Let it snow

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    Come avesse fatto a collassare sul divano per due ore dopo essersi detta che la durata della sua pennichella sarebbe stata di una quarantina di minuti al massimo, Fawn non sapeva spiegarselo. Il suo risveglio era stato brusco - il suono della sveglia non è mai piacevole, d'altronde - e, per qualche secondo, era rimasta imbambolata a fissare il soffitto, incapace di attivarsi o di fare qualunque cosa che non fosse chiedersi che giorno fosse quello. O in che anno si fosse risvegliata. Certo, sarebbe stato sufficiente allungare il braccio in direzione del tavolino e prendere il cellulare, o cambiare leggermente posizione per poter guardare l'orologio a muro, ma era troppo stanca per farlo. Così, in catalessi totale ci trascorse almeno qualche minuto. Il tempo di rendersi conto che doveva esserci necessariamente una ragione se l'aggeggio del demonio aveva continuato a suonare ad intervalli regolari nonostante fosse il suo pomeriggio libero. Doveva esserci una ragione per forza. Ed effettivamente, quando nell'aria riecheggiò di nuovo la fastidiosissima suoneria - una sorta di memento ad alzare il suo regale didietro e tornare nel mondo dei vivi - realizzò che una ragione c'era eccome. E che questa ragione si chiamava Albus Potter. E che, cosa più catastrofica di tutte, si erano dati appuntamento ad Hogsmeade quel pomeriggio. « Godric, ti prego, ti prego... tiscongiuroperfavoreda- » Aveva proferito in tono implorante, saltando su come una molla e afferrando il telefono con una rapidità che nemmeno sapeva di possedere. Sedici e quindici. Un'ora e un quarto. Aveva ancora un'ora e un quarto per prendere almeno le sembianze di un essere umano normale e raggiungere il luogo dell'appuntamento. Aveva tantissimo tempo. In teoria. Questo se non avesse dovuto anche fare altro, tipo studiare o togliere i panni dallo stendino. Se nel frattempo è venuto anche a piovere, posso battermi il cinque in faccia. Con una sedia. A più mandate. Ecco, quando affermava di non avere nemmeno il tempo di guardare da entrambi i lati prima di attraversare la strada, la Byrne non scherzava. Sarebbe stato sufficiente sbirciare lo schermo del suo smartphone per averne la certezza più assoluta. Sul suddetto, infatti, erano impostate un numero approssimativo di dieci sveglie, ad intervalli sempre più brevi l'una dall'altra, i cui titoli altro non erano che un crescendo di messaggi via via più minatori. L'innocuo "rise&shine" di un'ora e mezza addietro, che non aveva sentito, era infine diventato un "beh, adesso sono decisamente cazzi tuoi". E quelle che non si erano ancora attivate erano anche più terrificanti. In sostanza, Fawn si faceva mobbing da sola. E normalmente funzionava pure piuttosto bene, dal momento che la Byrne non era solita cadere in un sonno che più che una dormita somigliava ad uno stato comatoso, ma non quel giorno. Forse aveva mangiato troppo a pranzo. Forse lo stress l'aveva infine avuta vinta. Magari entrambe. Stava di fatto che, qualsiasi fossero le ragioni alla base, la mora non aveva più tempo di rifletterci. O, quantomeno, se voleva porsi domande di simile levatura, doveva farlo in movimento, possibilmente ottimizzando i tempi.
    E così, con addosso la fretta di chi sta per perdere il treno della vita, si diresse verso i fornelli. Caffé: su., si disse mentalmente, annuendo al fornello come se quello avesse appena portato a termine un compito di importanza statale. E, sempre di tutta fretta, si diresse in camera da letto. Seconda tappa: armadio. Ne aprì rapidamente un'anta e rimase per un attimo sconvolta nello scoprire che i vestiti all'interno del mobile in questione non fossero i suoi. A meno che, chiaro, non si fosse alzata di trenta centimetri nell'arco di quella dormita e che non fosse diventata un uomo.
    « Stop. » Si disse decisa, quasi un ammonimento verbale - dato per altro con una voce ancora parecchio assonnata - potesse aiutarla in qualche maniera. « Rewind. » E magari basta essere rincoglionita. E, richiuso l'armadio con delicatezza, si spostò leggermente per aprire quella giusta, con la sezione contenente le sue cose. Ne estrasse qualcosa di caldo alla svelta e, poggiati i capi d'abbigliamento sul letto, si diresse nuovamente in cucina. Ad attendere il suo salvavita. Il solo e unico. Il nettare degli dèi. Il caffè.
    Ed in effetti, dopo aver ridato un senso alla propria vita grazie all'ausilio della sua bevanda preferita, il tutto parve riprendere il solito ritmo. Che il suo solito fosse folle per chiunque altro, com'era ovvio, altro non era che un mero dettaglio. Ma, un'ora dopo, non solo era vestita di tutto punto ed aveva tutte le sembianze di una persona vera e propria, ma aveva anche fatto in tempo a non soltanto ritirare i panni, ma anche ripiegarli. Certo, non aveva avuto il tempo di rimetterli propriamente a posto, ma quelli erano dettagli. Dettagli ai quali avrebbero pensato i posteri - lasciò un bigliettino ad Erik, che affisse bene in vista, di fianco ai suoi orari - e, prese le ultime cose, si precipitò fuori dall'appartamento.
    « Allora. In teoria ho dieci minuti. Se cammino, ai Tre Manici ci arrivo sveglia. Se mi Smaterializzo, ai Tre Manici arrivo per tem- oh, ciao! » Ecco, nel farsi le scale in discesa a rotta di collo, non aveva considerato che quelle stesse scale qualcuno potesse starle salendo. E che quel qualcuno, nella fattispecie, potesse essere il suo ragazzo che rientrava a casa. Mi ci mancava solo di mandarlo al San Mungo, pensò mentre inchiodava e si spostava tatticamente verso il muro per lasciargli spazio di manovra. « Recap veloce: panni ritirati, spesa fatta stamattina, c'è da dare il cibo ai gatti, c'è qualcosa da mangiare se hai già fame. » Pausa tattica - come al solito, aveva parlato velocissimo. « Se mi sono dimenticata qualcosa, c'è una lista sul frigo. Se la lista necessita di decriptaggio perché senza rendermene conto l'ho scritta in sumero antico, scrivimi. Io corro a Hogsmeade. Noi ci vediamo dopo. Ciao! » Ovviamente, aveva di nuovo parlato con una tale rapidità da impedire al povero Erik di interromperla. Si vede che ho fretta, eh? Gli scoccò un sorriso a mo' di scuse, allungandosi per stampargli un bacio sulla guancia, e sparì tanto improvvisamente quanto era apparsa.
    Ai Tre Manici, luogo del famoso incontro del pomeriggio, alla fine ci era arrivata per tempo. Correndo come se alle calcagna avesse avuto un qualche demone infernale, certo - e Fawn era tanto veloce quanto minuta - , ma ci era arrivata. Le persone in mezzo alle quali aveva fatto slalom, dovevano aver pensato come minimo che qualcuno fosse in punto di morte, ma quelli erano dettagli. Rallentò il passo, sistemandosi il cappellino, soltanto quando intravide simultaneamente l'edificio in questione, ed una persona piuttosto familiare che vi si stava avvicinando dalla direzione opposta alla sua. Alzò un braccio per farsi notare - non che il cappottino rosso che aveva addosso la rendesse in qualche maniera poco visibile - e, una volta assicuratasi che l'amico l'avesse vista, attese che la raggiungesse. « Ehi! » Lo accolse così, un sorriso gioviale sulle labbra e le gote leggermente arrossate per la corsa. « Entriamo? Sembra stia anche per nevicare. Lo senti pure tu, no? » Tirò appena su col naso, quasi a suggerire di annusare l'aria. Non avrebbe saputo spiegare l'odore di neve a qualcun altro, ciò di cui però era assolutamente certa era che una nevicata venisse sempre preannunciata da una nota aromatica caratteristica, oltre al calo di temperature che qualunque essere umano si sarebbe aspettato. Si premurò di tenergli aperta la porta - gesto che venne chiaramente recepito come un invito ad entrare da almeno altre quattro o cinque persone - e, solo assolto il proprio compito anche nei loro confronti, fu in grado di raggiungere il giovane Potter, che nel frattempo aveva già puntato un tavolo in fondo, che per altro era uno dei pochi liberi rimasti. Si tolse il cappottino, gli si sedette di fronte e accennò di nuovo un sorriso. « Ciao di nuovo, Potter! » Una pausa tattica mentre si prendeva un attimo per osservarlo ben bene. « Allora? Mi hai portato il documento? » Ecco, i regali di Natale - che poi erano la ragione ufficiale per cui i due amici si erano ritrovati quel giorno - erano davvero l'ultimo dei suoi pensieri. Per quanto l'idea di un regalo le piacesse, trovava molto più divertente quella di dare un'occhiata alla letterina che Jay aveva scritto a Babbo Natale. Forse perché, da quel sabato degli orrori, lei Jay non l'aveva più visto. Com'era normale che fosse, una faccia così tanto di bronzo non ce l'aveva. E non l'avrebbe mai avuta. Perciò informarsi indirettamente sul benessere del bambino, fosse anche dando un'occhiata alla sua wishlist, era l'unico mezzo a sua disposizione. « E intanto che tiri fuori la refurtiva - come stai? » Perché non è che noi due ci siamo visti molto di più, effettivamente. Se si toglieva un qualche incontro più che breve e sporadico al college, dove più che vedersi davvero si erano appena incrociati, non è che Fawn ed Albus avessero passato poi molto tempo assieme. E, comunque fosse e qualsiasi le ragioni, a lei dispiaceva enormemente. « Su, vuota il sacco. » In tutti i sensi.



    Edited by anagapesis - 2/4/2020, 01:45
     
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    Per Albus era sempre stato innaturale arrivare puntuale agli appuntamenti: tutti sapevano di dover calcolare minimo un quarto d'ora dall'orario concordato per predire l'arrivo del giovane Potter. Tuttavia, si sa, i figli sono un qualcosa che ti cambia radicalmente la vita, e con tutte le responsabilità addossate al ragazzo nel giro di pochissimo tempo, rivedere questa sua abitudine era stato necessario. In seguito all'arrivo di Lily, l'organizzazione del tempo era diventata una skill chiave per il successo della giornata, e così pian piano Albus aveva smesso di tenera alta la bandiera di ritardatario cronico, diventando ora spesso e volentieri colui che attende. Quel giorno, però, nessuno dei due dovette farlo: il Serpeverde intravide l'amica arrivare dalla direzione opposta alla sua con lo stesso passo di marcia che la contraddistingueva. Sollevò una mano, sventolandola in aria nel rivolgerle un ampio sorriso di saluto. "Ehi! Entriamo? Sembra stia anche per nevicare. Lo senti pure tu, no?" si strinse appena nel giacchetto, annuendo con una certa veemenza. Ad Hogsmeade si gelava sempre durante l'inverno, e sentendo già un pizzicorio alla gola, il moro non voleva rischiare di prendersi una brutta influenza e ritrovarsi costretto a letto - peggio ancora, attaccandola ai bambini. Le aprì dunque la porta, facendole cenno con la mano di passare per poi seguirla all'interno del locale gremito di gente. Era sempre così ai Tre Manici, soprattutto quando cominciava già a respirarsi aria di vacanze natalizie. Molti venivano lì per scambiarsi i regali e farsi gli auguri prima di tornare alle rispettive famiglie; insomma, un po' lo stesso motivo per cui lui e Fawn erano lì. Da che si conoscevano, quello sarebbe stato il primo Natale che i due migliori amici avrebbero passato divisi. Nell'apprendere i piani della Grifondoro, Albus non poteva negare di essersi un po' intristito: Fawn era ormai una presenza fissa nella sua vita, qualcuno su cui aveva imparato a contare nonché una delle pochissime persone su cui riponesse completa e cieca fiducia. Festeggiare con lei gli sembrava solo naturale. Tuttavia era giusto: Erik aveva una famiglia, ed era normale che il Natale fosse un qualcosa da condividere con quel tipo di persone. Senza contare le problematiche sorte tra Fawn e alcuni membri della famiglia di Albus. In quel momento storico, forse, la festa di Alek Marchand era cascato a fagiolo, togliendoli entrambi dall'imbarazzo di dover combattere con qualcuno per porgere o accettare un invito. « Ciao di nuovo, Potter! » « Salve anche a lei, Byrne » rispose, ostentando un'iperbolica serietà nel proprio tono di voce mentre prendeva posto a sedere di fronte a lei. « Allora? Mi hai portato il documento? » sollevò ritmicamente le sopracciglia con aria allusiva, frugandosi nella tasca del giacchetto per estrarre un pezzo di pergamena piegato in quattro, che dispiegò teatralmente di fronte ai propri occhi, schiarendosi la voce prima di cominciare a leggere. « Caro Babbo Natale, spero che questa lettera non venga mangiata dagli orsi polari del polo nord - ho scritto esattamente ciò che mi ha detto, eh, anche dopo aver cercato di farlo ragionare sul fatto che gli orsi polari stanno al polo sud, il quale lui sostiene sia desertico » tenne a precisare, prima di continuare con la lettura « Per questo Natale mi piacerebbe ricevere una motocicletta grande come quella di mio papà, così posso accompagnarlo e fare il supereroe insieme a lui. Poi mi piacerebbe molto avere un dinosauro vero, perché ho solo quelli giocattolo e Mun dice che quelli veri sono troppo grandi, quindi ne vorrei uno piccolo che non rovini i mobili sennò Mun si arrabbia. Il mio amico Daniel dice che suo papà è Batman, e si mette sempre a urlare quando io gli dico che non può essere Batman perché James dice che sta sempre al bar, quindi vorrei che andassi da Daniel e gli dicessi che suo papà non è Batman e di smetterla di dire le bugie. Daniel penso che non sia un bravo bambino, quindi dovresti portargli il carbone. Io sono bravo invece, e vorrei tanto la lego di star wars coi pezzi grandi. Grazie mille. Salutami Rudolph e Mamma Natale. » Ripiegò la lettera, asciugandosi una lacrima di ilarità all'angolo dell'occhio. « Arte. » Tra tutte le persone esilaranti che conosceva, nessuno riusciva a farlo ridere tanto quanto Jay e le sue perle di infantile innocenza. Fece cenno alla cameriera di avvicinarsi, ordinando una burrobirra e lasciando che Fawn facesse la propria ordinazione prima di congiungere le mani in un battito sonoro. « Però adesso tocca passare al tuo di regalo. » « E intanto che tiri fuori la refurtiva - come stai? Su, vuota il sacco. » Si strinse nelle spalle, dondolando il capo con aria mesta. « Eh..come vuoi che stia? Con Mun non abbiamo ancora fatto pace, sembriamo due separati in casa.. » fece tuttavia un cenno del mano come a scansare quell'argomento e passare oltre. C'erano tante cose che ancora non le aveva detto, prima di tutte la questione di Halloween, quella che aveva fatto diventare gli assistenti sociali i convitati di pietra nella loro vita di famiglia. Non che avesse intenzione di nasconderle nulla: semplicemente non voleva usare quel momento per ammorbarla con i suoi problemi. Passate le feste l'avrebbe messa a parte di tutto ciò che si era persa, così da assicurarle una mente sgombra nei giorni a venire. « Tu invece? Cosa mi sono perso della vita di Fawn Byrne? » Incrociò le braccia sul tavolo, ascoltando le parole dell'amica sorseggiando la burrobirra che la cameriera gli portò nel frattempo. Solo una volta conclusosi quel breve scambio di vicissitudini, il ragazzo poggiò una mano sul tavolo, chinandosi col capo sotto di esso per estrarne una bustina di plastica rossa che porse all'amica. « Ok..non ti aspettare chissà cosa. E' molto rudimentale, però spero davvero che ti piaccia dato che ci ho messo qualche giorno a metterlo su. » Dentro al pacchetto la Grifondoro avrebbe trovato un album fotografico contenente gli scatti che imprimevano tutti i momenti migliori della loro amicizia, dai giorni di Hogwarts fino al presente. In fin dei conti i due ne avevano passate tante, e reperire il materiale non era stato difficile data la quantità abnorme che si affollava tra il suo telefono e la macchinetta fotografica di Fitz. « Avanti, aprilo! »

    UnReWcs
    Un mese dopo, Albus e Fawn si ritrovavano nello stesso pub, seduti allo stesso tavolo, ma con un umore decisamente diverso. Alla gioia festante delle vacanze natalizie si era sostituita la pesantezza d'animo portata dagli avvenimenti di Capodanno, dai pressanti interrogatori a cui erano stati sottoposti e dai nuovi decreti austeri proclamati dal ministero. Gli occhi del giovane Potter erano fissi sul bicchiere ancora pieno di incendiario di fronte a sé. Lo stesso bicchiere che faceva girare sul tavolo, in silenzio, come ipnotizzato da quel movimento. Non sapeva cosa dire, o forse aveva così tante cose di cui parlare da non sapere quale punto di inizio fosse più consono. Nel dubbio, di colpo, afferrò il bicchiere, portandoselo velocemente alle labbra e vuotandolo in un solo sorso. La volevano ammazzar tutti gli abitanti della città, però adesso che non c'è più.. Leggere quei decreti era stata una doccia fredda: seppur molti degli elementi più discutibili non fossero compresi, la maggior parte dei provvedimenti presi ricordava in maniera lugubre gli stessi con cui Norwena Zabini li aveva stretti nel suo pugno di ferro. Il cadavere della guerra civile non era ancora freddo e già la popolazione magica si ritrovava nuovamente sottoposta ad un'autorità cinica - questa volta più furba, più subdola. Molti dei suoi conoscenti si erano sentiti rincuorati da quei decreti, vedendoli come misure necessarie alla sicurezza di tutti; le stesse persone che avevano alzato la voce e si erano battute il pugno sul petto di fronte ai soprusi della Zabini, ora facevano le fusa come gattini sul grembo di Eurus Flamel. Strinse il pugno sul tavolo, così forte da farsi diventare le nocche bianche. Li odiava. Odiava il modo in cui tutti loro si erano addormentati, crogiolandosi nell'idea che quella volta sarebbe andata diversamente, che c'era una differenza enorme tra ciò che aveva fatto la Zabini e ciò che stava facendo la Flamel. Ma ti pare che fanno passi falsi adesso che sanno quanto la gente sia stufa del malgoverno? Fidati, dopo la ribellione stiamo in una botte di ferro per almeno mezzo secolo: hanno troppa paura. Cazzate come quelle, Albus se le sentiva dire tutti i giorni, ed ogni volta suonavano più irritanti alle sue orecchie. « Pensano che il problema sia uno stupido telefono.. » disse infine, dopo il lungo silenzio dilatatosi tra loro due. Pronunciò quelle parole a bassa voce, sibilandole tra i denti stretti. « Sul treno non avevamo i nostri telefoni, e guarda cosa è successo! » Scosse il capo, lasciando perdere lo sguardo tra la sala. A differenza di un mese prima, ora erano pochissime le persone sedute ai tavoli (complice anche il divieto d'uscita infrasettimanale per gli studenti di Hogwarts); l'atmosfera, poi, era diametralmente opposta a quella colorata e festante delle vacanze natalizia. Tutti sembravano più grigi, più spenti nel tirare avanti la propria quotidianità: nulla era cambiato, ma in realtà era cambiato tutto. « Non ce la faccio più, Fawn. » disse poi, dopo qualche istante di silenzio, riportando lo sguardo negli occhi dell'amica « Sono stanco di combattere contro i mulini a vento, di sbattere la testa contro il muro sperando sempre che qualcosa cambi, solo per essere inculato nuovamente, nella stessa maniera ma con più fantasia. Ci hanno detto che avevamo il mondo nelle mani e poi siamo tornati a essere un branco di mocciosi a cui non dare alcun credito..esattamente come prima. » Sottolineò quelle ultime parole con un sorrisino beffardo, inclinando appena il capo di lato. Parole, quelle, che contenevano una domanda implicita: per cosa abbiamo combattuto? Per cosa abbiamo rischiato o perso la vita? « Io non ho seppellito i nostri compagni per questo. »

     
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    « Per questo Natale mi piacerebbe ricevere una motocicletta grande come quella di mio papà, così posso accompagnarlo e fare il supereroe insieme a lui. Poi mi piacerebbe molto avere un dinosauro vero, perché ho solo quelli giocattolo e Mun dice che quelli veri sono troppo grandi, quindi ne vorrei uno piccolo che non rovini i mobili sennò Mun si arrabbia. Il mio amico Daniel dice che suo papà è Batman, e si mette sempre a urlare quando io gli dico che non può essere Batman perché James dice che sta sempre al bar, quindi vorrei che andassi da Daniel e gli dicessi che suo papà non è Batman e di smetterla di dire le bugie. Daniel penso che non sia un bravo bambino, quindi dovresti portargli il carbone. Io sono bravo invece, e vorrei tanto la lego di star wars coi pezzi grandi. Grazie mille. Salutami Rudolph e Mamma Natale. » La Byrne, che aveva fatto ogni sforzo possibile per trattenere la sonora risata che premeva per uscire, a quel punto non ce la fece più. « Sento odore di spirito affine. » Si riferiva, ovviamente, alla volta che, dimostrando un'estrema umiltà ed altrettanta testardaggine, aveva perseverato nel chiedere a Babbo Natale l'unica cosa che questi non si sarebbe mai degnato di recapitarle - un baby drago. « Però dai, quantomeno ha pensato di ridimensionarsi per salvaguardare i mobili: io, alla sua età, non pensavo mica a cose come le conseguenze. Bei tempi. » Scosse appena il capo, rendendosi conto di quante cose fossero cambiate da quando la piccola Fawn si era intestardita nel pretendere che per Natale le venisse recapitata uno degli animali più pericolosi del Mondo Magico. A dire la verità, la sua vita scorreva ad un passo così rapido, che persino la persona che era stata due o tre anni prima, ormai le pareva lontana anni luce. Erano cambiate un sacco di cose: la sua occupazione, banalmente le sue preoccupazioni - solo qualche anno addietro, quella principale era di non morire, com'era stato per molte delle persone a lei vicine, dal momento che tutti, in un allegro collettivo, avevano passato quel periodo rinchiusi ermeticamente all'interno delle mura di Hogwarts. Alcune cose, però, proprio non cambiano. Una punta di affetto a quel pensiero, mentre realizzava che il suo legame col migliore amico fosse effettivamente una delle cose sovracitate. Passava il tempo, passava la gente, e si avvicendavano un sacco di circostanze di contorno diverse, ma il verde-argento e la rosso-oro sembravano essere resistenti al tempo ed alle intemperie. « Come pensate di fare ammenda a non uno, ma ben due regali negati? No, perché a me personalmente, per quanto io non sia certo un'esperta di infanti, anche la motocicletta formato adulto sembra un po' una cattiva idea. » Fece scattare le sopracciglia con fare allusivo, ma la risposta venne bloccata dall'arrivo della cameriera. Ordinò una Burrobirra anche lei, tanto perché avrebbe rappresentato una bella parentesi in quella fredda giornata invernale. « Però adesso tocca passare al tuo di regalo. » Lei gli lanciò uno sguardo complice: « Fammi indovinare - grande, grosso, squamoso e sputafuoco? Non dovevi, Al! » Strizzò l'occhio nella sua direzione, ben consapevole del fatto che nemmeno quell'anno avrebbe ricevuto un drago vero, ma comunque divertita dall'idea di portare avanti l'inside joke. Tuttavia assunse ben presto un'espressione più apprensiva nell'apprendere che lo stato delle cose tra Mun e Albus fosse sempre lo stesso. « Mi dispiace. » E sinceramente dispiaciuta, lo era davvero. Certo, tra lei e la Carrow poteva non correre buon sangue, ma il punto di tutta quella situazione, per lei almeno, non era certo Mun; più la serenità di Albus. Ed il fatto che, volente o nolente, si sentisse in parte responsabile degli avvenimenti che vedevano protagonista il migliore amico. Si trattava di una successione di frasi ipotetiche, di "se" e "ma" irrealizzabili, ma il senso di colpa nei suoi confronti era comunque reale.
    « Tu invece? Cosa mi sono perso della vita di Fawn Byrne? » L'americana emise un versetto divertito, a quel cambio d'argomento. Non poteva negare che fosse stato quasi provvidenziale, perché se non fosse stato il Potter a parlare d'altro, lei avrebbe con ogni probabilità cercato di capire come potersi rendere utile e risollevare la situazione di lui. Cosa che, pur con tutta la buona volontà, vista la sua posizione, non era nelle sue competenze. « Mah, niente di che... solita fuffa, solo in una casa diversa. » Un cenno alla convivenza. Si sistemò un paio di ciocche ribelli con un rapido gesto della mano. « Alla prossima volta che ci ritroviamo, parleremo sicuramente di come sono scappata a Las Vegas per sposarmi di nascosto al mondo intero. E tu sarai offesissimo, ma io ti dirò che si è trattato di una decisione impulsiva, della quale però non mi pento per nulla. » Negli occhi chiari della giovane c'era una scintilla divertita, e sulle labbra troneggiava un sorriso sghembo, segno del fatto che una scena del genere, per quanto assurda, avesse comunque quel qualcosa da lei. In fondo, se solo gliene avessero parlato soltanto l'anno scorso, pure l'idea di una convivenza se la sarebbe sembrata folle... ma era stata realizzata comunque. « Comunque davvero, convivenza a parte niente di nuovo sul fronte occidentale. » Sorrise serafica, ma conscia del fatto che Albus Potter non si sarebbe mai fatto bastare una spiegazione tanto sbrigativa. Si guardarono nelle palle degli occhi per qualche istante, che Fawn riempì con un generoso sorso dal proprio calice, ma - com'era prevedibile - alla newyorkese toccò capitolare. « Se ti stai chiedendo come sia potuto succedere, è la stessa domanda che mi sono posta io quando ho realizzato che mi andasse bene. » Sbuffò una risata. Sarà che Erik conosce i suoi polli e ha, naturalmente, un ottimo tempismo. « Penso fosse la cosa più naturale da fare, visto che stiamo insieme da un po', ormai. E poi vabbè - con tutto, sapevamo già entrambi che non ci saremmo accoppati dopo una settimana, cosa che penso abbia fatto la sua parte. » Senza che quasi se ne rendesse conto, sulle sue labbra aveva fatto capolino un sorriso contento. Di nuovo, si rese conto di quante cose fossero cambiate da quando lei ed il Potter avevano cominciato a gravitare l'uno attorno all'altro. Da ragazzini polemici ad adulti con una vera vita e delle vere responsabilità, a quanto pare è un attimo. Chiaro, lei non aveva ancora una famiglia tutta sua, e non era sicuramente pronta a fare il grande passo di mettere al mondo dei bambini, ma le andava più che bene così. Soprattutto perché alla fine, quella che aveva con Erik, per quanto sulla carta una famiglia non lo fosse, era comunque migliore - più serena, di certo - di quella in cui era cresciuta lei. Era, soprattutto, un qualcosa che stavano costruendo passo per passo. Insieme. « E poi non sembra essersi pentito della scelta, quindi direi bene così. » Annuì tra sé, soddisfatta perfino di poter ironizzare su certe cose senza che il suo umorismo fosse smosso da strane ansie, come quella di una virata di pensiero nel senso opposto della sua contoparte. Te lo saresti mai aspettato, Al? Io no.
    « Ok..non ti aspettare chissà cosa. E' molto rudimentale, però spero davvero che ti piaccia dato che ci ho messo qualche giorno a metterlo su. » Lei, nel frattempo, aveva approfittato di quelle parole di Albus per far scorrere nella sua direzione un pacchetto quadrato. Una sorta di cubo, anzi, avvolto in carta da regalo arancione. « Sul mio ho da dire due cose. Primo: spero ti torni utile per svuotare la testa. Secondo: non è niente che un genitore responsabile non dovrebbe possedere. » Una battuta come un'altra, che sottintendeva che il Potter, all'interno del pacchetto, non avrebbe trovato alcolici o altre sostanze illecite. Invece, vi era contenuta una piccola macchina da scrivere, piuttosto vintage, dalle dimensioni regolabili con un semplice incantesimo. E un plico di fogli bianchi.
    Aperto il proprio regalo, non poté fare a meno di lanciargli un enorme sorriso, nella speranza che quello fosse il primo di tanti, tantissimi album.

    « Pensano che il problema sia uno stupido telefono.. » "La verità è che non lo sanno nemmeno loro, cosa pensare. Cosa fare, come muoversi, ed allora fingono di arginare il danno in questa maniera. In realtà però, cosa stanno facendo? Un cazzo. Ecco cosa." Parole che lei stessa aveva detto ad Erik qualche giorno addietro, di fronte ai provvedimenti ministeriali. L'americana, ormai sfinita dalle continue prove che la vita le metteva di fronte, non aveva fatto complimenti. Non si era sforzata di mostrarsi comprensiva né diplomatica, né tantomeno di cercare il lato positivo di quella faccenda. Semplicemente perché non c'era, a suo avviso, un lato positivo. E così i provvedimenti presi dal Ministero, avevano rappresentato solo la goccia che aveva fatto traboccare il suo personale vaso. Se già da quando erano tornati in Scozia si era dimostrata più cupa, di fronte al decreto era semplicemente sbottata, con una tale violenza da stupirsi, a posteriori, che Erik non ne fosse rimasto sconcertato.
    « Sul treno non avevamo i nostri telefoni, e guarda cosa è successo! » Lei, che aveva appena mandato giù il proprio whisky si trovò ad annuire con veemenza a quell'asserzione di Albus. « Devono pur puntare il dito contro qualcuno, no? » Nel suo tono non mancava una punta ben udibile di sarcasmo, a sottintendere che quella mossa fatta dalla Flamel fosse, a suo parere, la più stupida ed impopolare per cui potesse optare. « Sia mai fare qualcosa di giusto ogni tanto. Che non puzzi di dittatura ad un kilometro, anche... La prossima mossa quale sarà? Metterci il coprifuoco? » A scanso di equivoci - se la sua espressione scettica non fosse stata sufficiente - la voce grondava veleno. Inarcò un sopracciglio: « E questa storia dell'esame psichiatrico, poi, ne vogliamo parlare? Il succo della questione, ancora una volta, non è quello che è successo, ma i cellulari ed il fatto che il mondo non sia rimasto alle penne d'oca. Presumo a Donovan sia caduto un cellulare in testa, a questo punto. » Un altro sorso, atto unicamente a svuotare il proprio bicchiere, prima di richiamare qualcuno del personale per farsene servire un altro. Accompagnò la ragazza con lo sguardo per qualche attimo, poi tornò a guardare l'amico, le labbra strette in una riga sottile.
    Stava pensando tante, troppe cose. Era arrabbiata, indignata, ancora piuttosto restia a farsi andare giù quanto era accaduto sul treno, per non parlare di tutto quel che era accaduto nell'ultimo anno.
    « Non ce la faccio più, Fawn. Sono stanco di combattere contro i mulini a vento, di sbattere la testa contro il muro sperando sempre che qualcosa cambi, solo per essere inculato nuovamente, nella stessa maniera ma con più fantasia. Ci hanno detto che avevamo il mondo nelle mani e poi siamo tornati a essere un branco di mocciosi a cui non dare alcun credito..esattamente come prima. Io non ho seppellito i nostri compagni per questo. » L'americana scosse piano la testa. Non perché fosse in disaccordo con Albus, quanto perché ne condivideva l'amarezza.
    « Vuoi sapere cosa ne penso? » Una domanda palesemente retorica la sua, era evidente. Questo perché preso un sorso di quello che era per lei il terzo bicchiere di Incendiario ed assottigliato lo sguardo, non ebbe bisogno dell'approvazione di nessuno per riprendere il discorso. « Che o al Ministero ci stanno i baby boomer che non si sono resi conto dell'entità della cosa, per cui pensano di risolvere ogni problema chiudendo l'internet brutto e cattivo oppure, semplicemente, a nessuno interessa mettere in moto quei due neuroni necessari a comprendere che i cellulari siano davvero l'ultimo dei problemi, in tutta questa storia. » Fece una smorfia, prendendo a tamburellare con le dita contro la superficie del tavolo in un gesto infastidito, specchio dello sguardo cupo. « Sembra quasi che si aspettino di trovare l'ordine di un binario fantasma su Amazon Prime. » Una risata amara. « Guardiamoci in faccia, Al - basterebbe pensare alle dimensioni di quel che è successo su quel treno, per capire che di certo dietro questa storia non c'è il qualsiasi. » E loro, in quanto studenti e semplici vittime, persone qualsiasi lo erano per davvero. Senza contare che per Albus e Fawn gli avvenimenti del mese precedente non rappresentavano il primo incontro con lo Shame. « Pensiamo solo alla grandiosità dell'accaduto.» A seguito di quell'affermazione, lo sguardo era andato a fissarsi negli occhi dell'amico, e l'americana aveva sollevato le sopracciglia con fare allusivo. Intendo dire, Albus, che secondo me, dietro c'è come minimo un pezzo grosso coi soldi. « Ma, ancora una volta, è meglio trovare soluzioni tampone, che non farsi un esame di coscienza e cercare davvero il marcio tra chi ha i mezzi... » Perché dai, figurati se invece di partire dall'alto e con un'attenta autoanalisi, non si punta per l'ennesima volta il dito contro i ragazzini. Si passò le mani sul viso, in un gesto stanco. « Il problema è - cosa possiamo fare noi? Se la Flamel non ha ancora reso penalmente perseguibile il respirare, è perché le serve un elettorato. » Si trovò ad osservare la sala ed i suoi pochi avventori con aria assorta. « Ma poi... » Si fece, se possibile, ancora più seria. «... come faceva a sapere tutte quelle cose? » Dello Shame, di quello che è successo a Giugno, e compagnia cantante. Quel documento mi sembrava scritto da una che sapeva il fatto suo. Mandò giù quello che restava dell'Incendiario.
    « Cosa facciamo? » Ripeté quella domanda, guardando l'amico quasi potesse trovare l'ombra di una risposta negli occhi di lui. « Ci presentiamo lì da bravi bimbi, collaboriamo, e poi? Tanto è evidente che ne sappiano quanto noi, se non meno. » E per fortuna ne sanno meno, perché altrimenti per me sarebbe un soggiorno di bellezza a tempo indeterminato ad Azkaban. « Mi sono stancata di subire. Mi sono stancata di tutta questa situazione, dove veniamo lasciati soli finché non riescono a rigirarci la frittata in modo tale che in qualche maniera rischiamo pure di essere nel torto. » E non era soltanto alla situazione cellulari che stava facendo riferimento. Era un po' tutto. Solo che quelle ultime norme, in qualche maniera, le avevano dato il colpo di grazia, acuendo il senso di spaesamento che l'accompagnava da ormai diversi mesi. Scosse stancamente la testa. « Gli altri cosa ne pensano di tutto questo? » Per altri intendeva la famiglia di Albus, persone come Tris, e tutti coloro che bene o male avevano (o avevano avuto) tangenze anche con lei.





    Edited by anagapesis - 2/4/2020, 01:46
     
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    Quella macchina da scrivere, quel regalo intimo di una persona con cui aveva condiviso ogni esperienza - bella o brutta che fosse - era stata una delle ultime note positive nella vita di Albus. Eppure, nonostante fosse in visibilio per quel possedimento tanto agognato, dal momento in cui l'aveva ricevuta non gli era stato possibile battervi nulla; mancanza di tempo, di testa e di ispirazione gli avevano materialmente impedito di dedicarsi a una delle cose che più gli davano forza e felicità nella vita: scrivere. Era orribile, provare quel misto di rabbia e sconforto, quel senso di impotenza di fronte a un gioco di cui non si conoscono le regole e che si sta miseramente perdendo. Sì, loro stavano perdendo, e questo era piuttosto chiaro. Lutto dopo lutto, dispiacere dopo dispiacere - il gruppetto con cui era cresciuto veniva bastonato in maniera piuttosto puntuale da quella forza ignota che si era data il nome di Shame. Col senno del poi, i giorni della bacheca scolastica sembravano riportargli alla memoria un tepore ingenuo, forse quasi un sorriso. Il regno del terrore su cui tanto si erano lamentati ai tempi non sembrava niente più che una ragazzata in confronto a quel nuovo Shame. Ma in fin dei conti, il principio è sempre lo stesso, no? Tirare fuori il lato peggiore delle persone, mettendo amici contro amici e facendoci letteralmente scannare tra noi sin quando la forza dei legami che ci stringono non sarà resa cenere. A pensarci bene, il rogo del mio matrimonio è quasi poetico in questo senso. « Vuoi sapere cosa ne penso? Che o al Ministero ci stanno i baby boomer che non si sono resi conto dell'entità della cosa, per cui pensano di risolvere ogni problema chiudendo l'internet brutto e cattivo oppure, semplicemente, a nessuno interessa mettere in moto quei due neuroni necessari a comprendere che i cellulari siano davvero l'ultimo dei problemi, in tutta questa storia. Sembra quasi che si aspettino di trovare l'ordine di un binario fantasma su Amazon Prime. » Le labbra di Albus si incurvarono in un sorriso spento. Persino nei momenti più tristi, Fawn era sempre stata la persona che riusciva a introdurre una nota ironica nella vita del ragazzo. Un esorcismo per i pensieri negativi. Da un certo punto di vista la invidiava - forse perché lui, in quelle situazioni, non era mai stato in grado di dire qualcosa di divertente. Albus Potter: sempre troppo pesante, sempre il solito rompicoglioni musone che non vede l'ora di lamentarsi e tirare un pugno a qualcuno. Fawn, d'altro canto, riusciva a prendere le situazioni con tutta la serietà del caso, senza però mai perdere quella deliziosa vena ironica che l'aveva sempre contraddistinta. « Guardiamoci in faccia, Al - basterebbe pensare alle dimensioni di quel che è successo su quel treno, per capire che di certo dietro questa storia non c'è il qualsiasi. Pensiamo solo alla grandiosità dell'accaduto. » Gli occhi dei due amici si incontrarono, scambiandosi sguardi eloquenti su cui c'era ben poco da aggiungere. Era chiaro che fossero sulla stessa pagina. Tutto ciò che avevano vissuto insieme aveva cementificato la loro amicizia a tal punto che, spesso e volentieri, le loro teste sembravano fondersi in una sola e partorire le medesime idee. Non c'era bisogno d'altro che di uno sguardo per comprendersi a fondo. « Ma, ancora una volta, è meglio trovare soluzioni tampone, che non farsi un esame di coscienza e cercare davvero il marcio tra chi ha i mezzi... » Sospirò, alzando un braccio verso la cameriera di passaggio per mimarle di portargli un altro bicchiere di incendiario. A quel punto nemmeno gliene fregava più nulla della propria sobrietà: aveva brancolato nel buio per mesi da lucido, dubitava fortemente che quel giorno sarebbe cambiato qualcosa. « Il problema è - cosa possiamo fare noi? Se la Flamel non ha ancora reso penalmente perseguibile il respirare, è perché le serve un elettorato. Ma poi...come faceva a sapere tutte quelle cose? » Aggrottò appena la fronte, rendendosi conto di non essersi mai realmente posto quella domanda ovvia. Preso da tutti i problemi della propria vita e dalle continue minacce dello Shame, aveva completamente sorvolato quello che avrebbe dovuto essere il punto di partenza per raccapezzarci qualcosa in tutta quella matassa di avvenimenti. Una volta arrivato il nuovo bicchiere di incendiario, Albus ne prese un sorso, pensoso. « Stupidamente..non ci avevo pensato a questo. » ammise, quasi colpevole di quell'affermazione che adesso, gli sembrava incredibilmente palese. « Perché che senso avrebbe, da parte dello Shame, lanciare briciole al Ministero? » Rimase in silenzio per qualche istante, fissando il contenuto ambrato del proprio bicchiere. Più i pensieri vorticavano nella sua testa, più Albus aveva l'impressione di essere coinvolto in una battaglia di astuzia a propria insaputa. « A meno che.. » sollevò lo sguardo sull'amica. A meno che non sia una mossa stupida. « Se noi perdiamo dieci e lo Shame perde quattro..ci guadagna comunque di sei. Magari esporsi così ai piani alti è una strategia per farci sentire ancor più alle strette, mettendoci nelle condizioni psicologiche di fare errori più grossolani. » Ancora una volta, quelle parole furono pronunciato con un tono di puro sconforto. Sapeva di brancolare nel buio, di sparare ipotesi basate sul nulla più totale. « Cosa facciamo? » Sollevò appena il mento, come a sottolineare quella domanda tanto banale, ma a cui era anche altrettanto difficile rispondere. Eh, cosa facciamo? Un cazzo. Non abbiamo nulla se non il culo sporco. Stiamo letteralmente all'angolo. « Ci presentiamo lì da bravi bimbi, collaboriamo, e poi? Tanto è evidente che ne sappiano quanto noi, se non meno. Mi sono stancata di subire. Mi sono stancata di tutta questa situazione, dove veniamo lasciati soli finché non riescono a rigirarci la frittata in modo tale che in qualche maniera rischiamo pure di essere nel torto. » Sospirò ancora, riportandosi il bicchiere alle labbra come nella speranza che quell'incendiario potesse infondergli una conoscenza che fino a quel momento aveva ignorato. Si sentiva in trappola, timoroso di muoversi su quella scacchiera di cui non conosceva nemmeno le pedine e certo che, qualunque mossa avrebbe fatto, si sarebbe ritrovato un passo più vicino a subire il definito scacco matto. « Penso che per il momento si possa fare davvero poco. Se il Ministero ha optato per questa linea, significa che evidentemente non hanno nulla di solido per le mani. » Fece una pausa, facendo spallucce nel buttare giù un altro sorso. « Dovevano dimostrare di poter gestire l'emergenza, e così hanno giocato la mano forte pur consapevoli del fatto che, in questa maniera, stanno punendo soltanto le vittime e non di certo i colpevoli. Tuttavia è buono per l'opinione pubblica: dà l'idea che si stiano impegnando sul serio. » Anche se non lo stanno facendo. O quanto meno, stanno mettendo un cerotto su un tumore. « Lo Shame vuole metterci paura al punto da indurci a fare qualcosa di stupido. Il Ministero non ha nulla su di noi - bisogna evitare di essere i primi a mettergli in mano il coltello. » Le rivolse uno sguardo eloquente, vuotando il bicchiere per la seconda volta da quando lui e Fawn si erano seduti a quel tavolo. « Gli altri cosa ne pensano di tutto questo? » Si strinse nelle spalle. « Hanno paura, chiaramente. Ma sono nella nostra stessa situazione. Brancolano nel buio, cercando di accampare ipotesi e tirare avanti tenendo il profilo basso. » In fin dei conti, c'era davvero poco altro da fare o pensare in quella situazione. Lo Shame era stato ben attento a non dar loro nessuno appiglio, lasciandoli in uno stato di pura confusione. Come potevano indagare qualcosa che non aveva corpo e non lasciva tracce? Era impossibile. Strinse i denti, lasciando che i suoi pensieri vagassero a ritroso sui mesi vissuti da quando quell'app era entrata prepotentemente nelle loro vite. « Ma lo sai cosa mi fa incazzare di più? » chiese, retorico, portando le iridi ormai quasi completamente nere negli occhi di Fawn. « Che li avevo avvertiti. Ti ricordi l'assemblea dell'anno scorso? Ti ricordi cosa ho detto? Ho detto: "ragazzi, andiamo dalle autorità prima che sia troppo tardi, prima che la cosa sfugga di mano". Mi avete appoggiato in pochissimi, fin quando non si è deciso di starcene con le mani in mano e giocare ai termini dello Shame. Ecco..adesso ci ritroviamo a combattere non solo contro il fottutissimo Shame, ma anche contro le istituzioni, dato che abbiamo tutti quanti il culo sporco per colpa di quella stupida scelta di continuare a giocare. » Per la rabbia che quel pensiero gli metteva addosso, si ritrovò a sbattere il pugno sul tavolo. « Cazzo, non ti dico che avremmo risolto tutto, ma quanto meno ci saremmo trovati con degli alleati e niente da nascondere. » Scosse il capo con veemenza. « Il sangue di Donovan è sulle nostre mani, per quella fottutissima scelta. Qualcuno è morto, Fawn. E' morto, e nessuno riuscirà a togliermi l'idea che siamo stati tutti noi ad ucciderlo. »

     
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    « Stupidamente..non ci avevo pensato a questo. » Cercò lo sguardo dell'amico col proprio che ancora tamburellava con le dita contro il tavolo, nervosa. La sua espressione funerea sembrava esprimere già da sola il concetto al quale avrebbe dato voce nel giro di qualche istante: « Io invece non ho fatto altro che pensarci. » Una frase detta a bassa voce, quasi un'ammissione di colpe. Ed in effetti, tra le tante cose mutate nel suo carattere da un anno a quella parte, c'era anche quella non più troppo sottile tendenza a cercare un colpevole. Un traditore. Forse non si trattava che di un effetto collaterale del suo vissuto personale, ma l'americana non aveva potuto fare a meno di soffermarsi sui dettagli delle norme che la ministra aveva fatto entrare in vigore. E la loro specificità le aveva messo addosso un senso d'allarme che non le era affatto nuovo e che anzi conosceva benissimo; la netta sensazione che qualcuno potesse aver parlato. Era assurdo a pensarci, se ne rendeva conto, anche perché la parte di lei desiderosa di mostrare ancora un minimo di fiducia nel mondo, diceva che nessuno avrebbe fatto la spia su di una faccenda tanto grossa come quella dello Shame, ed in effetti le risultava difficile collegare quel sospetto ad una persona effettiva, ma questo non significava niente. Quello era un dettaglio. E lei stava diventando troppo paranoica per soffermarsi su questi ultimi, troppo provata dalla situazione nella sua interezza e dai colpi che già aveva ricevuto, per scartare quell'opzione a prescindere. Era anche per questo che si era sentita in diritto di esporre il suo dubbio proprio ad Albus: sapeva che non l'avrebbe giudicata e che, nel vagliare la possibilità assieme a lei, avrebbe fatto del suo meglio per darle un'opinione quantomeno onesta. « Perché che senso avrebbe, da parte dello Shame, lanciare briciole al Ministero? » Sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i capelli. Non interruppe tuttavia l'amico, in modo da permettergli di esprimere il proprio prima di aggiungere altri spunti di riflessione. Riempì quell'attimo di silenzio tra loro facendo vagare lo sguardo per la sala dei Tre Manici, luogo che in quel momento ai suoi occhi appariva stranamente desolato, mentre sorseggiava con apparente calma il liquido ambrato contenuto nel proprio bicchiere. « A meno che.. Se noi perdiamo dieci e lo Shame perde quattro..ci guadagna comunque di sei. Magari esporsi così ai piani alti è una strategia per farci sentire ancor più alle strette, mettendoci nelle condizioni psicologiche di fare errori più grossolani. » Lei inclinò appena la testa di lato nello sviscerare il concetto esposto dal Potter. « Può avere senso... » Concesse, rendendosi conto tuttavia, che anche nel considerare la prospettiva offerta da Al, qualcosa le sembrasse comunque non tornare. « Ma considera questo: internet era un posto sicuro più per lo Shame che per noi. » Il suo regno del terrore personale. Bastava semplicemente ripensare alla diffidenza con la quale lei stessa aveva guardato il cellulare in tempi neppure tanto remoti, a come avesse spesso scelto di relegarlo in un cassetto pur di non convivere con l'ansia di una possibile notifica dell'applicazione. Bastava tornare indietro e considerare il fatto che persino la sfida che aveva coinvolto i due amici, quella dove Albus aveva rischiato la vita, aveva avuto luogo per mezzo di quella stessa applicazione. « Gli garantiva una comunicazione privata quanto immediata con noi, nonché l'anonimato più assoluto e la possibilità di far sparire le proprie tracce nell'etere. » Di tutte le sfide che aveva ricevuto nel tempo, dopotutto, non era rimasto niente sul suo cellulare. Ogni contatto con lo Shame, questo le era sempre parso molto chiaro, avveniva secondo i termini di chiunque ci fosse dietro. Era il modo dello Shame di tenerli sulle spine, il coltello dalla parte del manico.
    Nel partorire tutti quei pensieri, aveva finito per adombrarsi in maniera molto significativa. Lo sguardo si era spento, la facciata esteriore di compostezza pareva essersi un po' crepata. Non aveva più voglia di tentare di stemperare l'atmosfera semplicemente perché non ne aveva più le forze psicofisiche. « A che pro rinunciare ad un simile vantaggio? » Una pausa eloquentemente enfatica. « Al solo scopo di dimostrare alla Ministra della Magia chi comanda davvero? È uno scacco al Re che puoi permetterti solo quando sai di aver già vinto la partita. O quando non ti interessa più giocare. » Una seconda pausa, dove lo sguardo di lei andò a cercare quello del migliore amico: a te sembra che abbia finito di giocare? Gli lasciò il tempo di cogliere quel messaggio prima di proseguire: « Sa più di controffensiva, per quanto opinabile, che di concessione. E se fosse una concessione, allora abbiamo sopravvalutato il senso tattico di chiunque sta dietro tutto questo. » Si era incupita ancora, conscia di brancolare nel buio a prescindere dalla realtà dei fatti. Eppure, nonostante tutto, nonostante non potesse considerare poco valida l'ipotesi del moro, le pareva comunque altamente improbabile che lo Shame avesse finito con loro.
    « Penso che per il momento si possa fare davvero poco. Se il Ministero ha optato per questa linea, significa che evidentemente non hanno nulla di solido per le mani Dovevano dimostrare di poter gestire l'emergenza, e così hanno giocato la mano forte pur consapevoli del fatto che, in questa maniera, stanno punendo soltanto le vittime e non di certo i colpevoli. Tuttavia è buono per l'opinione pubblica: dà l'idea che si stiano impegnando sul serio. » Fawn aveva distolto lo sguardo, fissandolo su di un tavolo vuoto alla loro destra, l'unico in fondo. Addosso aveva un senso di pesantezza sconcertante e, sebbene quello di trovare il modo di cadere in piedi in ogni situazione sembrava essere il suo più grande talento, in quel momento si sentiva sull'orlo di un precipizio del quale neanche riusciva a vedere il fondo. « Lo Shame vuole metterci paura al punto da indurci a fare qualcosa di stupido. Il Ministero non ha nulla su di noi - bisogna evitare di essere i primi a mettergli in mano il coltello. » A quell'affermazione tornò a guardare Albus. « Anche per questo mi sembra strano, sai? Che sia stato lo stesso Shame a dare certe info al Ministero. Per ora sembrerebbero non avere niente su di noi ai piani alti, l'hai detto anche tu. Avrebbe avuto più senso, sarebbe forse stato più nel personaggio... non lo so, fare qualcosa di grandioso prima di privarsi di quello che per mesi è stato il suo mezzo principale. Non un qualcosa che ci avrebbe messo paura e basta - perché tanto chi vogliamo prendere in giro? Avevamo già paura -. ma dichiarare lo scacco matto prima di chiudere definitivamente la partita, sbattendo il Ministero di faccia nella propria incompetenza. » Si rendeva conto, Fawn, del fatto che i suoi potessero sembrare voli pindarici fatti e finiti. Eppure, trovandosi in compagnia di una persona nella quale nutriva una completa fiducia, non era riuscita ad esimersi dall'esprimere quel pensiero a voce alta. Certo, se lo Shame avesse scoperto definitivamente le carte, lei per prima avrebbe potuto dare per finita la propria vita. Sapeva di non avere la coscienza pulita, altrettanto era conscia delle conseguenze delle proprie azioni, ma il conforto temporaneo di non essere del tutto spacciata per il momento era, per l'appunto, solo un palliativo. E non le impediva di porsi determinate domande. E di fare un tentativo di rispondervi. Non si stupì dell'informazione riguardante il punto di vista delle loro conoscenze comuni, tanto da limitare la sua reazione ad un cenno del capo mentre si portava il bicchiere alle labbra per l'ennesima volta. Che mi aspettavo? Che qualcuno avesse una soluzione? O che, forse, fosse messo meglio di noi? No, non poteva dire di aspettarselo. Tuttavia ci aveva sperato. Aveva sperato che qualcuno sapesse qualcosa in più, che fosse in una posizione migliore forse, che fosse riuscito ad almeno abbozzare un piano d'azione. Invece, prevedibilmente, erano tutti sulla stessa barca. Una barca che le sembrava sempre più sul punto di affondare.
    « Ma lo sai cosa mi fa incazzare di più? » Lo sguardo fisso nelle iridi scure dell'amico, l'americana rimase in attesa di uno scoppio che sentiva nell'aria. « Che li avevo avvertiti. Ti ricordi l'assemblea dell'anno scorso? Ti ricordi cosa ho detto? Ho detto: "ragazzi, andiamo dalle autorità prima che sia troppo tardi, prima che la cosa sfugga di mano". Mi avete appoggiato in pochissimi, fin quando non si è deciso di starcene con le mani in mano e giocare ai termini dello Shame. Ecco..adesso ci ritroviamo a combattere non solo contro il fottutissimo Shame, ma anche contro le istituzioni, dato che abbiamo tutti quanti il culo sporco per colpa di quella stupida scelta di continuare a giocare. Cazzo, non ti dico che avremmo risolto tutto, ma quanto meno ci saremmo trovati con degli alleati e niente da nascondere.
    Il sangue di Donovan è sulle nostre mani, per quella fottutissima scelta. Qualcuno è morto, Fawn. E' morto, e nessuno riuscirà a togliermi l'idea che siamo stati tutti noi ad ucciderlo. »
    L'assemblea di un anno addietro riguardo la questione dello Shame, Fawn la ricordava eccome. Ricordava bene l'ultimatum che quest'ultimo aveva dato ad ognuno di loro alla fine, e di come i pochi rimasti si fossero ripromessi di unire le forze il più possibile per fronteggiare la minaccia invisibile rappresentata dall'applicazione. Ricordava, con estrema amarezza, anche di come la sua vita avesse cominciato a crollare da quel momento in poi. Rammentava la paranoia generale, la sfiducia inevitabile che avevano cominciato a nutrire gli uni verso gli altri, fin quando non si era ritrovata a Nocturn Alley, dove si era infine srotolato l'avvenimento che per poco non l'aveva spezzata a livello psicologico. O forse mi ha davvero spezzata, ed è stata la mia ostinazione a tenermi in piedi finora. « Lo so, Al. Ed ero pronta ad andarci, al Ministero. » Il tono sconsolato di quella risposta trasudava senso di colpa. Aveva abbassato lo sguardo e si stava mordendo l'interno guancia per evitare reazioni troppo emotive. Aveva imparato che questa cosa chiamata emotività, in determinate circostanze doveva essere chiusa ermeticamente, in una scatola lontana dalle altre, e a questa scatola bisognava impedire di toccare tutte le altre, se voleva evitare che il suo cervello implodesse. Se voleva evitare di straripare negatività, di dar voce ai propri timori segreti, ai sensi di colpa che tentava di seppellire ormai da mesi. « Abbiamo sbagliato. Abbiamo sbagliato tutti. » Si passò una mano sul viso, fermandosi per massaggiarsi le tempie per qualche secondo nel tentativo di dare un senso al caotico vorticare di pensieri che stava avendo luogo nella sua testa. Donovan è morto, ed è colpa nostra, avremmo potuto evitarlo. Ma avremmo potuto davvero evitarlo? Forse anche questo fa parte dei giochetti dello Shame - farci credere che una data situazione fosse, a posteriori, evitabile. « Il fatto è, Albus - per quanto non ci sollevi certo dalla responsabilità -, che tutto questo meccanismo sembra progettato per schiacciarci. » Gli disse con una certa franchezza, guardandolo dritto negli occhi nell'esporre quel concetto terribile. « Al tempo dell'assemblea, eravamo in pochi a sospettare quanto potesse essere pericoloso tutto questo. » Una pausa per riprendere fiato. Il suo tono era così piatto ed apatico da apparire straniante, ma non poteva fare a meno di sentirsi come se tutto il peso del mondo le fosse ricaduto sulle spalle all'improvviso. Chiunque ne sia colpevole, una persona è morta e nessuno di noi potrà mai lavarsene davvero le mani. « E la maggioranza non se l'è sentita di andare al Ministero a fare una denuncia contro ignoti, alla quale non si sapeva quando e come avrebbero prestato attenzione. » Non avevamo prove. Non abbiamo mai avuto prove vere. « E quando è diventato chiaro, ci eravamo già dentro fino al collo... » Scosse appena la testa. Quando l'abbiamo capito eravamo già troppo stanchi e spaventati. Per me personalmente, il punto d'arrivo è stato sentire te che mi imploravi di Cruciarti perché ne valeva della vita di tuo figlio. Distolse lo sguardo; un debole tentativo di schermare Albus dall'intuire i suoi pensieri ed il fatto che fossero inevitabilmente virati verso quella sera. « Tu non pensi che qualcuno possa aver parlato, vero? » La voce un po' rotta, si ostinava a non incrociare lo sguardo del migliore amico quasi temesse un gesto così semplice potesse portarla a scoppiare in lacrime. La realtà dei fatti era che per quanto potesse essere brava a dissimulare, erano mesi che era tesa come una corda di violino. Ed ora, con tanto di indagini corso, sentiva sempre più vicino il patibolo. Sentiva sempre più vicina Azkaban. « So che non dovrei pensarlo, ma non riesco ad escludere la possibilità, - » Perché mi è già successo. Mi è già successo in prima persona. Con tua sorella. « - no, forse non importa. Sono solo paranoica. Lascia perdere. » Aveva gli occhi un po' lucidi, quando riportò nuovamente lo sguardo in quelli di Albus. Ci fu una breve pausa. Lei, in un gesto quasi meccanico, si scolò quello che restava del suo Incendiario.
    Voleva scrollarsi di dosso quella paranoia, mettere a tacere la vocina che le diceva con insistenza di cercare il marcio dentro prima ancora di volgere lo sguardo all'esterno, ma anche quella si poteva dire una conseguenza dello Shame. Fawn stava diventando paranoica, una persona sempre meno disposta a dare fiducia a coloro che la sua fiducia già non l'avevano conquistata, e comunque pronta a ritirare la stessa in qualunque momento.
    « Sono stanca, Al. » Disse piano. « Sono così stanca che non voglio più niente. Voglio che finisca tutto e basta. Non ce la faccio più. » Ammise alla fine, con voce tanto soffocata da essere appena udibile, forse perché non l'aveva mai detto. Non con quella serietà inquietante nello sguardo, e non guardando qualcuno che le volesse bene dritto negli occhi. Non so per quanto ancora potrò continuare così.






    Edited by anagapesis - 2/4/2020, 01:46
     
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    « Lo so, Al. Ed ero pronta ad andarci, al Ministero. » Annuì, sospirando sconfortato. Fawn era stata una delle pochissime ad appoggiare la sua proposta di andare direttamente ai piani alti prima che la situazione sfuggisse di mano. Chiaramente, all'epoca, Albus non aveva avanzato quell'opzione perché persuaso di poter sconfiggere lo Shame dal giorno alla notte; sapeva bene che gli Auror non potessero di certo buttarsi anima e corpo in quell'investigazione, quando di prove ne avevano così poche. Eppure era ancora convinto del fatto che se solo avessero lanciato l'allerta prima, molte cose sarebbero state prevenute. O quanto meno non ci saremmo trovati soli, così impauriti da nasconderci tanto dallo Shame quanto dal Ministero. « Ci siamo messi in scacco da soli. » « Abbiamo sbagliato. Abbiamo sbagliato tutti. » L'amica fece eco alle sue parole, portandolo a considerare col pensiero tutte quelle cose che sarebbero potute non accadere, se solo non avessero scelto di stare al gioco dello Shame. Persino il deterioramento del rapporto tra lui e Mun era stato uno dei tanti tasselli del domino che quella sfortunata decisione aveva innescato. Magari adesso io e lei saremmo felicemente sposati, più uniti che mai contro la tempesta di merda che ci sta piovendo addosso. E invece guarda come stiamo: al pari di due estranei, con il pericolo di perdere i nostri figli. Scacciò con violenza quel pensiero dalla testa. Un pensiero martellante, che ormai faceva parte della sua quotidianità e attorno al quale l'ex Serpeverde sembrava aggrovigliarsi sempre più ogni giorno che passava. Frustrato, pieno di angoscia, tristezza e rabbia - sapeva di non essere stabile. Sapeva di covare più odio e rassegnazione dentro di sé di quanto non ne avesse mai provato: perché irrimediabilmente, la sua fedeltà al gruppo gli era costata una perdita troppo grande per essere quantificabile. « Il fatto è, Albus - per quanto non ci sollevi certo dalla responsabilità -, che tutto questo meccanismo sembra progettato per schiacciarci. Al tempo dell'assemblea, eravamo in pochi a sospettare quanto potesse essere pericoloso tutto questo. » Serrò la mascella a quelle parole, rimanendo con lo sguardo fisso su di lei mentre le iridi mutavano dal grigio a una scura foschia simile a quella di un cielo che gorgogliava per un imminente temporale. « E la maggioranza non se l'è sentita di andare al Ministero a fare una denuncia contro ignoti, alla quale non si sapeva quando e come avrebbero prestato attenzione. E quando è diventato chiaro, ci eravamo già dentro fino al collo... » A quelle parole, il giovane Potter si ritrovò a sbattere con foga il palmo della mano sul tavolo. In quel momento, rimangiato dalla rabbia, non riusciva nemmeno a sentire il formicolio che quel gesto gli aveva provocato, arrossando la pelle che aveva sferrato quel colpo. « Ed è per la stupidità altrui che io devo pagare le conseguenze? E' per il loro lassismo o per la loro mancanza di lungimiranza, che ci siamo ritrovati a fare sasso carta forbice su chi avrebbe cruciato chi? » Sibilò, visibilmente indispettito. Scosse il capo con veemenza, sollevando l'indice di fronte al proprio viso come in un monito rivolto a tutti e nessuno in particolare. « Ma questa è l'ultima volta. E' l'ultima, che faccio gioco di squadra. Evidentemente, le persone con cui posso farlo si contano sulle dita di una mano. Preferisco di gran lunga passare per prepotente. » Perché tanto, è per questo che sono passato ogni volta che mi sono impuntato su qualcosa. Non era mai stato semplice, per Albus, seguire le visioni o i suggerimenti altrui. C'era sempre stata una sorta di supponenza, da parte sua, nel credere che le proprie opinioni fossero puntualmente più valide e, in generale, migliori. Naturalmente, non sempre aveva ragione. Anzi, spesso e volentieri il suo era più un accanimento da bastian contrario che altro. Tuttavia, in situazioni del genere, Albus non era mai stato uno sprovveduto e, specialmente dopo le esperienze degli ultimi anni, era difficile che parlasse a sproposito. Sapeva di aver ragione in quel frangente e sapeva che, nonostante tutto, se gli altri gli avessero dato credito all'assemblea, oggi si troverebbero con qualche grattacapo in meno. Forse non tutto poteva essere evitabile, ma qualcosa lo era di certo. E ciò bastava a farlo incazzare, a maledire se stesso per non essere stato più prepotente quando avrebbe dovuto. Aveva voluto rispettare la maggioranza, o quanto meno fare un atto di fiducia nei confronti degli altri, ponendosi di fronte all'idea che quelle voci potessero essere più ragionevoli della sua nota testa calda. A quanto pare mi sono sbagliato. « Tu non pensi che qualcuno possa aver parlato, vero? » Si ritrovò ad aggrottare la fronte a quelle parole, preso di contropiede da un'opzione che non aveva del tutto valutato. Forse ingenuamente, forse perché persuaso che nessuno di loro potesse aver escogitato una simile mancanza di rispetto. Ci pensò su, ripercorrendo mentalmente i nomi di coloro che erano rimasti all'assemblea: perché se di un delatore si parlava, doveva essere per forza tra di essi. « Non lo so, Fawn..non ci voglio nemmeno pensare. » Disse, scuotendo appena il capo, mentre quella rabbia focosa di prima si tramutava in una più quieta - forse, da un certo punto di vista, persino più pericolosa. « So che non dovrei pensarlo, ma non riesco ad escludere la possibilità, - » Gli sguardi dei due si incontrarono, eloquenti, condividendo quello che doveva essere con ogni probabilità lo stesso pensiero. Non ce lo aspettavamo nemmeno a Settembre, d'altronde. « - no, forse non importa. Sono solo paranoica. Lascia perdere. » Malpensante di natura, Albus aveva tuttavia archiviato l'ipotesi espressa dalla Byrne prima ancora che essa si formasse del tutto come una valida alternativa nella propria mente. Quel briciolo di illusione che gli rimaneva voleva credere che, quantomeno, in quel gruppo fosse rimasta la decenza di muoversi compatti sul fronte Shame in seguito all'assemblea. E' così che eravamo rimasti, no? Con la promessa di restare uniti. Eppure, adesso, mentre il ricordo di sua sorella gli tornava alla mente, Albus sembrò cominciare a cedere in quella sua piccola fiducia. In fin dei conti, se persino sua sorella non era riuscita a tenersi due ceci in bocca, figuriamoci qualcuno a cui magari non fregava un cazzo di lui e di tutti gli altri. E qui le cose sono due: o l'ignoto è incredibilmente infame, oppure incredibilmente stupido. « Sono stanca, Al. Sono così stanca che non voglio più niente. Voglio che finisca tutto e basta. Non ce la faccio più. » Sospirò, lasciando rilassare i propri muscoli per trovare appoggio contro lo schienale della sedia. Scansò le paranoie, le ipotesi, la rabbia; scansò tutto in favore di una semplice rassegnazione. Perché in fin dei conti, qualunque cosa fosse accaduta, a loro non era dato saperla in quel momento. Rimase in silenzio per qualche istante, pensieroso, prima di stendere un braccio sul tavolo: il palmo della mano rivolto verso l'alto, come in un invito implicito di stringerla rivolto all'amica. Sollevò le iridi ora nuovamente grige in quelle di lei, stirando un sorriso che si poneva l'obiettivo di rassicurarla, sebbene le pieghe amare che lo connotavano. « Lo so. » disse infine, annuendo piano. Si sentiva la bocca secca, inasprita da quel senso di stanchezza e rassegnazione che era riuscito a colpire i loro animi normalmente così combattivi. « Anche io sono stanco. E sinceramente non so nemmeno come combattere questa cosa. » Inalò profondamente, a lungo, riempiendosi i polmoni di ossigeno come se non ce ne fosse abbastanza per farlo rimanere a galla in quella situazione. « Mi sta togliendo tutto quando, Fawn. Non riesco nemmeno a riconoscermi più, quando mi guardo allo specchio. » E' come se quell'immagine fosse solo una copia sbiadita di Albus Potter. Un manichino con le sue sembianze, piazzato lì a fare i movimenti che dovrebbe, ma vuoto - incredibilmente e spaventosamente vuoto. Si strinse nelle spalle, attuando una violenza incredibile su se stesso nel dire le parole successive. « Non ho mai avuta così tanta paura. Nemmeno nel lockdown, nemmeno durante la guerra. E non lo so perché. Mi sento di affogare, ma cerco di rimanere a galla con tutte le forze perché so che se crollo del tutto.. » ..crolla con me tutto ciò che ho costruito, tutto ciò a cui tengo di più. « Ho così tanta paura che non riesco a fare nulla. Sono terrorizzato dalla sola idea di opporre la minima resistenza. » Lo sguardo di Albus assunse un'espressione quasi implorante: lo spavento di un bambino che si ritrovava a combattere contro cose troppo grandi per le sue fragili spalle. « Ho due figli. Capisci? Ho una ragazza che amo con tutto me stesso e che a malapena mi parla. E lo so, lo so cosa pensa di me in questo momento. » Mi vede come un vigliacco. Non lo disse, forse perché pronunciare quelle parole, avrebbe reso tutto troppo reale, troppo insopportabile. Ma l'occhiata che lanciò all'amica fu abbastanza eloquente da farle capire il senso di ciò che le stava rivelando. Scosse il capo, piano, parlando nuovamente con voce strozzata. « Non ce la faccio..non ce la faccio a rischiare di fargli del male. » Anche se gliene sto già facendo.

     
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    « Non lo so, Fawn..non ci voglio nemmeno pensare. » L'aveva rassicurata, quell'affermazione dell'amico? No. Non c'era niente che potesse rassicurarla davvero. Non tanto perché Albus non ne fosse solitamente in grado, anzi, quanto perché la situazione nella sua interezza era più grande di loro. E perché, per quanto potesse volerlo negare anche a se stessa, quanto accaduto sul treno, per quanto bene potesse tentare di dissimularlo, aveva acceso in lei una consapevolezza spaventosa: non è finita. Forse non è nemmeno ancora davvero cominciata. Lo sguardo che lanciò al migliore amico, di conseguenza, rifletteva alla perfezione i toni cupi dei suoi pensieri. Abbassò lo sguardo sulla mano aperta del moro, un attimo prima di sospirare e poggiarvi sopra, con delicatezza, la propria. La tentazione era quella di prendersi la testa tra le mani. O cominciare a batterla contro la superficie del tavolo per riuscire a dire qualcosa, qualunque cosa esulasse da quella sorta di pity party che si stava svolgendo nella sua testa. Non era da lei. Dire certe cose, fare certe ammissioni: i non ce la faccio più, i non so dove sbattere la testa, Albus, te lo giuro... e tutto ciò che a quelle parole faceva contorno di conseguenza. No, non era da lei. Fawn Byrne vedeva sempre il bicchiere mezzo pieno, si fregiava del fatto di riuscire sempre a trovare una prospettiva diversa, migliore, di riuscire ad arrangiare le componenti di un quadro in una maniera tale che, nonostante tutto, ci fosse uno spiraglio di luce in arrivo da chissà dove. Adesso non ci riesco; mi sembra tutto un crudele scherzo del destino, dove io continuo ad arrabbattarmi per far funzionare le cose soltanto per rendermi conto che nulla, letteralmente niente, dipende da me. Che questa vita sembra mia, sì, ma solo quando devo rimetterne assieme i cocci. « Lo so. » La voce di Albus la riscosse, quasi costringendola a portare lo sguardo negli occhi di lui. Mi dispiace, sembrava cercare di comunicargli con lo sguardo. « Anche io sono stanco. E sinceramente non so nemmeno come combattere questa cosa. » E anche questo era uno stato d'animo condiviso. Strinse appena la mano di lui, forse nella speranza di infondergli un minimo di coraggio. Un coraggio che mancava a lei in primis ma che, nonostante tutto, sperava potesse in qualche modo giungere all'amico. Faceva male vederlo così; ancora peggiore era la consapevolezza di poterne essere parzialmente responsabile. Dopotutto, tra coloro che non avevano alzato il proprio venerando culo dalla sedia per andare al Ministero, c'era stata anche lei. Non poteva dire di aver opposto resistenza, in virtù di quel famoso gioco di squadra nel quale tutti avevano sperato. Forse avremmo dovuto saperlo già in partenza, che non avrebbe funzionato. Eravamo troppi e troppo diversi. Eccola, di nuovo, a pensare la cosa opposta a quella concepita appena pochi minuti prima. Non essendo in grado di trovare una soluzione, cercava una falla. E dalla falla, forse, sperava di poter arrivare ad identificare l'errore fatale che li aveva condotti fino a quel punto. Identificato l'errore, dopotutto, non resta che rimboccarsi le maniche, no? Non lo sapeva. Anzi, una parte di lei continuava a ripeterle che fosse inutile - dopotutto non avevano idea di quale mostro invisibile stessero cercando di combattere. O forse, ancora, di fronte a quale drago, di preciso, avessero deposto le armi. Abbiamo davvero deposto le armi, Al? Lo osservò con una punta di amarezza nello sguardo. Uno sguardo che si era fatto torbido, stanco, specchio perfetto del suo stato d'animo. « Mi sta togliendo tutto quando, Fawn. Non riesco nemmeno a riconoscermi più, quando mi guardo allo specchio. Non ho mai avuta così tanta paura. Nemmeno nel lockdown, nemmeno durante la guerra. E non lo so perché. Mi sento di affogare, ma cerco di rimanere a galla con tutte le forze perché so che se crollo del tutto.. » Se crolli del tutto, non sarai l'unico a crollare, dico bene? D'isntinto, si trovò a stringergli la mano ancora più forte. Forse per dirgli che non tutto fosse perduto - ci credeva, lei, che non tutto fosse perduto? - o per dire che, anche in quella situazione, nonostante tutto, erano spalla a spalla. Assurdo, quante ne avessero passate assieme; ironico che ora, su due linee parallele, sembrassero aver toccato il fondo. « Ho due figli. Capisci? Ho una ragazza che amo con tutto me stesso e che a malapena mi parla. E lo so, lo so cosa pensa di me in questo momento. Non ce la faccio..non ce la faccio a rischiare di fargli del male. » Si trovò ad espirare pesantemente, quasi potesse sentire la gravità di tutte quelle affermazioni sulle proprie spalle. Non poteva, ovviamente, ma il pensiero che il migliore amico fosse arrivato a sentirsi così, toccava anche lei. La toccava perché gli voleva bene, perché sapeva come fosse Albus Potter di solito e vederlo così spento era un'indiretta coltellata anche per lei.
    « Quando Mun è venuta nel mio ufficio, tra le altre cose, mi ha detto che ho fatto male a non insistere perché tu le raccontassi di quello che ho fatto. Non so quanto serva dirtelo adesso, e di sicuro non cambia le cose, ma ci tenevo a dirti che mi dispiace. » Gli rivolse un'occhiata seria, resa paradossalmente limpida dalla sincerità del concetto espresso. « Non so quanto avrei potuto influire davvero, se mi fossi impuntata e, proprio perché non lo so, ti chiedo scusa. » Evitò accuratamente di spiegare le proprie ragioni o di giustificarsi; d'altra parte era certa che il legame che lei ed Albus avevano costruito nel tempo lo rendesse superfluo. « Per il resto, lo sai, non posso metterci becco più di tanto, ma... » Ma a giudicare da quanto era pronta a scuoiarmi viva, direi che soffre perché tu soffri, non perché ti odi. Una supposizione. «... per quanto sia un periodo orribile, e per quanto mi senta le carie ai denti solo a dirlo, io in voi ci credo veramente. » Abbozzò un sorriso. Piccolo, discreto, ma carico di significato: non crollare, Albus. Non crollate, entrambi. Si prese un momento per scoccargli uno sguardo sincero. Poi, repentinamente, si trovò a cambiare argomento. Il tempo di qualche secondo, quello necessario ad accertarsi che il suo messaggio fosse passato. « Anche io ho paura. Ho paura perché la mia vita non mi sembra più mia, Albus. Più che una persona, mi sento una sorta di mina vagante. Qualunque cosa tocchi... » Mimò un'esplosione con la mano libera, alla quale seguì un puff, pronunciato solo a fior di labbra. « Poi c'è la questione conseguenze. » Fece una smorfia, abbassando lo sguardo sul tavolo. « A volte penso che starmi vicino, in generale, possa essere pericoloso. Ho pensato più di una volta, da giugno, che forse avrei dovuto allontanare Erik perché dai, chi è che vuole portare le arance » in prigione « alla propria ragazza? Non è così che me lo immaginavo. E non è giusto. » Pausa. In effetti, è anche per quello che gli ho detto tutto. Forse una parte di me, sperava che si rendesse conto da solo che avermi attorno non è propriamente come vincere alla lotteria. « Però sono anche troppo egoista per farmi una cosa del genere. Non reggerei anche questo. E quindi... » Fece spallucce come a sottintendere e quindi adesso vivo nel terrore che possa succedergli qualcosa. Che si ritrovi nella merda anche lui. « La verità è che non so contro cosa stiamo combattendo. Non so perché sembri sempre essere dieci passi avanti. Non so cosa fare per non fare più danni di quanti non ne abbia già fatti... » E questa cosa mi uccide. Poi, con un filo di voce, aggiunse: « Vorrei... riuscire a dirti qualcosa di diverso. Di avere una soluzione, una qualunque... » Distolse lo sguardo, incapace di sostenere quello di Albus. Ma non ce l'ho. Non ho neanche un palliativo. « Ma mi fa incazzare da morire che dopo aver visto tutto quello che abbiamo visto noi, dopo tutto quanto, dobbiamo arrenderci così. Ci sarà una cazzo di falla da qualche parte! » C'era all'inferno, perché non può esserci anche qui? Cosa stiamo sbagliando? Gli rivolse un'occhiata a metà tra il disperato e il distrutto. Mi sento in trappola, Albus. Mi sento in trappola.


    Edited by anagapesis - 2/4/2020, 04:46
     
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    « Quando Mun è venuta nel mio ufficio, tra le altre cose, mi ha detto che ho fatto male a non insistere perché tu le raccontassi di quello che ho fatto. Non so quanto serva dirtelo adesso, e di sicuro non cambia le cose, ma ci tenevo a dirti che mi dispiace. Non so quanto avrei potuto influire davvero, se mi fossi impuntata e, proprio perché non lo so, ti chiedo scusa. » Scosse il capo, come ad allontanare quelle scuse dal suo punto di vista infondate. « Per quanto la tua opinione sia una di quelle a cui presto più ascolto..non penso che avrebbe influito granché. » disse, stringendo appena la sua mano sull'orlo di un sospiro. Gli occhi concentrati sulle dita intrecciate quasi stesse cercando in tutti i modi di evitare lo sguardo di lei. Da Giugno in poi, Albus era vissuto nella pura instabilità, troppo intento a forzare su di sé un'impressione di normalità per prendersi davvero il tempo necessario a guarire dalle proprie ferite. Eppure, la scelta di tenere Mun all'oscuro era stata lucida - anzi, forse era stato l'unico vero pensiero lucido che avesse partorito. Per quante la Carrow gliene avesse urlate contro, lui non aveva di certo fatto quella scelta a cuor leggero. Tenerle nascosto qualcosa gli riusciva difficile, in primis perché Mun non era soltanto la sua ragazza, ma anche la propria complice in tutto. Si fidava di lei ciecamente, ma voleva anche proteggerla. Forzarsi a non rivelarle gli avvenimenti di quella notte e persino prendere il rischio di farglieli apprendere tramite lo Shame, era stato il suo modo fallimentare di schermarla da un dolore non necessario. Vederla soffrire, impotente di fronte a un avvenimento che poteva solo accettare e con un cruccio in più nei confronti di Fawn, sarebbe probabilmente stato ciò che più lo avrebbe fatto stare male in tutta quella situazione. Lo Shame non mi ha cruciato per torturarmi. Lo ha fatto per distruggere tutto il resto, per rovinare i rapporti che ci legano. Io non volevo lasciarglielo fare..e guarda ora dove mi trovo! « E' stata una mia scelta, Fawn. » disse infine, risoluto, trovando il coraggio di sollevare lo sguardo sul viso dell'amica. « Sarà pure stata discutibile, ma non riesco a pentirmene perché so di non averla presa con le intenzioni che lei ha voluto vederci. » Si strinse nelle spalle. « Non posso cambiare la sua opinione, ma non posso nemmeno fingere un rimorso che non provo. E non doveva essere responsabilità di nessuno, quella di farmi scegliere diversamente. » Era la mia scelta perché mia era la vita a rischio quella sera. E detto ciò, fece un cenno con la mano a mezz'aria, lanciandole uno sguardo eloquente, come a farle capire che la questione era chiusa lì e non c'era nient'altro da snocciolare a riguardo. L'idea di Albus era immutabile e così, probabilmente, lo era pure quella di Mun: inutile girarci intorno. « Per il resto, lo sai, non posso metterci becco più di tanto, ma...per quanto sia un periodo orribile, e per quanto mi senta le carie ai denti solo a dirlo, io in voi ci credo veramente. » Al sorriso abbozzato di Fawn, Albus rispose con una smorfia che sembrava dire "almeno tu". Ultimamente, persino la sua fede era cominciata a vacillare. Se all'inizio era stato certo che Mun sarebbe lentamente tornata sui propri passi, col passare dei mesi si era dovuto necessariamente ricredere. Nemmeno la parentesi felice del treno era riuscita a mettere le pezze a quel rapporto ormai colmo di omissioni. Una parte di lui aveva iniziato a pensare che l'unica cosa a trattenere Mun dall'andarsene del tutto fossero Lily e Jay. Un pensiero, quello, che cercava costantemente di scacciare, ripetendosi che nonostante tutto, lei forse provava le stesse cose che stava provando anche lui. Si amavano, ma erano orgogliosi, e a volte quell'orgoglio poneva un ostacolo enorme alla comunicazione.
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    Non rispose alle parole di Fawn, lasciando che il discorso cadesse perché, in fin dei conti, di ammorbarla con i suoi problemi di coppia non se la sentiva. « Anche io ho paura. Ho paura perché la mia vita non mi sembra più mia, Albus. Più che una persona, mi sento una sorta di mina vagante. Qualunque cosa tocchi... » Si disintegra. Annuì. So esattamente come ci si sente. « Poi c'è la questione conseguenze. A volte penso che starmi vicino, in generale, possa essere pericoloso. Ho pensato più di una volta, da giugno, che forse avrei dovuto allontanare Erik perché dai, chi è che vuole portare le arance alla propria ragazza? Non è così che me lo immaginavo. E non è giusto. » Una piccola risata affiorò sulle labbra del ragazzo, che scosse la testa. « Piccolo consiglio da chi in passato ha provato ad usare questa tattica: non funziona e per lo più ti esplode in faccia. » Come è successo con Betty. Spesso Albus si era trovato a chiedersi come sarebbero andate le cose se fosse stato onesto sin dall'inizio con la Branwell. Lo avrebbe lasciato lei, nel venire a conoscenza del figlio che aspettava? No, sicuramente no. E proprio per quello Albus l'aveva sbattuta fuori dalla propria vita: perché non aveva voluto coinvolgerla, non aveva voluto metterla di fronte a quella scelta e alla serie di conseguenze che ne sarebbe derivata. Prepotente, come al suo solito, ma con nobili intenzioni. E quindi cosa sarebbe successo, se alla luce di tutto ciò, Betty fosse rimasta insieme a lui? Non poteva saperlo. Era una domanda a cui gli risultava troppo difficile rispondere, perché richiamava a sé una quantità eccessiva di variabili inimmaginabili. Eppure una parte di lui credeva che se ci fosse stata quell'onestà, forse lui e Betty sarebbero rimasti insieme per sempre; forse adesso, a Inverness, ci sarebbero stati lui, lei, Jay e un paio di cani. Forse le avrebbe chiesto di sposarlo come aveva con Mun, e forse a quest'ora sarebbero già stati marito e moglie da diversi mesi. Una vita alternativa, che col senno del poi Albus non riusciva a immaginare fino in fondo. A questo punto della sua vita, Mun era una parte troppo importante - imprescindibile - per essere semplicemente tagliata fuori, persino dalla sua stessa fantasia. « Però sono anche troppo egoista per farmi una cosa del genere. Non reggerei anche questo. E quindi... La verità è che non so contro cosa stiamo combattendo. Non so perché sembri sempre essere dieci passi avanti. Non so cosa fare per non fare più danni di quanti non ne abbia già fatti... Vorrei... riuscire a dirti qualcosa di diverso. Di avere una soluzione, una qualunque... Ma mi fa incazzare da morire che dopo aver visto tutto quello che abbiamo visto noi, dopo tutto quanto, dobbiamo arrenderci così. Ci sarà una cazzo di falla da qualche parte! » Ci sarà pure, sicuramente, ma dove sta? Non lo disse, ma quello sconforto fu piuttosto chiaro dal modo in cui abbassò lo sguardo, stirando le labbra in una linea incerta. « A volte spero soltanto che mi dica cosa vuole. Se fossi in grado di darglielo, glielo darei. Mi importa solo sapere che le persone a cui tengo sono al sicuro. » Una richiesta che non sarebbe dovuta essere così esorbitante come sentiva. Sospirò, visibilmente abbattuto da quell'impotenza che gravava su di lui da sin troppi mesi. Più ci rimuginava sopra, più sembrava avvitarsi su se stesso. Nessuno di loro aveva una risposta, o anche soltanto delle informazioni diverse dalle sue che potessero aiutarlo a completare il puzzle. Una situazione stagnante. « Non penso ci sia alcuna scelta, Fawn. Ci ho pensato e ripensato, ma non sono riuscito a trovare nulla. Credo che.. » si strinse nelle spalle, deglutendo contro il groppo che aveva in gola. « ..siamo in scacco..almeno per ora. » Come se non lo fossimo sempre stati sin dall'inizio. « Non ci resta che aspettare la sua prossima mossa e pregare affinché nessuna vita venga distrutta. » Facile a dirsi..

     
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