La Mano Monca

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    «Levicorpus.»
    Il mondo si capovolse in un battito di ciglia. Azura rimase a penzolare per qualche secondo prima di venire schiantata al suolo con un singolo gesto del polso dell'avversaria. Tossì un paio di volte, ricoperta di polvere, la bacchetta poco distante da lei. Si avvicinò per prenderla in mano, ma un'altra onda di luce verde la colpì, allontanandola verso il lato destro dello scantinato. Qualcuno trasalì, altri esultarono.
    «Zura, alla tua destra!» Seguì l'indicazione della voce, e riuscì a rotolare verso sinistra, scansando l'ennesimo colpo. La bacchetta era troppo distante per poterla recuperare, per cui quello che poteva fare adesso era trascinarsi fino a raggiungerla, cercando di evitare quanti più fendenti possibili. Della lotta corpo a corpo non se ne parlava neppure.
    Serrò la mascella, gli occhi puntati sull'avversaria mentre le concedeva il tempo di tornare in piedi. Sentì qualche goccia di sangue scivolarle dalla fronte lungo le tempie, e si pulì noncurante. La ragazza di fronte a lei doveva avere un paio di anni in meno, eppure sapeva combattere con una maestria che Azura senz'altro non possedeva – non nel duello con le bacchette. Fu quando l'attaccò di nuovo che potè lanciarsi al suolo, per schivarla, e riuscì a raggiungere la sua bacchetta. Urla – se di frustrazione o sollievo fu difficile dirlo – si sollevarono quando la strinse di nuovo tra le dita.
    «Protego!» Fu urlato giusto in tempo per difendersi dall'ennesimo attacco. Con un movimento del polso Azura contrattaccò, e un rivolo di vortice di fuoco partì dalla sua bacchetta. L'«Aqua Eructo!» della sua avversaria non fu abbastanza rapido né potente da proteggerla. Quando fu al suolo, e la campana fu suonata da un centauro dall'espressione terribilmente seria, Zura abbassò l'arma.

    Il suo riflesso nello specchio appariva preoccupato. Zura si sistemò una ciocca di capelli biondi dietro l'orecchio, stringendo appena le labbra per il dolore. Il taglio non era eccessivamente profondo, ma era sicuramente sporco dal sottile strato di polvere che le ricopriva la guancia.
    «Epismendo». La punta della bacchetta tracciò una linea luminosa lungo il taglio che le percorreva il lato del viso, dall'altezza degli occhi fino al naso. Pizzicava. Chissà come quel dolore, decisamente inferiore rispetto a quello provato quando la ferita le era stata impartita, le sembrasse più fastidioso. Aveva un sapore diverso.
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    Sollevò la maglietta in modo da scoprirsi il fianco. Anche quello che indossava si era sporcato, e schioccò la lingua nel notare l'ematoma che iniziava a formarsi all'altezza delle costole. Distrattamente, si passò il dito sul livido, con estrema leggerezza. Tenne a mente che per la prossima volta avrebbe dovuto portarsi un ricambio di vestiti.
    Quando ebbe finito di medicarsi, si lavò la faccia, sistemò i capelli e indossò del lucidalabbra. Sembrava ancora la solita Azura? Zip si sarebbe accorto che qualcosa non quadrava? Guardò incerta il suo riflesso un paio di volte, cercando di ricordarsi che forma avesse il suo sorriso spontaneo, prima di lasciare la toilette del pub. Nel locale, la quantità di fumo era tale da filtrare la luce artificiale delle candele incantate che lo illuminavano, e l'effetto era come quello di un film noir. Finalmente, però, lo intravide, e prima di avvicinarsi ulteriormente si diede un'ultima sistemata, tirando giù il maglione grigio e sbattendo le mani sui jeans in modo da ripulirli. No, decisamente non sembrava la solita.
    «Zippo!» Lo abbracciò da dietro, cingendogli le spalle e poggiando la testa nella curva del suo collo. Solo mentre lo faceva si rese conto che fosse un gesto fin troppo intimo visti i rapporti ormai più distanti tra i due ragazzi, e si ritrasse con una certa rapidità, un po' imbarazzata per quel suo eccesso di affetto. Oltretutto lei, se doveva dirla tutta, un po' con lui ce l'aveva.
    Si grattò la nuca, prendendo posto di fronte a lui scivolando sulla panca di legno accostata al loro tavolo. «Perdonami se sono in ritardo...» cominciò, a bassa voce, evitando di incontrare il suo sguardo. «Mi aspetti da tanto? Ti avrei avvisato se avessi potuto, ma sai com'è, con questa nuova storia dei cellulari banditi...» Fu cauta nel fermarsi dallo spiegare cosa l'avesse tenuta occupata fino al loro incontro. Sospirò, guardandosi attorno. Un occhio attento l'avrebbe descritta irrequieta, su di giri, ma un occhio amico ed esperto avrebbe capito che fosse spaventata. «Che ne pensi di questo posto? Lo so che Nocturn è un po' inaspettato, spero che non ti sia parso troppo strano incontrarci qui... Ero in zona, per cui ho pensato che andasse bene...» Calma, Azura, datti una calmata.
    Per la prima volta da quando gli si era seduta di fronte, la ragazza si prese il tempo di posare lo sguardo sulla figura del suo migliore amico. E qualcosa si strinse, dentro di lei; forse lo stomaco, forse i polmoni, o forse il cuore, o tutti e tre insieme. Improvvisamente le venne voglia di piangere, ma non ne fu capace. Non era poi da così tanto che non lo vedeva: l'ultima volta era stata ad Ottobre, alla festa di Halloween a casa di alcuni amici dell'università. Le parve una vita fa, perché per quanto si fossero divertiti si erano persi di vista ad un certo punto. Tentativi di organizzarsi per vedersi più tardi erano sempre risultati in un buco nell'acqua; ad Azura ricordavano due mine vaganti che continuavano a mancarsi.
    Avrebbe voluto dirglielo, prendergli la mano e dirgli che tutto quell'affetto che aveva provato per lui negli anni che si erano conosciuti era ancora lì, e l'avrebbe fatto, gli avrebbe raccontato tutto: di Seb, di Nate, del Corso Auror, dei mille dubbi, di Capodanno, e infine anche del motivo per cui aveva quei lividi sul corpo e quei tagli sul viso che aveva tentato di medicare – ma non lo fece. Tenne la mano ferma sul tavolo, un groppo in gola montante che le si era incastrato sotto la lingua e non riusciva a salire. Azura era sempre stata consapevole della propria eccessiva emotività, e del fatto che quella loro amicizia sembrava ruotare in funzione del bisogno che lei avesse di una persona come Zip al suo fianco. E anche lei c'era stata per lui, e l'avrebbe sempre fatto, ma la quantità di tempo ed energie richieste da una come lei neanche lontanamente combaciavano a quelle spese per prendersi cura di lui. Zip sapeva spronarla, spingerla, porgerle una mano per tirarsi su e confortarla senza bisogno di aprire bocca. Ma qualcosa dentro di lei si rifiutava di ricoprire quel ruolo ancora una volta, così incurvò le labbra in un sorriso semplice, riacquisito il controllo e acquietato quell'eccesso di pericolosa emotività. «È bello vederti. Dobbiamo restare di più in contatto, okay?» Fece, sporgendosi. Mentre parlava, si chiese se l'incantesimo per nascondere le ferite funzionasse anche più in profondità, e potesse aiutarla a mantenere quella facciata di normalità.
    «Pretendo di venire aggiornata su tutto quello che mi sono persa dall'ultima volta che ci siamo visti. Non tralasciare neanche un dettaglio. 3, 2, 1.. Vai.» Guardandolo, realizzò che se lui si fosse permesso di chiederle come stava, niente e nessuno sarebbe stato capace di fermarla dallo scoppiare a piangere. Troppo tardi si rese conto di essersi dimenticata di medicarsi la ferita sulla fronte, che proprio in quel momento riprese, lentamente, a sanguinare.
     
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    « Allora, ci vediamo dopo? » Jane si appoggia con le spalle all'armadietto vicino al suo. E per fortuna ha lo sportello aperto, così che lei non possa notare il roteare infastidito dei suoi occhi al cielo. Jane è molto carina, davvero, gli fa favori, ha un davanzale notevole, lo fa sgattaiolare spesso in pronto soccorso, ma è anche evidentemente troppo, davvero troppo appiccicosa. Si attacca a mo' di cozza e poi è difficile scrollarsela via di dosso. « Mmh, non saprei. » Commenta, rimanendo sul vago, per cercare di non darle il benservito. Non vuole di certo vedere andare in fumo tutti i suoi sforzi di quei mesi che, seppur il soggetto in questione fosse davvero gradevole all'apparenza, erano stati davvero tanti, cercando di sopportare quell'onda disumana di richiesta d'attenzioni da parte sua. Quindi, se da una parte la vorrebbe mandare solo affanculo, dall'altra le serve. E' la pura e spicciola verità. « Avevi detto che ci saremmo visti. Per bene questa volta. » Quand'è che l'avrei detta io questa cosa? « Jane.. » prende a dire, chiudendo l'armadietto una volta riposte tutte le sue cose all'interno. Ma lei non lo fa parlare, perché lo rincalza nuovamente. « Avevamo detto di andare a mangiare fuori e magari andare al cinema babbano, poi. » Uè uè, ma quando è successa questa conversazione? Nella tua testa forse. Una smorfia si profila sul suo volto, mentre il fastidio che sente in quel momento appare ormai evidente. « Devo essermi perso questo scambio di battute tra di noi, suppongo. » Alza un sopracciglio e sta per aggiungere altro, quando un gufo becchetta alla finestra dello stanzino. Insistentemente. Talmente tanto da non poterlo ignorare in alcun modo. Si avvicina al vetro e lo apre, lasciando entrare l'animaletto che si scrolla subito di dosso la pioggerellina rimasta incastonata tra le sue piume, prima di depositare tra le sue mani un biglietto. Lo apre, lo legge velocemente e un sorriso si apre sulle sue labbra. La mia salvatrice. « Devo andare, affari urgenti. A casa. Ci vediamo domani, okay? » Recupera lo zaino, gli sfreccia vicino e si abbassa, quel tanto che gli basta per stamparle un bacio veloce sulla guancia perché dai, se lo aspetta sicuro per poi volare via, più velocemente possibile per sfuggire a qualsiasi altra sua replica.

    La Mano Monca. Non aveva nemmeno idea dell'esistenza di quel posto. Non vi è nemmeno mai passato davanti, tanto da aver avuto difficoltà a trovarlo, senza l'ausilio delle mappe sul cellulare. Un'altra delle cazzate fatte da questo governo. Ma la fortuna vuole che Zip conosca bene le viottole di Nocturn, dove spesso e volentieri si ritrova per andare a reperire gli ingredienti - perlopiù illegali - per poter fare i suoi esperimenti alchemici per il suo nuovo hobby. Ma Zura cosa c'entra con un posto del genere? Si domanda, una volta entrato in quella bettola all'apparenza decisamente malfamata che però esercita un certo fascino sul giovane canadese. E' tutto cupo lì dentro, dai colori scuri, dal pesante fumo di sigari e pipe che aleggia per tutto il locale e che filtra la poca luce provenienti dalle candele sparse qua e là, con tutta la cera sciolta alla base. Mentre si addentra per il salone principale, gli occhi cerulei di Zip si ritrovano ad essere catturati più e più volte da soggetti completamente diversi nel giro di pochi istanti. Si sente come un bambino, la cui soglia dell'attenzione non arriva a sfiorare nemmeno i dieci secondi prima di scivolare via, mentre rimane affascinato dal viso sfregiato di una centaura, per poi passare ad osservare il viso tenebroso di uno dei baristi, il classico brutto ceffo per poi finire ad ammirare la vicina di tavolino, alla quale riserva un'occhiata fin troppo lunga mentre butta giù mezzo bicchiere dell'Incendiario che ha davanti a sé.
    «Zippo!» L'abbraccio da dietro e la voce dell'amica lo colgono alla sprovvista, facendolo irrigidire nell'immediato e deve accorgersene anche lei, perché scivola immediatamente via, per andarsi a sedere di fronte a lui. Le cose con lei sono strane. Ma non strane come con Win, con cui, nel bene e nel male, le litigate stanno sempre dietro l'angolo. No. Con Zura c'è qualcosa che non va, di sottofondo, ed è abbastanza evidente, ma lei non parla. Lei sorride, come fa in quel momento. Si sforza di farlo, fingendo una normalità che tra di loro non sembra essere più così normale. «Perdonami se sono in ritardo...Mi aspetti da tanto? Ti avrei avvisato se avessi potuto, ma sai com'è, con questa nuova storia dei cellulari banditi...» Scuote la testa, mentre prende un altro sorso di whisky. Accenna poi un sorriso. « Tranquilla. Questo posto fa perdere decisamente la cognizione del tempo. » Indica lo spazio intorno a loro con l'indice, per poi voler aggiungere altro ma lei lo anticipa. «Che ne pensi di questo posto? Lo so che Nocturn è un po' inaspettato, spero che non ti sia parso troppo strano incontrarci qui... Ero in zona, per cui ho pensato che andasse bene...» La fissa, per qualche secondo di silenzio puro. C'è qualcos'altro che non gli sta dicendo. Si sta
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    sforzando fin troppo di risultare normale. « Molto affascinante. Sai quanto determinate cose abbiano ascendente su di me. » E tutta quella decadenza, mista a quel palpabile senso di pericolo che si va creando sulla punta della lingua, non appena si mette piede in quel posto, è decisamente la sua tazza di tè. « Ma non lo so, è un posto strano. Decisamente non da Azura, quindi sono un attimo combattuto. Vuoi dirmelo tu com'è che eri qua nei paraggi? » Sorride serafico aspettando da lei una risposta che, con tutta probabilità, sarà una storia ben studiata. Ma non la verità. La verità forse me la devo cercare da solo? Si chiede ispezionando, centimetro dopo centimetro, il viso della ragazza. Ha una ferita sulla fronte che risalta subito, avendo ancora i lembi rossi. Te la sei fatta in allenamento? Si domanda, per poi scendere velocemente verso le mani, la cui pelle è provata, leggermente screpolata sulle nocche. Sospira, prima di fermare un cameriere, chiedendo un pasticcio di carne perché effettivamente lui non ha ancora cenato. « Non dirmi che non hai fame. » La invoglia con lo sguardo, accennando all'uomo, dal sopracciglio spaccato, che attende lì con impazienza fin quando non riceve l'ordinazione. «È bello vederti. Dobbiamo restare di più in contatto, okay? Pretendo di venire aggiornata su tutto quello che mi sono persa dall'ultima volta che ci siamo visti. Non tralasciare neanche un dettaglio. 3, 2, 1.. Vai.» Annuisce con un sorriso sincero, mentre decide di parlarle di Jane, così, giusto per ridacchiare di fronte alla sua faccia indispettita, prima di beccarsi una ramanzina di tutto rispetto "perché non ci si comporta così." « Ma sai..le soli- stai sanguinando! » Un rivolo rosso le solca la fronte, scendendo giù, verso la tempia. Non ci pensa due volte prima di prendere la bacchetta per puntargliela addosso, castando un Epismendo. Il sangue si ferma e lui prende un fazzoletto dal tavolo, per andare a ripulirle il viso. Tutto questo in estremo silenzio. Senza chiedere niente, pur avendo tremila domande che frullano nella sua testa. E' in quel momento che allunga la mano verso lo zaino, posato a terra, per poi tirarvi fuori una piccola boccetta. La sistema tra di loro, prima di farla scivolare verso di lei con il dito indice. E' una pozioncina all'apparenza incolore. « Tre gocce basteranno. » La intima, accennando alla ferita con un movimento del mento. « E' essenza di Dittamo. Ne porto sempre un po' con me, deformazione professionale.» Sorride, prima di riprendere a guardare la ferita. Si domanda se il Dittamo sia abbastanza, essendo una ferita che forse è più profonda, tanto da aver ripreso a sanguinare all'improvviso, oppure se abbia bisogno di qualche punto di sutura. « Vogliamo continuare a fingere di non vederlo questo cazzo d'elefante nella stanza? » Se ne esce poi, lasciando che gli occhi scivolino nuovamente verso il basso, all'altezza dei suoi. « Che è successo, Zu? » Che ti è successo?


    Edited by anesthæsia¸ - 2/3/2020, 09:38
     
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    Se avesse dovuto spiegare a qualcuno il motivo per cui aveva iniziato a frequentare il Pulse, Azura Jackson avrebbe faticato a trovare le parole giuste. In buona parte, sarebbe stato difficile perché lei una ragione ce l'aveva, ma aveva come la sensazione che non sarebbe mai riuscita a raccontarla. Che probabilmente, nel momento in cui avesse aperto bocca per iniziare a spiegarsi, sarebbero venute fuori parole sconclusionate, motivazioni solo in parte veritiere, e questo perché il suo unico obiettivo, nel parlarne a qualcuno, sarebbe stato quello di cercare di farsi capire; e in quello sforzo a tramutare sensazioni e pensieri personalissimi, che la facevano sentire pazza e un po' sbagliata, in parole chiare a chiunque, in concetti semplici da mettersi in tasca e portarsi via, in quella sorta di riduttiva semplificazione imposta dal linguaggio, Azura sapeva che non sarebbe trasparsa neanche metà delle sue vere motivazioni, della sua verità. In parole semplici, avrebbe mentito, e non perché intendesse ingannare, ma perché non sapeva come fare a essere sincera. E forse Zip, seduto di fronte a lei, sarebbe riuscita ad avvertirla, quella sua nuova falsità, e probabilmente gliel'avrebbe fatta anche notare, e a quel punto come avrebbe reagito?
    «Molto affascinante. Sai quanto determinate cose abbiano ascendente su di me. Ma non lo so, è un posto strano. Decisamente non da Azura, quindi sono un attimo combattuto. Vuoi dirmelo tu com'è che eri qua nei paraggi?» “Da Azura”. Sotto al tavolo, le mani tenute in grembo, Zura si massacrava le cuticole, scavano sempre più a fondo. Si strinse nelle spalle noncurante. «È un posto come un altro... Non si può rimanere le stesse persone per sempre» aveva detto infine, evasiva, dimenticandosi di accompagnare una frase come quella ad un solito sorriso leggero, messo lì per sdrammatizzare.
    In verità, comunque, lei lo aveva invitato lì solo perché aveva voglia di rivederlo. Anzi, ne aveva avvertito il bisogno. Si sarebbe mantenuta alla larga da argomenti pesanti, avrebbe evitato di parlare di sé quanto possibile, lo avrebbe ascoltato e sarebbe stata la solita. Forse sarebbe persino riuscita a riafferrare un po' della sua vecchia normalità.
    Eppure, quello di cui Azura ancora non sembrava rendersi conto, era che niente, di quell'intero incontro, era leggero, niente era spensierato, niente era superficiale. Perché lo aveva invitato proprio alla Manco Monca? E perché, se l'aveva invitato di pomeriggio, non aveva potuto astenersi dal partecipare a un combattimento proprio poche ore prima di vederlo? Perché era stata così maldestra?
    Ouch. Una delle cuticole prese a sanguinare, e si portò il pollice alla bocca. Ultimamente sembrava non avere controllo delle sue azioni, avere la testa altrove, votata solo all'autosabotaggio. Qualcosa doveva essersi come rotta – era questa la sensazione ricorrente.
    «Non dirmi che non hai fame». Scosse la testa, ma Zip sembrava non voler accettare quella risposta come buona. Oltre a non avere appetito, non aveva mai mangiato alla Mano Monca da quando ne era diventata un'assidua frequentatrice, perché l'idea di masticare del cibo preparato nelle cucine di un locale come quello le ispirava tutto fuorché fiducia. Alla fine però dovette cedere a Zip, un angolo della bocca si incurvò verso l'alto. «Per me andrà bene qualsiasi cosa vorrà prepararmi Rooth, basta che sia stato cucinato meno di 24 ore fa» disse con un sorriso poco più ampio al cameriere, con cui ormai aveva una certa, modesta, confidenza. Spesso, quando non aveva voglia di tornare a casa, rimaneva a chiacchierare con il cuoco, Rooth, che non disdegnava l'aiuto che puntualmente la ragazza gli offriva nelle cucine, ora per pulire, ora per portare un piatto ad un tavolo. Era una tendenza piuttosto naturale in Azura, quella di fare amicizia ovunque fosse, con chiunque si trovasse attorno. Il fatto di essere cresciuta in un ambiente completamente diverso da quello non sembrava crearle particolari difficoltà. Lynch rispose con stringendo le labbra e annuendo brevemente, e si allontanò.
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    Tornò a concentrarsi sull'amico, e sinceramente interessata si poggiò allo schienale della sedia, incrociando le braccia al petto, pronta ad ascoltare. «Ma sai...le soli-stai sanguinando!». Cazzo. Si portò le dita verso la ferita, da cui avvertiva star colando qualche goccia di sangue. Prima che potesse spiegarsi, Zip aveva già estratto la bacchetta, lanciato un Epismendo, e estratto una pozione curativa dallo zaino. «Tre gocce basteranno». Non mi ha neanche chiesto perché sto sanguinando. Esitante, afferrò la boccetta al centro del tavolo, spostando lo sguardo incerto dal volto dell'amico all'etichetta, scritta a mano. «È essenza di Dittamo. Ne porto sempre un po' con me, deformazione professionale Questa roba Reek non la vendeva. Aveva sentito dire che, in caso di urgenza, l'unico modo per procurarsi una pozione curativa dopo un duello era tramite un certo Puck. Per fortuna, fino a quel momento non aveva mai avuto bisogno di pozioni, e se l'era cavata con qualche incantesimo e fasciatura. Seguì le istruzioni di Zip, scostandosi i capelli e cercando di centrare il taglio sulla fronte, stringendo gli occhi per il pizzicore mentre i lembi della ferita si stringevano e il rossore scompariva.
    «È normale che pizzichi?» si limitò a chiedere tra i denti, arricciando il naso. Avrebbe voluto tenere per sé tutta la boccetta, in caso di necessità in futuro, ma non era sicura che Zip intendesse regalargliela. Così la lasciò sul tavolo, tra di loro, una volta finito, passandosela tra le mani aperte. Mantennero il silenzio per qualche secondo, durante i quali Zura si schiarì la gola, guardandosi attorno. Si augurò che lui non facesse domande, ma ne percepiva lo sguardo puntato su di lei. «Stavi dicendo...» tentò, poco convinta.
    «Vogliamo continuare a fingere di non vederlo questo cazzo d'elefante nella stanza?» Sospirò, rimanendo immobile per qualche secondo. Annuì piano. No, hai ragione. «Che è successo, Zu?»
    Si sentì veramente ridicola. D'improvviso, le caddero addosso quelle consapevolezze che custodiva da qualche parte, e cioè che quell'intero incontro non fosse altro che una disperata richiesta di aiuto, che non sapesse neanche lei che cazzo stesse succedendo, e che aveva, senza neanche rendersene conto, architettato tutto affinché a Zip fosse stato tutto perfettamente evidente, come aveva detto lui, come un elefante piazzato al centro della stanza; forse perché avrebbe voluto che ci arrivasse da solo, per non doversi spiegare.
    Si passò la lingua sulle labbra. «Non lo so.» Con la testa bassa, Azura cercava le parole giuste, gli occhi che si spostavano da destra a sinistra, come se la risposta potesse trovarla lì, nella stanza, da qualche parte. «Avrai capito, visto che pare che io abbia fatto di tutto affinché fosse quanto più lampante possibile, che non è un gran bel periodo». Aveva continuato ad annuire, come a confortarsi, a dirsi di continuare a parlare, di star facendo al costa giusta. «C'è... Sono entrata in questo... Club. Una sorta di club di duellanti» aveva esalato poi, tenendo basso il tono della voce. «Mi aiuta molto» Il mento aveva cominciato a tremarle, mentre continuava ad accompagnare le sue parole al movimento della testa in un lento su e giù. Tirò su col naso, come per riprendersi. «Mi aiuta con la rabbia... Non ne avevo mai provata tanta». Ora sorrideva appena, una fossetta spuntata sulla guancia destra. «Mi fa bene, veramente, sto bene. Probabilmente senza impazzirei. Mi aiuta a...» Di nuovo cercava le parole sul tavolo, sui muri, tra le sue dita. «È come se avessi tutti questi pensieri nella testa, queste sensazioni terribili... E sembrano non finire, no?» Aveva alzato la testa, gli occhi ormai umidi che avevano incontrato quelli di lui. Gesticolava tracciando come una sfera, con le mani. «Sembra essere sempre lì, e non avere fine. E quando duello invece, e finisco a terra con i lividi e i tagli e tutto mi fa male, e magari riesco a far male anche all'altro... In quei momenti mi sembra che abbia fine. Mi sembra di dare a questa rabbia un corpo, un limite. Ne prendo finché posso, e ne do finché posso e riesco, e alla fine mi sento meglio. Capisci che voglio dire?» Lynch arrivò con i loro ordini, e Azura approfittò del momento per asciugarsi le lacrime e strofinarsi il naso. Quando se ne andò, riprese a parlare. «Comunque, mi passerà. Non devi preoccuparti per me, dico veramente.» Fece infine, più tranquilla. «Un giorno, magari, puoi venirci con me». Cercò il suo sguardo, per decifrarne la reazione.


    Edited by lilac; - 16/3/2020, 18:14
     
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    "E' un posto come un altro" eppure conosci per nome il cuoco. Si ritrova a pensare, prendendo a mettere insieme i punti, come fanno i detective. E quindi hai ragione, non si può davvero rimanere le stesse persone. Sei cambiata e io devo ancora capire in che modo. Perché quella ferita, che prende a sanguinare, lasciando che il sangue formi un percorso tutto suo, andando ad incrostarsi tra i peli biondicci del sopracciglio. La fissa, in silenzio, preoccupato ma senza darlo troppo a vedere. E' una sua naturale predisposizione quella di cercare di avere sempre tutto sotto controllo nelle vite dei suoi cari e Zura, chiaramente, rientra in quell'equazione in una maniera decisamente preponderante. Annuisce, quando la bionda gli chiede se sia normale che l'essenza di Dittamo pizzichi. In fondo sta ricostruendo la frattura, accelerando la moltiplicazione cellulare epiteliale. Ma non aggiunge altro, aspettando e incalzandola con un cenno del capo, accompagnato ad uno sbuffo quando lei prova a cambiare discorso. «Avrai capito, visto che pare che io abbia fatto di tutto affinché fosse quanto più lampante possibile, che non è un gran bel periodo» « Beh, diciamo che forse dovresti seguire meglio le lezioni di "Tecniche di mimetizzazione e disillusione". » Ironico. Rimane immobile mentre quell'ovvietà gli scorre davanti. E' come se, quel sangue versato abbia messo in luce quanto Azura stia messa male. C'è persino un alone violaceo, d'occhiaia, sotto i suoi occhi sempre brillanti, ma non in quell'istante. «C'è... Sono entrata in questo... Club. Una sorta di club di duellanti. Mi aiuta molto. Mi aiuta con la rabbia... Non ne avevo mai provata tanta.» La testa si porta all'indietro, con il mento basso, quando quella rivelazione aleggia tra di loro. E' come se venisse colpito da uno schiaffo, ben assestato, in faccia. Si risveglia dal torpore dell'ignoranza e la fissa, con gli occhi chiari leggermente sgranati, presi alla sprovvista anche loro da quella affermazione. « Io me lo ricordo il club dei duellanti a scuola. E non sono mai uscito con ferite del genere. » Commenta caustico, rimarcando l'evidenza. Si gratta la fronte, per poi lasciare che la mani ricada sopra il tavolo. «Mi fa bene, veramente, sto bene. Probabilmente senza impazzirei. Mi aiuta a...È come se avessi tutti questi pensieri nella testa, queste sensazioni terribili... E sembrano non finire, no? [..] Ne prendo finché posso, e ne do finché posso e riesco, e alla fine mi sento meglio. Capisci che voglio dire?» Segue il suo discorso non con poca difficoltà. Le sue mani gesticolanti lo distraggono, così come lo fanno i suoi occhi che vanno riempiendosi di lacrime silenziose, piene di rabbia e
    tristezza. Non mi sono accorto di un cazzo fino ad ora. Bell'amico di merda. Fa una smorfia, di disappunto, e sta per aprire bocca, quando il cameriere si intromette, consegnando loro le loro ordinazioni. L'odore che sale dal suo pasticcio di carne è meraviglioso e, per un attimo soltanto, si domanda cosa ci sarà in mezzo. Quello che non ammazza, ingrassa. Speriamo perlomeno che non c'abbiano sputato dentro. Prende la forchetta, ma non la usa. La lascia lì, tra le sue dita, girandola e rigirandola più volte. <b>«Comunque, mi passerà. Non devi preoccuparti per me, dico veramente. Un giorno, magari, puoi venirci con me» Arriccia le labbra in una smorfia che appare essere indecifrabile, così come si sente lui in quel momento. Se da una parte è incuriosito, dall'altra non può che dirsi preoccupato per la psiche dell'amica. « Non si può rimanere sempre le stesse persone, mh? » Lascia andare quella citazione, mentre la forchetta affonda nel pasticcio, lasciando che la superficie si rompa, rilasciando uno sbuffo di vapore. « Com'è che sei arrivata a conoscenza di questo posto? » Chiede poi, facendole capire, con un'occhiata, che quella sarebbe stata solo la prima di molte sue curiosità. « Voglio la storia vera. » Aggiunge, per chiarirle ancora meglio il quadro. Così prendono a mangiare, con lui che si mette in ascolto e annuisce, di tanto in tanto. « Perché non mi hai detto niente prima? » Se ne esce poi, dopo la spiegazione di lei, serrando appena la mascella nel sentirsi in difetto. Un senso di rimorso nell'apprendere quanto non sia stato in grado di starle vicino, fin troppo preso dietro ai propri cazzi per accorgersi di quel qualcosa che non va in lei. « E' nato tutto da Capodanno? Che tipo di pensieri fai? » Non dire quei brutti pensieri, ti prego. Lascia andare la forchetta, dopo qualche boccone e la mano, rimasta sul tavolo, si volta, con il dorso che cozza contro il legno e il palmo rivolto verso l'alto. Un chiaro gesto per lei. Se vuoi prenderla, prendila. Un gesto che, a differenza del suo solito modus operandi nella vita, gli risulta essere naturale con lei perché Zura è una delle sue poche eccezioni, una persona con la quale ha sempre potuto abbassare la guardia, senza aver paura di essere deriso per questo. « Anche se sono stato poco presente, ultimamente, io comunque sono qua. » E mi preoccupo perché sì. « E verrei volentieri a vedere questo posto che, sinceramente? Lo vedo meglio nelle mie corde che nelle tue. Quindi se aiuta te, figuriamoci a me. Potresti essere l'eroina dei miei colleghi specializzandi che devono sopportare la mia proverbiale incazzatura un giorno sì e l'altro pure. » Questa volta c'è un sorriso ad illuminargli il volto con la barba non fatta di qualche giorno. « Dillo che vorresti affrontarmi, nel profondo. Per farmi pagare tutte quelle che ti sei segnata in questi anni. Tipo l'averti lasciata da sola con Caddie, nel momento in cui la kiss cam si è fermata su di voi. Sappiamo tutti e due che avresti preferito fossi io al posto suo. » Beffardo, scuote la testa, riportando la forchetta alla bocca. « Ma dimmi un po': c'è gente brava? Fin dove ci si può spingere? » Le chiede poi, più rilassato sì, ma sempre sull'attenti, alla ricerca spasmodica di un modo per distrarre la bionda dai suo crucci. « E soprattutto: gente che conosciamo e che ci sta sul cazzo? »
     
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    E quindi alla fine cedette, e si spiegò all'amico, sebbene solo in parte, omettendo la radice di quel suo nuovo malessere, forse per paura a toccare una ferita aperta e infettarla. Riuscì a sorridere alle solite risposte sarcastiche del ragazzo, ricacciando la sensazione di essere una visione pietosa e fastidiosa per lui – una percezione familiare, per lei, che non lasciò le desse ulteriormente il tormento. Spontaneamente con una mano si carezzò il braccio, ma smise poco dopo, non appena si accorse del gesto. «Non si può rimanere sempre le stesse persone, mh?» Già. L'aveva detto solo qualche minuto prima, eppure adesso, di nuovo a piangere di fronte a Zip, avvolta da nuovi drammi ma sempre in preda alla solita sconsolazione, tutto le parve esattamente uguale a prima, ai tempi di Hogwarts, del ballo di Halloween e del conseguente inferno. L'eterno ritorno dell'uguale, e cioè la sua incredibile infelicità. Com'era possibile?
    «Com'è che sei arrivata a conoscenza di questo posto?» Con le dita tracciò il bordo del bicchiere, domandandosi quanto potesse effettivamente raccontargli al riguardo. Il Pulse doveva essere segreto, e in questo Reek era stato chiaro, ma solo in merito ai nomi di ciascuno – non era certo una setta. Il discorso era preservare le identità di ciascuno al di fuori delle mura, metaforiche e non, del ritrovo per duellanti, evitando di salutarsi o di raccontarlo in giro con troppa libertà. «Voglio la storia vera». Alzò lo sguardo per incontrare quello di Zip, puntato su di lei con una determinazione che le ricordò che ci fosse bisogno di quel tipo di specifiche, adesso, con lei. Probabilmente doveva reputarla una bugiarda, e non avrebbe avuto tutti i torti. Si schiarì la gola, incurvando le spalle, prima di prendere un sorso dal bicchiere.
    «Dei ragazzi al Centro d'Addestramento ne stavano parlando. Un ragazzo continuava a presentarsi a lezione, dopo ogni weekend, con tagli in faccia e lividi su tutto il corpo, e non riusciva neanche ad allenarsi tanto era esausto. Nik Patil, quel Serpeverde che ti stava sul cazzo, te lo ricordi?» “Un dilettante”, si ritrovò a pensare, quasi stranendosi per aver formulato un pensiero del genere. Tirò su col naso. «Così un giorno l'abbiamo preso da parte, perché chiaramente ci eravamo preoccupati che fosse entrato in qualche brutto giro, che si fosse messo nei guai, insomma. Non ha voluto raccontarci niente, io mi sono preoccupata che qualcuno a casa lo picchiasse, figurati...» Scosse la testa. «Alla fine è sbottato e ci ha detto che se li era procurati da solo, che dovevamo toglierci dalle palle, eccetera. La cosa si è fatta ancora più preoccupante a quel punto, così alla fine di un addestramento, un venerdì, ho deciso di seguirlo». Si passò la lingua sulle labbra. Sul momento aveva pensato che la motivazione dietro a quel gesto fosse la preoccupazione che Nik – che tra l'altro conosceva solo superficialmente – fosse in pericolo; adesso che raccontava la storia, invece, riscopriva la curiosità accesa che sentirlo parlare di essersi procurato quelle ferite da solo le aveva suscitato. Che tipo di persona faceva una cosa del genere volontariamente? Autonomamente? «Così ho trovato questo posto, e quindi il Pulse.» Il suo primo combattimento fu un massacro, ma sarebbe bastato molto meno per convincerla a rimanere.
    Il cameriere, intanto, le aveva portato una zuppa di rape. Finito il suo racconto, ne ingoiò una cucchiaiata, che, calda e confortante, sembrò acquietarla al punto da farle rallentare il respiro affannato. Tornò a guardare l'amico, battendo le palpebre un paio di volte. Cosa stava pensando di lei? La vedeva in modo diverso, ora? Si sentì come se l'avesse scoperta a fare qualcosa che non avrebbe dovuto, come colta in fallo e obbligata a confessare. Zip aveva quell'effetto, su di lei: non avrebbe mai potuto mentirgli, e non avrebbe neanche mai voluto farlo, in una situazione normale. Aveva un modo di guardarti, si diceva Azura, come se riuscisse ad annusare la puzza di stronzata da lontano un miglio. Non vorrei mai essere tua figlia, aveva scherzato con lui, per quella sua abilità a leggere le persone. Niente sfuggiva all'occhio attento di Zip, ma magari ti concedeva il lusso di far finta che non fosse così – questo Azura l'aveva capito immediatamente. Ma il motivo per cui il loro rapporto era così speciale, per lei, aveva a che fare più con la maniera in cui i loro modi di essere, così diversi, si combinavano fra loro; Zura non smetteva di trovare giovamento dal modo in cui lui riusciva a prendere i suoi pensieri, aggrovigliati, pesanti, invadenti, e a renderli qualcosa di più semplice, come tendendo l'unico filo della matassa, quello giusto perché tutto si dispiegasse in un'unica linea dritta. Facile, semplice, non più così spaventoso. Forse sperava potesse farlo anche stavolta.
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    «Perché non mi hai detto niente prima?» Prese un'altra cucchiaiata, soffiando dolcemente. «Non sapevo come farlo. E non volevo pesarti addosso... E lo so che mi dirai che non è un peso, per te, ma non posso crederti quando lo dici.» Piegò un angolo della bocca, facendosi più piccola. Aveva la vaga sicurezza che Zip non si sarebbe arrabbiato con lei, ma non riuscì a non preoccuparsene comunque. «È nato tutto da Capodanno? Che tipo di pensieri fai?» Riconosceva quel suo modo di ragionare, chiaro, dritto al punto, metodico, analitico persino: il motivo per cui sarebbe stato un medico brillante, ne era certa. Ma esitò nel rispondere a quella domanda, perché le cose per lei non erano così facili, non stavolta, e non sapeva se sarebbe riuscita a tirare tutto fuori così, di nuovo. Né era sicura di volerlo. Ma non era giusto scoppiare in lacrime senza fornirgli uno straccio di spiegazione. «Non so, Zippo, è venuto fuori tutto all'improvviso. Forse non mi sono mai resa conto veramente delle cose che ci sono successe fino a Capodanno, e mi sono crollate addosso queste consapevolezze tutte in una botta.» La scena dei suoi compagni di scuola legati alle sedie, durante il sequestro del Saturday Night Fever, compariva a sprazzi nella sua mente, domandando, richiedendo, pretendendo lo spazio che meritava di occupare, insieme a tutte le altre impressionanti scene che in qualche modo sembrava essere stata capace di mettere, anche solo parzialmente, da parte. «La gente è stata torturata. Legata ad una sedia e quasi uccisa da scariche elettriche. E noi non potevamo fare altro che guardare». Corrugò la fronte, in un'espressione più confusa, sinceramente persa, che non triste. Sai dirmi tu il perché, Zip? Sai aiutarmi a capire? «E nessuno sta facendo niente. Nate ha denunciato, l'unica persona che sembra avere un po' di sale in zucca, e l'unica cosa che il Ministero ha fatto è stato togliere di mezzo dei cellulari? Un'organizzazione che riesce a procurarsi quel tipo di equipaggiamento, quel tipo di attrezzature, che riesce a fare questo genere di cose... A usare la magia per commettere dei crimini di cui riescono a far scomparire sia la vittima che il luogo del delitto... Pensano che basti un cazzo di bando di tutta la tecnologia babbana?» Scosse la testa, grattandosi una tempia. «E mi sento in colpa perché mi ci è voluta la morte di un'altra persona per capirlo, e un altro sequestro. L'unica cosa che posso fare ora è prendere a pugni cose e lanciare incantesimi verso la gente». Allargò le braccia, in una risata al limite dell'isterico. «Però c'è di buono che forse per la prima volta in vita mia sono contenta di star studiando per diventare Auror.» Non era tutto, ma era un inizio, una scrematura. Eccola lì, la verità, facile, semplice, non più così spaventosa. Zip l'aveva fatto di nuovo. La mano di Azura andò a incontrare la sua, mentre lei sbuffava in un sorriso, contenta che lui non fosse arrabbiato con lei. La strinse piano.
    «Anche se sono stato poco presente, ultimamente, io comunque sono qua. E verrei volentieri a vedere questo posto che, sinceramente? Lo vedo meglio nelle mie corde che nelle tue. Quindi se aiuta te, figuriamoci a me. [...] Sappiamo tutti e due che avresti preferito fossi io al posto suo.» Trattenne a fatica un sorriso mentre annuiva, gli occhi assottigliati. «Mi hai scoperta, me la sono legata al dito e combatterei contro di te solo per fartela pagare per quella mancata opportunità» dichiarò con fare solenne, prima di scoppiare in una risata leggera. Leggera. «Ma dimmi un po': c'è gente brava? Fin dove ci si può spingere?» Finì la zuppa, poggiando le labbra sul bordo del piatto per ripulirlo fino all'ultima goccia. «E soprattutto: gente che conosciamo e che ci sta sul cazzo?» Annuì, divertita, e veramente contenta di vederlo così positivo davanti all'idea che lei si facesse conciare per le feste quasi settimanalmente. Un'abitudine che solo uno come lui poteva approvare, probabilmente. «Puoi fare quel che ti pare, a parte usare le Maledizioni Senza Perdono – quello è chiaro. E.. Oh, sì. A parte Nik, di cui prima... Tieniti forte...» Tamburellò con le dita sulla superficie del tavolo. «C'è Tom Montgomery, Zip. Mont-go-me-ry. Che non ho capito come mai l'ultimo anno ti sei fatto amico. Vero che realizzerai il mio sogno proibito e gli toglierai quel sorrisetto da schiaffi dalla faccia? Vero?»
     
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    «Dei ragazzi al Centro d'Addestramento ne stavano parlando. Un ragazzo continuava a presentarsi a lezione, dopo ogni weekend, con tagli in faccia e lividi su tutto il corpo, e non riusciva neanche ad allenarsi tanto era esausto. Nik Patil, quel Serpeverde che ti stava sul cazzo, te lo ricordi?» Fece una faccia piuttosto vaga nel momento in cui lei gli presenta quel nome su un piatto d'argento. Gli dice qualcosa quel cognome, eppure l'espressione sembra dire tutto quello che non dice a parole. "C'era davvero qualcuno che non mi stesse sul cazzo?" Sbatte le ciglia, candidamente, mentre continua ad ascoltare il racconto e comincia a ricordare chi sia effettivamente Patil. Un vero coglione se studia al corso Auror e non si accorge nemmeno di essere seguito, pensa, con un mezzo sorriso che si profila sulle labbra. «Così ho trovato questo posto, e quindi il Pulse.» Annuisce, con un'espressione sfuggevole, mentre guarda oltre le spalle della bionda, in attesa del suo cibo, visto il bisogno sempre più impellente che si fa strada, imperioso, dal suo stomaco. « Stai diventando davvero brava. » Commenta, con un'alzata di sopracciglio, come a voler palesare la sua ironica confusione a riguardo. Sa benissimo quanto Azura Jackson non sia mai stata davvero convinta della scelta di proseguire gli studi accademici tra le fila degli Auror. Lui per primo non è mai stato sicuro che quella potesse essere la strada giusta per la bionda che si ritrova di fronte ma ora, alla luce di quelle nuove rivelazioni, riesce a vedere quel progetto futuro dispiegarsi più serenamente davanti a lei. Persino i suoi occhi sembrano confermarglielo, come se davvero anche lei riesca a vedere una luce in fondo a quel tunnel che è sempre stato quella facoltà, non scelta direttamente da Zura, ma pur sempre costretta a stringere i denti per non creare dal nulla delusioni o malcontenti. Una guerriera, seppur lei non si sia mai vista così, Zip la vede. «O è Patil che diventa sempre più deficiente, man mano che passano gli anni. Questioni di punti di vista. » Sorride, beatamente, portandosi il bicchiere alle labbra. «Non sapevo come farlo. E non volevo pesarti addosso... E lo so che mi dirai che non è un peso, per te, ma non posso crederti quando lo dici.» Il cucchiaio davanti alla bocca si ferma, per poterla fissare con uno sguardo esageratamente teatrale. « Come scusa? Chi ti ha dato tutta questa convinzione? » Scrolla le spalle, così come nel petto rimbomba l'eco della sua risata roca, fin quando non va scemando, non appena lei prende a parlare dei suoi pensieri. «Non so, Zippo, è venuto fuori tutto all'improvviso. Forse non mi sono mai resa conto veramente delle cose che ci sono successe fino a Capodanno, e mi sono crollate addosso queste consapevolezze tutte in una botta. La gente è stata torturata. Legata ad una sedia e quasi uccisa da scariche elettriche. E noi non potevamo fare altro che guardare.» Smette di mangiare, all'istante, non appena quelle parole gli arrivano come delle scariche mirate. Lui quella notte non c'era ed è venuto a saperlo proprio tramite lei. I suoi racconti erano terrificanti, così come lo erano le immagini che erano riuscite a creare nella mente di lui. Un'Arancia Meccanica all'ennesima potenza, un qualcosa di talmente sadico da non riuscire a fargli comprendere chi o cosa ci potesse essere dietro tutto questo malessere. «E nessuno sta facendo niente. Nate ha denunciato, l'unica persona che sembra avere un po' di sale in zucca, e l'unica cosa che il Ministero ha fatto è stato togliere di mezzo dei cellulari? Un'organizzazione che riesce a procurarsi quel tipo di equipaggiamento, quel tipo di attrezzature, che riesce a fare questo genere di cose... A usare la magia per commettere dei crimini di cui riescono a far scomparire sia la vittima che il luogo del delitto... Pensano che basti un cazzo di bando di tutta la tecnologia babbana?» « Aspetta, cosa? Nate ha denunciato? » Si ritrova a commentare, decisamente preso alla sprovvista. Ma poi, più ci pensa, più gli appare chiaro quanto non potesse essere che lui ad aver fatto una cosa del genere. Se non per la sua ambizione a puntare in alto tra le cariche del Ministero, sicuramente per una vana ricerca d'aiuto in quelle istituzioni in cui, bene o male, lui ha sempre creduto. « L'ha fatto di sua spontanea volontà o l'hanno costretto gentilmente? » Nella sua testa, si profila l'opzione Veritaserum, seppur gli appare chiaramente quanto sia impossibile tutto ciò, dovendo presupporre che il Ministero avesse già una pista di lui. Cosa impossibile, evidentemente, dato che stanno sempre un passo indietro, se non quattro o cinque. « Lo sai che non posso darti una risposta io, vero? » Le chiede, dopo l'ennesima cucchiaiata di pasticcio finito in bocca. « Posso semplicemente darti ragione su quanto siano davvero una barzelletta tutte le istituzioni del mondo magico inglese. Sono sempre indietro, pensano di aver chiuso un buco del problema e ne aprono conseguentemente altri quattro. Strano che non abbiano ricominciato a battere la strada del complottismo contro i babbani. Prima erano i terroristi dai quali doverci proteggere, ora la loro tecnologia ha portato dei giovani maghi ad essere sequestrati per ben due volte. » Alza un sopracciglio, con le labbra che si contorcono in una smorfia amara. « E poi i decreti..non ti puzzano di Zabini 2.0? Quanto ci metteranno per superarla e diventare ancora peggiori? » In fondo, la storia insegna di come, dalle migliori intenzioni dopo le grandi restaurazioni post dittatori, molte volte si è finiti con il perpetuare il passato, diventando ancora peggio di ciò dal quale si voleva prendere le assolute distanze. « Credi che il Quartier Generale stia approfondendo sullo Shame o si sono fermati al bando della tecnologia babbana, sentendosi in una botte di ferro? Ormai sembra che tutto stia tacendo, pure la Gazzetta è in silenzio da fin troppo giorni. » La fissa, perplesso. « Al San Mungo stanno continuando con le valutazioni sulla ludopatia. C'è chi dice che il CIM si stia riempendo, non so se siano soltanto voci o meno. Purtroppo non ci fanno assistere, a noi semplici specializzandi. » C'è una punta di rammarico nella sua voce? Forse più di rabbia circa i favoritismi a cui ha assistito nell'ultimo mese. I figli con i cognomi altisonanti tra le mura dell'ospedale, infatti, erano sempre un passo avanti. Guarda caso.
    «Mi hai scoperta, me la sono legata al dito e combatterei contro di te solo per fartela pagare per quella mancata opportunità» Scuote la testa, dopo essersi abbandonato ad una risata di cuore, andando ad accompagnare quella di lei. «Puoi fare quel che ti pare, a parte usare le Maledizioni Senza Perdono – quello è chiaro. E.. Oh, sì. A parte Nik, di cui prima... Tieniti forte...C'è Tom Montgomery, Zip. Mont-go-me-ry. Che non ho capito come mai l'ultimo anno ti sei fatto amico. Vero che realizzerai il mio sogno proibito e gli toglierai quel sorrisetto da schiaffi dalla faccia? Vero?» Quell'ennesima rivelazione lo lascia in silenzio per qualche secondo. Conosce Tom, non profondamente, ma abbastanza da non essere sorpreso che lui, tra tutti i suoi confratelli, sia un assiduo frequentatore di quel posto. In effetti, da come gliel'ha descritto Azura, sembra perfetto. Per entrambi. « Dì un po', ti ha fatto qualche torto? » Le chiede, con un sorriso beffardo a distorcergli le labbra. Vorrebbe fare una battuta, magari riguardante Nate, ma alla fine si impunta nel non seguire il proprio primo istinto, sapendo bene quanto la bionda potrebbe recepire male quella semplice freddura. « Non è così male. Il classico comunista col rolex, chiaro, ma è più intelligente di quanto dia a vedere. » Forse è quello l'aspetto del biondo che l'ha sempre fatto desistere dal catalogarlo come l'ennesimo deficiente che si fa grosso con i soldi del papi in tasca. « Se lo incontrerò, comunque, farò il mio meglio per esaudire il suo desiderio proibito, milady. » Sciabola le sopracciglia, fingendo una riverenza malriuscita, che culmina con l'ennesimo boccone di pasticcio in bocca. « Quante volte ci sei stata tu? » Chiede poi, sinceramente curioso di sapere di più riguardo quella storia che getta nuove luci e nuove ombre sulla figura della bionda. E sul suo modo di guardarla. E' come se la vedesse per la prima volta, nella sua interezza. Fino a quel momento abituato a vedere soltanto la sua parte più fragile, ora conquistato da quella più reattiva e piena di foga. Una sorpresa davvero gradita. « E soprattutto, quante volte hai vinto? » Alza un sopracciglio, con una punta di sfida nello sguardo. « No perché lo sai che nel duello sono un asso. Non vorrei mica venire lì a perdere tempo con una schiappetta che mi fa crescere le unghie e magari i denti da castoro. » Questa volta ride, mentre la sta palesemente prendendo in giro. « Incanto più subdolo che hai lanciato? Su, dammi un po' di pepe, Jackson. »
     
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    «Stai diventando davvero brava» le aveva detto semplicemente Zip, alzando le sopracciglia, e Azura intuì che quello dovesse essere un commento un po' sporcato di sarcasmo, ma non seppe non prenderlo a cuore. Così alzò lo sguardo, interrompendosi per qualche secondo, fissandolo negli occhi del suo amico, quasi a voler decifrarne la serietà. In fondo lei e Zip non si frequentavano più regolarmente da un pezzo, e lui non aveva molti strumenti su cui basare quel giudizio... Eppure si ritrovò, anche nei giorni successivi a quell'incontro, ad aggrapparsi a quel singolo commento ironico per ricordarsi di non essere troppo dura con se stessa. Perché il suo problema principale erano gli standard inarrivabili che si obbligava a dover raggiungere, pretendendo sempre troppo e accontentandosi quasi mai. «O è Patil che diventa sempre più deficiente, man mano che passano gli anni. Questioni di punti di vista», aggiunse poi, sorridendo, mentre Azura sbuffava in una risata sonora.
    «Aspetta, cosa? Nate ha denunciato? L'ha fatto di sua spontanea volontà o l'hanno costretto gentilmente?» Annuì, mentre si portava il bicchiere alla bocca. «Già. Non so bene quando, ma deve averlo fatto verso Dicembre, forse poco prima...» Continuò ad annuire, assorta, ritornando con la mente alla notte in cui lui gliene aveva parlato per la prima volta. Non si era soffermata sulla lite che aveva seguito quella confessione, evitando di pensarci il più possibile, non tanto perché le facesse male il pensiero quanto per paura di riuscire a trovare un modo, anche quando era praticamente certa di aver fatto la cosa giusta, di incolpare se stessa per la reazione che aveva avuto. Quasi che non si fidasse del suo stesso giudizio, quando si trattava di guardarsi indietro; sempre troppo concentrata sull'altro, sui suoi sentimenti, e su come fosse suo compito non ferirli, anche quando sarebbe stato legittimo farlo. Ma quella volta non si sarebbe permessa di biasimarsi. «Non credo sia un segreto, comunque...» L'ha detto a me, del resto, quando il suo migliore amico era solo due o tre porte più giù lungo il corridoio.
    «Lo sai che non posso darti una risposta io, vero?» «No, certo, lo so, nessuno può. È questo il punto» rispose lei, nuovamente sospirando, il senso di impotenza che quell'intera situazione le provocava a pesarle nel petto. Lo ascoltò lamentarsi della gestione da parte del Ministero, annuendo, sfiduciata. Crescere con non uno, ma due genitori Auror, e intraprendere quella stessa carriera lei stessa, non poteva non averla plasmata in modo da sentirsi quasi direttamente responsabile, per come faccende del genere venivano gestite. E se non si sentiva responsabile, essendo nient'altro che una recluta, al momento, sicuramente non riusciva a starsene ferma, con le mani in mano, ad aspettare che qualcosa o qualcuno si decidessero a prendere in mano le redini della situazione. Era quell'impossibilità a frustrarla, quel senso di colpa per non star facendo niente, e quell'ignoranza da parte delle istituzioni, che sembravano non afferrare fino a che punto ciò che avevano vissuto e avrebbero potuto dover rivivere fosse traumatizzante, ad animarla a quel modo. «Credi che il Quartier Generale stia approfondendo sullo Shame o si sono fermati al bando della tecnologia babbana, sentendosi in una botte di ferro? Ormai sembra che tutto stia tacendo, pure la Gazzetta è in silenzio da fin troppo giorni. Al San Mungo stanno continuando con le valutazioni sulla ludopatia. C'è chi dice che il CIM si stia riempendo, non so se siano soltanto voci o meno. Purtroppo non ci fanno assistere, a noi semplici specializzandi.» Scattò involontariamente con la testa in avanti a sentire quelle parole, gli occhi appena più spalancati. «Ludopatia? Tipo per chi è dipendente dai cellulari?» Un'informazione di cui non era al corrente quella, nonostante fosse stata inserita delle Disposizioni Ministeriali. Anche perché chi è che li leggeva davvero, quei decreti? «E chi è rimasto traumatizzato dopo il Capodanno? Chi rivive i flashback dell'altro sequestro? Chi addirittura sta rivivendo tutta la merda del lockdown?» Si passò una mano sul volto, scuotendo la testa, senza veramente aspettarsi una risposta a quelle domande.
    «Di un po', ti ha fatto qualche torto?» Si allungò sul tavolo, rubando un po' del suo pasticcio di carne. «Nah, lo trovo solo insopportabile» risposte, masticando il boccone, prima di piegare gli angoli della bocca verso il basso e annuire, decretando, non senza una certa sorpresa, che Rooth non se la cavasse poi troppo male neanche col pasticcio. «Non è così male. Il classico comunista col rolex, chiaro, ma è più intelligente di quanto dia a vedere.» Azura rispose con una smorfia disgustata, sollevando appena il labbro superiore e alzando gli occhi al cielo. Era amico di Nate da quando erano piccoli, così si diceva, ma lei era mai riuscita a capire perché. Sebbene superficialmente sembrassero molto simili, lei era sempre stata convinta che sotto a quello strato di indifferenza e arroganza di Montgomery non si celasse poi una gran personalità. Diversamente rispetto a Nate, l'aveva sempre considerato un po'... Insulso.
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    «Quante volte ci sei stata tu? E soprattutto, quante volte hai vinto?» Si passò la lingua sui denti, cercando di fare mente locale. «Avrò combattuto forse cinque o sei volte in totale. Però ho assistito per un po', prima di... lanciarmi nella mischia» replicò, con una certa disinvoltura, ora che aveva appurato che Zip non sembrasse disapprovare l'idea che lei facesse parte di un gruppo del genere. «Per tua informazione, caro Trambley, ho perso solo due volte! Su sei!» Continuò, fingendo di sentirsi offesa dalla domanda, che le parve voler insinuare il dubbio che lei potesse davvero uscire da quegli scontri vittoriosa. «E ti dirò di più, sto uscendo proprio adesso da un duello... E se io ti sembro conciata male, dovresti vedere l'altro» gongolò infine, stringendosi nelle spalle e scostandosi i capelli, silenziosamente emozionata per aver potuto pronunciare quella frase. «No perché lo sai che nel duello sono un asso. Non vorrei mica venire lì a perdere tempo con una schiappetta che mi fa crescere le unghie e magari i denti da castoro.»
    Scosse la testa, stringendo le labbra per soffocare un sorriso nascente. «Scusami, correggimi pure se ho capito male ma... Quella che ho appena sentito è forse una sfida Domandò infine, sporgendosi in avanti. Chiaramente non lo era, ma ormai l'idea di duellare contro Zip le si era piantata nel cervello, e non sarebbe venuta via tanto facilmente. «Incanto più subdolo che hai lanciato? Su, dammi un po' di pepe, Jackson». Si fermò a guardarlo per qualche secondo, incrociando le braccia al petto, mentre si mordeva il labbro inferiore. «Farò di più, Trambley. Ti sfido. Adesso, qui, nel seminterrato» Si alzò di scatto, posò i palmi delle mani sul tavolo, e si chinò in avanti, con un fare intimidatorio che sembrò riuscirle stranamente bene. Gli si avvicinò con un sorriso provocatorio sul volto. «Chi perde paga all'altro da bere per il resto della sua vita. O qualcosa del genere, poi ci pensiamo», sibilò, prima di uscire per qualche secondo dalla parte, solo per riacquisirne il controllo poco dopo. «Allora, che dici? Ci stai?» Un cenno del mento nella sua direzione, e rimase immobile, con le braccia tese, il guanto di sfida lanciato che era sicura Zip avrebbe raccolto senza troppa esitazione.
     
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    «Ludopatia? Tipo per chi è dipendente dai cellulari?» Annuisce, distrattamente, con le dita che si chiudono intorno al bicchiere per portarselo alle labbra. « Non ne so molto, a dire il vero. So solo quello che ho letto sui decreti perché a noi non ci dicono un cazzo, ovviamente! Siamo l'ultima ruota del carro, figurati. Pure gli infermieri sanno più di noi. » Scuote la testa, sentendosi impotente e ignaro, pur ritrovandosi ogni giorno in uno dei punti più interessati dalla questione Shame. Lo stesso giochino che un tempo sembrava solo una barzelletta tra le mura di Hogwarts, che si metteva ad affiggere scoop sulla propria bacheca, così che ognuno al castello veniva a conoscenza del fatto che Tizio e Caio avevano scopato dentro i bagni del terzo piano, che forse Sempronia era lesbica e che a Catullo piaceva giocare due contro uno. Un qualcosa di fastidioso, assolutamente sì, ma non era mai arrivato a far nascere, nella testa di chiunque, quella paura costante, viva, di poter essere preso di mira, di poter essere il nuovo bersaglio, che ha visto negli occhi di Win dopo Capodanno. Negli occhi di Azura, d'altro canto, c'era fermezza, frustrazione e una vena piuttosto consistente di incazzatura con cui Zip non è mai entrato in contatto, prima d'ora. E' una cosa nuova per lui, vederla così piena di rabbia. E' probabilmente per questo che non ha detto nulla quando gli ha raccontato del Fight Club in cui si ritrova a lottare per far sì che tutto quel concentrato di emozioni esca fuori. Lui la conosce bene quella sensazione, ci convive da quando ha emesso il suo primo vagito, da quando ha capito che avrebbe dovuto fare a pugni con il mondo perché questo non gliene avrebbe fatta passare liscia nessuna. E sa bene quanto la rabbia corroda, lentamente, dall'interno. E' un sentimento dalla portata devastante che deve essere canalizzato in qualche modo per non rischiare di arrivare all'inevitabile. O lei o te. Non c'è via di mezzo. «E chi è rimasto traumatizzato dopo il Capodanno? Chi rivive i flashback dell'altro sequestro? Chi addirittura sta rivivendo tutta la merda del lockdown?» Lui non ha una risposta a quelle domande e deve saperlo anche lei, mentre, frustrata, si porta una mano al viso, come a volersi strappare via di dosso quel vuoto esistenziale. Ed è proprio in quel momento che Zip capisce che quel luogo, quel club segreto, è essenziale per la bionda. La sua valvola di sfogo e la sua via di fuga da una morte, altrimenti, certa. Ha bisogno di provare dolore, di sentirsi viva per andare a sovrastare l'impotenza che una situazione del genere porta come conseguenza. Condivide perfettamente la sua scelta, preoccupato sì per la sua salute, ma più per quella mentale che fisica. Chi dovrebbe fare non fa un cazzo e chi paga lo scotto, poi, sono sempre i poveri stronzi.
    «Avrò combattuto forse cinque o sei volte in totale. Però ho assistito per un po', prima di... lanciarmi nella mischia» Annuisce, con un'espressione sardonica sul volto. Ha preso le misure, ha valutato l'avversario prima di pensare d'essere pronta. Astuto. Sta diventando davvero brava, lo pensa davvero Zip, seppur non le riproponga quella riflessione. E forse lei nemmeno se ne accorge, troppo presa a scappare via dalle sue sensazioni per soffermarsi seriamente sui propri traguardi. «Per tua informazione, caro Trambley, ho perso solo due volte! Su sei! E ti dirò di più, sto uscendo proprio adesso da un duello... E se io ti sembro conciata male, dovresti vedere l'altro.» Fa una smorfia d'approvazione, Zip, dopo essersi portato il cucchiaio alla bocca per l'ultimo boccone di pasticcio che, tra parentesi, aveva un sapore fin troppo esotico per i suoi gusti, ma da sempre abituato a mangiare qualsiasi cosa gli capitasse sotto il muso, di certo non se ne lamenta. « Ah sì? Ma allora devo avere davvero paura. » Si ritrova a commentare con un velo di sarcasmo che sembra calarsi sulle sue parole, rendendo il tutto più ironico nell'accennare una risata. «Scusami, correggimi pure se ho capito male ma... Quella che ho appena sentito è forse una sfida Lui alza un sopracciglio, inclinando la testa leggermente di lato a voler palesare già l'ovvio della
    sua affermazione. «Farò di più, Trambley. Ti sfido. Adesso, qui, nel seminterrato» Lei si alza in piedi e si inclina leggermente in avanti verso di lui. Per qualche istante, rimane ipnotizzato da quel suo nuovo modo di fare, così sicuro, così diverso da ciò a cui era abituato, un tempo, quando i loro rapporti erano decisamente più forti. Lei sorride, provocatoria, e lui si ritrova a fissarla, inclinando il capo di lato, seguendo l'andamento sinuoso del viso di lei. « Qui la cosa si fa interessante. » Le risponde, scandendo ogni parola con estrema lentezza, volendo, per qualche istante, stare al suo gioco. «Chi perde paga all'altro da bere per il resto della sua vita. O qualcosa del genere, poi ci pensiamo» No, non mi cadere sul più bello, Jackson. «Allora, che dici? Ci stai?» Continua a fare la dura e lui sorride, con la punta della lingua che sguscia fuori dalle labbra, seguendone il profilo inferiore. Si porta all'indietro, stiracchiandosi con le braccia tese verso l'alto. « E anche un po' eccitante, devo ammetterlo. Azura Jackson, cosa mi sei diventata? » Si lascia sfuggire quella constatazione con uno sbuffo derisorio, mentre una mano scivola dentro i pantaloni per raccogliere qualche galeone da far cadere al centro del tavolo, per pagare quanto appena mangiato. Deve ammettere che non ha mai davvero avuto certe vibrazioni da parte di quella che, a tutti gli effetti, è la sua miglior amica, ma forse perché l'ha sempre vista fin troppo similare alla sua gemella: dagli occhi enormi e pieni di innocenza, buona, fin troppo facile al cadere nelle trappole del mondo. Però, deve essere onesto con se stesso nell'ammettere di averla sentita quella scarica elettrica percorrergli le braccia, non appena lei ha preso in mano le redini del gioco, dandogli la possibilità di leggere una nuova faccia di sé. Una sfaccettatura attraente. Così le sorride, malizioso, alzandosi dal tavolo per poi farle un cenno con un palmo aperto verso l'alto. « Fammi strada. » Accetta così la sfida che ha deciso di lanciargli, senza pensarci troppo, così com'è solito fare in ogni occasione con quel suo essere una costante testa calda. « Però voglio i termini della scommessa più precisi, prima di calarci nella fossa dei leoni. » Le dice guardandole le spalle, mentre si incamminano verso una parte decisamente più appartata del locale, dove le luci - già ridotte di molto nel resto della sala - si fanno via via sempre più basse, inglobandoli in una mezza ombra. « E magari qualcosina di più stuzzicante del pagamento a vita di alcol. » Che abbiamo, sedici anni? Sorride, angelico nella sua direzione. « Non so, magari potresti mettere a disposizione qualche favorino da recluta Auror, semmai ne dovessi aver bisogno in futuro. O non so, hai altro pepe da dispensare, Jackson? »
     
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    «Qui la cosa si fa interessante... E anche un po' eccitante, devo ammetterlo. Azura Jackson, cosa mi sei diventata?» Celò un sorriso, prendendo a mordicchiarsi l'interno di una guancia, lo sguardo ancora saldamente puntato su di lui mentre rincarava la dose con uno scatto del mento nella sua direzione. E alla fine, prevedibilmente, lui parve cedere, sbuffando. Si sarebbe lasciata esclamare di soddisfazione per averlo convinto, ma, troppo calata nella parte, si limitò a sollevare le sopracciglia mentre l'amico si alzava e svuotava le tasche di qualche galeone per il tavolo. Rapida, però, si assicurò di aggiungere alla somma la propria parte, porgendo a Zip il resto. «Ci sarà modo di offrirmi la cena quando finirai al tappeto, Trambley» continuò, lanciata. «Comunque conviene che questi li lasci direttamente in cassa, sai com'è qui...» Forse non lo sapeva, ma immaginò che fosse facile intuire perché lasciare una qualunque somma di galeoni così in bella vista, sul tavolo, in un posto come la Mano Monca fosse una pessima idea. Così si allontanò per qualche momento, interrompendo quell'elettrico scambio, per poi ritornare quasi in un'accennata corsetta. «Allora, è proprio qui sotto. Sei sempre convinto?» Ammiccò, inclinando la testa leggermente. In fondo quello era un lato nuovo non solo di sé stessa – che pure era sempre stato lì, da qualche parte – ma del loro rapporto; l'aveva coltivato di nascosto, riscoprendosi più impulsiva, più avventata, e persino più divertente di quanto lei stessa credesse, e quasi come una sorella più piccola si era accertata che fosse approvato dal ragazzo, che così spesso sembrava saperla più lunga di lei, su certe cose, e il cui giudizio sembrava importarle più di qualunque altro, prima di mostrarglielo completamente. C'era quindi un senso di maturata libertà nel potersi prendere gioco di lui sapendo di starsi ponendo su un livello che fosse paritario, perché lui la assecondava senza paternalismi o accondiscendenza – e sentirsi alla pari con lui sembrava riempirla di un orgoglio nuovo, non tanto perché si fosse mai considerata inferiore o superiore, quanto piuttosto una sorta di suo opposto surrogato, fatto di fragilità e insicurezze. Che Azura ripudiasse quella sua ingenuità non era certo un segreto a questo punto, né per lei né per chi le stava accanto, per cui doveva venire facile comprendere perché al contrario valutasse così tanto la personalità dell'amico, e perché, grazie a quella quieta ma irruente evoluzione, poter sentire di assomigliargli fosse così bello. «Fammi strada» Si voltò, giusto in tempo per nascondere un altro realizzato sorrisetto, i capelli che lasciava le avvolgessero le spalle. Non disse niente, mentre conduceva l'amico verso un angolo buio – più degli altri angoli bui di cui era composto il locale. Sotto i piedi riuscivano a sentire le vibrazioni provocate dagli impatti dei colpi assestati, e di tanto in tanto qualche urlo fomentato si levava dal seminterrato, soffocato dalle assi scricchiolanti e ammuffite del pavimento – quasi che veramente il Pulse fosse il battito cardiaco della Mano Monca. «Però voglio i termini della scommessa più precisi, prima di calarci nella fossa dei leoni» Annuì, voltandosi brevemente, prima di afferrare la maniglia della porta sul retro e abbassarla con decisione. La tenne aperta, in modo da lasciar passare prima lui, avendo cura di richiuderla dopo il suo passaggio. «E magari qualcosina di più stuzzicante del pagamento a vita di alcol». In piedi di fronte alla botola nel pavimento, Azura si piantò le mani sui fianchi, pensierosa. «Mmmh, hai ragione... Ma così su due piedi... Ci devo pensare» L'ennesimo grido esultante si levò dalla botola, che parve quasi scossa dalle onde sonore. «Non so, magari potresti mettere a disposizione qualche favorino da recluta Auror, semmai ne dovessi aver bisogno in futuro. O non so, hai altro pepe da dispensare, Jackson?» Scosse la testa, chinandola, stavolta apertamente sorridendo, prima di schioccare la lingua. Sentì che in qualche modo volesse testare la veridicità di quella nuova Azura, e l'idea la divertì. «Facciamo così: visto che non mi viene in mente niente, rendiamo le cose semplici. Se vinci tu, decidi tu cosa dovrò fare. Favori, umiliazione pubblica...» – elencò le opzioni sulla punta delle dita, ridacchiando – «niente è off limits. Non potrò oppormi. E, chiaramente, lo stesso vale per te nel caso in cui vinca io.» Si strinse nelle spalle. «Mi sembra equo, no?» Inarcò le sopracciglia, aspettando la risposta del ragazzo, tendendogli una mano per suggellare il patto stipulato. «Non si torna indietro» asserì, prima di estrarre la bacchetta, che i jeans tenevano ferma sui fianchi, e puntarla, ancora con un ghigno sul volto e gli occhi fissi sull'amico, sulla botola, che si spalancò di colpo, mentre le scale cominciavano a dispiegarsi, come carta ripiegata, sempre più in profondità. Le piaceva da morire quanto a effetto fosse quell'entrata. «Prego, dopo di te. O forse hai paura a scendere da solo?» Lo stuzzicò poi, affacciandosi sulla scala buia e lunga che sembrava condurre nel nulla.
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    A prescindere dalla competizione che si era venuta a creare con Zip, l'idea di star conducendo il ragazzo lungo quella strada e di starlo introducendo al Pulse la rendeva stranamente nervosa, ma un “nervosa” in senso buono, come quando gli leggeva il tema che aveva scritto per Storia della Magia al quale aveva preso una O, o come quando una volta, se lo ricordava ancora, lui aveva chiesto aiuto a lei con un Antidoto per Veleni Rari particolarmente complicato e si era messa a spiegargli il modo migliore per pressare i pungiglioni di Billywig. Già, se lo ricordava davvero. «Bevo un sorso di bava di Graphorn» scandì quindi, orgogliosa, pur cercando di non darlo a vedere. Ma quando la porta in legno si aprì, lentamente, rivelando sempre di più del cuore della Mano Monca, gli occhi della ragazza presero a brillare un po' di più, specialmente quando si posarono sul ragazzo, e ne soppesarono la reazione. «Beh, che ne dici?» Non potè non chiedergli, per un momento dimentica della spocchia che avrebbe dovuto mostrare, e infilando un braccio attorno al suo, poggiando il mento sulla sua spalla, guardandolo più da vicino. «Benvenuto al Pulse» gli mormorò, fermando la lingua tra i denti in un sorriso un po' da bambina, prima di liberargli il braccio dalla presa e tornare a vestire i panni della persona seria. Si schiarì la voce, avanzando, ed elencando al ragazzo i punti più importanti che bisognava conoscere, al Pulse. «Questo di fronte a te è il Cerchio. È lì che avviene lo scontro. Ogni attacco deve essere lanciato da dentro al Cerchio. È un modo per far capire che, una volta fuori, tutto è dimenticato, nessuno ce l'ha con nessuno. E... lì...» - fece, mostrando al ragazzo un punto al limite a destra del ring – «lì è dove finirai a terra. Un po' di sangue qui, qui, e qui. Forse un po' pure sul muro, non so...» Gli scoccò un'occhiata divertita. Continuarono ad avanzare, occupando alla fine un posto vuoto lungo la parete più corta della stanza, poco distante da Reek, il proprietario, seduto, come al solito, su uno sgabello traballante. «Come ti dicevo: tutto è ammesso tranne le Maledizioni Senza Perdono. Niente nomi, niente Magia Oscura, niente incantesimi dopo la campana. 5 minuti in tutto.» Teneva le mani dietro la schiena, mentre spiegava, di tanto in tanto facendo un cenno a facce conosciute. Poi si appoggiò alla parete lercia con una spalla, in modo da rivolgersi verso di lui. «Non c'è un ordine con cui ci si scontra: chi ha voglia va. Per cui quando sei pronto, dimmelo. Tutto chiaro?»
     
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    «Facciamo così: visto che non mi viene in mente niente, rendiamo le cose semplici. Se vinci tu, decidi tu cosa dovrò fare. Favori, umiliazione pubblica...niente è off limits. Non potrò oppormi. E, chiaramente, lo stesso vale per te nel caso in cui vinca io. Mi sembra equo, no?» Zip abbassa lo sguardo verso la mano tesa di lei, prima di rialzarlo ad incontrare quello di lei. Sorride, sghembo, passandosi una mano davanti alla bocca, come a voler nascondere un po' di quella divertente malizia che le parole di lei riescono a scaturire. « Niente è off limits... » ricalca quelle parole con pacatezza, mentre alza le sopracciglia. « Dire una cosa del genere ad un ragazzo non è propriamente sicuro, lo sai, sì? » Qui abbiamo ancora qualche strascico dell'ingenuità della vecchia Zura, oppure..? La incalza, prima di andare a tendere la sua mano destra verso quella di lei, per stringerla e suggellare quel loro patto che al momento sente che non porterà a niente di buono e proprio per questo, ne è ancora più elettrizzato. «Non si torna indietro» Annuisce senza aggiungere altro, già completamente rapito dalle vibrazioni che gli arrivano da sotto i piedi, provocate dalle urla che immagina regnino sovrane sotto quella botola che sembra portare nel nulla. Si sporge un po' in avanti, incuriosito dal capire dove effettivamente portino quelle scale di cui si conosce la partenza ma non la meta finale. «Prego, dopo di te. O forse hai paura a scendere da solo?» Scocca la lingua contro il palato, con fare derisorio, mentre estrae a sua volta la bacchetta dalla tasca della giacca, vi casta un Lumos e la stringe nella morsa dei denti, per avere le mani libera per la discesa di quella scala infinita. Più scende, più sembra esserci ancora un altro piolo al di sotto, e ancora uno e ancora un altro. Ha come l'impressione, man mano che continua, che stia lentamente scivolando verso la profondità dell'inferno, nel cuore caldo e pulsante di quel locale che sembra essere poco diverso dal centro esatto della Terra. Con un salto, si ritrova finalmente a riappoggiare i piedi a terra, ritrovandosi di fronte una grossa porta di legno. « Direi che hanno perfettamente chiarito il concetto di super segretezza di tutto il baraccone. » Commenta non appena la bionda pronuncia la frase d'ordine e i suoi occhi cerulei si ritrovano ad osservare quanto di più malsano e caotico si potesse aspettare di trovare. C'è della brillantezza a ravvivargli lo sguardo, senza potersi contenere troppo. Come un qualsiasi bambino di fronte ai tanti regali sotto l'Albero di Natale, Zip è stato abituato a tutt'altro nella vita ed è a questo che reagisce con l'emozione che l'adrenalina nelle vene riesce a donargli. Si sente osservato e così abbassa lo sguardo, ridacchiando. « Dico che è una cazzo di figata. » Si sente inconsapevolmente a casa, Zip. « Il miglior regalo di Natale posticipato della vita. » Le lancia un'occhiata, passandole una mano a stringerle il braccio a sua volta, come a volerla ringraziare. Più avanza, più le urla l'accolgono, più sente la ferocia riempire l'aria, più sente di essere completamente nel suo elemento. In un certo senso, gli ricorda veramente casa. Vancouver. E si lascia condurre da lei, lasciandole il comando, per farsi spiegare ogni dettaglio di quel luogo così perfetto per uno come lui. «Questo di fronte a te è il Cerchio. È lì che avviene lo scontro. Ogni attacco deve essere lanciato da dentro al Cerchio. È un modo per far capire che, una volta fuori, tutto è dimenticato, nessuno ce l'ha con nessuno. E... lì...lì è dove finirai a terra. Un po' di sangue qui, qui, e qui. Forse un po' pure sul muro, non so...» Inclina la testa di lato, con i ricci che gli ricadono sulla fronte, ribelli spettatori di quella nuova sfumature di Azura. La stessa che lo lascia sempre più colpito perché può non calibrare più le battute, censurarle cercando di renderle cruelty free. E' come se ora, nel condividere quel segreto, si senta perfettamente sintonizzato con la frequenza in cui gira lei. Lui comprende lei e lei comprende lui, scoprendosi vicendevolmente. « Avevo detto che eri eccitante, ma la spocchia non la trovo altrettanto stimolante, sai? » La prende in giro, volutamente. « Quella sta bene solo addosso a me. » Il suo rinomato marchio di fabbrica con cui ha sempre avuto la pretesa di poter affrontare tutto, persino il mondo. «Come ti dicevo: tutto è ammesso tranne le Maledizioni Senza Perdono. Niente nomi, niente Magia Oscura, niente incantesimi dopo la campana. 5 minuti in tutto.» « Quindi mi stai dicendo che vuoi che ti trovi qualche soprannome divertente per l'occasione? » Le fa un occhiolino compiaciuto, prima di lasciare che i propri occhi vaghino per la sala malmessa, lì dove c'è davvero di tutto. Da qualsiasi personaggio urlante tra la folla, a macchie di vero sangue sparse sul pavimento del Cerchio appena illustratogli dalla bionda. Si sofferma poi sui combattenti. Due ragazzi, probabilmente poco più grandi lui. Uno dei due è ridotto davvero male, con la faccia gonfia, il labbro spaccato e del sangue che scende dalla narice. L'altro barcolla, rimettendosi in piedi a fatica dopo uno Schiantesimo che non l'ha beccato per bene. «Non c'è un ordine con cui ci si scontra: chi ha voglia va. Per cui quando sei pronto, dimmelo. Tutto chiaro?» In tutta risposta, lui la fissa, con un sopracciglio alzato. « Secondo te chi vince? » Le domanda, mentre gli occhi cercano di carpire ogni movimento dei due, per analizzarli analiticamente. Vede fin troppe falle in quello appena schiantato, seppure l'altro è ridotto davvero male, tanto da pensare che potrebbe svenire da un momento all'altro. « 10 galeoni che il rosso vomita prima della fine dell'incontro. » Dice, ridacchiando, poco prima che il rosso effettivamente si ripieghi su se stesso, dopo un attacco in pieno petto del moro dalla faccia deturpata. Per il momento non vomita, ma rimane rannicchiato a terra, in posizione fetale. « Dici che è corretto approfittarmi di te in questo modo? » Se ne esce così, dopo qualche istante, piegandosi appena verso di lei, per farsi sentire sopra il chiasso generale. « Insomma, forse mi sentirei quasi in colpa a batterti dopo che hai già combattuto una volta questa sera. » Occhiata di sfida, la sua, che sembra centrare perfettamente il bersaglio. « Sicura di non avere nulla di rotto? » Torna improvvisamente serio, nel fissarla, sincerandosi che stia effettivamente bene, quando la campanella suona per decretare la fine dell'incontro. Ed è allora che l'arbitro invita i prossimi sfidanti a farsi avanti. « Andiamo a ballare, signorina? » Allunga una mano verso di lei, prima di entrare nel fantomatico ring, lasciandogliela andare qualche passo prima.

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    « Questa sera sei proprio inarrestabile, eh? Doppio turno, interessante. » Zip guarda l'organizzatore che si rivolge a Zura con un mezzo sorriso, prima di degnare anche lui di uno sguardo. « Contro una matricola, poi. Ti ringrazieranno gli allibratori. » Continua, fissando Zip, ma parlando con Azura. « Già sai tutto oppure devo ricordarti le regole base? » « So tutto. » Risponde caustico, con un sorriso tirato, prima di togliersi la giacca per poggiarla vicino alla seggiola dove sta appollaiato lui. « Quand'è così.. » Suona la campanella con forza. « Usate bene i vostri cinque minuti! » Urla per farsi udire sopra il chiasso assordante della gente intorno a loro. E' quasi disorientante, ma allo stesso tempo estremamente emozionante. Zip è fatto della sostanza di quelle urla rabbiose che li incitano a darsele di santa ragione, di finirsi a vicenda, per il puro piacere del buon spettacolo. « Allora? Vogliamo prenderci un tè? » Arriccia il naso con un sorrisetto, mentre prende a girare intorno, in una specie di danza primordiale, atta a prendersi qualche istante di tempo per mappare, mentalmente, il piano d'attacco più efficace da usare contro l'amica. Che in quel momento smette di essere Azura Jackson per lui e diventa nient'altro che una biondina dagli occhioni grandi e vispi e dalla bocca carnosa. E proprio in virtù di ciò, la bacchetta si muove in circolo verso di lei, per castare il primo incantesimo che decreta il vero inizio dell'incontro. Volate Ascenderai.

     
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