Helping hand

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    Sono due, fondamentalmente, gli errori davvero madornali che un essere umano possa commettere nella propria vita. Pensava Fawn Byrne mentre svoltava a destra per la terza volta in un quarto d'ora, forse nella flebile speranza di dribblare la folla. La gente sembrava essere uscita di casa tutta assieme e, per quanto non avesse assolutamente nulla contro il fatto che qualcuno uscisse di casa, sembrava andare tutta nella sua stessa direzione. E lei non è che avesse fretta, ma... chi stiamo prendendo in giro? Ovviamente aveva fretta. Era di New York, che non facesse "fretta" di secondo nome era soltanto un caso fortuito, o forse il risultato di un qualche allineamento astrale che aveva permesso ai suoi genitori di trovarle comunque un secondo nome orribile. Non lo diceva mai, né lo usava mai - a meno costretta a farlo, come ad esempio nei documenti ufficiali -, ma quello era tutto un altro discorso. Era sfiga. Il punto di quello originario era un altro. Che avesse fretta e che, nel frattempo, per non pensarci, stesse ingannando il tempo con uno dei suoi monologhi interiori colmi di pillole di saggezza. Dicevo: sono due gli errori che un essere umano può commettere nella propria vita. Il primo? Pensare di avere tutto sotto controllo, sempre, e di avere quindi a disposizione tutto il tempo del mondo per porre rimedio ad una qualsivoglia problematica gli si presenti davanti. È ciò che si trova alla radice di un sacco di errori di valutazione. Sospirò tra sé, facendo slalom in mezzo ad una variopinta quanto esagitata famigliola composta da troppe persone, inclusi diversi ragazzi in età da Hogwarts, di cui un paio già più alti di lei di parecchi centimetri. Storse involontariamente il naso, non tanto per il chiasso, quanto perché - a giudicare da quel che le sue papille olfattive le stavano comunicando - qualcuno tra gli adolescenti che aveva appena sorpassato, doveva preferire il deodorante ad una sana quanto rinfrescante doccia. Tornò al suo monologo interiore guardando la strada che stava percorrendo e sperando, suo malgrado, che a nessuno venisse più in mente di pararsi proprio davanti a lei. Il secondo errore madornale? Venire a Diagon Alley a ridosso dell'inizio delle lezioni, mi pare chiaro. Da dove veniva tutta quella improvvisa saggezza, vi chiederete? Dall'unica fonte davvero valida, ovvio. Perché la nostra minuta rosso-oro era in qualche modo riuscita a commettere entrambi gli errori. E adesso si trovava costretta non soltanto a patire l'afa londinese, ma pure a non sapere cosa fare di preciso per risolvere il problema che aveva preso sottogamba con tanta leggerezza.
    Qual era questo problema? La sua bacchetta. La sua bacchetta, che l'aveva servita con fedeltà e che era stata compagna di innumerevoli avventure, e di altrettante disavventure, l'aveva infine abbandonata in via definitiva. O, almeno, questa era l'unica spiegazione razionale che fosse riuscita a darsi quella mattina quando, dopo aver castato un semplice Accio, si era resa conto di aver accidentalmente dato fuoco a qualcosa. Una sua maglietta, nella fattispecie. E lì era scattato il panico. Se avesse notato qualcosa di strano prima? Per la verità sì, ma ci aveva pensato soltanto a posteriori, ossia dopo aver spento il malcapitato capo d'abbigliamento con un mezzo di fortuna, ed essersi vista passare tutta la vita davanti.
    All'inizio aveva pensato di essersi persino dimenticata di come si eseguisse un incantesimo d'appello. E, proprio perché sulle cose doveva sbatterci la faccia, aveva riprovato. Col risultato di far levitare penosamente un libro per osservarlo capitolare a terra nell'arco di qualche secondo senza però azzardare a muoversi nella sua direzione. E così, presa da una vera e propria crisi mistica, la diciottenne si era seduta ed aveva cercato di rievocare la lezione dove quell'incanto l'aveva imparato. Ci aveva pensato e ripensato, riproducendo il movimento fino all'ossessione - nel dubbio, con l'ausilio di una penna, non volendo rischiare di far saltare in aria casa propria -, e si era detta che, a meno che la sua non fosse davvero una qualche forma di Alzheimer estremamente precoce, quello lo ricordasse. E allora qual era il problema? Un crollo nervoso? Improbabile: era tornata da poco da una vacanza dove era riuscita a rilassarsi. Certo, non poteva definirsi propriamente serena, ma nemmeno sull'orlo di una crisi di nervi. Andava tutto bene. Abbastanza, almeno, da poterlo dire senza sentirsi come la peggiore delle bugiarde. Ecco, nonostante avesse avuto le sue tribolazioni, poteva affermare con certezza che la situazione si stesse pian piano assestando. L'ipotesi che la struttura del suo DNA fosse cambiata nell'arco di una notte... quella era troppo drammatica persino per una persona come lei. Ed allora aveva provato un'altra strada. Aveva per caso fatto qualcosa di strano alla bacchetta? Se l'era rigirata tra le mani con aria pensosa per qualche minuto, esaminandola - non che ne capisse davvero qualcosa, di bacchette -, ma no. Quantomeno, si disse, non c'erano danni visibili ad occhio nudo. L'unica cosa assolutamente sbagliata... beh, quello non era certo un maltrattamento di tipo fisico.
    E così aveva deciso, in fin dei conti, che non potesse darsi nessuna risposta soddisfacente. Non da sola. Dopotutto, come già precisato, lei di bacchette capiva più o meno tanto quanto Jensen Carter di teatro: assolutamente niente. E così si era preparata e si era diretta alla volta di Diagon Alley; nell'unico posto in cui, almeno questo sperava, avrebbe potuto risolvere la faccenda.
    È normale che mi senta così... strana? Strana, forse, non era la parola giusta. Quella più adatta a descrivere lo stato d'animo della grifondoro, al momento, sarebbe stato "nervosa". Insomma, non riuscire più ad usare la propria bacchetta, per una strega, era un gran bel problema. Ed un problema ancora più grosso per lei, era non avere la più pallida idea del perché. O di come risolvere la faccenda. Si rese conto, mentre tirava un sospiro nell'osservare la facciata del negozio che all'improvviso le pareva imponente come non mai, di avere un grosso nodo allo stomaco. E di averci messo un sacco a prepararsi per uscire di casa. Chissà perché, proprio quel giorno aveva sentito il bisogno di truccarsi meglio del solito, ed aveva passato un quarto d'ora buono davanti allo specchio per tirare quelle linee di eye-liner. E proprio quel giorno aveva deciso di acconciare i capelli in una serie di elaborate trecce che vichinghi chi? E proprio quel giorno aveva messo un bel vestito, la cui stoffa stava però stringendo nervosamente tra le dita.
    Stressed, depressed, but well dressed?, non riuscì a fare a meno di pensare, con una punta di sarcasmo, che più che, se anche era una punta, doveva essere quella di un iceberg. Come minimo. Fawn non era mai stata una persona insicura, ed aveva sempre avuto uno stile personale piuttosto preciso, ma quando si impuntava sui particolari e ricadeva nella ritualistica becera, era solo per perdere tempo. Perché era ansiosa. Perché, in fondo, aveva un po' paura, ed allora preferiva concentrarsi su cose irrilevanti come le trecce, o sull'importantissima decisione del mettere o meno il rossetto. E perché era nervosa? Perché non le era mai capitata una cosa del genere. Perché con quella bacchetta aveva passato degli anni, sette anni, e perché quella stessa bacchetta l'aveva accompagnata - e le aveva permesso di uscire viva - dal lockdown. Erano poche, le cose alle quali la mora si affezionasse, ma la sua bacchetta non era soltanto un bastoncino di legno. Sapere che non le rispondesse più all'improvviso... era strano. Spiazzante. E poi c'era il senso di colpa all'origine dello stomaco annodato; il fatto che pensare a cosa potesse averci fatto di così strano, le era tornata in mente la questione dello Shame. E del Crucio. E per quanto potesse razionalizzarlo, bacchetta funzionante o meno, quella restava comunque un qualcosa che la faceva sentire una persona orribile.
    Inspirò profondamente una seconda volta, e non fece in tempo a - beh, prendere altro tempo, che vide un ragazzino dinoccolato, con tanto di madre al seguito, uscire dal negozio. E al suo interno, la figura familiare dell'ex senior di Corvonero. I loro sguardi si incrociarono per un attimo. Non mi posso più tirare indietro, eh? E così, Fawn si diresse verso il biondo, lasciando che le labbra si distendessero in un sorriso forse un po' meno gioioso del solito.
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    In realtà aveva sperato di trovare proprio lui. Non tanto per questioni di personalità, quanto perché.... beh, la faccenda le sembrava delicata in ogni caso. E loro due avevano avuto modo di conoscersi, tra il lockdown ed il club di teatro, tanto da instaurare rapporti amichevoli. Non si sarebbe sentita a disagio ad esporgli il problema perché il distacco generazionale semplicemente non ci sarebbe stato. E poi una faccia amica era proprio ciò di cui aveva bisogno. L'ultima volta che aveva messo piede lì dentro per la bacchetta era stato molti anni prima, quando i suoi ancora stavano insieme e lei era appena una bimbetta. Poi, se le era capitato di passare - come effettivamente era accaduto negli ultimi mesi -, era stato unicamente per questioni personali. Salutare il giovane Olivander, per esempio, specialmente da quando questi aveva lasciato il college. In quel momento era diverso. Così diverso che aveva persino ponderato di chiedere a qualcuno di accompagnarla per questa commissione, salvo poi cambiare idea. Non sapeva cosa sarebbe accaduto, cosa le avrebbero detto, né quanto tempo ci sarebbe voluto a risolvere quella sua questione. E così aveva evitato di disturbare Sirius, Dean o Erik per un qualcosa che avrebbe potuto impegnare pochi minuti come molti di più.
    O forse, semplicemente, aveva sentito il bisogno di farlo per conto proprio.
    « Ciao! » Salutò infine l'amico, col solito tono frizzante. « Pensavi di esserti liberato di me, mh? E invece... » Si fece più seria quasi subito però. « Oggi ho bisogno di te in quanto figura professionale, però. Ecco, io e la mia bacchetta... abbiamo dei problemi di comunicazione, ultimamente? » E solo allora si decise a puntare lo sguardo in quello dell'ex corvonero, una punta di incertezza negli occhi verdi. Ma poi come parlo? "Io e la mia bacchetta abbiamo problemi di comunicazione"? Sembro una tredicenne dallo psicologo! Si avvicinò al bancone, dove poggiò l'oggetto incriminato con una certa cautela. « In sostanza... oggi ho accidentalmente dato fuoco ad una cosa dopo averla appellata. E poi ne ho fatta cadere un'altra, e... » Scosse leggermente la testa, poi gli raccontò anche di quello che aveva notato nelle ultime settimane. Di come inizialmente l'incantesimo sembrasse compiersi solo più lentamente, di come si era trovata a doverne ricastare un paio negli ultimi giorni. « E non capisco cosa sia successo. Ho proprio bisogno del pronto soccorso, temo. » Stirò un sorriso imbarazzato ed espirò.
    Si sentiva più leggera.





    Edited by lust for life - 27/8/2019, 00:35
     
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    er bacchetta


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    Le vacanze di Greagoir? Non pervenute. Certo, l'emporio come moltissimi altri negozi di Diagon Alley aveva chiuso le porte al pubblico nelle prime due settimane di Agosto; chi aveva resistito era stato Regan Fortebraccio, che di estate e di gelati sotto il sole cocente viveva. Voci di dirimpetto dicevano che con i soli incassi estivi riusciva a campare di rendita per il resto dell'anno e che, addirittura, stava pensando di aprire una filiale australiana in cui passare l'inverno, continuando a smerciare coppette millegusti e diffondendo il sacro verbo di nostro signore Ghiacciolo alla Menta Piperita. Hai la mia benedizione Reggie! Gli Olivander non avevano fatto eccezioni e la bottega era rimasta chiusa fino al 20 Agosto. Ma non c'era stato nessun riposo, nient'affatto: l'ultima settimana di Agosto infatti vedeva un vero e proprio boom di vendite soprattutto da parte delle famiglie che avrebbero mandato il loro pargolo undicenne a Hogwarts per la prima volta, ma non mancavano bacchette spezzate durante l'estate, quelle perse o dimenticate al campeggio dall'altra parte del mondo o - i più tonti - quelli che avevano perso la potestà della loro arma in un qualche duello amatoriale sulle rive del mare. Aveva perso il conto dei ragazzi che tornavano in negozio con la cosa tra le gambe, alla ricerca di una degna sostituta! Una fiumana di clientela del genere andava gestita, in primis con la materia prima, ovvero nuove bacchette: per una che ne vendeva, un'altra ne doveva prendere il posto negli alti scaffali disseminati per il negozio labirintico. Con quel turnover continuo, le bacchette fabbricate da nonno Garrick stavano lentamente diminuendo e le proprie aumentando, segno del passare del tempo. Era fisiologico, era l'eredità degli Olivander. Tuttavia qualche sfortunato mago o strega sarebbe potuto essere scelto da qualche creazione di suo padre Gawen, le cui bacchette erano senza dubbio le più strampalate e imprevedibili dai tempi del proproproprozio Germo Olivander; era morto provando ad accendere letteralmente cinquanta bacchette di sua creazione tutte insieme per creare uno spettacolo pirotecnico per il quartiere ed era esploso rischiando di portare con sé il negozio e tutta Diagon Alley. Quella di Germo era una delle storie che nonno Garrick raccontava a Greg quando voleva impartirgli la più importante delle lezioni: ti prego, nipote mio, non diventare rincoglionito come tuo padre! Doveva essere rimasta qualche vecchia bacchetta dello zio Germo, l'ultima era stata venduta a Fred Weasley. E' la bacchetta che sceglie il mago, dopotutto. Greagoir, quella mattina di fine Agosto, prima che il pienone di studentelli alle prime armi facesse il suo ingresso trionfale a Diagon Alley, era alle prese con l'impacchettamento delle sue ultime creazioni in scatoline oblunghe di vari colori quando lo scampanellio della porta d'ingresso gli fece alzare gli occhi dal grande bancone.
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    Sulla porta, ritrovò il viso di una vecchia conoscenza di Hogwarts nei suoi aspetti più orrendi prima, e del College in quelli più belli. « Ciao! Pensavi di esserti liberato di me, mh? E invece... » Con quella sua enfatica lentezza, Greg si alzò aggraziato dall'alto sgabello su cui era seduto e circumnavigò il bancone, facendo levitare dietro di sé l'ultima scatoletta, che volò di volontà propria in uno degli scaffali nel soppalco. Sopra uno dei suoi soliti, impeccabili outfit di fine estate, indossava un pesante grembiule in pelle di drago. « Signorina Byrne! Non la vedo da quella volta alla Stamberga Strillante! » esclamò il biondo, con una finta formalità che sembrò divertirlo da solo. Come tutto quello che diceva, dopotutto. « Lasciami indovinare: questa non è una visita di cortesia e non hai con te un bel ghiacciolo, vero? » Logico che fosse così. « Forza, dimmi come posso aiutarti. » La incalzò con un gesto leggiadro della mano destra, poggiato sul banco della cassa in religioso ascolto. Quando si trattava di bacchette, ed era certo che così fosse, Greagoir rivelava un lato di sé niente affatto affabile: era anzi serio, inflessibile e molto scrupoloso. Le bacchette magiche, dopotutto, erano la sua ragione di vita. « Oggi ho bisogno di te in quanto figura professionale, però. Ecco, io e la mia bacchetta... abbiamo dei problemi di comunicazione, ultimamente? » Corrucciò la fronte, mentre le rotelline del suo cervello di artigiano già iniziavano a girare. « In sostanza... oggi ho accidentalmente dato fuoco ad una cosa dopo averla appellata. E poi ne ho fatta cadere un'altra, e... » Strabuzzò gli occhi, Greg, le labbra appena dischiuse dalla sorpresa. « Cosa?! » Un misto di emozioni, visibilmente, prese il sopravvento: era sorpreso ma anche divertito, era evidente. Non tanto da ciò che era successo, quanto dalla novità che una apparentemente noiosa giornata di lavoro gli aveva dedicato. Una bacchetta rotta? Noia. Una bacchetta dispettosa? Yes please! « E non capisco cosa sia successo. Ho proprio bisogno del pronto soccorso, temo. » Annuì solenne, con le braccia incrociate al petto e quel sorriso che le labbra non le aveva mai abbandonate. « Ho una buona notizia per te: sei nel posto giusto, cara! » Già la sua mente aveva iniziato a valutare mille frangenti diversi: perché la bacchetta di Fawn Byrne aveva iniziato a fare le bizze? Nel corso della sua breve carriera e, prima ancora, dai racconti di suo nonno, sapeva che con le bacchette magiche poteva succedere davvero di tutto: un tale Romolus Harrold aveva perso la fiducia della sua bacchetta dopo che un giorno l'aveva dimenticata a casa e, sul lavoro, ne aveva dovuto usare un'altra, aziendale. Si era ingelosita e da quel momento non ne ha voluto sapere neanche di castare un Accio. Era questo che gli piaceva delle bacchette magiche, non erano semplici pezzi di legno né armi né artefatti magici. Erano creature senzienti, con un'anima e un corpo. Mancava loro giusto la parola, ma sapevano dire molto a chi sa ascoltarle. « In primis, posso vedere la monella? » le chiese con gentilezza, allungando la mano verso la ragazza. « E mentre le do un'occhiata, perché non mi racconti un po' da quando ha iniziato a farti i dispetti? Hai.. non so, perso un duello? Sei stata disarmata? Hai.. usato un'altra bacchetta al posto suo? Non fare domande. Sanno essere davvero suscettibili. » Fece spallucce, come se fosse la cosa più naturale del mondo. In realtà non riteneva che la causa del problema fosse un duello perso, con conseguente perdita del possesso della bacchetta stessa: di solito, le bacchette "perse" dimostravano il loro disinteresse con incantesimi fiacchi e svogliati. Te lo urlavano contro che non sono più tua, non sforzarti nemmeno. Il problema di Fawn gli sembrava invece di tutt'altra natura; la sua bacchetta era diventata violenta. E questo non succede mai per caso.
     
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