The Dead Don't Die!

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    Slytherin pride

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    La ripartenza era stata lenta. Mun si era dimostrata quanto mai caparbia nel riprendere il corso della vita di tutti i giorni una volta fatto ritorno in patria. Si era subito gettata sui libri, riempiendo al contempo i suoi figli di affetto, e passando più tempo possibile tra le mura domestiche. Non era un bel periodo, quello che stavano vivendo, a maggior ragione considerando che la giovane famigliola Potter-Carrow risiedeva stabilmente a Inverness. L'antica città dei cacciatori era in pieno fermento sin dalla notte di Halloween, e lo erano a maggior ragione Albus e Mun, che durante quella notte avevano assistito a qualcosa che ancora non sapevano spiegarsi appieno. Tornata tuttavia a immergersi nella tempestosa quotidianità di cui era ormai protagonista, aveva deciso di tornare a vivere per negazione. Non ho i servizi sociali alle calcagna, un nostro coetaneo non è morto sul treno su cui viaggiavamo nella speranza di dimenticare i nostri problemi, non stiamo impazzendo. Noi stiamo bene. Andrà tutto bene. Ma a ben guardare nulla stava andando davvero bene. Non solo aveva ricevuto una nuova notifica da parte del Ministero, per presentarsi per ulteriori accertamenti al Quartier Generale degli Auror, ma aveva anche dovuto passare in rassegna diverse lettere e contratti riguardanti la sua posizione di azionista presso la Gringott. Estratti conto, contratti da firmare, notifiche di riunioni a cui doveva presentarsi. Tornata da Berlino, insomma, dopo solo pochi giorni di assenza, di fronte alla casa in cui viveva, si era accumulato un mucchio di lettere, biglietti e pacchi, tra cui tra l'altro alcuni recanti regali per i suoi vent'anni. Aveva compiuto vent'anni, e non se ne era nemmeno accorta. Quel compleanno lo aveva passato a Berlino, a dormire, nella casa di due completi estranei, con la speranza che, quando avrebbe riaperto gli occhi, forse tutto quell'incubo si sarebbe rivelato niente più che un bruttissimo sogno generato dalla sua mente. Un compleanno così terribile lo aveva vissuto solo nel lockdown; ed effettivamente ciò che l'aveva scossa maggiormente in tutta quella faccenda era proprio il fatto che, a ben guardare, l'Orient Express aveva risvegliato gli stessi torpori subiti dopo la notte di Halloween di due anni prima. A tutto ciò si aggiungeva la notifica da parte delle società che si era occupata del memoriale di suo padre l'estate precedente: la incalzavano a presentarsi presso una delle loro sedi il prima possibile, con un assegno firmato valido. L'ennesimo problema che era comparso nella sua vita come un doccia fredda. Amunet Carrow aveva molti difetti, ma restava estremamente puntuale e diligente sul fronte delle responsabilità. Non a caso, accolse quella notifica con un velo di confusione e un pizzico di smarrimento. Era piuttosto certa di aver firmato l'assegno dei Mortimer, eppure, in quel momento, leggendo quella breve lettera, per un istante tentennò. L'estate precedente era stata complicata. Dopo la notte degli orrori, Mun si era persa nei meandri della sua mente; era diventata disattenta e poco incline a dare peso a qualunque questione che si snociolasse fuori dalle mura domestiche. Forse me ne sono davvero scordata. È possibile. Eppure cavolo.. le sembra di riuscire ancora a vedere quell'assegno siglato dalla sua elegante calligrafia, le unghie smaltate di nero che lo consegnano al maggiordomo affinché se ne occupasse della chiusura del contratto. Purtroppo, di chiedere informazioni a Michael Turner al momento, non se ne parla. Il maggiordomo di casa Carrow, ha richiesto specificamente per le vacanze natalizie un congedo di qualche settimana per tornare dalla propria famiglia. Una richiesta che, nessuno dei fratelli era stato in grado di rifiutare, visto e considerato che, oltretutto, nessuno di loro viveva più in pianta stabile ad Alexandria da parecchi anni. L'unica cosa che poteva fare era occuparsene da sola, e farlo anche abbastanza in fretta, prima che, quell'ipotetico mancato pagamento diventasse solo l'ennesima rogna con la giustizia. Le sembra di impazzire; quando è diventata così maldestra nel gestire la propria vita? Di fronte a quell'errore da principianti, inizia a considerare l'idea di esser stata vittima di altre lacune.
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    Quanti altri erano stati gli impegni mancati? Diventa vittima di tante paranoie mentre percorre il viaggio per Saint Peter's Cementery. Controlla il cellulare più e più volte, senza motivo alcuno, quasi come se tentasse di ripercorrere tutti i passi fatti durante gli ultimi mesi. Tra la crisi con Albus, le questioni riguardi Inverness, le citazioni e l'aver scoperto che, in poco più di qualche settimana tutto il suo castello di carte era sul punto di crollare, Mun si rese conto che, erano sin troppe le questioni che l'avevano tenuta lontana da quei piccoli dettagli che contornavano la sua vita. Aveva pagato le bollette? Aveva pagato le tasse universitarie? Si era premurata di condurre la sua vita al meglio? In quel momento non seppe darsi una risposta certa circa i suoi spostamenti, circa cosa avesse fatto o cosa avesse detto di preciso, quali impegni aveva rispetto e quali invece aveva inesorabilmente trascurato. Si rese conto in quel momento di aver dato sin troppe cose per scontate; dall'alto del privilegio di cui era stata investita sin dalla nascita, per un po', Mun si era dimenticata che tutto sommato la sua vita e quella della sua famiglia doveva gestirla in parte o in toto solo ed esclusivamente lei. Lo stabile all'entrata del cimitero le apparve in questa circostanza molto più imponente e sontuoso dell'ultima volta che lo aveva visitato. In quella circostanza, a luglio, Mun era stata decisamente frugale nei discorsi con il responsabile della casa funeraria. Aveva scelto semplicemente un pacchetto all inclusive tra i vari, che avrebbe fatto piacere a sua madre. Loro si erano occupati di tutto il resto; i discorsi del memoriale, la lista degli invitati, il catering e i rituali vari annessi e connessi. Mun si era dimostrata decisamente disinteressata all'idea di organizzare una rimpatriata con vecchi amici e conoscenti del padre a quattro anni dalla sua morte. Le era apparso tutto così futile, così pomposo e innecessario. Una farsa. La maggior parte di quelle persone erano state contente di liberarsi della presenza ingombrante di Abraxis Carrow. Sua figlia in primis, che ne era principale artefice, aveva provato un senso di sollievo nel vedere il padre esalare il suo ultimo respiro. Era lì, presente, quando suo fratello Deimos si era ribellato, puntando la bacchetta contro la persona che maggiormente aveva assoggettato tutti loro, definendo i loro destini probabilmente per sempre. In quell'occasione non si era mostrata né sorpresa, né tanto meno ferita da quell'evento. Riguardo a tutte le questioni afferenti alla morte di Abraxis Carrow, poi, Mun era sempre risultata fredda e distante. « Salve.. stavo cercando il signor.. Felix. Felix Mortimer. » Asserisce infine presentandosi a quella che aveva tutta l'aria di una reception. Dietro il front desk, un uomo ossuto di mezz'età, pallido come la morte. Mun se lo ricordava. Era stato lui a offrirle una panoramica sull'offerta della ditta - la stessa che si era occupata in prima battuta del funerale. Pensa, siamo clienti fidelizzati ormai. « Dovremmo avere un appuntamento. » Credo. Quella situazione le sembra paradossale, ma, per confermare quanto detto, allunga in direzione del tipo decisamente poco rassicurante, la lettera che ha ricevuto. Il Lurch dei tempi moderni, dietro il front desk, la osserva con una pattina di confusione, mentre percorre le poche righe della lettera. « Che io sappia, Felix non ha appuntamenti quest'oggi, Miss. » Si sporge verso l'ufficio alle proprie spalle, rivolgendosi a una presenza che Mun non riesce a vedere. Non riesce a carpire nemmeno il nome della persona a cui si sta rivolgendo. « ..sai se tuo padre viene oggi? Credevo avesse da fare con quell'altra.. questione.. » Oh, le questioni segrete delle pompe funebri. Interessante. L'uomo torna di fronte a lei, dopo essersi scambiata diverse battute che Mun non ha afferrato alla perfezione. Si è distratta, osservando con un che di decisamente interessato la processione che si dirigeva verso il cuore del cimitero. Un funerale di qualcuno di importante, a giudicare dagli ottimi tagli dei vestiti delle matrone e dei gentiluomini che accompagnavano la bara. La morte la sta circondando ultimamente. Più del solito. « Non vorrei averle fatto fare un viaggio a vuoto, quindi, se non le è di troppo disturbo, può attendere mentre cerchiamo di rintracciare il signor Mortimer? » La invita a sedersi su una delle poltroncine nella macabra sala d'attesa, ma in tutta risposta, Mun stira un leggero quanto cordiale sorriso e annuisce. « Ma certo. Preferirei chiudere la faccenda in giornata. Mi trova qui fuori, appena avrà notizie. » Tasta il sentiero all'entrata nel cimitero con una leggera incertezza, mentre si porta una sigaretta alle labbra, osservando da lontano la processione che si è radunata attorno a una fossa preventivamente scavata in attesa della bara. In mezzo a quelle figure funebri, vestite tutte di nero, riesce a scorgere una minuta presenza pallida. Sotto un cappotto blu notte, indossa un vestito in velluto nero. Tra i capelli intrecciati porta un fiocco blu; fissa insistentemente la fossa, con uno sguardo assente, mentre Mun si morde il labbro inferiore sgranando gli occhi. Un deja-vu; per un istante il sangue sembra gelarlesi nelle vene, mentre scorge una figura incappucciata alle spalle della bambina. Lei volge automaticamente lo sguardo verso Mun mentre la creatura posa un paio di artigli mostruosi sulla spalla della piccola; lei non sembra accorgersene di nulla. Oppure se ne accorge ma non le interessa. La fissa. E Mun fissa lei di rimando. Scappa! Via! Vattene! Il terrore che la sovrasta è tale da obbligarla a fare marcia indietro, pronta a rientrare. Ma proprio mentre si gira, a pochi metri di distanza, si ritrova di fronte a una presenza che la fa trasalire. Capelli chiari e uno sguardo penetrante. Sobbalza, portandosi una mano all'altezza del petto, quasi come se volesse calmare in qualche maniera il battito accelerato. « Oddio, che colpo, non ti avevo proprio vista. » Asserisce infine, mentre getta un'ultimo sguardo in direzione del funerale. E ora, più che terrorizzata, è semplicemente confusa. Lì, in mezzo a quelle figure non c'è più alcuna bambina, nessun capotto blu notte, nessun fiocco tra lucenti capelli corvini. « I cimiteri non mi fanno un bell'effetto. » Continua con un tono quasi ingenuo. A chi piacciono d'altronde? Decide quindi di scuotere la testa e stringersi nelle spalle. Non sa per quale ragione decide di rivolgere la parola a una perfetta estranea. Forse perché in fondo il silenzio dei cimiteri non è mai piacevole. Forse perché in fondo, Mun, un po' silenziofobica lo è diventata. « Perdonami, non volevo importunarti. Forse sei qui per porgere i tuoi omaggi a qualcuno.. » Ed io invece sto solo continuando con questo mio quaquaraqua inutile di cui non gliene frega un cazzo a nessuno. « Buona giornata. »



     
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    La primavera sarebbe arrivata a breve, portando con i suoi fiori e i suoi colori un velo di allegria all’interno del castello. Il cambio di stagione portava un effetto strano sulle persone, soprattutto quello tra inverno e primavera. La gente sembra più felice. Finalmente il sole sarebbe riuscito a scaldare con il suo tempore e la natura sarebbe rinata in uno spettacolo di cui solo Madre Natura era a conoscenza dei complessi meccanismi. Wednesday era nelle Serre di sua madre, lì dove aveva lasciato una pianta di Mandragola comprata la settimana scorsa a Nocturn Alley. Si soffermò ad osservare le rose nere che sbocciavano nei vasi di Belladonna Mortimer. Erano incredibilmente belle, così delicate ma allo stesso tempo in grado di mettere quasi timore a chiunque le vedesse. Erano molti i miti che parlavano della primavera. I Babbani sono sempre stati esseri curiosi. Si inventavano dèi pagani per spiegarsi ciò che ancora non sapevano. Ce n’era una in particolare, di quelle che aveva letto nel libro di Babbanologia e che aveva attirato la sua attenzione. La leggenda racconta che, in un giorno di primavera, Ade, dio degli Inferi, vide la bella Proserpina, figlia della dea dell'abbondanza, Cerere, passeggiare in un bel prato, intenta a raccogliere fiori variopinti. Il dio se ne invaghì e (considerando che non conosceva metodi più romantici) decise di rapirla. La portò nella sua dimora, il regno dell’oscurità e la sposò. Una relazione destinata a non durare, penserete voi, visto che il fidanzamento era stato così breve. Insomma, non si conoscevano affatto! Sbagliato! Perché Ade aveva fatto mangiare a Proserpina la melagrana, considerato il frutto dell’amore. Cerere cercò la figlia per tre giorni e per tre notti, ma di lei non c'era nessuna traccia. Quando seppe quanto era successo perse la testa per la rabbia ed il dolore e decise di non occuparsi più della terra e dei suoi frutti. Furono tempi di siccità, carestie e pestilenze. Gli uomini non sapevano più che fare: i loro figli morivano di fame, i fiori non sbocciavano e i frutti non maturavano; gli animali, non trovando più l'erbetta tenera dimagrivano e morivano. Gli uomini, disperati, si rivolsero a Giove chiedendogli di far tornare Proserpina. Ma poiché la ragazza aveva mangiato la melagrana, non poteva più tornare dalla madre, accecata com’era dall’amore per suo marito. Fu allora che Giove, commosso dal dolore di Cerere, decise che Proserpina sarebbe rimasta per otto mesi sulla terra, da gennaio ad agosto, assieme alla madre; e per quattro mesi, da settembre a dicembre, sarebbe tornata dal marito nel regno degli Inferi. Avevano una pianta di melograno in giardino. Sua madre aveva raccontato così tante volte la storia di come quell’alberello era arrivato, al punto che Weed, troppo piccola per ricordare realmente l’accaduto, si era creata dei coloratissimi falsi ricordi nella sua mente. Apparivano a sprazzi e poi scomparivano. Wednesday li vedeva in terza persona, non presente nella scena ma come uno spettatore esterno che spiava da dietro un cespuglio. Bella era incinta dei gemelli e un giorno, presa da chissà quale voglia aveva chiesto al marito una melagrana. Felix gliene aveva un’intera pianta. Avevano scavato una buca, tutti insieme, e da allora quella pianta era lì come simbolo di un amore eterno. «Anche stavolta tua madre si è davvero superata.» La mezzana di casa Mortimer annuì, ormai avvezza alla presenza costante del fantasma di sua nonna Verbena in mezzo ai piedi. Non capiva perché, negli ultimi tempi, la donna continuasse a seguirla, spesso diventando addirittura invadente. Forse era un periodo, magari si sentiva sola e aveva bisogno di fare due chiacchiere. Una volta sua madre le disse che quando si avvicina il giorno della ricorrenza della loro morte, i fantasmi diventano irrequieti e sconfortati. Ripensano alla loro vita passata, a ciò che hanno lasciato e che non potranno possedere mai più. La ghirlanda di fiori bianchi che Belladonna Mortimer aveva finemente intrecciato tra di loro era piuttosto grande. Si era proposta Weed di portarla al Saint Peter’s Cemetery dove stava per aver luogo una cerimonia funebre. «Si, è vero.» Weed fece scivolare la ghirlanda sopra il tavolo, controllando con occhio attento se fosse tutto apposto. «Oh, mi ricordo di Abraham. Era amico di tuo nonno. Un brav’uomo. Anche quando entrò al Ministero trovava sempre il modo per venire a farci visita, ogni tanto. Se vedi Susan, sua moglie, portale le mie condoglianze.» La Corvonero si voltò verso la donna, fissando il suo viso dai tratti per sempre così belli. «Sarebbe strano.» commentò. Le sue sopracciglia si alzarono e riabbassarono immediatamente. «Cosa, mia cara?» Verbena fluttuò in aria, sedendosi sul tavolo di legno senza emettere alcun rumore. «Le condoglianze da parte di un fantasma.» La donna scoppiò in una risata cristallina, portandosi la mano davanti alle labbra, come facevano le nobildonne di altri tempi. «Temo tu abbia ragione, piccola mia. Ci sono volte in cui mi dimentico la mia.. situazione Non era mai stata brava a fingere, neppure da viva aveva detto sua madre una volta. Era malinconica, insoddisfatta, condannata ad un’eternità di ricordi, guardando le vite degli altri procedere mentre la sua era rimasta ferma, come se l’orologio che scandiva il suo passare si fosse rotto in mille pezzi. Wednesday decise di non dirle nulla semplicemente perché stava facendo tardi. Estrasse la bacchetta dalla tasca del cappotto e la puntò verso la ghirlanda. Questa si sollevò in aria, cominciando a seguire la ragazzina come un aquilone ben ancorato con un filo. «Devo andare nonna. Il funerale inizia tra mezz’ora.» Doveva sistemare la ghirlanda, controllare che il resto dei fiori fossero apposto ed aiutare suo padre negli ultimi preparativi. Weedy era minuziosa e attenta ai particolari. Fin da piccola era stata l’ombra di suo padre, anche al lavoro. Si era sempre mostrata propensa ad apprendere, vogliosa di imparare. Non aveva mai nascosto quanto desiderasse, un giorno, essere al comando delle Onoranze Funebri di famiglia. Sua nonna sospirò, trapassando la parete con la sua figura trasparente.
    Il cimitero era gremito da un piccolo gruppo di gente. Si erano radunati tutti attorno al capezzale del signor Abraham Harrison. La vedova se ne stava accanto alla bara di fronte alla quale era stata piazzata la ghirlanda di rose bianche. Aveva una veletta nera che le copriva la fronte. Singhiozzava, asciugandosi gli occhi con un fazzoletto di tessuto. Weed camminava senza essere vista. Si muoveva tra le persone, controllando che tutto fosse in ordine prima dell'inizio della funzione. I suoi passi erano leggeri, come le ali di una farfalla. Preparare un funerale era come preparare un matrimonio, ma molto più solenne. Si celebrava la vita, l’amore, il ricordo di qualcuno. Non dovevano esserci contrattempi, tutto doveva essere perfetto. «Signorina, le è caduto questo.» Qualcuno bisbigliò alle sue spalle e la giovane Corvonero si voltò lentamente, ritrovandosi davanti una donna che le porgeva un braccialetto. Era un cerchietto perfettamente liscio, argentato, dal quale pendeva un ciondolo a forma di “A”. Wednesday guardò il bracciale, poi la donna.
    «Si. Grazie.» Accennò un sorriso riprendendo il gioiello ed infilandoselo nella tasca del vestitino scuro. La donna sorrise, tirando le labbra in una linea dritta. I suoi occhi erano contornati da profonde occhiaie. Quando si voltò, Weed vide suo padre in lontananza. Stava parlando con due uomini vestiti con abiti eleganti. Wednesday li aveva già visti a casa sua, qualche giorno prima. Erano i figli del signor Harrison. Rimase immobile a fissare la figura di suo padre finchè questo non si congedò dai due uomini e si voltò verso di lei. Lo vide annuire leggermente e lei fece lo stesso di rimando. Era il segnale, un loro modo per dirsi che tutto era apposto. In quel momento la voce del celebrante echeggiò lungo le mura di marmo e tutti si alzarono in piedi. La Corvonero si precipitò fuori, percorrendo il sentiero di ghiaia argentata costeggiato da cespugli fioriti. Avrebbe atteso suo padre all’ingresso del cimitero. Lì lavorava il signor Tremblay. Era il custode del cimitero, sempre vestito di tutto punto come se stesse per andare ad un matrimonio. Weed lo conosceva da quando era una bambina. La famiglia Mortimer lo pagava da anni per le informazioni che lui forniva sui servizi della famiglia. Per il resto parlava poco, ed era per questo che anche a lei il signor Tremblay piaceva. Quando la vide la salutò con un sorriso e lei ricambiò. Lui aveva lasciato la porta sul retro aperta e Weed si era seduta in una panchina lì vicino. C’era un piccolo laghetto dentro il quale vi erano cinque pesciolini rossi. La piccola Mortimer lanciò uno sguardo all’orologio. Ancora pochi minuti. Stava per alzarsi per prendere la borsa dentro la quale era contenuto un libro, quando il signor Tremblay si affacciò dalla porta aperta, fissandola. « ..sai se tuo padre viene oggi? Credevo avesse da fare con quell'altra.. questione.. » Weed alzò un sopracciglio, palesemente confusa. «Papà è dagli Harrison. La cerimonia è appena iniziata.» L’uomo annuì. «C’è una signorina che dice di avere un appuntamento con lui.» La ragazzina roteò gli occhi. Non sarebbe mai dovuto capitare che due impegni si sovrapponessero, non era affatto professionale. Scattò in piedi. «Fammi parlare con lei.» «Non preoccuparti ci penso io. Tu vai a cercare tuo padre.» Annuì. Si mosse di qualche passo, poi si bloccò. E se fosse.. Guardò l’ora. Era più che probabile. Fece dietrofront, avvicinandosi al cancello d’ingresso e spiando aldilà dell’inferrata. E’ qui. Amunet Carrow fissava un punto lontano, con una sigaretta tra le dita. Nonostante le stesse dando le spalle riconobbe immediatamente quella cascata di capelli corvini. La figura longilinea e affusolata si ergeva in mezzo al piazzale vuoto. Il signor Tremblay la vide. Weed le fece un cenno, rassicurandolo. Si avvicinò alla ragazza, con il solito passo leggero. Si fermò a qualche passo da lei. Stava per dire qualcosa ma fu la Carrow a voltarsi e a sobbalzare. « Oddio, che colpo, non ti avevo proprio vista. » Si era posata le mani all’altezza del petto. Weed la guardò, alzando un sopracciglio. La guardò con attenzione, mentre si guardava intorno, come alla ricerca di qualcosa che in realtà non c’era. « I cimiteri non mi fanno un bell'effetto. Perdonami, non volevo importunarti. Forse sei qui per porgere i tuoi omaggi a qualcuno.. Buona giornata. » Santo Satana, ma quanto parla questa? Era chiaro che Amunet non si ricordasse di Wednesday. La giovane Mortimer non possedeva un Mantello dell’Invisibilità ma sapeva sparire, quando voleva. Anche durante il funerale ed i memoriali in onore del signor Carrow si erano incrociate qualche volta, ma non si erano mai scambiate neanche una parola. Neanche a scuola. Amunet Carrow era di un’altra categoria. Forse era anche per questo che aveva sviluppato quella sorta di antipatia nei suoi confronti. Forse era per questo che la giovane dai capelli corvini le era parsa la vittima perfetta per i suoi allenamenti di magia voodoo. «Sono Wednesday Mortimer. Sono stata io a chiederti di venire qui, non mio padre.» Il voodoo era una magia antica. Come per la Pozione Polisucco, perché funzioni, serviva un pezzetto o qualcosa che appartenesse alla persona. Weed si frugò nella tasca ed estrasse il braccialetto. «L’ho trovato durante il memoriale di tuo padre. Credo sia tuo.» Mentiva. Sapeva che non era di Amunet, perché la bambolina non aveva funzionato. Non voleva farle del male, solo divertirsi un po’. «O se non è tuo magari qualcuno che conosci può averlo perso.» Wednesday non era una ladra. Glielo avrebbe restituito anche se la magia avesse funzionato. Dopo. «Non volevo spaventarti. Stai bene? Sembri un fantasma.» Effettivamente, la Carrow era ancora bianca come un lenzuolo. «Posso offrirti qualcosa. Una cioccolata?»


     
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    La giovane ragazza che comparve al cospetto di Amunet Carrow erano un'adolescente, forse in età di Hogwarts. I suoi capelli argentati le donavano un aria spiritata, in un certo qual modo inquietante, ma anche affascinante. E' il gusto macabro del bello, dell'insolito, qualcosa che ha sempre destato una certa curiosità nel cuore della giovane ex Caposcuola. Un po' come i cimiteri, quell'aria taciturna e misteriosa, riuscì a metterla sugli attenti ma al contempo la costrinse a non distogliere lo sguardo dal volto pallido di lei. Era come guardarsi allo specchio; quell'aria elegante ma malinconica, Mun l'aveva osservata allo specchio diverse volte, per anni ed anni, solo che, invece di portare un caschetto dalle brillanti sfumature argentate, era incorniciata da lunghi capelli color ebano. Inclinò appena la testa di lato, come se tentasse di scavare nella propria memoria, il momento esatto in cui li ha già visti. Forse a Hogwarts, ma anche altrove. In un ambiente più famigliare, più prossimo a lei. « Sono Wednesday Mortimer. Sono stata io a chiederti di venire qui, non mio padre. » Assottigliò appena lo sguardo, per poi stirare un leggero sorriso, sospeso ancora nel muto terrore provato pochi minuti prima. Che cosa aveva visto? Si era immaginata tutto? Era solo un deja-vu relegato a sue passate esperienze, o forse stava davvero impazzendo? Scossa appena la testa, tentando di scrollarsi di dosso la genesi di quelle domande a cui quasi sicuramente non avrebbe trovato risposta, e dopo essersi umettata le labbra, rispose a sua volta con un gentile « Amunet.. Carrow. Ma immagino che a questo punto sai chi sono. » Fu dolce come il miele il suo tono di voce nel presentarsi. « Piacere di conoscerti, Wednesday. » Trovò piuttosto insolito che la ragazza la chiamasse, specie se, a ben guardare il padre, Felix, non ne era a conoscenza. Che cosa aveva mai da spartirsi quella che immaginava potesse essere un parente del capo della dita con lei? Decise di voler approfondire, seppur, l'atmosfera spettarle del cimitero le sembrò tutto fuorché un posto adatto in cui incontrarsi e parlare, di qualunque cosa dovessero parlare. La risposta le giunse non appena la ragazza estrasse dalla tasca un braccialetto. Mun lo osservò con attenzione alla luce naturale, dopo aver permesso alla giovane di porgerglielo. Non le disse molto. Se era un suo cimelio, non doveva essere uno particolarmente importante. Non ricordava di averlo mai posseduto o indossato. Scosse quindi la testa con fare confuso. « L’ho trovato durante il memoriale di tuo padre. Credo sia tuo. » Fu un pezzo di informazione piuttosto importante; prima di tutto Mun comprese dove lo aveva già vista. Non era Hogwarts, né il luoghi frequentati da tutti loro da studenti, ad aver fatto breccia nei suoi ricordi - seppur fosse piuttosto certa che Wednesday fosse il tipo di persona che, difficilmente sarebbe passata inosservata; no, la ragazza era entrata a casa sua, era presente durante l'ultimo memoriale, e forse, a ben guardare forse anche a quelli prima e al funerale. Doveva essere piuttosto piccola quando Abraxis Carrow era morto, motivo per cui, ipotizzò, avesse iniziato ad accennare i primi timidi passi negli affari di famiglia più tardi. « O se non è tuo magari qualcuno che conosci può averlo perso. » Lo sguardo color ghiaccio della giovane Carrow, saettò nuovamente sul gioiello. Non seppe dire di chi potesse essere. D'altronde, se lo aveva trovato durante il memoriale, poteva trattarsi di chiunque. I ricevimenti organizzati in memoria del padre, continuavano a contare decisamente sin troppe persone per i suoi gusti. Suo padre non si meritava tutta quella reverenza, tutto quel moto ipocrita di persone apparentemente dispiaciute, che continua a porgere specie alla madre, i loro più sentiti ossequi, rammentando i bei momenti passati assieme ad Abraxis. Era certa che, metà di quelle reminiscenze fossero false, inventate, reinterpretate. Mun, d'altronde, suo padre lo ricordava bene. Non c'era stato un solo momento nella sua infanzia che potesse ricordare privo di quel germoglio di follia che albergava nelle sue iridi pallide come la morte. « Ti ringrazio. Farò in modo che la servitù trovi il proprietario. Non è mio, ma è tanto gentile da parte tua averlo restituito. Troveremo il suo legittimo possessore, te lo prometto. » Abbozza un sorriso gentile, stringendosi nelle spalle, prima di sospirare, guardandosi attorno con occhi sospettosi. I cimiteri la mettevano un soggezione, non c'era assolutamente nulla da fare, o forse, a metterla leggermente in soggezione era lo sguardo magnetico della giovane. Sembrava preservare in quelle profonde iridi, il mistero di una conoscenza a cui Mun non aveva accesso. Un mistero e una conoscenza a cui si sentì inesorabilmente attratta, come quando un pulsante presenta un avvertenza volta a non toccarla, ma più lo guardi più hai voglia di premerlo. « Non volevo spaventarti. Stai bene? Sembri un fantasma. Posso offrirti qualcosa. Una cioccolata? » Si morde istintivamente il labbro inferiore e si passa le dita tra i lunghi capelli d'ebano, mentre si schiarisce la voce. Non sa nemmeno se la questione è da affrontare con Wednesday, ma a quel punto deve andare fino in fondo con la faccenda. « E' che.. ecco.. » Si affretta a inserire il braccialetto nella tasca del cappotto, prima di tirare fuori dalla borsa la lettera che ha ricevuto dalla loro ditta. Non c'è una fattura, né vi sono informazioni specifiche in merito al mancato pagamento, motivo per cui, date le poche specifiche, forse in fondo, la ragazza ha a che fare con quel malinteso.
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    « Tolto il braccialetto, ho ricevuto questa da parte della vostra dita. » Le allunga quindi il sommario rotolo di pergamena intestata, e si stringe nelle spalle. « Sei stata tu, oppure c'è davvero qualche problema con i nostri pagamenti? » Si sente di mettere subito le mani avanti. A quel punto, non ha molto la testa per compiere teorie di complottismo in merito a quell'avviso di cortesia. Vuole solo mettere ordine in qualcosa; almeno in un parte della sua vita. Seppur si tratti solo di un ordine di natura economica. « Se era solo una scusa per restituirmi il braccialetto.. » E' un po' strano, ma vista la tua giovane età forse ci sta. D'altronde ammette Mun che non si sarebbe mai recata fino a lì, solo per riprendersi un gioiello di cui non ricordava nemmeno di esserne mai stata in possesso. « - insomma, non fa niente. » Più o meno. « Però ecco, se ci fossero dei problemi, vorrei rimediare il prima possibile. Non siamo certo dei cattivi pagatori. » D'altronde sarebbe il colmo, considerando il patrimonio dei Carrow; senza contare che, scoprire che i principali azionari della Gringott non pagano i loro debiti, è un po' come un perenne lasciapassare per i creditori, seppur il pagamento riguardi un memoriale. La forma è sostanza, e Mun, alla forma ci tiene molto. « Forse ci sono stati dei problemi con l'assegno? Oppure.. - io sono certa di averlo consegnato al nostro commercialista. » Firmato di proprio pugno. « Ma.. di questi tempi mi vengono dubbi su tutto. Ho la testa un po' tra le nuvole. » Una confessione che fa a cuor leggero; sono disattenta, non è un peccato. E non lo sarebbe davvero, un peccato, se la giovane Carrow non fosse per natura una delle persone più scrupolose sulla faccia della terra. Se la stessa ammissione di quel peccato non fosse risultata strana se accostata a una personalità come quella di Mun. « Accetto ben volentieri un té, se solo riuscissi ad aiutarmi a capire questo problema. » Per un istante si chiede se Wednesday può veramente aiutarla. E' quindi quasi istintivo tentare di tastare in qualche maniera il terreno. Non so nemmeno se è maggiorenne. Sto trattando con una minorenne? E' effettivamente legale? « Sei ancora a scuola oppure vai al college? » In fondo potrebbe anche dimostrare semplicemente meno anni di quanti ne ha effettivamente. Nessuna delle due ipotesi è esclusa, specie perché si trovano ancora in piene vacanze invernali. « E' bello il fatto che ti interessi già agli affari di famiglia. E' una decisione che rispetto molto. »


     
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    Wednesday Mortimer sapeva ascoltare. E sapeva leggere. Non i libri, quelli suon buoni tutti. Wednesday Mortimer sapeva leggere la gente. I segni che la gente si porta addosso: posti, rumori, odori, la loro terra, la loro storia. Tutta scritta, addosso. Lei leggeva, e con cura infinita, catalogava, sistemava, ordinava. Ogni giorno aggiungeva un piccolo pezzo a quella immensa mappa che stava disegnandosi nella testa, immensa, la mappa del mondo, del mondo intero, da un capo all’altro, città enormi e angoli di bar, lunghi fiumi, pozzanghere, aerei, leoni, una mappa meravigliosa. Aveva sempre pensato di sapere molto anche su Amunet Carrow. Il cognome dell’ex Caposcuola era assai noto, in tutto il Mondo Magico, e non c’era mago o strega in tutta l’Inghilterra che non conoscesse il nome dei Potter, dei Weasley e di coloro ai quali erano legati. A scuola, della Carrow, si dicevano un sacco di cose: che ci fosse molto più di quanto si sapesse sulla morte di suo padre, che fosse una tipa particolarmente ambiziosa e di come dava l’impressione che tutto le appartenesse. Ora che se la ritrovava di fronte, però, la giovane Corvonero non poté fare a meno di chiedersi se tutti non si fossero in realtà sbagliati. Il tono con il quale la Carrow si era presentata era zuccherino come quello di un biscotto al burro. Ma di solito, dopo lo zucchero arrivava quasi sempre la medicina amara. Amunet Carrow pareva rivestita da un velo di tristezza, che lei indossava elegantemente come una giacca all’ultima moda. Era una sofferenza che ai ragazzi piaceva, scatenava in loro quella curiosità che li intrigava e li faceva cadere ai suoi piedi. Wednesday era sicura che non potessero essere più diverse di così. La Carrow la incuriosiva, come la interessava il comportamento di un animale selvatico al quale era stato messo il guinzaglio. Ora gli occhi della ex Serpeverde stavano indugiando sul gioiello, studiandolo con attenzione. Dal suo sguardo Weedy capì che le sue supposizioni erano state accurate: quel braccialetto non apparteneva alla più giovane dei fratelli Carrow. « Ti ringrazio. Farò in modo che la servitù trovi il proprietario. Non è mio, ma è tanto gentile da parte tua averlo restituito. Troveremo il suo legittimo possessore, te lo prometto. » La Mortimer si strinse leggermente nelle spalle annuendo appena con la testa. Più la guardava, più le sembrava di capire cosa ci avesse visto Albus Potter in una come lei. Era come una bambola di porcellana piena di crepe, sapientemente riappiccicate insieme da mani tremolanti. Dava l’impressione di potersi rompere da un momento all’altro, eppure non lo faceva. Continuava ad incassare e a mettere toppe sulla sua pelle diafana. Era stramaledettamente perfetta. Lei, i suoi modi così apparentemente affabili e quell’animo tormentato che Weedy le leggeva dentro. Come era successo esattamente con Karma, anche allora la Corvonero ebbe l’impressione di vedere l’aurea che avvolgeva la figura longilinea della Carrow. Sbattè un paio di volte le palpebre, come se quella visione la stesse infastidendo, e tutto tornò alla normalità. « E' che.. ecco.. » Weedy seguì i suoi gesti con lo sguardo, immobile nel suo ristretto spazio vitale. Il vento aveva portato via l’odore di tabacco della sigaretta che Amunet aveva fumato. La lettera che l’ex Caposcuola tirò fuori aveva l’elegante marchio dell’Agenzia Funeraria dei Mortimer. Wednesday conosceva il contenuto di quella lettera. Aveva sbirciato il suo contenuto quando suo padre gliel’aveva consegnata, chiedendole di trovare il suo gufo e fargli spedire il messaggio. Anche lei era rimasta spiacevolmente sorpresa del fatto che quelle poche ma pompose righe dicessero tutto ed in realtà niente. Era stato Felix, poi, a chiederle se conosceva Amunet. Weedy aveva risposto stringendosi nelle spalle. Si era poi successivamente proposta personalmente per occuparsi di quella faccenda. Sarebbe stata l’occasione per mostrargli che poteva gestire una situazione amministrativa anche da sola, aveva detto al padre, e non c’era modo migliore che farlo con qualcuno che conosceva. A Felix era parsa una buona idea. A dirla tutta non sapeva con esattezza cosa di preciso l’avesse spinta a far diventare la Carrow l’esperimento perfetto per il voodoo. Forse era proprio quel suo essere perfetta ad infastidirla tanto. Forse, le suggerì una vocina maliziosa, lei era invidiosa di Amunet Carrow. Era comunque certa che se avesse preso una ciocca dei capelli della mora, lei se ne sarebbe accorta immediatamente. Poteva provare a farle abbassare la guardia. « Sei stata tu, oppure c'è davvero qualche problema con i nostri pagamenti? [...] Non siamo certo dei cattivi pagatori.» Wednesday rimase immobile al suo posto, ascoltando la Carrow che cercava di capire dove fosse il problema. Probabilmente avrebbe dovuto dire a suo padre di essere più chiaro quando mandava una lettera ad un cliente, per evitare che questo cominciasse ad andare in iperventilazione e a passare notti insonni pensando a cosa possa essere andato storto, cominciando a mettere in dubbio tutto, persino sé stesso ed arrivando a fare un resoconto di tutti gli errori della propria vita. « Accetto ben volentieri un té, se solo riuscissi ad aiutarmi a capire questo problema. »
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    «Seguimi.» Lapidaria, rispecchiava in pieno il suo stato d’animo. Wednesday girò i tacchi facendo strada alla giovane all’interno dell’ufficio del signor Tremblay. L’uomo le guardò, soffermandosi soprattutto sulla Carrow, con quel suo sguardo curioso e allo stesso tempo greve. Se da fuori quell’ufficio informazioni poteva sembrare di dimensioni ridotte, all’interno un corridoio piuttosto ampio di snodava in tre stanze. « Sei ancora a scuola oppure vai al college? » Wednesday allentò il passo, trovandosi la giovane donna al suo fianco. La guardò con la coda dell’occhio, per poi tornare a guardare davanti a sé. Non immaginava lontanamente che Amunet Carrow fosse una simile chiacchierona. Aveva fretta, forse? O temeva che qualche disguido avrebbe potuto compromettere il buon nome della sua famiglia? «Frequento il sesto anno ad Hogwarts.» Non le riporse la domanda, poiché era impossibile non sapere cosa facesse lei. Grazie non solo la sua famiglia, ma anche quella a cui si era legata, erano sempre sotto i riflettori. Era impossibile che non si parlasse di loro. Alla gente chiacchierare piaceva tanto. Si dicevano molte cose, qualcuna vera ed altre no. Chissà se era vero che lei ed Albus Potter avevano problemi in Paradiso.. « E' bello il fatto che ti interessi già agli affari di famiglia. E' una decisione che rispetto molto. » Semplice cortesia, o lo pensava davvero? Cerca almeno di mostrarti riconoscente, Wednesday. «Grazie.» E basta? «Ci sono nata circondata da tutto questo. Tra i miei fratelli sono quella più intenzionata a prendere in mano l’impresa di famiglia. Se sarò fortunata tra qualche anno potresti trattare direttamente con me.» Era un bizzarro uso di parole nelle quali, però, Weedy non vedeva nulla di male. Naturalmente si riferiva ai cerimoniali in onore del signor Carrow, non augurava certo particolari lutti. Si avvicinò ad una delle porte, quella senza targhetta attaccata sopra, e l’aprì. «Entra pure.» L’ufficio che Wednesday si era ricavata era particolarmente piccolo, ma luminoso. Tutto era particolarmente in ordine, catalogato in raccoglitori dai colori spenti, posti su una libreria di metallo. C’era una piccola scrivania e Wednesday face ad Amunet segno di accomodarsi, indicandole la sedia davanti alla sua. La Corvonero aprì una piccola credenza posta al lato della scrivania e ne tirò fuori due tazze con tanto di piattino decorati con decorazioni floreali dai colori tenui. Tirò fuori una scatolina contenente alcune bustine, orinate per sfumatura di colore, ognuna di un gusto diverso. Afferrò un grazioso bollitore di latta, e puntandoci contro la bacchetta questo si riempì d’acqua. Continuò a tenere il bollitore per il manico mentre, con un altro colpo di bacchetta, l’acqua cominciava a produrre piccole bollicine e a fumare. Quando l’acqua fu calda la versò nella tazza della Carrow. Posò il bollitore sopra un cilindro di sughero. Facendo ricorso all’incantesimo di appello richiamò sul tavolo una zuccheriera. Un cucchiaino si posò sul piattino dell’ex Caposcuola. «Mi sto ancora sistemando. Vorrei fare qualche accorgimento. Scegli pure il gusto che vuoi.» Infilò la bacchetta nella tasca del cappotto e si sedette. «Parlando della lettera, non volevamo spaventarti. Mio padre è un uomo che preferisce parlare di persona e non attraverso delle lettere.» Almeno con i clienti, si disse, ripensando a tutte le volte in cui la mamma diceva quanto fossero belle le lettere che papà le scriveva. «Non c’è nessun problema con i pagamenti. Ci farebbe piacere, per l’Azienda, sapere come vi è parso il Cerimoniale. Se tutto era come volevate, in questo senso. Anche tu padre, il signor Carrow, si è servito da noi per i vostri parenti fin da quando l’Impresa era nelle mani di mio nonno. Abbiamo cercato di essere il più professionali possibili. Inoltre devo darti questa.» Aprì il cassetto ed estrasse la ricevuta di pagamento. La posò sulla scrivania, facendola scivolare verso la giovane donna davanti a lei. «Ed avrei bisogno di un paio di firme» Aprì un raccoglitore e da una delle bustine trasparenti tirò fuori un foglio. «Qui e qui.» Con la penna fece una crocetta accanto ai posti in cui era richiesta la firma. Fatto ciò, scelse una delle bustine da thè, quella alle more e dopo averla tolta dall’involucro e la inzuppò nell’acqua che cominciò subito a tingersi di un tenue color lillà. «Non volevamo impaurirti e ci tenevo a sentirti di persona. Immagino tu sia molto impegnata con la famiglia e gli studi.» Prese una zolletta di zucchero e la mise dentro il thè, cominciando a girare con il cucchiaino. «Visto che non è così grave come pensavi puoi prenderti questi minuti per tirare un sospiro di sollievo.»
     
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