Casa Rosier-Baker

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    In seguito al rave, i ritmi di June erano diventati più irregolari che mai. All'improvviso carico di responsabilità dovuto alla spilla da Senior, l'inizio ufficiale della stagione di Quidditch, le lezioni e gli impegni di tutti i giorni si era aggiunta una strana inquietudine, alimentata ulteriormente dalla preoccupazione per le condizioni di Fred e dall'insolita distacco nel suo rapporto con Sam. I giorni erano trascorsi rapidamente e, al contempo, con una lentezza tediosa. Tra una lezione e l'altra, nella pausa sul campo o durante la corsetta mattutina, June non mancava di controllare assiduamente Whatsapp, in attesa di un messaggio che potesse in qualche modo rincuorarla. La sera, tornata a casa, cenava assieme a Daffy, meno allegra e chiacchierona del solito, per poi ritirarsi in camera con la scusa dello studio. Dall'esterno, la situazione non era grave come durante l'inverno, quando il trauma della morte di Eric Donovan aveva minato il suo equilibrio mentale ed emotivo, ma era evidente che qualcosa non andava. Era più silenziosa, più stanca. Nonostante l'ausilio di tisane erboristiche, si era ritrovata costretta a ricorrere ad alcune pozioni di Lympy per scivolare in un sonno profondo e privo di sogni, stanca di rigirarsi inutilmente nel letto sino alle prime luci del mattino, incapace di mettere a tacere la propria mente che, come in un gioco crudele, le propinava scenari tragici ed assai variegati. Lentamente, la nebbia si diradò e le prime luci del mattino, insistenti nonostante le tende, trapelarono attraverso le palpebre serrate. Mormorò qualcosa di incomprensibile e si girò di lato, muovendo i piedi per cercare istintivamente Onyx e Sky, la puffola regalatole da Lily il natale precedente, comodamente acciambellate nella parte sinistra del letto matrimoniale. Assonnata com'era, non si era accorta della presenza del suo migliore amico, di cui sarebbe stata ignara ancora per poco. « Buongiorno Miss Rosier. » Sobbalzò nell'udire quella voce inaspettata, ergendosi a sedere con espressione spaventata, la mano destra stretta a pugno attorno all'elsa della bacchetta. « Leonard? » Biascicò, dopo qualche istante, sbattendo le palpebre per mettere a fuoco la figura del Grifondoro, seduto in fondo al letto. Prese un respiro profondo e scosse il capo, la base del naso stretta tra due dita, mentre il battito impazzito del suo cuore rallentava lentamente, appena. « Mi hai fatto prendere un accidente. Stavo per schiantarti! » Come minimo ci ho anche rimesso dieci anni di vita. Mi verranno le rughe prematuramente, per colpa tua. Che razza di scherzo! « Ha dormito bene? » Gli scoccò un'occhiata in tralice, soffermandosi qualche istante in più sui segni che ancora gli decoravano il volto. Infine sospirò, stringendosi nelle spalle. « Senza sogni, il che lo considero un bene. Anche se il risveglio è stato un tantino traumatico. » Borbottò, ironica, sfregandosi gli occhi per abituarsi alla luce. « Tu, invece? » Si allungò per accarezzare Onyx e Sky, grattando entrambe dietro le orecchie, quando il sacchetto sollevato da Leonard attirò tutta la sua attenzione. Il suo stomaco brontolò, traditore nonostante la stanchezza. Visto lo spavento che mi hai fatto prendere, la colazione è più che meritata! « Che ore sono? » Domandò, distrattamente, seguendo il suo discorso e, al contempo, sporgendosi in direzione del cellulare. « Le nove?! E' praticamente l'alba! » Si lasciò ricadere sul fianco con un ché di teatrale - e anche abbastanza ridicolo, probabilmente - fino a quando Sherlock non zampettò sino al cuscino, sfregando il musetto umido contro le sue guance e strappandole una risata. « Può darsi. Daffy ama le schifezze, forse sono americani o qualcosa di simile. » Ipotizzò, prendendo Sherlock in mano e alzandosi, tenendolo vicino al petto e carezzandogli gentilmente il pelo all'altezza della fronte. « Cazzo, fa ancora male. » Riportò gli occhi azzurri su Leonard, assorta. « Secondo la mia personalissima esperienza ci metterà ancora un po' a guarire. Almeno dieci giorni prima che i segni scompaiano del tutto. Ci hai messo un po' di ghiaccio per sgonfiarlo? Aiuta a restringere i capillari ed assorbire il sangue. » Non aveva compreso nei minimi dettagli ciò che era accaduto a Leonard la sera del rave, troppo impegnata ad assicurarsi che Fred giungesse sano e salvo al San Mungo, e non era certa che il ragazzo fosse felice di parlarne. Tuttavia, come per suo fratello, il fatto che si fosse ritrovato in una rissa - a giudicare dalle sue condizioni - era decisamente insolito. « Sto bene, più o meno. » Ormai aveva perso il conto delle volte in cui lo aveva ripetuto. « Mi sento solo... non lo so, inquieta. Quello che è successo al rave mi preoccupa, soprattutto perché dubito che riusciremo mai a individuare i responsabili. » Sospirò, liberandosi dalle coperte e incrociando le gambe nude sul letto, coperta sino alla coscia da una maglietta extra-large che sulla schiena riportava "O. Baston". « Fred ha rischiato grosso. Mi ha scritto ieri, a quanto pare dovrà restare in ospedale per un po' ma sta bene. » Abbozzò ad un sorriso, facendogli spazio al suo fianco. « Ammetto che saperlo fuori pericolo mi fa sentire meglio, ma in qualche modo mi sento ancora responsabile. » Deglutì, scuotendo il capo. « La notte che lo abbiamo accompagnato al San Mungo i Medimaghi mi hanno fatto capire che sarebbe potuta finire male. Inoltre, non è stato un caso isolato. » Anche altre persone hanno avuto atteggiamenti inspiegabili. « Mun e Albus, Lily... » Si strinse nelle spalle, senza sapere che altro dire. « Adesso stanno tutti bene ma non mi sento tranquilla. » Appoggiò Sherlock sul materasso, lasciandolo libero di tornare da Leonard o acciambellarsi assieme a Onyx e Sky, pigramente addormentate. « Comunque, l'importante è che sono sani e salvi. A tal proposito » Indicò il suo viso, gli occhi chiari che si spostavano dall'occhio al labbro. « chi ti ha conciato per le feste? » Inarcò entrambe le sopracciglia, invitandolo a passarle il sacchetto della colazione prima di sputare il rospo.
     
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    01 marzo 2021, h. 23:16.

    Daphne Baker aprì la porta dell’abitazione dandole una leggera spinta con le dita. Rimase ad osservarla mentre questa si spalancava emettendo un lieve cigolio, l’unico rumore in quella notte silenziosa. Eppure la sua testa era ancora piena di frastuono, come quando esci da un locale particolarmente affollato dove c’è la musica sparata ad alto volume dalle casse. Sentiva la testa pesante ed aveva la sensazione che si sarebbe dovuta impegnare parecchio per tenerla dritta. Forse il suo collo non era più un supporto così robusto. Si sfilò il cappotto lasciandolo sullo schienale di una sedia in cucina, assieme alla borsetta. Sollevò il vestito fino a liberare la pelle cerea delle gambe, in modo da potersi muovere più liberamente mentre saliva le scale per andare al piano di sopra. Attese di essere in camera prima di sfilarsi l’abito, lasciandolo scivolare a terra per poi lanciarlo in un angolo con uno scatto della gamba. Si recò in bagno, aprendo il getto d’acqua fredda e ci infilò sotto le mani, a formare una coppa per raccogliere l’acqua. Si sporse sopra il lavandino e quando le mani furono colme vi immerse il viso. L’acqua gelida le pizzicò il viso. Doveva risvegliarsi. Alzò lo sguardo, ritrovandosi davanti il proprio riflesso smunto. Che faccia da schifo.. Tornò in camera a passi rapidi, stringendo il telefono tra le dita, lanciando continue occhiate furtive allo schermo. I minuti trascorrevano troppo veloci nell’attesa che suo fratello arrivasse, portando con sé la notizia che i loro genitori erano al sicuro. Infilò una felpa ed un paio di pantaloni di una tuta della quale non ritrovava più la parte superiore. Scese di sotto, precipitandosi davanti al frigo. Tirò fuori due birre ed infilò l’apribottiglie nella tasca anteriore della felpa. Aveva l’impressione che qualcuno avesse premuto il tasto di un telecomando per far scorrere il tempo più velocemente. In realtà era tutto il resto che procedeva rapidamente. Lei aveva l’impressione di essere rimasta indietro. Ficcò le mani nella borsetta, tirando fuori il necessario per farsi le sigarette. Non era il caso di fumare erba, seppur la tentazione fosse molta. Forse più tardi, per aiutarla a dormire. Aprì l’uscio di casa, lasciando le chiavi infilate nella toppa quando se la richiuse dietro. Si sedette in una delle due sedie di legno, poggiando le birre sul tavolino da fumo. Ne aprì una e se la portò alle labbra, bevendone tre sorsi, senza riprendere fiato. Riappoggiò la bottiglia, facendo schioccare la lingua sul palato. Arrotolò la sigaretta per poi accenderla, in equilibrio tra le labbra dischiuse. Qualcuno una volta le aveva detto che fumare quando si è alticci non fa altro che aumentare la sbronza. La verità era che in quel momento non gliene fregava un cazzo. Afferrò il telefono visualizzando l’ultimo messaggio che Sam le aveva mandato. Comunque "Che poi devo..no niente"..me lo spiegherai non appena starai meglio, lo sai sì? Si, lo sapeva. Ripensare a ciò che era successo la destabilizzava. Aveva l’impressione di combinare un disastro dietro l’altro. Si sentiva uno schifo. Continuava a rivedere quella scena, riavvolgendola come la pellicola di un vecchio film, proiettando l’accaduto su di un lenzuolo appeso ad una parete. E infine ci mancava pure l’arrivo degli Auror e l’arresto di James Potter ad un evento del genere. Forse non avrebbe dovuto raccontarlo a Sam. L’ultima cosa che voleva fare era creargli un disagio. Non lo sapeva. Al momento non riusciva a ragionare lucidamente. Digitò la risposta e poi posò il telefono sul tavolino con lo schermo rivolto verso l’alto. Inspirò dal filtro sottile della sigaretta mentre con una mano sollevava il cappuccio fin sopra la testa. Forse avrebbe dovuto prendere una coperta.
     
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    Dopo il messaggio di Daffy aveva cercato i suoi genitori, gli aveva raccontato brevemente l'accaduto e si era assicurato che lasciassero la festa indisturbati. I giornalisti erano in agguato, pronti ad assaltare qualsiasi personalità di spicco. Lui, come tutti i Chudley, aveva ricevuto un messaggio minatorio dal loro addetto stampa. Nessuna dichiarazione. Scritto in lettere cubitali, così che nessuno potesse fraintendere i suoi ordini. Era riuscito a passare inosservato, mentre teneva Winter al suo fianco per riaccompagnarla a casa. L'aveva lasciata sotto casa e prima di salutarsi si erano scambiati i numeri di telefono. Dopo averla salutata non poté fare a meno di pensare al vocale della sorella, James Potter arrestato; una notizia assurda. James era un compagnone, il primo a far gruppo e a buttarla in caciara; non esattamente l'identikit di un assassino. Prese velocemente il telefono per telefonare i genitori e assicurarsi che fossero tornati a casa indisturbati. « Oliver caro, abbiamo appena saputo del figlio di Potter. » Grazie alle conoscenze politiche del padre non aveva alcun dubbio che la notizia fosse arrivata anche al loro orecchio. « Papà ha saputo qualcosa in più? » Sperava che proprio grazie a quelle conoscenze fosse in grado di strappare qualche informazione in più al ministero. « A quanto dice tuo padre il ministero ha serrato le fila. » Un comportamento comprensibile quando l'imputato era tanto famoso. « Va bene, vado da Daffy, ci sentiamo domani. » « Va bene, dì a tua sorella che vi aspetto domenica per cena e niente scuse! » Non ebbe tempo di rispondere che la madre chiuse la telefonata, sicuramente per non dargli la possibilità di ribattere e sgusciare via dalla sacrosanta cena di famiglia settimanale. Lungo la strada si fermò dalla sua caffetteria preferita per fare rifornimento di caffè e brioches calde, i messaggi di sua sorella non lasciavano dubbi sul tasso alcolico del suo sangue. Mangiare qualcosa di dolce e della caffeina le avrebbero sicuramente fatto bene. Raggiunse velocemente il cottage che la sorella divideva con l'amica, stava per bussare quando si accorse delle chiavi che penzolavano appese alla porta. Scosse la testa con un sorriso, che sbadata. «Nocciolina?! Sei in casa o rischio di trovarti svenuta sulle scale? » Entrò in casa, ricordandosi di estrarre le chiavi e riporle all'interno. Appoggiò i sostanziosi rifocillamenti per disfarsi della giacca del completo, tolse il papillon e aprì i primi bottoni della camicia. Era meno ingessato e più comodo di prima. Sbirciò nel salotto e scorse la sorella accucciata in veranda. La raggiunse, appesantito da tutti gli avvenimenti della serata. Si sedette al suo fianco e da bravo fratello maggiore prese per sé la birra che aveva tra le mani per porle la bomba calorica che aveva preso per lei. « Mangia qualcosa, sono ancora caldi. » Quando vivevano a New York le brioches calde nel cuore della notte erano una loro tradizione. Prese il suo con cremosa farcitura al pistacchio e granella di cioccolato bianco. « Una giornata perfetta finita nel peggiore dei modi... » Una serata all'insegna della beneficenza che tutti avrebbero ricordato come il giorno in cui James Potter venne arrestato per omicidio.
     
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    Troppo assorta nei suoi pensieri, si accorse della presenza di Oliver solo quando questo mise piede in veranda. L’odore zuccherino che si sprigionò nell’aria la costrinse immediatamente ad abbassare lo sguardo sul sacchetto che il fratello aveva in mano. Gli sorrise, con l’espressione stanca ma l’animo più leggero. Spense il mozzicone nel posacenere, facendogli posto accanto a lei, per poi lasciarsi nuovamente sprofondare nel divanetto, rannicchiata tra le spalle come a volercisi nascondere dentro. Quando Oliver le sfilò via la bottiglia di birra dalle mani, lei tentò una inutile e leggera resistenza con le dita, ma senza troppo impegno e il vetro umido scivolò via quasi senza che lei se ne accorgesse. «Ehy, è mia questa! La tua è lì sul tavolo!» provò a bofonchiare qualcosa, tentando inutilmente di tirar fuori un tono autorevole, tradita da un piccolo sbuffo divertito. Le pareva che tutta la tensione accumulata durante la serata stesse scemando via, lasciandola completamente vuota. Il lato negativo era che ora, qualsiasi piccolo problema avrebbe avuto le dimensioni di una montagna. Forse avrebbe dovuto dormire un po’. Era certa che l’indomani sarebbe riuscita a ragionare più lucidamente, in modo più obiettivo, riuscendo a mettere in fila gli eventi e a dar loro un senso logico. « Mangia qualcosa, sono ancora caldi. » Osservò il pacchetto che Oliver le aveva posato in grembo, quello dal quale proveniva il profumino delizioso. Automaticamente, un sorriso le spuntò sulle labbra. Erano di nuovo a NY, loro due. Niente Lockdown, niente Capodanno sul treno, niente arresti senza senso. Stavano solo guardando le luci della città che non dormiva mai dalla vetta di un grattacielo. Avrebbe voluto riaprire gli occhi e trovarsi lì. Solo per una manciata di secondi. Solo loro due. A respirare l’aria frizzante della notte. «Grazie..» Infilò la mano dentro al sacchetto, tirando fuori una brioches ricoperta di zuccherini e stracolma di marmellata di albicocca. L’addentò, lasciando che lo zucchero si espandesse a macchia d’olio nel suo organismo, raggiungendo ogni cellula del suo corpo, donandole l’effetto Placebo di cui tanto aveva bisogno. «Mamma e papà?» chiese dopo aver inghiottito il generoso boccone. Dimmi che stanno bene.. Sapere che erano tutti al sicuro, quella notizia, bastava ad alleggerirla almeno in parte dalla sensazione di pesantezza che aveva sullo stomaco. « Una giornata perfetta finita nel peggiore dei modi... » Annuì, quasi impercettibilmente, lo sguardo fisso sulla farcitura della brioche. Era di un arancione brillante. Personalmente, avrebbe definito la sua serata come un’iperbole che iniziava nel punto più alto, scendendo in picchiata per poi avvicinarsi sempre di più a toccare il fondo. «E dimmi un po’..» Diede un altro morso, iniziando la frase con un tono fintamente disinteressato. «... La biondina con cui ti ho visto socializzare, di quale parte della giornata fa parte? Di quella perfetta o di quella finita nel peggiore dei modi Si voltò verso il fratello maggiore, con un sorriso sornione che le arrivava da una parte all’altra della faccia. Sciabolò le sopracciglia un paio di volte. «Ed io che pensavo che la parte perfetta fosse stata aver giocato nella stessa squadra..» Si strinse nelle spalle, con fare deluso, cacciando all’infuori il labbro inferiore. Una leggera risatina le risalì su per la gola, mentre si abbandonava nuovamente contro lo schienale, poggiando la testa sulla spalla sulla spalla di Oliver. Un altro morso. «Comunque dico davvero.. Mi è piaciuto essere dalla stessa parte, per una volta.»



     
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    «Mamma e papà?» Sorrise alla sorella rassicurandola, i loro genitori erano più che abituati a gestire serate come quella, avevano lasciato la festa in pochissimi minuti senza lasciarsi intralciare dallo scompiglio. « Stanno bene, sono già a casa...mamma era solo preoccupata per te, ma le ho detto che sarei passato io e che domani mattina le avresti scritto. » La guardò con decisione, come per farle capire che quel messaggio doveva assolutamente partire; altrimenti la mamma avrebbe chiesto la sua testa servita su un piatto d'argento. «E dimmi un po’... La biondina con cui ti ho visto socializzare, di quale parte della giornata fa parte? Di quella perfetta o di quella finita nel peggiore dei modi Oliver era letteralmente stupito che avesse aspettato fino a quel momento per sottoporlo all'interrogatorio in stile Daphne. Dopo il bacio con Winter si era brevemente guardato intorno, temendo di vederla spuntare all'improvviso dietro di lui; pronta a fargli il terzo grado e a minacciare Win con lo sguardo. Guardò l'orologio e poi spostò lo sguardo sulla sorella. « Quanto ti è costato aspettare fino adesso per chiedere?! » Non si era mai mostrato insofferente di fronte all'interesse della sorella per la sua vita sentimentale, dopotutto anche lui era molto protettivo nei suoi confronti. « Diciamo che è una parte della giornata che devo ancora capire. » Incomprensione che nasceva in primis dai suoi pensieri e dalla confusione dei suoi stessi sentimenti. « Quindi cara sorellina non so esattamente cosa dirti. » Scrollò le spalle, prendendo uno dei cornetti che aveva portato. « Di conseguenza, la parte migliore è stata senza ombra di dubbio giocare con te nocciolina. » Nonostante ciò preferiva che Daffy continuasse la propria carriera nelle holyhead harpies, non voleva che il loro rapporto fosse gravato da paragoni; inoltre giocare con lei avrebbe significato essere costantemente distratto dall'idea che la sorella potesse farsi male; un istinto da fratello maggiore che non avrebbe potuto sopprimere tanto facilmente. «Comunque dico davvero.. Mi è piaciuto essere dalla stessa parte, per una volta.» Annuì alla parole della sorella. « Inoltre mamma e papà per una volta non hanno dovuto decidere per chi tifare. » Quando giocavano uno contro l'altra era quasi comico vedere i suoi genitori schierarsi per poi cambiare idea in continuazione nel corso della partita. « Tu invece come stai? Com'è andata la tua serata? » Conosceva la sorella meglio di sé stesso, sapeva che c'era qualcosa che non andava e non poteva fare a meno di preoccuparsi. « Ovviamente intendo prima che succedesse tutta quell'assurdità dell'arresto di Potter. » Un'accusa di omicidio che persino per lui era totalmente assurda, una mossa mediatica del nuovo governo; studiata a tavolino per renderla più eclatante possibile.

     
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    Una sensazione di sollievo mai percepita prima le si allargò nel petto come una macchia d’inchiostro nell’apprendere che i loro genitori stavano bene. Più volte, Daphne aveva pensato che in una vera e propria situazione di caos lei sarebbe stata tra i primi a lasciarci le penne. Non perché non fosse particolarmente brava negli incantesimi, ma perché il pensiero di sorvegliare gli altri avrebbe prevaricato la preoccupazione per la sua sicurezza. ”Dov’è Olly? E June? E Sam? E Dean? Stanno bene?”. Non sarebbe riuscita a concentrarsi su altro. Un’eterna distratta. Annuì, pensando già a quando avrebbe chiamato la madre. Si chiese se non avrebbe ceduto lei per prima, chiamando la figlia facendo valere il suo radicato lato da “mamma chioccia”. Inghiottì l’ultimo boccone di brioche e sfregò le mani tra di loro per rimuovere le briciole. Adesso avrebbe rivoluto davvero indietro quella birra. « Quanto ti è costato aspettare fino adesso per chiedere?! » Dovette impegnarsi per trattenere un sorriso, perciò reagì velocemente alzando il mento all’insù e guardando il fratello con la coda dell’occhio, socchiudendo le palpebre in un modo che voleva sembrare severo, ma che probabilmente risultava solo ridicolo. «Un po’.» rispose scandendo lentamente le parole con il vano intento di sembrare più minacciosa. In realtà Daphne non aveva visto nulla di che, solo Oliver e la biondina che ballavano e chiacchieravano amichevolmente tra di loro -si era sfortunatamente persa il bacio in diretta-, ma le parole del fratello confermarono che doveva per forza esserci qualcosa sotto. Era migliorata, però. Un tempo il suo unico scopo era far scappare a gambe levate le ragazze di suo fratello, mentre ora, lentamente, un passo alla volta, cominciava ad accettare il fatto che anche Oliver avesse diritto ad una vita sentimentale e che questo non significava che le voleva meno bene. « Diciamo che è una parte della giornata che devo ancora capire. Quindi cara sorellina non so esattamente cosa dirti. » L’espressione della Gifondoro si tramutò immediatamente in una maschera di delusione. «E dai, però! Non puoi spegnere così il mio desiderio di fare gossip! Almeno dimmi come si chiama!» con il dito indice tracciò una croce all’altezza del cuore. «Ti prometto che mi limiterò a stalkerarla sui social e che non la spaventerò in alcun modo. Parola di Coccinella.» Alzò il palmo della mano in una vera e propria promessa. « Di conseguenza, la parte migliore è stata senza ombra di dubbio giocare con te nocciolina. » Daphne si abbandonò ad un sorriso, guardando il fratello, pensando a quanto le bastassero poche sue parole per dimenticare tutti i casini che le stavano accadendo intorno. « Inoltre mamma e papà per una volta non hanno dovuto decidere per chi tifare. » La ragazzina scoppiò in una risata. «E’ vero!» confermò annuendo con il capo. «Però quanto è divertente vederli cambiare continuamente bandiera?» Si abbandonò sul divanetto, con un sospiro. «Credo che alla fine siano fieri di noi.» disse d’un tratto. Pareva una frase detta sul momento, ma invece era molto tempo che ci meditava sopra. Più volte i coniugi Baker, soprattutto prima del successo dei figli, si erano mostrati titubanti alle loro carriere sportive, preferendo per loro un percorso meno altalenante, tipo fare come papà e lavorare al Ministero. Ma ora, a vederli, sembravano sereni ed entusiasti del percorso dei loro figli. « Tu invece come stai? Com'è andata la tua serata? » Doh! Tana per te, Daffy. « Ovviamente intendo prima che succedesse tutta quell'assurdità dell'arresto di Potter. » Già. Ancora stentava a credere a ciò che era successo. «Secondo te è possibile che Potter abbia fatto una cosa simile?» Non conosceva così bene James, ma sapeva essere uno dei più cari amici di Joy e si fidava ciecamente del giudizio del suo Capitano. «Io.. Non so che pensare. Sono accadute troppe cose strane ultimamente e sembriamo arrivati al punto da non distinguere più la fantasia dalla realtà..» Scosse la testa, sospirando. «Comunque.. La mia serata è andata.. Piuttosto bene, immagino.» si strinse nelle spalle, arricciando le labbra in un’espressione pensierosa. «Penso sia arrivato il momento di mettere un po’ in ordine i vari punti della mia vita. Lo sai quanto sono confusionaria, ma ci sono cose da definire e a cui dare finalmente un nome. Mamma mia, quanto non sono brava in certe cose!»



     
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    « Mi raccomando Oliver non dimenticare niente di tutto quello che ti ho messo sulla lista. » La voce di sua madre era affannata, preoccupata e stanca. Da quando i suoi genitori erano stati informati delle ferite riportate da Daphne non si erano dati pace. Sua madre non lasciava il capezzale della sorella, aveva occupato la poltrona reclinabile e da lì non si era più schiodata; mentre suo padre aveva percorso in lungo e in largo il San Mungo, cercando di placare la rabbia e la preoccupazione che solo un genitore poteva provare. Oliver dal canto suo si era quasi interamente ristabilito. La prima notte in ospedale era stata tremenda, la pozione per aggiustare le ossa era efficace quanto dolorosa; ma per sua fortuna aveva dato i suoi frutti. Per questo motivo non poteva fare altro che fare di tutto per stare al fianco della sorella e allo stesso tempo lasciare che sua madre sentisse di avere il controllo della situazione. « Mamma non ti preoccupare...ho scritto a June per farmi aiutare a raccogliere le sue cose. » Rispose il ragazzo al telefono. « Oh June, beata ragazza...» « Esatto, conosce Daffy alla perfezione e saprà sicuramente dove tiene tutto ciò di cui ha bisogno ok? » Non sarebbe stato facile placare l'animo da mamma orsa della signora Baker. Non avrebbe perso la figlia di vista per un lungo periodo di tempo. « Il medico è passato? » Odiava non essere in ospedale, alla viglia dell'operazione, ma sua madre non sembrava in grado di darsi pace; combattuta tra la voglia di rimanere accanto alla figlia e il bisogno di raccogliere le cose che le avrebbero permesso di affrontare la convalescenza. « Sì, sì...l'hanno portata a fare gli ultimi controlli e poi dovrebbe ottenere il via libera. » Annuì pensieroso, mentre cercava di fare il possibile per rendere il tutto più sopportabile a sua sorella e ai loro genitori. « Sono arrivato a casa di Daffy, ci sentiamo più tardi...chiamami se dovessero esserci novità. » Raccomandazione quasi futile con sua madre. Nei momenti in cui si allontanava dall'ospedale riceveva dalla madre un dettagliatissimo update sulle condizioni della sorella. « Ok tesoro, a più tardi. » Ricambiò il saluto della madre e lasciò scivolare il telefono nella tasca posteriore dei jeans. Suonò il campanello dell'abitazione della sorella. sua madre gli aveva allungato il paio di chiavi di Daphne, ma vista la presenza di June non gli sembrava il caso di entrare come se niente fosse. Suonò il campanello e attese che la ragazza gli aprisse. Non la vedeva dal giorno dello scontro, proprio come lui aveva persone di cui preoccuparsi; persone che contavano più di ogni altra cosa. Un tratto che da bravi fratelli maggiori sembravano condividere. Quando June gli aprì la porta non poté fare a meno di sorriderle, un sorriso forzato che purtroppo non raggiungeva il suo sguardo. Come lui aveva ancora il segno di alcune escoriazioni, abrasioni superficiali che sarebbero guarite in breve tempo. « Ehiii... » Come stai, avrebbe voluto chiederle, ma una parte di sé non poteva fare a meno di ammettere di conoscere già la risposta a quella semplice domanda. Male, perchè solo così si poteva stare quando si veniva nuovamente messi di fronte agli orrori dello scontro. « Grazie per l'aiuto June... » Prese dalla tasca del pantalone la lista stilata dalla madre di cui aveva accennato alla ragazza. « Devo ammettere che metà di quelle cose non so nemmeno cosa siano, mentre la maggior parte nn saprei nemmeno dove cominciare a cercarla. » Dubitava che Daphne avrebbe gradito di scoprire che suo fratello aveva frugato tra le sue cose; motivo per cui aveva chiesto aiuto alla migliore amica di sua sorella.
     
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    Erano state ore frenetiche, quelli che avevano seguito l'attacco dei ribelli. Momenti strani, a tratti pieni di tensione, di cose da fare, di persone da aiutare e danni da riparare e, al contempo, spaventosamente lenti e apatici nei momenti in cui, rimasta sola, June si ritrovava in una casa insolitamente vuota e silenziosa. Come al solito, la calma non le piaceva e, pur di evitarla, si era cimentata in qualunque commissione, evitando accuratamente certi luoghi o certe conoscenze. Ancora non era certa di come si sentisse riguardo a quanto successo e, per il momento, non si sentiva abbastanza lucida o oggettiva per soffermarsi sulla questione. Al contempo, aveva trascorso buona parte del tempo a rispondere alle lettere dei genitori, cercando di contenere la preoccupazione di sua madre Thaleia e rassicurandola sullo stato di salute dell'intera famiglia sebbene, di ora in ora, l'ondina diventasse sempre più insofferente nei confronti della situazione in cui versavano Hogsmeade e il Castello. Dopo il discorso di Beatrice Morgenstern, June aveva fatto del suo meglio per dissuadere la madre dal presentarsi ad Hogsmeade: l'impulsività di una maride allarmata rappresentava un potenziale fattore di tensione. Come se non bastasse, il fatto che Daffy si trovasse al San Mungo e l'impossibilità di lasciare Hogsmeade non avevano fatto altro che aumentare la sua preoccupazione. Quando il campanello suonò, scattò in piedi, rischiando di rovesciare la tazza di caffè - l'ennesima - appoggiata sulla penisola della cucina. « Arrivo! » Esclamò, dirigendosi rapidamente verso la porta. Aprendola, rivolse ad Oliver un cenno del capo, accompagnato da un pallido sorriso. « Hey. Come stai? » Faticò a porgli quella domanda, quasi in contemporanea, sentendosi piuttosto stupida. Che domanda del cazzo. Sapeva che il giovane Baker aveva trascorso una notte al San Mungo, ma se le ferite fisiche erano state sanate, era chiaro dalla sua espressione tirata che non fosse l'unica ad essere in pensiero per Daphne. « Entra pure, ho già iniziato a radunare qualcosa. » Scostò delicatamente Nacho, entuasiasta come sempre di vedere un volto conosciuto, afferrandolo per il collare. Afferrò la lista che Olly le porgeva e la lesse velocemente, annuendo appena. « Ok, credo sia meglio se andiamo al piano di sopra. E' quasi tutto in camera di Daffy. » Gli fece strada, più silenziosa del solito. Sul letto della coinquilina aveva già sistemato una valigia di stoffa, in cui aveva inserito un paio di asciugamani. « La valigia è già espansa con la magia, è una fortuna che sia riuscita a trovarla in soffitta. » Dopo aver perso la bacchetta al campo da Quidditch non era ancora riuscita ad acquistarne un'altra e, finché non le fosse stato permesso di recarsi a Diagon Alley, sarebbe stata costretta a vivere alla babbana. « Qui dentro ci sono già un paio di asciugamani puliti. Ho preparato anche una trousse con alcuni campioncini da viaggio di prodotti per il corpo, ho comprato uno spazzolino nuovo, il dentifricio... ah, sì, anche un paio di ciabatte. » Annuì tra sé e sé, rammentando ad entrambi parte della lista. « Dunque... i pigiami. » Girò su sé stessa e si avvicinò al cassettone, salvo fermarsi a metà percorso. « Ci pensi tu? Se ricordo bene dovrebbero essere nel secondo cassetto, io mi occupo del... resto. » E, dicendo ciò, aprì il cassetto della biancheria. Va bene tutto, ma se ci fossi io in un letto di ospedale l'ultima cosa che vorrei è sapere che mio fratello ha dovuto rovistare tra le mie mutande. Sistemò la biancheria di Daffy in un organizer da viaggio, con aria pensierosa. Esitò un istante, infine sospirò. « Daffy come sta? » Domandò, spostando lo sguardo su Oliver. Il gufo del San Mungo l'aveva raggiunta appena tornata a casa ma, oltre a qualche breve messaggio con i signori Baker, non era riuscita a parlare con Daffy. Sta ancora troppo male, non deve affaticarsi. « Q-quando la vedi... potresti dirle che può chiamarmi quando vuole, appena si sente meglio? » Si inumidì le labbra, nervosa e preoccupata. « Anzi, deve chiamarmi appena si sente meglio. A qualunque ora, anche in piena notte. » Ho bisogno di sentire la sua voce.
     
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    Aseguì la ragazza all'interno dell'abitazione, lasciandosi guidare fino alla camera della sorella. Varcare le soglie del mondo di Daphne fu come ricevere un pungo nello stomaco. In quel momento aveva sotto gli occhi quella che era sempre stata la vita di Daphne. Sulle pareti campeggiavano le foto con gli amici, le medaglie vinte e gli scatti rubati delle partite. Prese in mano una cornice e non poté fare a meno di sorridere di fronte a quella fotografia. Avevano intorno gli undici anni ed erano a cavallo della stessa scopa, più che decisi a far venire un infarto alla madre mentre sfrecciavano insieme per casa. Oliver aveva lo stesso identico scatto in camera sua; uno scatto testimone del loro legame e di quella passione sportiva che non aveva fatto altro che avvicinarli sempre di più. Posò lo scatto e non poté fare a meno di pensare che June aveva già fatto gran parte del lavoro. Benedetta June. L'idea di mettere le mani tra le cose della sorella gli sembrava sbagliata, come se stesso invadendo la sua privacy nel momento in cui, più che mai, aveva bisogno di sentirsi al sicuro. « Dunque... i pigiami. Ci pensi tu? Se ricordo bene dovrebbero essere nel secondo cassetto, io mi occupo del... resto. » dabravo soldatino aprì il cassetto che le aveva indicato la ragazza, al suo interno sembravano esserci pigiami di ogni foggia, colore e fantasia. « Direi che questo con gli hamburger e quest'altro con gli unicorni sono perfetti. » Il tipo di pigiami che si aspettava da sua sorella. « Però dovrei prendere anche qualcosa di più sobrio...altrimenti chi la sente mia madre. » Aggiunse un semplice pigiama a righe, certo che Dapne avrebbe optato per quelli più spiritosi. Infilò tutto nella borsa, avendo cura di piegarli ordinatamente; non voleva correre il rischio di essere accusato di aver buttato le cose alla rinfusa. Sul comodino c'era un libro cominciato, ma mai finito, vista la posizione del segnalibro. Lo aggiunse al resto degli oggetti e diede nuovamente un occhi alla lista della madre. « Secondo te ha davvero bisogno di tutte queste cose? » Molti dei punti sulla lista sembravano più oggetti da Mamma Baker piuttosto che da Daphne. « Ho la sensazione che mia madre voglia sommergerla di oggetti così da impedirle di pensare. » Una possibilità che anche lui agognava. Spostò la sua attenzione sul resto degli oggetti sul comodino e prese tra le mani il portachiavi appeso all'abat-jour. Lui ne aveva uno identico, ricordo della prima coppa del mondo di quidditch a cui avevano assistito da spettatori. Senza pensarci troppo lo infilò nella borsa. « Daffy come sta? » Si voltò verso June, mentre cercava di trovare le parole giuste per rispondere alla sua domanda. Bene, avrebbe voluto dirle, ma era una menzogna; una menzogna bella e buona. « Non sta bene. » Ed entrambi sapeva benissimo che oltre le ferite fisiche riportate dalla ragazza, erano quelle psicologiche a preoccupare tutti maggiormente. « Non posso fare a meno di chiedermi se si sentirà mai più al sicuro. » Lo scontro ad Hogwarts li aveva messi ancora una volta in pericolo, costringendoli ancora una volta a combattere per la propria vita. « Fisicamente ha davanti a sé una lunga strada per rimettersi in sesto, ma la conosci...è tremendamente cocciuta. » Qualità che in momenti come quelli poteva fare la differenza tra il perseverare e l'arrendersi; Oliver inoltre avrebbe fatto di tutto per assicurarsi che continuasse a lottare. Proprio come Daphne aveva fatto per lui qualche anno addietro dopo l'incidente che aveva rischiato di mettere fine alla sua carriera sportiva. « Q-quando la vedi... potresti dirle che può chiamarmi quando vuole, appena si sente meglio? Anzi, deve chiamarmi appena si sente meglio. A qualunque ora, anche in piena notte. » Posò una mano sul volto della ragazza, quasi a volerla confortare; rassicurarla. « Sono certo che lo farà, non appena i medici abbasseranno le dosi di antidolorifici, la prima cosa che farà sarà pretendere di parlare con te e mangiare un hamburger. » Non necessariamente in questo ordine, avrebbe voluto aggiungere. « Tu stai bene? Sei riuscita a parlare con la tua famiglia? » Proprio come lui aveva persone di cui curarsi persone a cui erano andati tutti i suoi pensieri nel momento dell'attacco; così come il primo pensiero per lui era stata Daphne mentre cercava di allontanarsi dal campo di quidditch. «Stanno tutti bene? » Anche se la parola bene era un eufemismo in un momento come quello.
     
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