Centro di gravità permanente

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    Mun non era voluta salire in macchina con lui. Aveva puntato i piedi come al suo solito e si era incaponita sul non voler assolutamente condividere con lui il tragitto. Inutile dire che qualche minuto lo avevano sprecato a litigare sulla questione, con Albus che l'accusava di essere una bambina e lei che si ostinava a fare l'offesa per il modo in cui era stata trattata. "Lo sai che ti dico, allora? Fai come ti pare. Vai pure a piedi se vuoi - sai quanto me ne importa a me!" E con quelle parole era salito in macchina, sbattendosi dietro la portiera prima di ingranare la marcia e fare una manovra decisamente nevrotica tra lo sterrato e la strada. Fosse stato più lucido avrebbe adocchiato con lo sguardo il contachilometri, rendendosi conto di quanto quella rabbia non fosse lo stato migliore per mettersi alla guida ma solo per costituire un pericolo tanto per se stesso quanto per gli altri avventori della strada. Una guida veloce, nervosa e distratta, la sua, accompagnata da un farneticare continuo tra sé e sé e dare colpi con la mano al volante. Negli ultimi mesi il giovane Potter era stato poco più di un vegetale, un cambiamento che aveva preoccupato non poco la cerchia di persone che lo conoscevano bene, abituate al suo temperamento polemico e un po' brusco. Forse per questo, adesso, era scattato al minimo urto; perché chiaramente non ti puoi liberare del tuo carattere, e più lo reprimi, più aumenti le possibilità che questo esca dai gangheri al primo vero problema. Ancora una parte di lui provava a convincersi del fatto che il problema di Amunet fosse di natura diversa: una frase uscita male, un like alla persona sbagliata, un'incomprensione di qualsivoglia genere e così via. Ma in fondo se lo sentiva che lei aveva scoperto la verità sul sabato in cui Fawn lo aveva cruciato. Se lo sentiva dentro, e per quanto provasse a respingerla, quella consapevolezza gli attanagliava la bocca dello stomaco, creandogli una sensazione di nausea. Albus aveva scelto di non condividere quell'informazione nella sicurezza che nessuna delle persone a conoscenza di esse avrebbe avuto motivo di parlarne, ma evidentemente qualcuno l'aveva fatta uscire. Che sia stato lo Shame? E' l'unica spiegazione. Avrebbe anche senso: come cosa mette nella merda tanto me quanto Fawn. E' la perfetta notizia per mettere zizzania e farci sbranare a vicenda. Avrebbe dovuto calcolarlo, ma una parte di sé si era voluta illudere, indugiando nella speranza che dopo quel sabato, l'app l'avrebbe lasciato in pace. E così era stato..quanto meno fino ad ora. Eppure non riusciva a pentirsi della scelta fatta, di essersi tenuto quell'informazione per sé, perché sapeva che Mun l'avrebbe presa come occasione di far battaglia. Figuriamoci: Fawn non le è mai stata davvero simpatica. Con questo alibi le farà guerra in eterno. Perché se conosceva bene la sua ragazza, sapeva che nessuna contestualizzazione dell'accaduto sarebbe riuscita a farle capire la difficoltà della situazione che lui e l'amica si erano trovati a vivere. Le avrebbe dato comunque la colpa di non aver fatto abbastanza, di non aver trovato un'altra soluzione, o di non essersi offerta come agnello sacrificale al mio posto. E lui, a coscienza propria, non se la sentiva di mettere Fawn nella situazione di sentirsi ostracizzata persino dopo l'atto orribile che era stata costretta a fare, e le cui conseguenze psicologiche continuavano ancora a tormentarla.
    Di colpo si fermò in mezzo alla strada deserto, ritrovandosi ad accostare sul ciglio che la divideva dalla folta vegetazione delle Highlands. Scese dalla macchina, sedendosi sul cofano e accendendo una sigaretta - lo sguardo rivolto al cielo stellato sopra di sé. Con un braccio dietro il collo si sdraiò contro il cruscotto, osservando le nuvole di fumo che sbuffava a disintegrarsi verso il manto blu del cielo mentre i pensieri si accavallavano nella sua mente. Con la sigaretta in bilico tra le labbra si tastò le tasche dei pantaloni, estraendone il cellulare. Corse col dito alla rubrica, scorrendo di poco fino a fissarsi per qualche istante su un nome familiare. Indugiò alcuni momenti a guardare le cinque lettere che componevano il nome di Betty fin quando, senza pensarci, premette il tasto di chiamata. Ma come riportato bruscamente alla realtà un istante prima di addormentarsi, agganciò velocemente prima ancora che il telefono cominciasse a squillare. Ripose il telefono in tasca, gettando la sigaretta ancora a metà di lato e tirandosi su in fretta per tuffare il viso tra le mani. "Ma cosa cazzo sto facendo?!" sussurrò tra sé e sé, disperato nel rendersi conto di quanto poco lucido fosse in quel momento per partorire certe idee. Non voleva chiamare nessuno, non voleva parlare, non voleva sfogarsi. E non voleva farlo con Betty. Ma per un istante la sua mente sembrava essere tornata a qualche anno prima, quando le cose erano più semplici, e quando la Tassorosso era per lui un piccolo giardino dell'Eden in cui poteva trovare pace e rassicurazione. Si rese conto di quanto distanti fossero quei tempi, di quanto lontane da loro fossero quelle persone che un tempo erano state, che si potevano capire e trovare un porto sicuro nel confidarsi. Adesso quel legame lo aveva con Mun, e ai suoi occhi sembrava una follia poter anche solo immaginare di poterlo ritrovare altrove. Così, con un tonfo al cuore per la vergogna segreta che provava, scese dal cofano, rimettendosi silenziosamente in macchina per proseguire il tragitto.
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    Dopo essersi fermato al negozio ventiquattro ore su ventiquattro per prendersi una birra che aveva consumato nella macchina parcheggiata assieme a troppe sigarette, arrivò a casa decisamente in ritardo, col telefono spento da almeno un'ora, conscio di ciò che lo aspettava. Entrò in punta di piedi per non svegliare i bambini, dirigendosi subito in cucina, dove aprì il frigo solo per rendersi conto che qualsiasi traccia di alcolici all'interno di esso era sparita - probabilmente per via del prefesta tenutosi lì qualche ora prima. "Fanculo." farfugliò a bassa voce, premurandosi di chiudere l'anta del frigo silenziosamente, sebbene il suo istinto gli dicesse di sbatterla con fragore. A mani vuote di bottiglie, ma occupate a rollarsi l'ennesima sigaretta, tornò quindi nel salotto buio, borbottando tra sé e sé perché 'mai una volta che in questa casa ci sia quello che cerchi - solo sti cazzo di succhi dietetici ovunque, che sanno pure di merda'. Solo quando fu abbastanza vicino al divano - in cui aveva tutta l'intenzione di rimanere per qualche altra ora - si rese conto che questo era già occupato da una Carrow seduta compostamente, con quel suo classico cipiglio di chi si è ripassato mentalmente tutti gli insulti che ti sta per rovesciare addosso. Sussultò alla vista di lei, facendo cadere a terra il tabacco che aveva accuratamente posto sulla cartina. "Cazzo Mun! Ma che sei? Belfagor?" Ma guarda tu se uno deve tornare a casa e trovarsi questa così che a momenti manco sbatte le palpebre! Roba da matti. Una di queste volte mi ci prende un infarto. Con un paio di colpi di bacchetta accese prima l'abat jour sul tavolino accanto al divano e raccolse poi il tabacco da terra, facendolo atterrare sulla sigaretta che richiuse velocemente, accendendola con un'altra stoccata. Sospirò, lasciandosi cadere a peso morto sulla poltrona più prossima. "Dai, sentiamo sto discorso che ti sei preparata. Se valeva la pena di rovinarci pure la festa di James, deve essere proprio una cosa dell'altro mondo!"

     
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    Quell'iniziale soddisfazione che aveva provato nel puntare i piedi, dedicandosi al sacrosanto diritto di impuntarsi a non tornare a casa insieme ad Albus, era scomparsa di scatto non appena il giovane Potter aveva sbattuto la portiera della macchina sterzando sull'asfalto e premendo il piede sull'acceleratore come un matto. Per un istante, uno solo, il cuore le aveva detto di urlargli contro, di intimarlo a fermarsi e aspettarla, per paura che andasse a sbattere contro il primo palo della luce, ma poi, l'amor proprio e la convinzione di essere nel giusto in quella discussione che non era nemmeno iniziata, le impedì di muovere anche solo un muscolo. Si era sentita in colpa, si era persino preoccupata, si era dispiaciuta, ma alla fine aveva stretto i denti con convinzione scuotendo la testa. È grande e vaccinato. E a quanto pare non ha bisogno di me. E quel pensiero le bastò per rialimentare in lei la convinzione di aver fatto la cosa giusta. Non le era piaciuto il tono con cui si era rivolto a lei. Ancora meno le era piaciuto tutto ciò che aveva scatenato quell'inferno. E quindi, senza indugiare ulteriormente si smaterializzò alle porte di Inverness, entrando nella città su tutte le furie, non rispondendo nemmeno al saluto educato della guardia di turno che l'aveva fatta entrare. Era scivolata per le strade della Città Santa ormai addormentata come un uragano dai tacchi a spillo, pronta a raggiungere casa il prima possibile per cambiarsi, farsi una doccia e scivolare sotto le coperte. Peccato che, a forza di non guardare dove mettesse i piedi, arrabbiata a dismisura com'era, il tacco destro le era finito incastrato in un tombino. Aveva imprecato contro quell'antica diavoleria, ci si era arrabbiata, aveva persino iniziato a parlarci come se si trattasse di niente meno che l'unica persona con cui quella sera ce l'aveva a morte, ma nonostante ciò i suoi tentativi erano risultati inutili. Alla fine aveva dovuto abbandonare la sua Louboutin lì, gettando l'altra nel primo cassonetto utile senza il minimo senso di colpa. « Tanto siamo dei poveracci che vivono in una città poveraccia con altra gente poveraccia. » Di colpo tutte le crepe oltre la sua nuvola rosa sembravano iniziare a vedersi, come se di scatto quell'unico evento della scarpa incastrata potesse sostituire tutti i bellissimi ricordi che Albus e Mun avevano effettivamente da condividere in quella città poveraccia. « Volevi fare la Blue Jasmine della situazione, Mun? Ben ti sta. Quasi sposata con un cafone. » Ci si stava davvero impegnando, a tal punto che nel suo giro mentale di dispetti che avrebbe potuto fargli, le era balenata persino l'idea di fare le valigie, prendere i bambini e andarsene a Cambridge, a casa sua. Sì, lo avrebbe fatto. Ne aveva a sufficienza di Inverness, degli sguardi disperati dei Morgenstern, delle attenzioni non richieste dei Potter e dell'intero mondo che sembrava dipingerla come la strega cattiva della storia. Mun non fungeva in mezzo a quella gente; non fungeva da nessuna parte. L'unica cosa che potesse fare era tornare ad arroccarsi sulla sua torretta. Né da una parte, né dall'altra, bensì in mezzo. Al sicuro. Dove mi teneva Lui ero al sicuro. Quel germoglio di idea che sembrava esserle scivolata sulla pelle sin dal sabato degli orrori, ora aveva messo su solide radici. Era consapevole di quanto malato fosse quel pensiero, eppure, si sentiva così. Messa ancora una volta con le spalle al muro, nonostante fosse lei a tentare di mettere il prossimo con le spalle al muro, sentì come il bisogno di tornare in una situazione di equilibrio, da qualche parte dove non doveva pensare a niente. Un luogo e una compagnia in cui non pensare né a schieramenti, né a questioni di principio, né tanto meno al rischio di trovarsi impreparata di fronte a niente. Con Lui, non ero mai impreparata. Facevo ciò che voleva e.. « Mun! » La voce di Ginevra Potter la distoglie dai suoi pensieri non appena varca la soglia di casa. È scalza e ha un'aria esausta. Le era passato di mente che, una volta tornata a casa, avrebbe trovato la madre del cafone. In quel momento Mun non riesce nemmeno a guardarla. Se ne vergogna. Non ha niente contro la rossa, eppure non riesce a tollerarla. Non vuole vederla, non vuole parlarci. Vuole solo che sparisca - puff! - di colpo, preferibilmente subito. « Hai dimenticato di nuovo la felpa? » Sottile quanto un baobab, Ginevra, non si lascia sfuggire l'occasione di far notare alla piccola Carrow che quel continuo via vai sta diventando sospetto. Mun tenta di trovarsi qualcosa da fare, legandosi i capelli e iniziando a cercare un bicchiere per versarsi del succo, mentre parla in maniera sciolta con la donna che la osserva quasi fosse sotto un'investigazione per spaccio di droga. È esattamente ciò di cui parlo. Zero privacy. A poco serve quella vocina nella sua testa che le urla veemente il fatto che senza Ginny e Harry probabilmente tre quarti del tempo che Albus e Mun passano fuori casa, lo passerebbero dentro a cambiare pannolini. « No no, è che.. mi si è rotto un tacco quindi ho deciso di tornare. Ero comunque stanca. Albus è rimasto un po' di più. Non vede James, Siri e Olympia così spesso da quando stiamo qui. Li ho lasciati a stare un po' insieme. » Una bugia che forse Ginny avrebbe accettato con più facilità considerato il suo attaccamento alla famiglia e la gioia che sembrava provare ogni qual volta i figli tornassero ad avere quattro anni per gamba, destreggiandosi in quella tipica unione da bravi fratelli infanti, cosa che, oltretutto non accadeva più molto per ovvie ragioni. « Sicura che non vuoi ritornare? Posso rimanere ancora. Sono a metà di questo libro interessantissimo sulle nuove scope a propulsione. » Mun beve sovrappensiero prima di sollevare lo sguardo in direzione della rossa, cercando di sembrare il più naturale possibile. « No, davvero. Abbiamo approfittato anche troppo della tua disponibilità. Però se vuoi restare ancora non farti problemi. Io credo che andrò a letto. » Ma Ginny non sembra avere molte altre ragioni per restare. Le spiega che in realtà è certa che la cena di Harry è finita a fish and chips, conoscendolo, e che tutto sommato non le dispiace prendersene una porzione prima che diventino gommosi. Si concede quindi una telefonata al marito col quale sembra andare a gonfie vele, per la cieca invidia di una Mun già colta in nella terza guerra mondiale dopo un anno e mezzo di convivenza, e poi la saluta, raccomandandosi con lei di salutare Albus e di ricordargli che il sabato dopo aspettava tutti e quattro a cena da loro. « Tanto lui sicuro se lo scorda; Harry la prenderebbe davvero male. Già dice che Albus lo chiama solo quando gli serve qualcosa. » Drammi famigliari che in un altro momento avrebbero divertito Mun, ma che in quel momento le appaiono come un suppellettile ingombrante, le danno la stessa sensazione di quei due merletti di nonna Molly che Mun è costretta a tirare fuori ogni qual volta la signora Weasley si scomodi di venire a Inverness, per non offendere la sua estrema generosità.
    Il tempo passa ma Mun di salire di sopra non sembra averne intenzione. Controllato il baby monitor e assicuratasi che i bambini dormono indisturbati, decide che di andare di sopra non ne ha voglia. Sì, è solo quello. Non ne ho voglia. Se voglio io vado di sopra. Se non ho voglia non ci vado. Non c'entra di certo con il fatto che passata mezz'ora, di Albus non ce ne è nemmeno il sentore. Da quel momento per quasi due ore inizia un giro fuorviante di azioni meccaniche. Prendi il cellulare, prova a chiamare, chiudi prima del primo squillo, guarda fuori dalla finestra, guarda dalla finestra sul retro, cammina avanti indietro nel salotto, ascolta qualche canzone su un vecchio mp3 - lo stesso che l'aveva accompagnata durante il lockdown - e poi ripeti tutte queste azioni ancora e ancora senza perdere mai di vista l'orologio. Due ore e mezza. Questo il tempo che intercorre tra il momento in cui Ginny ha lasciato casa loro e il momento in cui la serratura scatta. Lo osserva nella penombra mentre si dirige leggermente barcollante verso il frigo; lentamente la rabbia le rimonta in petto. Due ore e mezza.. perso chissà dove. La gente muore in molto meno. La gente può morire precisamente in meno di quaranta secondi. Ci vuole solo un nome e un volto. Tu sei mancato per due ore e mezza. Sai quanti quaranta secondi c'entrano in due ore e mezza? Duecentoventicinque per quaranta secondi. Potevi crepare male duecentoventicinque volte. Quegli occhi di ghiaccio lo scrutano nel buio mentre la lucetta della cucina ne illumina la figura. E poi infine si volta. « Cazzo Mun! Ma che sei? Belfagor? » Mun dal canto suo non batte ciglio. Se ne sta lì a braccia conserte spostando lo sguardo di lato non appena la luce le che lui accende le illumina il volto nero di rabbia e frustrazione. Non riesce nemmeno a guardarlo negli occhi, non dopo tutto ciò che è successo. Ma Albus sembra prendere il tutto sotto gamba e rincara la dose. « Dai, sentiamo sto discorso che ti sei preparata. Se valeva la pena di rovinarci pure la festa di James, deve essere proprio una cosa dell'altro mondo! » Il tono di sfida con cui tratta la gravità del suo comportamento le fa dubitare della persona che ha davanti.
    Lv9uWl5
    Mun si è dimostrata spesso la ragazzina sciocca nel gioco delle parti. Era il suo ruolo, un ruolo che ha consapevolmente scelto per stuzzicarlo, perché loro due erano fatti così. Lei alimentava il suo ego, e lui in cambio la rendeva la principessa più ambita sull'intera faccia della terra. Quella sera però, Mun, di scherzare non ne aveva voglia, e non aveva nemmeno voglia di passare sopra all'ennesima discussione evitata con le solite carinerie e smancerie. Un conto è far finta di vedere asini che volano, un conto è sapere che gli asini volano. E per giunta devo pure far finta di non vederli. « Non ho proprio nessun discorso pronto. Mi fai così tanto schifo che non ho nemmeno voglia di guardarti. » Asserisce mentre si alza in piedi di scatto, ritornando verso il bancone della cucina, da dove afferra la bottiglia di bourbon risposta in uno dei mobiletti in alto. Ha bisogno di un colpo di bacchetta per raggiungerla, ma alla fine, senza l'aiuto di nessuno ce la fa, e si versa in un bicchiere una quantità spropositata di liquore quasi nell'intento di contare mentalmente quanto dovrebbe aver bevuto lui. « D'altronde a me i discorsi non sono più permessi. Io devo stare in cucina ai fornelli, sorridere e annuire. » Taglia corto, facendogli notare che non ha gradito il modo in cui le si è rivolto quella sera. « Dovresti vergognarti per il modo in cui ti presenti a casa e anche per il modo in cui mi hai trattata, ma in fondo dovevo aspettarmelo.. mi sono presa esattamente ciò che mi meritavo. » Stringe i denti prima di portarsi il bicchiere alle labbra. Fino a quel momento il suo tono era stato relativamente calmo, nonostante sgorgasse veleno da tutti i pori. « Sei un cafone e un maleducato. Ma soprattutto sei uno sporco traditore e un fottuto ipocrita! No Mun io di qua io di là.. ho una spiegazione bla bla. » Asserisce tentando di emulare il suo tono più lamentoso e sdolcinato, prima di tornare seria, fumando coma una pentola sotto pressione. « Le vecchie abitudini sono dure a morire. Per quanto ci provi è nella tua natura fare lo stronzo patentato. » Pausa. « Ma non pensare che tu con me fai quello che ti pare. No no no no, Potter. Io non sono una delle tue fatine! Col cazzo che mi ci tratti alla stessa maniera. » Un'altra pausa, tempo in cui gli punta il dito contro nonostante sia ancora rivolto di spalle, seduto in quella poltrona che tra l'altro a Mun piace tanto e che al momento Albus sta indegnamente occupando con la sua indegna presenza. « Domani mattina vado via. Io e i bambini andiamo alla casa in campagna. Così hai più tempo per riflettere sui tuoi preziosissimi affari di stato. » Boom.



     
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    "Non ho proprio nessun discorso pronto. Mi fai così tanto schifo che non ho nemmeno voglia di guardarti." Alzò gli occhi al cielo, facendogli compiere una completa rotazione mentre prendeva un tiro di sigaretta. Sapeva di aver tirato la corda, provocando volontariamente quella reazione in Mun: se da una parte il suo prendersela comoda era stato necessario a riacquistare un po' di calma, dall'altra era innegabile che fosse stato anche finalizzato a farle un dispetto. Sei voluta andare per conto tuo? Benissimo. Adesso io ci metto il triplo del tempo per arrivare a casa. Così impari! Un ragionamento più che infantile, quello del Serpeverde, cifra di una persona che non sentiva ragioni quando si trattava di discutere. Ogni volta era così per loro: quando litigavano, anche per la cosa più stupida, lo facevano in maniera feroce, dicendosele di tutti i colori; poi c'era sempre quello che si offendeva per primo e girava il culo. La solita storia. Una che Albus aveva vissuto sin troppe volte, e in cui comunque sembrava cascarci sempre, senza imparare nulla dagli errori che puntualmente commettevano. "D'altronde a me i discorsi non sono più permessi. Io devo stare in cucina ai fornelli, sorridere e annuire. Dovresti vergognarti per il modo in cui ti presenti a casa e anche per il modo in cui mi hai trattata, ma in fondo dovevo aspettarmelo.. mi sono presa esattamente ciò che mi meritavo." Se il giovane Potter aveva creduto che non fosse possibile alzare gli occhi al cielo per due volte di seguito, e con tanta potenza, dovette necessariamente ricredersi nel procinto di farlo. "E' arrivata la casalinga disperata col tacco dodici e il lavoro alla Gringott. Ti asciugherei le lacrime se non fossi troppo impegnato a godere del mio potere patriarcale." Sbuffò, scuotendo il capo esterrefatto. "Ma fammi il piacere, Mun! Almeno non ti inventare problemi che non ci sono." E ci credo! Dopo che gli elfi domestici le hanno pulito il culo fino all'altroieri, adesso lava mezzo piatto e subito 'sOnO uNa ScHiAvA!!' Si riportò nuovamente la sigaretta alle labbra, prendendone un tiro più lungo e appoggiando la nuca contro il cuscinetto della poltrona mentre lasciava che la nicotina entrasse in circolo. Sapeva già che quella sua calma non sarebbe durata a lungo, ma una parte di lui si voleva sforzare a mantenerla il più possibile, quanto meno fino a quando lei non avrebbe lanciato una di quelle frasi che ti fa dire il dado è tratto - perché lo avrebbe fatto, era solo questione di tempo. Mun e Albus erano fatti così: quando litigavano non risparmiavano colpi, e presto o tardi arrivavano sempre a quel punto della discussione da cui non era più possibile tornare indietro. "Sei un cafone e un maleducato. Ma soprattutto sei uno sporco traditore e un fottuto ipocrita! No Mun io di qua io di là.. ho una spiegazione bla bla." Aggrottò la fronte, confuso da quelle parole, ma ancora relativamente tranquillo nel pronunciare poche parole dirette. "Ma io non devo una spiegazione proprio a nessuno." Ed era così che Albus si sentiva: come se per l'ennesima volta una sua questione privata fosse stata resa di dominio pubblico, portando tutti ad affannarsi su di lui con chissà quale diritto di essere messi necessariamente al corrente della cosa. Ciò che era successo quel sabato l'aveva colpito profondamente, e non solo a livello fisico. Ci aveva messo settimane per tornare quantomeno a un'apparenza di normalità, a pensare con più lucidità. E in quella lucidità aveva fatto una scelta: di non vendere il nome di Fawn. Prima di tutto perché se fosse finito nelle mani sbagliate avrebbe potuto anche procurarle un biglietto di sola andata per Azkaban, e poi perché non voleva che al paralizzante senso di colpa di aver castato quella maledizione (per giunta su di lui) si aggiungesse anche l'ostracizzazione che ne sarebbe derivata. A che pro? Se non fosse stato lui, allora sarebbe toccato a lei. Lo Shame gli aveva dato una scelta: per salvare Jay, uno di voi due deve cruciare l'altro. E per quanto Albus avesse dubbi sul fatto che quello di fronte a lui fosse davvero suo figlio, non aveva potuto permettersi di rischiare. Ormai il danno era fatto: creare ulteriori sofferenze non aveva senso. E' davvero tanto chiedere di potermi lasciare quella notte alle spalle? Di dimenticarla? Di non riviverla costantemente? "Le vecchie abitudini sono dure a morire. Per quanto ci provi è nella tua natura fare lo stronzo patentato. Ma non pensare che tu con me fai quello che ti pare. No no no no, Potter. Io non sono una delle tue fatine! Col cazzo che mi ci tratti alla stessa maniera. Domani mattina vado via. Io e i bambini andiamo alla casa in campagna. Così hai più tempo per riflettere sui tuoi preziosissimi affari di stato." A quelle parole calò il silenzio tombale nel salotto, interrotto solo dal lieve sfrigolio della sigaretta che bruciava al suo ennesimo tiro. In silenzio religioso, spense la cicca sul portacenere accanto a sé, alzandosi in seguito dalla poltrona con una lentezza innaturale. Si voltò verso Mun, fissandola negli occhi per alcuni istanti senza proferire parola. La fronte distesa e lo sguardo freddo, che tuttavia non suggeriva distacco, ma una rabbia che stava iniziando a ribollirgli dentro. Assottigliò appena le palpebre sulle iridi ormai fattesi scure, spingendosi di pochi misurati passi più vicino alla Carrow. "Certo che devi essere proprio una bella persona di merda per ricattarmi coi miei stessi figli." Storse le labbra in una smorfia all'ingiù, annuendo piano come a volerle mostrare quanto fosse colpito da quella sua trovata. Come se non avessi vissuto questa storia già abbastanza volte con Laura. "E' proprio vero che ti sei impegnata un sacco a fare da mamma a Jay. Così tanto che sei diventata proprio come la sua madre biologica. Tale e quale. Peccato che a livello legale ti puoi permettere di fare questo giochino solo su Lily." Si sentiva nauseato dalle parole che Mun gli aveva appena proferito, come se avesse mangiato qualcosa di andato a male e adesso gli si stesse rinfacciando. Perché i bambini erano l'unica cosa che nessuno poteva permettersi di toccargli. E con tutta la storia pregressa a riguardo di cui Mun era a conoscenza, lei sapeva di poterlo così colpire in un punto vivo, spezzandogli il cuore. Mi ha ricattato Laura, mi ha ricattato lo Shame..ma da te proprio non me lo aspettavo. Estrasse la bacchetta dalla tasca, castando un Accio silenzioso che fece atterrare con un sibilo tra le sue mani un piccolo plico di fogli di carta. Le pratiche ancora incomplete per l'adozione di Jay da parte di Mun, quelle su cui avevano iniziato a informarsi dal giorno in cui lui le aveva chiesto di sposarlo. Tenendo lo sguardo fisso negli occhi di lei strappò il plico a metà una volta, poi una seconda, una terza, una quarta, gettando il mucchietto del posacenere e dandogli fuoco con un colpo di bacchetta. "Lo sai che ti dico, Mun? Grazie." Pausa "Grazie per avermi dimostrato che avevo ragione." Altra pausa "Quando Fawn ha detto ad Erik ciò che era successo, ho pensato che forse fosse giusto che io facessi lo stesso con te. Poi non l'ho fatto, perché sapevo che non l'avresti retto." Scosse il capo, stringendosi nelle spalle con un sorrisetto amaro. "Ora ho la certezza di non pentirmi affatto della mia scelta. Perché oltre ad essere inaffidabile sei anche manipolatrice e maligna." Fece un'altra pausa, fissandola a lungo negli occhi. "E a queste condizioni dovrai passare sopra al mio cadavere prima che ti lasci adottare Jay." Scosse il capo con veemenza, rosso in viso. "Non ti permetterò di usarlo come merce di scambio per tenermi al tuo guinzaglietto. Dovresti solo vergognarti." Se esci da questa casa con quei bambini, Amunet, non ci sarà più niente che tu potrai fare per tornare indietro. Sarà finita.

     
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    « E' arrivata la casalinga disperata col tacco dodici e il lavoro alla Gringott. Ti asciugherei le lacrime se non fossi troppo impegnato a godere del mio potere patriarcale. Ma fammi il piacere, Mun! Almeno non ti inventare problemi che non ci sono. » « Sai benissimo che non è questo il punto. Non nasconderti dietro a un dito! » Sbotta di colpo, colta in flagrante da quelle parole. Mun non si è mai sentita una donna sacrificata, non con Albus, ma ciò non toglieva che il modo in cui le si era rivolto quella sera, era stato tutto fuorché gradito. No. Non ti permetto proprio di usare le mie stesse parole contro di me e capirci per giunta quello che cazzo ti pare. Aveva tentato di sfuggire a un confronto che presto o tardi sarebbe giunto, utilizzando i suoi soliti mezzucci per chiudere una discussione. Qualcosa a cui Mun aveva acconsentito quasi sovrappensiero. Lui aveva detto adesso basta con un che di autoritario e lei si era ritirata di colpo in se stessa, passando in posizione di difesa come una bambina mortificata, pronta a seguirlo verso casa come un cagnolino ferito e sconfitto. Solo dopo, una volta conclusa la sua arringa e lasciato il campo di battaglia, si era accorta di quanto stupido era stato il suo comportamento. Non avrebbe dovuto cedere, non avrebbe dovuto dargliela vinta, lasciargli intravedere la propria posizione rispetto a quella di lui; eppure lo aveva fatto, come sempre, come se quello fosse ancora un gioco. Albus dice basta, e di colpo tutti i suoi desideri vengono accontentati. Beh non questa volta. Era il motivo cardine per cui alla fine si era rifiutata di salire in macchina con lui, il motivo cardine per cui è talmente incazzata, a tal punto da minacciarlo con l'unico fulcro del loro rapporto che non dovrebbe mai entrare in quelle discussioni. Albus l'ha mortificata, le ha tappato la bocca, pur di non ritrovarsi a dover venir meno a una più che evidente promessa che deve aver fatto a Fawn. Si è scagliato contro di lei in pubblico per proteggere un'altra persona. Cosa pensava che avrei fatto? Pensava forse che l'avrei trascinata per i capelli da Fort Augustus e fino all'Wizengamot? Albus avrebbe potuto tenere comunque fede a qualunque patto avesse in atto, ma in maniera meno brusca, e invece aveva deciso che trattare male Mun di fronte a tutti era la giusta strategia per uscirsene con le mani pulite. La situazione al piano di sotto nella loro casetta a Inverness, precipita in fretta. Ci vuole davvero poco per toccare le corde più sbagliate e ognuna di esse vibra nell'aria pesante tra i due più e più volte. Colta da un raptus di ira, Mun getta il peggiore degli assi che ha nella manica, l'unico con cui sa di ferirlo talmente tanto da fargli comprendere quanto poco stia scherzando e quanto poco stia gradendo quel giro di continue bugie e continue mezze verità che le sta propinando. Non se lo meritava; così poca fiducia, Mun non si meritava, non dopo quanto avevano patito insieme, non dopo che insieme avevano superato molto di peggio. La furia si alza in piedi, ma nonostante ciò Mun non si scompiglia nemmeno un po'. Incrocia le braccia al petto pronta a fronteggiarlo con la sua migliore faccia da bronzo. « Certo che devi essere proprio una bella persona di merda per ricattarmi coi miei stessi figli. E' proprio vero che ti sei impegnata un sacco a fare da mamma a Jay. Così tanto che sei diventata proprio come la sua madre biologica. Tale e quale. Peccato che a livello legale ti puoi permettere di fare questo giochino solo su Lily. » Non è fiera di ciò che a fatto ma nonostante ciò, a quel colpo basso, Mun non era pronta. Non pensava che Albus potesse cadere tanto in basso. Quelle poche parole fanno riecheggiare nella sua testa altre parole simili. Quelle di Jude: Jay non è tuo figlio, e ancora tutti quegli sguardi di sufficienza delle signore infiocchettate all'asilo. Mai era stata più fiera come di fronte agli occhi di quelle frottole che odoravano di invidia e di morte di poter abbracciare il biondino. Non era difficile immaginare cosa pensassero. Come è caduta in basso questa bambina. Cresce il figlio di un'altra. Il figlio bastardi di un Potter. Poverina. Ma Mun, così, non si è mai sentita, e non ha mai provato il peso di tenere per mano il suo topolino di fronte a quelle arpie. Lo ha accudito quando aveva la febbre, l'ha abbracciato forte ogni qual volta chiedesse di dormire sul lettone perché faceva brutti sogni e mai lo aveva trattato in maniera diversa da Lily. Se possibile, gli aveva riservato ancor più attenzioni per non farlo sentire mai messo da parte. Ora, sentirsi dire ciò proprio da colui che gli aveva chiesto in prima battuta di riflettere bene su come intendesse comportarsi qualora volesse restargli accanto, era come uno squarcio dritto nel cuore. Oggi mi hai uccisa un po' di più. « Non azzardarti, Albus. Non provarci! » Lo ammonisce puntandogli il dito contro. Vorrebbe prenderlo a schiaffi, fargli male ma per davvero; vorrebbe riuscire a fargli capire quanto quelle poche parole possono essere velenose. Ha sempre sofferto la sua posizione precaria, ha sempre dovuto impegnarsi più di qualunque altra donna Albus avesse scelto per sé, perché quella era la sua storia, quello il suo cognome, e quelli i pregiudizi che si portava dietro. Ma evidentemente lui, quell'avvertimento non lo prese sul serio. Nemmeno un po'. Non comprese che stava andando ben oltre la soglia consentita di un semplice litigio. E così le strappò le pratiche di adozione sotto i suoi occhi lucidi. Una, due, tre volte, per poi vederle svanire nelle fiamme mentre tentava con tutte le forze di non cedere e non scoppiare a piangere. Non si merita le tue lacrime. Non si merita niente.
    « Lo sai che ti dico, Mun? Grazie. Grazie per avermi dimostrato che avevo ragione. Quando Fawn ha detto ad Erik ciò che era successo, ho pensato che forse fosse giusto che io facessi lo stesso con te. Poi non l'ho fatto, perché sapevo che non l'avresti retto. Ora ho la certezza di non pentirmi affatto della mia scelta. Perché oltre ad essere inaffidabile sei anche manipolatrice e maligna. » Ma Mun continua a fissare quella fiammella che svanisce lentamente nel posacenere. Non riesce nemmeno a guardarlo. Non vuole farlo. Non vuole associare il volto di Albus a quel mostro. E in quelle fiamme è come se vedesse sparire tutti i suoi sforzi, la sua buona volontà, il profondo desiderio che ha di crearsi una famiglia. Tutto sfumato in un nube di fumo. « E a queste condizioni dovrai passare sopra al mio cadavere prima che ti lasci adottare JAY. Non ti permetterò di usarlo come merce di scambio per tenermi al tuo guinzaglietto. Dovresti solo vergognarti. » « Sei squallido! Dio mio sei un viscido! Forse Laura non aveva nemmeno tutti i torti, visto il grado di lealtà che scorre nelle tue vene nei confronti di chiunque tranne che della tua famiglia! » Ferita fino al midollo Mun si scaglia contro Albus convinta ormai che non ha senso nemmeno tentare di scatenare in lui una giusta reazione. Lo pensa davvero? Bene. Me lo farò andare bene. « Sarebbe bastato così poco per darmi il contentino. Ma sai una cosa, il tuo contentino non lo voglio nemmeno più. Delle tue scuse non me ne faccio un cazzo. » E dicendo ciò sbatte il pugno contro il bancone della cucina fino a farsi male. Ma non le importa niente; Albus ha fatto qualcosa di molto peggio quella sera. È troppo arrabbiata anche solo per pensarci. « Hai fatto la tua scelta. Hai scelto di proteggere lei, mentre io stupida idiota ti roteavo intorno come una deficiente cercando di farti stare meglio, senza nemmeno capire cosa ti è successo. » Pausa. « E avevi ragione. Non lo avrei retto. Non lo reggo, e non lo reggi nemmeno tu. » E a quel punto gli punta il dito contro pronta a sputargli in faccia la più banale delle ovvietà. « Perché, amore mio, mi dispiace sbatterti in faccia la più grossa delle ovvietà, ma la Maledizione Cruciatus non è un Alohomora. Bisogna volerlo. Non basta essere incazzati, o impulsivi. Ti è chiaro il concetto? » Bisogna volerlo per davvero. E a giudicare da come sei stato, quello non era un incanto mal riuscito. Una risata amara sgorga dalle sue labbra nell'intento di colpire persino la più labile delle sue difese. Fawn andava protetta dalla furia e dai giudizi della pazza. Dai suoi banalissimo scandali, dai suoi lamenti inutili. Fawn andava protetta perché Mun è fuori di testa e chissà cosa avrebbe potuto fare. « La tua cara amica ti ha ridotto a un energumeno, e tu hai scelto di stare zitto, perché non volevi che qualcuno ti sbattesse in faccia la verità. Ti corrodeva l'idea che qualcuno potesse metterti di fronte alla verità. Beh.. ciò che è riuscita a farti non è normale. E cazzo se avevi ragione a non dirmelo, perché se l'avessi saputo, tu, lei, non l'avresti più vista nemmeno in cartolina. » Scuote la testa osservando disgustata. « È questa la verità nuda e cruda. Tu hai scelto di non darmi fiducia, hai scelto di tenerti i tuoi sporchi segretucci con un'altra persona e continui imperterrito sulla strada della negazione. Sei pure stupido oltre che bugiardo. » Allarga le braccia ormai colta da un senso di impotenza e disperazione. Non importa quanto mi impegni, Albus; io per te resterò sempre la cogliona cieca nascosta sul fondo dell'armadio, mentre tu vai a piangerti addosso dalla prima persona che passa. E' per questo che ti aggrappi Fawn. Vuoi che io sia facilmente gestibile, ma nel caso in cui non lo fossi, vuoi pronta anche la zattera di salvataggio. Compie un passo nella sua direzione gonfiando il petto con fierezza e osservandolo con un misto di rabbia e delsuione. « Guarda bene quello che hai fatto qui oggi. » E dicendo ciò gli indica il posacenere in cui ha gettato i pezzi dei documenti. « Perché hai fatto tutto questo per Fawn. Ed io, non te lo perdonerò mai. Non voglio vederti, non voglio sentirti, mi fai così tanto schifo che vorrei sparissi dalla faccia della terra, tu e le tue scelte del cazzo. » Pausa. « Quando resterai solo come un cane, spero vivamente che Erik e Fawn riescano a scaldarti il letto la notte, perché ora, col cazzo che mi tengo questa cosa per me. Devi piegare il capo di fronte a ogni fottuto idiota che hai preso per il culo in questo periodo con i tuoi ricordi sfocati. » Detto ciò gli volta le spalle dirigendosi verso le scale che portano al piano di sopra. Stavolta la botte piena e la moglie ubriaca non ce l'avrai. « Sei tu che devi vergognarti! Hai scelto di difendere Fawn persino al posto di nostro figlio. » Perché quello è comunque mio figlio. Che ti piaccia o meno. Facci i conti. E se non ti piace, dovrai spiegargli tu perché ce l'hai lasciato di nuovo senza una madre.



     
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    Sapeva, Albus, di averla punta sul vivo. Sapeva di aver fatto e detto una cattiveria che l'avrebbe inevitabilmente ferita, e sapeva anche di averlo fatto apposta. Perché non si può permettere di entrare nella mia vita a gamba tesa, promettermi il mare e le stelle, e poi minacciare di portarmi via tutto non appena le cose non vanno esattamente come vuole lei. I figli erano senza dubbio il fianco scoperto di Albus: se si andava a pungolare lì, si poteva star certi di far scattare in lui una qualche reazione. Non a caso lo Shame non ci aveva pensato due volte ad usare uno di loro come leva di ricatto per giungere ai propri scopi. Non c'era verso che ciò che era successo quel sabato sarebbe avvenuto se non ci fosse stato quell'elemento di mezzo. Avrebbe temporeggiato, avrebbe cercato soluzioni diverse, avrebbe tentato di ribellarsi a quella mano invisibile contro lui per primo aveva inveito, cercando invano di convincere il resto del campus ad operare diversamente - a scegliere diversamente. Una scelta ce l'avete sempre - parole che nessuno gli aveva messo in bocca, ma che era stato lui a pronunciare di propria spontanea volontà di fronte a tutti. Parole della cui veridicità, adesso, dubitava. All'epoca in cui le aveva dette, si era illuso che fossero intrise di coraggio, che avesse fatto qualcosa di rivoluzionario (nel suo piccolo) pure a discapito dei propri stessi interessi. Ma era facile, allora, fare il baldanzoso, quando sul piatto della bilancia non ci stava altro che un paio di foto o screen nemmeno così tanto scandalosi. Molto più difficile era provare il proprio coraggio con una posta in gioco molto più alta. E negli ultimi mesi, a riguardo, Albus si era interrogato a lungo nei propri pensieri. Figlio di due Grifondoro illustri, di due persone che avevano passato l'inferno e avevano guardato in faccia la paura affrontandola di petto, era normale che anche lui si ponesse spesso il dilemma di dover essere all'altezza di quei valori con cui era stato cresciuto. Fare la cosa giusta, fare la cosa coraggiosa, fare la cosa nobile. Ma nella circostanza che lui si era trovato a vivere, qual'era la cosa coraggiosa da fare? Resistere al ricatto, scommettendo sulla possibilità che quello di fronte a lui non fosse realmente Jay? Oppure prendersi un Crucio dritto al petto per non rischiare? E se la prima cosa fosse stata davvero la più coraggiosa..era anche la più nobile e giusta da fare? Aveva passato mesi ad arrovellarsi il cervello su quelle domande, e non era mai giunto a una conclusione. Anzi, se possibile si era tuffato ancora più in profondità nel gorgo all'interno del quale era stato gettato da quella maledetta sera. E alla fine dei conti, di quella scelta che lui aveva fatto allora, non aveva voluto rendere conto a nessuno. Non aveva voluto condividerla, perché inconsciamente, Albus sapeva di essersi piegato, e un giudizio del genere era qualcosa che non avrebbe potuto sopportare. Dunque se l'era tenuto per sé, lontano dagli apprezzamenti e dai biasimi. Aveva preferito insabbiare la questione, difendendo se stesso, Fawn e - a suo parere - tutti gli altri. Perché in fin dei conti, per quale ragione avrebbe dovuto dare un dolore del genere alla sua famiglia? Se non poteva nascondere il maleficio che lo aveva colpito, poteva quanto meno nasconderne le dinamiche e la bacchetta che ne era stata fautrice. Non andrebbe comunque a beneficiare nessuno l'esserne al corrente, tutt'altro! Questa era stata la sua linea di pensiero, una di cui tutt'ora continuava a non pentirsi, convinto di aver fatto la cosa migliore e convinto del fatto che avrebbe funzionato se solo non l'avessero fatta uscire allo scoperto. E Mun, in questo, era la persona peggiore a cui dirlo, ne era certo.
    mzAcqi6
    "Sei squallido! Dio mio sei un viscido! Forse Laura non aveva nemmeno tutti i torti, visto il grado di lealtà che scorre nelle tue vene nei confronti di chiunque tranne che della tua famiglia!" Scosse il capo, visibilmente alterato. "Una famiglia di cui tu dici di far parte solo quando ti fa comodo, a quanto pare!" Perché Mun ne faceva parte a tutti gli effetti, e non aveva certo bisogno del suo cognome per dimostrarlo. Ma ogni qualvolta qualcosa andasse storto, solo allora se ne chiamava fuori, tornando ad essere Amunet Carrow contro il mondo intero. Sarebbe bello, far parte di un qualcosa solo quando ci sta bene e metterne il piede fuori quando si vedono anche i lati negativi. Ma la famiglia, quella vera, è famiglia tanto perché quanto malgrado. "Sarebbe bastato così poco per darmi il contentino. Ma sai una cosa, il tuo contentino non lo voglio nemmeno più. Delle tue scuse non me ne faccio un cazzo. Hai fatto la tua scelta. Hai scelto di proteggere lei, mentre io stupida idiota ti roteavo intorno come una deficiente cercando di farti stare meglio, senza nemmeno capire cosa ti è successo. E avevi ragione. Non lo avrei retto. Non lo reggo, e non lo reggi nemmeno tu. Perché, amore mio, mi dispiace sbatterti in faccia la più grossa delle ovvietà, ma la Maledizione Cruciatus non è un Alohomora. Bisogna volerlo. Non basta essere incazzati, o impulsivi. Ti è chiaro il concetto?" Rosso in viso, le puntò contro il dito tremante dalla rabbia, mordendosi il labbro inferiore per obbligarsi a non urlare. "Lo sapevo! Lo sapevo che sarebbe andata così." sibilò tra i denti "La lingua batte dove il dente duole! E' sempre stato questo il tuo problema. Sempre Fawn. E scommetto che nel venirlo a sapere hai proprio fatto i salti di gioia quando è venuto fuori il suo nome. Finalmente hai avuto l'alibi che aspettavi da un anno e mezzo per darle addosso e farti pure spalleggiare. L'alibi per dirmi apertamente o me o lei." Scosse il capo, alzando le mani con un espressione di puro disgusto in volto. "Sei proprio caduta in basso." E ce ne vuole di impegno, data la tua stazza! Quello di Fawn era sempre stato un tasto dolente nella loro relazione. Per Amunet, la Grifondoro era sempre stata il convitato di pietra all'interno della loro coppia; un qualcosa di cui Albus non riusciva a capacitarsi. Perché lei? Perché Fawn e non Betty? Avrebbe avuto molto più senso avere crisi di gelosia con la seconda, grande amore storico del ragazzo. Cos'ha Fawn che ti mette così tanta paura? Una domanda alla quale, nonostante il tempo, non era riuscito ancora a darsi una risposta. E infatti, nel toccare quel tasto, Mun scattò come una corda di violino. "La tua cara amica ti ha ridotto a un energumeno, e tu hai scelto di stare zitto, perché non volevi che qualcuno ti sbattesse in faccia la verità. Ti corrodeva l'idea che qualcuno potesse metterti di fronte alla verità. Beh.. ciò che è riuscita a farti non è normale. E cazzo se avevi ragione a non dirmelo, perché se l'avessi saputo, tu, lei, non l'avresti più vista nemmeno in cartolina. È questa la verità nuda e cruda. Tu hai scelto di non darmi fiducia, hai scelto di tenerti i tuoi sporchi segretucci con un'altra persona e continui imperterrito sulla strada della negazione. Sei pure stupido oltre che bugiardo." Scosse ancora una volta il capo, questa volta facendosi uscire una piccola risata amara che culminò in un sorriso sarcastico. "Tu non sai proprio niente." "Guarda bene quello che hai fatto qui oggi. Perché hai fatto tutto questo per Fawn. Ed io, non te lo perdonerò mai. Non voglio vederti, non voglio sentirti, mi fai così tanto schifo che vorrei sparissi dalla faccia della terra, tu e le tue scelte del cazzo. Quando resterai solo come un cane, spero vivamente che Erik e Fawn riescano a scaldarti il letto la notte, perché ora, col cazzo che mi tengo questa cosa per me. Devi piegare il capo di fronte a ogni fottuto idiota che hai preso per il culo in questo periodo con i tuoi ricordi sfocati. Sei tu che devi vergognarti! Hai scelto di difendere Fawn persino al posto di nostro figlio." Il sorriso di Albus, a quelle parole, si fece più sardonico, assumendo una luce quasi luciferina nello sguardo di sfida che le rivolse, facendo un passo avanti e poggiando le dita sul corrimano delle scale. "Tu pensi davvero che io piegherò il capo di fronte agli altri? Pensi che farò il cane bastonato quando cominceranno a inveirle contro?" Scosse il capo, ridacchiando tra sé e sé. "Sei un'illusa, Mun. Io la difenderò a spada tratta dal primo all'ultimo pezzo di merda che si sente di poter giudicare col senno del poi, senza essere stato lì, senza aver visto quello che noi abbiamo visto. La difenderò anche a costo di passare da martire a carnefice, perché Fawn ha pagato un prezzo che non era tenuta nemmeno a considerare - e lo ha fatto per non rischiare la vita di quel figlio che adesso tu utilizzi per ricattarmi." E a te roderà il culo da morire. Perché pure se mezza Londra si schierasse a dire che tu sei bella e Fawn fa schifo, comunque vivresti lo smacco ancor più grosso di vedermi difendere lei a tuo discapito - davanti a tutti, questa volta. E a te la sola idea fa ribollire il sangue. Questa discussione ne è la prova. Mosse un paio di passi su per le scale, rimanendo di poco più in basso per poterla guardare dritta negli occhi. "Ah già..questo non te l'hanno detto, vero? Pensavi che Fawn avesse castato quel Crucio così.." si strinse nelle spalle, come a sottolineare la propria perplessità "..per sport? Perché non si è fatta andare giù quello che è successo un anno e mezzo fa? Non mi stupisco che tu abbia voluto crederci al primo colpo senza nemmeno farti lo scrupolo di appurare quanto ci fosse di vero e perché: era proprio la storiella che volevi. Beh..peccato che la realtà sia diversa." Salì un altro paio di gradini, fermandosi poi per voltarsi a guardarla dall'alto. "Lo sai che c'è? Vai..fai quello che vuoi..dillo a mezzo mondo. Fatti l'ennesimo tour alla ricerca di qualcuno che ti dia manforte e ti dica 'povera Mun, sempre messa all'angolino lei'." Puntò quindi il dito nuovamente contro di lei, accusatore, ma privo di quella rabbia con cui prima aveva fatto lo stesso gesto. "Io avrò pure scelto lei - secondo la tua logica fallimentare -, ma l'ho fatto perché lei ha scelto noi..quando aveva tutta la libertà di non farlo. Quindi vai pure, ma vai con la coscienza di metterla alla gogna per il tuo egoismo..non per giustizia." E detto ciò diede un colpetto al corrimano, voltandosi e salendo le scale fino alla stanza degli ospiti, dove avrebbe trascorso la notte.

     
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    « Lo sapevo! Lo sapevo che sarebbe andata così. La lingua batte dove il dente duole! E' sempre stato questo il tuo problema. Sempre Fawn. E scommetto che nel venirlo a sapere hai proprio fatto i salti di gioia quando è venuto fuori il suo nome. Finalmente hai avuto l'alibi che aspettavi da un anno e mezzo per darle addosso e farti pure spalleggiare. L'alibi per dirmi apertamente o me o lei. Sei proprio caduta in basso. » Mun sbuffa ormai stufa di quei discorsi. Albus non capisce; non vuole capire, non vuole nemmeno ascoltare. La sua capacità di guardare dall'altra parte è impressionante, tanto che, si chiede se l'ha mai davvero conosciuta. Che Amunet sia sempre stata una persona estremamente gelosa nei confronti di Albus, è risaputo, ma il punto di quel discorso non è certo la persona - o meglio, non solo la persona - ma il suo averla protetta con la consapevolezza di farlo semplicemente perché si trattasse di lei. Mun non ama essere trattata come se dovesse essere gestita; seppur sappia da sé che in molte situazioni è semplicemente ingestibile, in cuor suo, sa che non avrebbe mai trattato Fawn con la stessa sregolatezza di cui la accusa Albus. Ci sono stati tempi in cui, con la Byrne le cose si erano persino incanalate in un binario ben preciso - né troppo lontana, né troppo vicina, sufficiente da non perderla d'occhio e al contempo non costringere Albus di rinunciare a un'amicizia che a detta sua era importante. Avrebbe sempre avuto le sue riserve, e in cuor suo, avrebbe sempre sofferto per quella specie di torto che Albus le faceva ogni giorno, mantenendo un rapporto così stretto con una sua ex, ma nonostante ciò, finché non ne aveva avuto motivo, la Carrow si era morsa la lingua e si era contenuta sin troppo, nonostante una parte di sé avrebbe voluto mettere le cose in chiaro sin dal principio. Certo che allora mi hai preso proprio per una cretina. « Credi che il problema sia Fawn, vero? Non tu! NON SEI MAI TU IL PROBLEMA. Il fantastico figlio del Prescelto, senza macchia e senza peccato. » Lo osserva rossa in volto e ormai fuori di sé. « Beh lascia che te lo ribadisca, nel caso in cui il Crucio ti ha alterato la facoltà di ragionare: il problema sei TU. » Mun aveva ringhiato contro tutti nell'ultimo periodo. Contro Betty e Olympia che le avevano rovinato il matrimonio, contro i fratelli che tentavano a tutti i costi di incanalarla in dei binari che per lei non funzionavano più, contro la madre, che continuava ad essere più instabile di un tavolo a tre gambe e contro ogni anima che tentasse di scardinarle in un modo o nell'altro la situazione ideale che si era creata, ma l'unico con cui ce l'avesse a morte era Albus. In prima battuta si era detta che non gliene aveva parlato perché non aveva voglia di ricordare, perché gli faceva troppo male, perché ne era traumatizzato o forse addirittura perché ne era in qualche maniera costretto.. Ho pensato persino che lo Shame potesse in qualche maniera tenerti al guinzaglio. Ma a giudicare dall'atteggiamento che aveva assunto in quel momento, era ovvio che non avesse alcun tipo di remora nei confronti dell'atteggiamento che aveva assunto, e che per giunta, ne andava persino fiero. « Tu pensi davvero che io piegherò il capo di fronte agli altri? Pensi che farò il cane bastonato quando cominceranno a inveirle contro? Sei un'illusa, Mun. Io la difenderò a spada tratta dal primo all'ultimo pezzo di merda che si sente di poter giudicare col senno del poi, senza essere stato lì, senza aver visto quello che noi abbiamo visto. La difenderò anche a costo di passare da martire a carnefice, perché Fawn ha pagato un prezzo che non era tenuta nemmeno a considerare - e lo ha fatto per non rischiare la vita di quel figlio che adesso tu utilizzi per ricattarmi. » Mun strinse automaticamente i denti osservandolo con un velo di frustrazione palpabile. Non m'interessa. Non è quello il punto. E tu non stai facendo altro che peggiorare la situazione. « Ah già..questo non te l'hanno detto, vero? Pensavi che Fawn avesse castato quel Crucio così.. per sport? » E a quel punto anche Mun gli punta contro il dito fino spintonargli la spalla in maniera indelicata. « Tu non mi hai detto proprio niente, è questo il punto. » Ma Albus sembra non riuscire nemmeno a sentirla. « Perché non si è fatta andare giù quello che è successo un anno e mezzo fa? Non mi stupisco che tu abbia voluto crederci al primo colpo senza nemmeno farti lo scrupolo di appurare quanto ci fosse di vero e perché: era proprio la storiella che volevi. Beh..peccato che la realtà sia diversa. Lo sai che c'è? Vai..fai quello che vuoi..dillo a mezzo mondo. Fatti l'ennesimo tour alla ricerca di qualcuno che ti dia manforte e ti dica 'povera Mun, sempre messa all'angolino lei'. Io avrò pure scelto lei - secondo la tua logica fallimentare -, ma l'ho fatto perché lei ha scelto noi..quando aveva tutta la libertà di non farlo. Quindi vai pure, ma vai con la coscienza di metterla alla gogna per il tuo egoismo..non per giustizia. » In tutta risposta, Mun volta lo sguardo dall'altra parte cercando di nascondere gli occhi lucidi. Albus in cambio le spalle e sale di sopra; ed è così che Mun comprese che la discussione era finita. Te ne pentirai. Di questo posso assicurarti. Perché da che mondo è mondo, la peggiore specie di Amunet Carrow è una vendicava e pronta a fartela pagare con gli interessi.

    Chiunque a quel punto potrebbe pensare che una notte di buon riposo, schiarirà le idee ad entrambi. La sera prima tuttavia, erano state dette sin troppe cose che non andavano, e così, il regno del terrore e soprattutto del silenzio ebbe inizio. Mun non dormì quella notte, anzi, il giorno seguente dovette utilizzare strati e strati di correttore e qualche goccia per gli occhi per nascondere tanto le occhiaie quanto gli occhi rossi. Aveva pianto; tornata nella stanza si era resa conto che per la prima volta andava a dormire da sola dopo tanto tempo. Mun e Albus non erano mai davvero andati a letto nel mezzo di una lite. Litigavano spesso, ma riuscivano a risolvere con la stessa velocità le loro diatribe. Non era più abituata ad addormentarsi e svegliarsi da sola, specie quando, sapeva che i motivi di quella separazione non erano affatto pacifici. Più ripensava a ciò che Albus aveva fatto e detto, più le veniva da piangere, urlare, fare l'ennesima scenata, uscire da quella stanza e dirigersi dritta per dritta verso il lato opposto del corridoio per prenderlo a pugni e sprigionare tutta quella violenza che preservava nell'animo e che ostentava di controllare da sempre. Se ne avesse avuto la forza, quella sera, a cruciarlo ci avrebbe pensato lei, tanto era arrabbiata; talmente fuori di sé che ad un certo punto aveva persino dovuto affondare la testa nel cuscino e soffocare un urlo, prima di iniziare a colpire lo stesso cuscino con i pugni e i palmi, probabilmente immaginando si trattasse della faccia di Albus. La mattina dopo non era andata meglio; il girone del silenzio era cominciato, ed era continuato per tutti i giorni a seguire, senza che nessuno facesse nulla per migliorare la situazione. Mun evitava persino di guardarlo; si alternavano nel portare Jay al nido e nello sbrigare le faccende di casa nello stesso ordine da sempre rispettato, senza che nessuno dei due se ne distaccasse di una virgola. Un equilibrio precario che rischiava di essere spezzato persino da un cucchiaio fuori posto. Nemmeno l'esperienza ad Azkaban era servita per avvicinarli granché. Se fosse possibile, Mun era tornata a casa ancora più arrabbiata, sbattendosi la porta della loro stanza alle spalle con un tonfo indelicato, riempiendosi la vasca da bagno e rimanendo lì a giacere fino ad addormentarsi piangendo. Era triste e apatica, ormai colta in un gorgoglio di pensieri e preoccupazioni. Ci stiamo lasciando.. giunge a pensare ad un certo punto. Ci stiamo davvero lasciando, perché è questo il massimo a cui riesce ad arrivare Mun, da sempre circondata da una serie infinita di rapporti fallimentari, in primis quello dei suoi. [...] Alla fine tenere i bambini lontani dai loro problemi almeno per un weekend era stata l'idea migliore. Il precedente, passato pressoché nelle medesime condizioni aveva portato Jay a insospettirsi sin troppo. Faceva troppe domande, per non parlare poi dei troppi capricci di Lily che di certo doveva in un certo qual modo percepire tutta quella tensione. Alla fine, da Fawn, Albus e Mun erano passati a litigare su Jay e Lily e tutto quel malessere paradossalmente lo trasmettevano a loro. Poi c'erano le troppe domande: perché non venite a cena?; perché non rispondete al telefono?; qualcuno si è fatto male? e via così. Chiedere a Teddy di portarli per una gita fuori porta per l'weekend era la cosa più saggia da fare. Jay le era particolarmente affezionato, ed era certa che, si sarebbe presa cura di Lily con la stessa devozione con cui aveva curato Jay. D'altronde, lì dove andavano ci sarebbe stata la sua Nana con loro, motivo per cui, seppur per niente a cuor leggero, Mun trovò quella la decisione migliore da prendere per il bene di tutti. Forse quell'weekend sarebbe stata l'occasione migliore per fare pace. O forse no, considerando che, Mun aveva scoperto per vie traverse che il suo fidanzato aveva già altri piani per il venerdì. Stava andando a cena fuori con la sorella - o qualcosa del genere. Minimo mi sta già mettendo le corna. La parte migliore e peggiore di quella famiglia era che i segreti erano pressoché inesistenti; non si sarebbe stupita se in un modo o nell'altro tutti quanti erano già al corrente del fatto che fossero ai ferri corti e pronti e sfasciare l'intera vita che avevano programmato insieme per un mucchio di parole e gesti compiuti sulla scia di una rabbia devastante. Costretta a cenare da sola, Mun decide quindi di legarsela per l'ennesima volta al dito - non che cenare con Albus in quel periodo avesse portato a grandi risultati se non a uno schiaffarmi l'un l'altro il piatto davanti per fare scena davanti ai figli, tenendo il muso nel proprio angolo e addirittura trovando tre volte su quattro scuse per trovarsi in stanze separate pur di non tornare a urlarsi contro come due disperati. Giunge quindi quel venerdì sera e la telefonata di uno dei suoi nuovi colleghi alla Gringott. Brandon Frawley è uno della major league nella finanza, nonché uno dei responsabili del marketing. « Moonie, che fai domani sera? » Dritto al sodo. Mun indugia per qualche istante. Vorrei fare pace col mio ragazzo. Ma aspetta.. dov'è? Aaaaaaah giusto, non c'è. « Non lo so, perché? » « Ma come non lo sai. Certo che lo sai. Domani c'è il compleanno di Arthur al locale a Hogsmeade. Ci saranno un sacco di investitori e gente figa. Tuo fratello sta disertando al suo solito, però tu ci devi essere. » « Ma io sono solo una stagista.. nemmeno mi conosce, e poi il locale non è ancora aperto.. come ha fatto? » Brandon ride. « Money can buy happiness, Moonie. La Blake sa il fatto suo. Gli amici di Arthur non faranno altro che parlarne fino all'apertura. Non puoi perderti questo evento. Vieni con il tuo ragazzo. Ci servono i vostri followers. Sveleranno anche il nome in anteprima. Vuoi perderti l'opportunità di conoscere il sindaco di Hogsmeade di persona? » Mun scuote la testa piuttosto incerta. « Albus non può venire. » Afferma con un nodo alla gola. « Affare fatto. Metti qualcosa di carino. Ci vediamo alle 7. Passo a prenderti al lavoro. Mi farai da plus one. » Chiude la comunicazione prima che Mun possa ribattere. Cazzo.

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    « Sei uno schianto. » Le sussurra all'orecchio prima di offrirle il braccio per scendere la scala verso i sotterranei del locale. Il party è già iniziato. Ci sono persone che ha visto di sfuggita in giro per la Gringott, importanti personalità del mondo magico di cui ha letto più e più volte sui giornali. Un party per pochi, ma non così pochi. Arthur Macmillan è il capo della Commissione Monetaria per il Patto dei Paesi Scandinavi. Sa che in quel periodo, l'Inghilterra pullula di diplomatici stranieri in vista della Conferenza del Patto dei Paesi Scandinavi che si terrà da lì a poco. « Abbiamo davanti una futura gallina dalle uova d'oro. » E Mun ha trovato la sua. Di scatto si accorge di essere esattamente nel posto in cui avrebbe dovuto trovarsi sin dal principio, senza l'influenza dell'Astra, senza doversi sforzare di entrare nelle grazie di qualche vecchio imbacuccato e senza essere nessun altro se non se stessa - più o meno. « Già.. proprio una gallina dalle uova d'oro. » Asserisce stringendosi al braccio di Brandon, improvvisamente più incline a sorridere. Sta entrando nella sua interpretazione più riuscita di sorridi e annuisci. E ci riesce Mun; socializza con persone che non ha mai avuto l'occasione di conoscere, più per remore personali che per mancanza di effettive opportunità. Stringe tante mani e si dedica a tante frasi di circostanza, una dietro l'altra, rendendosi più simpatica e intenta alla socialità di quanto non lo sia mai stata. Al fianco di Brandon che la elogia e la fa brillare come la più bella stella nel cielo, si sente forte, e dopo qualche bicchiere di champagne, è sufficientemente alticcia da ridere persino senza alcuno sforzo. Si scorda per qualche istante dei suoi problemi a casa, di quanto nero sarà tornare nella quotidianità buia della sua abitazione dove si sentirà in dovere di voltare ancora una volta le spalle ad Albus, troppo ferita dalle parole che le ha rivolto. Eppure, una parte di sé vorrebbe che al posto di Brandon ci fosse lui, vorrebbe che fosse lui a elogiare il suo vestito, a carezzarle la pelle mentre le passa il braccio attorno alle spalle con fare scherzoso. « Anche l'intrattenimento dal vivo.. » Commenta ad un certo punto mentre sono seduti su uno dei divanetti in compagnia di un altro dipendente del suo stesso reparto alla Gringott. « Mun? » Asserisce lo stesso Henry a quel punto indicandole il pianoforte. « ..ma quello è.. » Mun si alza di scatto in piedi, mentre la sua espressione muta di conseguenza. Il sorriso luminoso si trasforma lentamente in un misto di sorpresa e confusione. La maniera più eloquente per descrivere quel senso di totale spaesamento è ma in che senso? Lo sguardo si volge verso Renton, intenta a intrattenere alcuni degli ospiti, in compagnia del festeggiato, ma non sembra essere minimamente stupita di quella sceneggiata. « Ma certo che no.. » Non è lui. Chiaro. Afferma con aria civettuola, stirando un sorriso imbarazzato. Si sente estremamente presa in giro; di tutte le cose che si era immaginata per quella sera, trovare la persona da cui era scappata in prima battuta, era l'ultima delle sue prospettive. Io e questo stronzo viviamo ancora nella stessa casa. Ma tu pensa! PENSA MUN, PENSA, PORCO MERLINO DIABOLICO! « Brandon? E' un tale peccato sprecare la musica. Balliamo. » Henry li guarda piuttosto confuso; ha visto Albus nelle foto sulla sua scrivania almeno trecento volte negli ultimi due mesi. Sa che quello non è solo un sosia ben riuscito del suo fidanzato. Quello è il fottuto Albus Potter. « Agli ordini, madame. » Asserisce, alzandosi in piedi, facendo una riverenza al suo cospetto, baciandole dolcemente le nocche, prima di condurla sulla pista da ballo facendola roteare dolcemente, tra altre coppie. Mun tenta in tutti i modi di non far caso alla band, tanto meno ad Albus. « Sai, i ragazzi della band sono decisamente di mio gradimento. Bei esemplari. » Asserisce osservandola con un sorriso malizioso. « Ma io sono più bella. » Ribatte lei, con un sorriso altrettanto malizioso. Fanculo stronzo, beccatelo tutto lo spettacolino del cazzo. E' comunque migliore del tuo. Il tuo è solo di pessimo gusto. « Però ti permetterò di agganciarne uno prima di andare via. » Continua, carezzandogli dolcemente la spalla. « Purché non sia il pianista. Quello l'ho già prenotato. » « Amunet Carrow, non ti hanno ancora messo la fede al dito, e già svolazzi.. questa è la mia ragazza. » « Mi stai dicendo che dovrei tradire il mio fidanzato? » Ride con fare vergognino mentre sospira inebriata da un piacere che non prova minimamente, non le fa piacere proprio un bel niente, eppure quella deve sembrare davvero una tenera scenetta all'esterno. « Non è qui, adesso, vero? » Lo sguardo eloquente di Brandon è davvero pessimo. Più volate in alto più siete squallidi. « Già, non è qui. » Di scatto Mun si stringe al giovane Brandon per sussurrargli poche parole all'orecchio, prima di staccarsi. « Posso fare tutto ciò che voglio. » E grazie tante per avermi rovinato la serata, stronzo. Ora difendi pure Fawn, con me comunque hai finito.


     
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    Quando uscì da casa di Olympia, Albus chiuse gli occhi, affondando le mani nelle tasche e prendendo un respiro profondo prima di iniziare a girarsi una sigaretta. Aveva bisogno di nicotina, ne aveva bisogno in maniera disperata. Il moro aveva dato per scontato che fosse stato lo Shame a riferire a Mun gli avvenimenti di quella triste notte: era stata fin dall'inizio la spiegazione più logica, quella che lui per primo aveva messo in conto quando aveva scelto di tenersi le informazioni per sé. Aveva deciso di accettare il rischio comunque, forse illudendosi che la cosa non sarebbe fuori. E in fin dei conti era stato così: lo Shame non aveva detto nulla a Mun - era stata Olympia a farlo, per quello che Albus non sapeva se catalogare come un semplice errore di calcolo o come una maniera per giustificarsi da ciò che lei per prima era stata obbligata a fare durante la stessa notte. Non lo sapeva, e in fin dei conti ne' c'era modo di saperlo, ne' tanto meno voleva scoprirlo. A che pro? D'altronde la risposta a quella domanda non gli avrebbe dato pace in ogni caso, e nemmeno avrebbe risolto i problemi che si erano ormai creati; anzi, con ogni probabilità ne avrebbe fatti nascere di ulteriori. Aveva davvero voglia di affrontare altre problematiche, di mettersi sul piede di guerra contro tutto e tutti? No, assolutamente no. Era stufo marcio di doversela vedere con tutta quella gente, di sentirsi i predicozzi su tutto ciò che faceva, di sorbirsi gli occhi alzati al cielo e gli sbuffi. Fosse stato per lui, avrebbe mandato tutti a fare in culo e sarebbe scappato in qualche paese esotico, aprendo un chiosco di noci di cocco. Sollevò un sopracciglio a quel pensiero. Tanto troverebbero il modo di rompermi i coglioni anche lì, sicuro. E forse tutte queste ragioni erano il motivo vero per cui non se l'era presa poi così tanto con sua sorella. Non ne aveva voglia. Avrebbe potuto litigarci, sì, ma non ne avrebbe ottenuto altro che malumore. Non era stato magnanimo, semplicemente era stato egoista - tanto per cambiare. E poi, comunque, il centro della sua incazzatura era un altro.
    Svoltò nel vicolo che portava al retro dell'ex Pandemonium, lì dove si trovava una piccola entrata riservata allo staff. Finì di aspirare gli ultimi tiri della sigaretta per poi buttarla a terra, in una pozza d'acqua maleodorante. Fatto ciò digitò il codice d'accesso sulla tastiera di fianco alla porta, spingendola una volta ricevuto il lungo bip di conferma e il via libera segnalato dall'accendersi della spia verde. Una volta dentro, salutò gli altri con un cenno, dirigendosi verso l'armadietto in cui teneva il cambio d'abiti per buttarsi addosso dei vestiti più consoni all'ambiente: un paio di pantaloni scuri, una cintura di cuoio e una camicia blu perfettamente stirata. Si buttò quindi in bocca una mentina e passò sotto a un paio di spruzzate di deodorante, sperando così di liberarsi dell'odore di cibo cinese che aveva già ampiamente impregnato gli altri vestiti. Quando uscì, venne immediatamente intercettato dal caposala, vestito di tutto punto. "Allora, stasera è un po' particolare perché ci hanno prenotati per un party privato. Roba di classe. Quiiiindi.." allungò la mano a indicargli un gruppetto di quattro persone in abiti estremamente eleganti. "..loro ti accompagneranno per stasera. Maya, cantante. Jerome, sassofono. Diego, contrabbasso. Andres, percussioni. Lui è Albus, il pianista. Avete una ventina di minuti per mettervi d'accordo sulla scaletta prima che gli ospiti inizino ad arrivare. Mi raccomando..la qualità. Ah, e non dimenticatevi che sì, dovete intrattenere, ma dovete fare un po' da sottofondo..cioè, non siate troppo appariscenti, ecco." William parlò svelto, gesticolando ampiamente come se avesse appena sniffato due strisce di coca e fosse sul punto di schizzare come un razzo. Nel raccogliere quelle veloci informazioni, Albus si limitò ad annuire, arrotolandosi le maniche fino al gomito prima di battere le mani, sorridendo ai compagni. "Jazz?" Chiaramente, la proposta venne accolta a furor di popolo. Nei venti minuti dati loro per organizzarsi, misero su una scaletta che comprendesse le canzoni note a tutte, nello specifico quelle in cui erano più ferrati, così da non trovarsi a fare una figuraccia con una nota presa male o un tempo sbagliato. Erano bravi ragazzi: facevano gruppo fisso da diversi anni e tre su quattro avevano un delizioso accento spagnolo che dava calore a qualunque cosa dicessero. Una fortuna, specialmente per la cantante, che avrebbe dato un tocco decisamente esotico e sofisticato alla serata. Sarà difficile non catalizzare l'attenzione - pensò, nel sentire Maya cantare: aveva una voce fantastica, per non parlare dell'aspetto. Non fosse stato per i colori caldi della sua pelle e dei suoi capelli, Albus avrebbe puntato fino all'ultimo galeone sul fatto che fosse Veela - una pura. "No eres facile para suonar quando ella te gira entorno." aveva giustamente commentato Diego al suo orecchio quando Albus aveva saltato completamente una strofa nel momento in cui lei si era voltata a guardarlo nel bel mezzo di una prova. In tutta risposta, il ragazzo aveva rivolto al contrabbassista uno sguardo eloquente, mirato a fargli capire che no, non era facile per niente. Ma d'altronde non voleva nemmeno perdere il lavoro per una bella ragazza che non avrebbe corteggiato in ogni caso, dunque si sforzò di tenere gli occhi ben puntati sullo spartito di fronte a sé, piuttosto che sull'abito dorato di Maya.
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    La prima oretta passò benissimo. Albus si trovava alla grande con la band: si capivano al volo, persino quando uno di loro decideva di arrischiarsi in piccole improvvisazioni spontanee. Di tanto in tanto lanciava ampi sorrisi a Renton, la quale sembrava piuttosto soddisfatta dell'andamento della serata. Quando finisco devo ricordarmi di chiederle se possiamo tenerci questi quattro..tipo per sempre. Ma il sorriso gioioso gli morì sulle labbra nel momento esatto in cui vide emergere tra la folla un viso un po' troppo noto. Gli ci vollero un paio di occhiate prima di convincersi che sì, quella era a tutti gli effetti Mun..avvinghiata al braccio di un tipetto tutto ripulito. Affondò le mani nei tasti con un po' troppa decisione, attirandosi per un istante ben più di un'occhiata interdetta da parte della band. Tuttavia scrollò il capo, riprendendo con precisione il proprio lavoro. Vale la stessa regola di prima. Occhi sullo spartito. Occhi solo sullo spartito. Ma certo, non era semplice farlo quando la tua ragazza decide deliberatamente di ballarti intorno, tutta stretta a uno di quei fricchettoni dell'alta finanza. "Albus, todo bien?" chiese piano Maya, inclinandosi verso di lui durante un provvidenziale assolo di sax. In tutta risposta, Albus annuì svelto, facendole cenno di avvicinarsi ulteriormente. "Senti.." cominciò, sottovoce, tenendo gli occhi puntati su Jerome con fare eloquente, come a suggerirgli di continuare con l'assolo anche a costo di improvvisare. "..in scaletta abbiamo messo Kiss of Fire di Georgia Gibbs, no?" Maya annuì, aggrottando la fronte con uno sguardo curioso. "Ecco, come sai quella canzone è ispirata a El Choclo. Ora, tu hai presente la versione di Kiss of Fire di Hugh Laurie con Gaby Moreno?" Ancora una volta, la ragazza annuì, questa volta con più convinzione, illuminandosi di un sorriso estasiato. "Ciertamente!" Sulle labbra di Albus si dipinse un sorriso truffaldino. "Ti andrebbe di fare quella? Io posso fare la parte maschile, e beh..per la parte femminile in spagnolo direi che sei più che qualificata." La ragazza sembrò piacevolmente stupita da quella proposta. "No sabevo que tu canti." In risposta, Albus alzò le spalle in un gesto di modestia, strizzandole poi l'occhio. "Come un usignolo." Maya gli sorrise, nascondendosi le labbra dietro il dorso della mano per non far troppo rumore con la sua piccola risata. "Esta bien, Albus. Lo dico agli altri." Annuì, attirando poi nuovamente la sua attenzione, come se si fosse dimenticato di dirle qualcosa di estremamente importante. "Ah..chiaramente, io direi di..recitarla un po'. Altrimenti non ha senso." A quelle parole, lei gli fece un vigoroso cenno d'assenso, concordando probabilmente sul fatto che la canzone avrebbe perso tutto il suo fascino se non ci avessero messo quel quid di passionalità che, ovviamente, un tango richiedeva per sua natura. Così, una volta terminate le ultime strofe della canzone ancora in atto, Maya chiamò velocemente a raccolta gli altri componenti della band, mettendoli al corrente del cambio di programma. Albus ne osservò curioso le espressioni, sorridendo loro una volta capito che l'opinione comune era di forte assenso.
    Quando le prime note di Kiss of Fire iniziarono a suonare per la sala, lo sguardo di Albus si volse immediatamente a Mun, a mento alto, con un sorriso che indicava pura sfida. Balla questa adesso, stronza! E Dio solo sapeva quanto Maya avesse preso alla lettera le sue istruzioni sul fare un po' di teatro. Fin dalle prime strofe gli occhi del pubblico si catalizzarono su quella scenetta, rendendoli il centro di un'attenzione quasi voyeuristica. La giovane cantante aveva staccato il microfono dall'asta, mettendosi a sedere a gambe incrociate sul pianoforte di Albus senza curarsi realmente di chi le stava intorno, tenendo gli occhi ben fissi sul giovane Potter. Talmente tanto convincente, che lo stesso Albus si era ritrovato a credere per qualche istante che lei stesse cantando esclusivamente per lui. E dal suo canto, quando toccò a lui, il moro non fu assolutamente da meno, lanciandosi di testa in una performance alla fine del quale - ne era certo - sarebbe arrivato uno scroscio di applausi. Si sentiva vivo. Dopo tanto tempo si sentiva finalmente, veramente, vivo. In maniera egoistica, perché sapeva di ricevere quella scarica di adrenalina barattandola coi sentimenti decisamente più spiacevoli che stava infierendo a Mun. Però gli piaceva. Gli piaceva il fatto che quella ragazza bellissima se lo stesse mangiando con gli occhi, anche solo per finzione, per far scena. Gli piaceva che avessero un pubblico. E soprattutto gli piaceva che in quel pubblico fosse presente Mun, che stesse lì a guardarli. "I can't resist you, what good is there in trying? What good is there denying you're all that I desire? Since first I kissed you my heart was yours completely. If I'm a slave, then it's a slave I want to be.." nella sospensione di quella strofa, Albus si sporse più vicino al volto di Maya, fissandola con gli occhi che rilucevano di un color smeraldo. "Don't pity me.." e altrettanto fece lei "Don't pity me.." E non appena furono abbastanza vicini da costringere a pensare l'inevitabile, presero subito la strofa successiva, quella finale, senza muoversi di un millimetro. Cantavano a un centimetro dai rispettivi nasi, talmente poco distanti da poter tranquillamente sentire il respiro dell'altro sul proprio viso e confondere i rispettivi profumi. "Give me your lips, the lips you only let me borrow. Love me tonight and let the devil take tomorrow. I know that I must have your kiss although it dooms me, though it consumes me, the kiss of fire!" Come previsto dalla canzone, cantarono quell'ultima strofa all'unisono, concludendo poi con alcune note di pianoforte a decretare la fine ufficiale della canzone. E a quel punto, quando sia lui che Maya si ritrassero, i presenti cominciarono a battere le mani fortissimo, lanciando fischi di apprezzamento e, in alcuni casi, chiedendo persino un bis a gran voce. Tra quella marmaglia, però, gli occhi di Albus andarono immediatamente a intercettare quelli di Mun, cui rivolse un sorrisino sardonico, inclinando appena il capo prima di passare oltre e rivolgere alcuni cenni di ringraziamento al pubblico.
    A fine serata, William non aveva avuto il cuore di rimproverarli per aver catalizzato l'attenzione nel corso di una canzone. I clienti sembravano aver lasciato mance decisamente generose un po' a tutti, sperticandosi in grandi lodi ed esternando la propria intenzione a tornare presto per ripetere l'esperienza. A quel punto, una volta spartite le mance e cambiatosi d'abito, aiutò la band a montare l'attrezzatura sul furgone. Fatto questo si sedette sul bordo del portabagagli aperto, insieme a Diego e Jerome, per fumare una sigaretta prima di tornare tutti a casa. Si erano promessi di suonare insieme presto, di farsi una jam session privata e, magari, buttare giù qualcosa tutti insieme. L'ultima a uscire dal retro fu, chiaramente, Maya, che si avvicinò loro tutta tronfia. "Allora es verdad que canti como un ruiseñor." disse, ammiccando amichevolmente verso Albus, che si tolse la sigaretta dalle labbra per rivolgerle uno sguardo provocatorio da sotto le ciglia. "Perché, non mi credevi?" In tutta risposta, una sonora risata cristallina uscì dalle labbra della cantante, che affondò le mani nelle tasche e fece cenno di no col capo. "Perdóname." Il cenno noncurante della mano che Albus le rivolse fece intendere che non c'era nulla da farsi perdonare e, gettata la sigaretta a terra, scese con un balzo dal portabagagli, sospirando come a decretare che era tempo per lui di cominciare ad avviarsi. Gli intrattenitori erano sempre tra i primi a uscire, motivo per cui avrebbe tranquillamente potuto trattenersi un altro po' - ma era stanco, voleva solo salutare Renton e i pochi rimasti nel locale per poi tornare a casa. Non aveva visto Mun andarsene, ma pensava che probabilmente l'avesse fatto insieme alla maggior parte degli invitati, quando loro avevano cominciato a rimettere a posto l'attrezzatura. Ahimè, fu smentito, perché non si era ancora congedato dal gruppetto ispanico quando vide la figura della ragazza uscire dal locale, frugando nella borsa, probabilmente alla ricerca di una sigaretta. A quella vista, Albus si schiarì la voce, fingendo di non vederla. "Va bene ragazzi, fate un buon ritorno a casa e riposatevi, che ve lo siete meritato." disse, a voce un po' più alta del solito. Diede quindi una pacca sulla spalla a tutti, ma quando si trattò di salutare Maya, si fermò, le sorrise, le appoggiò una mano sul fianco e le stampò un bacio sulla guancia. Gesto che la ragazza ricambiò, con tutta l'aria di chi lo trovava completamente normale e per nulla fuori luogo. Aah, latini! "Buonanotte." "Buenas noche Albus." le tintinnò lei di rimando, seguita dagli altri mentre il moro si avviava verso l'entrata del Suspiria, voltandosi solo per salutarli con un cenno della mano. Lasciatosi dunque alle spalle il rumore del furgone che si metteva in moto, si trovò a fronteggiare quello di una Mun che cercava con una certa rabbia di far funzionare un accendino palesemente finito. Si fermò in silenzio davanti a lei, tuffando una mano nella tasca dei jeans per pescarne lo zippo, aprirlo, e accenderle la sigaretta. Quando i loro sguardi si incontrarono, sull'espressione fredda di Albus si stagliò un sorriso sgradevole. "Carino il tuo nuovo fidanzato." disse, con un'inflessione serena che mal celava l'acidità intrinseca a quelle parole. "Era da lui che intendevi portare i miei figli l'altra sera? Si sa..da l'amico di mamma al nuovo papà è un tiro di schioppo."

     
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    « Pare proprio che tu abbia scelto male. » Commenta con un certo disappunto Brandon all'orecchio di Mun, quando Albus e la sua nuova amica cabarettista si esibiscono sotto gli occhi incantati di una platea rapita dalle loro presenze magnetiche. Il giovane Potter non si immagina nemmeno di come tutto ciò fa sentire la povera Mun. Si sente piccola, umiliata; di punto in bianco né il suo bel vestito scintillante, né la sua elegante postura sembrano significare poi molto. Tutte le sue insicurezze riemergono ad una ad una ricordandole che in fondo, il lupo perde il vizio, ma non il pelo. E se da una parte Albus dà mostra esattamente di ciò che Mun ha odiato di lui sin da quando si sono davvero conosciuti, Mun dal canto suo è in preda alle stesse debolezze di cui non si è mai davvero liberata. « Già.. » Commenta con un filo di voce mentre Arthur, il festeggiato fa partire un boato di applausi al termine dell'esibizione sotto lo sguardo esterrefatto di una Mun non più in vena di festeggiamenti. « Sembrano molto affiatatati. In compenso il tipo al contrabbasso non è niente male.. » Incassa il colpo con dignità scuotendo la testa. Resta nei paraggi per il taglio della torta, tempo in cui di tanto in tanto getta qualche sguardo verso il palco, ma man mano che gli invitati iniziano a prendere la strada di casa, Mun è quasi convinta di voler andare via. Non ha più la testa per stare in mezzo a quelle persone. Qualunque cosa l'abbia fatta sentire anche solo per un istante la precedente versione di se stessa, le ha ricordato in un solo istante che la vecchia Mun in fondo era una debole. Riusciva a reggere il confronto con ciò che la circondava ancora meno della attuale; era invidiosa, perfida e spesso e volentieri involontariamente sciocca e affrettata nei suoi giudizi. Viveva in una condizione di perenne inerzia, giocata tra il terrore di non essere abbastanza e la consapevolezza di doversi sforzare a tutti i costi per essere migliore di chiunque altri. Improvvisamente nel riflesso allo specchio durante una pausa dai restanti commensali vide nuovamente la stessa bambina ipercritica che moriva dentro in assenza di un ventre perfettamente piatto, la stessa che guardandosi allo specchio di profilo, trovava le sue cosce troppo gonfie, il seno troppo piccolo, i capelli non sufficientemente lucenti, il collo non sufficientemente slanciato. Fu sul punto di cacciarsi due dita in gola per liberarsi del peso dei pochi stuzzichini trafugati durante la serata, se solo altre due madame non avessero la loro trionfale entrata nella toilette delle signore. A quel punto si vide costretta a stemperare diversamente la tensione. Salì quindi le scale a chiocciola del Suspiria, verso l'uscita, col chiaro intento di fumarsi una sigaretta. Furono un paio di voci nella notte che attirarono la sua attenzione. Sull'uscita sul retro del locale, Mun assistette a una scena patetica tra la cabarettista e il suo fidanzato. Strinse i pugni istintivamente dando le spalle all'intera scena, posando una sigaretta tra le labbra scarlatte. Persino l'accendino sembrò remarle contro, perché, per quanto si sforzasse a farlo funzionare, oltre a qualche scintilla non le regalò nemmeno il l'ombra di una fiammella. Fanculo. In suo soccorso giunse proprio l'ultima persona che avrebbe voluto vedere in quel momento. Il fantasma dell'umiliazione subita si accentuò non appena le accese la sigaretta. Quanto devi sentirti potente ora. E uomo. Soprattutto uomo. Gli occhi di ghiaccio della Carrow non lo degnarono nemmeno di un sguardo mentre ispirava nervosamente dalla sigaretta, indietreggiando di un passo. « Carino il tuo nuovo fidanzato. Era da lui che intendevi portare i miei figli l'altra sera? Si sa..da l'amico di mamma al nuovo papà è un tiro di schioppo. » Mun sollevò lo sguardo per incontrare quello di Albus con fare incredulo. Forse nei primi cinque secondi ci fu il velo di colpevolezza tra le pieghe delle iridi glaciali; si sentiva in colpa. E il fatto che lui la facesse sentire in quella maniera non fece altro che aumentare il senso di rabbia e frustrazione che le aveva fatto provare sin da quando aveva fatto la sua comparsa quella sera. « Quanto meno l'amico di mamma ha un minimo di classe, a differenza delle fatine di papino. » Daddy's fairies; sembra il nome di un gruppo di soubrette e porno attrici. Commenta con fare acido, indietreggiando di un altro passo. Non le piace il modo in cui la fa sentire. Non le piace il modo in cui Albus la tratta. Si odia per il modo in cui reagisce a tutta quella situazione e odia lui per il modo in cui riesce a farla sentire ogni parola di troppo con cui l'ha aggredita in quell'ultimo periodo.
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    « Considerando che l'amico di mamma, preferirebbe di gran lunga scoparsi il papà, piuttosto che toccare la mamma anche solo con un dito, direi proprio che ancora una volta sei stato un grandissimo cafone. » Gli rigetta quelle parole con tono dispettoso e un velenoso senso dell'umorismo che la obbliga a stringersi nelle spalle scuotendo la testa disgustata. « Ma immagino che la colpa sia mia. Ti ho dato troppe sicurezze.. » Asserisce pensierosa. Mentre tu non me ne dai mai nessuna. « A questo punto non ti elencherò neppure tutte le tue mancanze. » Pausa, tempo in cui lo osserva delusa. Mi arrendo. « Volevo che tu fossi migliore di chiunque chiunque altro.. » ..volevo che fossi migliore per me. Ci ho sperato, l'ho voluto così ardentemente.. « Ma non lo sei. Sei.. semplicemente.. ordinario. » Quelle parole fanno male. Le fanno male; si sforza per fargli male. Ma in maniera diversa. Solo ora si accorge di quanto in realtà ne è rimasta ferita da tutti i suoi colpi infantili. Non ha mai capito quali fossero le sue rimostranze, e in tutta risposta, ad ogni suo tentativo di tentare di fargliele capire, Albus in compenso, ha risposto con un colpo peggiore e peggiore ancora. « Avevi ragione.. le gioie violenti hanno violenta fine.. ora ne abbiamo la certezza. » La voce le si spezza in gola. Si gira l'anello sulla mano in tasca e indugia. Vorrebbe toglierselo. Restituirglielo. Non lo vuole. Ma non riesce nemmeno a non volerlo davvero. Mi hai mentito. Mi hai tenuta all'oscuro di così tante cose. Fawn, il Suspiria, la cabarettista e la tua band. Forse in fondo tu non vuoi una vita con me. Forse in fondo tu vuoi essere libero. « Goditi la libertà. » Asserisce infine sfilandosi l'anello dal dito, posandolo a terra, tra di loro. In fondo è ciò che hai sempre voluto. Essere libero di fare tutto ciò che vuoi.

    Guidò sovrappensiero da Hogsmeade di ritorno verso Inverness. Premette l'acceleratore più di una volta fino in fondo noncurante di aver bevuto e di non essere effettivamente in grado di controllare la macchina. Il risultato fu che, dopo aver passato uno stop senza fermarsi, frenò di colpo presa da un'improvviso senso di terrore. Si fermò sul ciglio della strada, incollò la fronte contro il volante e scoppiò a piangere. Pianse Mun, e pianse ancora, finché non fu talmente stanca di piangere che non ebbe ulteriori forze nel corpo per continuare. Scese dalla macchina, si mise una sigaretta tra le labbra, e tentò di accenderla. Niente da fare. L'accendino non le permetté di accendersela, quindi cercò nella tasca del capotto rimasto sul sedile il cappotto all'interno del quale si trovava la sua bacchetta. Fu allora che un luccichio in lontananza attirò la sua attenzione. Si trovava sulla statale in concomitanza di Cherry Island, che si stagliava sulla propria isoletta propria di fronte a lei. La luce a intermittenza proveniva da una delle finestre in alto del castello. Terzo piano a sinistra. Si tolse la sigaretta dalle labbra e avanzò di qualche passo verso le sponde del lago. La luce continuò a controbattere nella stessa sequenza. -R. Per un istante pensò di essere impazzita. -Y. Quella era una delle finestre dei vecchi appartamenti di Albus e Mun. -U. E quello era un dannato messaggio in codice morse. -K. Ciò che seguì non fu vita. Mun era partita con l'idea di abbandonare la casa di Inverness una volta rientrata. Quell'episodio tuttavia sembrò sconvolgerla a tal punto da riportarla in uno stato quanto mai vegetativo. Passò l'intera notte per ricomporre la sequenza che aveva memorizzato, scrivendola e riscrivendola su fogli sparsi in maniera confusionaria. Nemmeno l'ombra dell'ordine mentale a cui era abituata. Si convinse per un po' che si trattasse unicamente della sua immaginazione, ma per quanto tentasse e ritentasse di creare combinazioni atte a smentire quelle lettere che aveva decifrato, nulla sembrò distoglierla dalla combinazione cardine. Consultò persino nuovamente il dizionario del codice morse, ma a nulla servì. Nessun'altra lettera corrispondeva a quella sequenza. E da lì cominciò il tracollò. Mun parlò sempre meno; persino in presenza dei bambini tendeva a essere fredda e distaccata. Non toccava quasi mai né Jay, né Lily, a meno che non fosse assolutamente costretta a farlo. Lily, addirittura scoppiava a piangere a volte se Mun tentava di prenderla in braccio. Doveva sentire il terrore che aveva persino nel starle vicina. Con Albus non parlò più, se non per questioni di mera ordinaria amministrazione. Andava a lezione, assentandosi con la testa per ore, senza pensare a nulla in particolare. Svolgeva il suo tirocinio in maniera assente, dando sempre modo a Rodolphus Pratt di lamentarsi della sua mancanza di attenzione su quanto le venisse chiesto di eseguire. Occhiaie profonde contornavano di continuo il profilo cadaverico della ragazza. Mangiava poco. Non si lamentava mai. Persino il pensiero dello Shame era lontano. Faceva ciò che doveva fare, senza fare caso a nulla. Più di una volta era stata sorpresa a essere disattenta persino di fronte alle conversazioni più futili. Dormiva poco. E anche quando lo faceva, i suoi sogni erano terrificanti. Dopo la prima notte aveva temuto di poter essere sentita dai bambini; temeva di tornare a urlare nel sonno, così, prima di andare a dormire castava sempre un Muffliato per sicurezza. Di colpo in una sola sera - la serata al Suspiria - Mun era tornata la Mun di un tempo. Apatica, disinteressata, fredda, distante. Era stata una combinazione fortuita, decisamente particolare; l'ingrediente che mancava a quanto il sabato degli orrori aveva fatto riecheggiare in lei, e che aveva assopito per concentrarsi sulle pessime condizioni di Albus, che per giunta l'aveva chiusa completamente fuori, ce lo aveva aggiunto quella serata. Sentirsi di colpo piccola, insignificante, umiliata, non abbastanza; sentirsi dare l'ennesimo schiaffo morale che doveva mandare giù, era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso. Ironico; ironico come, la stessa persona che un tempo l'aveva salvata, ci aveva messo altrettanto poco a demolirla. Mun non era forte, non era né più, né meno dipendente di quanto lo fosse quando aveva conosciuto Albus. Non era né più, né meno ambiziosa, audace, o sicura di sé. E' sempre rimasta la stessa. Ma ora, sull'orlo del tracollo ci era arrivata molto più in fretta. Era discesa in una situazione molto più pesante. Una in cui del suo salvatore e carnefice non poteva e non voleva disfarsene. Tentava di comportarsi in maniera normale; a volte era persino innaturalmente gentile nei confronti di Albus. Se le chiedeva qualcosa, rispondeva in maniera distante, ma sgarbata. A volte c'era bisogno di richiamarla più di una volta per avere la sua attenzione. Ma tutto ciò, per un po', tutti devono averlo relegato alla condizione in cui rigettava ormai la vita dei due. Non era un crucio a non poter sopportare, dovevano pensare alcuni; è la separazione piuttosto a rimangiarla da dentro. « Devi firmare le vaccinazioni di Jay. » Gli disse una sera allungandogli il foglio che il pediatra le aveva consegnato quella sera. Gli occhi di Mun volti in una direzione vacua alle spalle del ragazzo, come se scrutasse qualcosa nel buio del loro salotto. Il tono e morbido e pacato, rauco e distante, come se fosse sovrappensiero.
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    « Il pediatra ha bisogno della tua autorizzazione - e devi firmarmi una delega, altrimenti non lo può visitare. » Il medico aveva fatto molti strappi alla regola in passato, semplicemente perché molte volte Mun e Albus si erano presentati insieme a quegli appuntamenti. Erano una coppia così affiatata. Nessuno avrebbe mai messo in dubbio quanto fossero affiatati; inoltre, Jay adorava Mun. Non dovevano esserci dubbi su quanto fossero una famiglia unita. Le vaccinazioni tuttavia, erano una questione più seria. C'era bisogno di un'autorizzazione scritta da parte di un genitore o un tutore, da allegare alla cartella. Mun non poteva firmare. « La prossima settimana ci sono i colloqui con i genitori all'asilo e quella seduta con lo psicologo - » Sta elencando tutta una serie di impegni che, come se ripetesse una filastrocca imparata a memoria. « Non voglio andarci. » Asserisce di scatto come colta da un'improvviso terrore relegato dall'idea della seduto con lo psicologo. In realtà è una semplice iniziativa dell'asilo per assicurarsi che l'ambiente in cui i bambini crescono sono adatti alla loro formazione primaria. « ..dallo psicologo. Non voglio andarci dallo psicologo. » Ripete ancora una volta la frase per completarla correttamente. « Bisogna portarli a comprare i costumi per Halloween e fare una donazione per la.. » Si frena di colpo. Halloween è il trentuno di ottobre. « ..la commemorazione.. Si. La.. » Tira fuori da uno dei cassetti sotto il bancone un assegno che ha già firmato con una calligrafia tremante, passandoglielo. « Portalo tu al conio. E' tra pochi giorni.. » Tra pochi giorni e il trentuno. « Ho sentito l'assicurazione per Balmoral. Ho dato la tua camera blindata per il rimborso e poi..poi.. poi.. » Si sfrega le mani. Si è dimenticata qualcosa. Si passa una mano tra i capelli e tamburella distrattamente una sequenza sovrappensiero sul bancone. Si morde istintivamente il labbro tentando di ricordarsi quanto ancora avesse da dire, con quello stesso tono da scolaretta e poi sembra avere un lampo, seppur non sia effettivamente ciò che è certa di essersi scordata. « Se vuoi puoi riprenderti la camera padronale.. io dormirò di sotto. » Il più lontano possibile dai bambini. E' meglio per tutti. E più silenzioso.


     
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    "Quanto meno l'amico di mamma ha un minimo di classe, a differenza delle fatine di papino. Considerando che l'amico di mamma, preferirebbe di gran lunga scoparsi il papà, piuttosto che toccare la mamma anche solo con un dito, direi proprio che ancora una volta sei stato un grandissimo cafone." Alzò gli occhi al cielo, sbuffando una tenue risata dalle narici mentre si apprestava a scuotere lentamente il capo tra sé e sé. Il fatto che il ragazzo cui si era strusciata addosso fosse etero, gay, bisex o tapirosessuale non gli faceva ne' caldo ne' freddo. Non era una rivelazione shock, non era una di quelle cose che ti fa riconsiderare le tue scelte, perché non era quello il punto della situazione. "Ah meglio mi sento! Quindi era semplicemente uno dei tuoi dispettucci infantili." incurvò le labbra all'ingiù, in una smorfia grottesca, annuendo con aria sarcastica "Ora sì che mi hai dato pan per focaccia." sospirò drammatico, portandosi una mano al petto come fosse stato colpito da un incantesimo improvviso "La tua superiorità morale mi sta schiacciando." E sebbene potesse vedere ad occhio nudo che Mun non stava affatto bene e che quel suo contro-dispetto le aveva inferto un brutto colpo, Albus semplicemente non ce la faceva a empatizzare. Non ce la faceva a lasciare la presa sulla discussione, a deporre le armi, a battere in ritirata, a cercare un modo per mettere una pezza a tutto. Si sentiva infastidito, come si è infastiditi quando una zanzara ti ronza troppo vicina all'orecchio mentre cerchi di prendere sonno in una caldissima notte estiva. E il peggio era che non sapeva nemmeno per quale ragione si sentisse così. Non c'era un motivo specifico, una genesi precisa. Forse era un'insieme di diverse situazioni che erano finite per accozzarsi l'una sull'altra, o forse era il fatto che quel precipizio di distanza tra la vita dorata e irreale sul palco del Suspiria e quella piena di problemi che si trovava al di là delle sue porte gli dava le vertigini. Oscillava quotidianamente tra una casa le cui mura gli si stringevano addosso soffocanti d'ora in ora e il respiro a pieni polmoni che gli dava quell'impressione di libertà di cui il Suspiria si faceva portatore. E in una qualche maniera, completamente irragionevole, sepolta nel suo subconscio, Albus di questo incolpava Mun. "Ma immagino che la colpa sia mia. Ti ho dato troppe sicurezze..A questo punto non ti elencherò neppure tutte le tue mancanze." Sollevò un sopracciglio, sardonico. Forse perché un elenco tanto breve risulterebbe un po' ridicolo. "Volevo che tu fossi migliore di chiunque chiunque altro..Ma non lo sei. Sei.. semplicemente.. ordinario." Sbottò in una risata secca, incredula. "E tu sei una cazzo di ridicola Mun. Una ridicola che vuole fare la grossa strusciandosi tutta la sera su un tizio a caso, solo per il mio uso e consumo. Poi, quando le viene restituita la stessa moneta, si mette a piagnucolare perché..bo..si aspettava cosa, di preciso? Che andassi da lei con la coda tra le gambe, a capo chino, per chiederle scusa e baciarle i piedi?" Scosse il capo di scatto, rosso in volto e palesemente infervorato da quell'ennesima strategia che Mun aveva tirato fuori dal cappello. "Cazzo, non cambi proprio mai, è vero? E' sempre la stessa cosa con te. Vuoi giocare a braccio di ferro e poi, quando vedi che sei sul punto di perdere, togli la mano e ti metti a piangere perché 'ehiiii, mi hai fatto maleee'. Non ci sto, Mun. Non ci sto a compatirti, perché tu non hai uno straccio di motivo per essere compatita. Giochi solo a fare sempre la vittima, tirando il sasso e nascondendo la mano." Con gli occhi scuri fissi sul viso di lei, Albus si rese conto che in quel momento la odiava. E di quell'odio, che travolgeva tutto e tutti, ne era pieno sin sopra i capelli, come se fosse sempre stato lì ma se ne fosse reso conto soltanto ora. Un odio cieco, che non aveva un bersaglio fisso, una ragione, un punto di inizio. Era piuttosto un buco nero che se lo rimangiava da dentro più o meno da quel maledetto sabato degli orrori. Giorno dopo giorno si ingigantiva, prendendo forme diverse, manifestandosi in maniere delle più disparate - ma sempre odio era. Come un'ombra, che ti segue dappertutto, un'oscurità atavica attanagliata alla tua caviglia, ma allo stesso tempo impossibile da acciuffare. "Avevi ragione.. le gioie violente hanno violenta fine.. ora ne abbiamo la certezza. Goditi la libertà." E a volte l'odio vince. A volte, è semplicemente più potente di tutto il resto - o il resto non ha le forze necessarie a scacciarlo, a seconda di come la si voglia vedere. A volte, l'odio è tutto ciò che riesci a sentire, ed è così intenso che ti sembra di non sentir nulla affatto. Quando guardò l'anello a terra, Albus non sentì nulla. Ne' rimorso, ne' tristezza, ne' senso di colpa. Lo raccolse in maniera quasi meccanica, senza nemmeno voltarsi a guardare Mun, senza seguirla. Rimanendo semplicemente lì, a rigirarsi quel gioiello tra le mani con innaturale distacco.

    Il mese a venire fu un limbo, un Purgatorio. Albus e Mun si muovevano per casa come spettri. Dormivano in stanze separate, non litigavano, a malapena si rivolgevano parola se non per ciò che riguardava lo stretto necessario della quotidiana amministrazione. Era come se non si conoscessero, e a un certo punto, Albus cominciò ad avere l'impressione che fosse davvero così - o peggio, che lo fosse sempre stato. Quel tipo di relazione diventò semplicemente l'abitudine, scevra dal nervosismo dell'anormalità, dal fervore del litigio. Era normale, non scherzare, non parlare, non raccontarsi la giornata. Era normale, per Albus, ritirarsi in camera propria dopo aver messo a letto i bambini e leggersi un libro in silenzio. Studiava, faceva il proprio tirocinio, andava al lavoro, si occupava dei figli e poi basta. Nemmeno usciva - non ne aveva voglia. A volte, sporadicamente, si incontrava con qualche parente o amico, ma di solito tagliava sempre ogni incontro per le corte. Sua madre aveva persino smesso di indagare pressantemente su cosa stesse accadendo tra lui e Mun, forse perché ormai aveva capito di poter cavare un ragno dal buco con quelle risposte laconiche di Albus che ostentavano normalità. Aveva chiuso l'anello di fidanzamento in un cassetto e l'aveva lasciato lì, dimenticandosene quasi fosse un oggetto qualunque. Il massimo della vita mondana era stata tener fede al patto col gruppo ispanico, beccandosi di tanto in tanto per una jam session o una prova pomeridiana al Suspiria. A volte era anche rimasto da solo con Maya, il che risvegliava in lui il vago ricordo di un'emozione, di un senso di colpa che sembrava più riflesso che reale. Se lo chiedeva, quando capitava, se avesse dovuto sentirsi in colpa, ma non riusciva a darsi una vera e propria risposta. E poi, in ogni caso, non succedeva mai nulla di assurdo. Solo una volta - ricordava con un certo distacco e vaghezza - mentre stavano provando loro due, Maya aveva poggiato una mano sul suo ginocchio. Neanche l'avesse scottato, Albus si era ritratto in fretta da quel tocco, pur cercando di essere il meno brusco possibile e dirsi che non significava nulla. E' più espansiva delle ragazze inglesi - questa era la sua spiegazione a tutto ciò che concerneva la mora, a tutte quelle azioni che in un'altra vita Albus avrebbe preso come segnali per farsi avanti (o retrocedere, a seconda delle situazioni). Però, se da un lato percepiva ancora la colpevolezza - come se sentisse di star tradendo Mun pur senza farlo - dall'altro quella vertigine d'ubriaco era una droga di cui non riusciva a fare a meno, forse perché era anche l'unica cosa che riuscisse a sentire davvero. Si trattava di avvicinare la mano alla fiamma, portandola sempre più vicina finché il calore non diventava all'improvviso troppo intenso e dovevi ritrarre la mano un istante prima di iniziare a scottarti. "Sì bro, però scusa se te lo dico e prendi il tutto come un semplice punto di vista, ma..secondo me..a una certa..quando le cose vanno in una certa maniera - e lo so, lo vedo che vanno in quella maniera - diventa anche legittimo..sai..sfogarsi." Queste erano state le parole di Randy, che nel sottolineare l'ultimo vocabolo aveva indicato eloquentemente Maya con con un cenno del capo. Era passato a trovarlo una sera al Suspiria, e dopo lo spettacolo e qualche drink, avevano iniziato a parlare. Albus aveva vuotato parzialmente il sacco, confessando all'amico le problematiche con cui aveva a che fare dalla sera della festa di James. In tutta risposta il giovane Potter si era voltato a guardare la cantante dall'altro lato della sala, riflettendo per un istante sulle parole del biondo come se le stesse seriamente prendendo in considerazione. Per un istante l'amico era riuscito a insinuare alcuni dubbi nella testa di Albus; non solo di natura sessuale - quello era il meno - ma di natura relazionale. Costa stavano facendo lui e Mun? Dove stavano andando? Avevano corso troppo e ora si trovavano vicini al capolinea, incapaci di accettare che la loro storia era arrivata a un punto di fine? Aveva scosso il capo, mandando giù ciò che era rimasto del suo bicchiere di incendiario. Sarà paura, sarà inettitudine, ma non voglio crederlo. Perché nonostante tutto il distacco, nonostante quelle settimane di nulla cosmico, Albus ancora non riusciva a immaginarsi senza di lei - non voleva farlo. "Sei l'avvocato del diavolo." aveva semplicemente risposto a Randy, rivolgendogli un mezzo sorriso divertito, che tuttavia non arrivava a contagiare gli occhi. L'amico, in tutta risposta, aveva scrollato le spalle, esprimendogli in ogni caso la solidarietà per le circostanze.
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    La sera seguente, dopo una giornata passata a star dietro ai bambini e ad alcune questioni prettamente riguardanti la sua carica di Senior, Albus era finalmente riuscito a piazzarsi con libro e quaderno davanti alla faccia, mettendosi giù a studiare sodo dietro alla speranza di un esonero che avrebbe voluto dare di lì a poche settimane. "Devi firmare le vaccinazioni di Jay. Il pediatra ha bisogno della tua autorizzazione - e devi firmarmi una delega, altrimenti non lo può visitare." aveva alzato appena il capo, dando una veloce occhiata a Mun prima di prendere il foglio, scorrendo velocemente le righe con lo sguardo. "La prossima settimana ci sono i colloqui con i genitori all'asilo e quella seduta con lo psicologo - Non voglio andarci." Un'altra occhiata sbieca, questa volta leggermente accigliata, saettò a squadrare Mun senza farsi notare. Sembrava sovrappensiero, come se fosse completamente altrove. "..dallo psicologo. Non voglio andarci dallo psicologo." Aggrottò ulteriormente la fronte, fissandola con aria interrogativa, senza tuttavia ricevere alcuna risposta. Lei aveva lo sguardo fisso da un'altra parte, un punto che Albus seguì con le proprie iridi, senza tuttavia trovarsi nulla se non un angolo vuoto, leggermente in penombra, della loro cucina. Scrollò appena le spalle, limitandosi a firmare velocemente il foglio del pediatra prima di farlo scorrere più vicino all'orlo del tavolo. "Bisogna portarli a comprare i costumi per Halloween e fare una donazione per la..la commemorazione.. Si. La.." E prima che potesse aprire bocca, lei gli aveva messo un assegno sotto al naso. "Portalo tu al conio. E' tra pochi giorni.." Lo squadrò, facendole cenno d'assenso col capo prima di infilarlo dentro al portafoglio che teneva in tasca. "Ho sentito l'assicurazione per Balmoral. Ho dato la tua camera blindata per il rimborso e poi..poi.. poi.." Ancora una volta fu portato ad alzare lo sguardo su di lui, più interrogativo di prima, cercando di capire quale fosse il problema, per quale motivo non fosse in grado di finire una frase di senso compiuto. Stava per chiederglielo, quando le dita di Mun cominciarono a tamburellare nevrotiche sul marmo del bancone. Una ripetizione quasi meccanica, dettata da quelli che sembravano spasmi muscolari a tratti inconsci. R. Aggrottò la fronte, pensando di star dando un ordine a qualcosa che era soltanto casuale. Y. "Mun..?" mormorò, appena udibile, sentendosi la bocca improvvisamente secca. U. La guardò di nuovo, ma lei sembrava non vederlo, o comunque non fare nulla di intenzionale. "Se vuoi puoi riprenderti la camera padronale.. io dormirò di sotto." K. Di scatto la mano di Albus andò a stringersi attorno al polso della ragazza, interrompendo qualunque cosa stesse facendo. Nel viso pallido, le iridi grige fosche spiccavano straniate, fisse negli occhi cerulei di lei. L'unico movimento era il tremito leggero delle labbra di Albus, ammutolite da una sorta di paralisi cerebrale. Pensava troppo alla svelta e, al contempo, gli sembrava di non riuscire a formulare pensiero alcuno. "Mun..è successo qualcosa?" chiese, titubante, lanciandosi un veloce sguardo circospetto intorno prima di tamburellare freneticamente sul bancone la stessa sequenza che aveva prodotto lei. "Perché?" chiese poi, di getto. Non sapeva se quei pensieri fossero alimentati da una sorta di paranoia latente, un sesto senso che dormiva dentro di lui e che si tendeva come una corda di violino all'idea di afferrare qualcosa - una cosa qualsiasi. Si alzò di scatto, lasciando il polso di Mun. Con un colpo di bacchetta fece partire il bollitore e fluttuare un filtro di tè in una tazza pulita. Nemmeno gli andava più di tanto, ma aveva bisogno di qualcosa, anche solo di tenersi occupato in movimenti di normalità quotidiana per intrattenere i propri stessi pensieri - e, al contempo, impedirgli di andare troppo al largo. Rimase in silenzio, rollandosi una sigaretta e accendendosela mentre aspettava che il tè fosse pronto. Tra lui e Mun solo le piccole nuvole di fumo che il giovane sbuffava, pensieroso. Tolse il filtro dall'acqua, buttandolo nella pattumiera per poi aggiungere alla tazza un cucchiaio di zucchero, facendolo girare mentre guardava Mun negli occhi dall'altro capo della cucina. C'è solo un modo per saperlo. "C'è qualcosa che non mi hai detto, Mun?" fece una pausa, prendendo un altro tiro dalla sigaretta "Qualcosa che hai fatto..che ti pesa sulla coscienza?" Prese un sorso di tè, tenendo tuttavia gli occhi ben puntati su di lei, attenti a coglierne ogni movimento ed espressione. E' l'unica maniera. Solo così possiamo averne la prova.

     
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    « Mun..? » Se fosse stata più attenta, Mun si sarebbe accorta della sensazione di deja-vu che avrebbe potuto suscitarle quel momento. Le similitudini con antiche storie chiuse in un cassetto del passato erano a dir poco spaventose. Albus le si era rivolto già con quello stesso velo di incertezza, in un sussurro che aveva quasi un tono di preghiera. Mun dì qualcosa; fai qualcosa. Svegliati, cazzo! Anche ai tempi erano distanti, tendevano a distogliere lo sguardo l'uno dall'altro, quasi come se fossero estranei. In un certo qual modo ai tempi lo erano, e forse lo erano anche ora - era come se non si vedessero più, come se tutta la loro compatibilità fosse di colpo svanita di fronte all'irrequietezza perenne della vita quotidiana. I problemi sembravano averli schiacciati, come li avevano schiacciati in passato. Sì - se fosse stata più attenta, se ne sarebbe accorta di quanto quel momento fosse la palese trasposizione di qualcosa di già visto, già vissuto. Sussultò non appena le dita del ragazzo si strinsero attorno al suo posto, qualcosa che, quella Mun sovrappensiero, trovò come un'invasione dei propri spazi. Tentò inutilmente di sottrarsi a quella stretta, sollevando lo sguardo allarmato su di lui. Lasciami stare. « Mun..è successo qualcosa? Perché? » Albus tamburellò le dita sul bancone in una sequenza ben precisa che Mun non ebbe particolari difficoltà a riconoscere, nonostante avesse avuto bisogno di risentirla una seconda volta per sicurezza. Se anche avrebbe voluto fare finta di niente, il suo sguardo tradì tutto il terrore e l'agitazione che avevano caratterizzato le sue ultime settimane, sin da quando aveva rotto la promessa di matrimonio con il ragazzo. Scosse appena la testa. « Non - non capisco.. » Tentò di dire prima di chiudere gli occhi e posare i palmi sul bancone consapevole di tremare. I suoi movimenti si annullarono nel momento esatto in cui Albus iniziò a spostarsi all'interno della cucina nell'intento di preparare un tè. Si spostò verso il lavandino. Fece scorrere l'acqua, e si passò le mani grondanti d'acqua sulla fronte e sul collo, nel tentativo di riacquistare un po' di lucidità. Non se ne era accorta; non si era accorta di aver ripetuto proprio quella sequenza, la stessa che aveva visto illuminarsi dalla finestra della loro vecchia stanza da letto, la stessa che aveva copiato e ricopiato su decine di fogli diversi, per poi chiuderli a chiave nell'ultimo cassetto della sua scrivania. « C'è qualcosa che non mi hai detto, Mun? Qualcosa che hai fatto..che ti pesa sulla coscienza? » Mun solleva lo sguardo in quello di Albus. Tutto ciò che intercorre tra di loro è talmente famigliare che per un istante Mun trattiene il sospiro. Lo osserva, osserva i suoi movimenti, il terrore che sembra dipingersi anche sul suo volto. Per un istante è pronta a raccontargli tutto. Mun non è in grado di sopportare tutto quel peso da sola; lo sa, e le ultime settimane gliel'hanno ampiamente dimostrato. Non è più la stessa persona che si illudeva di poter trattare con quelle questioni alla pari; ora sa inoltre di avere davvero qualcosa da perdere. Per la prima volta si trova nella paradossale situazione in cui non solo non sa cosa fare, ma sa anche che qualunque cosa farà sarà sbagliata. Non dire ad Albus quanto pensa stia accadendo, equivale a tenerlo all'oscuro e fare esattamente ciò che gli ha recriminato negli ultimi mesi. Dirglielo, significa metterlo in pericolo, metterlo nuovamente in una situazione dalla quale avrebbe preferito tenerlo lontano sin dal principio. Il giovane Potter è, nonostante tutto, l'uomo che ama, ed è il padre dei suoi figli.. ma è anche l'unica persona che le resta; però qualcuno dovrà pur restare lontano da tutto ciò, se non per noi stessi, almeno per Lily e Jay. Scuote improvvisamente la testa; i suoi lineamenti si induriscono, stringe i denti e i pugni prima di puntargli il dito contro. « Non hai il diritto di chiedermi niente. Niente! » Qualcosa dentro di lei è morto la sera stessa in cui la loro rottura è diventata in qualche modo più definitiva. Quando ha rotto la loro promessa di matrimonio, Mun ha pensato che il ragazzo fosse sul punto di abbandonare casa e di conseguenza abbandonare lei. Si è crogiolata nel terrore che ciò potesse avvenire da un momento all'altro, che un giorno, Albus avrebbe deciso semplicemente di andare via, forse addirittura portarsi Jay appresso, nell'intento di fargliela pagare per aver osato disturbare il suo giro di silenzi e segreti. « Io non ho niente sulla coscienza, capito? La mia coscienza è pulitissima! » A differenza della tua. « Ecco come ci sente! » Continua scuotendo la testa mentre indietreggia di un passo rispetto a lui. « Ma immagino che tutto ciò non ha nemmeno importanza, ed io sono stupida - stupida - stupidissima.. a tentare anche solo di punirti, visto che tu non batti nemmeno ciglio ormai, e non te frega un cazzo! » Gli getta addosso quelle verità con un senso di frustrazione e rabbia, mentre si asciuga in fretta una lacrima dalla guancia. Non le è certo sfuggita la sua freddezza; il modo in cui ha accolto quella rottura. Albus aveva smesso di combattere per loro, e Mun dal canto suo, che si aspettava quanto meno delle scuse, aveva continuato a mettere alla prova la sua perseveranza. « E' successo qualcosa, sì. Ma cascasse il mondo, non te lo dirò mai. MAI! E sai perché? » Alza lo sguardo in quello di lui e lo affronta con l'ultimo briciolo di coraggio che sente di avere ancora nel corpo. « Avresti dovuto accorgertene settimane fa che è successo qualcosa. Ma che dico! Mesi fa! E' solo che tu non mi vedi.. » Si stringe nelle spalle accettando ormai quella verità. « Non mi vedi più. Il che mi porta a chiedermi se mi hai mai davvero vista, Albus. » Pausa. « Mi hai mai vista? Perché io sono di nuovo una cretina nascosta sul fondo di un armadio mentre tu fai finta che la tua vita non è un totale fallimento. » Si stringe nelle spalle con un'aria di rassegnata, gli volta le spalle e si dirige verso la stanza al pianoterra, chiudendosela a chiave alle spalle. Scivola con la schiena contro la superficie liscia della stessa coprendosi il volto con entrambe le mani, scoppiando nuovamente a piangere. Non posso.. non ce la faccio a farti di nuovo questo. Nonostante tutto, io non potrò mai volere il tuo male, e non riuscirò mai a smettere di voler proteggerti.

    Quante volte Albus, Mun e Jay hanno parlato di Halloween? Il primo che i tre hanno passato insieme suscita ancora ricordi memorabili. Ai tempi Mun aveva ormai un grosso pancione che le premeva prepotentemente sulla vescica, costringendola ad andare in bagno circa ogni ora, Albus, era perennemente elettrizzato dall'arrivo della piccola Lily e assieme a lui lo era anche Jay, cogliendo sempre chiunque lo circondasse da decine di domande differenti sulla futura sorellina. Nonostante i preparativi fossero ormai agli sgoccioli, nessuno di loro aveva avuto il cuore di privarlo di un primo Halloween in famiglia, così, approfittando della cena che avrebbero consumato a casa dei Potter, lo scorso 31 ottobre, i due avevano portato il bimbo agghindato in un costume da dinosauro, a suonare alle porte dei vicini. Tre quarti del suo bottino era stato confiscato, ma nonostante ciò, Jay non aveva comunque dormito per tutta la notte. Dopo essersi rimpinzato di caramelle gommose e cioccolatini di ogni sorta, tutti e tre erano rimasti sul lettone a ridere e sognare il momento in cui finalmente avrebbero abbracciato il membro più recente della loro famiglia. Persino Arthas aveva dormito ai piedi del letto quella notte. Albus e Mun dal canto loro, non avrebbero mai preso sonno. Non era una giornata qualunque quella; non più lontano di un anno prima, le porte di Hogwarts si blindavano sotto i loro stessi occhi, mettendoli in gabbia per un tempo che ad essere onesta, Mun non è mai riuscita a catalogare come prettamente negativo. Non poteva esserlo. E' lì che cominciato tutto. Alle commemorazioni non erano stati in grado di partecipare, né tanto meno muoversi più di tanto, considerato lo stato in cui si trovava la giovane Carrow, ma nonostante ciò, sentendo alla radio un paio di interventi dalla piazza di Hogsmeade, Mun, si era più volte commossa.
    Non è certo nelle medesime condizioni che si è risvegliata Inverness un anno dopo. Il clima risultò piuttosto di terrore e incertezza. Qualcosa che Mun mal sopportò sin dal momento in cui aprì gli occhi. Albus non c'era più; dovette andare a bussare dai vicini per capire per quale ragione le campane della città suonassero così insistentemente. Sulle strade plotoni di guardie si spostavano in massa verso il lato est della fortezza. Dopo un po' di tentativi riuscì a strappare tanto una testimonianza su quanto stesse presumibilmente accadendo, quanto sul fatto che, come c'era da aspettarsi, Albus non era riuscito a starsene alla larga. Ne era rimasta inorridita, spaventata, e ancora una volta confusa della rapidità con cui, fatti ed eventi del tutto inspiegabili continuavano a dar loro la caccia. Per quanto una parte di lei avrebbe voluto approfondire quanto stesse accadendo proprio sotto il suo naso e sotto casa sua, decise che, Lily e Jay avevano la priorità. Da Ginny e Harry sarebbero stati al sicuro, almeno finché la situazione non si fosse tranquillizzata. Ammetteva inoltre, almeno a se stessa, che starsene alla larga da crocifissioni e presidi scomparse, in quella fase della propria vita, era forse la cosa migliore. Voleva scappare, Mun, averne il meno possibile a che fare con quanto stesse accadendo. Prese quindi carta e penna, tornata a casa, e scrisse velocemente un biglietto: "Ho portato i bambini dai tuoi con la passaporta. Grazie mille per avermi tenuta aggiornata sul casino di oggi! Il lupo perde il pelo ma non il vizio.." Una piccola frecciatina che di velato aveva ben poco e che avrebbe comunque fatto scoccare in direzione del giovane Potter con una nota di accidia e insofferenza. Messa insieme una borsa con tutto il minimo indispensabile per i bambini, Mun prese tra le braccia Lily e Jay per la mano, dirigendosi verso la prima passaporta utile, alla guardia della quale, trovò una montagna di uomo pronto a bloccare il loro passaggio. Inutile dire che, lo prese per esaurimento, facendo a braccio di ferro con lui, finché non fu lo stesso Sebastian Matthews a recarsi sul posto dandole il lasciapassare per andare. Purtroppo la giornata era solo all'inizio; non solo una lettera ministeriale l'avrebbe messa ben presto sugli attenti, ma in meno di qualche ora, avrebbe scoperto, che gli scherzi erano ben lontani dall'essere finiti. [...]
    Quel gufo le era giunta come una doccia fredda - il secondo della giornata, dopo quello del Ministero, in cui le veniva chiesto un allibi riguardo due giornate in particolare. Se per la prima aveva ben poche cose di cui preoccuparsi, non poteva dirsi altrettanto sulla seconda. Il primo giugno era stato un giorno a dir poco deleterio; uno che Mun avrebbe preferito dimenticarsi ben volentieri. Non poteva parlare di dove si trovasse; oltre al fatto che non aveva la più pallida idea di dove si trovasse il labirinto di specchi in cui lo Shame l'aveva trascinata, ciò che le aveva svelato, aveva fatto capire alla giovane Carrow non avrebbe mai potuto parlare di quanto accaduto nemmeno se ne avesse trovato il coraggio. Eppure non fu quella nota ministeriale a preoccuparla maggiormente. Fu il secondo, quello indirizzato tanto a lei quanto ad Albus, a farla uscire di testa. Nella nota spedita dall'asilo di Jay, veniva informata del fatto che l'asilo era in chiusura, e che i suoi bambini, in assenza di un tutore che li riprendesse, sarebbero finiti da un assistente sociale, in attesa di accertamenti circa la negligenza di cui lei e Albus erano stati protagonisti durante il pomeriggio. Il responsabile dei servizi sociali avrebbe sporto denuncia presso l'autorità responsabile dei minori la mattina successiva, qualora nessuno si fosse fatto vivo. « Rispondi cazzo! Andiamo! » Mun corre sulle strade di Diagon Alley verso la sua meta. Ha fatto un giro di telefonate per scoprire l'indirizzo di Joana Middleton, la responsabile dell'asilo. « Albus! E' arrivata anche a te? » Chiede di scatto andando dritta al punto. « Albus ti giuro che io li ho lasciati dai tuoi. Sono rimasta a parlare con tua madre per un po' e poi sono venuta a Londra in attesa che riaprissero Inverness. Io.. io.. non capisco. L'ho appena richiamata e dice che li hai ripresi tu per andare a fare dolcetto scherzetto.. ma.. » Si fermò per un momento appoggiandosi contro un muro guardandosi intorno con fare disperato. « ..io non capisco! Non ha senso. » Qualunque spiegazione logica sembrava sfuggirle. Che fosse uno scherzo? Qualcuno poteva arrivare davvero a tanto? E per quale ragione? Rapire due bambini per poi abbandonarli al centro di Londra. Si passò una mano sulla fronte e scosse la testa. « Ti mando l'indirizzo della responsabile. Ci vediamo lì davanti. » In quel momento l'unico piano logico che le passava per la testa, era tentare di risolvere la faccenda il prima possibile, alla maniera dei Carrow. Ecco perché si era recata a Diagon Alley, ritirando un'ingente somma di denaro da sborsare a Joana Middleton nella speranza che ciò potesse in qualche maniera distoglierla dall'idea di sporgere denuncia. Voleva solo riportare a casa Jay e Lily. A cosa fosse accaduto, o come fosse accaduto, al momento ci pensava ben poco. E persino quando incontrò Albus di fronte allo stabile signorile in cui viveva la Middleton, tutti gli altri problemi passarono in secondo piano. Incrociò le braccia al petto ed erse lo sguardo sullo stabile. « La paghiamo, se serve, e poi ce ne andiamo a casa. » Asserisce con convinzione mentre apre appena la borsa per fargli intravedere la sacca colma di galeoni che ha ritirato poco fa in banca. « Al resto ci pensiamo dopo. » E ce ne erano di cose a cui pensare, seppur in quel momento Mun sembrasse persino temere di accennare un pensiero sensato in merito. Bussarono quindi alla porta della casetta; la piccola Carrow tentò di scrollarsi di dosso in ogni maniera possibile ogni briciolo di tensione che aveva accumulato sulle spalle. Sorridi. Sei una mamma dolce e amorevole. Siete una coppia bellissima che ha solo fatto tardi.. Afferrò istintivamente la mano di Albus con un gesto meccanico, sollevando per un istante lo sguardo seccato in quello di lui. Non pensare nemmeno per un istante che questo risolve qualcosa. E fu così che si trovarono di fronte a un'anziana cariatide, con un bel chignon argenteo sulla sommità della testa, che lasciava intravvedere una massa di capelli unti. « Si? » Mun avanza di un passo, sorridendo cordialmente. « Buonasera.. la Signora Middleton? » Per un istante dall'interno della casa provenne la voce di una bambina che piangeva. Le spalle di Mun si irrigidirono stringendo i denti, ergendo lo sguardo alle spalle della vecchia. « Si sono io. Come posso aiutarvi? » Mun stirò un freddo sorriso in direzione della signora, prima di sollevare lo sguardo verso Albus. « Abbiamo ricevuto una comunicazione da parte sua. » Dicendo ciò, le porse il biglietto che aveva ricevuto, sospirando affondo, con un evidente moto di nervosismo. Dopo aver afferrato il biglietto, Joana Middleton storse il naso. La sua espressione si fece più glaciale, scrutando i due con un che di disgustato. « Il signore e la signora Potter, presumo. » Mun si morse il labbro inferiore, decidendo di non contraddirla in quella circostanza, annuendo meccanicamente prima di essere invitati a entrare. La casa odorava di muffa e di vecchio; aveva decisamente più di un problema di infiltrazioni e perdite. Tuttavia, decise di seguire la signora lungo un corridoio, gettando lo sguardo a destra e a sinistra di fronte ad ogni uscio, alla ricerca di Jay e Lily. Mantenere la calma era essenziale. Strinse appena la mano di Albus guardandolo con eloquenza, tentando di capire quale fosse il suo stato d'animo in quel momento. Vennero condotti in un vecchio ufficio ammuffito, spoglio, che odorava di naftalina e incenso. Sulla scrivania della Middleton, c'erano alcuni dossier, tra cui il primo aperto sul tavolo, recava la foto di Jay. « Signori Potter, sarò molto sincera; la vostra situazione non è delle più rosse. » Disse mentre faceva il giro della scrivania, invitandoli a sedersi.
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    « Vorrei vedere i miei bambini. » Asserì di scatto Mun interrompendo la vecchia, con un moto di emergenza piuttosto evidente. « E' proprio questo il punto. Non credo che al momento sia la cosa migliore. Vede, ho da un po' sotto gli occhi il caso di vostro figlio.. » Si interruppe per un istante, correggendosi e sollevando lo sguardo verso Albus. « ..suo figlio, signor Potter, e credo che la situazione debba essere.. rivalutata. La signora.. » Prese tra le mani il dossier, storcendo ancora una volta il naso, ancora più infastidita e sorpresa. « ..oh.. capisco. E' la signorina Carrow. In ogni caso.. la signorina Carrow ha precompilato una domanda di preadozione ad aprile. Prima dell'udienza preliminare di settembre, l'appuntamento è stato annullato. Noto inoltre che ad essere autorizzati a prendere dall'asilo Jay Potter ci sono diverse persone. Troppe.. » A quel punto Joana Middleton si toglie di occhiali da vista e li osserva con freddezza e professionalità. « Alla luce di quanto avvenuto questa sera, signori, inizio a chiedermi se voi abbiate davvero gli strumenti necessari per essere genitori. » Mun trasalì, stringendo i denti. « Sono intenzionata a richiedere il parere di qualche esperto in merito.. per il bene dei bambini, chiaramente. Credo sia necessario avere qualche parere più autorevole in merito al vostro operato. » « Sta scherzando.. » Non si rivolge alla Middleton. Il suo sguardo si volge verso Albus, mentre indica quella situazione con fare piuttosto eloquente. Dimmi che sta scherzando o da questa casa esce a gambe per aria.


     
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