Ghost of Christmas Past.

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    Aveva sempre trovato le lezioni di Babbanologia piuttosto interessanti. Era affascinante la quantità di oggetti che i non maghi avevano inventato nel corso della storia con il solo scopo di arrecare danno al prossimo. Non c’era nulla da dire: la Comunità Magica aveva solo da imparare. «Le mie congratulazioni, signorina Mortimer. Un’altra “E”.» Il compito della settimana era stato approfondire un determinato personaggio storico babbano a cui la comunità non magica attribuiva dei poteri, pur egli non possedendoli. C’erano un’infinità di personaggi da poter scegliere, descritti nelle pagine di un’enciclopedia trovata in biblioteca, ma una in particolare era stata in grado di catturare l’attenzione di Wednesday Mortimer. Nel XVII secolo in Italia, più precisamente a Palermo, viveva una cortigiana e fattucchiera di nome Giulia Tofana, che faceva bollire in una pentola sigillata dell’acqua con una miscela ottenendo un liquido trasparente, inodore e insapore. Questo liquido veniva poi aggiunto al vino o alla minestra. In breve tempo provocava vomito e in seguito febbre; la morte sopraggiungeva entro massimo venti giorni, a seconda della dose somministrata. Un veleno perfetto, che infatti era molto apprezzato dalle donne dell’epoca, che non potendo divorziare dai mariti, li avvelenavano lentamente perché, se somministrata alle dosi consigliate, l’acqua tofana avvelenava le persone poco per volta, facendo sembrare la morte naturale e allontanando i sospetti di un omicidio. Giulia Tofana divenne ricca e potente grazie a questo intruglio velenoso, ma fu poi scoperta e giustiziata. Pare che a farla scoprire fu una donna che, impaziente di eliminare il marito, usò tutta la pozione in una sola volta, rendendo evidente la morte per avvelenamento del marito. Alla figura della donna si collegarono circa seicento omicidi. Giulia era considerata la Strega delle donne e da esse era vista con profondo rispetto, ma anche timore. A quanto si diceva, gli ingredienti per la sua magica pozione le erano stati dettati da Lucifero in persona. Con gli anni fu comunque appurato che la donna non possedesse alcun tipo di potere magico, ma, semplicemente era particolarmente predisposta alla creazione di potenti veleni. Sembrava il personaggio perfetto per la ricerca che le era stata attribuita ed infatti così fu. Quando la lezione finì Weed radunò i suoi libri e li strinse tra le braccia. Stava per uscire dall’aula quando qualcuno la chiamò. «Signorina Mortimer?» La voce delle professoressa attirò la sua attenzione, costringendola a voltarsi verso la donna seduta dietro la cattedra. «Ha un momento? Vorrei parlarle.» La ragazzina fece dietro-front, avvicinandosi alla donna. Quando anche l’ultimo studente fu uscito la donna si rivolse a lei. «Volevo farle ancora i complimenti per la ricerca. Davvero impeccabile.» Weed annuì, senza ringraziare. Era perfettamente consapevole di aver fatto un ottimo lavoro. «Volevo inoltre raccontarle una piccola curiosità su la signora Tofana.» Fece una piccola pausa, constatando di avere a pieno l’attenzione della studentessa. «Come ha giustamente scritto lei, Giulia non era una strega, ma una donna particolarmente dotata nel mescolare ingredienti e trasformarli in qualcosa di estremamente potente. Eppure c’è della magia nella sua discendenza.» La piccola Mortimer spalancò gli occhioni e la professoressa sorrise. «La figlia della Tofana, una certa Margherita, dopo l’esecuzione della madre di trasferì in Inghilterra, nell’attuale Liverpool e lì sposò un uomo inglese. La pro-pro-nipote di Margherita sposò Julian Brown, un mago e da questa unione nacque Eleonor Brown, una strega. E’ morta intorno agli inizi del 1900. E’ sepolta al cimitero di Hogsmeade. Pensavo ti facesse piacere saperlo.» La Mortimer annuì. «La ringrazio professoressa. Le auguro un terribile week-end.» E senza notare l’espressione sbigottita della donna, Wednesday uscì dall’aula con un enorme sorriso ed un’idea che le vorticava in testa. Quel pomeriggio il clima era piuttosto rigido. Aveva smesso di nevicare da qualche ora quando Weed uscì dal Castello, dirigendosi verso il villaggio. Sulle spalle portava uno zainetto. Il vento le si infrangeva sulla pelle, arrossandole le guance e donandole un aspetto cadaverico. Erano le cinque del pomeriggio e il buio era calato da circa mezz'ora. Il villaggio brulicava di persone che parlavano a voce alta.
    Chi parlava dell’imminente cenone di Natale, chi si lamentava per essersi ridotto alla fine per i regali, chi si lasciava incantare dalle vetrine allestite splendidamente dai commercianti. Avrebbe evitato volentieri tutta quella gente, ma purtroppo, la via più veloce per arrivare al cimitero era quella. «Vuole comprare dei biscotti degli scout, signorina?» Weed si voltò, ritrovandosi davanti una ragazzina. Avrà avuto circa dieci anni ed indossava la classica divisa e il berretto da scout. La Mortimer la osservò lentamente dall’alto verso il basso e viceversa. Lanciò un’occhiata ai biscotti che la bimba teneva su un bel vassoio, poi guardò di nuovo la giovane scout. «Scusa piccola, ma dubito che siano a base di veri scout.» La bambina spalancò gli occhi e dischiuse le labbra, in un’espressione a metà tra il sorpreso e lo spaventato. Weed le rivolse un sorriso spensierato e tirò a dritto. Più si avvicinava al cimitero, più le musiche natalizie dei negozi si affievolivano e la gente si diradava. Arrivata davanti al cancello in ferro battuto regnava solo il silenzio più totale. Posò una mano sull’inferrata arrugginita ed entrò facendo scricchiolare i cardini. Sfilò la bacchetta dalla tasca e con un abile colpo del polso evocò un Lumus che dischiarò l’ambiente intorno a lei. Il cimitero era pressappoco deserto salvo per una donna, qualche lapide lontana da lei, che stava posando un mazzo di tulipani colorati su di una tomba. Anch’ella stringeva in mano la bacchetta la quale punta era illuminata. Wednesday si accorse che la stava fissando solo quando la donna alzò lo sguardo incrociandolo con quello della piccola Mortimer. Era giovane e bella. Per quanto Weed ne sapeva poteva essere la Morte in persona venuta a rendere omaggio a qualcuno a lei caro. La Corvonero distolse lo sguardo e ricominciò a camminare, facendosi luce di fronte a sé. Si sentiva tranquilla, in pace. Era una sensazione piacevole. A causa del lavoro dei suoi, Wednesday aveva sempre avuto a che fare con la Morte. Aveva imparato a rispettarla e ad onorarla, ma non a temerla. La vedeva come una compagna di viaggio. La Morte non è cattiva, è l’uomo a volerla dipingere così. Se si è fortunati, la Morte è solo un’amica da seguire quando il nostro corpo è ormai solo una trappola per la nostra anima libera. Eleonor Brown si trovava nell’ala più antica del cimitero. La sua lapide era in pietra grezza e riportava il nome della donna, data di nascita e data di morte. Nessuna frase commemorativa. Giaceva accanto alla lapide di un certo Martin McLaggen, probabilmente il marito della donna. Lui era deceduto nel marzo del 1913, lei appena un anno dopo. Weed mormorò qualcosa, il polso che stringeva la bacchetta fece una rotazione e sulla tomba della donna si materializzò una ghirlanda di fiori bianchi. « Vita mortuorum in memoria est posita vivorum.» Le parole uscirono dalle sue labbra come un mormorio. La Corvonero conosceva perfettamente il latino ormai da qualche anno. Nella biblioteca dei Mortimer vi erano decine di libri scritti esclusivamente in lingua antica e a suo parere non vi era lingua più onorevole del latino per onorare la Morte. Posò lo zaino a terra e l’aprì allentando i lacci della chiusura. Sempre facendosi luce con la bacchetta riuscì a trovare una piccola boccetta di vetro dentro la quale vi era un liquido trasparente. Ricreare l’Acqua Tofana era stato più facile di quanto immaginasse. Era una ricetta poco complessa, nonostante sospettasse che per il 1600 fosse un qualcosa di incredibilmente innovativo. Posò la boccetta ai piedi della lapide, accanto alla ghirlanda. Le sembrava carino omaggiare la discendente di Giulia con una boccetta del liquido che la sua antenata aveva creato. Si inginocchiò togliendo dallo zaino una candela profumata. L’accese, ponendola di fronte a lei. Fu solo allora che sentì dei passi. Si voltò di scatto, alzandosi in piedi e puntando la bacchetta di fronte a sé. I suoi occhi spalancati colsero il guizzare di una figura nell’ombra. Strinse la mano attorno alla bacchetta, restando in silenzio e serrando la mascella. Fu solo quando l’ombra si avvicinò che la bacchetta illuminò i lineamenti di qualcuno che conosceva. «Albus?» Il giovane Potter entrò nel raggio di luce e Weed sbatté un paio di volte gli occhi, come per rassicurarsi di veder bene. Tutti conoscevano Albus Potter e la sua famiglia. Non sentirne parlare fin dalla nascita era pressappoco impossibile. Erano così belli, tutti quanti, che parevano appena usciti dalla copertina di un quotidiano, o da una pubblicità dei cornetti per la colazione. Weed l’aveva conosciuto quando ancora frequentava Hogwarts. Lui frequentava il settimo anno, lei il quarto. Aveva sempre pensato che fosse davvero carino. Peccato che lei era solo una “ragazzina” ai suoi occhi, mentre Mun Carrow era la donna che tutti desideravano. Mun e la sua stupida aurea da ragazza tormentata che smuoveva l’animo da crocerossino dei ragazzi. La coppia del secolo, i Brangelina del Mondo Magico. Una figlia, una famiglia felice e per sempre felici e contenti. Una noia totale. E tutto per colpa della Carrow. «Cosa ci fai qui?» Si trovò a sorridere leggermente, i lati delle labbra si erano appena inarcate verso l’alto, il che era qualcosa di straordinariamente raro. Si soffermò a guardare il volto del ragazzo, osservando i giochi di luce che le fiammelle delle candele posate sulle lapidi vicine creavano sul viso di lui, in un gioco di chiaro-scuro degno di qualche pittore Rinascimentale. «La luci cimiteriali ti donano molto, sai?» Wednesday Mortimer e la sua sfacciata sincerità. «Sei qui per portare gli auguri natalizi a qualcuno?»



    Edited by wilted flower. - 10/2/2020, 23:32
     
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    Si prospettava un bel Natale di merda in quel di casa Potter. Tra le tensioni ancora irrisolte con Mun, i servizi sociali alle calcagna per motivi a lui ancora ignoti e, come ciliegina sulla torta, la sessione invernale incombente, ad Albus si potevano tranquillamente vedere i nervi a fior di pelle. Chiaramente, però, l'unica vera emergenza da fronteggiare era quella riguardante i bambini. Non sapeva come potesse essere successo quel disastro di Halloween - nessuno lo sapeva. Ginny ed Harry giuravano sulla propria stessa vita di averli lasciati in mano ad Albus e Mun, così come loro di rimando sapevano benissimo di non essersi presentati a casa dei genitori prima di tarda serata. Quel buco di almeno due ore durante il quale nessuno di loro sapeva dove Jay e Lily fossero stati li aveva mandati nella più completa paranoia, specialmente dato che Jay si incaponiva a sostenere che loro quattro fossero andati a fare dolcetto o scherzetto in giro per Londra fin quando lui non si era trovato completamente da solo con Lily. Inutile dire che la cosa non gli aveva fatto fare una bella figura con gli assistenti sociali, i quali piombavano di tanto in tanto in casa loro a sorpresa, osservandone ogni movimento con occhio clinico e scandagliando per poi buttare giù qualche appunto su un block notes con espressione contrita. Più di una volta Albus aveva cercato di sbirciare tra quelle righe, o addirittura chiedere come stesse procedendo la situazione; inutile dirlo: non aveva ricevuto risposte al di là di frasi vaghe e temporeggiamenti. Si sentiva perso e, peggio ancora, inadatto. Cerchiamo di figurarci una situazione normale; del genere che ti svegli una mattina, fai quel che devi fare, ti infili un cappello - diciamo di colore verde - ed esci di casa. Tutto a posto, no? Ecco, ora mettiamo il caso che nella strada incontri qualcuno che conosci, e che quel qualcuno ti dica "Wow, che bel cappello. Il rosso ti sta bene." - tu sicuramente gli diresti che il cappello è verde. Poi incontri un'altra persona, e quella persona ti dice le stessa cosa della prima. Poi una terza, una quarta, una quinta e così via..tutti che ti dicono che indossi un cappello rosso. Ecco, anche se te sei certo di indossarne uno verde, cominceresti comunque a pensare che il tuo dannatissimo cappello sia rosso. Quindi ti guardi allo specchio, te lo rigiri tra le mani, cerchi di guardarlo sotto luci diverse..ma il cappello è sempre verde, solo che tu sei l'unico a vederlo. Forse - ti dici - forse hanno ragione gli altri..forse è davvero rosso e sono io ad avere un problema. Non lo penseresti? Ecco, per Albus quel maledetto cappello verde erano le due ore che era certo di non aver passato a fare dolcetto o scherzetto con i suoi figli.
    "Ci sono stati momenti in cui ti sei sentito un cattivo genitore? Momenti in cui credi di non aver fatto abbastanza?" La domanda fluttuò nel vuoto, seguita dal solo rumore dell'orologio a pendolo all'angolo dello studio. Albus non aveva mai smesso di andare dallo psicologo; lo aveva fatto per gran parte della sua vita, da che ne aveva memoria. Prima dal consulente ad Hogwarts, poi al riformatorio, poi di nuovo ad Hogwarts e adesso dal professionista al quale gli assistenti sociali avevano affidato la sua valutazione e quella di Mun. Si poteva dire che avesse esperienza: ne aveva girati talmente tanti da averci fatto il callo..ma questo era diverso. Questa volta il centro del discorso non era lui - non del tutto almeno - ma il rapporto con Jay e Lily, l'ambiente in cui li stavano crescendo, il ruolo genitoriale che ricoprivano e così via. Se negli anni passati aveva vissute quelle esperienze come un inutile gioco a lanciare sassolini in uno stagno, ora si sentiva sotto esame. E, a onor del vero, non si sbagliava nemmeno. Quegli incontri non erano incentrati sul suo benessere psicofisico, non erano un qualcosa che lui poteva semplicemente scrollarsi di dosso o gestire con la sua solita strafottenza; da essi dipendeva la custodia dei suoi stessi figli - e quello non era affatto un gioco. "No." disse infine, in tutta sincerità, con lo sguardo puntato sull'orologio a pendolo. "Non dico di essere il genitore perfetto, ne' tanto meno la persona perfetta. Ma pur sbagliando, credo di aver fatto tutto ciò che potevo.." d'improvviso, come se un ricordo fosse tornato a galla senza preavviso, si rabbuiò. Spostò lo sguardo negli occhi dello psicologo, ritrovandosi a precisare quasi involontariamente "..per Jay e Lily." L'uomo sorrise, guardandolo da sopra il bordo degli occhiali con aria sarcastica. "Beh, di loro stiamo parlando..a meno che tu non abbia altri figli di cui non sono a conoscenza." Fu piuttosto veloce la sua reazione nello scuotere il capo con veemenza a quelle parole. "No, no..certo che no. Ciò che intendevo è.." Cosa intendevi, Albus? Non sei mai stato suo padre. Abbassò lo sguardo, come schiacciato da un senso di vergogna e colpevolezza. Le lunghe dita pallide torturavano incessantemente il bordo della camicia che indossava, stropicciando leggermente la stoffa. "Quando eravamo nel lockdown..io mi occupavo dei ragazzini. Non so perché di preciso, forse perché in qualche maniera pensavo che tenendo loro al sicuro, stessi facendo lo stesso anche per Jay. Non lo so..so che sembra insensato, però era una sorta di ossessione. Dovevo tenerli al sicuro. E dovevo essere io a farlo." Deglutì, mentre lo sguardo ancora basso cominciava ad offuscarsi, rendendo indefinite le linee della sua visuale. "Ce l'ho messa tutta." mormorò, dopo un lungo silenzio. Alcune gocce salmastre caddero sul lembo di stoffa della camicia, sulle sue dita sempre più bianche e tremule. Tirò su col naso, spostando velocemente lo sguardo fuori dalla finestra, ad osservare il cielo nuvoloso che tingeva di grigio il pomeriggio scozzese. "Quando Miles è morto io non c'ero. Mi stavo facendo i cazzi miei." rimase in silenzio, senza fiato per qualche istante. Le iridi ormai tramutatesi dello stesso colore plumbeo del cielo erano fisse sul passerotto che si era poggiato sul davanzale della finestra. "L'ho scavata io la fossa." un'altra pausa "E l'ho dissotterrato io quando Hogwarts è stata riaperta." Non dimenticherò mai quell'odore. Ancora, di tanto in tanto, me lo sento addosso, attaccato ai vestiti.
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    Uscito dallo studio dello psicologo, Albus si sentiva più spompato di prima: se da una parte parlare di Miles lo aveva in un certo senso liberato da quel macigno che si era portato dietro per ormai due anni, dall'altro era stato come riaprire una ferita. Ferita, quella, che non era mai guarita, ma che il giovane Potter aveva soltanto ignorato, convinto che in questa maniera sarebbe stato il tempo a curarla. Non c'era da stupirsi, dunque, nello scoprire quanto fosse ancor più infetta e putrescente del giorno in cui gli era stata inflitta. Bianco in viso e con l'espressione ancora scombussolata, si era trascinato per le stradine del villaggio come un fantasma, ritrovandosi a comprare un mazzo di margherite e non ti scordar di me dal fioraio del paese per poi dirigersi verso il cimitero quando ormai il sole era giù calato sulle lapidi. Era difficile orientarsi tra quel dedalo mortuario nel buio, guidato dalle sole luci spettrali delle candele che illuminavano alcune tombe sparute, e di certo il suo stato mentale non lo aiutava nella concentrazione. Bastarono un paio di minuti, infatti, per far sì che il giovane Potter cominciasse a sentirsi perso, come Dante nella selva oscura. "Albus?" Si voltò di scatto verso il punto da cui quella vocina proveniva, come riportato bruscamente alla realtà dopo un lungo sonno. Di fronte a sé c'era una ragazzina dai capelli quasi bianchi, che Albus riconobbe velocemente come Wednesday Mortimer. Non che si conoscessero davvero - ci aveva scambiato sì e no due parole in tutta la sua vita - ma un po' per la fama di famiglia e un po' per l'incrociarsi spesso nel castello aveva imparato ad associare la faccia al nome. Vederla nel cimitero, poi, non lo sorprese più di tanto. "Cosa ci fai qui?" Per un istante si sentì stupido, a starsene lì impalato tra le lapidi con un mazzo di fiori e l'aria di chi non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. "Ehi.." rispose, a scoppio un po' ritardato, ritrovandosi ad alzare appena il mazzo che teneva in mano "..ero venuto a trovare un vecchio amico, ma penso di aver perso un po' l'orientamento." Parole, quelle, che pronunciò in maniera distratta, guardandosi intorno come se stesse cercando qualcuno o qualcosa. Scosse poi il capo tra sé e sé, scrollando appena le spalle con un'espressione leggermente aggrottata in volto. "Giornata pesante. Ho la testa un po' tra le nuvole..sarei in grado di perdermi pure dentro casa mia." Sollevò le spalle, accennando un piccolo sorriso in direzione della ragazza. "La luci cimiteriali ti donano molto, sai?" Rimase leggermente interdetto da quelle parole, che non sapeva se interpretare come un complimento o un'elaborata presa per il culo di cui non conosceva i retroscena. "Ehm..grazie?!" proferì, col tono incurvato in maniera tale da far suonare. quel ringraziamento più come una domanda. "Anche a te.." disse poi, sollevando appena la mano che stringeva il mazzolino come a indicarla "Coi capelli fanno un effetto molto..figo." E pensare che un tempo mi ritenevo pure bravo a fare complimenti alle ragazze. Si vede proprio che sto fuori allenamento. "Sei qui per portare gli auguri natalizi a qualcuno?" Lo sguardo del ragazzo andò a ricadere sui fiori che teneva in mano. Se li rigirò sotto gli occhi, quasi li stesse guardando per la prima volta, tutto assorto nei suoi pensieri. "In un certo senso.." disse piano, colto all'improvviso dalla consapevolezza che quello, per la famiglia di Miles, doveva essere il terzo Natale senza il figlio e il secondo a lutto. Forse la cosa migliore sarebbe stata andare a trovare i suoi genitori, fare ammenda; ma d'altro canto era già stato difficile sostenerne lo sguardo quelle poche volte che aveva dovuto farlo. Andare da loro adesso, con la consapevolezza di poter tornare a casa dai suoi di figli, mentre loro non potevano vantare lo stesso lusso, lo avrebbe solo spezzato ulteriormente. Si ritrovò ad aggrottare la fronte, continuando a fissare quel mazzolino. "E' un po' stupido, vero?" le chiese, all'improvviso, pur ponendo quella domanda più a se stesso che a lei. "Venire a portare gli auguri di Natale ai morti, dico." Sbuffò dal naso un soffio d'aria, come una muta risata a una battuta nella sua testa. Scosse il capo, riportando lo sguardo grigio alla Mortimer. "Che ne sanno loro che è Natale?! E anche se lo sapessero..dubito che da lì sotto gli cambierebbe davvero qualcosa. A noi, però..a noi cambia." Sospirò, lasciando che una nuvoletta di condensa uscisse dalle sue labbra. "Portargli gli auguri,come se se ne facessero realmente qualcosa..ci aiuta a trattenerli qui. Con noi. O quantomeno ci illude di poterlo fare." Sospirò di nuovo, ritrovandosi a fare un paio di passi avanti e lasciarsi cadere a sedere sull'erba, di fronte alla stessa lapide a cui Weed stava portando i suoi omaggi. Nel silenzio, affondò una mano in tasca, estraendo il pacchetto di sigarette e accendendosene una in bilico tra le labbra. Per qualche istante non parlò, incerto sul perché si stesse trattenendo lì con una semisconosciuta. Poi, però, indicò la lapide con un cenno del mento. "Lei chi è?"

     
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    "Ehi... Ero venuto a trovare un vecchio amico, ma penso di aver perso un po' l'orientamento. Giornata pesante. Ho la testa un po' tra le nuvole..sarei in grado di perdermi pure dentro casa mia." Weed si ritrovò ad annuire con aria incredibilmente seria, guardando il ragazzo dai capelli corvini. Aveva un’espressione strana, la faccia di uno che non se la sta passando proprio alla grande. Per un attimo ebbe l’istinto di chiedergli il perché. Di natura incredibilmente curiosa, Wednesday aveva sviluppato un acutissimo senso dell’osservazione. I suoi occhi scrutavano con curiosità ogni piega che si era creata sul volto del giovane Potter, quasi come se un pittore dispettoso avesse voluto aggiungere un tocco di sofferenza in quel viso già di suo tormentato: le sopracciglia che si erano avvicinate creando una piccola ruga in mezzo alla fronte, gli occhi leggermente cerchiati, la linea della mascella indurita. Aveva scrollato le spalle, sforzandosi di sorridere, più per cortesia che per il fatto che fosse contento di vederla. «E’ facile perdersi qua dentro. Per chi non se ne intende queste lapidi appaiono tutte uguali.» Era qualcosa di ordinario, per le persone comuni. Tutta quella pietra, i nomi che si succedono alle date in modo ordinato, i fiori colorati a volte posti in un vaso ed altre abbandonati sul sasso lucido lasciati lì quasi nella speranza che il defunto potesse raccoglierli per portarli con sé nel suo viaggio. Era come un esorcismo, il voler allontanare dal proprio corpo la paura dell’ignoto credendo fortemente in qualcosa che va oltre ciò che gli occhi possono vedere. Ma la figlia di mezzo dei Mortimer era sensibile. Lei percepiva, accogliendo ciò che tanti tendevano ad allontanare. Era sempre stato così, da quando aveva memoria e mai ne aveva avuto paura. Per lei era un dono, un regalo che custodiva con incredibile gelosia, lontano dagli altri, egoisticamente, per sé soltanto. Quella pietra le parlava. Le sussurrava storie che lei amava ascoltare, le bisbigliava segreti, come un amante devoto. "Ehm..grazie?! Anche a te.. Coi capelli fanno un effetto molto..figo." Era un complimento quello che Albus le aveva appena rivolto? Le piacque credere di si, anche se aveva sempre sentito sostenere che Potter ci sapesse proprio fare con certe cose, ma al momento sembrava aver perso lo smalto da dongiovanni che l’aveva sempre contraddistinto. Sollevò gli angoli della bocca verso l’alto, in quello che sembrava essere un sorriso. Una mano si sollevò, afferrando la ciocca di capelli più vicina al viso e percorrendola con la punta delle dita per tutta la lunghezza. I suoi occhi seguirono quel movimento, quasi con emozione. «Mia madre dice che sono così a causa di una maledizione che mi hanno scagliato quando ero piccola.» E a lei piaceva crederlo. Il pensiero di essere vittima di una maledizione le era sempre parso qualcosa di decadentemente romantico. «Sospetto che sia semplicemente genetica, ma è divertente pensarlo.» Cosa ci fosse di tanto divertente nell’essere vittima di un maleficio, solo Wednesday Mortimer poteva saperlo. Il suo sguardo fu di nuovo catturato dai movimenti dell’ex Serpeverde, che si stava rigirando tra le mani il mazzo di fiori che teneva in mano. Margherite. "In un certo senso.." Nel linguaggio dei fiori la margherita assumeva diversi significati tutti volti alla positività e collegati al concetto di ‘verità’. Simboleggiava la semplicità, l'innocenza, la bontà, purezza e fedeltà. In epoca Medioevale assunse anche un altro significato, quello della riflessione. Porgere un mazzo di margherite a qualcuno significava che si era nel mezzo di una considerazione importante e che perciò il nostro animo poteva essere in tumulto. Si chiese se anche Albus conoscesse il significato dei fiori o forse, semplicemente, la sua mano fosse stata guidata dal suo cuore verso quel mazzetto di margherite. Chi era la persona buona capace di mettere in confusione l’animo del giovane Potter? Un parente? Un amico? Il suo volto parlava più di quanto facessero le sue parole e Weed, incuriosita, sarebbe rimasta ad ammirarlo, in silenzio, come si fa con un quadro dal quale, osservandolo con attenzione, si possono ricavare sempre più dettagli e particolari. Pareva sul punto di esplodere in qualcosa di profondo, in qualcosa che scalpitava dentro di lui e che faceva fatica a tenere intrappolato dentro. Quel dolore graffiava sulla sua anima, lasciando profondi graffi. Wednesday li vedeva. Avrebbe voluto allungare una mano per poterglieli curare. "E' un po' stupido, vero? Venire a portare gli auguri di Natale ai morti, dico. Che ne sanno loro che è Natale?! E anche se lo sapessero..dubito che da lì sotto gli cambierebbe davvero qualcosa. A noi, però..a noi cambia." Ci fu un attimo di silenzio durante il quale Albus sembrò afferrare tutti quanti i suoi pensieri e metterli in ordine. "Portargli gli auguri,come se se ne facessero realmente qualcosa..ci aiuta a trattenerli qui. Con noi. O quantomeno ci illude di poterlo fare." Era disilluso, arrabbiato e con un disperato bisogno di parlare con qualcuno che non fosse sottoterra. Per Wednesday non era facile capire quella sofferenza. Nella sua famiglia, la Morte era vista come una cosa incredibilmente naturale, priva di malizia, una compagna gentile che ti prendeva per mano quanto la Terra diveniva un posto troppo limitato per la propria anima. Fin da bambina era stata quasi ogni giorno a stretto contatto con gente che doveva dire addio ad un proprio caro. La sua famiglia le aveva insegnato a fare del suo meglio per portare rispetto a quel corpo che, per un periodo limitato di tempo, aveva ospitato gentilmente un’anima. Sapeva che dal momento in cui si apre per la prima volta gli occhi al mondo, l’unica certezza che abbiamo è quella di morire. E’ elementare, come il sole che sorge al mattino e tramonta la sera. Era abituata a pensare che la morte fosse solo un altro passo, e che nessuno se ne andasse veramente per sempre. Albus, invece, le aveva spianato davanti il suo punto di vista, severo, ma non criticabile. Doveva avere le sue buone ragioni se la pensava così. "Lei chi è?" Si era seduto a terra, accendendosi una sigaretta, fissando la lapide di Eleonor e cambiando discorso. Weed si ritrovò a pensare cosa lo stesse trattenendo lì.
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    Era strano. Eppure Albus Severus Potter, con il quale, prima di allora, si saranno scambiati si e no due parole, pareva aver bisogno di qualcuno con cui parlare, anche al costo che questo “qualcuno” fosse una semi-sconosciuta. Non poteva dargli tutti i torti. A volte è più facile confidarsi con uno sconosciuto piuttosto che con un amico. A tutti spaventa più il giudizio negativo di una persona che conosciamo, di un amico magari, piuttosto che di qualcuno di cui non sappiamo nulla, o a volte solo il nome. E Weed, in quel momento, era probabilmente ciò di cui aveva bisogno Albus: quel qualcuno con cui fare due chiacchiere, senza il peso di essere giudicato. La giovane Mortimer posò lo sguardo sulla lapide che l’ex Serpeverde aveva indicato con un cenno. «Eleonor Brown. E’ la pro-pro-pro-nipote di Giulia Tofana, una donna sulla quale ho fatto una ricerca.» Spostò lo sguardo verso Albus, per poi accomodarsi vicino a lui, ma non troppo, sedendosi sui propri talloni. Se ne stava dritta sulla schiena, quasi come se stesse portando rispetto all’adulta sepolta davanti a lei. «Giulia non era una strega, ma i Babbani credevano di si. Quella» indicò la boccetta che aveva posato dinnanzi alla lapide «contiene il veleno che acquistavano molte donne dell’epoca desiderose di liberarsi da un matrimonio infelice.» Il suo tono parve per un attimo sembrare vagamente allegro. La verità era che Weed considerava quella donna una pioniera, un’anima coraggiosa che, incurante delle conseguenze, si era schierata dalla parte dei deboli, desiderosa di aiutarli ad ogni condizione. «Il padre di Eleonor era un mago e anche lei proseguì con la linea magica di sangue.» Calò il silenzio mentre Wednesday fissava, con un velo di tristezza, la lapide spoglia della donna. Che la gente non fosse a conoscenza di tutta quella storia? Se ne erano dimenticati o pensavano che non fosse importante? Oppure la temevano? Per un attimo si chiese se, ancora una volta, le persone non riuscissero a vedere ciò che vedeva lei. Forse anche Albus stava pensando che era strana. Non poteva dargli tutti i torti. «Comunque no.» Interruppe il silenzio, con due parole, voltandosi verso il giovane Potter, seria in volta, cercando di scorgere nei suoi occhi qualsiasi tipo di emozione. Trascorsero alcuni secondi di silenzio, poi riprese a parlare. «Non trovo stupido portare gli auguri di Natale ai morti.» Tornò a guardare davanti a sé, fissando le rose bianche che impreziosivano la ghirlanda sulla tomba di Eleonor. «Almeno per me, intendo. Gli spiriti vagano sulla Terra solo nel caso abbiano qualcosa in sospeso con la vita. Spesso sussurrano all’orecchio delle persone, ma queste hanno troppa paura di cosa potrebbero dire per rimanere ad ascoltare.» Weed invece stava costantemente con le orecchie tese. Quando utilizzava la sua tavola per una seduta spiritica non era mai preoccupata. Era curiosa, emozionata, a volte non stava nella pelle, ma non provava paura. Era stato il fantasma di Casa Mortimer, quello di sua nonna materna, ad insegnarle ad ascoltare e a non temere. «Hai mai fatto una seduta spiritica?» La domanda scivolò tra le sue labbra con la stessa velocità di un pensiero. Rimase a fissare gli occhi di Albus, cercando di capire cosa pensasse ancor prima di parlare. «E’ simile ad andare da una veggente. A qualcuno serve per mettersi l’anima in pace. C’è chi chiede perdono, chi invece cerca delle risposte. Ma gli spiriti sanno essere molto enigmatici. Non sempre è facile interpretarli.» Eh, ci siamo. A questo punto Albus penserà che sei completamente pazza. Calò ancora il silenzio. Nell’aria c’era l’odore di erba appena tagliata e di sigaretta. La Mortimer abbassò lo sguardo, incrociando ancora una volta il mazzo di margherite. «Se hai bisogno posso aiutarti a trovare chi cerchi.» Diede una leggera scrollata di spalle, dicendo quella frase quasi con superficialità, ma era solo un’apparenza. «So orientarmi molto bene qua dentro. Abbiamo sepolto tanta gente qui.» Era particolarmente a suo agio quando parlava del lavoro della sua famiglia. Di solito quando ne discuteva, scorgeva sempre qualcuno fare qualche gesto scaramantico. All’inizio era snervante, poi aveva cominciato a non farci caso. «Posso chiederti per chi sono questi fiori o risulterei troppo invadente?»
     
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    « Eleonor Brown. E’ la pro-pro-pro-nipote di Giulia Tofana, una donna sulla quale ho fatto una ricerca. Giulia non era una strega, ma i Babbani credevano di si. Quella contiene il veleno che acquistavano molte donne dell’epoca desiderose di liberarsi da un matrimonio infelice. » Nonostante lo stato mentale decisamente poco felice, il ragazzo si ritrovò a sorridere, scuotendo appena il capo. « Non lo dire a Mun, allora. » Non che pensasse davvero che la sua ragazza volesse avvelenarlo per liberarsi di un peso, ma di certo il loro rapporto negli ultimi tempi era stato tutto tranne che idilliaco, vedendo la mora rinfacciargli più di un malcontento riguardo la loro relazione. « Il padre di Eleonor era un mago e anche lei proseguì con la linea magica di sangue. » Annuì, riportandosi la sigaretta alle labbra per prendere un lungo tiro mentre osservava la lapide con rinnovato interesse. Sebbene lui e Weed avessero punti di vista completamente diversi, non trovava strana la sua fascinazione per la morte - affatto! Non solo era comprensibile, data la storia della sua famiglia, ma non era nemmeno biasimabile. Albus, dal canto suo, non si era mai sentito attratto dall'oltretomba nella stessa maniera di lei: non si trattava di una filosofia di vita, di un impiego o di un rapporto coi defunti che sfidava la normalità. Per lui era un legame di tipo più letterario: un punto di congiunzione con i propri idoli, se non addirittura con la storia dell'intero genere umano. I morti, nella sua concezione, non erano cadaveri o anime, ma ombre, narrazioni ricordate che riemergevano in disordinata schiera nella mente dei viventi, a volte persino perseguitandoli. Omero, Dante Alighieri, William Blake, James Joyce: tre nomi di tanti immensi autori passati alla storia. Tutti e tre legati a doppio filo con quell'altrove immaginato e intangibile che permea la vita stessa come un memento mori, o anche solo come lo specchio oscuro di noi stessi, delle nostre paure, dei nostri sogni e del nostro subconscio. Nulla è più affascinante di ciò che è incomprensibile. « Comunque no. Non trovo stupido portare gli auguri di Natale ai morti. Almeno per me, intendo. Gli spiriti vagano sulla Terra solo nel caso abbiano qualcosa in sospeso con la vita. Spesso sussurrano all’orecchio delle persone, ma queste hanno troppa paura di cosa potrebbero dire per rimanere ad ascoltare. » Rimase in
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    silenzio per qualche istante, prendendosi tutto il tempo di un altro calmo tiro di sigaretta prima di voltarsi verso la ragazza dai capelli di platino. « Oppure siamo noi ad avere qualcosa in sospeso con la morte, a chiamarla, a trattenerla qui. » Forse il nostro stesso pensiero, la nostra memoria, la voce che sentiamo continuamente nelle nostre teste come un infinito monologo - forse essa stessa è un fantasma. « Ineluttabile modalità del visibile...chiudi gli occhi e vedrai. » citò, a spezzoni, conscio di quanto alle orecchie di Weed quelle parole potessero giungere come strane e sconnesse. D'altronde il filo logico si trovava solo nella sua testa, senza contare l'incertezza sul fatto che la ragazza potesse cogliere la citazione. L'omaggio - si corresse mentalmente. Come la Dublino dell'Ulisse di Joyce, così anche Hogsmeade, in seguito al lockdown, era diventata una città che sembrava poggiare su un gigantesco cimitero. Una città di morti, in cui i vivi conducono esistenze parallele a quelle dei defunti. Essi ne sono reminiscenza vivente, cosicché l'impressione di un passato mai davvero scomparso permea costantemente la quotidianità. Si voltò nuovamente a guardare la ragazza da sotto le ciglia, decidendo che forse era il caso di spiegarsi. « Joyce ci era fissato..con la morte, dico. Coi fantasmi. Ogni sua opera ha sempre una dimensione spettrale.. » ..potrebbe piacerti.. « ..è affascinante. » Quello era il mondo di Albus, ciò che gli faceva brillare gli occhi a prescindere da quanto terribile potesse essere la situazione. Si rintanava nel suo mondo di inchiostro e cellulosa, di belle parole e genio artistico. Nei libri, e a maggior ragione nei suoi autori preferiti, aveva sempre trovato un certo conforto - una finestra sul mondo, ma anche su se stesso. Quelle menti complesse e geniali lo avevano aiutato sin da piccolo a capire quanto vasto fosse il mondo dell'interiorità, quanto delicato e affascinante fosse ciò che avviene al di là di uno sguardo o di una parola. E' così bello, ciò che esiste solo quando chiudi gli occhi, che a un certo punto quello che vedi non ti basta più. Chiudi gli occhi e vedrai, per l'appunto. « Hai mai fatto una seduta spiritica? » La domanda lo colse impreparato, disegnando una pennellata di stupore nei tratti morbidi del suo viso. « Penso che me ne ricorderei, quindi..no. » D'altronde non era proprio una di quelle cose che potesse passarti di mente, come se ti chiedessero "hey, ci sei mai stato a quel pub lì in Camden Town?". « E’ simile ad andare da una veggente. A qualcuno serve per mettersi l’anima in pace. C’è chi chiede perdono, chi invece cerca delle risposte. Ma gli spiriti sanno essere molto enigmatici. Non sempre è facile interpretarli. » Aggrottò la fronte, portandosi la sigaretta ormai quasi finita alle labbra, l'aria pensierosa piuttosto evidente nelle sue iridi grigiastre. Sei una persona decisamente singolare, Mortimer, te l'hanno mai detto? Ma d'altronde non è che lui potesse parlare. Aveva incontrato la propria migliore amica mentre attendevano entrambi di entrare dallo psicologo e si era innamorato della sua ragazza pur conscio del fatto che avesse ammazzato chissà quante persone. Insomma: Albus Potter sembrava essere una calamita per personalità sopra le righe, forse perché in fin dei conti lui non era affatto da meno. « Se hai bisogno posso aiutarti a trovare chi cerchi. So orientarmi molto bene qua dentro. Abbiamo sepolto tanta gente qui. » Gli angoli delle sue labbra si incurvarono leggermente, tra l'ironico e l'amaro. « "Pretty girls make graves" degli Smiths potrebbe essere presa in maniera piuttosto letterale, nel tuo caso. » «Posso chiederti per chi sono questi fiori o risulterei troppo invadente? » Processò quelle parole con incredibile lentezza, prendendosi tutto il tempo di aspirare l'ultimo tiro di sigaretta mentre osservava la ragazza con fare guardingo. Sospirò, quasi sconfitto. Ma sì, fanculo. Ogni scrittore che si rispetti deve avere la propria descensus Averni. « Si chiamava Miles Keller. Aveva dodici anni quando è morto all'interno del lockdown. » Pausa « Lo seppellimmo a scuola..insieme a tutti gli altri. Poi quando è stato possibile rientrare ad Hogwarts lo abbiamo tirato fuori e..beh..a quel punto immagino sia passato nelle vostre mani. » Rimase in silenzio per qualche altro istante, tutto intento a fissare la lapide di quell'Eleonor appena scoperta. Era come se dovesse forzarsi ogni parola fuori dalla bocca, spingendola contro la propria volontà. Poi, quando si sentì nuovamente pronto, volse lo sguardo a Weed. « Non sono andato al funerale - per questo non so dove si trova la lapide. Immagino.. » si strinse nelle spalle, scrollandole appena « ..non lo so cosa immaginavo. Non posso nemmeno dire che fosse un modo per illudermi che fosse ancora vivo, dato che l'ho seppellito e riesumato. Forse mi sentivo solo responsabile..e quindi l'ho evitato. » O forse voleva aggrapparsi ancora all'idea che, così come tutti quei babbani riportati in vita dal nulla, anche Miles fosse tornato a casa propria. Forse, però, è solo l'ennesimo confronto da cui sono fuggito.

     
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    « Non lo dire a Mun, allora. » La ragazza guardò Albus di sbieco, cercando di nascondere l’espressione impensierita che si era creata sul suo volto. L’ex Serpeverde sorrideva, segno che quindi non stava dicendo sul serio. Non era brava a cogliere il sarcasmo, nonostante lei ne facesse continuamente. Forse avrebbe dovuto dire qualcosa, fare una battuta amara per restare nel mood del giovane seduto al suo fianco, ma non faceva per lei. « Oppure siamo noi ad avere qualcosa in sospeso con la morte, a chiamarla, a trattenerla qui. » Weed si strinse leggermente nelle spalle, alzandole ed abbassandole appena. «Punti di vista. Sei uno scettico ed io questo lo comprendo. Non posso convincerti a credere in qualcosa.» Wednesday era cresciuta in una famiglia particolarmente devota nei confronti dell'Antico, il dio della Morte che i Mortimer onoravano da sempre. Credeva sconsideratamente che non esistesse onore più grande di servirlo. Suo fratello era un medium e lei parlava agli spiriti attraverso le sedute spiritiche. Per Wednesday Mortimer, il mondo invisibile, quello al quale si poteva accedere solo dopo il trapasso, era una realtà concreta, ma certamente non poteva insistere su chi aveva ancora gli occhi coperti da un velo impalpabile. “E’ Maya, il velo ingannatore, che avvolge il volto dei mortali e fa loro vedere un mondo del quale non può dirsi né che esista, né che non esista; perché ella rassomiglia al sogno, rassomiglia al riflesso del sole sulla sabbia, che il pellegrino da lontano scambia per acqua; o anche rassomiglia alla corda gettata a terra, che agli prende per un serpente”. « Ineluttabile modalità del visibile...chiudi gli occhi e vedrai. Joyce ci era fissato.. con la morte, dico. Coi fantasmi. Ogni sua opera ha sempre una dimensione spettrale. E’ affascinante. » La ragazzina si voltò, lo sguardo fisso sul viso del giovane dai capelli corvini. Si stupì nel vedere che la sua espressione era cambiata. Pareva assolto nei pensieri, pensieri piacevoli che avevano fatto alzare un lato della sua bocca, creando una fossetta poco più su. Senza rendersene conto, Weed lo stava imitando. Era come se la passione e l’amore che Albus avesse inserito in quelle poche parole avessero avuto un effetto contagioso sulla ragazzina. Era contenta di averlo distratto, anche se per poco. Era palese quanto il suo animo fosse in tumulto, come un mare in tempesta, e che lui cercasse disperatamente un appiglio a cui aggrapparsi. Era in cerca di una redenzione e forse, recarsi in quel cimitero, era stata la sua ultima spiaggia. «Non mi reputo.. fissata con la morte..» nel dire quelle parole fece una leggera risatina. Si sentiva come un bambino che era stato beccato con le mani infilate nel barattolo della marmellata. Wednesday aveva sempre saputo quale fosse l’impressione che dava alle altre persone, e lo accettava. Ma d’altronde, quella volta si sentì quasi in dovere di giustificarsi. «Semplicemente accetto la sua esistenza. Fa parte della nostra realtà e dovrebbe essere omaggiata al pari della vita. Molti la ignorano, altri segretamente la desiderano ed altri ancora fingono che non esista. Ma tutti sanno che, un giorno, dovranno trovarsi faccia a faccia con Lei. E quando quel giorno arriverà è meglio essere pronti.» Diceva Epicuro: “E’ sciocco chi teme la morte perché la morte è nulla per noi, dal momento che, quando noi viviamo, la morte non c’è, quando invece c’è la morte, allora non ci siamo più noi. Dunque la morte non ci riguarda, né quando siamo vivi, né quando siamo morti, perché per i vivi essa non c’è, i morti invece non sono più.” Alzò lo sguardo verso l’alto. Il sole era ormai tramontato e le prime stelle squarciavano il cielo come dei piccoli puntini luminosi. «E’ un po’ quello che insegna la favola dei tre fratelli, no?»
    Poi salutò la Morte come una vecchia amica e andò lieto con lei congedandosi da questa vita da pari a pari. « Penso che me ne ricorderei, quindi..no. » Annuì, abbassando la testa e guardando le sue mani riposte sopra le ginocchia. Le dita erano intrecciate tra di loro. «Mi rendo conto di aver fatto una domanda sciocca.» Già Nonostante l’avesse chiesto ad altre persone, non aveva ancora trovato uno che le avesse risposto di si. Aveva imparato, con il tempo, che le sedute spiritiche fossero più insolite di quanto pensasse. La prima volta che aveva provato a farne una aveva dieci anni. Era terribilmente invidiosa di Tux e del suo dono. Le sarebbe piaciuto essere una medium, comunicare con chi aveva lasciato il mondo dei mortali per unirsi a quelli degli spettri. Non aveva ancora una tavola ouija, perciò aveva scritto le lettere su di un foglio di carta. Una monetina avrebbe aiutato il fantasma a trasmettere il messaggio. Si era fatta aiutare da Aimee, una bambina della sua classe che l’aveva invitata a giocare a casa sua. La nonna di Aimee era morta da qualche giorno e a Weed era sembrato un momento perfetto per mettere in atto ciò che le vorticava in testa. Non seppe mai cosa andò storto, se qualcosa che avevano fatto o qualcosa che avevano detto ed aveva fatto infuriare la povera vecchietta trapassata. Aimee fu sbalzata all’indietro. Aveva cominciato a piangere e le sue grida avevano fatto precipitare sua madre nella stanza. Wednesday non fu più la benvenuta a giocare a casa di Aimee. « "Pretty girls make graves" degli Smiths potrebbe essere presa in maniera piuttosto letterale, nel tuo caso. » Le ragazze carine costruiscono bare. Albus la trovava carina? Nessun ragazzo glielo aveva mai detto. Weed non si sarebbe mai definita “bella”. E non per falsa modestia o altro, semplicemente non credeva di corrispondere al prototipo di bellezza tipico di quel periodo storico. Nonostante ciò, la piccola Mortimer aveva sempre apprezzato la sua minuta figura. Quando si guardava allo specchio si piaceva. Carina. Si, poteva essere carina. E questo le bastava. Ciò l’aveva portata a non provare vergogna per il proprio corpo, a sentirsi a suo agio anche in mezzo a giovani coetanee molto più prosperose di lei. « Si chiamava Miles Keller. Aveva dodici anni quando è morto all'interno del lockdown. Lo seppellimmo a scuola..insieme a tutti gli altri. Poi quando è stato possibile rientrare ad Hogwarts lo abbiamo tirato fuori e..beh..a quel punto immagino sia passato nelle vostre mani. » Weed annuì, mordendosi appena il labbro inferiore, all’interno della bocca. Si, ricordava Miles. Il suo corpo era già entrato in decomposizione quando fu portato dai Mortimer. Le urla della signora Keller durante il riconoscimento, furono uno dei versi più strazianti che la Corvonero avesse mai sentito. Le avevano fatto vibrare le viscere, dandole l’impressione di non avere la terra sotto i piedi. A Miles piacevano i Chudley Cannons. I suoi genitori avevano voluto che fosse seppellito con la maglia della squadra, quella che lui considerava un portafortuna e che quindi indossava ogni volta che i Chudley giocavano. « Non sono andato al funerale - per questo non so dove si trova la lapide. Immagino.. non lo so cosa immaginavo. Non posso nemmeno dire che fosse un modo per illudermi che fosse ancora vivo, dato che l'ho seppellito e riesumato. Forse mi sentivo solo responsabile..e quindi l'ho evitato. » Le margherite. Albus faceva bene a volergliele portare. Miles era come una margherita dal gambo esile, troppo sottile per resistere a quella terribile tempesta. Weed fece un profondo sospiro e poi si alzò in piedi. Aveva le gambe intorpidite. Si passò le mani nei jeans, pulendoli dalla terra e l’erba che vi erano rimasti attaccati. Abbassò lo sguardo verso l’ex Serpeverde. «Seguimi.» Lo fissò per un attimo prima di parlare di nuovo. «Fidati. Non ho intenzione di portarti da qualche parte per ucciderti.» Era una battuta, ma il suo tono non si adeguò alle sue parole. Non era molto brava in certe cose. Si girò, iniziando a camminare. Bisbigliò l’incantesimo a bassa voce ed una sfera di luce si irradiò dalla punta della bacchetta, illuminando l’ambiente accanto a loro. Sentiva i passi di Albus dietro di lei, ma non si voltò ad osservarlo. Era intenta a seguire la mappa immaginaria che la sua mente stava proiettando. A destra. Ed ora a sinistra. La lapide di Miles era riconoscibile da lontano. Era di marmo bianco che pareva scintillare a causa della luce emanata dalla bacchetta. Piano piano che si avvicinavano erano riconoscibili sempre più particolari. Era ricoperta da un tripudio di fiori colorati, peluche, una sciarpa della sua squadra preferita di Quidditch e varie foto accuratamente riposte dentro una cornice. Si fermarono davanti alla lapide e gli occhi di Wednesday lessero con calma le parole incise su di essa. C’erano il nome ed il cognome del ragazzo, la data di nascita, quella di morte ed una frase. Nessuno muore sulla terra finchè vive nel cuore di chi resta.” Erano parole di Sant’Agostino. Weedy lo sapeva perché erano in tanti a volerla incidere nel luogo di riposo dei propri cari. Restò in silenzio per un tempo immisurabile. Non sapeva dire se fossero solo pochi secondi od interi minuti. Con la coda dell’occhio cercò il ragazzo al suo fianco. Non vide la sua espressione, ma poteva sentire chiaramente il suo stato d’animo. Era come se percepisse la tensione che proveniva da ogni singolo muscolo del suo corpo. « I suoi genitori insistettero molto per farlo seppellire qui. L’uomo qui accanto è il nonno di Miles. Dicevano che così suo nonno si sarebbe preso cura di lui.» Quello dei signori Keller era un modo per esorcizzare la paura, la loro e quella che, secondo loro, poteva provare il loro bambino. Fu solo in quel momento che trovò il coraggio di girarsi verso Albus. «Vuoi che ti lasci solo con lui?»


    Edited by wilted flower. - 9/3/2020, 20:43
     
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    « Non mi reputo.. fissata con la morte.. » Portò lo sguardo alla ragazza, sgranando appena lo sguardo. « Scusami..non intendevo offenderti. Cioè, parlavo di Joyce. » disse veloce, rendendosi conto di quanto le sue parole potessero essere state facilmente fraintese. Però Joyce ci era davvero fissato, non era un'esagerazione. Nel suo caso, poi, direi che non fosse neanche questo gran peccato, visti i capolavori che ci ha regalato. Chiaramente Albus era al corrente delle voci che giravano sui Mortimer, dunque si sentì uno stupido per essersi lasciato sfuggire una simile leggerezza. Lui, personalmente, non li conosceva abbastanza bene da sentirsi nella posizione di sparare giudizi, ma sapeva che molti altri non erano fatti della sua stessa pasta e che difficilmente si trattenevano dallo sputare cattiverie. « Semplicemente accetto la sua esistenza. Fa parte della nostra realtà e dovrebbe essere omaggiata al pari della vita. Molti la ignorano, altri segretamente la desiderano ed altri ancora fingono che non esista. Ma tutti sanno che, un giorno, dovranno trovarsi faccia a faccia con Lei. E quando quel giorno arriverà è meglio essere pronti. » Annuì, come ad esternare un muto amen che non uscì mai dalle sue labbra. Parole sagge, quelle della giovane Mortimer. Parole dovute sicuramente al settore in cui la sua famiglia lavorava, ma che ormai molti loro coetanei potevano condividere in maniera ampia. Era stato inevitabile: quando le porte di Hogwarts si erano chiuse, lasciando grandi e piccoli intrappolati all'interno di una casa che all'improvviso gli si era voltata contro, accettare la morte era passato presto dall'essere un sintomo di incredibile maturità all'essere una necessità imprescindibile. Non si trattava di arrendevolezza - tutt'altro! Era piuttosto l'unico mind-set che potesse dar loro speranza di sopravvivere. Quando le pile di cadaveri troppo giovani si accatastano giorno dopo giorno, accettare l'ineluttabilità della morte diventa l'unica opzione per resistere. Albus, nel suo piccolo, lo aveva capito presto - ma il corpo di Miles era stato semplicemente uno di troppo, uno che il giovane Potter non era pronto a lasciar andare. « E’ un po’ quello che insegna la favola dei tre fratelli, no? » La favola con cui la sua intera famiglia era cresciuta, sentendola più e più volte nell'arco delle loro vite. Sorrise a quelle parole dal suono familiare. « Un insegnamento che la nostra generazione ha avuto modo di imparare con le maniere forti. » chiosò, rivolgendole uno sguardo eloquente. Se qualcuno di noi non avesse mai letto quella favola, ha avuto comunque modo di mettersi in pari con la morale.
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    Rivelare le vicissitudine intorno alla morte di Miles fu in qualche maniera catartico. Non si era mai sentito di parlarne con nessuno, forse perché il senso di colpa era ancora troppo vivo in lui per permettergli di dar voce a quella realtà dolorosa. O forse perché si sentiva egoista, a piangere i propri morti in un mondo in cui tutti avevano subito più perdite di quante potessero contarne. In quel cimitero, Miles non era solo: tanti suoi coetanei gli facevano compagnia, riposando nelle rispettive bare. Bambini, ragazzi e adulti - la morte li aveva richiamati tutti a sé senza alcuna distinzione, senza una ragione vera e propria. Nessuno di loro aveva avuto il privilegio di abbandonare la vita in maniera indolore, scivolando via con la vecchiaia. Tutti quanti erano andati incontro a dei destini orribili, a morti crudeli e truculente. Vittime sacrificali per coloro che erano sopravvissuti, graziati dalla fortuna di trovarsi nei posti giusti al momento giusto, o di avere un'età più avanzata e conseguenti conoscenze magiche. Chiunque fosse rimasto si portava dietro lo stesso fardello: la consapevolezza di essere stato fortunato..a dispetto di altri. « Seguimi. » disse dunque lei, in risposta, attirando a sé lo sguardo interrogativo dell'ex Serpeverde. « Fidati. Non ho intenzione di portarti da qualche parte per ucciderti. » L'angolo destro delle sue labbra si incurvò leggermente verso l'alto. « Se prima non lo pensavo, adesso ho definitivamente la certezza che mi stai portando da qualche parte per uccidermi. » disse ironico, sottolineando quelle parole con un cenno del capo mentre si faceva leva sul terreno per alzarsi. Assestò un paio di pacche sui jeans, lisciandoli e cercando di ripulirli dalle macchie d'erba prima di iniziare a seguire la ragazza in religioso silenzio. La lapide di Miles sembrava un punto di colore in mezzo a un foglio completamente bianco: piena di fiori, lettere, peluche e candele. Alla sola vista di quell'immagine, la visuale di Albus cominciò a farsi più appannata, velata da lacrime che sgorgavano sotto l'influsso di emozioni tanto differenti quanto contrastanti. Miles Keller si meritava di essere ricordato, e il semplice fatto che tanto affetto gli fosse stato dimostrato, riempiva di gioia il cuore del giovane Potter. "Nessuno muore sulla terra finchè vive nel cuore di chi resta." Parole incise sul marmo, quelle che Albus lesse tra sé e sé, tirando su col naso mentre appoggiava il mazzo di fiori tra i tanti disposti. Miles, durante il lockdown, era stato a lungo per l'ex Serpeverde il simbolo di quel figlio che per un anno non aveva avuto l'opportunità di abbracciare o anche solo vedere; vederlo morire, in un certo senso, era stato come perdere un po' di quella speranza a cui si era aggrappato..era stato come perdere Jay. « I suoi genitori insistettero molto per farlo seppellire qui. L’uomo qui accanto è il nonno di Miles. Dicevano che così suo nonno si sarebbe preso cura di lui. » I suoi pensieri vennero interrotti dalle parole di Weed, alla quale stirò un sorriso grato. Non la conosceva bene, e la situazione in cui si trovavano era estremamente improbabile: eppure in quel momento provava una sorta di affetto per quella bizzarra ragazzina che non si era scomposta di fronte ai suoi lutti, che non lo aveva giudicato e che - a modo suo - aveva persino cercato di aiutarlo. Non c'era molto abituato, Albus, alle gentilezze, specialmente se gratuite. « Vuoi che ti lasci solo con lui? » Sospirò, rendendosi conto che per quanto la compagnia della ragazza gli facesse piacere e risultasse quasi confortante, era giusto lasciarla andare. Per lei, Miles era pressoché uno sconosciuto, e in fin dei conti lo stesso Albus aveva forse bisogno di tempo e solitudine per elaborare quel lutto. Si ritrovò quindi ad annuire, vagamente mesto. « Sei stata molto gentile, Weed. » disse piano, poggiandole una mano sulla spalla e stringendo appena la presa - non troppo, ma abbastanza da mostrarle quella gratitudine che provava nei suoi confronti. « Grazie.. » Pausa. « ..grazie soprattutto per avermi ascoltato, immagino. » Per esserti sorbita gli svarioni di uno sconosciuto senza battere ciglio o guardarmi come se fossi fuori di testa. Lo sguardo del ragazzo si addolcì appena nel ritrarre la mano, scoccandole un occhiolino sull'orlo di un sorriso. « Mandami un gufo per la prossima seduta spiritica..penso che potrebbe essere interessante, provare. » D'altronde, abbiamo tutti qualcosa da insegnarci l'un l'altro.


     
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    « Scusami..non intendevo offenderti. Cioè, parlavo di Joyce. » Wednesday si affrettò ad accennargli un piccolo sorriso, senza però dire nulla. Non si era offesa, ed aveva percepito perfettamente che non era intenzione di Albus farlo. Conosceva bene il tono dispregiativo che poteva avere quella frase. Gliel’aveva sputata addosso un Grifondoro più grande, quando lei era solo al secondo anno. In mezzo al corridoio, davanti ad un sacco di altri studenti. Non sapeva bene perché avesse deciso di sentenziare quella frase in quel momento ed in quel particolare luogo. Sospettava fosse semplicemente un “due più due” che aveva gratuitamente fatto da solo, collegando quei due neuroni che passavano il resto delle giornate a rincorrersi dentro la sua testolina. Weedy non era mai stata l’anima della festa e al tempo vederla sorridere era un evento paragonabile all’apparizione della Madonna per un cattolico. Ma come al solito, la piccola Mortimer se ne era sempre stata sulle sue, cercando di impicciarsi il meno possibile nelle faccende che non le interessavano. Eppure, a qualcuno, il fatto che lei si facesse gli affari suoi sembrava non andare a genio e faceva ciò che gli riusciva meglio: provocare le persone per creare una reazione, un qualcosa che portasse un po’ di brio alle sue -a quanto pare- monotone giornate. Ma neanche quella volta la Corvonero si era offesa. Si era limitata a guardare il giovanotto con quel suo sguardo di pura indifferenza, continuando per la propria strada. Giudicò stupide le risatine delle ragazze, affascinate dal coraggio del Grifondoro e dal suo essere così spavaldo. Ancora una volta ebbe la conferma di essere circondata da un branco di idioti. Era stata una fortuna, negli anni a seguire, conoscere persone che erano riuscite a distoglierla dalla visione ristretta del fatto che tutti gli esseri umani fossero stupidi. Fino a quel momento gli unici con cui poteva scambiare conversazioni civili erano i membri della sua famiglia e Morgana, la sua gatta. « Un insegnamento che la nostra generazione ha avuto modo di imparare con le maniere forti. » Accolse il suo sguardo, in silenzio, meditando su quelle parole che sembravano voler racchiudere più di quanto il giovane Potter dicesse. Lui sapeva molto meglio di lei quanto quella favola avesse influenzato la vita delle persone, in particolare dei membri della sua famiglia. Era sempre stata una delle sue storie preferite. « Se prima non lo pensavo, adesso ho definitivamente la certezza che mi stai portando da qualche parte per uccidermi. » Weedy si voltò verso il ragazzo che si era appena risollevato da terra ed ora si stava passando le mani nei jeans. Una risatina le risalì per la gola, infrangendosi contro le sue labbra chiuse. «Divertente.» affermò con tono leggermente squillante, ma che, paradossalmente sembrava leggermente inquietante. Anche se non lo mostrava spudoratamente aveva trovato particolarmente spiritosa la battuta di Albus. Era stata molto più immediata di altre battute e barzellette che qualcuno le aveva raccontato ma non l’avevano fatta ridere per niente. Aveva un senso dell’umorismo particolare, come tutto il resto d’altronde. Se per lei quel tratto di strada fu facile, immaginava non fosse lo stesso per il ragazzo che la stava seguendo. Poteva percepire il suo malessere, talmente pressante che le pareva di vederlo. Somigliava ad un alone che gli aleggiava attorno, ricoprendo ogni centimetro del suo corpo. Lo percepiva dal rumore e la lunghezza dei suoi passi insicuri. Forse si stava chiedendo se arrivare o no fino infondo. Poteva immaginare il gigantesco sforzo che Albus stava compiendo. Stava cercando di liberarsi di quella pietra che si portava sulla schiena, di quel fardello che gravava sulla sua coscienza. Raggiungere il luogo dove Miles riposava doveva essere stato per lui una sorta di Via Crucis. C’erano sicuramente dei motivi se aveva atteso così tanto per andare a trovarlo ed erano sicuramente quei motivi ad afferrargli le caviglie con mani invisibili, cercando di farlo tornare sui suoi passi. Ma la volontà di Albus, stavolta era stata forte. Wednesday chinò il capo difronte alla lapide, in segno di rispetto e di saluto verso il corpo terreno del defunto. Estrasse la bacchetta, puntandola verso la tomba del ragazzino. «Orchideus.» bisbigliò con un filo di voce. Un crisantemo di un vivace color arancio apparve in mezzo a tutti gli altri fiori. Ripetè lo stesso gesto verso la lapide dell’uomo al suo fianco, chiedendosi se ora Miles e suo nonno li stessero guardando. Si voltò verso Albus, giusto in tempo per vederlo annuire in risposta alla domanda che gli aveva appena fatto.
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    « Sei stata molto gentile, Weed. » La ragazzina spalancò appena gli occhi quando il giovane Potter posò una mano sulla sua spalla. Le parve di sentire il sangue concentrarsi maggiormente sulle sue guance, con più intensità, ma decise di non farci caso. « Grazie...grazie soprattutto per avermi ascoltato, immagino. » La piccola Mortimer si stringe leggermente le spalle, accennando un piccolo sorriso. «Non è stato un problema. Tutti hanno bisogno di parlare, a volte.» E per qualche strana ragione, spesso le persone tendono ad aprirsi di più con chi conoscono appena. « Mandami un gufo per la prossima seduta spiritica..penso che potrebbe essere interessante, provare. » Sorrise. Sospettava fosse più una frase di cortesia, ma la trovò una frase carina da dire. E poi chissà, magari poteva incastrarcelo davvero la prossima volta. «Napoleone disse che esistono solo due modi per far muovere gli uomini: l’interesse e la paura. A quanto pare aveva ragione.» sentenziò afferrando con le mani la tracolla della borsa. «Sei molto gentile Albus Potter. Ma non vorrei metterti in imbarazzo con l’idea di rifiutare un invito, quindi quando ti sentirai pronto mandami tu un gufo. Quando vuoi, naturalmente, gli spiriti hanno tutto il tempo dell’universo.» osservò con voce trillante. «Bhè, ci vediamo Albus. Buon Natale.» Si girò, quasi piroettando e imboccando il sentiero che l’avrebbe portata all’uscita. Si stava facendo tardi. Doveva tornare al Castello.

     
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