negli ultimi tempi. Non si era risparmiata l'indossare la sua nuova spilla da senior per l'occasione, perché ovunque andasse Jacqueline ci sarebbe andata nel pieno della sua nuova legittimità. Aveva la coscienza pulita; fu con estrema leggerezza d'animo che fece quel passo, non interrogandosi minimamente sui pericoli incontro ai quali poteva andare. In fondo, dopo aver intuito il perverso gioco dello Shame, e dopo aver osservato così tante persone giocarci, era quasi diventata frustrata all'idea di non veder mai comparire una notifica sul suo cellulare. Sembra quasi che io non sia degna! Che affronto. Atterrò su un cumulo di sacchi di cemento, in mezzo a un'ampia stanza che odorava di vernice fresca. Un cantiere in piena regola che la obbligò a raggiungere la sua bacchetta e castare un veloce lumos. Vide altri volti attorno a sé, alcuni completamente sconosciuti, altri decisamente più noti. Gli occhi azzurri della Lestrange corse in direzione della figura smilza di una sua vecchia conoscenza. Edric Sanders. Dopo esser stata dimessa dal CIM non l'aveva più visto. Aveva sentito fosse scappato ad un certo punto, ma da allora non si era più fatto né sentire, né vedere. Qualcuno lo aveva nominato in passato di sfuggita, forse in qualche riunione di qualche club che Jack aveva seguito con disinteresse, ma per il resto, la sua figura e presenza era stata quasi completamente cancellata dalla faccia della terra. « Chi non muore si rivede. » Asserisce compiendo qualche passo in direzione del biondo sorridendogli con il solito fare leggermente malizioso prima di iniziare a scrollarsi di dosso gli avanzi della polvere che avevano sporcato il suo vestito color grigio pallido. Quel posto non la metteva a proprio agio. Era sporco, disordinato e sconosciuto - se un tempo poteva avere qualcosa di famigliare, ormai la sua intera fisionomia stava cambiando. Solo una vecchia insegna del Pandemonium le diede la dimensione di dove potessero trovarsi. Il vecchio night club di Hogsmeade. Era stato chiuso poco dopo la Restaurazione. Per una come Jack, che della storia di Hogsmeade sapeva poco e niente, quell'evento era risultato tutto fuorché degno di nota. Alcuni tuttavia, sembravano parlare con un certo dispiacere della sopraggiunta mancanza di quel luogo. Le poche domande che aveva avuto modo di porre in merito, descrivevano il Pandemonium come il luogo ideale del peccato, un misto di perversione e puro divertimento. Le sarebbe piaciuto insomma. Di quali fossero i nuovi piani per il locale, tuttavia, nessuno sembrava saperne poi molto. « Sei stato davvero maleducato. Niente lettere, niente visite.. credevo avessimo instaurato un certo legame io e te. » Asserisce con una punta di accidia, tipicamente alla Jacqueline. Il volto infantile del dispetto, che si interseca con la poco genuina linea del letale atteggiamento che ha già dimostrato di possedere.« Le persone sono sempre destinate a deluderci.. » Asserisce affiancando una delle ragazze che si ritrova accanto indicando infine al gruppo il palcoscenico oltre un velo di teli su cui si ergono una moltitudine di schermi, tavoli e scatole colme di scartoffie. Gli occhi carichi di follia della giovane Lestrange si accendono di curiosità, mentre percorre lo spazio che la divide dalla scalinata che conduce verso il palcoscenico. Percorre con lo sguardo i vari schermi su cui riconosce con un certo spirito di goduria personalità ormai note a tutto il pubblico di Hogwarts. « Ommioddio.. » Un tono che ha del meravigliato. « ..ha intrappolato tutta la casta. » Asserisce incontrando con un che di sorpreso lo sguardo del suo coinquilino poco distante. Oh.. chi l'avrebbe detto! Di certo Gabriel non sembrava un tipo adatto al modus operandi dello Shame. A dirla tutta, quel tipo non sembrava adatto a nulla. Non c'era alcun tipo di crepa nella sua aura. E a Jack andava bene. Finché rimetteva tutto nello stesso ordine in cui lei lo lasciava, restava pur sempre il coinquilino ideale. Non si conoscevano, affatto. Quella convivenza sembrava portata avanti sul comune terreno di non svelare alcunché l'uno dell'altro. Ma quella sera Jack decide di concedergli qualcosa. « Quello è mio cugino. Il cugino stronzo chiaramente. » Prende istintivamente a braccetto Edric non appena è sufficientemente vicino e si stringe al suo fianco per qualche istante. « Lui e Edric sono grandi amici. E' stata una grandissima coincidenza incontrare un grande amico di Nate in quel luogo bruttissimo.. » Quante tenerezza. Di scatto allunga il nasino verso la piattaforma di controllo e con un che di melodrammatico preme il pulsante in corrispondenza dell'immagine di Nate. Sente respiri affannosi, qualche imprecazione, domande e bla bla bla.. « Ehi!! Natie.. mi senti? » Niente. « Dai Nathan non essere dispettoso, giuro che ti perdono per non avermi invitata al tuo diciottesimo. » Ma Douglas continua a comportarsi come se non potesse sentirla. « LO VEDI CHE TI COMPORTI SEMPRE COME SE NON ESISTESSI? Sei proprio un grandissimo stronzo. » E di rimando preme nuovamente il pulsante spegnendo l'audio.
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    « Anche quando entrambi siamo sullo stesso piano, lui continua a trattarmi come se fossi una semplice bastarda. IO! Con il pedigree che mi ritrovo.. seriamente non riesco a trovare un'altra spiegazione a questo suo comportamento se non che sia estremamente invidioso. Non sei d'accordo anche tu? » Asserisce rivolgendosi a un ragazzo che non ha mai visto prima d'ora. « Com'è che ti chiamo tu? Dovremmo diventare amici.. » Ma prima che possa continuare in quella sua arringa, ecco che la voce plateale dello Shame attira l'attenzione di tutti i presenti. « Benvenuti! Non credo ci sia bisogno di presentazioni: se siete qui è perché, ad un banale Sabato, avete scelto l’alternativa, il divertimento, l’opportunità. Permettetemi di dire che avete fatto la scelta giusta: probabilmente siete i soli ad averla fatta stanotte. Ma non bruciamo le tappe. Avvicinatevi amici, non abbiate paura! Ciò che vi offro stasera è un posto alla regia, un’angolazione privilegiata da cui poter guardare il marcio che vi circonda. [...] » Inutile dire che quel discorso fece brillare gli occhi di Jacqueline di una luce estremamente perfida. Tra quei ragazzi, non ce ne era nemmeno uno di cui potesse importarle minimamente. Anzi, a ben guardare si trattava di persone che sembrava odiare profondamente, a partire da tutti i nipoti di Molly Weasley e i loro diretti affiliati. Poi c'era suo cugino, il perfetto, bravo, intelligente, carismatico Nathan Douglas e assieme a loro altri danni collaterali che in un modo o nell'altro si erano sempre messi al centro della scena, nonostante fossero le personalità più banali sulla faccia della terra. Deglutì improvvisamente con un'aria apparentemente spaventata e dispiaciuta. « La Preside.. è morta? » Un altro danno collaterale, che viva o morta, a Jack non faceva né caldo né freddo. Era un po' così per la maggior parte della popolazione mondiale. « E ora vi sfido a darmi ancora una volta della pazza visionaria. Gira e rigira ogni volta che succede qualcosa, i nomi di questi qua ricompaiono sempre. Addirittura alcuni di loro sono pure Senior! Che scandalo. » Si stringe nelle spalle, prendendo di conseguenza tra le mani un fascicolo a caso osservandolo agli altri. « Mi pare chiaro che dobbiamo fare come ci è stato chiesto.. non vorremmo mica avere sulla coscienza le vite di tutti loro. » Naturale!

    Interagito con Edric, una ragazza nel gruppo (insomma se volete interagirci fate pure), Gabriel e un ragazzo altrettanto a random, come prima se volete interagirci sono contenta!
    Alla fine Jack si è rivolta a tutto il gruppo #SORRYNOTSORRY
    Nominati Nate, i Potter e in generale tutti i banalissimi Players



    Edited by blue velvet - 2/6/2019, 13:17
     
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  3. ;mudblood
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    Del perché avesse scelto di propria iniziativa di sfiorare quella Passaporta, Diane non avrebbe saputo dire neppure una parola, poiché nella sua testa certe cose non avevano bisogno di alcuna spiegazione, avvenivano e basta, guidate da un'insana voglia di farsi del male o semplicemente di complicarsi la vita.
    Quando si sentì mancare il fiato e atterrò in malo modo su sacchi ricolmi di una sostanza polverosa e dall'odore fastidioso, la ragazza comprese quasi subito di essersi smaterializzata, ma non com'era stata da sempre abituata a fare; non aveva mai utilizzato una Passaporta, ma ne sapeva abbastanza da poter asserire con certezza che si trattasse di quella sorta di magia.
    Nel disorientamento generale non si rese conto di non essere sola, almeno non all'inizio, motivo per cui, tra un lamento e un colpo di tosse, si mise in piedi afferrando con velocità la bacchetta che portava sempre con sé, nella tasca interna della giacca di pelle.
    Vide una luce sorgere al suo fianco, poco lontano da dove si trovava, e vi puntò la propria bacchetta prima di rendersi conto che si trattasse di una ragazza. Le venne spontaneo pensare che fosse lei l'artefice di quello scherzo davvero poco divertente, mentre un altro colpo di tosse le venne causato dalla polverosa aria che si respirava in quel luogo diroccato; nel guardarsi attorno, però, Diane notò volti incerti e disorientati tanto quanto doveva apparire il suo. Abbassò la bacchetta e si rese conto che probabilmente lì dentro erano tutti vittime dello stesso carnefice, ma a parte il freddo e l'odore di polvere e vernice, nulla le lasciava pensare che si trattasse di una situazione pericolosa.
    Non ancora.
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    Si avvicinò lì dove l'attenzione di tutti venne irrimediabilmente attirata, riscontrando alcuni monitor che rivelavano la presenza di altri ragazzi, alcuni di sua conoscenza, altri noti solo di vista. Sulla torretta di controllo che fungeva da palcoscenico di quella macabra serata, vi era in mezzo a tanti altri un pulsante su cui Diane riconobbe la propria immagine e, senza chiedersi se fosse il caso o meno di proseguire, lo pigiò. All'improvviso sentì un respiro pesante, degli ansimi e delle voci incerte, spaventate... non le servirono che pochi attimi per collegare quelle voci ai ragazzi che si intravedevano tramite gli schermi, senza poter fare a meno di domandarsi dove fossero.
    Ma soprattutto, dove fosse lei. Quando la ragazza di poco prima prese la parola, la ex Tassorosso non poté fare a meno di lanciarle uno sguardo irritato. Lei, che era sempre buona e gentile con tutti, le pareva assai fuori luogo dover assistere allo sfogo di una ragazzina sull'orlo di una crisi di nervi solo perché il cugino -a detta sua- non si degnava di calcolarla.
    In verità Diane non avrebbe avuto quei pensieri, per lo meno in condizioni normali, ma il non sapere dove si trovasse, cosa dovesse fare e il perché i ragazzi al di là degli schermi parevano essere confusi, spaventati e alcuni addirittura doloranti, stava iniziando a metterle i brividi. Motivo per cui non era propensa a essere gentile come suo solito.
    Quando una voce roca e a tratti disumana prese la parola, Diane venne percorsa da brividi di paura e iniziò a guardarsi intorno, tentando di capire se ci fosse qualcun altro lì con loro o se si trattasse solo di una voce registrata, di un alto parlante... quella consapevolezza le fece comprendere che non erano loro ad orchestrare i giochi, come la voce voleva lasciare intendere, ma un individuo che si divertiva a muovere i fili del destino di alcuni ragazzi che, come unica colpa, avevano quella di essere stati vittima dello Shame. Era evidente che vi fosse quell'entità dietro quella storia, poiché nessun altro avrebbe potuto descrivere i dieci ragazzi in modo tanto preciso e allusivo, se non chi era al corrente dei loro peggiori e più oscuri segreti. Lei, però, come a quel punto immaginava il resto dei compagni lì presenti, non era stata vittima dello Shame, motivo per cui era stata graziata e a rischiare di morire non sarebbe stata lei.
    Che razza di gioco perverso è questo?
    Disse quasi sottovoce, mentre la voce si spegneva al culmine di indicazioni che avrebbero fatto la differenza, quella notte. La bionda di poco prima riprese a parlare e a quel punto Diane chiuse gli occhi prendendo un profondo respiro. La preside era morta, almeno per quanto ne sapeva la voce sconosciuta, ma non era il momento di pensarci; poteva essere una bugia, un trabocchetto per rendere i ragazzi più nervosi e impauriti di quanto già non fossero... forse aveva voluto solo deconcentrarli.
    Di scandaloso qui c'è solo il fatto che tu ti preoccupi di quanto possano essere popolari questi ragazzi, invece di pensare a un modo per tirarli fuori.
    Che fossero senior o meno, che il loro nome fosse sempre sulla bocca dello Shame, a Diane interessava meno di niente. Non era certa di credere alle minacce di morte del loro attento osservatore -perché era sicura che qualcuno stesse osservando anche loro- ma non voleva rischiare di scoprirlo.
    Avevano un'ora di tempo e avrebbero dovuto scoprire chi fosse l'assassino della preside, o almeno quella pareva essere la sfida lanciata a tutti loro. Purtroppo per Diane, lei non conosceva bene nessuno dei presenti, se non per qualche chiacchiera e un saluto scambiato fra i corridoi della scuola; aveva parlato con Nate durante la festa clandestina, era stato gentile con lei, mentre Olympia era sua compagna di corso, motivo per cui vi aveva una certa confidenza, ma non avrebbe mai detto che uno dei due fosse un probabile assassino.
    Tutto questo è ridicolo, ma tanto vale iniziare a spulciare i dossier.
    A quel punto allungò una mano verso la documentazione presente sul tavolo e ne estrasse una cartella a caso iniziando a leggere, sforzandosi come sempre di non penetrare le menti dei presenti ed evitando così di andare completamente fuori di testa. Che la sua abilità potesse tornarle in qualche modo utile? Lo scopriremo nella prossima puntata.

    [spoiler_tag]Interagisce con Jacqueline <3 e attende direttive (?).[/spoiler_tag]
     
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  4. ;malfoy
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    Sua madre le aveva sempre detto di non accettare caramelle dagli sconosciuti, soprattutto quando queste caramelle venivano aggiunte al cocktail che, in quanto minorenne, non avrebbe potuto consumare. Ma la verità era che le cose non sempre andavano come lasciava intendere la mamma, motivo per cui con gli anni Ahlena aveva deciso di fare di testa propria, di accettare le caramelle dagli estranei e di lasciarsi offrire da bere, fingendosi incommensurabilmente grata al suo salvatore. Ma quando in quell'occasione si era sentita trascinare via con forza brutale e un senso di nausea la accolse al suo impatto col terreno, comprese che dalla prossima volta avrebbe dovuto fare più attenzione. Aveva preso più volte una Passaporta, ma ciò non la fece desistere dal pensare di essere stata drogata. L'odore in quella stanza, ovunque si trovasse, era decisamente fastidioso, a tratti persino nauseante e, dato il freddo che vi aleggiava, la bionda non era certa di trovarsi al chiuso.
    Dove diavolo sono?!
    Ahlena non era una ragazza a cui piaceva scherzare, non se non era lei la fautrice dello scherzo. No, a lei piaceva essere informata su tutto ciò che le sarebbe accaduto e lo avrebbe accettato solo se considerato degno della sua persona. Poiché però non sapeva nulla di quel rapimento stile "Saw l'enigmista", l'episodio stava iniziando ad innervosirla.
    Si rimise in piedi a fatica e il suo primo pensiero non fu quello di afferrare la bacchetta per difendersi da eventuali pericoli, no, si affrettò invece a pulire la gonna e la manica della giacchetta, borbottando quanto il cashmere costasse e fosse difficile da pulire. A un certo punto, quasi in lacrime, disse di dover buttare quel completo poiché, testuali parole, era andato, finito, completamente rovinato.
    Dopo essersi convinta dell'inadeguatezza di un eventuale funerale per i suoi indumenti, Ahlena sollevò lo sguardo e si rese finalmente conto di non essere da sola. Ottimo, pensò tra sé e sé, quel posto stava iniziando a darle i brividi. Non si preoccupò affatto di afferrare la bacchetta, riconducendosi invece laddove già alcuni ragazzi si erano avviati. Una strana torre di controllo dava l'accesso ai microfoni presenti in stanze in cui, almeno così pareva, erano tenuti prigionieri dieci dei più popolari studenti del college di Hogsmeade, che Ahlena conosceva di vista solo se carini e popolari, dunque poteva affermare di conoscerli tutti almeno di vista.
    Certo, non aveva la medesima considerazione di ciascuno di loro, ma poteva affermare con una certa sicurezza di ammirarne alcuni e detestarne altri.
    Ehi, Lyanna, sei qui?
    Disse a voce abbastanza alta senza guardarsi intorno, convinta che se l'amica ci fosse stata l'avrebbe raggiunta. Ma poiché ciò non accadde, la bionda diede per scontato la sua assenza, convincendosi con un sospiro di rassegnazione di dover avere a che fare solo con gente di cui non aveva mai sentito parlare e di cui non le importava assolutamente nulla. Diciamolo, la sua ascesa sociale non avrebbe tratto alcun vantaggio da loro.
    Sollevando lo sguardo dai monitor, la Malfoy riscontrò volti tutt'altro che noti, ma non poté non dirsi d'accordo con ciò che affermò la prima ragazza che prese la parola, la quale ebbe da ridire su uno dei ragazzi più carini della scuola -secondo il tutt'altro che modesto parere di Ahlena.
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    Quando una voce sconosciuta iniziò a spiegare cosa facessero in quel luogo, però, la Serpeverde non poté evitare di percepire un brivido percorrerle tutta la schiena, soprattutto nel momento in cui si rese conto che la vita di dieci ragazzi fosse nelle loro mani. Ahlena era fastidiosa, arrogante e irriverente, ma non era propriamente cattiva, non quando ciò che poteva accadere quella sera avrebbe potuto avere forti ripercussioni sulla sua vita.
    Non poté fare a meno di trovarsi d'accordo con ciò che disse la ragazza bionda, motivo per cui lanciò un'occhiataccia alla bruna che tentò di dare una lezione di vita a tutti loro. Era ovvio che dovessero pensare a come salvare quei ragazzi, ma era ovvio anche che uno di loro sarebbe stato accusato di omicidio. Francamente ad Ahlena non importava granché della Preside, voleva solo tornare nel proprio dormitorio e sistemarsi capelli e unghie, entrambi un vero disastro.
    Sbuffò sonoramente e si tirò giù di poco la gonna o quel che ne rimaneva, per poi raggiungere il tavolo dei dossier e iniziare a leggerne uno. Non fu scelto casualmente, certo che no, al contrario la ragazzina prese quello della persona che più le piaceva e iniziò a spulciarlo, entusiasta di sapere di lui qualcosa di succulento e potenzialmente utile per farsi notare.
    Sapeva che Judah e Sirius Potter erano una coppia, cosa tutt'altro difficile da immaginare date le loro movenze piuttosto femminili, motivo per cui alla bionda non interessavano affatto -inoltre, mai avrebbe voluto avere a che fare con un Potter o un Weasley, problemi di famiglia; Albus e Amunet, per quanto fossero popolari, formavano la coppia più noiosa su cui Ahlena avesse mai posato gli occhi, quindi non li degnò neppure della più misera attenzione; gli altri non le interessavano un granché, ma Thomas... santo cielo, era forse uno dei suoi sogni proibiti, motivo per cui non servì molto a spingerla a scegliere il suo dossier.
    Lo lesse come se si trattasse di una rivista, interessata a cogliere dettagli di quel ragazzo tanto affascinante piuttosto che per cercare di salvare dieci vite, ma di una cosa era certa: lui non sarebbe stato il capro espiatorio, proprio no, altrimenti non avrebbe avuto senso informarsi per conquistarlo, sarebbe stato tempo perso!
    Ditemi, per caso non vorrete condannare Thomas, vero? Voglio dire, vorrei saperlo, altrimenti non perdo tempo a informarmi su di lui.
    Insomma, dolore e lutto a parte, lei era ancora giovane e poteva ambire pur sempre a qualcun altro.
     
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  5. dark phoenix.
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    La prima volta che Dominique Weasley aveva usato una Passaporta era stato tanti anni fa. Aveva cinque anni e quell’estate sua madre aveva deciso di portare la famiglia a Parigi, dai suoi genitori. Di quell’esperienza, in realtà, non ricordava molto, però era sicura di essersi detta che mai più avrebbe fatto un’esperienza simile. L’oggetto che si era procurata sua madre, quello che avrebbe traportato i Weasley in Francia, sembrava essere un comunissimo vaso di fiori. C’erano anche delle calle al suo interno. Bianche e così delicate che sembrava si potessero rompere anche semplicemente sotto il peso del suo sguardo da bambina. Suo fratello le aveva stretto forte la mano, e lei aveva ricambiato con una stretta ancor più salda, decisa. Fin da piccola, Minnie si era sempre voluta mostrare per ciò che era: una Weasley testarda e musona, ma silenziosamente premurosa. Probabilmente era un po’ troppo impulsiva, fin dalla tenera età. Nonno Arthur le diceva sempre: L'importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa. Ecco, il coraggio è questo, altrimenti non è più coraggio ma incoscienza. Incosciente. Chissà quante volte se l’era sentito dire. Incosciente. Forse Dominique in realtà era semplicemente questo. Un’incosciente e basta. Perché quando in quel sabato sera quando le si presentò davanti quell’opportunità, nonostante una vocina nella sua testa continuasse a ripeterle che stava sicuramente facendo una stronzata, non ci pensò due volte nel toccare quella Passaporta camuffata da libro di Astrologia che era magicamente apparso sulla sua scrivania. E di nuovo fu la sensazione di Parigi. Fu come se il suo corpo venisse prima risucchiato e poi sbattuto da una parte all’altra dentro un vortice d’aria velocissimo. Quando atterrò il suo stomaco era sottosopra. Rimase per un paio di secondi senza prendere aria per poi ritrovarsi a doverlo fare per non svenire. Una nuvola di povere si era alzata intorno a lei, facendola tossire. Alzò una mano, sventolandosela di fronte alla faccia, come se volesse scacciare via un branco di api inferocite. Si accorse che quella non era polvere, ma cemento. Doveva trovarsi in un cantiere o qualcosa di simile. La prima cosa che vide furono delle transenne bianche rosse. C’erano delle pietre, per terra, alcune persino sotto di lei. Riuscì a mettersi in piedi, senza accorgersi di essere imbrattata di polvere e fuliggine in tutta la divisa. Si guardò intorno e vide una luce. C’era del chiacchiericcio non sottofondo. Voci confuse, che discutevano tra loro. Non era sola, quindi. Pian piano che si faceva avanti, alcune figure entravano nel suo campo visivo. Finalmente era riuscita a riconoscere il luogo dove la Passaporta dello Shame l’aveva portata. Era al Pandemonium. L’ultima volta che ci era stata sembrava una vita fa. Era andata lì con Merula Green, una sua compagna di Casata, per una festa. L’ambiente risplendeva di luci al neon. Le cameriere avevano abiti stravaganti di colori fluo e il bar offriva drink gratis alle ragazze, fino all’una. Lei e Merula si erano buttate in gola una pasticca e la musica aveva cominciato a rimbombare forte dentro di lei. Era come se il suo cuore andasse a tempo con ogni singola traccia che il dj sparava dalle casse. Ora dentro il locale c’erano solo attrezzi da lavoro abbandonati da pigri operai, macerie e polvere. La prima cosa che catturò la sua attenzione furono dei monitor piazzati sul palco del locale. Non riusciva a vedere cosa trasmettessero, ma il gruppo di persone lì davanti sembrava piuttosto interessato. Avanzava lentamente, con gli occhi leggermente socchiusi, sforzandosi di capire. Poi, d’improvviso, si bloccò. Le labbra si dischiusero leggermente quando riuscì a mettere bene a fuoco la persona su uno dei monitor. Olympia. Era sicuramente sua cugina. Avrebbe riconosciuto ovunque quella chioma rossa. Spostò ancora lo sguardo e di nuovo il suo cuore vacillò. Albus. Sirius. C’era anche Mun. Quattro componenti della sua famiglia erano lì. Quattro. Quattro pedine di un gioco sadico al quale anche lei aveva deciso di partecipare. "Benvenuti! Non credo ci sia bisogno di presentazioni: se siete qui è perché, ad un banale Sabato, avete scelto l’alternativa, il divertimento, l’opportunità.[...] Mettetevi comodi perché sarà una lunga notte. Avete un’ora. Fra un’ora, inizieranno a morire e sarà lo spettacolo più lento che abbiate mai visto. Mettetevi comodi e fate la vostra scelta." Fra un’ora, inizieranno a morire...
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    Quelle parole continuarono a rimbombare nelle sue orecchie ancora per un po’. Non era possibile. Dopo il Lockdown pensava che le cose sarebbero tornate apposto. Ci aveva provato. Ogni giorno aveva provato a dimenticare la paura di aver perso Vic per sempre, la paura di non rivedere più la sua famiglia, la paura di andarsene senza aver mai detto “vi voglio bene” ai suoi genitori, senza aver mai detto “ti amo” ad un ragazzo. Aveva ancora così tante cose da fare, così tante cose da dire. Adesso si sentiva una vera stupida per aver pensato che sarebbe stato tutto tranquillo. Alla fine se lo sarebbero meritato. E invece no. « E ora vi sfido a darmi ancora una volta della pazza visionaria. Gira e rigira ogni volta che succede qualcosa, i nomi di questi qua ricompaiono sempre. Addirittura alcuni di loro sono pure Senior! Che scandalo. Mi pare chiaro che dobbiamo fare come ci è stato chiesto.. non vorremmo mica avere sulla coscienza le vite di tutti loro. » Riconobbe subito la ragazza che aveva pronunciato quelle parole. La cosa peggiore era che capiva anche il perché quella pazza le avesse dette. Di scandaloso qui c'è solo il fatto che tu ti preoccupi di quanto possano essere popolari questi ragazzi, invece di pensare a un modo per tirarli fuori. Nonostante ci avesse già pensato qualcuno a risponderle, Dominique non ci pensò due volte. Si avvicinò alla Lestrange a passo svelto, arrivandole ad un soffio dal naso. Il suo viso era contratto in una smorfia di rabbia. «Ti piacerebbe, vero Lestrange?» Strinse i pugni rischiando di conficcarsi le unghie nel palmi delle mani. Controllati. «Ti piacerebbe vedere morire i nipoti di colei che ha ucciso quella psicopatica di tua madre, eh?» La bocca ebbe un tremito. «Ti avverto. Se farai anche solo un movimento che possa arrecare danno ad uno dei miei cugini ci saranno delle gravi conseguenze...» Un attimo di silenzio spezzato poi da una voce. Ditemi, per caso non vorrete condannare Thomas, vero? Voglio dire, vorrei saperlo, altrimenti non perdo tempo a informarmi su di lui. Dominique si girò con estrema lentezza, le labbra dischiuse in un’espressione meravigliata, gli occhi sgranati. E la vide. Alhena Fuori luogo Malfoy. Ci mise un po’ per trovare le parole giuste, ma alla fine - come al solito - uscirono le prime parole che le vennero alla bocca. «Davvero? La cosa che ti preoccupa di più è l’idea di poter perdere tempo nell’informarti sul tuo amato principino Si passò una mano tra i capelli, l’espressione ormai tramutata in una maschera teatrale. «Voglio dire.. Questa è la mia sfida dello Shame? Essere circondata da un branco di idioti ed uscire sana di mente? No perché non credo di potercela fare..»



    Interagito con Jack e Alhena.


    Edited by dark phoenix. - 2/6/2019, 20:58
     
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    - Ho un nuovo amico
    - Vero o immaginario?
    - Immaginario


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    Trovarsi là era stato un colpo di scena perfino per lui e non perché oramai il suo nome echeggiasse nella mente di chi lo conosceva come uno spauracchio. Se non ti comporti bene, arriva Edric Sanders e ti porta via. Erano mesi che nessuno aveva più notizie del vecchio Sanders e con tutta probabilità avevano buttato la chiave del posto sperduto nel quale l'avevano rinchiuso o un overdose di psicofarmaci se l'era portato via. L'ultimo segno di vita risaliva a Natale: un origami - l'ultimo di una lunga serie - e un ricordo liquido e nulla più. Poi il nulla, finché un'entità sconosciuta l'aveva rievocato dalla tomba nella quale aveva scelto di marcire riportandolo nel mondo dei vivi. Non che se ne fosse allontanato completamente, Edric, tutt'altro: li aveva osservati con una costanza a dir poco maniacale. Li aveva osservati virtualmente, attraverso l'account fake che aveva costruito sui social e li aveva osservati a più riprese in pubblica piazza, ora ad una lezione ora nella biblioteca del campus ora in fila alla caffetteria. Aveva seguito Nathan fino alla loro casa e vi aveva trovato Judah e Fitz. Aveva seguito Fitz fino a Portland e vi aveva trovato Nathan, Thomas e loro. Chiunque avesse architettato tutto quello, non poteva che essere un loro. Inconsapevolmente, li aveva seguiti tutti fino a là, sul ciglio del baratro. Se soffiassi un po' più forte del normale respiro, potrei farvi cadere tutti. Sarebbe divertentissimo scoprire se morirei insieme a voi. Era immobile nella penombra del locale in ristrutturazione quando, uno ad uno, i suoi compagni di viaggio si unirono a lui; volti conosciuti come la vecchia fiammella di Nate, altri intuibili come il viso della Weasley e poi uno ben conosciuto. « Chi non muore si rivede. » Edric e Jack erano molto diversi dall'ultima volta in cui si erano visti, vestiti con i camici del Centro di Igiene Mentale, i visi emaciati alla clausura e dalla terapia e un vissuto che bruciava sotto la pelle. La terapia, Edric la seguiva ancora: era stato costretto ad imbottirsi di un cocktail giornaliero di Risperidone, Olanzapina, Mirtazapina e Alprazolam a lento rilascio, pena un nuovo ciclo di detenzione. Ma forse sono meglio i dissennatori di mia madre. Ciò nonostante, antipsicotici e benzodiazepine non avrebbero potuto fare il miracolo di farlo sembrare un ragazzo con le rotelle al loro posto. « Chi ti dice che non sia morto? » commentò senza alcuna alterazione della mimica facciale. Le medicine tenevano a bada la sua psiche galoppante ma, per contro, affievolivano in maniera drastica la sua capacità legilmantica, impedendogli di avere accesso alle emozioni della Lestrange. Senza di esse, Edric Sanders sembrava uno spaventapasseri lontano dal campo di grano, troppo alto e troppo magro per non destare quantomeno inquietudine. « Sei stato davvero maleducato. Niente lettere, niente visite.. credevo avessimo instaurato un certo legame io e te. Le persone sono sempre destinate a deluderci.. » Ed era vero, un legame lo avevano instaurato. Se fosse positivo o negativo, era un giudizio che andava oltre la sua volontà di comprendere. Su una cosa concordava con Jacqueline: le persone sono sempre destinate a deluderci. Edric aveva deluso così tante persone da aver perso il conto, come se fosse la sua unica ragione d'esistere. Deludere, se non di peggio. Facci l'abitudine, le avrebbe detto se avesse potuto accedere alla malizia che avvampava nel petto della Lestrange, senza la quale si limitò a fissarla senza aggiungere altro, prima di avvicinarsi al palcoscenico. Attirò subito la sua attenzione la serie di schermi che vedevano imprigionati moltissimi suoi conoscenti. Amunet Carrow era terrorizzata e il suo gemello Judah furioso. Si sporse verso due schermi in particolare, raffiguranti Fitzwilliam e Nathan verso i quali alzò la mano. Salutò il nulla. Ancora una volta, io vedo voi e voi non vedete me. Nella propria totale indifferenza, si lasciò perfino prendere a braccetto da una fin troppo esuberante Jacqueline, intenta a dar spettacolo. Era chiaro che qualcuno non aveva seguito con la dovuta attenzione la propria terapia: Edric ne fu invidioso. Aveva tentato di eluderla numerose volte, se quella stronza di sua madre non gli avesse ficcato le pastiglie in bocca lei stessa ogni sera alle otto in punto. Si trovavano intorno alla stazione di controllo quando una voce corrotta diede loro il benvenuto e spiegò le regole del gioco. « La Preside.. è morta? » Forse Edric era l'unico nella massa di coetanei a non frequentare più né la scuola né l'accademia, cosicché la notizia lo colpì a stento come un mero fatto di cronaca. Un fatto divertente. Il punto era che avrebbero dovuto puntare il dito contro uno - o più - dei topolini da laboratorio chiusi nelle loro gabbiette ermetiche. Una giuria. Finalmente Sanders si trovava al lato giusto del banco, là dove non sarebbe stato giudicato. « E ora vi sfido a darmi ancora una volta della pazza visionaria. Gira e rigira ogni volta che succede qualcosa, i nomi di questi qua ricompaiono sempre. Addirittura alcuni di loro sono pure Senior! Che scandalo. » Abbassò lo sguardo algido verso di lei, commento in maniera lapidaria un secco « Tu sei una pazza visionaria. » prima di godersi il bailamme che lo Shame aveva creato. Neanche cinque minuti erano passati e già il seme della discordia aveva preso a germogliare. Se ci fosse Lui, qui con me, riderebbe di gusto. Si ciberebbe delle vostre paure e riderebbe di voi.
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    Ma Edric Sanders oramai era solo, più solo di quanto non fosse mai stato. Senza Passeggero, senza amici, senza emozioni da divorare empaticamente. Il vuoto cosmico. Ignorò totalmente la mora perbenista che non aveva mai avuto modo di conoscere, ma lo colpì il commento della bionda con la puzza sotto il naso. « Ditemi, per caso non vorrete condannare Thomas, vero? Voglio dire, vorrei saperlo, altrimenti non perdo tempo a informarmi su di lui. » Thomas Montgomery era un confratello del Clavis, come tale uno dei pochissimi ad essere schermato da un attacco diretto di Edric. Non da quelli indiretti. « Perché no? Si è scampato ad un'espulsione due anni fa. Chissà se riuscirà a corrompere anche noi. » Difficile dire se dietro la totale monotonia del tono di voce dello spilungone ci fosse verità o menzogna. La biondina avrebbe potuto indagare nel fascicolo che si stava letteralmente divorando. Sempre che non stia guardando solo le figure. Non gli era sfuggito neppure il commento della Weasley, verso la quale inchiodò lo sguardo plumbeo. Aveva minacciato gravi conseguenze se Jacqueline avesse osato far del male ad uno dei suoi preziosi cugini ma, per esperienza personale, Edric non aveva mai amato le minacce a vuoto. Si avvicinò al monitor in cui era visibile Olympia Potter e, con una disinvoltura disarmante, esclamò a voce un po' più alta di prima: « Chissà a cosa serve questo grosso bottone rosso. » Senza esitazione, gli occhi freddi puntati su Dominique, lo premette.


    Interagito con Jacqueline, Ahlena e Dominique :3
     
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  7. Christopher Willhunting Winchest
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    L’amore fraterno è il più durevole; assomiglia a una pietra preziosa che resiste ai più duri metalli e il cui valore si accresce con gli anni.
    (Hector Carbonneau)



    Tutto ma non lei



    Crescendo senza una madre Will si è legato all’unica persona che lo ha sempre amato. Sebbene detesti quando gli piomba in camera di punto in bianco, quando lo lascia senza parole, quando non sente ragioni o chissà cos’altro. Nel profondo sa che tutti quei piccoli gesti della sorella sono per coinvolgerlo e tenerlo presente nella sua vita, è un segno di amore.

    Un giorno senza Abigayle è un giorno vuoto.


    Con lei ha condiviso otto mesi in uno spazio molto ristretto, ha condiviso parenti, genitori, casa , festeggiamenti, delusioni, catastrofi e segreti a tal punto che i fili della loro esistenza ormai sono così intrecciati che è impossibile separarli. Sono costretti a rimanere uniti per sempre portando con se un'unica certezza, la consapevolezza che fin quando avrà lei non potrà mai essere solo. Lei è la custode della sua identità, l’unica persona con accesso diretto alla sua illimitata e segreta conoscenza. Con lei non ha bisogno di parole, le basta uno sguardo per sentirsi a proprio agio, confortato, e sebbene le risposte alla affermazioni di Aby –“è inutile che lo neghi tanto lo farai perché mi vuoi bene”- sono sempre varie, c’è sempre quel momento in cui sbuffa alzando gli occhi al cielo per il suo egocentrismo, ed è proprio in quel momento che il suo cuore si scalda, perché cosciente del fatto che sebbene le parole “Ti Voglio Bene” non sono mai uscite dalle sue labbra, la sorella sa che è così. Ciò lo fa rasserenare, perché anche se il padre lo ha sempre considerato un fallito, in una cosa non ha mai sbagliato, fin da subito ha saputo essere un ottimo fratello.
    Senza di lei la sua infanzia sarebbe stata vuota, e il suo corpo probabilmente indenne, invece… basta guardare il gomito sinistro per notare una zona più rosea rispetto al resto della pelle. Segno rimasto da un piacevole ricordo di una litigata, quando Abigayle ha iniziato a inseguire il fratello con la padella delle uova. Quel giorno l’elfo domestico ha avuto un gran da fare per ripulire il tutto. Sebbene solitamente le litigate vengono ricordate come negative, non era il loro caso, per lui quelli erano i ricordi più belli della loro infanzia. Gli basta anche solo chiudere gli occhi per rivedere a rallentatore l’espressione del viso della sorella quando si è piazzato davanti la porta della sua stanza con la panna Spray impugnata come se fosse una pistola, il tutto solo perché lei a colazione gli aveva detto che era un maiale. Oppure gli bastava guardare Hogwarts per ricordarsi il suo primo giorno in quella scuola. Erano finiti dal direttore di casata nemmeno ventiquattro ore dopo aver varcato il cancello, solo perché mentre se ne stavano rilassati al lago Will ha deciso di infastidire la sorella tirandogli le foglie facendo degenerare il tutto quando hanno iniziato a tirarsi il fango. Neppure davanti ad un autorità hanno smesso di litigare.

    Tutta queste serie di eventi hanno fatto si che, una volta tornato in camera, incuriosito dal bigliettino che affiancava la collana della gemella, facesse calare un velo di oscurità sul suo universo quando vide nero su bianco che l’unica persona di cui non potrà mai fare a meno era nelle grinfie di uno sconosciuto.
    Quando prese il biglietto si immaginava un alto stupidata della sorella che gli permettesse di tornare a litigare tutti i giorni come se quanto successo non fosse mai accaduto. Nulla si poteva immaginare invece che fosse in pericolo. Quando lesse quelle parole si annullo, era disperato. Si lasciò cadere sulle ginocchia leggendo e rileggendo quel bigliettino sperando in uno stupido scherzo, ma nemmeno lei arriverebbe a tanto, non giocherebbe mai in questo modo, non sarebbe mai così sadica da indurlo al suicidio se solo avesse notizie negative nei suoi riguardi. Già il padre lo odiava, il sol pensiero di fallire nell’unica cosa di cui era segretamente orgoglioso lo rese ancora più devastato, perché fallire in questo era fallire per la vita.
    Seppur in confusione, cerco di fare mente locale per capire se era tutto uno scherzo o la verità. Controllo la calligrafia ma non è quella della gemella, chi aveva scritto quel biglietto e come fa a sapere che è disposto a tutto per lei? Per un attimo prese in considerazione l’ipotesi che fosse tutto vero e quando lo fece, sebbene non controllo quel pensiero, una vocina del suo subconscio disse ”Poveri rapitori”. Conosceva bene la parlantina di Abigayle e di certo niente poteva tenere a freno quella lingua a meno che non gettavano un incantesimo che gli impedisse di udire la sua voce penetrante. Alzò lo sguardo verso l’orologio per vedere se aveva modo di accertarsi se era tutta una falsa o la verità, ma era alle strette e sicuramente non aveva intenzione di saltare il calcio di mezzanotte. Velocemente recuperò il proprio catalizzatore e scrisse una veloce e-mail alla gemella.
    CITAZIONE
    Spero che stai bene…..

    Non ebbe modo di attendere il ronzio del cellulare come segno di una sua risposta che prese il ciondolo tra indice e pollice lasciandosi avvolgere dalla familiare sensazione di strattonamento che lo condusse… dove precisamente? Con la bacchetta alla mano e il ciondolo nell’altra iniziò a guardarsi in torno, ”dove è Aby?". Strinse il ciondolo un'altra volta prima di metterlo in tasca per evitare di perderlo consapevole del fatto che, se tutta questa storia fosse vera, se solo lo perdesse lei sarebbe capace di rimproverarlo per averlo perso.
    Accanto a lui vi erano altre persone, si guardò intorno notando che erano tutte facce note, ma niente Abigayle. Pronunciando un incantesimo non verbale una luce si spigionò dal proprio catalizzatore mentre avanzava verso gli schermi per controllare se fosse tra quei volti. Ma niente non era nemmeno lì. Che cosa stava succedendo? Non riconoscendo tra i volti nello schermo prese un sospiro, ”Lei non è nemmeno lì”. Guardando meglio gli schermi riconobbe Anna dai capelli rossi e Mister Propagandiere, ma davvero non capiva cosa potessero centrare loro con la sua gemella.
    Una ragazza accanto a lui non la smetteva di parlare, sicuramente sarebbe stata un ottima amica della gemella, e sebbene non la conoscesse la saggezza acquisita da anni di esperienza gli fece rispondere in modo sarcastico alla bionda ” Certo…”. La risposta data deve esserle piaciuta visto che poco dopo proseguì dicendogli che sarebbero potuti essere buoni amici. ” Credimi non vedo l’ora, sono Will e tu sei….”
    Improvvisamente una voce si diffuse su tutta la stanza che secondo un suo parere corrispondeva alla stessa persona del biglietto. Will non aveva la più pallida idea di chi fosse, ne perché l’avesse con lui a tal punto da prendere in ostaggio la sorella. Non gli importava delle altre vite, per lui sarebbero potuti morire tutti, ( non gli importava dell’etica morale) l’importante e che sua sorella sarebbe tornata al suo fianco sana e salva. Prima di poter fare ciò doveva capire che cosa stava succedendo.
    Continuò ad ascoltare le inutili chiacchiere alla ricerca di un indizio quando finalmente arrivo dalla rossa. SHAME.
    Aveva già sentito quel nome proprio dalla bocca di Beverley, diceva che era assurdo che palassero di persone come loro e non di lei. Tuttavia le voci gli avevano detto cosa accadeva quando si diventava vittima di quest’App per cui per essere aggiornata usava il suo cellulare. Will gettò gli occhi al cielo, la sorella gli aveva lanciato un altro tiro mancino. Se solo non fosse come è, lui non si ritroverebbe di notte in questo luogo deplorevole.
    Fu proprio in quel momento che capì che sua sorella era sicuramente nella sua camera con una maschera di bellezza sul viso aspettando che la notte rendesse raggiante il suo volto perfetto.

    Con lei al sicuro ritornò l’etica morale, e con un volto decisamente più rilassato iniziò ad occuparsi della questione. Fece mente locale delle nozioni base, la preside era morta ed era stato una delle persone intrappolate nello schermo.
    Il giovane Winchester non si era mai preoccupato di nessuno, ma provò a dare una propria opinione.
    ” Stento a crederlo ma sono d’accordo con la Scout." Disse riferendosi alla questione precedente dove rimproverava la ragazza che voleva essere sua amica. "Se devo fare una teoria io opterei per Anna. Ehm… volevo dire… Olimpia, ha tentato di uccidere anche me dandomi fuoco durante una lezione, quindi io inizierei con lei.” e così dicendo prese il suo dossier leggendo ogni segreto peccaminoso di quella persona.
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    Interagisco particolarmente con Jack‚ the ripper[/spoiler_tag]
     
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  8. icarus
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    Doveva ammettere di essere rimasto particolarmente colpito nel ricevere l'invito di nientemeno che lo Shame. Ovviamente aveva sentito parlare profusamente di quel fenomeno, ma non se ne era mai davvero interessato - così come non era nemmeno mai avvenuto il contrario. In fin dei conti Gabriel non doveva essere poi così interessante come papabile giocatore: la sua presenza sui social era inesistente, il suo curriculum pulito e il suo carattere poco propenso all'esibizionismo. Il giovane Blackfyre conduceva una vita pressoché abitudinaria, non dissimile da quella di qualunque altro suo coetaneo: non c'era forse divertimento, agli occhi dello Shame, nel giocare con lui. E a lui questo andava più che bene, dato che aveva immediatamente bollato quel fenomeno come una stupida perdita di tempo ed energie. Tuttavia non si era sottratto, quella sera, quando l'invito gli era stato recapito. Dalle parole poteva facilmente intuire che la persona in pericolo non fosse sua sorella - ma di rischiare la vita di qualche innocente non se la sentiva -, mentre sulla promessa di una soluzione alla natura dei Maledictus aveva assunto immediatamente una posizione di scetticismo. Era piuttosto evidente che si trattasse di una maniera poco elegante di far leva su ciò a cui tenesse. Sottili come un baobab - era stato il suo immediato pensiero, nel sollevare un sopracciglio a quelle parole e schioccare la lingua sul palato con aria decisamente poco impressionata. Tuttavia c'era pur sempre un cinquanta e cinquanta di possibilità che qualcuno si trovasse davvero in pericolo e dunque, nel dubbio, decise di non tirare la monetina sulla vita di quella fantomatica persona, spinto anche dalla curiosità di capire cosa lo Shame volesse da lui. Toccata dunque la passaporta all'orario prestabilito, lui e il suo fedele falco si trovarono catapultati in uno squallido ambiente in via di costruzione, in compagnia di una manciata di persone - chi noto e chi meno. Riservò un cenno di saluto a Will e alla propria coinquilina, posando lo sguardo sul ragazzo al suo fianco per un breve istante. Edric Sanders. Ovviamente sapeva chi fosse: le dicerie su di lui si erano sparse in lungo e in largo da che ne aveva memoria. "Ommioddio..ha intrappolato tutta la casta." Non rispose, limitandosi a sollevare le sopracciglia e stirare un sorriso affettato prima di convogliare la propria attenzione sui monitor disposti di fronte a loro, facendo un breve appello mentale delle facce impresse su di essi. A questo punto immagino che la persona cui si riferisse sia Olympia. Guardò il pulsante accanto al nome dell'amica, interrogandosi sulla sua funzione ma deciso a non premerlo fino a quando non avrebbero ricevuto una spiegazione. Tuttavia ci pensò Jacqueline a fare la mossa avventata, scagliandosi come un avvoltoio sul pulsante relativo a Nate. Tese l'orecchio, Gabriel, ascoltando ciò che la ragazza aveva da dire e un'eventuale risposta da parte del cugino. Nulla. "Anche quando entrambi siamo sullo stesso piano, lui continua a trattarmi come se fossi una semplice bastarda. IO! Con il pedigree che mi ritrovo.. seriamente non riesco a trovare un'altra spiegazione a questo suo comportamento se non che sia estremamente invidioso. Non sei d'accordo anche tu? " Sospirò, scansandola delicatamente dalla postazione per premere lui stesso sul pulsante. Non disse nulla, rimanendo in ascolto di ciò che sembrava semplicemente un vuoto. Lo spense. Lo riaccese. "Nathaniel, mi senti?" Nulla. Spense. Riaccese. Spense di nuovo. Fatto ciò, si voltò verso Jack. "Credo che noi possiamo sentire loro ma non viceversa. Quando lo accendi si sente una sorta di fischio, e il rumore dei suoi movimenti. Ma quando parli non dà alcun segno di reazione. E dubito che uno qualunque di loro - ammesso e non concesso che siano davvero lì - sprecherebbe la propria possibilità di salvezza per una ripicca sterile." Tuttavia le loro chiacchiere vennero presto tagliate dalla voce di quello che supponeva essere il famoso Shame di cui tutti parlavano. Tante parole ma una semplice istruzione: scegliere chi buttare sotto al bus tra quegli ignari attori del proprio Truman Show. Nell'udire tutto ciò che la voce aveva da dire, Gabriel non si scompose di un millimetro, limitandosi a sospirare una volta concluso il messaggio e a prendere subito un fascicolo a caso dal mazzo. Sirius Potter. Sollevò un sopracciglio. Lo sterminatore di presidi. Vabbè..tanto che ci siamo mettiamoci pure Babbo Natale nel mucchio, no? Prese quindi posto sulla sedia più prossima, ascoltando solo relativamente il vivace battibecco che si mise subito in moto tra i presenti senza intervenire, come fossero una sorta di musica da ascensore in sottofondo ai propri pensieri. "Se devo fare una teoria io opterei per Anna. Ehm… volevo dire… Olimpia, ha tentato di uccidere anche me dandomi fuoco durante una lezione, quindi io inizierei con lei." A quelle parole sollevò lo sguardo dal fascicolo, rimanendo tuttavia compostamente seduto sulla propria sedia. "Non per fare il guastafeste di turno in questa vivida sessione di Cluedo, ma mi viene un po' da sorridere all'idea di prendere seriamente in considerazione l'ipotesi che uno di questi possa aver fatto fuori la preside." Rivolse lo sguardo ai monitor, indicandoli ai presenti con un cenno del capo per poi decidersi a chiudere il fascicolo di Sirius, gettandolo tra gli altri e alzandosi dalla sedia. Si avvicinò ai vari schermi, indicando quello in cui Beatrice Morgenstern giaceva a metà tra la vita e la morte. "Certo, sicuramente lei è la sospettata più evidente, avendo già ucciso Kingsley. Ma paragonare lui all'attuale - o forse è meglio dire ex - preside è come mettere a confronto mele e arance. Tutti gli altri, a mio parere, non ne sarebbero stati capaci - o comunque non avrebbero avuto una ragione per farlo. Quindi propendo a dare per scontato che nessuna di queste persone sia davvero colpevole." Detto ciò si voltò verso gli altri. "Non per aggiungere pressione su pressione, ma vorrei fosse chiaro almeno tra noi che questo, quasi sicuramente, non è un gioco al trova la risposta esatta. Non stiamo facendo giustizia. Stiamo solo scegliendo un capro espiatorio." Si strinse nelle spalle. "Supposizione. Liberi di prenderla con le pinze."
    Citati Will, Edric, Nate, Olympia. Interagito con Jack e un po' con tutti.




     
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    L’orologio digitale sopra al comodino segnava le 23:55 mentre, seduta sul bordo del letto, Juniper si rigirava nervosamente la lettera tra le mani. Aveva lo sguardo fisso sulla Firebolt come se, da un momento all’altro, il manico di scopa potesse prendere fuoco. Nella sua mente si ripetevano le parole contenute nella missiva; l’aveva letta e riletta almeno un centinaio di volte domandandosi perché, d’improvviso, chiunque si celasse dietro lo Shame avesse deciso di interessarsi proprio a lei. E, soprattutto, per quale motivo avrebbe dovuto concederle un simile vantaggio. Quando il diavolo ti accarezza, vuole l'anima. Sua madre glielo aveva ripetuto spesso, da bambina. Esitò, mordendosi il labbro inferiore. Forse sarebbe stato più saggio lasciar perdere, forse… Lanciò uno sguardo veloce all’orologio, dove i minuti scorrevano velocemente. Troppo velocemente. Sospirò. Anche se avesse ignorato l’invito, era certa che lo Shame non avrebbe accettato passivamente un suo rifiuto. Da quel che aveva sentito dire, era una personcina piuttosto rancorosa. Appallottolò la lettera, in un moto di rabbia, e la scagliò oltre il letto. Con lo sguardo fisso sui minuti, allungò una mano a toccare il manico di scopa nell’esatto momento in cui scoccò la mezzanotte. Immediatamente, la stanza iniziò a vorticare velocemente, accompagnata dalla sensazione di fastidio all’altezza dello stomaco. Nel giro di qualche secondo era tutto finito e June atterrò con un tonfo su un ammasso di lenzuola impolverate. Tossì, soffocata dalla polvere e dall’intenso odore di vernice, muovendo le mani davanti al viso per scacciare le particelle. Quando finalmente riuscì a respirare normalmente, la gola le bruciava. « Cosa diavolo… » Balbettò, con voce roca, quando un lampo di luce la accecò momentaneamente, ancor prima che i suoi occhi potessero abituarsi all’oscurità dell’ambiente. Portò le mani davanti al viso, battendo freneticamente le palpebre. « Dove siamo finiti? » Domandò, scostando le mani e scorgendo qualche volto familiare. Si alzò, sfregando le mani sui vestiti per togliersi di dosso parte della polvere, mentre i primi commenti provenivano dal resto dei presenti. June li ignorò, guardandosi attorno: lenzuola e teli di plastica coprivano buona parte dell’ambiente mentre, accatastati in vari angoli, facevano bella mostra di sé secchi di vernice, assi di legno ed attrezzi da lavoro. L’odore di vernice e composti chimici era talmente intenso da risultare quasi nauseante e, lasciando scorrere lo sguardo lungo le pareti, June si rese conto che quel luogo le era familiare. Corrugò la fronte, impiegando qualche secondo per ricondurlo al ricordo del Pandemonium. Era passato parecchio tempo dall’ultima volta che vi aveva messo piede, anni prima, eppure ricordava che vi fossero diverse uscite. Si avvicinò al muro, tastando il punto in cui ricordava un passaggio che conduceva all’esterno, ma la parete sotto le sue dita era solida e compatta come il resto dei muri che li circondava. « Ommioddio… ha intrappolato tutta la casta. » Si bloccò , udendo il tono meravigliato di Jacquiline Lestrange e, voltandosi verso il punto in cui si trovava la Corvonero, vide ciò a cui la ragazza si stava riferendo. Una serie di monitor illuminava l’ambiente mentre, poco distante, su un tavolo ricoperto di fascicoli, spiccavano due pc. Mentre la Lestrange era intenta a imprecare contro il cugino, Juniper si avvicinò alla postazione, osservando i nomi sui fascicoli, le foto posizionate accanto ai bottoni. Impallidì appena, il cuore che mancava un battito nel riconoscervi persone a lei care. Alzò lo sguardo verso gli schermi, il panico che iniziava a farsi strada dentro di lei, accompagnato dal terribile presentimento che, di lì a poco, non sarebbe successo nulla di buono. « Benvenuti! Non credo ci sia bisogno di presentazioni: se siete qui è perché, ad un banale Sabato, avete scelto l’alternativa, il divertimento, l’opportunità. Permettetemi di dire che avete fatto la scelta giusta: probabilmente siete i soli ad averla fatta stanotte. Ma non bruciamo le tappe. Avvicinatevi amici, non abbiate paura! Ciò che vi offro stasera è un posto alla regia, un’angolazione privilegiata da cui poter guardare il marcio che vi circonda. [...] » I presenti ammutolirono, mentre una voce metallica e distorta dava loro il benvenuto, spiegando i dettagli di quel gioco perverso. « Mettetevi comodi perché sarà una lunga notte. Avete un’ora. Fra un’ora, inizieranno a morire e sarà lo spettacolo più lento che abbiate mai visto. Mettetevi comodi e fate la vostra scelta. » Un fischio acuto e lontano rimbombò nelle orecchie di June. Sicuramente aveva capito male. Doveva aver capito male. « La Preside.. è morta? » Come un automa, si volse in direzione della Senior di Corvonero, l’espressione ancora vacua sul viso, quasi stesse tentando di aggrapparsi alla confortante illusione che si trattasse di un incubo e che, se si fosse ribellata abbastanza, sarebbe riuscita a svegliarsi. « E ora vi sfido a darmi ancora una volta della pazza visionaria. Gira e rigira ogni volta che succede qualcosa, i nomi di questi qua ricompaiono sempre. Addirittura alcuni di loro sono pure Senior! Che scandalo. » Ignorando momentaneamente la Lestrange, Juniper riportò lo sguardo sugli schermi. Un groppo le strinse la gola, il panico che minacciava di sopraffarla completamente. Avrebbero dovuto scegliere un colpevole… ma come avrebbe potuto scegliere? Come avrebbe potuto decidere chi salvare e chi no? Deglutì a fatica, lo sguardo che saettava come impazzito tra i diversi monitor: Olympia e Fawn, le sue migliori amiche, le sue anime gemelle, Judah e Mun, i suoi cugini, Sam, che nel giro di pochi mesi era passato dall’essere un semplice compagno di squadra al varcare il confine dell’amicizia, e persino Malia Stone nei confronti della quale, nonostante fossero poco più che conoscenti, June nutriva un sentimento di mutua lealtà. E gli altri… non riusciva a credere che qualcuno fra loro potesse davvero aver commesso un omicidio. E, se anche fosse, nell’ergersi a giuria ed esprimere una sentenza di morte, le loro mani non si sarebbero sporcate di sangue allo stesso modo? « Mi pare chiaro che dobbiamo fare come ci è stato chiesto.. non vorremmo mica avere sulla coscienza le vite di tutti loro. » Involontariamente, Jacquiline Lestrange le ricordò il motivo per cui avrebbero dovuto fare una scelta. June si conficcò le unghie nel palmo della mano, obbligandosi a mantenere la calma. Il dolore la aiutò a schiarirsi la mente, permettendole di recuperare un briciolo di lucidità nello stesso momento in cui, irritate dalle parole della Corvonero, un paio di ragazze le risposero a tono. « Ti avverto. Se farai anche solo un movimento che possa arrecare danno ad uno dei miei cugini ci saranno delle gravi conseguenze... » Dominique Weasley diede sfogo alla propria frustrazione, a pochi centimetri di distanza dal viso della Lestrange. In un’altra occasione, June avrebbe provato un’improvvisa ed immediata simpatia nei suoi confronti ma, in quel momento, provò una piccola sensazione di sollievo. Tutto era ancora possibile ma, se non altro, non sarebbe stata l’unica a difendere Olympia. Approfittò del caos scatenato dalla domanda di una bionda circa Montgomery per fare mentalmente il punto della situazione. Fra i presenti, le persone su cui riteneva di poter contare erano ben poche: Dominique Weasley, per ovvi motivi, aveva chiaramente a cuore la sorte dei suoi cugini, ma il resto? Gli occhi di June si posarono sulla figura pallida di Randy Blackwater, come se avesse notato la sua presenza solo in quel momento. Ricordava che era un amico di Albus Potter e, probabilmente, di Amunet ma, quando i loro sguardi si incrociarono, June spostò il proprio verso i monitor, cercando silenziosamente di intuire dove risiedesse la lealtà del Serpeverde. Poco distante, lo sguardo fisso sul battibecco in corso, la figura di Cassiopea Partridge era quasi in penombra. Lei e June non andavano particolarmente d’accordo – il rigoroso stile di vita della Corvonero era sin troppo rigido - ma era una delle coinquiline di Fawn e, per lo meno, le sembrava dotata di maggior buonsenso di quello mostrato sino a quel momento da parte dei presenti. « Chissà a cosa serve questo grosso bottone rosso. » Il ragazzo alto e magro che la Lestrange aveva preso a braccetto attirò l’attenzione generale, giusto in tempo affinchè Juniper lo vedesse premere il pulsante rosso accanto alla foto di Olympia. Si mosse senza nemmeno rendersene conto, coprendo la distanza che li separava e fermandosi davanti a lui, le punte dei piedi che quasi si sfioravano ed il corpo rigido, teso verso l’alto. « Io non lo farei di nuovo se fossi in te. » Sentenziò, fissandolo diritto negli occhi, il viso improvvisamente privo di qualunque emozione. Non aveva sfoderato la bacchetta, non ne aveva bisogno. A dispetto dell’evidente differenza di altezza – una cosa che dall’esterno sarebbe parsa persino divertente, forse, in un’altra occasione – Juniper avrebbe reagito, se necessario – e la vita di Olympia ricadeva esattamente sotto quella voce. « Stento a crederlo ma sono d’accordo con la Scout. Se devo fare una teoria io opterei per Anna. Ehm… volevo dire… Olimpia, ha tentato di uccidere anche me dandomi fuoco durante una lezione, quindi io inizierei con lei. » Il ragazzo che poco prima aveva scambiato qualche parola con la Lestrange pescò il fascicolo di Olympia da quelli disposti sul tavolo, iniziando a leggerlo. « Non così in fretta, Sherlock. » Lo ammonì June, avvicinandosi e afferrando il fascicolo, pronta a sfilarglielo di mano. « Senza offesa, ma qui stiamo parlando dello Shame, non di una partita a Monopoli. Sulle tue teorie non scommetterei nemmeno la vita di un pesce rosso. » “Figurarsi quella di Olympia.” Pensò, indietreggiando con il fascicolo saldamente stretto tra le mani. Forse a causa del suo carattere estroverso, le persone tendevano a dimenticarsi spesso della sua ascendenza. Troppo spesso, evidentemente. « Non per fare il guastafeste di turno in questa vivida sessione di Cluedo, ma mi viene un po' da sorridere all'idea di prendere seriamente in considerazione l'ipotesi che uno di questi possa aver fatto fuori la preside. » La voce maschile proveniente da un angolo del tavolo la spinse a voltarsi, seguendo con lo sguardo il loro nuovo interlocutore. « Certo, sicuramente lei è la sospettata più evidente, avendo già ucciso Kingsley. Ma paragonare lui all'attuale - o forse è meglio dire ex - preside è come mettere a confronto mele e arance. Tutti gli altri, a mio parere, non ne sarebbero stati capaci - o comunque non avrebbero avuto una ragione per farlo. Quindi propendo a dare per scontato che nessuna di queste persone sia davvero colpevole. Non per aggiungere pressione su pressione, ma vorrei fosse chiaro almeno tra noi che questo, quasi sicuramente, non è un gioco al trova la risposta esatta. Non stiamo facendo giustizia. Stiamo solo scegliendo un capro espiatorio. […] » June sospirò silenziosamente. Quel pensiero era balenato in testa anche a lei ma, quasi fosse in grado di prevedere le loro mosse, la voce dello Shame aveva ribadito chiaramente che dovevano prendere una decisione e, se non l’avessero fatto allo scadere del tempo loro concesso, i prigionieri avrebbero iniziato a morire lentamente, uno per uno. « Credo tu abbia ragione. » Ammise, con tono tutt’altro che allegro. « Tuttavia ciò non toglie che dovremo… fare qualcosa per evitare che muoiano tutti. A meno che qualcuno di voi non abbia una brillante idea su come riuscire a liberarli e ad uscire da qui. » Aggiunse, avvicinandosi al tavolo. Ripescò il fascicolo di Fawn e lo avvicinò a sé, quindi si lasciò cadere su una sedia. Di nuovo , cercò con lo sguardo la Partridge, facendole un vago cenno per indicare la sedia al suo fianco. Aveva già in mano il fascicolo di Olympia e non poteva leggere al contempo anche quello di Fawn. Le serviva qualcuno di cui potersi fidare abbastanza da affidarglielo. Almeno per il momento. Rialzò lo sguardo verso i monitor, osservando i visi di coloro che, seppur momentaneamente, aveva lasciato in balìa dei presenti. Il senso di colpa quasi la soffocò. Deglutì, senza riuscire ad allentare il nodo che aveva in gola, ed aprì il fascicolo di Olympia. Era certa che nessuno dei suoi cari avesse ucciso la Preside e propendeva per la teoria che lo Shame avesse inventato tutto solo per divertirsi nel vederli scannarsi e tormentarsi per scegliere un colpevole ma, se quei fascicoli contenevano dettagli ambigui, avrebbe dovuto esserne a conoscenza per poterli difendere nel migliore dei modi. Per il momento, almeno, non poteva fare altro.


    [spoiler_tag][/spoiler_tag]Interagito con:
    Edric Sanders
    Will Winchester
    Gabriel Blackfyre
    Cassiopea Partridge (nel finale)
    un po' tutti

    chiedo scusa per la bitchyness ❤️


    Edited by murphylaw‚ - 15/6/2019, 02:30
     
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    Le lame sfrecciano nell'acqua alla cieca. Un colpo di troppo è tutto ciò che serve affinché il tempo si fermi. Gli occhi di Beatrice si sgrano di colpo mentre in risposta al suo veemente colpire a destra e manca, gli artigli della creatura sfrecciano con la stessa incisività contro le sue carni. Il respiro mozzato per un solo istante. Un solo istante che si mischia sotto il tiro mancino dell'adrenalina che la spinge ad andare avanti finché di colpo non si ritrova a nuotare verso la riva. A breve farà male. Molto male. Lo sa. Un braccio stretto attorno all'addome, mentre segue in automatico la direzione indicatale da Sam. La sua mente sembra essersi svuotata. Non c'è niente lì; non quanto appena successo, non la realizzazione di aver perso la persona amata. Non ci sono i soliti muri eretti cautamente per difendersi di fronte a una minaccia. Niente. Il nulla cosmico. Solo un muoversi per inerzia finché le ginocchia non toccano finalmente terra, sdraiandosi di conseguenza sul terreno sdrucciolevole. Una boccetta atterra al suo cospetto, ma Tris sembra ignorarla mentre si stringe il fianco sotto la camicia inzuppata di sangue, osservando il cielo scuro, come persa in un universo altro. « Tris.. Percy non c'era. Non era lì sotto, deve essere da qualche altra parte. Ed è vivo. » Uno sbuffo che ha tutta l'aria di una risata sarcastica fuoriesce dalle labbra livide di lei mentre lo ascolta. Oh ti prego, Sam, dimmi di più. « Lei gioca con la tua mente, perché sei testarda e ribelle. Devi piegarti. E' più grande di te, devi accettarlo. Devi mettere da parte il tuo orgoglio e devi stare al suo gioco, alle sue regole. Lo devi fare per Percy. Qualsiasi cosa ci dirà di fare, da ora in poi, noi la faremo. Così come ci dice di fare. Perché lei ha Percy e la tua testardaggine non vale la sua vita. » In tutta risposta volge lo sguardo di fuoco in direzione del ragazzo. Malia accanto a lui ancora addormentata. Una parte di lei è sollevata nel vedere la migliore amica salva. Deve essere vista da qualcuno in infermeria il prima possibile. Le sue sinapsi sembrano percepire quell'emergenza, ma la priorità e l'emergenza delle parole che Sam le ha rivolto, sembrano sortire l'effetto contrario a quello desiderato. Si mette a sedere; il sangue sgorga. Ora ricorda. Ha tranciato di netto uno degli arti della maride che la impriggionava e in tutta risposta, colta dalla rabbia, l'altro arto ancora intatto si è precipitato contro l'addome di lei, sezionando di netto le carne della lupa bianca. Ora quella ferita brucia, fa male. Inizia a percepirne la gravità a contatto con la camicia zuppa che s'incolla contro gli squarci netti. Il tessuto ormai sporco di rosso e di fango. Ha altri tagli, sulle braccia, sul viso, forse sulla schiena, ma nessuno sembra così importante come quello che sostiene col braccio sinistro forse in un tentativo inutile di contenere l'emorragia. Man mano che l'adrenalina verrà meno, sa già che starà sempre peggio. E una semplice boccetta di dittamo non sarà altro che un cerottino minuscolo su uno squarcio spropositato. « Oh ma davvero! » Asserisce spazientita. È fuori di sé. « Scommetto che se su quella barca avessimo trovato lui, l'avresti pensata allo stesso modo. » Abbi almeno la decenza di non prendermi per il culo. È certa che Sam si sia sentito sollevato. Anche Tris si è sentita sollevata nel rivedere Malia. E' solo che dopo il sollievo, è arrivato qualcos'altro. Il terrore. Ecco cosa ha provato. Il terrore che la salvezza di uno significava la perdizione di un altro. « Avresti reagito nella stessa maniera vero? Fai quello che ti dice, Tris, perchè Malia presumibilmente potrebbe essere morta, ma forse non lo è, visto che il suo cellulare è spento e nessuno la vede da boh.. quanto?- tu nel dubbio piegati Tris. Ma vaffanculo! Abbi almeno la decenza di non essere ipocrita. » Si alza a stento in piedi puntandogli il dito contro. « Dov'è Sam? Eh? Dov'è. Se è vivo perché non me lo fa vedere? Perché non è da nessuna parte? » Una fitta si insinua in tutto il corpo di lei ma non si ferma. « Cosa hai pensato mentre remavi? Fa che non sia lei.. Hai sperato che a essere morto fosse lui, fottuto bastardo. » Io ti odio. Vi odio tutti. [...] Tutte quelle cose Tris le ha dette. Le ha dette o le ha pensate. Non è certa a quel punto di cosa sia vero e cosa non lo sia. Non sa nemmeno se credere alla parabola della morte di Percy. Un cadavere, Tris non l'ha visto. Sam potrebbe avere ragione. Percy potrebbe essere da qualche parte. Oppure no. Forse si è addirittura approfittata di una qualche villeggiatura del ragazzo per farlo passare per morto. Ma Percy a casa di Nathan c'era davvero fino a poche ore prima. Ha lasciato le sue cose in disordine senza nemmeno premurarsi di raccogliere l'immancabile pacchetto di sigarette che aveva sempre appresso. Di una cosa era certa: Percy era troppo maniacale per iniziare un nuovo pacchetto quando un'altro non era terminato. Piccole minuzie che agli occhi di Tris avevano l'aria di un mastodontico puzzle che portava pressoché a un'ipotesi ben precisa. Se era vivo, non stava bene, se non lo era, Percy non c'era più. E per quanto volesse illudersi, darsi speranze, Tris, una persona positiva non lo è mai stata. Di tutto, ha sempre pensato il peggio, quasi per paura che la vita potesse deluderla. Per quanto insomma credere che ci fosse ancora era la cosa più sensata, scoprire in seguito il contrario sarebbe stato mille volte peggio.

    Il sangue sgorga dalla ferita quando si risveglia. È immobilizzata, al buio, in una stanzetta che riesce a misurare a malapena. È piccola e fredda e non sembra ci sia alcuna via d'uscita, nessuna finestra, niente grate. Si chiede per un istante come sia possibile respirare in quel posto. È stordita, la testa le gira a tal punto che non le è difficile immaginare che ha perso molto sangue. Ora se ne pente di non aver utilizzato quella fiala di dittamo. Sam ha avuto un'ottima intuizione nell'estrarla dal baule, ma è risultata comunque una scelta inutile considerata la caparbietà della Morgenstern.
    O0BHexD
    Sta ridendo; una risata amara che sembrava essere sul punto di trasformarsi in un pianto isterico. Lentamente ogni ipotesi e supposizione sembrano tornarle in mente. Ora ricorda. Ricorda chiaramente e l'idea che tutto ciò che ha sperimentato e ha visto quella sera possa essere reale, la fa sentire quasi fortunata di essere lì. Lontana dal mondo, dalla realtà, dalla possibilità di verificare empiricamente quanto le è stato raccontato o fatto credere. Lo Shame non mente mai però. Quella è una cosa che le è stata fatta notare più e più volte. Al massimo manipola la realtà, ma non ha mai detto aperte falsità. « Te la stai giocando bene. » Asserisce ad un certo punto dopo un tempo infinitamente lungo in cui è rimasta lì quasi impassibile, cercando di reprimere il pianto funebre che cercava di penetrare la personalità austera di Beatrice Morgenstern. « Te la stai giocando benissimo. Spero che tu lo faccia fino alla fine. Lo sai da te che semmai dovessi sopravvivere, quella morta sei tu. Quella, quello, quelli.. non importa chi sei o cosa.. quanti siete o dove vi nascondete. Se è vero.. non hai scampo. » Pausa. O tu o io. Entrambi sulla faccia della terra non ci resteremo. « Spero vivamente per te che tu non sia così stupida e patetica da lasciarmi vivere, perché ormai dovresti saperlo: con me una vita vale solo una vita. » E questa non è una vita qualsiasi. Deglutisce, tossicchia e infine sputa sangue. Nonostante sia a malapena in grado di sorreggersi la testa, non demorde. Affilate e velenose quelle parole sfrecciano nel buio con una precisione chirurgica. Un kamikaze in piena rotta di collisione. Non ha bisogno d'altronde di celare le sue intenzioni.. Tris, con i sotterfugi non è mai stata brava. « Se davvero lui non c'è più, stasera devi finire entrambi, perché altrimenti tu morirai. E qualunque sia stata la sua fine, tu soffrirai cento volte tante. Morirai sola come un cane, implorando di non aver mai torto nemmeno un capello di Percy Watson, o dei miei amici. » Ride ancora, ma assieme alla risata arrivano le lacrime. La realizzazione finale che non solo lui potrebbe essere morto, ma che anche lei potrebbe dire addio alla vita. Tris non ha mai pensato di temere la morte, eppure, in quel momento, mentre il sangue scorre inzuppando la sua camicia, inizia a realizzare che da lì dentro potrebbe davvero non uscire. Non pensava di morire così; morire giovane l'ha sempre prospettato, ma sperava fosse almeno in battaglia. Una morte rapida e dignitosa, lottando per un ideale. E invece sto per morire come l'ultima stronza, piegata da una mano invisibile che gioca coi tredicenni e cerca di creare caos a tutti i costi. Una fine tutto fuorché valorosa. Una fine inutile, come inutile risultava ormai il suo destino da un anno a questa parte.

    Vbb non ho interagito con nessuno per ovvie ragioni. Fate delle sue parole ciò che volete.



     
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    Aveva già creduto di aver perso Jessie una volta, per andare a rischiare di vederselo svanire di nuovo, sotto gli occhi. Questa volta però, non c'è nessun Lockdown, nessun demorgone, ma solo un gioco estremamente sadico, un qualcosa che riesce a mettere perfettamente a disagio il giovane Grindelwald, tanto da renderlo irrequieto. Manda un messaggio di buonanotte a Zura, come è solito fare, prima di sprofondare a letto, ma non è quello che fa, questa volta. Osserva da lontano la mirrorless che lo Shame ha poggiato sulla sua scrivania. Mancano due minuti all'orario indicato nella lettera e, in quegli istanti che gli appaiono delle ore interminabili, si ritrova a chiedersi perché proprio lui. Ha sempre cercato di rimanere in disparte, di non dare nell'occhio, per non cadere nella trappola di quel gioco. Ma alla fine, probabilmente, Seb crede di poter tornare utile allo Shame, dato il suo interessamento. Per questo, forse, un po' per tenere alla larga suo fratello da tutto questo, un po' per curiosità, sfiora la macchinetta alle 23.58 e subito una forte nausea gli risale lo stomaco, mentre viene risucchiato dalla Passaporta. E' la prima volta che ne usa una, per questo il senso di disorientamento è la sensazione che anima tutto il suo corpo, nel mentre che si ritrova a viaggiare tra colori sbiaditi e immagini altrettanto sfocati. Capisce di essere arrivato a destinazione solo quando non si ritrova con la faccia spiaccicata contro un pavimento freddo. Intontito e dal colorito pallido, data la centrifuga che si ritrova al posto dell'apparato digerente, in quel momento, si mette a sedere a fatica. Aspetta qualche secondo, mentre alcune voci si materializzano intorno a lui. Mette a fuoco lentamente il posto, alzandosi in piedi, appoggiandosi ad una sedia lì vicino, per farsi leva. E' nella sala principale del Pandemonium, questo è certo. I forti odori di materiali chimici gli pizzicano il naso, tanto da costringerlo a grattarlo, con insistenza. E' tutto sotto ristrutturazione. Le tende di nylon scendono a coprire le pareti, mentre di fronte ai suoi occhi compare un palco, sul quale è stata montata una postazione degna della cabina di pilotaggio dell'Enterprise di Stark Trek. Ma la sua attenzione viene colta immediatamente da una chioma bionda, poco più in là. Le si fa più vicino, carezzandole il braccio con il dorso della mano, suo consueto gesto. « Pensavo fossi a casa, a dormire.. » Le sussurra all'orecchio, con un tono che vorrebbe essere sarcastico, ma che esce fuori come un qualcosa di terribilmente amaro e distante. Le fa un giro intorno, per ritrovarsela di fronte. Si abbassa a darle un bacio sulla guancia, in modo affettuoso. « Sai per caso perché siamo qui? » Sussurra al suo orecchio, guardandosi intorno. Riconosce qualche volto. C'è Randy, a cui rivolge un mezzo sorriso, c'è l'amabile Cassandra a cui lancia un'occhiata, stringendo le labbra, a mo' di saluto. I suoi occhi bicolore puntano verso la lavagnetta, dove ci sono scritti una marea di nomi. C'è anche quello di Fawn. Sta per chiedere qualcos'altro a Zura, quando una voce leggermente metallica irrompe nella sala, diventando protagonista di quello che è certo sarà uno spettacolo costruito ad hoc. "Benvenuti! Non credo ci sia bisogno di presentazioni: se siete qui è perché, ad un banale Sabato, avete scelto l’alternativa, il divertimento, l’opportunità. Permettetemi di dire che avete fatto la scelta giusta: probabilmente siete i soli ad averla fatta stanotte. Ma non bruciamo le tappe. Avvicinatevi amici, non abbiate paura! Ciò che vi offro stasera è un posto alla regia, un’angolazione privilegiata da cui poter guardare il marcio che vi circonda. Nella fattispecie, il marcio si trova di fronte a voi, separato da uno schermo. Vedete quella variegata fauna umana, chiusa nelle loro piccole gabbie? Non fatevi ingannare dalle apparenze, sono tutti peccatori. Tutti, nessuno escluso. [...] Presto detto: la vostra preside è morta e uno di loro l’ha uccisa. Potete credermi, io non mento mai. Non ho bisogno di mentire, dopotutto: la verità è molto più affilata e penetrante di una vile menzogna. Vi dirò allora una seconda verità: stanotte dovrete decidere chi secondo voi ha ucciso la Preside o moriranno tutti, uno dopo l’altro, nessuno escluso. [...] Mettetevi comodi perché sarà una lunga notte. Avete un’ora. Fra un’ora, inizieranno a morire e sarà lo spettacolo più lento che abbiate mai visto. Mettetevi comodi e fate la vostra scelta." Rimane a bocca aperta, mentre, irrimediabilmente, si avvicina al palco, lì dove ci sono gli schermi. Riconosce all'istante Fawn, da sola, in una camera semibuia. E' provata, ha il viso distorto dal dolore. Cerca allora una specie di altoparlante, nei dintorni dello schermo, per poterci comunicare. Ma ha ragione un ragazzo di cui non conosce il nome: pigiando i bottoni rossi ai lati di quei televisori, non possono far altro che sentire i prigionieri e non il contrario. Sono completamente isolati. Sfiora la figura della mora, con i polpastrelli, mentre il groppo in gola si va appesantendo. « A che gioco sta giocando? » Sussurra tra sé e sé, voltandosi poi a guardare Zura. Legge nei suoi occhi apprensione, spavento..timore. Segue il suo sguardo e gli occhi si fermano sullo schermo di Nate Douglas. Fa una smorfia, indecifrabile, prima che il putiferio si scateni intorno a loro. C'è la Lestrange, che non sembra avercele tutte a posto, che si frappone contro Dominique Weasley, Sanders che si mette in mezzo e ha già il mezzo presentimento di come andrà a finire. E prende la palla al balzo, forse anche per cercare di allontanarsi dalla sensazione di disagio che è nata in lui nel cogliere l'ansia di Azura. Così, senza dire una parola, scivola in direzione della rossa, prendendola sotto il braccio, delicatamente. « Non ne vale la pena. » Le sussurra, allontanandola dai due, per muoversi all'indietro. Li ha visti, quei due, un paio di volte, da dietro il possente vetro di quella stanza ricreativa del CIM. Quando andava a trovare suo fratello, loro era spesso lì, insieme, confabulanti, misteriosi e pieni di segreti. Due dai quali è meglio stare alla larga, poco ma sicuro. « E' meglio non perdere le staffe e cercare di collaborare per salvarli tutti. » I suoi occhi incontrano quelli di lei, con un sorriso mesto che vorrebbero confortarla. Guarda tra i vari fascicoli, alla ricerca di quello di Fawn e, non trovandolo subito, prende quello di Fitz, come a volerlo salvare dalle grinfie di quei due. « Sebastian, comunque. » Sorride alla rossa, che ha incrociato più volte, essendo dello stesso anno, ma con la quale non ha mai davvero parlato. Ascolta in silenzio le parole del ragazzo senza nome e si ritrova ad annuire, silenziosamente. Stanno cercando un capro espiatorio, un semplice pretesto per far divertire il sadico che c'è dietro quel gioco. Con la coda dell'occhio, incrocia lo sguardo di Randy, che si è avvicinato di soppiatto, come suo solito. « Che ne pensi? » Gli domanda, rivolgendogli un'occhiata ambigua, per poi lasciare che lo sguardo scivoli tra la rossa e lui. « Fantastico momento per fare conoscenza, non è così? Lui è Randy. » Presenta alla ragazza il biondo, con un sorriso che scema lentamente, non appena sente l'ennesimo provare a fare ciò che davvero stai chiedendo loro lo Shame. Dare in pasto uno di loro, a caso. « Lei non è nessuno per giudicare, così come non lo siamo noi. » Si ritrova a commentare, a voce più sostenuta, affinché lo possano sentire un po' tutti. « Cos'è, vi siete svegliati tutti Dio questa mattina? Chi vi dà il diritto di scegliere? E soprattutto.. - alza il fascicolo che ha in mano, accennando una risata sarcastica -..dovremmo giocare a Cluedo su quali basi? Un po' di foto, stralci di articoli di giornale e poco altro? » Chiede, cercando l'appoggio dei vicini. « Oppure no, aspetta, dovremmo dar retta a ciò che ha detto la voce? "Uno di loro è quello, uno di loro è questo". Sfido chiunque a dirsi meno peccatore di ognuno di quei ragazzi. » Volutamente, il suo sguardo si imbatte in quello
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    dei due amichetti del CIM, per poi passare oltre. « Non siamo il Wizengamot, non siamo Auror..se anche tra loro vi fosse l'assassino della preside - partendo dal presupposto che sia morta davvero - non sta a noi fare gli Inquisitori di turno. Certe cose sono state fatte anche relativamente da poco, nel mondo magico. Com'è, abbiamo già dimenticato tutto? » Chiede, con tanto di alzata di sopracciglia, prima di scrollare la testa e decidere di tornare al suo posto, nell'ombra, dopo aver detto la sua. « Ho sempre trovato davvero una stronzata il teorema del manovrante del tram dai freni non funzionante, i cinque operai in un binario e soltanto uno nell'altro. » Lo scegliere la morte di uno per salvarne cinque è un qualcosa di talmente assurdo, da fargli ribrezzo. « Invece che decidere chi mandare al patibolo, dovremmo fare team per trovare una soluzione. E anche in fretta, considerate le saluti di alcuni. » Accenna agli schermi con il mento, prima di incrociare lo sguardo di Zura, poco più in là. Si schiarisce la voce, distogliendolo, imbarazzato. « Io devo cercare il fascicolo di Fawn, giusto per tenerlo lontano da mani indesiderate » dice, guardando Randy di sfuggita. « Rossa, se vuoi unirti. » Aggiunge, per poi guardarsi intorno. Girovaga qua e là, tra i vari spettatori, cercando di apparire più naturale possibile nello sbirciare sopra le loro spalle, per vedere di chi è il fascicolo che hanno stretto tra le dita. Alla fine lo trova. Tra le mani di una mora. « La conosci? » Le chiede, con un sorriso, sedendole vicino. « E' una mia carissima amica, tralasciando il fatto che è anche la mia ex, e vorrei proteggere le sue informazioni private. » Si ritrova a dire, stringendosi nelle spalle. E' chiaro, per lui, che mai e poi mai aprirà il fascicolo di Fitz, come quello di Fawn o quello di chiunque altro. E' una violazione di privacy non indifferente, un qualcosa che va totalmente contro il suo modo di pensare e una cosa che non ha intenzione di fare.

    Interagito con Zura, Dom, Randy, June e parlato un po' in generale, nominando questo e quello qua in là.

     
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    Chissà se ci chiameranno "I cretini dell'Apocalisse." No, perché secondo me, un po' ce lo meritiamo. Ci aveva messo poco, a capire di aver fatto una delle scelte meno oculate della sua intera esistenza. Gli era bastata una rapida occhiata attorno per rendersi conto che quel posto avesse un nonsoché di profondamente sinistro, ed altrettanto aveva impiegato a realizzare di non avere una via di fuga. E questi fattori messi assieme, irrimediabilmente, avevano innescato quel pensiero, dando vita a quello sprezzante nomignolo nel giro di niente. Il tempo di rendersi conto che le uscite fossero murate. Il tempo di capire che, da qualunque desiderio fossero stati mossi in partenza, o qualunque curiosità avesse originato quella loro scelta, la stessa fosse, in sostanza idiota. E pericolosa. Per cui, come faceva sempre quando posto in una situazione di pericolo, il biondo decise di fare una cosa che gli riusciva piuttosto bene da che mondo era mondo - confondersi con la folla senza fiatare, nella speranza di captare non solo quante più informazioni possibili, ma anche il mood generale della stanza. Si concentrò dapprima sui presenti. Dal punto in cui si trovava, leggermente in disparte rispetto a dove la maggioranza delle persone si era radunata, riusciva a scorgere figure più e meno note. Ad una prima occhiata, nessuno sembrava particolarmente a proprio agio in quell'ambiente, il cui arredo aveva del sinistro. Si prese ancora un attimo per avvicinarsi alle sedie. O alla costruzione che doveva ricordare un palco. Se lo prese non perché pensasse di avere un qualsiasi margine di scelta, ma perché non aveva ancora capito altro riguardo quel posto, se non che fosse una trappola. E, com'era logico, se proprio doveva stare in trappola, preferiva farlo nelle immediate vicinanze di qualcuno che gli ispirasse un minimo di fiducia. Stava ancora valutando le proprie opzioni, - se avvicinarsi a Sebastian, che aveva intravisto poco più in là. o invece dirigersi verso la Rosier - , quando una voce irruppe prepotentemente nell'ambiente. « Benvenuti! Non credo ci sia bisogno di presentazioni: se siete qui è perché, ad un banale Sabato, avete scelto l’alternativa, il divertimento, l’opportunità. Permettetemi di dire che avete fatto la scelta giusta: probabilmente siete i soli ad averla fatta stanotte. Avvicinatevi amici, non abbiate paura! Ciò che vi offro stasera è un posto alla regia, un’angolazione privilegiata da cui poter guardare il marcio che vi circonda. Nella fattispecie, il marcio si trova di fronte a voi, separato da uno schermo. Vedete quella variegata fauna umana, chiusa nelle loro piccole gabbie? Non fatevi ingannare dalle apparenze, sono tutti peccatori. Tutti, nessuno escluso. [...]» La stessa credibilità degli Anti-Almun quando parlano della figlia finta e della campagna di marketing, ma continua, ti prego , pensò, mentre con lo sguardo cercava la fonte di quella voce. Niente. Mosse comunque un paio di passi in direzione del gruppetto che era venuto a crearsi, silenzioso come suo solito, mentre lasciava la voce al suo delirio di onnipotenza. Sono tutti peccatori, eh? Va che la metafora biblica era azzeccatissima.
    Ed intanto, nell'avvicinarsi al gruppetto, e grazie anche alle gentili chiarificazioni offerte dal magnanimo burattinaio della serata, gli fu chiaro come mai fossero stati convocati, E chi fossero i sovracitati peccatori.
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    Randy Blackwater, bisogna dirlo, non era mai stato una persona particolarmente emotiva. E questa sua caratteristica era andata ad acuirsi nel periodo successivo al lockdown, dove il giovane inglese si era ritratto in sé stesso fino all'impossibile. Eppure, insensibile non lo era. E quando si rese conto che sui vari schermi ci fossero persone che conosceva più che bene, gente insieme alla quale era sopravvissuto all'inferno ed insieme alla quale da quell'inferno era uscito, suo malgrado gli si strinse lo stomaco. Rimase lì, di sasso, per una frazione di secondo, con lo sguardo confuso e gli occhi sgranati, perdendo tutto il suo caratteristico contegno. Se prima pensava di non aver fatto la scelta più saggia del mondo e si era dato del cretino, adesso del cretino avrebbe dato a qualcun altro. Ogni schermo raffigurava qualcuno, e molte di quelle persone le conosceva poco, ma quelle poche per le quali provava dell'affetto, ad eccezione di sua sorella - unica nota positiva di quella serata - erano tutte lì. Albus Potter, se sopravvivi a tutto questo, quanto è vero che ti conosco dal primo anno... ti scuoio. Sei un coglione di dimensioni colossali. E poco importava se la sua rabbia fosse inutile - non riusciva a fare a meno di provarne. Come non riuscì a provare una seconda stretta allo stomaco nel passare nuovamente lo sguardo sugli schermi e sulla figura minuta della Carrow. E ti pareva. Cip e Ciop. Sirius e Olympia Potter. Perché sia mai che qualcuno dei Potter sfugga alla sfiga tutta Potter. Fece un'ultima smorfia, costringendosi ad assumere un'espressione il più neutrale possibile e tenere a freno la forte irritazione che si era impadronita di lui, sintomo di una delle malattie che il giovane Blackwater non avrebbe mai ammesso di aver contratto: il tenerci a quelle persone. Si avvicinò quindi a Seb, il quale gli parlò quasi avesse captato la sua presenza. « Che ne pensi? » Ne incontrò lo sguardo bicolore. Che se sopravviviamo a tutto questo, Albus Potter lo ammazzo io. Così non si mette più in situazioni dove possano accopparlo altri. « Siamo murati vivi al Pandemonium. Costretti ad ergerci a giudici, giuria e boia da una voce che parla di peccatori, sullo schermo c'è tutta gente che conosciamo... » Uno sguardo discreto all'ambiente circostante, un microscopico cenno in direzione della neo-eletta senior di Corvonero e Sanders. « in compagnia di gente pazzerella. Seratina alternativa, non c'è che dire. Un sogno. » Aveva parlato a voce bassissima, in modo che il compagno fosse l'unico a poterlo udire e, nonostante il sarcasmo grondasse da ogni sillaba, era chiaro che si fosse rabbuiato. E che negli occhi avesse comunque una certa determinazione. « Fantastico momento per fare conoscenza, non è così? Lui è Randy. » Il giovane annuì distrattamente in direzione della rossa, stirando un mezzo sorriso. « Randy Blackwater, noto anche come uno che ha fretta. Normalmente non sono così scortese - ed infatti tornerò in meno di un attimo e continueremo la conversazione - , ma c'è un problema che devo risolvere. » In realtà, di problemi ne aveva più di uno, in quel momento. Uno era di risoluzione più immediata e fisicamente lì, l'altro di natura morale. Il problema immediato si chiamava Juniper Rosier - l'aveva vista parlare con Sanders: male, malissimo -, quindi, prima che questa prendesse posto, ne approfittò per passarle accanto e, dopo averla presa sottobraccio con una certa nonchalance, trascinarla via da quel folle di Edric. « Lasciali perdere. » Inequivocabile che si stesse riferendo al dinamico duo da psichiatria. « Sono fuori come due balconi. Vado a prendere un fascicolo. » Detto questo, lasciò la presa. E qui il dilemma morale. Sapeva già, più o meno, come muoversi, ma non era ancora certo di cosa volesse fare di preciso. Non posso prenderli entrambi - si era intanto avvicinato ai fascicoli - sarebbe sospetto. Io so cosa farei io, ma... Assottigliò lo sguardo, facendo saettare lo sguardo dall'uno all'altro. Quello di Amunet Carrow e quello di Albus Potter rispettivamente. Oh, fanculo. Detto questo, in barba alla discrezione, li portò entrambi in direzione delle postazioni dove aveva intravisto Seb, June, e la rossa. Dominique Weasley? Una Weasley, cazzo. « Rieccomi. Albus e Mun.» Disse piano, dopo aver preso posto. « Qualcuno vada a prendere quello di Sirius appena riesce, che accusarlo di omicidio è come credere che il coniglio pasquale dia fuoco ai bambini. Grazie. »

    interagito con Sebastian, June, Dominique
    citata un sacco di gggente
    bestemmiato Potter
     
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    La situazione, che nell'immaginario ideale di Diane sarebbe dovuta essere perfettamente gestibile, si stava complicando man mano che ciascuno dei presenti apriva bocca. Dal canto suo, la ex Tassorosso non era stata a controllare chi tra i vari studenti rientrasse nelle sue conoscenze, impegnata com'era a leggere ciò che era scritto nei vari dossier. L'unica cosa che le importava era riuscire a ricavare qualche informazione che potesse semplificare il lavoro e porre fine a quella sciocca sfida.
    Se qualcuno si fosse preso la briga di chiederle cosa pensasse di quanto stava accadendo, probabilmente avrebbe risposto affermando che, secondo lei, si trattava di uno stupido scherzo; non credeva davvero che la Preside fosse morta, tanto meno che fosse stato uno di quei ragazzi ad ucciderla, ma non era neppure tanto ingenua da ritenere impossibile che un adolescente o un giovane adulto fosse in grado di compiere un omicidio. Insomma, a essere onesti, quanti maghi oscuri avevano dato inizio al proprio regno del terrore fin dalla giovane età? Inoltre, si trattava dello Shame, le sue parole non erano da sottovalutare.
    Francamente, Diane era la classica ragazza che non dava mai nulla per scontato, che non si faceva dominare dalle passioni e usava la testa prima di qualsiasi altra cosa; e razionalmente sapeva di non poter lasciare nulla al caso.
    Il fatto che qualcuno ritenesse assurdo che uno di quei ragazzi avesse ucciso la preside le scivolò addosso, poiché sapeva bene che il punto non era chi avesse o meno compiuto quell'omicidio, volontario o meno che fosse; il punto era che il sadico manipolatore che li aveva condotti lì voleva terminare quell'assurdo gioco, e in un modo o nell'altro avrebbe avuto il suo capro espiatorio. Ciò non significava affatto che Diane volesse dargli in pasto uno di loro, ma necessitava di sapere il più possibile su quelle persone, e soprattutto aveva bisogno di guadagnare tempo per pensare e trovare una soluzione.
    Il commento della rossa circa l'essere circondata da un branco di idioti provocò in lei solo uno sbuffo spazientito, ma evitò di rispondere poiché era evidente che la ragazza si preoccupava unicamente di quelli che, a detta sua, erano i suoi cugini; un secondo ragazzo premette un bottone rosso e Diane rimase per un momento col fiato sospeso, in attesa di vedere cosa sarebbe accaduto, ma ricordò in fretta che nessuno di quei pulsanti avrebbe segnato la sorte dei prigionieri, non senza una risposta alla domanda del loro aguzzino. Riprese dunque a sfogliare i dossier senza trovare davvero nulla di utile: pettegolezzi, marachelle e tutto ciò che rientra alla perfezione nella vita di un adolescente, nulla che la sconvolse.
    Ma probabilmente ciò avvenne perché non aveva letto proprio tutto.
    Quando fu il turno di Christopher di parlare, la bruna non poté fare a meno di rivolgergli un'occhiata irritata; non aveva chissà quale rapporto col ragazzo, anzi, la loro relazione iniziava e finiva una sera di poco tempo prima, durante una festa clandestina in cui i due non avevano fatto altro che punzecchiarsi per tutto il tempo. Da allora, si era guadagnata quel simpatico appellativo che pareva esserle ormai rimasto cucito addosso.
    Olympia? Non dire sciocchezze, non farebbe del male a una mosca.
    Era l'unica, probabilmente, su cui avrebbe potuto affermare ciò con certezza. Ma forse, era lei a vedere il buono in qualunque persona.
    Sentite, lo Shame non mente mai, lo sapete meglio di me. Non ne ha bisogno. Una scomoda verità è molto più interessante di qualunque bugia. Può omettere o manipolare la realtà, probabilmente ciò che definisce come omicidio è stato un incidente o un caso di legittima difesa, ma non escluderei che uno di loro abbia realmente a che fare con la scomparsa della Preside.
    Vero o falso che fosse quanto detto dallo Shame, la persona che vi era dietro voleva un nome e loro avrebbero dovuto decidere quale dargli.
    Che poi questo non significhi immolare uno di loro su basi praticamente inesistenti, sono d'accordo. Non sarà Cluedo, ma è un gioco, per lo Shame questo è un gioco e se vogliamo uscirne tutti vivi dobbiamo sottostare alle sue regole. Chiediamogli dei suggerimenti, degli indizi, facciamogli capire che siamo pronti a giocare.
    Gli unici strumenti forniti erano i dossier sui ragazzi e i monitor con i pulsanti per permettere loro di ascoltare cosa i prigionieri avessero da dire. Come poteva essere utile tutto ciò? Che i ragazzi imprigionati, spinti dalla paura, avrebbero confessato qualcosa di utile?
    Fece per parlare nuovamente, ma il suo sguardo venne attratto da una figura, al di là di uno schermo, che pareva ridere e parlare probabilmente con chi era l'artefice di quello scherzo crudele. Dimenticandosi di tutto e tutti, persino di quel che stava dicendo, Diane scattò verso i monitor e schiacciò il pulsante della ragazza, permettendo a tutti i presenti nella stanza di ascoltare le sue parole.
    Quando tornò il silenzio, Diane si rese conto di essere paralizzata, un sottile strato di sudore le imperlava la fronte e gli occhi ancora fissi sulla figura che aveva appena annunciato la morte di qualcuno per mano dello Shame. Solo allora la ragazza si rese conto che ciò in cui era capitata non era affatto uno stupido gioco.
    Li ammazzerà. Se non gli diamo ciò che vuole li ammazzerà tutti.
    Quella consapevolezza la colpì con talmente tanta violenza da costringerla a voltarsi verso i compagni con espressione di puro terrore.
     
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    Dopo circa venti minuti dal loro arrivo al Pandemonium, la voce prenderà a diffondersi nuovamente per la sala. Pochi istanti prima tuttavia, un evento del tutto imprevisto scuote le immagini di tutti i Players - lampi illuminano le piccole stanze di ciascuno di loro, mandando scosse elettriche sopra di loro, portando le loro figure a tratti martoriate, a tratti esauste a muoversi in maniera innaturale. Una sola immagine è rimasta uguale a prima. Quella di Olympia Potter. I suoni provenienti da tutte quelle stanze sfrecciano nell'aria per qualche istante. Grida di dolore, pianti, e terrore.

    "Non so a voi, ma a me tutto questo buonismo spicciolo annoia non poco. Chi vuole collaborare da una parte per cercare di salvarli tutti, chi difende i propri amichetti a spada tratta..che barba! Dov'è il vostro spirito di sopravvivenza? Dov'è finito il vostro senso di protezione per i vostri cari? Non so, non vorrei sbagliarmi, ma sembra proprio che mi vogliate sfidare. Un pulsante è stato premuto - mi sono scordata di menzionare che, molti di quei pulsanti colorati nascondono trappole, tanto per voi quanto per loro. Attenti a manovrarli. Questa volta ne ho salvata una, quella che a molti di voi sembra stare a cuore. Ringrazio chi ha premuto il pulsante di fronte alla sua immagine. Ha unito l'utile al dilettevole. Siamo certi siate disposti a sacrificare tutti gli altri per una persona sola? E' un gioco a cui sono disposta a giocare con voi, ma giocherete a modo mio."

    Le scosse si interrompono solo quando la voce si ferma; la luce nell'ambiente, per qualche secondo, si abbassa, sfarfallando con i tipici rumori elettrici, fin quando ogni fonte luminosa non muore. Nel buio pesto generale, passati alcuni secondi, si accende all'improvviso lo schermo di uno dei portatili dati loro in dotazione. Come sfondo, vi è una foto con dei volti particolarmente familiari. Ritrae Fitzwilliam Gauthier, Thomas Montgomery, Nate Douglas, Judah Carrow ed Edric Sanders abbigliati di tutto punto, ad una delle sfarzose serate dell’Astra Society, mentre chiacchierano amabilmente con lo stregone capo del Wizengamot, Basil Greengrass, ed Edmund Kingsley, ex Preside di Hogwarts e responsabile della distruzione del castello durante il lockdown. Sotto la foto, lampeggia una frase, scritta visibilmente a mano, dalla grafia elegante. “A qualcuno non è mai andato giù come siano andate a finire le cose”.
    Il primo schermo rimane attivo per dei buoni minuti, prima di spegnersi di scatto, non appena un altro schermo si illumina. Stessa situazione del primo caso. Come sfondo vi è una foto che questa volta vede come protagonisti i più giovani dei fratelli Potter: Albus, Olympia e Sirius applaudono e sorridono all'insediamento del nuovo preside di Hogwarts, avvenuto dopo la misteriosa scomparsa della donna che prima di lui guidava il castello. Un secondo schermo si accende, lì vicino, mentre scritte nere compaiono, nel formato di scrittura di programmazione. “Si dice che Harry Potter sia un intimo amico del preside Yaxley, tanto da avergli chiesto di essere il padrino del suo secondo figlio. E' forse un caso che, poche settimane dopo che la vecchia preside abbia minacciato uno dei tre di espulsione, la stessa si sia dissolta nel nulla, lasciando il posto all'aitante uomo? Cosa non si fa per la famiglia.” Anche i due schermi, qualche minuto dopo essersi accesi, si spengono, lasciando spazio ad un quarto. Ma questa volta parte un filmato, fumoso, in cui non si capisce né dove si trova, né con chi stia parlando, ma Beatrice Morgenstern appare di fronte agli occhi degli spettatori. « Sembra che tutti si siano scordati.. Tutto. Ora l'Astra è tornata a fare l'Astra, Inverness è tornata un mucchio di casupole tra mucche e pecore, ed io sono la cazzo di assassina di Edmund Kingsley. Tu hai ragione. Non posso fare così, ma un mucchio di femminucce privilegiate con la puzza sotto il naso si ergeranno al di sopra di me solo quando a tre metri sotto terra ci starò io. »

    L'elettricità torna in tutto lo stabile, riaccendendo gli schermi con la visuale sui giocatori e le foto appena mostrate, così come il video, rimangono sui portatili, a completa disposizione.

    "A cosa possono portare la lealtà per i propri amici, la fedeltà nei confronti della famiglia e la rabbia che porta a dire "Con me, una vita vale solo una vita"? Questo dovete dirmelo voi. Vi ricordo che avete solo altri venticinque minuti, prima che il primo di quei ragazzi faccia una lente e dolorosa fine e voi avrete il suo sangue a macchiarvi le mani. Vi ho dato tutto ciò che vi occorre per prendere una decisione, ma se ciò non vi bastasse ancora, vi do ancora due regalini. Christopher, sembri avere il giusto spirito del leader, eppure non sembri aver convinto nessuno fino a questo momento. Se ti stai chiedendo dove sia Abigayle, beh, sappi che qui, con me e mi ha raccontato così tante cose su di te. Una risorsa preziosa, la dolce biondina, che però, non è altro che un agnello sacrificale per me. Mettici più impegno, oppure puoi anche cominciare a pregustare i vantaggi di essere figlio unico. E poi c'è lei. L'unica che davvero mi ha capito, l'unica che mi ha elogiato, che mi ha difeso. Lei ha capito che io non mento mai e proprio per questo, Diane, tu verrai premiata. Il tuo voto sarà decisivo. Se gli altri sceglieranno il nome di una persona e tu non sei d'accordo con la loro decisione, potrai passare la tua protezione a quella persona e non verrà toccata. Minimamente. Sarai il giudice di quest'allegra giuria. Ah, ovviamente, fin quando qualcun altro deciderà di compiacermi tanto quanto l'hai fatto tu. Lo scettro del potere, infatti, passerà, di mano in mano, a seconda di ciò che direte o farete. E ricordatevi: chi ha il veto, può salvare una persona. Buona scelta!"

     
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    Il piccolo quaderno dalla copertina rivestita in pelle marrone sembrava emettere un pallido bagliore, illuminato dalla luce sinistra della luna. Gli occhi azzurri della giovane strega rimasero a fissare un punto impreciso dell'orizzonte, ridotto a un'indistinta bordatura irregolare, i contorni del paesaggio resi solo dalle differenti tonalità di scuro. Sospirò, dondolando appena la gamba lasciata a penzolare debolmente, seduta sul davanzale della sua finestra. L'aria di inizio giugno prometteva un'estate identica alle precedenti, eppure Azura pareva consapevole, da qualche parte che non avrebbe saputo indicare con precisione, che quel momento avesse un sapore diverso, cruciale, e che tutto stesse nuovamente per mutare. Spostò lo sguardo, guizzante di bagliori argentati, sul taccuino che le era stato consegnato con una nota speciale. Toccarlo avrebbe significato accettare, partecipare, cedere alla curiosità. Toccarlo, lo sapeva, sarebbe stato inevitabile. Il cellulare, poggiato accanto al quaderno, si illuminò improvvisamente. Azura saltò giù, muovendosi con leggerezza, e sorrise leggendo la consueta buonanotte di Seb, giunta puntuale, innocente. Rimase a fissare quelle parole per qualche secondo, nel silenzio della sua stanza spezzato dal rumore di schiamazzi lontani e vivaci di qualcuno che, lì vicino, doveva starsi divertendo. La pelle lucida del quaderno sembrò brillare più intensamente quando, finalmente, Azura la sfiorò.

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    Cadde sul fianco, lo stomaco sottosopra per la violenza nauseante di quel particolare mezzo di trasporto, ma riuscì ad avere la prontezza di ricordare di allungare un braccio per attutire il colpo. «Ahi...» lamentò, tenendosi la testa, confusa e disorientata. Impiegò qualche secondo per focalizzare i suoi dintorni, ma anche allora la confusione che provava non si dissipò. Il posto in cui si trovava pareva un deposito abbandonato o in costruzione, una sorta di relitto di quello che doveva essere stato un locale, reso quasi spettrale dal fatto di essere semi illuminato, impolverato, e umido. Pian piano attorno a lei comparvero sempre più persone, evidentemente trasportate lì dallo stesso mezzo utilizzato da lei. Corrucciata, si tirò su, il jeans reso bagnato dal cemento a terra e una brutta sensazione allo stomaco. Si avvicinò, stringendo gli occhi, a quello che sembrava essere un palco in allestimento. Con un brivido realizzò che, davanti a lei, si ergeva una sorta di torre di controllo: vide la lavagna, e ne scorse i nomi, la confusione che prendeva la forma sempre di più di preoccupazione, e poi sconforto, nel notare gli schermi. Vide il nome di Nate, quello di Fawn, e Olympia, e Albus. Li intravide muoversi nei monitor, ma niente sembrò avere senso. Quelle immagini erano registrate? Erano trasmesse in tempo reale? Che significava? Bottoni, spie, computer, file. Toccò ogni cosa, esaminò quel palco, e non mancò di notare il tavolo, apparecchiato e imbandito, l'ennesima beffa ipocrita di quello che, così tipicamente nel suo stile, era il nuovissimo progetto dell'orrore dello Shame. Dei colori fluo lampeggianti recitavano WATCHERS/PLAYERS - Saturday Night Fever. Immobile, cercando vorticosamente nella sua testa una risposta alle centinaia di domande che si susseguivano nella sua testa, Azura non fece troppo caso a ciò che attorno a lei stesse succedendo. «Pensavo fossi a casa, a dormire...» Il confortante tocco di Seb, che le accarezzò dolcemente il braccio, seguito dalla familiarità della sua voce calda all'orecchio, la rese immediatamente più calma. Chiuse gli occhi, abbracciandolo, grata di averlo lì. «Sai per caso perché siamo qui?» Si scostò, in modo da poterlo guardare in viso. Scosse la testa, lasciando vagare lo sguardo per la stanza, senza lasciargli la mano. «Non ne ho idea. Mi è arrivata una passaporta questo pomeriggio con un messaggio che diceva di toccarla a due minuti dalla mezzanotte. È opera dello Shame. Dev'essere una sorta di... Gioco.» Indicò con il mento la scritta lampeggiante, che menzionava "osservatori e giocatori".
    «Ehi!! Natie.. mi senti? Dai Nathan non essere dispettoso, giuro che ti perdono per non avermi invitata al tuo diciottesimo». Improvvisamente la sua attenzione fu attirata dalla ragazza, vicina al monitor che trasmetteva immagini di Nate. Premeva un pulsante, che però non pareva permetterle di comunicare. Come ipnotizzata da quella visione, ignorando assente le idiozie strillate allo schermo dalla ragazza, Azura realizzò che quelli non fossero video registrati, e che lui, insieme a tutti gli altri, si trovassero rinchiusi da qualche parte proprio in quel momento. Tutti insieme: giocatori ed osservatori. Mentre la sua mente elaborava questa raccapricciante verità, una voce modificata che sembrò penetrarle direttamente nel cervello spiegò i dettagli masochisti e perversi di quel particolare "gioco". E non seppe come reagire, per qualche secondo. Per una manciata di brevi istanti Azura non ebbe alcuna reazione, e si sentì come distante dal suo corpo, come fluttuante e sconnessa, sott'acqua, a guardare gli eventi susseguirsi da uno schermo, proprio come poteva, in quel momento, osservare Nate dimenarsi sulla poltrona a cui era legato. La sua vista si offuscò, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime. «A che gioco sta giocando?» Le scacciò, chiudendo gli occhi e sbattendo le palpebre un paio di volte, troppo tardi però dall'impedire a Sebastian di cogliere il suo sconforto. Sentì di dover dire qualcosa, ma non riuscì. Seb scivolò via prima che lei potesse aprire bocca, e Zura sospirò, ricercando dentro di sé la stessa forza che aveva scoperto di avere soltanto un anno prima, durante il lockdown. Spinse la paura e l'angoscia che l'avevano assalita sempre più giù, confinandole in un angolo dal quale non avrebbero potuto renderla debole.
    Non fece caso alle liti e alle minacce che, come era certa lo Shame avesse previsto e probabilmente anche sperato prendessero luogo, cominciavano a diffondersi a macchia d'olio tra i presenti. Cercava una soluzione, Azura, e per trovarla bisognava trovare una motivazione. Cosa spingeva lo Shame a fare ciò che faceva? Qual era lo scopo di tutto ciò? Come fare a interrompere quell'ingranaggio, inserito nel più grande e letale macchinario che era stato avviato da mesi e che tutti loro stavano, consapevolmente o meno, oleando alla perfezione? Quei litigi, quelle minacce... Riusciva quasi a vedere l'individuo dietro allo Shame sorridere, serafico, di fronte a quel teatrino. Non era quello il modo giusto.
    Sebastian parve dare voce ai suoi pensieri. «Cos'è, vi siete svegliati tutti Dio questa mattina? Chi vi dà il diritto di scegliere? E soprattutto... dovremmo giocare a Cluedo su quali basi? Un po' di foto, stralci di articoli di giornale e poco altro? Oppure no, aspetta, dovremmo dar retta a ciò che ha detto la voce? "Uno di loro è quello, uno di loro è questo". Sfido chiunque a dirsi meno peccatore di ognuno di quei ragazzi. [...] Invece che decidere chi mandare al patibolo, dovremmo fare team per trovare una soluzione, e anche in fretta, considerate le saluti di alcuni» «Concordo. Nessuno di noi vuole vedere un caro morire. Se non vi interessa particolarmente agire in modo eticamente corretto, e non vi importa che non sia giusto che un innocente debba morire, quantomeno pensate egoisticamente che potrebbe capitare proprio alla persona che state cercando di salvare. Se non vi importa fare la cosa giusta, fate la cosa più intelligente, e cerchiamo una soluzione, insieme. Continuando così cadiamo esattamente nel suo tranello, non lo vedete? Siamo qui a bisticciare su chi salvare, perdendo tempo prezioso. Lo Shame è furbo, ma noi possiamo esserlo di più, non deve per forza andare così...» Ma le sue parole parvero cadere nel vuoto, spegnendosi debolmente verso la fine. Lei stessa, forse, nel pronunciarle, doveva essersi resa conto che nessuno le avrebbe dato ascolto, e che lo Shame fosse qualcosa di più grande di tutti loro. Come al solito, la Jackson aveva il cuore al posto giusto, e nobili ideali, ma forse non sarebbero serviti, questa volta.
    «Sentite, lo Shame non mente mai, lo sapete meglio di me. Non ne ha bisogno. Una scomoda verità è molto più interessante di qualunque bugia. Può omettere o manipolare la realtà, probabilmente ciò che definisce come omicidio è stato un incidente o un caso di legittima difesa, ma non escluderei che uno di loro abbia realmente a che fare con la scomparsa della Preside. Che poi questo non significhi immolare uno di loro su basi praticamente inesistenti, sono d'accordo. Non sarà Cluedo, ma è un gioco, per lo Shame questo è un gioco e se vogliamo uscirne tutti vivi dobbiamo sottostare alle sue regole. Chiediamogli dei suggerimenti, degli indizi, facciamogli capire che siamo pronti a giocare». No, pensò Azura, io non ho alcuna intenzione di giocare. Non mi presterò a questa ingiustizia, non è compito mio farlo. Non è giusto.
    Ma, di nuovo, la realtà delle cose la colpì in faccia.

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    Il rumore violento e vibrante di scosse elettriche precedute da lampi di luce chiara provenne dai monitor. Tremende scariche imponevano contorsioni e urla, seguite da pianti, preghiere che tutto finisse, che invasero l'intero locale per qualche secondo. Azura si coprì le orecchie con le mani, scuotendo la testa. «Non so a voi, ma a me tutto questo buonismo spicciolo annoia non poco. Chi vuole collaborare da una parte per cercare di salvarli tutti, chi difende i propri amichetti a spada tratta..che barba! Dov'è il vostro spirito di sopravvivenza? Dov'è finito il vostro senso di protezione per i vostri cari? Non so, non vorrei sbagliarmi, ma sembra proprio che mi vogliate sfidare. Un pulsante è stato premuto - mi sono scordata di menzionare che, molti di quei pulsanti colorati nascondono trappole, tanto per voi quanto per loro. Attenti a manovrarli. Questa volta ne ho salvata una, quella che a molti di voi sembra stare a cuore. Ringrazio chi ha premuto il pulsante di fronte alla sua immagine. Ha unito l'utile al dilettevole. Siamo certi siate disposti a sacrificare tutti gli altri per una persona sola? E' un gioco a cui sono disposta a giocare con voi, ma giocherete a modo mio.» Finalmente le scosse cessarono, e, come condizionata anche lei a poter finalmente avere una tregua, Azura si accovacciò, le dita tra i capelli. Non c'era via di scampo. Poi le luci si spensero, e su un portatile furono proiettate immagini che ritraevano alcuni dei players. Immagini atte a insinuare il dubbio ulteriormente in tutti loro, a istigarli ancora di più, preparandoli a colpire come si fa prima della corrida con il toro. Animali famelici, questo parvero tutti loro alla ragazza, che avrebbero dovuto sbranarsi l'un altro e leccare i piedi del loro aguzzino pur di ingraziarselo. Le parve chiaro come il sole quale fosse l'intento dello Shame, e si sentì frustrata e arrabbiata all'idea che gli altri potessero cascarci. Cercò Sebastian, nella penombra rischiarata soltanto dalla luce violenta delle immagini proiettate, e quando gli fu accanto si strinse attorno al suo braccio a quel modo che pareva essere diventato solo loro. Quando finalmente tutto cessò, Azura si guardò attorno, curiosa di conoscere la reazione degli altri watchers a quanto appena visto. Costatò che, tra le mani, Seb stringesse la cartella di Fawn. Gli rivolse uno sguardo sconsolato, temendo che, nonostante il suo discorso di prima, anche lui avesse deciso di pensare soltanto a proteggere chi aveva a cuore. «Capite che razza di mostro ci troviamo davanti? Capite che cosa sta cercando di fare? Si tratta di un disgustoso narcisista, probabilmente un relitto della società che ce l'ha con il mondo e che si nutre di violenza e di odio. Vi prego, vi supplico...– si allontanò da Seb, le odiate lacrime di nuovo a riempirle gli occhi chiari e arrossati – ... ditemi che non avete intenzione di cedere a questa meschina e umiliante manipolazione, e che non vi macchierete di questo crimine».

    Scusate la lunghezza indecente, avevo da recuperare un po' di cose!
    - Interagito con: Seb e parlato a tutti
    - Citati: Jack, Diane


    Edited by lilac; - 6/6/2019, 19:34
     
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14 replies since 1/6/2019, 19:16   496 views
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