D'assalto

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    Allo squillare della seconda campanella della giornata, una mandria di studenti si getta nei corridoi in un fiotto violento, in direzione delle porte. In mezzo a loro, più bassa di una spanna rispetto a tutti i presenti, una chioma color fuoco si sbraccia a fatica in controsenso rispetto alla folla, venendo trascinata qua e là dai vari corpi. « Permesso? PERMESSO! » Così si fa valere Kylie Rookwood, con un urlo quasi agghiacciante che per un momento paralizza l'intero corridoio. Non ha mai imparato a conoscere i mezzi termini. Diverse teste si voltano nella sua direzione, e la rossa si ritrova a sbuffare sotto gli sguardi scioccati di alcuni di loro. Qualcosa le dice che questo dovrebbe essere il momento delle scuse, ma la sua mera risposta è fare spallucce, mantenendo quell'espressione provocatoria e scorbutica. Che hai da guardare? Lentamente un piccolo cerchio di spazio viene a crearsi quasi in modo naturale intorno a lei, mentre il consueto traffico di studenti riprende il proprio corso - non senza l'aggiunta di qualche bisbiglio malizioso nelle sue vicinanze. Kylie non vi pone attenzione. Se avesse dovuto far caso a tutte le volte che le persone le hanno rivolto delle occhiate simili... La sua attenzione, piuttosto, viene catturata da un gruppetto a lei ben noto, nei pressi di una delle aule dedicate agli studenti del College. Kylie si avvicina un po' di più, prima di sistemarsi con apparente casualità dietro la statua di un Gargoyle del corridoio. Fa finta di leggiucchiare qualcosa dalle pagine di un quaderno vuoto, mentre di tanto in tanto li osserva da sotto gli occhiali da lettura. Stanno scambiando quelle che a lei sembrano delle chiacchiere piacevoli, di poco conto. Montgomery è appoggiato con una mano allo stipite della porta, l'aria svogliata, Watson sta dicendo qualcosa di apparentemente divertente, Carrow fissa lo schermo del proprio cellulare e di tanto in tanto interviene nella conversazione.
    Quando si è addentrata
    nelle zone dei collegiali, Kylie non aveva precisamente idea di chi sarebbe stato il suo primo bersaglio: aveva soltanto bisogno di raccogliere qualche testimonianza sugli avvenimenti di Capodanno che sembrano aver stravolto metà scuola, e diversi nomi di gente del College figurava nella lista dei partecipanti. Adesso però, mentre guarda quei tre chiacchierare amabilmente, capisce che devono essere il punto di partenza di quest'articolo. Sono loro, si dice, mentre si discosta dal Gargoyle, il proprio quadernino stretto al petto insieme a quella dose di sfacciataggine che non l'abbandona mai, e si dirige ad ampie falcate nella loro direzione. Sono la Casta. O per lo meno così li ha definiti la sua amica Jacqueline, quando, al suo arrivo, le ha illustrato per filo e per segno la piramide sociale di Hogwarts. E la Casta stava in cima: con Watson, Carrow, Gauthier, Douglas e Montgomery a sputare dall'alto su tutto il resto del popolo studentesco. Li ha quasi approcciati: le manca appena qualche passo per raggiungerli, quando Montgomery si distacca dal gruppo, con la scusa di andare a fumare. Ma Kylie non demorde - al contrario, questa le sembra l'occasione perfetta per sfruttare la cosa a proprio vantaggio. Lo segue con non troppa discrezione, fino a quando non raggiunge il cortile: rimane sulla porta, a osservarlo da lontano accendersi la sigaretta e prendere qualche tiro, mentre rimugina tra sé e sé sulla strategia da adottare. È un'occasione d'oro per raccogliere delle informazioni importanti, e non può sprecarla facendo le domande sbagliate. Decide, allora, di prenderla un po' alla larga. « Hai da accendere? » Gli si fa vicina, appoggiando il proprio quadernetto sul davanzale a cui lui è appoggiato, e accennando col capo alla sua sigaretta. Sembra pensarci un secondo. « E avresti anche una sigaretta da prestarmi? » Lo sguardo scivola sul pacchetto che ha lasciato ancora lì poggiato sul muretto. Andiamo Montgomery, non farai mica il tirchio con le sigarette, no? « Ho letto alcuni tuoi articoli sulla Gazzetta del Profeta. Mi piace tanto quello che scrivi. » Passo passo. Non c'è fretta. Gli occhi si soffermano per qualche momento sul profilo del ragazzo, e le è impossibile non far caso ai suoi lineamenti pronunciati ma pur sempre armoniosi. Ha sempre pensato fosse il più affascinante del suo gruppo, Thomas, con quell'aria irriverente da eterno ribelle. « Anche io vorrei fare la giornalista, sai? Scrivo per il giornalino di Hogwarts. Si chiama il Doxy Pixie Wise. Non so se ne hai mai sentito parlare, ma siamo appena nati, sai. » Si stringe nelle spalle, gli occhi color nocciola che solcano lentamente lo spazio dinnanzi a sé. « Mi chiamo Kylie, comunque. Magari ti andrebbe di darci qualche consiglio sul giornalino, uno di questi giorni? Farebbe a tutti molto piacere. » Un sorriso mellifluo accarezza le labbra della giovane, mentre scambia uno sguardo con il Serpeverde, e le sue dita continuano a giocherellare con il quaderno fermo sul davanzale di pietra. « Sto pensando di scrivere un pezzo sulla notte di Capodanno. Mi sembra giusto che gli studenti qui a Hogwarts sappiano quello che è successo. Purtroppo però io non ero presente... E ne so davvero poco. » Solleva lo sguardo, a incrociare quello di lui, l'espressione a metà tra il supplice e quella di chi vuole intenerire. Mi aiuteresti, Thomas?
     
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    «Sul serio, Thomas? Ti metti a fare battute su questo genere di cose?» Scrollò le spalle, guardandosi attorno distrattamente. «Tutto quello che sto dicendo è: come faranno a organizzare un funerale se neanche c'è un corpo? Dove ci si mette? Attorno ad una cassa da morto vuota Incrociò le braccia al petto, sollevando le sopracciglia. «Evocheranno un suo ologramma? Ci si metterà tutti in cerchio a singhiozzare di fronte alla sua scopa? È morboso da qualunque punto di vista tu voglia vederlo.» Quell'intera storia era morbosa. E non soltanto nel senso che fosse di cattivo gusto; gli pareva che tutto fosse malato, infetto, marcio. La scomparsa del corpo di un ragazzo giovane e celebre come Eric Donovan in seguito al suo assassinio avrebbe presto cominciare a essere raccontata in tutti i giornali del mondo magico, e chissà che non si sarebbero messi a intervistare la gente a bordo del treno. Cosa avrebbe dovuto dire? Cosa avrebbe potuto raccontare? Chi gli avrebbe creduto? E le forze dell'ordine come avrebbero fatto a riconoscere il colpevole dell'omicidio, se non c'era neanche un corpo da esaminare? La difesa che Tom metteva in atto di default davanti ad eventi disturbanti come quella era la repressione – una forma più sofisticata di rimozione in cui non negava quanto successo, ma si stringeva nelle spalle rimandando ad un "più tardi" indefinito il momento in cui avrebbe dovuto farci i conti. L'alternativa sarebbe stata sprofondare nel terrore, perché alcuni di loro nei fatti di cronaca in cui erano rimasti coinvolti riuscivano distintamente a osservare il caratteristico modus operandi di un nemico fin troppo noto. Tom non ci aveva messo più di cinque secondi a bisbigliare il nome dello Shame quando sul treno aveva cominciato a diffondersi la notizia dell'omicidio. E chi altri? Le porte marchiate col sangue erano state quell'inconfondibile tocco di classe che caratterizzava la cifra stilistica di chiunque fosse lo psicopatico che continuava a perseguitarli.
    E ancora una volta qualcuno ci era rimasto secco, e tutti gli altri si sarebbero portati dietro quest'altro trauma, l'ennesima disturbante visione di un cadavere pallido e ricoperto di sangue, l'ennesimo grido che, quando stava per addormentarsi, nelle orecchie di Tom continuava a riecheggiare, avvolgendolo proprio quando stava per abbandonarsi al confortevole oblio del sonno, deciso a non lasciargli tregua, a non concedergli il lusso di dimenticare.

    «E comunque non trovo corretto che per colpa di questo che è morto nessuno abbia più potuto giocare né sia stato proclamato un vincitore. Non dico che avremmo dovuto fare finta di niente, ma c'ero quasi... Tanto lavoro sprecato» Fitz lo guardò per qualche secondo, un velo di incredulità negli occhi dell'amico che – riusciva a vederlo – non capiva che quello era il macchinoso metodo che Tom aveva messo a punto, nel corso della sua vita, per riuscire a funzionare. Battute superficiali, snocciolate senza particolare cura, commenti egoisti e insensibili, per mitigare un dolore che non avrebbe mai ammesso di star covando, sotto quello strato spesso e spigoloso fatto di sarcasmo. Non c'era spazio per quelle emozioni, non c'era spazio per piangersi addosso o chiedersi perché. E quello era il modo migliore che conoscesse per mantenere un'apparente normalità, per continuare a rivestire lo stesso ruolo di sempre, conservare la realtà immutata nonostante gli eventi traumatici che continuavano ad affliggerla. Roba che un ragazzo di ventun anni cresciuto nella bambagia non può accettare, perché non può spiegarsela. «Complimentoni, Tom.» Si era limitato a dirgli, la bocca ripiegata verso il basso in una sarcastica espressione ammirevole. «Dicevo così, pour parler. Va be', vado a fumare. Ci vediamo più tardi.» I ragazzi gli rivolsero un saluto distratto e biascicato.
    «Hai da accendere?» Tom si voltò, la sigaretta tra le labbra che gli storceva il sorriso. «Mi stavo giusto chiedendo quando ti saresti decisa a venirmi a parlare» Aspirò un paio di volte, la punta della sigaretta che si illuminava intermittente. Squadrò la ragazza che aveva di fronte. Aveva notato che l'avesse seguito dai corridoi al cortile, per poi restarsene in piedi a guardarlo senza particolare discrezione. «Se vuoi darti allo spionaggio devi sapere che avere i capelli rossi non è un'idea vincente.» proseguì, estraendo dalla tasca della giacca un accendino. «Ti si nota subito».
    «E avresti anche una sigaretta da prestarmi?» Annuì, porgendole il pacchetto aperto. La ragazza non doveva avere più di 17 anni. Anno più anno meno, sebbene potesse passare per una ventenne per quell'aria un po' sfacciata. «Ho letto alcuni tuoi articoli sulla Gazzetta del profeta. Mi piace tanto quello che scrivi» Distolse lo sguardo, annuendo lentamente e mordicchiandosi l'interno delle guance. «Okay... Grazie» rispose, attendendo di capire quale fosse la vera intenzione della ragazzina, che sembrava star girando attorno al vero motivo di quell'interesse per lui.
    «Anche io vorrei fare la giornalista, sai? Scrivo per il giornalino di Hogwarts. Si chiama il Doxy Pixie Wise. Non so se ne hai mai sentito parlare, ma siamo appena nati, sai». Non rispose, continuando ad annuire e sorridere debolmente. E quindi? Ci fu un breve silenzio, il rumore della lenta e scricchiolante combustione della cartina della sigaretta di Thomas a riempirlo.
    «Mi chiamo Kylie, comunque. Magari ti andrebbe di darci qualche consiglio sul giornalino, uno di questi giorni? Farebbe a tutti molto piacere.» La guardò, ancora sorridendo, vagamente divertito da quanto la stesse prendendo larga. «Molto piacere, Kylie. Io sono Tom. C'è qualcosa in particolare che vorresti chiedermi?» Disse infine. I suoi articoli per la Gazzetta erano decisamente troppo mediocri perché un'aspirante giornalista lo avvicinasse solo per fargli i complimenti. « Sto pensando di scrivere un pezzo sulla notte di Capodanno. Mi sembra giusto che gli studenti qui a Hogwarts sappiano quello che è successo. Purtroppo però io non ero presente... E ne so davvero poco» Strinse le labbra, per poi schioccare la lingua. «È un vero peccato che tu non fossi presente. Il club di teatro ha tirato su una gran bella serata. Un autentico festino. Pieno di spogliarelliste, droga, persino armi...» proseguì, prendendola in giro ancora per un po'. Oltretutto non stava mentendo completamente, no? La parte delle armi era vera. «Guarda, avresti dovuto esserci per capire. Chi l'avrebbe mai detto che dietro a quell'aria da sfigati allucinati si celasse un branco di pervertiti e depravati, eh?»
    Non avrebbe toccato l'argomento con serietà. E non era del tutto sicuro del fatto che, come aveva detto Kylie, fosse giusto che a Hogwarts si sapesse quanto realmente accaduto. A cosa sarebbe servito? A chi?
    Emise un sospiro, improvvisamente più serio. Si strinse nelle spalle. «Non credo siano cose che ragazzini di 15 anni dovrebbero sapere. Non credo sia utile creare allarmismi, diffondere il panico, puntare sullo shock. Perché vuoi coprire questa storia? Che cosa si sa?» Chissà perché si stava prendendo la briga di spiegarsi, aiutarla e consigliarla invece di alzarsi e lasciarla lì. Avrebbe potuto sfotterla un altro po', girare i tacchi e lasciare che trovasse qualcun altro da intervistare per quella storia. E invece eccolo, quel lato di lui che era più reticente a mostrare in momenti di difficoltà. Il lato che sapeva ascoltare, e che sapeva soppesare, e sentire.
     
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