I'm not a library type

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    C’erano tante cose strane al mondo. I cerchi nel grano, il triangolo delle Bermude, la pizza con l’ananas. E poi c’era Aleksej in biblioteca, che, a buon ragione, se la batteva come fenomeno più inspiegabile di tutti. Sì, perché trovare l’ex-Tassorosso chiuso lì dentro era qualcosa di più unico che raro, semplicemente per il fatto che fosse del tutto incapace di starsene fermo per troppo tempo, men che meno bloccato sui libri. Era una necessità fisica quanto psicologica, il movimento, quasi come se il ragazzo riuscisse a funzionare bene solo quando faceva qualcosa o era impegnato in qualche progetto o stava realizzando qualcuna delle sue idee. Era una di quelle persone che adorava imparare, incuriosito dal mondo e da ogni suo piccolo particolare, ma che con lo studio aveva sempre avuto un rapporto conflittuale. Quindi, capite, era strano trovarlo lì, rintanato in un angolo della biblioteca e seduto ad uno dei tavoli nascosti tra le alte scaffalature stracolme di libri. Uno dei più riservati, per l’esattezza, che gli aveva permesso di impadronirsi quasi dell’intera superficie con la sua disordinata quantità di libri aperti l’uno sull’altro. In più, era proprio vicino a una delle finestre, il che voleva dire non soltanto luce naturale, ma anche poter sbirciare con invidia tutte quelle attività che al momento gli erano negate dallo studio. O quasi. Perché Aleksej non stava studiando, in quel preciso istante, ma se ne stava con il capo abbandonato sulle braccia conserte, a sonnecchiare nascosto dietro un grosso libro poggiato in verticale a fargli da barriera. Aveva passato la notte a mettere su tela un’idea che lo aveva colto all’improvviso e che non era riuscito ad ignorare, il che lo aveva fatto arrivare al mattino con un paio di occhiaie spaventose e una stanchezza che gli aveva richiesto uno sforzo non indifferente per tenere gli occhi aperti durante le lezioni di quella mattina. Ed ecco svelato il mistero sul perché si trovasse lì. Non tanto per studiare, anche se avrebbe dovuto, ma per sonnecchiare un po’ nel posto tranquillo più vicino, dove con un po’ di fortuna non avrebbe avuto rotture o interruzioni. Fortuna che però non sembrava essere dalla sua parte, quel giorno.
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    «Hai visto che bocce, quella lì? Secondo te sono vere?» Una voce disturbò il suo sonnellino, senza preoccuparsi dell’obbligo del silenzio che vigeva su posti come quelli. «Che differenza fa? L’importante è che siano belle sode. Il culo come ce l’ha?» Aleksej aprì un occhio, infastidito da quei discorsi squallidi che giungevano da uno dei tavoli vicini, occupati da due tizi che sembravano essere appena usciti da un brutto film adolescenziale in cui interpretavano la parte dei pompati giocatori di football. Ora che ci pensava, potevano tranquillamente essere due battitori con la testa vuota quanto una pluffa, non era abbastanza aggiornato sui membri delle attuali squadre di Quidditch del campus per saperlo. «Voto pieno anche a quello. È mia.» Affermò uno dei due, quello dal brutto muso squadrato, beccandosi una gomitata nelle costole dal compare, la cui piccola testa su quel corpo massiccio aveva quasi del comico. «Col cavolo, l’ho vista prima io!» Continuarono a battibeccare tra loro, litigandosi la povera malcapitata di turno che Aleksej non poteva vedere, dalla sua posizione. Non che gli servisse, comunque, perché indifferentemente da quanto la ragazza in questione potesse essere carina, commenti del genere erano quanto di più squallido, irritante e sbagliato potesse esserci. E all’ex-Tassorosso facevano girare parecchio le scatole, il che era tutto dire, considerato che nessuno dei suoi amici riusciva a ricordare l’ultima volta che aveva perso la pazienza o si era arrabbiato per qualcosa. Era l’essere più rilassato e pacifico del mondo, Aleksej, tranne quando si trattava di atteggiamenti bigotti, sessisti e retrogradi. Quelli proprio non li sopportava.
    Sfilò la bacchetta dalla tasca, tenendola sotto il tavolo, e continuando a tenersi nascosto dietro uno dei tomi del corso di arte. Gli bastò uno sguardo veloce ai due e un lieve e impercettibile sussurro, per dare loro il ben servito e farli smettere di importunare la ragazza oggetto delle loro sgradite attenzioni. «Languelingua.» Le voci dei due si interruppero di botto. Aleksej li vide mettere su una faccia allarmata, strabuzzare gli occhi in uno stupido sguardo confuso, per poi aggrottare la fronte in una smorfia di rabbia, e guardarsi attorno con fare riottoso e lo sguardo di chi avrebbe volentieri mollato un pugno sul naso del responsabile. Per questo si affrettò a rintascare la bacchetta e a sprofondare la testa tra le braccia, simulando persino un lieve, ma credibile russare, così da poter passare facilmente inosservato. Le due zucche vuote si affannarono per un po’, gesticolando il loro risentimento e sventolando i pugni chiusi verso chi era loro attorno, finché qualcuno dei responsabili della biblioteca non intervenne per allontanarli. Solo allora Aleksej tornò a sollevare il capo, con un sorrisetto pestifero sulle labbra, e fu sempre allora che intercettò uno sguardo familiare. «Ehi, Fawn!» Drizzò la schiena e sollevò una mano per salutarla. Non sapeva se l’amica lo avesse visto lanciare quella fattura o meno, ma era abbastanza certo che, anche se fosse stato così, non lo avrebbe di sicuro rimproverato. Poteva non essere il modo migliore per risolvere un problema, ma insomma, quei due bestioni se lo erano meritato, no? «Visto quei due scimmioni? Qualcuno deve avergli lanciato qualche incantesimo per tappare loro la bocca.» Sorrise, con fare cospiratorio e anche una gran bella faccia tosta. «Qualcuno che scommetto essere un tipo molto intelligente, incredibilmente divertente e anche discretamente affascinante.» Aggiunse, mettendo su un’espressione che lo fece sembrare un ragazzino pestifero. Poi scansò i libri che ingombravano almeno mezzo tavolo, facendole segno di raggiungerlo battendo appena il palmo sulla sedia vuota accanto a sé. «Come stai? Sei qui per studiare?» Domanda che poteva sembrare stupida ad un ascoltatore ignaro del fatto che il ragazzo si recasse in quel posto soprattutto per sonnecchiare e quasi mai per studiare veramente. «Cioè, immagino di sì, è questo che si fa nelle biblioteche, di solito. Io ho un paio di ore libere prima della prossima lezione e sono passato qui per…uhm…fare qualche ricerca. Circa.» Peccato che fosse davvero un pessimo bugiardo e avesse ancora l’impronta della cucitura del maglione stampata sulla guancia. «Tu che mi dici? Come procede lo studio?» Le chiese, curioso e anche particolarmente grato di avere una qualsiasi distrazione che potesse astenerlo dall’applicarsi seriamente sui compiti assegnati.
     
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