Show me your darkness

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    Tornare alla normalità, era ciò che Betty desiderava in quel momento, riavere indietro quella serenità per cui aveva tanto lottato e che in men che non si dica le era stata strappata via nuovamente. Il destino era crudele e beffardo, sembrava quasi traesse piacere dal buttarla a terra non appena riusciva a rimettersi di nuovo in piedi. Era un gioco perverso a cui non voleva più giocare. Era rimasta per alcuni giorni a Berlino, a disposizione degli auror tedeschi, aveva risposto a tutte le loro domande con più precisione possibile, ma nonostante ciò non aveva ricevuta nessuna risposta alle sue mille domande. Era tornata a casa solamente grazie all'intercedere dei suoi genitori, per la prima volta si era ritrovata nella condizione di ringraziarli; avevano semplicemente sfruttato le loro conoscenze altolocate per permetterle di tornare a casa anticipatamente, con la promessa che sarebbe stata disponibile per futuri interrogatori. Tornata nel suo piccolo cottage si era chiusa in sé stessa, aveva passato giorni sdraiata sul divano, avvolta in una calda coperta con la sola compagnia del suo fidato Ollie. Nella sua mente si erano susseguiti flashback su flashback: la festa, il bellissimo abito che indossava e infine il sangue. Sangue che si sentiva ancora addosso. Aveva perso il conto delle volte che aveva sfregato le mani sotto l'acqua bollente per lavarsi via il sangue che ancora immaginava macchiarle. Le aveva sfregate talmente tanto che si era procurata una piccola abrasione sul dorso della mano destra. Perchè avevano scelto proprio lei? Perchè le avevano fatto recapitare quel messaggio che l'aveva poi condotta verso l'orrenda scoperta. Chi poteva trarre tutto questo divertimento perverso? Non avevano già visto e sofferto abbastanza durante il lockdown?! Domande che frullavano senza sosta nella sua testa. Viveva tormentata dai ricordi, motivo per cui non aveva aperto la porta di casa a nessuno, più volte erano venuti a bussare alla sua porta, Ollie abbaiava in risposta, ma Betty non ne aveva voluto sapere.Perchè doveva faticare tanto per rimettersi in piedi se ogni volt qualcuno si divertiva a tirarle l'ennesimo tiro mancino? Mandando in fumo tutti i progressi che aveva fatto. Odiava ammetterlo, ma in quel momento il flaconcino di antidepressivi era l'unica cosa che la manteneva in piedi. Aveva scelto di riassumerli da sé, senza consultare la sua psicoterapeuta come avrebbe dovuto. Betty si era ripromessa di ricorrervi solo nei momenti di estremo bisogno, quando gli incubi erano talmente frequenti da impedirle del tutto di dormire. Quando aveva saputo del funerale di Donovan era quasi riuscita ad uscire di casa, quando però si era immaginata mille sguardi su di lei non era stata in grado di mettere il piede fuori dalla porta di casa. L'avrebbero guardata come la poverina che aveva trovato il corpo e aveva avuto un crollo nervoso. Non voleva essere compatita, non voleva tornare ad essere nuovamente la Betty vittima. Questo era il motivo per cui aveva scelto di porre i suoi omaggi e rispetti da sola, lontana dagli occhi di tutti. La sua conoscenza con Donovan era stata breve, ma nonostante ciò aveva lasciato il segno e sapere che il corpo ritrovato era il suo aveva messo a dura prova il suo cuore. Un cuore ammaccato a cui ancora oggi mancava un pezzo. Si era alzata alle prime luci del mattino, quando i primi raggi di sole avevano inondato le colline verdi che circondavano Hogsmeade. Aveva avuto un piccolo momento di panico quando aveva messo il piede fuori dalla porta, ma Betty glielo doveva. Il cimitero era praticamente deserto, l'unica cosa che udiva era il rumore del vento che scuoteva le fronde degli alberi. La tomba di Donovan era ricca di fiori, ghirlande e lettere di quelli che erano stati suoi fan accaniti; una devozione tale che rendeva chiaro come il sole che persona meravigliosa fosse. Betty si inginocchiò sul terreno e posò il mazzo di rose che aveva scelto per lui. Erano rose selvatiche che crescevano nel suo giardino, rose che sua nonna si era rifiutata di estirpare perchè troppo belle; reciderle sarebbe stato un peccato divino. « Mi dispiace così tanto...vorrei aver potuto fare qualcosa...sapere che se avessi fatto più in fretta non sarebbe servito a salvarti la vita non mi basta. » Perchè Betty si era rimproverata, rimproverata di non aver corso, di aver pensato che fosse tutto uno scherzo. Gli auror avevano cercato di rassicurarla, in base al medico Donovan era morto da qualche ora e lei non avrebbe potuto fare niente. « Vorrei aver fatto di più... » Dal momento in cui era rientrata nella sala della festa era caduta in uno stato catatonico e tutto era offuscato, tanto che del resto del viaggio Betty ricordava davvero poco. Un piccolo scricchiolio la fece voltare spaventata, troppo abituata alla solitudine a cui lei stessa si era condannata. Vedere la famigliare figura di Albus la rincuorò. « Ehii... » Betty non sapeva esattamente cosa dire, cosa fare o chiedere in quel momento. Con tutto ciò che stava succedendo non poteva certo chiedergli semplicemente cosa pensasse del tempo. « ...come stanno Lily e Jay? » Una parte di lei non poteva fare altro che immaginare il sollievo che lui e Mun avessero provato a tornare dai figli, quando ci si scontrava così duramente con la morte niente faceva più piacere del tornare agli affetti più cari.
     
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    Albus era ormai giunto alla conclusione che, per quanto ci si mettesse d'impegno, una qualche forza a lui ignota lo avrebbe sempre trattenuto in quel limbo di vicissitudini misteriose. Non c'era stata una volta, nemmeno una, in cui il giovane Potter non si fosse ritrovato direttamente coinvolto nei più folli avvenimenti che si erano giocati sul palcoscenico del mondo magico da ormai più di due anni. A questo punto, forse, dovrei solo accettarlo e non sorprendermi più - parole, quelle, che aveva pensato in numerose occasioni, ma a cui non era mai riuscito a tener fede. Come poteva? Se da un lato l'idea di vivere sotto anestesia appariva come la soluzione migliore a quel continuo dolore, dall'altra il solo pensiero di doversi desensibilizzare completamente alla morte e alle ingiustizie per sopravvivervi lo faceva bollire di rabbia. In più di una persona aveva visto quello sguardo vuoto di rassegnazione, specialmente durante il lockdown, quando molti di loro si erano lasciati andare all'idea che non ci fosse un'alternativa, che non esistesse una scelta. Il giovane Potter però, nel suo piccolo e pur con tutti i naturali alti e bassi, lo aveva sempre creduto; instancabile, aveva combattuto con le unghie e con i denti per aggrapparsi a quel brandello di umanità che lo rendeva ancora Albus Potter. Ma un brandello, per sua definizione, è un qualcosa di incredibilmente fragile e sottile su cui far conto; basta un piccolo urto, il minimo scossone a lacerarlo. E a onor del vero, c'erano stati momenti in cui il moro aveva sentito di essere a un passo da quella frattura, dal punto di non ritorno. La seduzione di un sedativo a quel dolore si era prospettata ai suoi occhi come un'alternativa valida, forse l'unica a disposizione. Alla fine, però, tutto era andato per il meglio: una volta usciti era stato più semplice trovare ragioni per cui lottare e persone a cui appoggiarsi. Pur contro una guerra civile e l'imperversare della loggia, era stato comunque più facile - per certi versi - sopravvivere mentalmente. Solo ora, dopo tanto tempo, si sentiva nuovamente come un viandante su quella stessa strada che già una volta lo aveva condotto verso l'orlo del precipizio. Non sapeva dire cosa fosse quella sensazione, ne' da cosa scaturisse nello specifico, ma era netta e tagliente, come una lama che di tanto in tanto si infilzava nei suoi organi a mo' di memento mori. Era quello il lascito della scomparsa improvvisa e prematura di Eric Donovan: il ricordo di quanto la morte sia sempre stata loro col fiato sul collo.
    Non aveva mai avuto un rapporto col giovane giocatore dei Falcons: lo conosceva solo di nome e di vista, o comunque per vie molto traverse che implicavano l'amicizia con Malia. Non si era mai interessato a lui, ne' tanto meno si riteneva un suo fan; a conti fatti, ad Albus non era mai importato nulla del Quidditch - un po' per ripicca all'impossibilità di giocarci, un po' perché dopo una certa età i suoi interessi si erano sviluppati in altre strade. Tuttavia si sentiva addosso l'obbligo morale di andare a trovare la sua tomba vuota, di posarci qualche fiore tra i tanti e dedicargli un saluto. In fin dei conti, al posto suo avrebbe tranquillamente potuto esserci lui: nessuno poteva promettergli che l'assassinio di Donovan fosse stato mirato e che, in diverse circostanze, non sarebbe potuto toccare a qualunque altra persona su quel treno. Sospirando, aveva dunque stretto tra le mani il variopinto mazzolino di gerbere, avviandosi nella piccola città mortuaria per l'ennesima volta in quel breve lasso di tempo che aveva coperto gli ultimi due anni. Ormai aveva perso il conto di tutti i funerali a cui aveva assistito, di tutte le tombe a cui era andato periodicamente a portare il proprio rispetto. Compagni di scuola, ribelli, amici..aveva visto la sepoltura di così tante persone: ormai il fioraio del cimitero sembrava quasi essergli amico intimo.
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    Quando fu abbastanza vicino da intravedere la tomba di Eric Donovan, non fu troppo sorpreso nel vedere che qualcuno se ne stava accovacciato lì davanti, men che meno nel notare che quella persona era proprio Betty. Lei, tra tutti loro, era quella che se l'era passata peggio nel treno: era stata lei a rinvenire il cadavere del ragazzo in seguito a un misterioso biglietto, lei a rendersi conto che quello non era più un gioco, ritrovandosi gettato addosso tutto il peso di quel terrore. « Mi dispiace così tanto...vorrei aver potuto fare qualcosa...sapere che se avessi fatto più in fretta non sarebbe servito a salvarti la vita non mi basta. Vorrei aver fatto di più... » Stirò un piccolo sorriso amaro nell'udire le parole che la bionda stava rivolgendo al defunto, ritrovandosi a provare un forte dolore al petto nell'assistere a quella scena. Betty non se lo meritava. Non si meritava di soffrire più di quanto non avesse già fatto, e di certo non si meritava di sentirsi in colpa per ciò che era accaduto. Fece un passo avanti, Albus, attirando l'attenzione di lei con il rumore prodotto dalle foglie secche schiacciate sotto i suoi piedi. « Ehii...come stanno Lily e Jay? » Le sorrise, avvicinandosi alla tomba per posare il proprio mazzolino insieme a tutti i regali che erano stati lasciati lì davanti. Si fece un veloce segno della croce, più per abitudine che per religiosità, risollevandosi poi a guardare Betty. « Loro stanno bene. Stiamo cercando di stargli vicini il più possibile..sai.. » deglutì, incapace di articolare il pensiero che gli era spontaneamente sorto. ..non si sa mai. In fin dei conti era piuttosto chiaro che lui e Mun fossero tra i target di quella follia, e se lo erano loro..lo erano automaticamente anche Lily e Jay, che più di una volta erano stati usati come armi di ricatto nei loro confronti. Prese un sospiro, rimanendo in silenzio per qualche istante a fissare il nome di Eric Donovan sulla tomba. Secondi, quelli, che nella sua testa andarono a scorrere come ore intere, portando i suoi pensieri nei più disperati lidi della memoria e delle congetture, fin quando semplicemente non scattò in avanti, ritrovandosi ad avvolgere Betty in un abbraccio stretto - uno di quelli che non condividevano da anni. « Mi dispiace tantissimo. » Non sapeva nemmeno per cosa, nello specifico. Forse per non esserci stato, forse perché avrebbe preferito stare al suo posto piuttosto che vederla affrontare una simile situazione tutta sola. Non poteva nemmeno immaginare lo shock che aveva dovuto provare nell'assistere da sola a quelle scene terribili sul treno, nel vedersi le mani macchiate di sangue. Ma forse, ciò che lo faceva stare più male era il pensiero di quanto quell'accaduto dovesse ricordarle la morte della piccola Claire durante il lockdown. Chiuse gli occhi, stringendola più forte per un attimo, prima di lasciare lentamente la presa, ritrovandosi a poggiarle le mani sulle spalle e rivolgerle un piccolo sorriso che sperava essere incoraggiante. Sospirò, lasciando un angolo delle labbra sollevato in quel mezzo sorriso sghembo che aveva in sé tutta la contraddittorietà di emozioni all'interno del giovane Potter. « Come stai, Betty? »


     
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    « Loro stanno bene. Stiamo cercando di stargli vicini il più possibile..sai.. » Era ovviamente sollevata di sentirglielo dire, erano solo dei bambini innocenti e meritavano un'infanzia serena. Un'infanzia per cui Mun e Albus avrebbero lottato con i denti e con le unghie. Betty non conosceva quel tipo di amore, ma nonostante ciò riusciva a vederne la totalità; quasi come se fosse palpabile e visibile agli occhi. Poteva solo immaginare il sollievo che entrambi avessero provato nel riabbracciare i loro bambini, stringere tra le braccia i loro corpicini caldi e allontanare per qualche momento l'orrore della notte di capodanno. Si alzò da terra, spolverando con le mani l'orlo della gonna nera; alla ricerca di una distrazione che le impedisse di piangere ulteriormente. « Fate benissimo, dopotutto cosa c'è di meglio del sorriso di un bambino per allontanare, anche solo per un po', i brutti ricordi?! » Ricordi da cui Betty era ormai tormentata e da cui non riusciva a liberarsi. Un tormento che spesso la sorprendeva di notte, impedendole di dormire o destandola con violenza da un sonno agitato. Quando Albus la strinse in un abbraccio non poté fare a meno che appoggiarsi a lui, a quel calore umano che le era di tanto conforto. « Mi dispiace tantissimo. » Un abbraccio che le era mancato. Prima di essere una coppia erano stati amici, in grado di capirsi con un solo sguardo; una complicità che con il tempo sembravano aver perso. Mormorò un semplice lo so, un accenno flebile che si perse contro il petto del ragazzo. Dopo la scoperta del cadavere era caduta in uno stato catatonico, non aveva fatto altro che tremare strofinandosi le mani sporche di sangue; fino a quando qualcuno era stato tanto gentile da coprirla e portarla lontana dagli sguardi impietositi. « Come stai, Betty? » Una domanda di cui nemmeno lei conosceva la risposta. Alzò semplicemente le spalle, reprimendo quelle dannate lacrime che sembravano accompagnarla come un'ombra; lacrime che lei era stufa di versare. Dopo il lock down aveva lottato duramente per ritrovare una sorta di equilibrio interiore che le permettesse di andare avanti. Aveva lottato da sola, perchè per quanto odiasse ammetterlo la solitudine era stata la via più rapida per la guarigione. Una solitudine che aveva odiato, ma che in qualche modo l'aveva fortificata. Sacrifici che ora erano nuovamente minacciati dall'orrore della morte. « Sono stanca Albus...sono stanca di essere circondata dalla morte... » stanca dei funerali, dei feretri, dei parenti piangenti e di questo costante senso di perdita. Il cimitero di Hogsmeade era disseminato di tombe nuove, quella di Claire era stracolma di fiori e peluche; bianca e immacolata. Tombe a cui ora di era aggiunta quella di Donovan, una tomba vuota, perchè chiunque ci fosse dietro quell'omicidio aveva pensato bene di privarli del corpo del ragazzo; di negargli la degna sepoltura che gli spettava. « Ho vent'anni...dovrei solamente pensare agli studi, a innamorarmi, a quale vestito indossare per un appuntamento...non al sangue che mi ricopriva le mani. » Sangue che ancora adesso riusciva a sentirsi addosso. Dopo essere arrivati in stazione a Berlino erano stati portati in albergo da parte degli auror tedeschi. La prima cosa che aveva fatto era stata immergersi nella vasca, ancora vestita, per lavarsi di dosso il sangue di Eric. Era rimasta immersa nell'acqua fino a quando non era diventata gelata, fino a quando non aveva iniziato a battere i denti per il freddo. Ancora oggi non riusciva a smettere di strofinarsi la pelle con forza, il suo corpo era infatti disseminato di piccole abrasioni. « Siamo diventate le pedine di un gioco perverso, un gioco su cui non abbiamo alcun controllo...ho dovuto dar fuoco all'abito di Mun! » Una cosa che aveva dovuto fare per proteggere sé stessa, per proteggersi dall'orrore che era stata costretta a subire durante il lockdown. « Quale mente malata può trarre divertimento da tutto ciò? Metterci uno contro l'altro. Quasi come fossimo delle semplici pedine su una scacchiera... » Un gioco a cui stavano miseramente perdendo e che non faceva altro che mietere nuove vittime. Chiunque si nascondesse dietro tutto ciò li conosceva alla perfezione, sapeva quali punti toccare e tutti loro erano stati talmente stupidi da cadere in trappola. « Siamo tutti con le spalle al muro, troppo impegnati a puntarci il dito contro per accorgerci che chiunque sia a capo di tutto ciò è dieci passi avanti a noi... » ...probabilmente ha già scelto la sua prossima vittima e noi non siamo nemmeno vicini a capire il perchè di tutto ciò. « Dovrei studiare per il mio futuro, ma ora come ora non posso fare a meno di chiedermi quale futuro? » L'ennesima domanda da aggiungere alla lista dei quesiti irrisolti che la tormentavano.
     
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    « Sono stanca Albus...sono stanca di essere circondata dalla morte...Ho vent'anni...dovrei solamente pensare agli studi, a innamorarmi, a quale vestito indossare per un appuntamento...non al sangue che mi ricopriva le mani. » Eppure eccoci qua. La generazione a cui Albus e Betty appartenevano era stata violentemente sradicata dall'età dell'innocenza, travolta da responsabilità e dolori che ragazzi come loro non avrebbero mai dovuto affrontare. Erano stati derubati del bene più prezioso, e per quanto provassero a dimenticarsene, sapevano fin troppo bene che nessuno avrebbe mai più potuto restituirgli ciò che gli era stato sottratto. Una consapevolezza opprimente, che gravava sulle loro spalle come una cappa, disegnando sui loro volti le linee di una maturità e di una disillusione troppo precoci, guadagnate col sangue e tramite esperienze la cui crudeltà nessuno di loro aveva veramente meritato. Non c'era rimedio a ciò che avevano vissuto, non c'era modo per dimenticare, per resettare tutto e tornare ad essere quei ragazzini spensierati che uscivano di testa per un gossip appeso in bacheca. Erano lì, abbandonati a se stessi, a fare i conti con esperienze che li avevano portati a crescere troppo in fretta in un mondo che non si muoveva alla loro stessa velocità e che ancora faticava a prenderli sul serio. « Siamo diventate le pedine di un gioco perverso, un gioco su cui non abbiamo alcun controllo...ho dovuto dar fuoco all'abito di Mun! » Abbassò lo sguardo a quelle parole, quasi colpito dalla vergogna di un atto che la sua mano non aveva compiuto. Il rogo aveva segnato perdita dei loro sogni, del loro matrimonio, di quella celebrazione messa in piedi con tanta cura e forse, in parte, anche del loro rapporto. Una piccola ferita, se messa a confronto con quella che Albus aveva subito nella stessa serata sotto la Cruciatus castata da Fawn, ma che inevitabilmente era andata a colpire nel cuore della giovane coppia. Ma lui, in quel momento, aveva avuto altro a cui pensare. La forza che lui e Mun avevano impiegato nel superare il trauma era stata erculea, lasciandogli poco tempo di piangere sulle ceneri di quel sogno andato in fumo. Disillusi e tristi, non erano riusciti nemmeno a trovare il tempo di piangere quel matrimonio su cui tanto avevano fantastico e che gli era stato tolto dalle mani un attimo prima di vederlo realizzarsi. « Quale mente malata può trarre divertimento da tutto ciò? Metterci uno contro l'altro. Quasi come fossimo delle semplici pedine su una scacchiera...Siamo tutti con le spalle al muro, troppo impegnati a puntarci il dito contro per accorgerci che chiunque sia a capo di tutto ciò è dieci passi avanti a noi...Dovrei studiare per il mio futuro, ma ora come ora non posso fare a meno di chiedermi quale futuro? » Le parole della bionda aleggiarono nel cimitero come lo spettro di quelle possibilità ormai sfumate, perse sotto i colpi di un presente che non sembrava intento a smettere di bastonarli. Ogni volta che si rialzavano, un'altra scarica era subito pronta a buttarli giù a terra. Sembrava fosse quasi un gioco, starli a guardare mentre tentavano con tutta la disperazione che avevano in corpo di rimanere in piedi; quasi ci fosse qualcuno, sopra di loro, divorato dalla curiosità di vedere quando sarebbe finalmente stato abbastanza, quando avrebbero smesso di combattere, di
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    sperare. « Non lo so, Betty.. » ammise amaramente dopo un lungo silenzio, ritrovandosi a guardarsi intorno come alla ricerca di un appiglio, uno qualsiasi per affrontare quella situazione orribile in cui la vita lo aveva gettato. Mi hai visto aspettare il sorgere del sole, e pure quando è arrivato, non ha portato con sé altro che devastazione. Forse saremmo dovuti rimanere su quella panchina. « A volte penso che se solo mi fermassi, se mi arrendessi..forse tutto questo finirebbe. Poi però penso anche che non posso permettermelo. Non per Jay, non per Lily. Il solo pensiero di consegnarli a un mondo governato dalla paura, con l'esempio di un padre che non si è preso la briga di lottare per loro.. » scosse il capo, come a voler scansare quel pensiero. « ..è inconcepibile. Come potrei guardarmi allo specchio? » Eppure l'idea di mollare era così seducente. Un anestetico a quel dolore insopportabile che gli devastava il cuore, stracciandolo in mille brandelli. Una lotta di sopravvivenza, quella, paradossalmente peggiore dell'esperienza nel lockdown. Lì, almeno, la minaccia era visibile: potevi combatterla, potevi ribellarti. Ma lo Shame? Lo Shame era fumo, e come il fumo - ogni volta che credevano di averlo in pugno, questo evadeva sottile tra le loro dita, lasciandoli a mani vuote. Come puoi combattere qualcosa che non vedi? Qualcosa che non lascia traccia, che non ha ne' volto, ne' corpo, ne' nome? Non c'è modo di vincere. E' una lotta palesemente combattuta ad armi impari, con esigue chance di vittoria. « Stiamo crollando, Betty. » ammise, riportando lo sguardo negli occhi della ragazza, con le iridi velate da un senso di disperazione. « Persino io e Mun.. » la voce gli si strozzò in gola contro la messa in parole di ciò che stava accadendo nel suo rapporto, qualcosa di cui non aveva parlato con nessuno. Tutto ciò che in quei mesi era accaduto dietro le porte chiuse della loro casa ad Inverness, Albus l'aveva tenuto per sé, spingendolo in un angolino della propria mente come al suo solito: lasciando che lo consumasse da dentro. « Ha annullato il nostro fidanzamento. » riuscì a buttar fuori infine, stringendosi nelle spalle come rassegnato. « Mi ha ridato l'anello e..non lo so, Betty, non lo so. Ogni giorno che passa ci allontaniamo sempre di più. E' come se le mie certezze stessero crollando una alla volta. » Fece una pausa, cercando disperatamente una risposta negli occhi della bionda, di quella ragazza che una certezza, per lui, lo era sempre stata - nel bene e nel male. « Non riesco a immaginare un futuro quando mi sembra di non avere nemmeno un presente. »


     
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    « A volte penso che se solo mi fermassi, se mi arrendessi..forse tutto questo finirebbe. Poi però penso anche che non posso permettermelo. Non per Jay, non per Lily. Il solo pensiero di consegnarli a un mondo governato dalla paura, con l'esempio di un padre che non si è preso la briga di lottare per loro...è inconcepibile. Come potrei guardarmi allo specchio? » Semplicemente non poteva, Betty lo conosceva fin troppo bene e sapeva che Albus non era il tipo che amava darsi per vinto. Di fronte alle avversità non si sarebbe mai ritrovato con le braccia incrociate, pronto ad accettare quel senso di impotenza che sembrava dilagare tra tutti loro in quel momento. Non era semplicemente la responsabilità e il dovere nei confronti di suo figlio, era semplicemente Albus...predisposto a lottare anche quando le prospettive di successo erano ben inferiori allo zero. Essere padre non faceva altro che amplificare quel suo lato combattivo, quella sua voglia di perseverare nella lotta nonostante tutto. « Stiamo crollando, Betty. Persino io e Mun.. » La voce strozzata e lo sguardo perso del ragazzo le spezzarono il cuore, le voci che si erano diffuse sulla coppia erano molteplici; soprattutto quando Lavanda si era fatta portatrice di ogni genere di pettegolezzo, come una vera e propria vipera. Voci da cui Betty si era sempre distaccata, che aveva preferito non commentare e non fomentare il alcun modo. Dopo il rapimento dello Shame i suoi rapporti con i due si erano ridotti all'osso, gli unici momenti in comune che aveva con loro erano quando si incrociavano nei corridoi dell'università mentre si spostavano da una lezione all'altra. Una parte di lei si era tenuta fuori volontariamente da quella situazione, era amica di entrambi, teneva sia ad Albus che a Mun, ma allo stesso era l'ex di Albus e l'ultima cosa che voleva era fomentare inutili voci che avrebbero incrinato maggiormente il loro rapporto. « Ha annullato il nostro fidanzamento. Mi ha ridato l'anello e..non lo so, Betty, non lo so. Ogni giorno che passa ci allontaniamo sempre di più. E' come se le mie certezze stessero crollando una alla volta. Non riesco a immaginare un futuro quando mi sembra di non avere nemmeno un presente. » Guardò il ragazzo con affetto e proprio come aveva fatto lui in precedenza non poté fare a meno di abbracciarlo, per cercare di assopire per qualche secondo il dolore che sembrava attanagliarlo vivo. Un abbraccio breve che sciolse velocemente per confortarlo ulteriormente. Capiva la paura del ragazzo solo in parte, Albus aveva una famiglia a cui badare e per quanto lei si potesse sforzare non sarebbe mai stata in grado di capire fino in fondo il suo punto di vista; Albus e Mun avevano due vite che dipendevano in tutto per tutto da loro, mentre lei spesso fatica a prendersi cura della sua stessa salute. « A volte tu e Mun siete talmente uguali che dovreste semplicemente prendervi a schiaffi da soli... » Un piccolo sorriso accompagnò quelle parole, quel piccolo rimprovero che probabilmente si meritava anche la mora. « Vi credete tanto diversi quando in realtà siete uno l'immagine speculare dell'altra...eppure vi ostinate a scornarvi. » Si combattevano l'un l'altra fino allo stremo, quasi come se quello fosse il loro modo di mostrarsi a vicenda l'amore che provavano. « Non mentirò dicendo di conoscere i vostri problemi, ma conosco voi e per Dio siete due somari. Avete due figli, perchè per quanto Jay possa non essere il figlio biologico di Mun lo è sotto ogni altro aspetto, e per questi due bambini state lottando con le unghie e con i denti... » Una lotto in cui non si sarebbero mai arresi. « Solo che avete due modi diversi di farlo e ciò vi porta a scontrarvi, a punirvi l'un l'altro...e non per una strana vena masochista, ma semplicemente perchè è ciò che vi spinge a lottare con ancora più tenacia. » Dio sembro la mia strizzacervelli. Se qualcuno un anno prima le avesse detto che un anno più tardi avrebbe cercato di riavvicinare Albus a Mun ci avrebbe riso sopra, ma dopo tutto quello che avevano passato non vedeva altro che due amici a cui teneva, due persone per lei importanti che si stavano ferendo a vicenda. « Sono più che sicura che Mun non ti ha ridato l'anello e annullato il matrimonio perchè non ti ama e non vuole più sposarti...dopo il lockdwon ti ha seguito senza battere ciglio, entrambi vi siete creati una casa e una famiglia. Una come Mun non va contro tutto e tutti per un semplice capriccio, o per il brivido di provare qualcosa di diverso... » Era stata pronta a voltare le spalle alla sua famiglia, alle sue amicizie di sempre solo per Albus, per loro due e quel progetto di vita insieme che avevano appena cominciato a costruire. « Come dici tu il futuro è incerto di fronte ad un presente come quello che stiamo vivendo...ma il vostro presente sono i vostri figli, che contano molto più di qualsiasi anello o matrimonio...cos'è poi il matrimonio a questo punto? » Vivevano insieme come marito e moglie, avevano due figli e per quanto ne sapeva lei Mun era più che decisa ad adottare Jay come fosse suo. « E' una formalità, un pezzo di carta di cui ora non avete bisogno perchè dovete concentrarvi su altro. Quando tutto questo sarà finito, le infilerai nuovamente quel dannato anello e se servirà ti aiuterò a trascinarla sull'altare io stessa... »
     
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    Si abbandonò all'abbraccio di Betty come tante volte aveva fatto prima di allora, come ai vecchi tempi, affondando il viso nell'incavo del suo collo quasi a nascondersi da una realtà che ormai lo perseguitava alla stregua di un'ombra. Un bambino che voleva sentirsi protetto: ecco cos'era Albus in quel momento. E quella protezione, l'aveva inconsciamente ricercata proprio in Betty. La Branwell era sempre stata particolarmente premurosa nel medicare le ferite del giovane Potter, sia che esse fossero fisiche, sia che appartenessero al reame dell'invisibilità. Ogni rissa, ogni dolore, ogni colpo che la vita gli aveva inferto - lei era sempre stata lì, pronta ad ascoltarlo e ricucirlo, persino quando lui per primo l'aveva scansata. Sembrava una dipendenza psicologica, quella che esisteva tra Betty e Albus: l'uno era dipendente dalle premure di lei, mentre l'altra da quel suo stesso spirito altruistico che la portava a dispensare cure. In una maniera o nell'altra, c'era sempre stata una ricerca più o meno marcata dell'altro: una volontà di ritrovare puntualmente quel qualcosa di irreplicabile che si creava dal loro contatto. D'altronde, i rapporti non sono interscambiabili, e ciò che ci offre una persona non sarà mai lo stesso di ciò che ci offrirà qualcun altro. Tra Betty e Albus, quello era sempre stato un punto di complementarità, un qualcosa che inevitabilmente aveva contribuito all'approfondirsi del loro rapporto. Lo sapeva, il giovane Potter, che in certe situazioni sarebbe stato inevitabilmente portato a cercare Betty, come se fosse nella sua natura, inspiegabile e potente. Ci aveva fatto i conti e lo aveva accettato, capendo che in fin dei conti certe cose non si possono cancellare a piacimento. « A volte tu e Mun siete talmente uguali che dovreste semplicemente prendervi a schiaffi da soli..Vi credete tanto diversi quando in realtà siete uno l'immagine speculare dell'altra...eppure vi ostinate a scornarvi. » Sorrise appena a quelle parole, sebbene ci fosse poca gioia in quelle linee che le sue labbra andarono a creare. Betty non aveva torto: Albus e Mun erano due facce di una stessa medaglia. Testardi e passionali, tenevano alle persone in maniera morbosa, ma sempre con un pizzico di supponenza. Spesso e volentieri dimostravano questo amore in modalità piuttosto distorte, imponendo la propria volontà su quella degli altri nella convinzione che fosse per il meglio; non lasciavano spazio di manovra, perché farlo significava esporsi a degli imprevisti, o anche soltanto lasciare che le persone facessero i propri errori e ci sbattessero la faccia. No, loro preferivano di gran lunga fare una miriade di cazzate piuttosto che permettere alle persone a cui tenevano di farne anche solo una. Nobile, da un certo punto di vista, ma estremamente egoistico e assurdo dall'altro. Forse la cosa avrebbe potuto pure pendere verso il primo aggettivo, se solo il loro modo di porsi non fosse stato così aggressivo e violento. Non prendevano prigionieri, Albus e Mun, ma ferivano deliberatamente - e spesso, lo facevano anche l'uno con l'altra. « Non mentirò dicendo di conoscere i vostri problemi, ma conosco voi e per Dio siete due somari. Avete due figli, perché per quanto Jay possa non essere il figlio biologico di Mun lo è sotto ogni altro aspetto, e per questi due bambini state lottando con le unghie e con i denti...Solo che avete due modi diversi di farlo e ciò vi porta a scontrarvi, a punirvi l'un l'altro...e non per una strana vena masochista, ma semplicemente perché è ciò che vi spinge a lottare con ancora più tenacia. » E forse Betty non aveva torto. Forse quell'aggressività, quel continuo scannarsi e abbaiarsi l'un l'altro, era il loro modo malato di tenere in vita la voglia di combattere, o di risvegliarla dal torpore. D'altronde, non era così che avevano sempre fatto? Si erano punzecchiati fino al limite, scovando nei reciprochi animi la volontà di lottare anche in battaglie che sembravano perse in partenza. Però non mi ricordavo che facesse così male. Non se lo ricordava, Albus, se fosse sempre stato così difficile sopportarlo. Ma tendeva a pensare che all'epoca, due anni prima, non lo fosse stato. Forse perché ancora non stavano insieme, e insultarsi sembrava facile, quando da perdere non avevano nulla. Andare ognuno per la sua strada, non parlarsi, non guardarsi - ai tempi era naturale, perché semplicemente rispecchiava l'ordinaria amministrazione. Adesso, però, significava perdere le cose stesse per cui avevano tanto lottato. Significava stare distanti dopo aver provato quanto dolce e confortante fosse la vicinanza. « Sono più che sicura che Mun non ti ha ridato l'anello e annullato il matrimonio perché non ti ama e non vuole più sposarti...dopo il lockdwon ti ha seguito senza battere ciglio, entrambi vi siete creati una casa e una famiglia. Una come Mun non va contro tutto e tutti per un semplice capriccio, o per il brivido di provare qualcosa di diverso... » Fece schioccare la lingua sul palato, stringendosi nelle spalle. « E allora perché lo ha fatto? Gettare un anello di fidanzamento, a casa mia, è un modo piuttosto plateale per dire "ehi stronzo, non voglio più sposarti". Eppure quando gliel'ho proposto sembrava al settimo cielo. Diamine, hai visto pure tu che zelo ci ha messo a preparare tutto. E adesso? » Adesso puff? Niente? « Adesso ci ha ripensato? Non capisco. Non ha senso. » C'era una certa frustrazione nelle sue parole. La frustrazione di non capire cosa potesse passare nella testa della donna con cui viveva e cresceva due figli. « Come dici tu il futuro è incerto di fronte ad un presente come quello che stiamo vivendo...ma il vostro presente sono i vostri figli, che contano molto più di qualsiasi anello o matrimonio...cos'è poi il matrimonio a questo punto? E' una formalità, un pezzo di carta di cui ora non avete bisogno perché dovete concentrarvi su altro. Quando tutto questo sarà finito, le infilerai nuovamente quel dannato anello e se servirà ti aiuterò a trascinarla sull'altare io stessa... » Rimase in silenzio, mordendosi il labbro inferiore e passandosi una mano tra quella sua chioma scompigliata, pensieroso. Stava riflettendo sulle parole della bionda, cercando di adattarle ai propri pensieri e trovare una risposta ai mille interrogativi che aveva dentro. Alla fine, scosse il capo, vigoroso. « Lo so, Betty, lo so che è una formalità. Ma è una formalità che ha un significato, capisci? » Posò lo sguardo negli occhi di lei, fermo, cercando di farle comprendere il punto del suo discorso. « E rigettarlo ha un significato a sé stante, nettamente inverso. Un conto è dire "non è questo il momento di sposarci, aspettiamo che passi la bufera", e un conto è restituire materialmente un anello e rompere il fidanzamento. Questo è un no. Ci stanno poche interpretazioni. » Si passò le mani tra i capelli, rendendosi conto in quel momento di aver dato parola a tali pensieri per la prima volta. Nemmeno con la sua famiglia ne aveva parlato. Solo lì, con Betty, la diga si era aperta, lasciando straripare quel fiume di ansia e frustrazione. « Non lo so..forse si è resa conto che non lo vuole. » Il silenzio calò di nuovo sotto quelle parole smorzate, sotto lo sguardo perso chissà dove di un Albus che non sapeva più da dove riprendere le redini di una relazione che sembrava andare in una strada completamente diversa da quella che si era prospettato. « Cosa faccio, Betty? » chiese infine, serio, riportando lo sguardo su di lei. « Cosa faccio se è così? Se è vero che non mi vuole, che per lei sta finendo..cosa devo fare? » Perché io non lo so. Non riesco nemmeno a pensarlo.

     
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