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    "Sto bene." Un semplice messaggio. Due parole che erano riuscite a far alzare il petto di Olympia di sollievo. Un respiro profondo e poi di nuovo il senso di colpa. Se da una parte era riuscita, alla fine, a rintracciare Rudy per accettarsi che stesse effettivamente bene, scoprendo quindi di non averlo ucciso, al contrario di quanto avesse immaginato per giorni, dall'altra c'era ancora il disastro del matrimonio di Albus e Mun ad aleggiare sopra la sua testa. Non appena era rientrata in pieno possesso delle sue capacità mentali, dopo quella sera, aveva cancellato il video dal suo account instagram, non prima di rimanere ferita da alcuni dei più meschini messaggi che avesse mai letto. La cattiveria, con la quale alcune ragazze, amanti degli Almun le si erano rivolte, l'avevano lasciata di stucco. Dalle maledizioni rivolte direttamente a lei alle meschinità sul suo matrimonio, fino a sfociare nel puro e becero cyber bullismo, con tanto di insinuazioni spicciole sulla sua sessualità e la sua evidente frustrazione pronta a scoppiare da un momento all'altro. Non mi conoscono. Non potevano sapere che non avrei fatto mai veramente una cosa del genere. Si continuava a raccontarsi questo, cercando di calmare il proprio subconscio, seppur il costante fantasma del dover prendere la situazione in mano le continuava a ronzare costantemente in testa. Nei giorni passati, ha provato a contattare suo fratello, ancora piuttosto provato da quel maledetto sabato sera. Di Mun nemmeno una traccia all'orizzonte. Per questo, la rossa aveva deciso di aspettare, più che per il proprio senso di colpa, per lasciar loro del tempo e il giusto spazio per metabolizzare. In fondo, fosse stata lei al posto dei due, è ciò che avrebbe voluto: il tempo al tempo. [..]
    « E' tornata a casa. » La voce roca di suo padre le annuncia dall'altro capo della cornetta. Olympia deglutisce, improvvisamente a corto di saliva e di parole. « Ha detto nonna Molly che l'ha vista piuttosto provata, ma che le sembra il giusto momento per farle visita. » Annuisce, per poi ricordarsi che Harry non la può vedere. « Sì, okay... » Nel tono della voce, più di una sfumatura di incertezza. Ora che è giunto il momento di affrontare la situazione di pancia, sembra quasi avere dei ripensamenti. Debole, come lo specchio dello Shame, qualche anno prima, ha tenuto a precisarle. « Lympy, devi andarci. » Lo sa bene, eppure sa, altrettanto bene, che quell'impotenza che ha provato negli attimi in cui ha rovinato il sogno di Mun l'accompagnerà nel tragitto che la divide da lei. « Lo so, ma non è facile. » Lo sente schiarirsi la voce, dall'altro capo del telefono, mentre camuffa una risata. « Devo raccontarti di nuovo come ho rovinato la cerimonia di zio Ron e zia Hermione? » Stranamente, quell'accenno la fa sorridere, abbastanza da vedere il proprio viso illuminarsi sul riflesso alla finestra. « All'inizio potrà essere arrabbiata, molto arrabbiata, ma hai un piano, hai qualcosa in mano e poi non potrà resistere al tuo famoso broncino. » Lui tenta di sdrammatizzare, ma in fondo, lo sanno entrambi, c'è poco da fare. Il dover confessare ai propri genitori quanto era accaduto, per colpa di quel gioco insano, era stato quanto di più vergognoso e imbarazzante abbia mai provato. Un qualcosa di talmente deplorevole da costringerla a ricacciare all'indietro tutti i succhi gastrici che le erano tornati su, non appena sganciata la bomba. E forse la cosa peggiore era stata la reazione di tutti. Dalla compassione all'empatia. Tutto ciò che Olympia non voleva. Avrebbe voluto rabbia, avrebbe voluto scenate con tanto di urla, ma non comprensione. Non sentirsi una vittima quando lei era stata la carnefice, in tutto e per tutto. Avrei potuto fare diversamente. Avrei potuto valutare altre strade, cercare di ferire meno persone. Con il senno di poi, si dice che avrebbe potuto fare tante cose, ma ormai l'unica cosa è accettare la realtà e cercare di ripartire dal presente. « Vorrei che non la facciate tutti così semplice. » Vorrei semplicemente che qualcuno mi dia un sonoro schiaffo e che mi urlasse in faccia quanto faccio schifo. E' il suo subconscio a parlare, perché è così che si sente. Come una bambina che ha appena fatto una delle sue marachelle e che va punita, per darle una lezione in futuro. Un bello schiaffo sulle mani. Un "Così impari." Egoisticamente parlando, qualsiasi cosa le faccia passare quel senso di colpa galoppante. Sente che il padre si sta preparando a ribattere qualcosa, perciò taglia corto. « No, lascia perdere. E' la stanchezza a parlare. » Dice, interrompendo quello che è certo sarebbe uno dei suoi tipici e bellissimi discorsi di incoraggiamento, uno di quelli che solitamente amerebbe sentirsi fare, ma non in quel preciso istante. Lui brontola qualcosa e lei fa finta di nulla. « Grazie per l'informazione. Ci vediamo...- ..quando? Sono mesi che cerchi di evitare qualsiasi pranzo o cena in famiglia. « Ci vediamo. Buona giornata. » Attacca velocemente, così da poter trarre un bel respiro. Si guarda intorno, mentre si gratta la nuca con le unghie. Poi si fa una coda, guardandosi allo specchio. La tira su alla meno peggio, mentre cerca qualcosa nell'armadio. Ma esiste davvero un vestiario adatto per chiedere scusa? Scuote la testa, rassegnata, indossando la prima gonna che le capita a tiro, con una semplice maglia a maniche lunghe sopra. Con la punta della bacchetta puntata verso la cucina, riempie la ciotola di Willy di croccantini, per poi lasciare un post it attaccato alla porta di Zura, giusto per non farla preoccupare se non tornerà per cena. Prende la borsa, facendo attenzione ad avere tutto al suo interno. Si dà un'altra occhiata, passando davanti alla vetrata che dà sul terrazzo/serra. Fa una smorfia e si scioglie i capelli prima di uscire.
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    Bussa due volte e si guarda intorno, impaziente, con i palmi delle mani intenti a lisciare il tessuto della gonna, già perfettamente al suo posto. Ma c'è anche quella piccola pieghetta che va aggiustata. Sente i passi al di là della porta e per un attimo desidera tornare indietro, alla postazione passaporte, per tornarsene a casa. Stringe i pugni e socchiude le palpebre, come a volersi concentrare tanto da calmarsi. Ma sa che lo farà soltanto a cose fatte, soltanto quando gli argini cadranno. La porta di legno si apre e il viso della mora compare di fronte i suoi occhi. Accenna un mezzo sorriso Olympia, mentre vorrebbe allungarsi, stranamente, ad abbracciarla. Ma non lo fa. « Ciao, spero di non disturbarti. » E' invece tutto quello che le esce di bocca, mentre la guarda dritta negli occhi. « So che, con ogni probabilità mi starai odiando con ogni fibra di te stessa, ma vorrei che mi ascoltassi soltanto. Giusto qualche minuto, non di più, se non vorrai. Davvero. » Gli occhi verdi la implorano di ascoltarla. « Mun, ho fatto un casino, di dimensioni epocali, lo so e le mie scuse sono inutili, dopo aver visto tutto il tuo lavoro andare in fumo davanti agli occhi, ma mi dispiace, dal più profondo del mio cuore. Niente di ciò che ho fatto l'ho fatto a cuor leggero, non dopo la commozione che il tuo affidarmi un compito tanto importante mi ha provocato, e stare qui, a farti la lista dei buoni motivi per cui invece ho dovuto rovinare tutto mi sembra inutile. Tu sai già come lo Shame ragiona, come gioca, come sa toccare i giusti tasti, lasciandoti con la paura vivida e quella cocente incertezza che possa davvero fare del male alle persone che ami. » La voce si incrina, per un istante, mentre continua a spostare il peso da una gamba all'altra, lì sotto quel portico. « Però ho un'altra lista per te. » Infila una mano nella tracolla, per poi tirare fuori un foglio che dispiega di fronte agli occhi della mora. « Sono le dieci locations nel Regno Unito che più somigliano a Balmoral Castle. Già mi sono messa in contatto con quattro di queste, come puoi vedere..- le indica i nomi che ha una parentesi a fianco -..e sarebbero disponibili per quel periodo. Inoltre, ho un piano. Tutta la famiglia è pronta a dare una mano per le decorazioni, le bomboniere, ogni minima cosa tu voglia. » Parla come una macchinetta, senza quasi respirare tra una parola e l'altra, per paura che Mun possa interrompere quel flusso di coscienza continuo. « E io mi occuperò di rimettere i fondi, sia per la location che per il tuo vestito...» Il ricordo di quel abito meraviglioso fatto a pezzi, il simbolo che doveva essere per Mun, la mette a disagio, tanto da costringerla ad abbassare gli occhi, sfuggendo a quelli di lei. « Ho fatto dei turni in più per Wilde e i miei si sono già fatti avanti per pagare il resto. » Si sente arrossire, mentre il senso di vergogna nel dovere accettare i soldi dei suoi la prende. Ma mandare giù il proprio orgoglio, in fondo, è ciò che va fatto, alle volte, per il bene di coloro a cui si tiene davvero. « Ti prego, Mun..mandami a quel paese, urlami contro, prendimi pure a schiaffi, se con questo posso aiutarti in minima parte..» prende fiato, tornando a guardarla. « Ma dì qualcosa. »
     
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    « Vi state forse chiedendo cosa state vedendo, non è così? Balmoral Castle che prende fuoco, con tutto ciò che vi era al suo interno. Vi do qualche indizio? Matrimonio dell'anno? Coppia più famosa di Wiztagram? Cominciate a capire? In esclusiva, il matrimonio Almun che va in fumo, signori e signore. Era tutto così perfetto, studiato nei minimi dettagli che quasi ci dispiace che non vedrà mai la luce. Che nessuno potrà mai vedere il capolavoro che Mun aveva messo in piedi per il suo grande giorno. Perché io, Betty e Theodora abbiamo solo fatto ciò che andava fatto. » Il video era stato cancellato in fretta e furia dal profilo di Olympia. Come avrebbe potuto essere altrimenti. Era orribile. Ciò che lei e Betty erano state costrette a fare durante quel sabato che difficilmente avrebbero dimenticato, era tutto fuorché glorioso. Il video era stato tuttavia più e più volte ricaricato da vari account durante i giorni successivi, e Mun aveva ricevuto diversi messaggi in merito oltre che diversi tag. Il suo cellulare sembrava esplodere ed ad ogni notifica il suo cuore sussultava per paura che si trattasse di quella dannata app. Lo Shame tuttavia sembrava esser entrato in una fase dormiente. Nessun messaggio, nessuna comunicazione. Dopo quel sabato non si era più fatto sentire né per darle la caccia, né per congratularsi con lei, né tanto meno per deriderla come si sarebbe aspettata. Tutto tacque di colpo. Ciò che era successo è che alla fine era tornata a casa. Fredda, distante, come in una sorta di trance, dispersa in un mare di pensieri che sembravano avere tutta l'aria di rientrare in un circolo disfattista vizioso. Un giro masochista della morte e dell'apatia. Un'amara autodistruzione dalla quale era lentamente uscita solo grazie ai bambini. Con Jay e Lily tentava di sorridere, comportarsi in maniera normale. L'affetto con cui Jay l'aveva accolta appena Albus l'aveva riaccompagnata a casa, le aveva spezzato il cuore. Quel dolce abbraccio, accompagnato dalla sua voce squillante l'aveva distrutta. Per un momento aveva realizzato che nemmeno nei paraggi di quel esserino così minuscolo e bisognoso di affetto riusciva a discostarsi dai terribili pensieri che sembravano sospingere la sua mente in un circolo ossessivo compulsivo. Poi erano arrivate quelle notifiche; una Mun seduta sul divano con una sigaretta tra le dita e un bicchiere di vino nell'altra mano, aveva continuanto a schiacciare il pulsante del replay per tutta la notte, incapace di prendere sonno, incapace di distogliere lo sguardo da quelle immagini, come rapita. Non provava dolore, né delusione, né rabbia. Era come se qualunque cosa ci fosse stato lì dentro, nel suo animo, quella scintilla di ribellione che aveva dato inizio a tutto, fosse completamente scomparsa. Stava soccombendo, preda dell'apatia e all'indifferenza, mentre innumerevoli volte osservava le dolci figure di Betty e Olympia, intente a decretare la disfatta dei suoi sogni. Era come vederle sotto una luce completamente diversa, come se, qualunque cosa l'avesse sospinta ad avvicinarsi a loro in passato, ora la portava a osservare con un misto di disgusto e delusione. Qualcun altro al suo posto avrebbe reagito in modo completamente diverso; qualcun altro avrebbe semplicemente deciso di prendere posto sul lettone al fianco della sua dolce metà, e dormire - avrebbe dovuto dormire così tanto da dimenticare persino come fosse essere svegli. Ma Mun, sembrava non riuscire a prendere sonno; ogni qual volta chiudesse gli occhi vedeva Lui, ogni qual volta le voci squillanti dei bambini o il suono melodioso della voce di Albus s'interrompessero, Mun sentiva Lui. Un movimento repentino del vento era Lui, una finestra che si sbatteva al piano di sopra è Lui. Ogni notifica è lo Shame, e quindi è Lui. Tutto attorno alla giovane Carrow sembrava animarsi nuovamente in condizione del dio della morte. Il suo dio della morte; dopo tutto quel tempo era ancora suo. Nella sua mente quella precisa combinazione di parole era ormai una locuzione. Più parole funzionanti come unità grammaticale e lessicale. Il suo dio della morte. « Matrimonio dell'anno? Coppia più famosa di Wiztagram? Cominciate a capire? In esclusiva, il matrimonio Almun che va in fumo, signori e signore. Era tutto così perfetto, studiato nei minimi dettagli che quasi ci dispiace che non vedrà mai la luce. Che nessuno potrà mai vedere il capolavoro che Mun aveva messo in piedi per il suo grande giorno. Perché io, Betty e Theodora abbiamo solo fatto ciò che andava fatto. » Stop, per l'ennesima volta. Lo ha visto così tante volte che ormai lo conosce a memoria. Se sapesse disegnare, sarebbe in grado di catturare ogni sfumatura di ciascuna fiamma, l'esatta nunce del cielo, i riflessi dorati che s'infrangono sul suo prezioso vestito. Se ci fosse uno strumento in grado di emulare gli esatti suoni di ogni strappo della leggiadra stoffa, Mun saprebbe riprodurli alla perfezione. Se fosse un'abile conoscitrice della musica, saprebbe riprodurre le precise note delle diverse intonazioni del discorso di Olympia. Potrebbe scrivere e riscrivere su decine di rotoli di pergamena il suo discorso. Lo sta facendo. E' ciò che sta facendo.
    Sul bancone della cucina ci sono decine di fogli. Alcuni riproducono quel discorso. Altri riproducono sprazzi del discorso dello Shame. Altri ancora sono pieni di scarabocchi. Simboli che pensa di aver visto durante quel sabato. C'è un breve fascicolo di Byron Cooper. No; non del Byron Cooper che tutti conoscono, ma di quello che lo Shame le ha mostrato durante la notte degli orrori. Per una qualche ragione, Mun ha continuato a pensare a lui. Ci ha pensato in maniera così maniacale da giungere a odiarlo con ogni fibra del suo corpo. Lo odia così tanto che.. Il campanello suona di scatto. E Mun sobbalza sullo sgabello. Non è una notifica. E' il campanello di casa. Lo sguardo corre istintivamente verso il piano superiore dove Albus si è addormentato in compagnia di Lily e Jay nella loro camera da letto. Mun è rimasta con loro per un po', dimostrandosi altrettanto stanca, prima di sgattaiolare di sotto nell'esatto istante in cui le palpebre delle tre persone più importanti della sua esistenza si erano fatte così pesanti da crollare in un sonno profondo. Era rimasta a osservare per un po' i grandi occhini e le guance paffute di Lily che era rimasta sveglia e vigile molto più dei due maschi della famiglia, quasi come se, a sua volta non volesse prendere sonno. Non sembrava agitata, ma in un certo qual modo quegli occhioni sembravano a volte più consapevoli di quanto la stessa Mun volesse ammettere. Alla fine però, persino la piccola Lily si era arresa e sotto le dolci carezze della madre era lentamente crollata stringendosi al petto del padre che allungato un braccio, aveva stretto entrambi gli infanti sotto la propria ala. Mun aveva stampato un bacio sulla sua fronte, prima di scendere di sotto e riprendere quel giro pericolosamente malato; un girone che sembrava proseguire di nascosto, quasi per paura che qualcuno potesse accorgersi del fatto che stava tutto fuorché bene. Si precipita istintivamente verso la porta, dopo aver raccolto in fretta e furia i fogli, riponendoli in fondo a un cassetto con l'ausilio della bacchetta, ritrovandosi poco dopo di fronte alla figura minuta di Olympia Potter. Ha il volto stanco, gli occhi gonfi, ed è chiaro che vorrebbe essere in qualunque altro posto tranne che là. Non può biasimarla. Anche Mun vorrebbe essere ovunque tranne che dove si trova; vorrebbe non esserci proprio. Sparire. Di scatto realizza di sentirsi pesante, inutile, sterile. Non c'è più quella leggerezza che ha contraddistinto la sua vita prima e durante la gravidanza; non c'è più nemmeno la gioia e la dolce stanchezza che hanno provato una volta riportata a casa Lily, nei suoi primi mesi di vita. C'è solo sconforto.
    « Ciao, spero di non disturbarti. So che, con ogni probabilità mi starai odiando con ogni fibra di te stessa, ma vorrei che mi ascoltassi soltanto. Giusto qualche minuto, non di più, se non vorrai. Davvero. » La piccola Olympia. Prima di essere la sorella del suo fidanzato, Olympia è stata la ragazza di suo fratello. Mun ha provato una cieca gelosia nei suoi confronti. Da una parte una Potter - il nemico per antonomasia secondo i precetti dei suoi genitori - dall'altra la figura che stava cercando di rubarle le attenzioni del fratello. Tra Jude e Olympia non c'è mai stato un granché, anzi, ad essere onesta, Mun non capiva nemmeno per quale ragione stessero insieme. Odiarla in virtù di vecchi dissapori e preconcetti sarebbe stato davvero facile, lasciarsi traviare dal veleno che lo Shame si era impegnato di mettere tra loro sarebbe stato estremamente agevole. La piccola Olympia aveva tutte le caratteristiche per essere la sua nemesi per antonomasia. Brava a scuola, bellissima, con un carattere non indifferente e idee ben specifiche in merito a tanti argomenti. Aveva una personalità, cosa che mancava a tante donne nell'ambiente in cui entrambe, volenti o nolenti, sono cresciute. Olympia si batteva per tante cose, era una Senior e aveva un certo carisma tipico dei Potter. Sì; odiarla indipendentemente sarebbe stato estremamente facile. Eppure, la verità è che non la odiava, né serbava ranconare nei suoi confronti e in quelli di Betty. Sembrava che le sue azioni fossero passate in secondo piano, così come il matrimonio, la sua vita, le sue gioie e le preoccupazioni quotidiane. Tutto fluttuava lontano, tra i disegni intricati che la sua mente compiva verso altri lidi e altri tempi diversi. « Mun, ho fatto un casino, di dimensioni epocali, lo so e le mie scuse sono inutili, dopo aver visto tutto il tuo lavoro andare in fumo davanti agli occhi, ma mi dispiace, dal più profondo del mio cuore. Niente di ciò che ho fatto l'ho fatto a cuor leggero, non dopo la commozione che il tuo affidarmi un compito tanto importante mi ha provocato, e stare qui, a farti la lista dei buoni motivi per cui invece ho dovuto rovinare tutto mi sembra inutile. Tu sai già come lo Shame ragiona, come gioca, come sa toccare i giusti tasti, lasciandoti con la paura vivida e quella cocente incertezza che possa davvero fare del male alle persone che ami. » Sospira affondo Mun, quasi spazientita. Non riesce a empatizzare con il dolore di lei, quasi come se le scivolasse di dosso. « Non c'è bisogno Olympia, davvero. Va bene.. » Va bene così. Non ce l'ho con te. Non m'interessa. Non è colpa di nessuno. Tutte quelle cose le direbbe se solo la rossa non la interrompesse prima di poterle dire. « Però ho un'altra lista per te. Sono le dieci locations nel Regno Unito che più somigliano a Balmoral Castle. Già mi sono messa in contatto con quattro di queste, come puoi vedere.. e sarebbero disponibili per quel periodo. Inoltre, ho un piano. Tutta la famiglia è pronta a dare una mano per le decorazioni, le bomboniere, ogni minima cosa tu voglia. E io mi occuperò di rimettere i fondi, sia per la location che per il tuo vestito.. Ho fatto dei turni in più per Wilde e i miei si sono già fatti avanti per pagare il resto. » Ma Mun in tutta risposta non sembra dire niente. È sprofondata in un giro di silenzio apatico dal quale non riesce e sembra non avere nemmeno voglia di uscire. « Ti prego, Mun..mandami a quel paese, urlami contro, prendimi pure a schiaffi, se con questo posso aiutarti in minima parte.. Ma dì qualcosa. » Di fronte a quella straziante preghiera qualcosa sembra incrinarsi sul volto di Mun, ma solo per un istante. La giovane Carrow sa cosa significa essere incriminati di qualcosa. Sa che cosa significa essere accusati di aver rovinato la vita altrui. Io ho rovinato tante vite, e per questo, Olympia, io non posso accusare né te né Betty per aver distrutto qualcosa di mio. Sarebbe da ipocriti. « Voglio vederla.. la location. Se non ti dispiace. » Un tono morbido eppure estremamente apatico. « Non queste. » Asserisce posando su un tavolino dietro la porta la lista che Olympia le ha mostrato, senza nemmeno darle un'occhiata. « La mia. Voglio vedere la mia. » Continua, osservandola con pacatezza, studiando le sue reazioni. « Ti dispiacerebbe accompagnarmi? » Sfila dal quadro delle chiavi, quella della macchina, mostrandole un leggero sorriso spento, prima di farle strada con un cenno della mano. Dopo di te.

    Dopo aver lasciato un biglietto per Albus, Mun ha condotto Olympia lungo un percorso alternativo fino al grande garage sotterraneo della città, appena fuori dalle mura. Oltre il limitare di quelle recinzioni, nessun veicolo a quattro ruote faceva il suo ingresso a meno che non vi fosse richiesta specifica. Gli abitanti di Inverness sembravano piuttosto gelosi della propria quiete. Già il ronzare della moto di Albus, così come di altri mezzi a due ruote, avevano più e più volte fatto perdere la pazienza a più di uno degli abitanti più anziani della città. Giunte di fronte al veicolo, Mun sale al voltante, aprendo la portiera del sedile del passeggero per Olympia, facendole cenno di salire, prima di accendersi una sigaretta mettendo in moto l'Impala color blu pallido. Una macchina ronzante, che si portava appresso almeno 50 anni di storia, e che pure, sembrava ancora fare le fusa come una macchina appena uscita da un concessionario. « L'ho visto il video.. » Asserisce infine buttando fuori il fumo della sigaretta, osservandola con un leggero ribrezzo. Non dovrebbe fumare. Non dovrebbe farlo - non per sé stessa, ma per Lily, eppure per un motivo che non sa spiegarsi, porta nuovamente la sigaretta alle labbra.
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    « L'hanno ricaricato più e più volte, e per quanto io abbia tentato di richiedere la sua cancellazione, continua a ricomparire. » Nulla scompare davvero dalla rete. Un leggero sorriso compare sul suo volto mentre fissa lo sguardo sulla statale deserta di fronte a sé. « Mentre lo guardavo mi sono ricordava una cosa importante: io non ho mai voluto sposarmi. Non volevo figli - a dirla tutta odiavo i bambini, e non avevo la minima intenzione di restare alla mercé di un uomo. Sfornare per lui tante piccole miniature di se stesso, di cui lui si sarebbe vantato quasi come se a partorirli fosse stato lui non rientrava nelle mie prerogative. » Scuote la testa piuttosto divertita dall'idea e dalle sue stesse convinzioni di un paio di anni fa. Le convinzioni di Mun, prima di innamorarsi di Albus erano state completamente diverse. Solo ora si accorge che in un certo qual modo si è avvolta volontariamente in una bolla, consapevolmente decisa a non vedere più il mondo attorno a sé, perché affrontarlo da sola era troppo spaventoso. Scoppia istintivamente a ridere. Una risata amara che ha un che di spaventoso. Non c'è nulla di divertente in quello stato d'animo e nella tensione che si respira nell'abitacolo della macchina. « Quando tuo fratello ha tentato di dirmi per la prima volta che lui e Jay avevano bisogno di una situazione.. stabile io sono andata nel panico. Questo ragazzino stupido e irriverente - lo stesso che mi ha dato il tormento da piccola e che ho visto per anni con altre - mi chiedeva di prendere una posizione nei confronti di una famiglia che lui già aveva ed io.. » Sospira affondo ridendo ancora di gusto. « ..io ero sul punto di scappare. » Si stringe nelle spalle. Non sembra vergognarsi di quella confessione. « Persino quando ti ho vista percorrere la navata in abito da sposa dentro di me ho pensato fosse sciocco. Avevi solo diciotto anni. Perché volersi sposare così presto? Ricordo ancora quanto eri bella.. Eri così felice.. ed io - pur portando già la figlia di tuo fratello in grembo - sotto sotto non capivo perché. » Mun ha piagnucolato durante lo scambio di promesse tra Rudy e Olympia, si è emozionata così tanto che non è riuscita a trattenere le lacrime. « E poi ho iniziato a lasciarmi.. tentare.. dal bozzetto che avevo preparato da piccola più per la gloria di essere il centro del mondo per un giorno, che pensando al desiderio di sposare l'uomo di miei sogni. Mi sono lasciata tentare dai diamanti che vedevo nelle vetrine dei gioiellieri, dall'idea di dover sbattere in faccia a tutti che noi ci apparteniamo. » Si stringe nelle spalle riservando questa volta alla strada di fronte a sé un sorriso più tenero. « E poi Albus è Albus. Quando lo conosci davvero non puoi fare a meno di volere tutto ciò che ha da offrirti. » Io ho fatto questo. L'ho inglobato e mi sono lasciata inglobare, a tal punto che ormai è un'estensione di me stessa. « La verità è che nel matrimonio io non ci ho mai creduto. » Ho iniziato a credere nel matrimonio con Albus. Ma.. questa è più una vostra predisposizione che mia. Questa idea di famiglia che i Potter-Weasley avevano era fuori dalla portata di Mun. Non la comprendeva e non ne capiva il senso fino in fondo. Era certa che le cose fossero destinate a consumarsi, a finire. Modelli e stili di vita diversi avevano portato la piccola Carrow ad avere idee molto diverse in merito. « I tuoi sono stati più eloquenti nelle loro impressioni sul mio conto di quanto tu possa pensare.. » E come se improvvisamente quel discorso stia prendendo una piega diversa. Come se qualcosa si stesse incrinando. « Forse in fondo hai fatto la cosa più giusta e doveva andare così.. forse in fondo.. » Forse in fondo tu Albus l'hai salvato. Forse ci hai salvati entrambi. « ..in fondo io non sono Rudy e Albus non è te.. » Si inumidisce appena le labbra scuotendo la testa con un moto che sembra celare un velo di rabbia. « Non siamo la golden couple che tutti vogliono dipingere.. e un sacco di gente sotto sotto l'ha capito. » Hanno capito che non siamo brave persone. Che forse in fondo noi non ce lo meritiamo. « Angelina ci ha visto lungo in merito.. anche nonna Molly, finché non si è lasciata abindolare dall'idea dell'arrivo di Lily. Persino tuo padre. Cavolo - mai dubitare dell'istinto innato di Harry James Potter. » Man mano che l'Impala avanza lungo la strada verso Balmoral Castle l'aria si fa più pesante. « Eppure di colpo tutti si sono fermati. Dai giudizi, dall'infierire. Di colpo - la golden couple. Tutti, nessuno escluso - se non contiamo il popolo di internet - ha smesso coi giudizi. Tutti i nostri amici, i tuoi genitori, i tuoi zii, i tuoi cugini, i miei fratelli - » Stringe le dita attorno al volante portandosi nuovamente la sigaretta alle labbra. « Spiegami Olympia, che cos'è che rende ai vostri occhi così appetibile l'idea del matrimonio? » La macchina si ferma poco dopo che Mun ha posto quella domanda. Si slaccia la cintura di sicurezza e osserva lo spettacolo della tenuta inglese ormai diventata in parte cenere. Povere alla povere. Riesce a individuare tutta l'ala nord in lontananza; il tetto è crollato così come alcuni muri della sala principale. Per un istante gli occhi di ghiaccio si fissano su quell'immagine prima di abbassare lo sguardo sulle proprie unghie. Non ha più la perfetta manicure di sempre; solo unghie leggermente mangiucchiate e dallo smalto scheggiato. Si sta lasciando andare. È colta dalla rabbia, dalla frustrazione. Sotto sotto si chiede per quale ragione in un modo o nell'altro le cose sono destinate ad andare male. « Vuoi fare qualcosa per me, Olympia? » Le chiede di scatto volgendo per la prima volta gli occhi di ghiaccio in direzione della rossa. Spenti, freddi, apatico. « Ti dirò cosa faremo: ora scenderemo da quest'auto e tu mi racconterai pezzo per pezzo tutto ciò che è successo, ogni movimento, ogni messaggio - voglio sapere tutto. Voglio che tu me lo mostri, man mano che vedrò cosa ne è rimasto. » Voglio rivivere tutto come se fossi stata là. In una situazione diversa, Mun le avrebbe semplicemente di mostrarle quel ricordo, ma forse sotto sotto, oltre a voler sapere tutto, Mun sente il bisogno di punire Olympia pur sapendo che non è stata colpa sua. « Credi di poterlo fare? »



     
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    « Non c'è bisogno Olympia, davvero. Va bene.. » Per qualche istante, si rispecchia negli occhi di lei e non vede altro che indifferenza. Fredda e placida noncuranza, così poco tipica della ragazza che ha di fronte. L'ha vista urlare, sbracciare, arrabbiarsi con ardore, in passato, specie quando le veniva fatto quello che lei riteneva essere un torto. E ciò che le ha fatto lei è un torto, bello grande, un qualcosa per cui preferirebbe vederla su tutte le furie che così calma e forse, sconfitta dagli eventi. Reagisci, cavolo, fallo! « Voglio vederla.. la location. Se non ti dispiace. » Fa per farsi avanti, annuendo, per indicarle già quale preferisce tra quelle in lista, quando la vede riporre il foglio al di là dell'uscio, al di fuori della sua portata. Aggrotta le sopracciglia, per qualche istante, prima di capire. « Non queste. La mia. Voglio vedere la mia. Ti dispiacerebbe accompagnarmi? » Si studiano, in silenzio, per qualche istante, come due animali che si incontrano per la prima volta. Ognuno guarda la reazione dell'altra, come a voler trarre da ciò le dovute considerazioni. E alla fine la rossa annuisce, senza proferir parola, se non un borbottio indecifrabile. Ed è silenzio che passano i primi istanti in quella macchina. La testa della rossa piena di domande. Si chiede perché ci tiene tanto a vedere un castello quasi completamente distrutto, in cui rimangono soltanto le rovine del fasto dei tempi andati. Si chiede perché abbia bisogno di fare quel viaggio e se sia tutta una tacita prova per testare la sua fermezza mentale. Si domanda anche, in mezzo a quel marasma di pensieri, da quand'è che Mun abbia la patente. « L'ho visto il video.. » Le fa strano persino vederla fumare ed è sulla sigaretta che si concentra, mentre lei parla. « L'hanno ricaricato più e più volte, e per quanto io abbia tentato di richiedere la sua cancellazione, continua a ricomparire. » Stringe le labbra, in una smorfia, prima di alzare lo sguardo sul profilo di lei che, mai prima di quel momento, nemmeno nei suoi momenti di reginetta Serpeverde, ha visto essere così contratto, algido e austero. Non c'è più la parvenza di emozione sul suo volto e Olympia riesce a sentirla come propria quella sensazione di freddo congelante. « Lo so, io ho provato anche con la Polizia Postale Magica, ma non è servito a molto. La gente si diverte davvero con poco. » Commenta, in un sussurro distratto, mentre si volta verso il finestrino. Negli occhi smeraldini comincia a riflettersi il profilo delle case a cui passano vicino. « Si ciba di dolore, di dicerie e cattiveria. » La gente mi disgusta. Un risoluto giudizio, quello, che esce ben più sicuro della prima affermazione. Mai, come in quell'ultimo periodo, si è sentita così sola al mondo, nel vedere quanto la voglia di seminare odio e cattiveria prevalga in moltissime persone, specie in quelle che girano sul mondo del web. « Mentre lo guardavo mi sono ricordava una cosa importante: io non ho mai voluto sposarmi. Non volevo figli - a dirla tutta odiavo i bambini, e non avevo la minima intenzione di restare alla mercé di un uomo. Sfornare per lui tante piccole miniature di se stesso, di cui lui si sarebbe vantato quasi come se a partorirli fosse stato lui non rientrava nelle mie prerogative. Quando tuo fratello ha tentato di dirmi per la prima volta che lui e Jay avevano bisogno di una situazione.. stabile io sono andata nel panico. Questo ragazzino stupido e irriverente - lo stesso che mi ha dato il tormento da piccola e che ho visto per anni con altre - mi chiedeva di prendere una posizione nei confronti di una famiglia che lui già aveva ed io....io ero sul punto di scappare. » Il ghiaccio di cui è impregnata la sua risata la mette a disagio, ma continua ad ascoltare quello che appare alle sue orecchie come un chiaro sfogo. « Persino quando ti ho vista percorrere la navata in abito da sposa dentro di me ho pensato fosse sciocco. Avevi solo diciotto anni. Perché volersi sposare così presto? Ricordo ancora quanto eri bella.. Eri così felice.. ed io - pur portando già la figlia di tuo fratello in grembo - sotto sotto non capivo perché. » E il disagio cresce, mentre sente le guance andarle a fuoco ed è un bene che la mora non possa vedere quanto sia imbarazzata in quel preciso istante, nel ricordare quanto si ritrovi in tutte le parole di lei. Non aveva mai davvero voluto sposarsi, non prima di aver assaggiato quel di più che Rudy le aveva servito, su un piatto d'argento, insieme al suo cuore. La donna, dalle convinzioni forti e matriarcali, che descrivere Mun è anche lei stessa. La se stessa che si era sentita in colpa la prima volta che aveva provato il suo abito da sposa verde pastello. La stessa che si era vergognata persino di raccontare ai suoi stessi parenti, per i primi mesi, di quella strampalata proposta di matrimonio. La stessa che, in quel momento, si rivede nei propri ricordi, mentre attraversava il corridoio infiorato, al braccio di Albus. Felice come non crede di essere più stata. « E poi ho iniziato a lasciarmi.. tentare.. dal bozzetto che avevo preparato da piccola più per la gloria di essere il centro del mondo per un giorno, che pensando al desiderio di sposare l'uomo di miei sogni. Mi sono lasciata tentare dai diamanti che vedevo nelle vetrine dei gioiellieri, dall'idea di dover sbattere in faccia a tutti che noi ci apparteniamo. E poi Albus è Albus. Quando lo conosci davvero non puoi fare a meno di volere tutto ciò che ha da offrirti. La verità è che nel matrimonio io non ci ho mai creduto. [..] Forse in fondo hai fatto la cosa più giusta e doveva andare così.. forse in fondo...in fondo io non sono Rudy e Albus non è te.. [..] Spiegami Olympia, che cos'è che rende ai vostri occhi così appetibile l'idea del matrimonio? » Stringe forse il pugno, mentre le lancia un'occhiata. Tutto quel suo intero discorso le fa male, talmente male da volerle urlare contro che non sa assolutamente nulla. Che il matrimonio è solo un'enorme cazzate, che non c'è niente di vero nelle stronzate che si dicono quel giorno, perché poi, che senso hanno, se basta una notte per lasciare un bigliettino dove si chiede scusa, per poi volatizzarsi nel nulla? « Vuoi fare qualcosa per me, Olympia? » Le chiede di scatto volgendo per la prima volta gli occhi di ghiaccio in direzione della rossa. Spenti, freddi, apatico. « Ti dirò cosa faremo: ora scenderemo da quest'auto e tu mi racconterai pezzo per pezzo tutto ciò che è successo, ogni movimento, ogni messaggio - voglio sapere tutto. Voglio che tu me lo mostri, man mano che vedrò cosa ne è rimasto. Credi di poterlo fare? » C'è una parte di sé che probabilmente già sapeva dove sarebbe andata a parare, una volta fermate davanti Balmoral Castle. Ed è forse per questo che ha accettato, nel capire che quella non sarebbe stata solo una punizione ma anche un sollievo per Mun. Senti dire altro, slaccia la cintura ed esce fuori, all'aria aperta. Il fuoco si è mangiato gran parte della struttura, con pezzi che cadono qua e là. L'aria le sembra ancora sapere di fumo e cenere. La vede ancora la nube nera, soffocante, che sovrasta il castello, alzandosi verso il cielo. « Credimi, è un bene che tu non sia Rudy e che Albus non sia me. E' un bene perché voi avete superato tempeste, siete stati al centro dell'occhio del ciclone e siete ancora in piedi. Contro i pregiudizi, contro gli insulti, contro le cattiverie, contro le Logge, siete ancora insieme. » Prende a dire, di punto in bianco, mentre le fa cenno di seguirla, verso l'entrata. « E devo ammettere di aver invidiato alcune volte mio fratello. Lui ha scavato in profondità e ha trovato la roccia in te, lasciando che i granelli di sabbia venissero spazzati via. Voi resistete, nonostante tutto. » C'è un sorriso amaro, mentre si apprestano ad entrare nel tunnel, dopo essersi accertata che non fosse più pericolante. « Sono rientrata a casa, quel Sabato pomeriggio e ho trovato un manichino, con un bigliettino, scritto di tuo pugno. C'era il mio abito da damigella e poi c'era la tua richiesta di vederci quella stessa sera, per un party pre matrimonio. » Le sopracciglia si tirano leggermente verso l'alto, mentre attraversano il corridoio che porta alla sala principale. Ovunque i suoi occhi si posano, vi è qualcosa di nero e corroso dalle lingue di fuoco, ma lei tira dritto, forse influenzata dall'apatia della mora alle sue spalle. « Tra l'altro, non ti ho mai ringraziato della fiducia che mi hai dato, nel volermi come damigella. A posteriori, gli eventi credo ti abbiano dato torto. » Si stringe nelle spalle, per poi proseguire. « Mi è arrivato un messaggio dello Shame, dove mi si chiedeva di indossare l'abito e toccare un bracciale che mi avrebbe condotto qui. Ha minacciato i miei fratelli, sapendo quanto sarei disposta a fare per loro. » Darei persino la vita. Arrivano alla sala dove c'era il tavolo degli sposi, con al centro il meraviglioso abito di Mun. « Sono arrivata qui e mi ha chiesto di ricordarmi ogni dettaglio che mi circondava, in attesa di Betty e Theo. E così ho fatto. Ho visto il tuo abito. » Si ritrova in mezzo alla stanza. « Qui. Ma non l'ho toccato, avevo paura persino di sporcarlo, anche se avevo capito che mi avrebbe costretto a rovinare tutto. Sapevo che voleva che registrassi ogni minimo particolare nella mia teesta perché poi sarebbe stato ancora peggio il dover distruggere tutto. Distruggere il tuo sogno, un pezzo alla volta..sapeva che mi avrebbe logorata nel profondo. E' furba. » Si lascia andare a quelle considerazioni, portandosi una mano alla tempia. « Poi sono arrivate le altre, vestite di tutto punto. Theo ha cominciato a blaterare qualcosa, come se avesse già avuto a che fare con lo Shame e se n'è andata. Io e Betty siamo rimaste qui e insieme abbiamo portato via il tuo abito, come ci ha detto. » Passa da quello che un tempo era un finestrone, andando verso il capanno degli attrezzi, unico stabile ancora interamente in piedi, nell'arco di metri. « Ci ha fatto usare le taniche di benzina, immaginavo per non lasciare tracce. Sbagliavo. » E' asettico e lontano il suo racconto, come un medico che sta dicendo alla moglie di aver perso suo marito sotto i ferri. Distante, senza sentimenti, senza alcun tipo di attaccamento. E' bravo in questo, Olympia, il rimanere distante dalle cose, tanto da sembrare di non essere assolutamente toccata dalle cose. L'ha imparato alla clinica, durante le sessioni di terapia, mentre le chiedevano di parlare dell'incidente, di cosa provasse e lei, dopo giorni passati a parlare di tutt'altro, ha cominciato a raccontare tutto, per filo e per segno, senza un minimo di coinvolgimento emotivo. Aveva raccontato di come avesse sentito le costole rompersi, contro l'asfalto, di come l'aria che respirava puzzasse di pneumatici bruciati e di come avesse provato quasi piacere nel chiudere gli occhi, mentre il rivolo caldo di sangue le colava dalla fronte. Ed è così che racconta tutto a Mun, scendendo in particolari, non risparmiandole nulla. Perché lei voleva essere lì, voleva immaginarsi tutto, attraverso le sue parole. Voleva essere presente mentre il matrimonio andava in fumo. « Abbiamo cominciato da lì, salendo sulla balconata. » Le indica il punto, ma non c'è altro che una montagna di calcinacci, ora, al suo posto. « Abbiamo fatto un lavoro veloce, ma pulito. Non abbiamo lasciato traccia e continuavamo a ripeterci che ti avremmo aiutata a rifare tutto, che sarebbe stato ancora più bello, che tu avresti capito quando ti avremmo detto perché l'avevamo fatto. » Come due stupide, ci siamo crogiolate nella speranza di ottenere la tua compassione. « Ma a lei non è bastato. Voleva ancora di più. Voleva mangiarci, pezzo dopo pezzo, come un tumore che avanza, corrodendo ogni cellula, per lasciarti alla fine senza vita. » Per la prima volta, vorrebbe avere i messaggi dello Shame sotto mano. Vorrebbe rileggerli, ad alta voce, per provare di nuovo qualcosa, perché credeva avrebbe sentito qualcosa, eppure, stare lì, davanti a quelle macerie, non le provoca nulla se non il pensiero di aver fatto il meglio per suo fratello. « Mi aveva detto che sarebbe caduto qualcuno, se non fossi riuscita a far fare a tutte ciò che diceva. Ma Theo se n'è andata, non ha voluto partecipare e io li avevo già perso. Ma speravo che avrebbe capito. Sbagliavo di nuovo perché qualcuno era caduto davvero. Sono apparsi due riquadri sul cellulare. In uno c'era Rudy, in gabbia, pieno di ferite. Nell'altro Fawn che cruciava Albus. » Solo in quel momento, la sua voce trema e lei abbassa lo sguardo, per puntarlo lì, dove si era accasciata, prima di vomitare fuori anche l'anima. « Urlavo che smettesse di fargli del male, ma mi ha fatto scegliere. » Si stringe nelle spalle, lanciandole un'occhiata, con un sorriso debole che le segna il volto. « E dopo averlo fatto, è venuto il momento del tuo abito. Voleva un'interpretazione da Oscar,
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    voleva che Betty fosse convincente nel dire cosa pensava veramente di te, mentre faceva a pezzi il pezzo di alta sartoria che avevi confezionato per il tuo grande giorno, voleva che io la filmassi, ma che poi raccontassi anche cosa avevamo fatto. »
    Si rivede lì, con Betty che tirava e strappava ogni centimetro e balza di stoffa. Si vede mentre lei dava alla mercé del web tutta quella finta cattiveria, atta soltanto a proteggere le persone a loro più care. « Abbiamo solo fatto ciò che andava fatto. » Si ritrova a farfugliare, mentre ripercorre il sentiero dei ricordi, citando quelle stesse parole. « Potrei starti a dire mille altre cose. Potrei dirti di nuovo che mi dispiace, perché ho fatto tutto questo con il cuore pesante, è vero, pensando a te e al tuo sogno. Ma io la vita di Albus la baratterei per qualsiasi cosa. Persino per la mia. Non avrei esitazioni a farlo. Perché la sua vita è una sola ed è ora. » Tutto il resto perde d'importanza, ai miei occhi. Le si lucidano gli occhi, per qualche istante, al ricordo di come si piegasse su se stesso, sotto le scariche della Maledizione Cruciatus. Di quanto avesse dovuto soffrire. Finito di fare la sua parte da macabra damigella, rimane in silenzio, per qualche istante, fin quando decide di non sedersi sul prato erboso, non toccato quasi minimamente dalle fiamme. Tocca i filamenti verdi, passandovi sopra il palmo della mano « Il matrimonio non è mai stato appetibile ai miei occhi, credimi. Siamo molto più uguali di quanto ci si possa aspettare. » Guarda di fronte a sé, un punto non ben definito tra le macerie. « Ma loro ti mettono il loro cuore su un piatto d'argento e tu come puoi dire di no? Come puoi rifiutare un'offerta così alta? Non ti interessa del matrimonio, è vero, ma poi ti lasci tentare. L'hai detto anche tu. Ti lasci tentare e speri per il meglio, perché sai che non proverai mai qualcosa di tanto forte. Perché sei convinta, nel bene o nel male, che lui è proprio quella persona. Non ne arriveranno altre, è lui. » Annuisce, pensando a Rudy. Pensando a quanto sia cambiato, nel corso di appena cinque mesi. Il tempo, il non pensarci, il riprendere a vivere la propria vita, nella più assoluta e completa tranquillità. « Ci sono ancora delle volte in cui mi capita di domandarmi se proverò mai qualcosa tanto forte o se sarò costretta ad un loop continuo di pallide ed inferiori imitazioni. » Lo sguardo, perso fino a quel momento, si sposta verso l'alto, verso gli occhi chiari di Mun. « E tu? Cosa pensi? Hai ancora paura e vorresti scappare via? In quanto tua.. mh, ex damigella, ti accompagnerei, ovunque tu voglia. Lontano da una famiglia seria e solida a soli diciannove anni, da tutte le responsabilità. Da tutto. » Le dice, alzando un sopracciglio. « Cosa vuoi fare, ora? »
     
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    « Credimi, è un bene che tu non sia Rudy e che Albus non sia me. E' un bene perché voi avete superato tempeste, siete stati al centro dell'occhio del ciclone e siete ancora in piedi. Contro i pregiudizi, contro gli insulti, contro le cattiverie, contro le Logge, siete ancora insieme. E devo ammettere di aver invidiato alcune volte mio fratello. Lui ha scavato in profondità e ha trovato la roccia in te, lasciando che i granelli di sabbia venissero spazzati via. Voi resistete, nonostante tutto. » Mun evita lo sguardo di Olympia per qualche istante. Di punto in bianco, per qualche istante, quel ghiacciaio incastrato nei suoi occhi tramortiti, sembra spezzarsi in mille granelli. Granelli di ghiaccio, non di sabbia. È questo ciò che Albus ha ricevuto per molto tempo da parte sua, questo ciò che a volte riceveva ancora. Nonostante quel lato sciocco e decisamente sdolcinato che Mun aveva scoperchiato in compagnia del padre dei suoi piccoli, vi era in lei ancora quella componente selvaggia, quel ritmo lento e violento del sadico persecutore alla ricerca della vittima perfetta, qualcosa che lo Shame aveva lentamente reiterato e risvegliato all'improvviso, qualcosa che a lungo aveva pensato fosse solo una reazione volontaria e soppesata a un ambiente e a delle circostanze in cui Mun si era ritrovata a vivere per molto tempo; ma non era così, no. Mun si era solo autoconvinta di essere cambiata, ma la verità è che una belva selvatica, addomesticato a colpi inflitti tanto fisicamente quanto psicologicamente, non perde mai il vizio. Tu hai invidiato me? Vorrebbe ridere, la piccola Carrow, ma lungo il percorso che insieme tracciano silenziosamente, inizia a vedere i primi segni di quella che è stata una vera e propria notte degli orrori. « Sono rientrata a casa, quel Sabato pomeriggio e ho trovato un manichino, con un bigliettino, scritto di tuo pugno. C'era il mio abito da damigella e poi c'era la tua richiesta di vederci quella stessa sera, per un party pre matrimonio. Tra l'altro, non ti ho mai ringraziato della fiducia che mi hai dato, nel volermi come damigella. A posteriori, gli eventi credo ti abbiano dato torto. » Eri la cosa più vicina a una sorella che mi restava - sulla carta. Mia sorella è morta, la mia migliore amica è.. delutisce con un moto di amarezza prima innumidirsi le labbra. È sul punto di dire qualcosa in merito, qualcosa di tagliente, di irrilevante, di spento, ma poi si trattiene, convinta che il racconto di Olympia è solo all'inizio. Ovviamente non aveva mai scritto quel biglietto, né tanto meno aveva intenzione di consegnare i vestiti da damigella così presto. Se per molte spose le damigelle sono un aiuto fondamentale per il matrimonio, per Mun erano solo una formalità. Non avrebbe comunque affidato nessun compito di importanza fondamentale a nessuno. Nessuno che la circodasse, nessuno che le fosse ancora rimasto accanto. Al pensiero si sentì estremamente sola; si accorse del fatto che con la scomparsa della sua persona aveva perso l'ultimo baluardo della fiducia che le era rimasto. Non sufficientemente ben disposta ancora a mettere i pezzi in ordine con la sua famiglia, tutto ciò che le restava erano quelle persone che vivevano nella sua casetta di Hogsmeade. Albus, Jay e Lily, gli unici esseri che, sembravano godere ancora al di là di tutto di tutta la sua fiducia e il suo incondizionato amore. Egoista e parsimoniosa coi sentimenti, Mun sembrava rendersi conto solo ora di aver poco altro da perdere. Tre anime contenute tra quattro mura erette in un paesello disperso, colmo di gente strana e inflessibile, era tutto ciò di cui non avrebbe potuto fare a meno. « Mi è arrivato un messaggio dello Shame, dove mi si chiedeva di indossare l'abito e toccare un bracciale che mi avrebbe condotto qui. Ha minacciato i miei fratelli, sapendo quanto sarei disposta a fare per loro. Sono arrivata qui e mi ha chiesto di ricordarmi ogni dettaglio che mi circondava, in attesa di Betty e Theo. E così ho fatto. Ho visto il tuo abito. Qui. Ma non l'ho toccato, avevo paura persino di sporcarlo, anche se avevo capito che mi avrebbe costretto a rovinare tutto. Sapevo che voleva che registrassi ogni minimo particolare nella mia teesta perché poi sarebbe stato ancora peggio il dover distruggere tutto. Distruggere il tuo sogno, un pezzo alla volta..sapeva che mi avrebbe logorata nel profondo. E' furba. Poi sono arrivate le altre, vestite di tutto punto. Theo ha cominciato a blaterare qualcosa, come se avesse già avuto a che fare con lo Shame e se n'è andata. Io e Betty siamo rimaste qui e insieme abbiamo portato via il tuo abito, come ci ha detto. » Il vestito. Gli occhi della Carrow si sollevano fino a incontrare la visione del manichino ormai sfatto in fondo alla sala, dietro al tavolo degli sposi. Del leggiadro vestito non ne è rimasto molto, solo pezzi di stoffa, a tratti bruciacchiati, a tratti malamente strappati. Immagini di quel video in cui Elizabeth Branwell lo facevano a pezzi tornano a corrodere la sua memoria. Mun segue con lo sguardo il racconto di Olympia man mano che lo porta avanti. Pensava che vederla crogiolarsi nel senso di colpa l'avrebbe fatta sentire meglio. Pensava che lasciandola rivivere ogni azione compiuta durante quella notte, l'avrebbe in un certo qual modo liberata dalla rabbia che si sentiva dentro. Ci aveva messo tutto se stessa per rendere quell'evento perfetto, non tanto perché si aspettava che i suoi invitati si pentissero finalmente di aver giudicato aspramente lei e il suo fidanzato, quanto più perché voleva che loro due si ricordassero quel giorno come il più bello della loro vita. Man mano che era andata avanti con i preparativi aveva pensato solo a questo: alla gioia che quei ricordi avrebbero scaturito nelle loro menti tra venti, trenta, quarant'anni, quando seduti nel loro porticato ormai esausti dalla vita, si sarebbero beati dei loro nipoti e pronipoti con la consapevolezza di aver vissuto una vita così bella e piena che nemmeno i ricordi più neri avrebbero potuto oscurarla. « Mi aveva detto che sarebbe caduto qualcuno, se non fossi riuscita a far fare a tutte ciò che diceva. Ma Theo se n'è andata, non ha voluto partecipare e io li avevo già perso. Ma speravo che avrebbe capito. Sbagliavo di nuovo perché qualcuno era caduto davvero. Sono apparsi due riquadri sul cellulare. In uno c'era Rudy, in gabbia, pieno di ferite. Nell'altro Fawn che cruciava Albus. Urlavo che smettesse di fargli del male, ma mi ha fatto scegliere. » Mun corruga di scatto le sopracciglia e azzarda un passo in direzione della rossa. « Come scusa? » Deglutisce appena mentre assottiglia lo sguardo piuttosto confusa. « Fawn? » Sospira pesantemente scuotendo la testa con un moto di rabbia. Tutti quella sera sono stati costretti a fare qualcosa di terribile; Mun non sa esattamente cosa hanno dovuto subire gli altri, perché si sono comportati in un modo piuttosto che in un altro. Sapeva che un motivo c'era, ma nonostante ciò l'evidenza restava una sola: Olympia e Betty hanno rovinato tutto ciò che vedeva attorno a sé, Fawn ha ridotto il suo fidanzato alla pallida ombra del ragazzo che era. Judah ha scelto di salvare Sirius al posto suo e Sirius probabilmente gli ha anche dato ragione. Traditori. « Abbiamo solo fatto ciò che andava fatto. Potrei starti a dire mille altre cose. Potrei dirti di nuovo che mi dispiace, perché ho fatto tutto questo con il cuore pesante, è vero, pensando a te e al tuo sogno. Ma io la vita di Albus la baratterei per qualsiasi cosa. Persino per la mia. Non avrei esitazioni a farlo. Perché la sua vita è una sola ed è ora. »
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    « Non ce l'ho con te per questo, Olympia.. » Taglia corto con uno sguardo eloquente osservandola per qualche istante prima di tornare a osservare con amarezza una delle tante allestite e ormai in rovina. « A dirla tutta.. se tu hai invidiato tuo fratello per ciò che noi abbiamo, posso dirti senza ombra di dubbio che io invidio te e lui. A me, mio fratello, non ha concesso la stessa ehm.. gentilezza.. che tu hai concesso al tuo. » C'è ironia in quelle parole. Gentilezza. Non c'era nulla di gentile in ciò che era successo a tutti loro quella sera. Eppure, Mun sembrava più arrabbiata. A lei, lo Shame non aveva concesso la stessa gentilezza che aveva concesso ad altri - mi ha lasciata combattere da sola, quasi a voler ricordarmi che io sono sola.
    « Il matrimonio non è mai stato appetibile ai miei occhi, credimi. Siamo molto più uguali di quanto ci si possa aspettare. Ma loro ti mettono il loro cuore su un piatto d'argento e tu come puoi dire di no? Come puoi rifiutare un'offerta così alta? Non ti interessa del matrimonio, è vero, ma poi ti lasci tentare. L'hai detto anche tu. Ti lasci tentare e speri per il meglio, perché sai che non proverai mai qualcosa di tanto forte. Perché sei convinta, nel bene o nel male, che lui è proprio quella persona. Non ne arriveranno altre, è lui. Ci sono ancora delle volte in cui mi capita di domandarmi se proverò mai qualcosa tanto forte o se sarò costretta ad un loop continuo di pallide ed inferiori imitazioni. » No. Non siamo uguali. Ma queste parole, Mun decide di tenersele per sé. « E tu? Cosa pensi? Hai ancora paura e vorresti scappare via? In quanto tua.. mh, ex damigella, ti accompagnerei, ovunque tu voglia. Lontano da una famiglia seria e solida a soli diciannove anni, da tutte le responsabilità. Da tutto. Cosa vuoi fare, ora? » Per un istante Mun la guarda quasi sorpresa. Non ha mai conosciuto Olympia sufficientemente da poter accertarsi di quanto le potesse piacere o meno. E' stata gelosa di lei, nel periodo in cui le aveva sottratto le attenzioni del fratello. La figlia del Prescelto che tutti ammagliava con i suoi bellissimi capelli rossi, dalle vivide guance e gli occhi espressivi. Una visione eterea per cui qualunque ragazzo avrebbe fatto ben volentieri a pugni. La sedicenne che con un fegato non indifferente, era scappata dall'Espresso di Hogwarts per andare chissà dove durante la stessa estate in cui tutti loro erano intrappolati inconsapevolmente in quella che sarebbe diventata la tomba di molti. La sedicenne eroina tornata poi a scuola gloriosamente solo per vedersi strappare da sotto il naso una carica che probabilmente le sarebbe spettata di diritto, poi ricompensata con una carica di rango ancora superiore, impegnata in un rapporto che aveva l'aria di avere i sapori e gli equilibri perfetti. Nessun figlio, liberi entrambi di perseguire separatamente le proprie strade senza preoccuparsi ancora di alcun impegno troppo vincolante. Dal punto di vista di Amunet Carrow la vita di Olympia Potter era perfetta - mai nell'occhio del ciclone, sufficientemente coraggiosa da dire la propria senza preoccuparsi di essere giudicata, indipendente, con un'infanzia quanto mai gentile alle spalle, nata e forgiata in seno a quella famiglia che Mun aveva imparato ad amare ed invidiare inconsapevolmente più di ogni altra cosa al mondo. Si stringe nelle spalle infine, allargando le braccia disperata. « Cosa voglio fare ora? Di certo non scappare. Io non posso scappare, e anche se fosse.. non voglio. » Non posso nemmeno credere che tu me l'abbia proposto.. nemmeno scherzosamente. « Perché dovrei.. ho da sistemare tante cose, a quanto pare. Ma tu non puoi aiutarmi, Olympia. Non voglio che tu mi aiuti. » Pausa. « Mi hai appena detto che la migliore amica del mio fidanzato è responsabile di ciò che gli è successo.. una persona.. una ragazza di cui sono stata gelosa in maniera quasi irragionevole per anni. Hai idea di cosa ho pensato di Fawn? Di cosa.. Anche solo il pensiero che potesse stargli attorno mi mandava in bestia, cazzo. E ora.. questo.. » Uno sbuffo che ha il sapore di una risata amara si trasforma di scatto in lacrime. Un attacco di panico.. di ansia, di rabbia.. tutto un tumulto di emozioni che sembra esplodere di scatto nello stesso momento in cui indietreggia di un passo rispetto alla rossa e poi di un altro. « Hai fatto ciò che dovevi fare, Fawn immagino, ha fatto ciò che doveva fare, anche Judah avrà fatto ciò che riteneva più giusto.. ma sappiamo tutti quanti che non tutti abbiamo fatto ciò che dovevamo fare sempre. Scommetto che anche i miei amici hanno fatto ciò che dovevano fare nel momento in cui Basil Greengrass ha deciso che io non andavo bene per il suo tirocinio all'inizio dell'estate. E' Mun.. se l'è meritato. E' questo ciò che ti becchi quando decidi di mettere in discussione lo "status quo". » Alza di scatto il tono della voce che risuona nella sala, mentre tira su col naso e scoppia a piangere. Un pianto di rabbia. Nemmeno tu Olympia hai sempre fatto ciò che dovevi fare. Tra tuo fratello e tuo cugino, hai deciso di non scegliere nessuno, accettando consapevolmente o inconsapevolmente, di scoprire un giorno che Albus lì sotto, poteva essere anche morto. Io li avrò messi l'uno contro l'altro, ma poi, tutti hanno deciso di non vedere più. Si sono dimenticati, se ne sono lavati le mani, come se lì sotto la gente non morisse istante dopo istante. Lì la mia vita e quella di tuo fratello non è contata, né per te, né per Jude, né per nessuno altro. « Ma ciò non toglie come Fawn ha ridotto Albus; o che questo - ciò che vedi - ..esiste. Non toglie il fatto che mio fratello ha scelto di lasciarmi da sola chissà dove per salvare il tuo di fratello. E forse voi altri.. voi gente per bene, siete così bravi a razionalizzare tutto quanto.. a dare un senso a tutto questo e a scusarvi per tutto, ma io non ci riesco. » Pausa. « Su una cosa hai ragione.. Lei ha vinto. Ha dimostrato a tutti quanti di essere deboli.. e insignificanti, ma soprattutto ipocriti. » Di scatto scoppia a ridere tra le lacrime osservandola con un moto di quasi compassione. Forse Mun era stata in grado di resisterle maggiormente perché in quel tipo di dinamiche ci era rimasta intrappolata per anni. Nonostante le minacce ai suoi bambini, alla sua famiglia, non le ha mai dato ciò che voleva. Almeno fino alla fine. Perché alla fine anche io sono stata debole.. e insignificante.. ma soprattutto ipocrita. « Credevi davvero quando hai usato quelle taniche che ci avrebbe ucciso tutti? Credi che avrebbe smesso se le avessimo dato ciò che voleva sin dal principio? Ci ha torturati per mesi - persone specifiche. A che pro tutto il disturbo se poi dovevamo morire tutti in una specie di sabato del sacrifico. No.. lei è giunta esattamente dove voleva. E, per quanto ciò sia costato tanto.. in fondo sono contenta. Per lo meno ora non sono più l'unica persona terribile in mezzo a tutti voi. » Deglutisce. Un nodo nella gola si frappone per qualche istante tra le parole che le scorrono automaticamente nella mente. « I nodi vengono sempre al pettine.. quindi.. io non ti perdono. Non voglio il tuo aiuto, i tuoi soldi, la tua pietà, la tua comprensione. Non voglio niente.. perché tu non mi devi niente ed io non ho nulla da perdonarti. Sarei ipocrita a dire il contrario. » Tira su col naso e si gira tra le mani una bomboniera a metà bruciacchiata. « Questo in fondo è nulla.. si rifarà da capo, ancora meglio di prima. Ma ciò che lo Shame ha spezzato, dubito sarà facile da rimettere in piedi come questo matrimonio. »




     
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    . « Come scusa? Fawn? » I loro occhi chiari si incontrano e capisce all'istante che c'è qualcosa che non va. La rabbia divampa nelle sue iridi e Olympia annuisce, dopo qualche istante. « Pensavo te l'avesse detto.. » si ritrova a dire, quasi sovrappensiero. Pensavo vi diceste tutto. Non dà voce a quel pensiero, per non turbarla ulteriormente. « Non l'ha cruciato a cuor leggero, così perché le andava in quel momento, ne sono certa. La conosco. » Prosegue poi, spiegandole la sua versione dei fatti. « Non so cosa ha chiesto loro, ma a tutti ha chiesto qualcosa. » Non ne ha parlato con Fawn, non ne ha avuto il coraggio. L'aver assistito al contorcersi irrequieto di suo fratello era stato già abbastanza doloroso. Il mandare giù la visione di una delle sue più care amiche che torturava suo fratello è un qualcosa che ha digerito a fatica, all'inizio, proprio in virtù del forte legame che ha sempre condiviso con Albus, ma la sicurezza nei confronti delle intenzioni di Fawn e l'idea che tutti, quella notte, hanno avuto una scelta orribile da prendere, l'ha aiutata a visualizzare meglio il quadro generale. « A dirla tutta.. se tu hai invidiato tuo fratello per ciò che noi abbiamo, posso dirti senza ombra di dubbio che io invidio te e lui. A me, mio fratello, non ha concesso la stessa ehm.. gentilezza.. che tu hai concesso al tuo. » A riprova dei suoi pensieri, arrivano le parole di Mun che le danno da pensare. Judah deve aver avuto Mun su uno dei suoi piatti della bilancia e aveva scelto l'altro. Non sa cosa dire, non conosce troppo bene il rapporto che intercorre tra i due gemelli, ma i freddi dialoghi che si scambiano, solitamente, alle cene e ai pranzi di famiglia, le hanno dato una vaga idea di quanto non sia, probabilmente, molto affiatato. Perciò preferisce non mettersi in mezzo a cose di cui non conosce assolutamente l'entità, dicendo magari un'ovvietà, giusto per riempire quel silenzio che si è andato creando intorno a loro, dopo le parole dolce amare di Mun. « Cosa voglio fare ora? Di certo non scappare. Io non posso scappare, e anche se fosse.. non voglio. Perché dovrei.. ho da sistemare tante cose, a quanto pare. Ma tu non puoi aiutarmi, Olympia. Non voglio che tu mi aiuti. Mi hai appena detto che la migliore amica del mio fidanzato è responsabile di ciò che gli è successo.. una persona.. una ragazza di cui sono stata gelosa in maniera quasi irragionevole per anni. Hai idea di cosa ho pensato di Fawn? Di cosa.. Anche solo il pensiero che potesse stargli attorno mi mandava in bestia, cazzo. E ora.. questo.. » Da una parte riesce a capire il forte risentimento che vibra nella cassa toracica della ragazza che indietreggia di fronte a lei, quasi come a volersi allontanare. Da una parte lo comprende, è vero: è immersa nelle rovine del suo sogno, ovunque i suoi occhi cadano, c'è qualcosa di distrutto, un qualcosa a cui lei ha pensato, ha perso tempo. Quindi la sua rabbia è normale, è giustificata, sì, ma fino ad un certo punto. « Ma ciò non toglie come Fawn ha ridotto Albus; o che questo - ciò che vedi - ..esiste. Non toglie il fatto che mio fratello ha scelto di lasciarmi da sola chissà dove per salvare il tuo di fratello. E forse voi altri.. voi gente per bene, siete così bravi a razionalizzare tutto quanto.. a dare un senso a tutto questo e a scusarvi per tutto, ma io non ci riesco. Su una cosa hai ragione.. Lei ha vinto. Ha dimostrato a tutti quanti di essere deboli.. e insignificanti, ma soprattutto ipocriti. » Scuote la testa, la rossa, mentre fissa con occhi freddi la reazione della mora. « Credevi davvero quando hai usato quelle taniche che ci avrebbe ucciso tutti? Credi che avrebbe smesso se le avessimo dato ciò che voleva sin dal principio? Ci ha torturati per mesi - persone specifiche. A che pro tutto il disturbo se poi dovevamo morire tutti in una specie di sabato del sacrifico. No.. lei è giunta esattamente dove voleva. E, per quanto ciò sia costato tanto.. in fondo sono contenta. Per lo meno ora non sono più l'unica persona terribile in mezzo a tutti voi.< i> I nodi vengono sempre al pettine.. quindi..
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    io non ti perdono. Non voglio il tuo aiuto, i tuoi soldi, la tua pietà, la tua comprensione. Non voglio niente.. perché tu non mi devi niente ed io non ho nulla da perdonarti. Sarei ipocrita a dire il contrario. Questo in fondo è nulla.. si rifarà da capo, ancora meglio di prima. Ma ciò che lo Shame ha spezzato, dubito sarà facile da rimettere in piedi come questo matrimonio. »
    La lascia concludere, mentre si guarda intorno, come a volersi intrattenere in altro modo. L'ascolta, ma non la guarda più, quasi avesse il bisogno di concentrarsi su altro per non risponderle di getto, con le prime cose che le vengono in mente perché, razionalmente, sa che sarebbero cose cattive, cose che non pensa, dettate soltanto dal fastidio che, lentamente, sta crescendo in lei. Perché su una cosa ha ragione Mun: lei non riesce a perdonare perché non sa farlo. Probabilmente non le è stato mai insegnato, oppure, molto più semplicemente, non è nella sua indole e non vuole nemmeno prendersi la briga di farlo. Crogiolarsi nella rabbia, dopotutto, è più facile che tornare sui propri passi e perdonare qualcuno che ti ha fatto un grave torto. Così, alla fine sorride. Perché prova compassione per lei. « Io credo, invece, che la vera prova dello Shame sia un'altra. » Dice, incamminandosi verso il casottino dove lei e Betty hanno recuperato le taniche di benzina. « Non è stato scegliere, nel momento di difficoltà, nel momento in cui tutti noi pensavamo ci sarebbe successo il peggio. La vera sfida è il dopo. Lei su questo ha giocato. Voleva testare la nostra lealtà, quanto forti sono i nostri legami, quanto siamo capaci di perdonare una persona che amiamo ma che ci ha fatto soffrire, non scegliendo quello che noi pensavamo avrebbe scelto. In fondo è più difficile perdonare senza ottenere niente in cambio che prendere una decisione, costretti dalla paura. » E' contorto, il suo discorso, ma appare invece così chiaro nella sua mente. Chi si arrabbia con gli altri, perché hanno fatto quello che hanno fatto durante quella notte, fa esattamente quello che voleva lo Shame. « Il suo compito è portare zizzania, ma il nostro è quello di capire il suo gioco e di remarle contro. Altrimenti non faremo altro che questo: il suo gioco. » Perché un conto è stare al suo gioco quando si tratta di rischiare una vita umana, un conto è scegliere deliberatamente, senza alcuna costrizione, di rompere qualsiasi legame. « Io non so se avrebbe ucciso davvero Albus, o avrebbe raccontato tutti i segreti di James o magari avrebbe messo alla gogna Sirius. Io non lo so. E proprio per questo, avendo una possibilità sul piatto e non una certezza, non mi sono sentita di ergermi a giudice, non mi sono sentita di essere più intelligente di lei, sfidandone le abilità. » Commenta poi, stringendo le labbra in una smorfia. « L'unica cosa che so è che arriva ovunque, non si fa problemi a minacciare la gente e quello che promette fa. Non ha mai ucciso nessuno finora, che io sappia, ma questo non era abbastanza allora e non lo è nemmeno ora. E io la vita dei miei fratelli non la rischio su una base di incertezze. » Fine del discorso. Non c'è altro d'aggiungere, perché come Mun è stata chiara con lei, lei lo è stata altrettanto con la mora. Ognuna ha chiarito i propri punti, ognuna ha pensieri diversi che non vanno di pari passo e, per questo motivo, ognuna di loro prende due strade differenti. E' giusto così, si dice. « Se qui è tutto.. » prende a dire, mordendosi il labbro, leggermente a disagio. Si incammina in silenzio verso la macchina, aspettando che lei la raggiunga. « Mi avrebbe fatto piacere, comunque. » Aggiunge, quasi in un soffio di voce, con un sorriso che sa di amaro sulle labbra. Almost sister è così che l'aveva chiamata Mun, quando le aveva fatto gli auguri per il compleanno. « Avere una sorella. »
     
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    « Pensavo te l'avesse detto.. » Non realizza completamente in quel momento che cosa significherà per lei quella rivelazione. Non immagina ancora quanti castelli di carte ci costruirà sopra, quando se ne sentirà ferita e mortificata. In quel momento Mun, non capisce perfettamente quali sono le conseguenze di quel piccolo dettagli insignificante. Fawn ha cruciato Albus e lei non ne sapeva niente. Fawn è la causa dei suoi incubi, della sua apatia, dell'aria angosciosa che ormai si respira tra le mura di quella casa. Fawn. La piccola Fawn. La stessa persona che Mun ha temuto irrazionalmente sin da quando lei e Albus sono diventati una cosa sola - quella persona aveva ridotto il suo ragazzo a un energumeno. E Mun non ne sapeva niente. Anche io lo pensavo. Pensavo non ricordasse niente. Ha detto che non ricorda. Ma come fa a non ricordare.. Forse non ricorda. Forse prima o poi ricorderà e me lo dirà. Si. E se lo ha sempre saputo? Eccolo il dubbio, il seme del sospetto. « Non l'ha cruciato a cuor leggero, così perché le andava in quel momento, ne sono certa. La conosco. » In tutta risposta Mun sbuffa. « Risparmiarmi l'arringa di difesa, Olympia. Ci mancherebbe solo che l'abbia fatto a cuor leggero. » Asserisce in tono acido seppur ormai il centro di quella discussione sembra essersi spostato completamente. La difendete sempre. L'avete sempre preferita. Fawn è sempre la povera vittima e qualcun altro il carnefice. Io. Albus. Lo Shame. Il fottuto mondo intero. Come se - cazzo - cruciare una persona fosse la cosa più naturale al mondo. « Non so cosa ha chiesto loro, ma a tutti ha chiesto qualcosa. » Olympia e Mun si trovavano in quel territorio nella stessa posizione. Nella posizione di chi non aveva la più pallida di cosa fosse davvero successo. Mun dal canto suo non ha mai razionalizzato davvero cosa era accaduto quella sera, non aveva la più pallida idea di cosa le fosse accaduto e di cosa fosse accaduto agli altri. D'altronde, a quanto pareva, sapeva a conti fatti di più sulla situazione di Olympia di quanto ne sapesse su quella di Albus. È sbagliato. Perchè? Perché l'aveva tagliata fuori? Perché tutti l'avevano tagliata fuori? In un certo qual modo il suo condividere quell'esperienza unicamente con se stessa l'aveva guidata ancora più lontana da tutti gli altri. E forse era questo il messaggio dello Shame. "Sarai sempre sola." In quel momento ci credeva; credeva davvero che in un certo qual modo lo Shame le aveva fatto un favore. Suo fratello aveva scelto di salvare qualcun altro, il suo fidanzato aveva scelto di tenerla fuori dalla sua vita. Paradossalmente non poteva aspettarsi niente da Olympia alla luce di come si erano comportate nei suoi confronti le persone che più le stavano a cuore. « Io credo, invece, che la vera prova dello Shame sia un'altra. Non è stato scegliere, nel momento di difficoltà, nel momento in cui tutti noi pensavamo ci sarebbe successo il peggio. La vera sfida è il dopo. Lei su questo ha giocato. Voleva testare la nostra lealtà, quanto forti sono i nostri legami, quanto siamo capaci di perdonare una persona che amiamo ma che ci ha fatto soffrire, non scegliendo quello che noi pensavamo avrebbe scelto. In fondo è più difficile perdonare senza ottenere niente in cambio che prendere una decisione, costretti dalla paura. » Razionalmente, Mun riesce a capire dove vuole arrivare Olympia, ma la delusione che prova in quel momento, la porta a leggere quelle parole in una luce ben diversa da quella che la Grifondoro si aspetterebbe. Sta tentando di dare uno spassionato consiglio, alla sua futura cognata, e invece, senza nemmeno volerlo, alimenta solo la sua delusione. Mun si sente persa, sente di aver in un certo qual modo fallito. Sente di aver perso qualcosa. Credeva che qualcosa l'avesse perso quella sera, in quel labirinto, e invece, non immaginava neanche quanto altro avrebbe perso a forza di essere tagliata fuori. « Il suo compito è portare zizzania, ma il nostro è quello di capire il suo gioco e di remarle contro. Altrimenti non faremo altro che questo: il suo gioco. Io non so se avrebbe ucciso davvero Albus, o avrebbe raccontato tutti i segreti di James o magari avrebbe messo alla gogna Sirius. Io non lo so. E proprio per questo, avendo una possibilità sul piatto e non una certezza, non mi sono sentita di ergermi a giudice, non mi sono sentita di essere più intelligente di lei, sfidandone le abilità. L'unica cosa che so è che arriva ovunque, non si fa problemi a minacciare la gente e quello che promette fa. Non ha mai ucciso nessuno finora, che io sappia, ma questo non era abbastanza allora e non lo è nemmeno ora. E io la vita dei miei fratelli non la rischio su una base di incertezze. » Olympia parla di sentimenti nobili; il suo messaggio è chiaro - siamo migliori dello Shame. Ma non è vero; non lo siamo mai stati - miglior, intendo. Noi siamo il frutto dell'ambiente che ci circonda. Siamo marci fino al midollo. Tutti abbiamo dovuto fare cose orribili; abbiamo mentito, tradito, ci siamo nascosti come ladri a casa propria. Non possiamo essere migliori. Non lo siamo mai stati. La guerra ha portato a riva in ciascuno di loro le cose migliori, ma anche le cose peggiori, e ora, tutto quel meraviglioso amplesso di luci e ombre, di paure e istinti violenti emergevano lentamente. « Se qui è tutto.. » Mun annuisce, silenziosamente. Non ha intenzione di tormentata ulteriormente. Si è resa conto che nulla di tutto ciò l'aveva fatta sentire meglio, anzi, aveva aperto il vaso di Pandora, e persino il suo vestito, le tovaglie finemente decorate, i fiori, le luci, le tende di organza - tutto quello che le circondava e che ormai era ridotto in cenere, era irrilevante rispetto al contorno che ondeggiava attorno a loro.
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    « Mi avrebbe fatto piacere, comunque. Avere una sorella. » ..anche a me.. si ritrova a pensare con un certo rammarico. In quel momento non può fare altro se non abbassare la testa e sospirare profondamente, come pietrificata di fronte al patetico esordio di quanto lo Shame era riuscito a combinare. Di scatto solleva lo sguardo, osserva la rossa in procinto di andarsene ed esala un lungo respiro. « Tu parli di perdono, di porgere l'altra guancia, ma qui pare ci sia un rating in base al quale si perdonano le persone. Non so se sarebbe stato altrettanto facile fare questo discorso se ad essere implicate fossero state altre persone. » Anche tu ti saresti scagliata come una belva se avessi scoperto che ad aver cruciato tuo fratello sarebbe stato qualcun altro. « Sei così tranquilla - non l'ha cruciato a cuor leggero? Ma l'ha fatto, Olympia. Non ritiri gli incubi, l'apatia, l'aria pesante che si respira a casa nostra. A me fa male.. mi fa male vederlo così. Vedere tutto questo - non mi va bene! » Si stringe nelle spalle. « Se fosse stato Judah, o uno dei miei amici a farlo, non l'avresti vista alla stessa maniera. Non avresti perdonato. Ma siccome si tratta di qualcuno a cui vuoi bene, allora deve esserci per forza un'altra spiegazione, e quindi tu porgi l'altra guancia. » No, Olympia, io non porgo l'altra guancia. « Ma una Cruciatus è una Cruciatus in tutte le lingue del pianeta. E' un linguaggio universale, ed entrambe sappiamo cosa significa. » Entrambe sappiamo cosa significa evocarla. « Porgerò la guancia.. lentamente.. su questo.. » E dicendo ciò, si guarda attorno, riprendendo il discorso che aveva fatto in precedenza. « Ma non c'è una scala minore o maggiore per il perdono, in base a quanto hai la faccia pulita. Non è giusto. Non è normale.. qualcuno ci mette una vita per riscattarsi, mentre qualcun altro viene scusato prima ancora di aver posto le proprie scuse. » Io questo smacco non lo perdono.. perché nessuno li ha perdonati a me così facilmente. Perché mi chiamo Carrow. Perché sono scorretta. Perché non sono "in linea". Infine scosse la testa e si diresse a sua volta verso l'uscita afferrando le chiavi della macchina facendole cenno di seguirla. « Andiamo, ti accompagno a casa. » Perché nonostante tutto, di certo non l'avrebbe lasciata sbrigarsela da sola. Non sapeva in che condizioni stesse emotivamente, ma non avrebbe di certo rischiato di lasciarla smaterializzarsi e compiere qualche gesto avventato, correndo il rischio di spaccarsi. « Per oggi l'Inquisizione ha concluso. » Esordì sotto voce, mentre riapriva la macchina e metteva in moto la macchina, pronta ad affrontare un altro giro di infiniti quanto spudorati rammarichi e rancori. La vita non diventa mai più semplice. Anzi, sembra continuare a complicarsi di volta in volta.




     
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