Walk in the trap like a boss

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    Nell'ultimo anno e mezzo avevo contato tutte le volte che avevo percorso quel corridoio. Ventisei, esattamente per ventisei volte avevo fatto scivolare i passi sul lucido pavimento in marmo nero, e questa era la ventisettesima volta che lo facevo. Però, adesso le circostanze erano decisamente diverse: non avevo alcuna camicia di forza addosso, nè due uomini appiccicati al culo pronti a puntellarmi la bacchetta fra le scapole se rallentavo il passo o mi fermavo. Ventisette volte, relativamente poche se si pensa che dentro a quella scatoletta di tonno ci avevo passato ben cinquecentocinquanta giorni. No, può sembrare ma non ero fissato con i numeri, non avevo nessun disturbo per il quale dovessi portare il conto, quantificare precisamente il numero dei giorni, delle ore, dei minuti, ma avevo imparato che quello fosse l'unico modo per rimanere lucido in un posto come Azkaban. Durante la reclusione, a modo mio avevo cercato di mantenere la mente allenata, la memoria elastica: avevo scelto di iniziare a farlo dopo il primo mese, quando ho iniziato a rendermi conto che non riuscivo più a distinguere la realtà da quello che mi frullava in testa. E' estremamente facile perdere le staffe, ancor di più per un ragazzino gettato nella sezione psichiatrica alla mercé di strizzacervelli poco ortodossi, psicofarmaci e sedativi. Era una bella rivincita poter superare a testa alta i lunghi muri di pietra fino all'ufficio di mio fratello, con le mani ficcate in tasca e l'espressione in volto di chi aveva vinto e continuava a vincere. Girato l'angolo, la mia espressione andò a posarsi sul volto di una giovane ragazza incastrata dietro una tetra scrivania - forse una tirocinante - che schiuse le labbra ed andò frettolosamente a sfogliare l'agenda che trascinò fuori da un cassetto « Ha un appuntamento?» Come se per me ci sia bisogno di appuntamenti. « No, devo semplicemente vedere mio fratello. Questione di pochi minuti. » Sussurrai con un sottile sorriso fra le labbra, avvicinandomi a lei. Sembrava perplessa, quasi nei suoi rigidi schemi mentali Regulus non potesse avere un fratello, o una famiglia. La capivo, dopotutto era difficile umanizzare un tipo come lui; più semplicemente per ogni impiegato era difficile umanizzare il proprio capo. « Io...non so se posso farla entrare » Mi umettai le labbra, alzando brevemente i talloni da terra prima di ricaderci su, stringendomi fra le spalle « ...allora glielo chieda. » Almeno la segretaria che aveva prima era più sveglia di questa, seppur fosse decisamente più racchia. Senza alcuna fretta, diplomaticamente, mi poggiai con le spalle contro la parete, riempiendo il silenzio e l'attesa con sguardi fin troppo diretti ed eccessivamente confidenziali, alternando di tanto in tanto qualche sorrisetto malizioso a volto basso, nascosto tra la folta chioma di capelli biondi. Era passato tanto, troppo tempo dall'ultima volta che avevo sedotto qualcuno, e forse era arrivato il momento di rimettermi lentamente in carreggiata. Lentamente, già, perchè avevo seriamente paura di aver perso colpi in quell'anno perso dietro alle sbarre e l'ultima cosa che volevo era sembrare un maniaco. Non dovevo eccedere. « Può andare » Cinguettò alla fine la ragazza, riagganciando la cornetta che sembrava alquanto in imbarazzo. « Grazie, Brianna. » C'era scritto così sul cartellino. Mi congedai con un ultimo sorriso, accedendo oltre la soglia dell'enorme portone che avevo davanti, slacciando il mantello per sfilarlo « Che fine ha fatto la vecchia segretaria, l'hai uccisa?» Una smorfia sorniona mi colorì il viso mentre prendevo posto sulla solita poltroncina in pelle « ...Dopotutto qui dentro comandi tu, potresti far fuori chiunque e nessuno verrebbe a sindacare. Aaahhh, non sai quanto ti invidio: la tua fortuna sarebbe potuta capitare a me se solo fossi nato prima. Avrei fatto sicuramente meno fatica senza dovermi ingegnare troppo » Regulus era una delle poco persone che mi conoscevano davvero, e con lui era insensato fingere o indossare maschere. Era liberatorio potergli dire qualunque cosa senza filtri, senza dovermi calare nella parte del piccolo ed indifeso Seth, il ragazzino demonizzato dal mondo intero solo per essere nato nella famiglia Gaunt. Una scusa ovviamente, perchè io qualche problema lo avevo davvero. « Comunque - drizzai la schiena, passando le dita sotto al mento spoglio - volevo dirti che mi sono iscritto a Magisprudenza senza problemi » Beh, il chè non era così scontato come sembrava, avendo dei pesanti precedenti. « Nessuno sembra ricordarsi dell'ennesimo Gaunt fuori di testa che in Bulgaria ha cercato di far uccidere i propri compagni di scuola tra di loro. Ironico, non credi? Significa che hai fatto un ottimo lavoro per tenere questa storia il più nascosta possibile, ed è un bene. Posso ricominciare.» Ma questo non era il punto della situazione, difatti alzai un indice, in modo che non mi interrompesse, nel mio silenzio stavo semplicemente elaborando. Non avevo finito. In realtà dovevo sganciare la bomba, il motivo per cui ero arrivato fin lì, e non sapevo dirmi se mi avrebbe cacciato fuori a pedate o accolto le mie richieste. « Visto che mamma e papà mi hanno affidato a te mentre sono via, volevo chiederti una cosa - ho saputo che ci sono ancora dei posti vuoti nei dormitori del college, mi piacerebbe fare richiesta per trasferirmi lì » Questo era già un argomento che avevo toccato svariate volte in presenza dei miei genitori: mio padre era assolutamente contrario alla cosa. Dopotutto uno psicopatico uscito di prigione solo grazie ad una meschina trovata, potenzialmente instabile ed in grado di poter ancora combinare casini lo si doveva tenere col guinzaglio corto. Non torno a patire le pene dell'inferno per te, e solo Dio sa quanto i Gaunt avessero dovuto scontare per mano di Mr. Riddle. Avevamo ritrovato un'impercettibile stabilità, ma mio padre sosteneva che sarei stato in grado di mandare tutto a puttane, anni ed anni di bocconi amari per rialzarsi da terra. No, avevo dato dimostrazione di quanto non sapessi stare al mio posto. Se fosse stato per lui nemmeno mi sarei potuto iscrivere al college: sarei dovuto rimanere dentro una stanza chiuso a chiave. Notte e giorno. « Pensaci, mi farebbe bene relazionarmi con gente vera, devo potermi costruire una vita mia. Papà crede che tu possa passare tutta la vita a starmi dietro, ma sappiamo entrambi che hai altro a cui pensare ed io so badare a me stesso. Sono sicuro che se tu mi dici che per te va bene, andrà bene anche per lui » Quello che diceva Regulus era legge, a differenza di quanto accadeva con me, lui era un portato sul piatto d'argento dai miei genitori. Comprensibile il perchè.
     
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