Memento II - Hand of God

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    La barca oscilla secondo le maree del lago, il legno è freddo e un vero letto sembra una meta irraggiungibile. Lui ha gli occhi chiusi su un mondo che sarebbe comunque buio, visto che il Sole è calato da un pezzo e la sua controparte, la solitaria Luna, abita il cielo preda di strisce di nuvole che ne deturpano l’aspetto. Nonostante la condizione di scomodità ed il freddo che striscia tra i vestiti troppo leggeri, non avrebbe intenzione di muoversi da lì. L’alcol in circolo lo ha letteralmente steso, e aggirarsi con passo traballante verso le mura del castello avrebbe, con ogni probabilità, la conseguenza di incappare in qualche autorità scolastica e sorbirsi qualche punizione. Cos’è successo? La mente oscilla insieme alla barca, ne viene cullata, e partorisce frammenti confusi di una partita di Quidditch da cui Serpeverde è uscita vittoriosa, insieme a immagini di una mazza da battitore con cui ha proiettato missili di ferro chirurgici e violenti. Sì, stavano festeggiando da qualche parte e qualcuna deve essergli saltata addosso, ma resta un mistero come sia arrivato fino a qui. I ricordi continuano ad andare e venire, poi una voce attira la sua coscienza. Una voce femminile nota e allo stesso tempo sconosciuta, convinta che qualcuno si stia nascondendo per farla spaventare. Joyce spalanca gli occhi, un cielo trapuntato di stelle ricambia lo sguardo. Sospira mentre richiama le energie per mettersi a sedere, si trascina fuori dall’imbarcazione e brontola qualcosa sull’importanza del silenzio e la gravità dell’averlo svegliato. «Ecco il tuo segreto, Beatrice Morgenstern. Non partecipi alle feste perché quando bevi parli da sola» afferma massaggiandosi la faccia e raddrizzando la schiena indolenzita. «Disse il festaiolo collassato su una barca» questa colpisce nel segno. Ma non ha bisogno di inventarsi una battuta sagace per ribattere, dal momento che Tris decide di riversare sul terreno il contenuto del suo stomaco diventando una preda troppo facile, evento che curiosamente lo disinnesca. La osserva con la fastidiosa certezza che adesso non potrà fare a meno di accertarsi che torni al castello sulle sue gambe. Simili più di quanto potessero comprendere, addestrati ad essere macchine letali ed eredi di una specifica cultura, connessi da una promessa frutto dei loro natali, non si sono mai rivolti più di un saluto prima d'ora. Cosa che rende questo il loro primo incontro: poco promettente, senza dubbio, ma d’altra parte difficile da dimenticare.

    *



    «Il figlio di Elisewin Redmoon? Sicuro, io sono il figlio segreto dei Morgenstern» fu la risposte di un comico dal talento innato dopo una domanda sulla collocazione dell’alfa di Inverness e successiva richiesta di un perché. Un'altra testa di cazzo. Tra diffidenza e risposte vaghe l’idea di presentarsi lì e chiedere in giro si stava rivelando fruttuosa quanto cavare un ragno dal buco. Tra le varie scelte prese da Elisewin Redmoon riguardo alle sorti del figlio c’era stata infatti anche quella di farlo crescere lontano da quella città-fortezza, un luogo sacro un tempo sede dei cacciatori ed ora nido dei Lycan. Questo rendeva la sua persona potenzialmente nota alla comunità e allo stesso tempo difficilmente associabile ad uno specifico viso; a sua volta lui conosceva e aveva letto diverse cose su quel luogo, ma le labirintiche vie bagnate dal rosso del tramonto gli risultavano estranee. Doveva averle attraversate, qualche volta, poiché avvertiva una reazione recondita della sua memoria. Doveva averle attraversate da bambino.
    Era giunto lì solo da una quindicina di minuti e sarebbero probabilmente bastati un altro paio di tentativi per incontrare qualcuno dotato di buon senso -o di uno spirito di protezione del Branco meno pronunciato, a seconda dei punti di vista-, posto che comunque la sua natura di Lycan intrecciava un indissolubile e innato legame con ognuno di quegli sconosciuti. Lo avvertiva con chiarezza e d’altra parte gli era stato anche raccontato: nella città erano tutti come lui. La pazienza, tuttavia, non era una virtù che rientrava tra quelle di Joyce e per tale motivo il piano virò verso qualcosa di più movimentato. Pochi e semplici ingredienti: il suo talento nella provocazione, un soggetto non troppo intelligente, un pubblico. Si infilò così nel primo locale che gli sembrò adatto allo scopo, piuttosto popolato nonostante la sera fosse appena iniziata. Bevve qualcosa e, con un discreto colpo di fortuna, individuò dopo pochi minuti un personaggio che avrebbe fatto al caso suo: massiccio, cicatrici da fare invidia alle sue, l’egocentrismo di chi sta parlando in pubblico e si aspetta di essere solamente ammirato. L’argomento, poi, era a sua volta perfetto. Egli sosteneva infatti di aver ucciso a mani nude una Manticora, un’affermazione folle su svariati piani: la rarità della stessa; una pericolosità che avrebbe reso un’impresa abbatterne una persino con un equipaggiamento completo e il potere di un Lycan; la criniera che il tizio sventolava davanti al proprio naso, che aveva tutta l’aria di essere quella di un comunissimo leone. «Secondo una vecchia legge l’enfasi nel raccontare una storia è inversamente proporzionale alla sua veridicità. Considerato da quanto stai ammorbando il locale, penso sarebbe già una sorpresa vederti uccidere a mani nude un Pixie» terminò di bere e poi si alzò in piedi, dando contro al tizio con un tono volutamente strafottente. «Per un idiota come te sono un po’ troppo veloci» Bastarono dieci secondi e un altro paio di stoccate. Uno sgabello volò attraverso il locale schiantandosi contro la parete alle sue spalle, l’ex-Serpeverde rispose lanciando il proprio bicchiere e colpendo in pieno il viso altrui. La festa ebbe inizio. Volarono pugni da una parte e dall’altra, qualcuno si unì alla rissa, e quando infine l’orso afferrò Joyce per il colletto e lo sollevò da terra proprio mentre lui estraeva uno dei suoi pugnali e lo puntava alla sua gola, le guardie del luogo erano già state allertate ad un paio li stavano tenendo di mira. L’avversario mollò la presa, lui allargò le braccia e si rivolse alle autorità. «Merito una bella punizione. Portatemi da Beatrice Morgen-» lo schiantesimo della guardia più giovane, forse parte della recente scuola che includeva la magia nella preparazione alla caccia, lo colpì in pieno petto e lo proiettò contro uno dei tavolini. Il nostro perse conoscenza.

    Perché era tornato lì? Le parole della madre gli erano pulsate in testa per diverse settimane, prima che si decidesse ad ascoltarle, ma non era stato soltanto ciò che riguardava il Branco e la Mano di Dio a motivarlo. Il motore immobile era alimentato anche da un’entità più fragile e capricciosa, ovvero la consapevolezza che nei tre anni lontano dal mondo il viso di Tris avesse perso dei pezzi fino a sfuggire alla sua memoria. Sopravvivevano alcuni dettagli, frammenti di un puzzle incompleto che il giovane desiderava ricomporre per recuperare con esso una parte del proprio passato. Per questo una lettera sarebbe stata inutile. Ed eccolo lì, sdraiato su una superficie rigida come la sera del loro primo incontro, con un labbro tagliato dalla scazzottata. Come allora, furono delle voci a riportarlo sul piano reale, ma questa volta non appartenevano a lei. «Anche se il Comandante è fuori città, forse avremmo dovuto richiuderlo e aspettare il suo ritorno. L'Alfa ha di meglio da fare» silenzio. «Smettila di agitarti, lo abbiamo perquisito. E se io fossi un prigioniero non saprei chi preferire tra lei e il fratello. Passerei un brutto quarto d’ora in ogni caso…» altre chiacchiere di circostanza che Joyce non riuscì a cogliere a pieno.
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    Riaprì gli occhi lentamente, poi si mise a sedere avvertendo un immediato segnale di costrizione. Aveva le mani legate da corde rigide. Uno dei due lo afferrò e lo invitò gentilmente a mettersi in ginocchio. La ricostruzione mentale dei fatti fu rapida e una corrente bollente richiamò i suoi istinti. Nonostante avesse cercato esattamente quel risultato, non aveva messo in conto uno schiantesimo e il ritrovarsi legato e in ginocchio come uno schiavo. Una scintilla gli accese lo spirito e avvertì il battito accelerato del cuore. Poi l’attenzione passò al codice giapponese tatuato sulle dita della mano destra e con esso arrivò un mantra, l’autocontrollo che aveva imparato a rievocare. Si trovava già in una posizione scomoda, trasformarsi in lupo per un po’ di orgoglio sarebbe stato del tutto idiota. Inspirò. Trovò quasi comica la consapevolezza che l’Aidan adolescente non avrebbe riflettuto un istante prima di saltare addosso ad uno dei due per provare a liberarsi. Ma era accaduto troppo per conservare il lusso di restare identici. Troppi fantasmi lo tenevano costantemente sott’occhio. Alzò lo sguardo. Si trovava di fronte agli scalini d’ingresso di una magione. Inclinò il viso. «L’abitazione più umile della città, come ho fatto a non pensarci subito? Classic Morgenstern» di fronte all’evidenza la meta apparve scontata, seppur trovarla in quel dedalo di strade avrebbe richiesto ugualmente fin troppo tempo. La porta si aprì poco dopo e lei comparve, l’ombra generata dalla luce interna all'abitazione si allungò sui gradini e toccò le ginocchia del prigioniero. I suoi occhi lasciarono le architetture e si soffermarono sulla figura che aveva davanti. L’aveva disprezzata a lungo per la mancanza di libertà che la sua esistenza rappresentava, ma per lo stesso quantitativo di tempo aveva cercato di negare a sé stesso di essere attratto da lei. Entrambe le sensazioni erano rese distanti e confuse dal tempo, ma in quel preciso frangente, vedendola tutta intera, riconoscibile e avvolta come allora dall’aura di chi si stia assumendo fin troppe responsabilità, provò uno spontaneo sollievo che lo portò a restare zitto più del necessario. Beatrice era sopravvissuta alle numerose prove a cui il mondo aveva sottoposto l'umanità in quegli anni. Il puzzle del suo viso si ricompose con una celerità che gli incendiò le sinapsi. Quando finalmente parlò, un’espressione leggera ne colorò lo sguardo. «Non è come sembra?» commentò, lui stesso poco convinto dalla frase più abusata della storia dell’uomo. L’importante era anticipare il resoconto delle guardie. Che poi, di preciso cosa sembrava? C’erano tracce di un dipinto rinascimentale in quell’insieme composto da una regina troppo giovane, intenta a osservare dall’alto il principe di una famiglia dimenticata, tenuto immobile da due guardie armate di spade corte, all’ombra di un’antica magione baciata dal tramonto. Una poesia solamente astratta. «Non che mi aspettassi una parata di benvenuto, ma qui qualcuno si esalta troppo in fretta» un cenno del capo ad indicare le due guardie, senza distogliere le pupille dal bersaglio della sua ricerca. Se ne rimase in ginocchio con il labbro inferiore tagliato, avvolto da abiti scuri che, dal cappotto agli stivaletti, rendevano monotematica la sua figura. Soltanto gli occhi grigi, immobili, sapevano regalare un po’ di colore. Gli anni avevano mutato il suo aspetto con qualche pennellata precisa, incrementato la sua altezza e aggiunto qualche grado di profondità al timbro della sua voce. Per il resto, in apparenza, non era molto diverso da allora. Figlio redivivo dell’imprevedibilità e dei metodi diretti in tutto il suo splendore, svestito da una qualsiasi frase di circostanza. Quasi non fosse mai sparito nel nulla
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    Gli occhi color nocciola osservano il ritratto di Richard Morgenstern con una pattina di disappunto e frustrazione. Cosa direbbe l'ultimo patriarca di Inverness se potesse assistere al declino della culla del Credo? Diresti che sono una dilettante. Che mi sono ostinata a fare di testa mia senza risultato alcuno. Non saresti arrabbiato - a dirla tutta non penso di ricordare un solo momento in cui sei stato davvero arrabbiato. Saresti solo estremamente deluso. A Inverness i quadri non sono animati; non sarebbe dignitoso per un cacciatore essere ricordato attraverso un quadro caratterizzato da una personalità fatiscente; risulterebbe solo un'umile copia carbone del soggetto che vi rappresenta, un cimelio privo dell'essenza di colui che soggiace incastonato sulla tela. In poche parole, a Inverness i quadri non parlano, perché sarebbe inutile farli parlare. Sono le storie a parlare per loro, le leggende, l'immensa tradizione orale che si tramanda di padre in figlio nei secoli dei secoli. E in un certo modo, ciò appare al momento addirittura più pressante del poter sentire la voce del patriarca. L'ex cacciatore appare fiero, l'aria giudicante di un leader rispettabile che ispira una poderosa virilità intrinseca. Richard Morgenstern sembra immortale nella sua divisa da cacciatore; colto in un atto sospeso di gloria e magnificenza. A ben guardare, quel ritratto non sembra diverso da tanti altri. C'è chi potrebbe pensare che, quelle pennellate nitide siano state commissionate nell'atto di conquistare a posteri il rispetto e la benevolenza di chi l'ex patriarca non l'ha mai conosciuto. Sua figlia tuttavia, conosceva la verità: suo padre era proprio così. Quel quadro lo racconta nella sua essenza molto più di quanto potrebbe farlo uno sbilenco incantesimo atto a creare una degradante illusione ottica. Non ha posato per quel quadro, Richard; l'artista l'ha dipinto andando a tastoni, cercando di emulare un simulacro ingigantito dalla memoria a lungo termine. I tratti in questione poi - se dei tratti di un artista si poteva parlare - erano i suoi. Beatrice aveva dipinto suo padre dopo la sua morte, ingigantendo forse a dismisura l'immagine dell'uomo che per tutta la vita aveva dato il tormento ai propri figli, come se, seppur da una parte la giovane lupa bianca non potesse fare a meno di ammettere che il sangue non è acqua, dall'altra provasse una forma di odio represso nei suoi confronti. E' certa d'altronde che, a parti inverse, almeno una volta nella sua esistenza, Richard, Beatrice l'ha odiata: quando era ancora un'infante, quando la sua nascita decretò la morte della magnifica creatura che più di tutte quell'uomo anafettivo e scorbutico aveva amato. Mentre tratteggiava il volto di suo padre, quegli stessi occhi che ora osservavano la tela, si chiesero più di una volta com'era Richard alla sua età; com'era quando lui ed Elizabeth si erano incontrati per la prima volta. Come l'hai conquistata? Che cosa le hai detto? Qual è stata la cosa che ti ha portato a dire "io per questa donna andrei fino in capo all'universo"? L'hai mai pensato? E' mai andato così tra voi? Ora quello stesso quadro suscitava in lei domande diverse, spinta forse dall'intrinseca consapevolezza di aver fallito. Beatrice non era un buon leader, per quanto nuove e giuste potessero risultare le sue idee e il suo modus operandi, aveva preso delle decisioni affrettate, che avevano inesorabilmente portato il suo mondo sull'orlo di un precipizio. Forse in fondo è vero: se tutto cambia esteriormente, tutto rimane com'è; se tutto rimane com'è, tutto può cambiare interiormente. Gli occhi color carbone di Richard Morgenstern sembrano crogiolarsi in un obbligato silenzio assenso. Era stata ingenua e sin troppo sognatrice; aveva pensato che, cambiando, tutto attorno a lei sarebbe cambiato. Ma l'immagine della bambina prodigio, della speranza per un mondo migliore, si era disciolta lentamente fino a svanire sotto il peso martellante di una realtà crudele che continuava a remarle contro. Un paio di giorni fa ne aveva avuto la riprova, giunta come un uccello del malaugurio sotto forma di uno speciale della Gazzetta del Profeta che preannunciava misure di sicurezza speciali contro le ultime vicissitudini consumatesi nel mondo magico britannico e non solo. L'età dell'innocenza, decretò allora Tris, era finita; forse in fondo era finita molto prima. Forse quando aveva aderito alla ribellione, o quando aveva colto alle spalle Edmung Kingsley; forse si era conclusa quando era rimasta blocca in un castello sigillato, o quando le voragini della Loggia Nera erano sgorgate nel mondo degli umani. E se l'età dell'innocenza non era finita nemmeno allora, di certo avrebbe dovuto accorgersene che è finita il giorno stesso in cui è stata costretta a sedersi al tavolo coi grandi; in quel momento, chiedendo l'indipendenza della sua gente, avrebbe dovuto capire, Tris, che nulla di ciò che sperava di aver concluso, aveva davvero fatto il suo naturale corso. Tutto deve cambiare, affinché nulla cambi. Ed era effettivamente andata così. E ora, non poteva più permettersi di essere maleducata per principio, sovversiva per partito preso o istintiva per naturale propensione. Gli occhi color nocciola osservano il ritratto di Richard Morgenstern con una pattina di disappunto e frustrazione. Forse per non più di qualche istante. Forse da molto più tempo di quanto è pronta ad ammettere. « Siamo sempre in uno stallo alla messicana, io e te, non è così? » Storce il naso carezzando il bracciolo della sedia un tempo occupata da suo padre, nello studio all'ultimo piano del maniero di famiglia. Anche quando non ci sei più, io coesisto in questa tensione del cazzo col tuo ricordo. Uno stallo alla messicana sembrava d'altronde la metafora della vita di Beatrice Morgenstern circa dal momento esatto in cui è venuta al mondo.

    « Non si bussa più? » Si porta la sigaretta alle labbra accennando un sorrisino sghembo mentre si adagia contro il parapetto del terrazzo antistante all'ex ufficio di Richard Morgenstern. Jared Blackthorn la osserva con un'espressione divertita mentre le sfila dalle dita la sigaretta emulando il gesto da lei compiuto poco fa. « Abbiamo visite. » Tanto per cambiare. Tris volge lo sguardo verso il tramonto sul Mare del Nord, stringendosi nelle spalle con indifferenza. « Non le abbiamo sempre? Auror rompicoglioni o pentiti di mafia? » Jared non ride, e di conseguenza Beatrice assottiglia appena lo sguardo incrociando le braccia al petto attendendo una sua risposta. « Il figlio di Elisewin Redmoon si è cacciato in una rissa nella baracca di Thomas. » Scoppia a ridere Tris, mentre gli fa cenno di seguirla all'interno dell'ufficio, convinta che quella sia una sbilenca strategia per sdrammatizzare la pessima situazione in cui getta ormai da mesi la Città Santa. E' proprio vero che ti aspetti di tutto ormai, ma questa è una battuta decisamente storta anche nei giorni migliori. « Quindi? » Azzarda infine mentre porge uno dei due bicchieri in cui ha versato due dita di scotch, portandosi il proprio alle labbra. In tutta risposta Thomas si schiarisce la voce e la osserva attentamente. Non sono certo nuove le rivalità intessute in passato tra le famiglie di cacciatori. Anche nel Credo ci sono sempre stati rapporti disfunzionali, questioni a cui nemmeno i più diplomatici erano stati in grado di venirne a capo. E' la regola di una qualunque comunità, di un condominio, persino di un villaggio sperduto nel nulla: non tutti vanno d'accordo. « Dico davvero. » Lo sguardo di lei saetta con veemenza in direzione di quello di Thomas. Ah. L'unica reazione che le risultò consona di fronte a una notizia che le giunse come una doccia fredda. Sollevò istintivamente lo sguardo verso l'alto man mano che il racconto dell'ultima ora passata a Inverness da Aidan Joyce le veniva spiegata per filo e per segno. Mi prendi per il culo, Superiore? Mi merito davvero tutte queste cazzate di fila? Ti sembra divertente? Tris non aveva mai avuto il dono della fede; aveva sempre dubitato dell'esistenza di qualcosa di superiore, ma sin da quando aveva iniziato a comprendere la complessa portata del significato del concetto della Loggia Bianca, trovava quasi rincuorante sapere che forse lì da qualche parte un Superiore esisteva davvero. Ci parlava, seppur i suoi modi risultassero abbastanza bruschi e irrispettosi. Tris, con Dio, ci parlava ormai da tempo, ma il suo tono non si piegava mai al convenzionale rapporto di sudditanza che sembrava consono all'occasione. Nemmeno Dio riusciva a piegare quel carattere inflessibile. « ..e questo è quanto. » Concluse infine, dopo averle raccontato le dinamiche di una faida tra maschi bianchi etero basic. « Che facciamo? » La giovane Morgenstern buttò giù tutto d'un fiato il liquido ambrato contenuto nel suo bicchiere stringendosi nelle spalle con indifferenza e dirigendosi poco dopo verso l'uscita dell'ufficio. « Fate come vi pare. » Asserisce con freddezza prima di carezzare il pomello della porta. Thomas sembrò confuso. « Non guardarmi come se avessi bestemmiato. L'avete fatto entrare, ora gestitelo. Prendetevela qualche responsabilità ogni tanto; questa non è solo casa mia. » « Ma è anche.. è anche casa sua. » Ottima osservazione, Thomas. Capitano Ovvio! « Allora immagino che è tutto apposto. » Conclude con aria sarcastica, sbattendosi la porta alle spalle, lasciando quindi Blackthorn a trovare l'uscita da solo. Di tutte le persone che si sarebbe aspettata di rincontrare, Aidan Joyce era probabilmente l'ultima che le era saltata in mente. L'ex Serpeverde era scomparso dal giorno alla notte, senza dare particolari notizie di sé. Sul momento Tris ne era rimasta piuttosto delusa; forse, più che delusa, ma ben presto altre complicazioni si erano poste lungo il suo percorso, e così la giovane Morgenstern aveva preso un'iniziativa piuttosto drastica nei suoi confronti. Non sei una priorità, e aveva ripreso il naturale vorticare caotico delle sue giornate interminabili. [...] Sul bancone della cucina posto al pianoterra del maniero dei Morgenstern, di fronte agli occhi vigili della lupa bianca, si sussegue un tripudio di colori in barattolo. Spalma con precisione su una fetta di pane casereccio una cucchiaiata esagerata di nutella, prima osservare contrariata una scatola di pesche sciroppate. Soppesa la scelta in maniera analitica, mentre seduta sulla superficie in granito, volge lo sguardo verso l'ampia finestra che dà sul cortile anteriore della casa. « ..forse avremmo dovuto richiuderlo e aspettare il suo ritorno. L'Alfa ha di meglio da fare. » Le parole le giungono ovattate, ma nonostante ciò, incastra il cucchiaio tra le labbra e si stende noncurante sul bancone, osservando pensierosa i dettagli del soffitto, come se tentasse di capire il da fare. Uno stallo alla messicana. « Smettila di agitarti, lo abbiamo perquisito. E se io fossi un prigioniero non saprei chi preferire tra lei e il fratello. Passerei un brutto quarto d’ora in ogni caso… » Effettivamente. Mentre i due continuano a discutere sul da farsi, la giovane, decisa a dare meno importanza possibile all'accaduto - un mero imprevisto di percorso, si dice mentalmente - trova il tempo di fare la lista della spesa e persino rileggere qualche articolo della Gazzetta mentre si gusta il tardivo spuntino ipercalorico. « L’abitazione più umile della città, come ho fatto a non pensarci subito? Classic Morgenstern » E' probabilmente quella differente vibrazione nell'aria a obbligarla a richiudere il giornale e saltare giù dal bancone. Da quella distanza, quella voce le appare distorta, forse addirittura diversa, come se nel corso degli anni l'avesse quasi completamente eliminata. Presa quindi la decisione di raggiungere il portone principale, si ritrovò poco dopo di fronte a una scena che a dirla tutta le apparve del tutto inusuale. Volse lo sguardo al giovane lycan alla destra di Aidan, e poi a quello alla sua sinistra, sollevando un sopracciglio con fare scettica. Sul serio? Era davvero necessario?

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    Intimamente non le dispiaceva quel trattamento, ma appariva decisamente plateale, persino per uno che ha dato qualche capocciata al muro. « Non è come sembra? » Signori e signore, le ultime parole famose. Solo allora avanzò qualche passo nell'aria serale, volgendo finalmente gli occhi in direzione dell'ex compagno con un'espressione decisamente indifferente, forse a tratti seccata. « Non che mi aspettassi una parata di benvenuto, ma qui qualcuno si esalta troppo in fretta » Sospira profondamente mentre sostiene lo sguardo del giovane Joyce; un tempo un principe del Credo, oggi alle stregua di due guardie colto in flagrante durante una rissa e messo in ginocchio di fronte a una sua niente più che coetanea. Com'era strano quel loro mondo, quelle loro antiquate convenzioni sociali, quel moto perpetuo in cui s'impegnavano imperterriti a restare sempre fedeli a se stessi. Tris lo guarda dall'alto in basso, piegando appena la testa di lato. « Sentito? Siete degli esaltati. » Asserisce infine mentre sulle labbra di lei si dipinge uno smagliante sorriso sarcastico. Si siede sul gradino più alto del porticato, spostando lo sguardo da una guardia all'altra ancora una volta, ignorando volutamente la presenza di un terzo sulla scena. « Abituatevi! E' un complimento; non devo certo beccarmela solo io.. la gloria. » In quanti le hanno dato dell'esaltata? Dell'inadatta. Della ragazzina. Acerba. Spericolata. Incosciente. « Scusatelo. E' un novellino. Aidan saprebbe certamente che è fuori luogo comportarsi così di questi tempi a Inverness, se solo gli importasse di qualcosa al di fuori delle dimensioni spropositate del suo.. » Si schiarisce la voce mentre uno dei due ride sommessamente. « ..ego. » Pausa. « Scommetto che sta parecchio stretto in quella posizione. » Continua di conseguenza mentre libera dalla cintura il pugnale che ha sempre appresso, girandoselo tra le mani, prima di gettarlo ai piedi di uno dei due. « Liberatelo, su. Non c'è motivo di essere maleducati. » Già siamo dei terroristi. « E riaccompagnatelo a casa. » Alza leggermente il tono della propria voce, prima di scoccare la lingua contro il palato; solo allora volge nuovamente lo sguardo su Aidan, sfidando la faccia di bronzo con cui sembra voler affrontare quella situazione. Certe cose non cambiano proprio mai. « Sempre che si ricordi di averne una, qui » E sempre che ti ricordi dove si trova. C'è un velo di amarezza nel glaciale benvenuto della Morgenstern. Si rende conto che un tempo si sarebbe arrabbiata, forse gli avrebbe mollato un pugno. Ma ora al posto di quel'esserino fastidioso, a discapito delle voci che la dipingono come una killer spietata, nonché una bambina-monarca senza arte né parte, era sbocciata una donna, il cui sguardo si era indurito e incupito. C'era molta più consapevolezza e disincanto tra le pieghe di quelle iridi dai toni caldi. Si incontravano nuovamente, rispetto all'ultima volta, sotto circostanze decisamente più nefaste, dopo un periodo letteralmente infernale in cui, non sapeva Tris, né dove si fosse rintanato, né cosa avesse fatto. Ma non importa. Non c'eri. E' tutto ciò che mi serve sapere per tenerti il più alla larga possibile. « Comportati bene. » Asserisce infine rivolgendosi direttamente a lui. « Per piacere. » Ho poca pazienza per le teste di cazzo di questi tempi. E detto ciò è pronta a rientrare.


     
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    Una delle cose che si era domandato di più era il perché la madre, costretta a letto nei suoi ultimi giorni di vita, si fosse fissata in tale misura con la Morgenstern da dedicarle parte delle proprie energie. Non la vedeva da più tempo di quanto non la vedesse lui -il che era tutto dire- e non era nemmeno così scontato che la giovane Alfa ricordasse il suo volto;‌ adolescenti e adulti vivono in mondi inevitabilmente separati. Nonostante questo, non solo lo aveva invitato a cercarla, ma gli aveva anche affidato una manciata di parole da recapitarle. Mr. Ego, tornato da poco dal suo lungo esilio e a sua volta rimasto distante dalla leader dei Redmoon, era stato persino geloso di quelle attenzioni non rivolte a lui. La donna che lo aveva protetto tenendolo lontano dal Conclave e che allo stesso tempo l’aveva punito con fermezza insegnandogli ad affrontare le conseguenze delle proprie azioni, non poteva essere condivisa con nessuno. Poco importava quanto l’autorità emanata dalla sua figura l’avesse spinto in passato anche ad odiarla, quanto la potenza del suo sguardo rimanesse un monito immortale di quanto poco lui sarebbe stato degno della sua eredità -a quanto pareva, una costante nei rapporti genitore-figlio della qui presente new generation di cacciatori-, ciò che di positivo gli aveva trasmesso prevaleva e lo ispirava. Per quanto potesse farlo nell’ambito di una personalità individualista, a tratti nichilista, come quella che lo caratterizzava. Ritrovatosi davanti a Beatrice, tuttavia, il motivo dietro le attenzioni della donna non impiegò molto a diventare lampante. C’era ben poco, lì dove i suoi occhi se ne stavano puntati, della ragazzina fastidiosa che aveva conosciuto. La corazza della crisalide si era spaccata nel mezzo liberando la creatura al suo interno, ora caratterizzata da peculiarità inedite e a tratti sconosciute, ali decorate da un motivo decisamente più maturo. Elisewin, dunque, doveva aver intravisto tutto ciò in maniera anticipata attraverso lo sguardo dell’esperienza. Doveva aver avuto un assaggio del modo in cui l’età, gli eventi a cui non si sarebbe potuta sottrarre e la morsa del comando avrebbero saputo plasmare l’argilla grezza che prendeva il nome di Tris. E in quella fugace visione doveva aver riconosciuto una parte di se stessa, una scintilla da preservare di quel potere tutto femminile che profumava di cambiamento. Improvvisamente ebbe più chiaro il quadro generale, compresa la scelta di provare ad intrecciare le sorti dei due eredi per annullare un’antica rivalità, scatenando gli eventi che avevano portato all’esilio dei Redmoon. Forse Joyce avrebbe dovuto fidarsi di quell’indice puntato verso il futuro, ignorare i flutti violenti dell’oceano adolescenziale che lo animava. Aprirsi di più nei confronti della figlia dei Morgenstern, restarle attorno. Forse allora le sue sorti sarebbero state molto meno catastrofiche. Ma era troppo tardi per cancellare gli eventi che si erano susseguiti dopo la sua scomparsa dal Regno Unito. Più importante ancora: non aveva alcuna intenzione di cancellarli. Se li teneva addosso insieme alle cicatrici, come parassiti con gli artigli ben piantati nella carne, attraverso la pelle. Gli ricordavano ciò che era, ed era sopravvissuta in lui la convinzione di non meritare redenzione. Anche per questo le reazioni della Lupa non lo sorpresero. Cosa avresti potuto aspettarti, novellino? Dopo essere fuggito dal vortice di quel rapporto prima ancora di scorgerne le più chiare profondità? Dopo tutto quell’orbitare inutile, schiantatosi contro la barriera di una conoscenza superficiale? Nulla. «Se solo gli importasse qualcosa al di fuori delle dimensioni spropositate del suo… Ego» si ritrovò a concentrarsi sulla sua voce, più che sui contenuti. Non solo perché ciò che diceva era sostanzialmente vero -scomodità della posizione in cui si trovava compresa-, ma perché trovava quella teatralità di grande intrattenimento. «Sempre che si ricordi di averne una, qui». Non aveva distolto lo sguardo dalla ritrovata ex-Grifondoro anche quando lei si era ostinata a non guardarlo, così quando si decise a farlo lo trovò lì pronto a sondare il mondo scuro oltre le sue pupille. L’espressione di Joyce continuava a non dire molto: una faccia di bronzo con tutti i crismi, in questa nuova versione arricchita da un’Occlumanzia in grado di schermare in maniera passiva anche il suo linguaggio non verbale. «Comportati bene. Per piacere.». La richiesta con cui concluse lo lasciò interdetto. Che fosse stato intenzionale o meno, giunta alle sue orecchie portò con sé una necessità dettata da eventi complessi che rendevano la frase ben distante dal monito di rito di una leader annoiata. Improvvisamente, però, mentre lei si rivolgeva direttamente a lui permettendogli di osservarla -impunito- con maggior cura, la sua attenzione scivolò sulle sue labbra in movimento e quindi sull’angolo sinistro delle stesse. Lì il rosa caldo era macchiato in un piccolo punto dalle tinte scure di una sostanza cremosa su cui il Lupo non ebbe certezze né, d’altra parte, grandi dubbi. La cucchiaiata esagerata di Nutella aveva lasciato la sua firma. Aidan si concesse una risata spontanea e priva di malizia. C’è ancora qualcosa di ciò che conoscevi. Ovviamente non glielo avrebbe fatto notare fino al momento più adatto e, possibilmente, imbarazzante. I due Lycan conservarono un’espressione seria mentre si adoperavano per liberarlo dalla corda. Non si erano soffermati con la stessa attenzione su di lei o avevano troppa paura per dirglielo. Comprensibile. Dal canto suo, Joyce fece passare il divertimento come una reazione a quanto ascoltato. Poi rientrò nei ranghi e parlò con tono rilassato. Non era più in grado di scaldarsi alla minima provocazione.
    «Vedo che non sei più una ragazzina» inclinò il viso, affermandolo senza un particolare sentimento nella voce. Suonava come una costatazione. «Quelli come noi crepano giovani o crescono troppo in fretta, portandosi dietro alcune di queste» alzò la mano non tatuata e fece scivolare l’indice lungo la cicatrice affusolata a lato del collo, una firma che sfuggiva al colletto del cappotto. Non fu esplicito nel chiarire se si stesse riferendo ai cacciatori in generale o a loro due nello specifico. «A volte materiali, a volte no» si domandò se anche la pelle dell'altra conservasse ricordi di quel tipo. Non lo sapeva, mentre aveva la certezza che il suo animo ne custodisse svariati.
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    «Forse sei tu ad avere qualche vuoto di memoria: questa non è mai stata casa mia. Per fortuna» un'aggiunta gratuita. «Anche se mi accompagnassero alla vecchia magione dei Redmoon. Che interesse dovrei avere per quattro fottute mura ammuffite e due mobili impolverati?» scosse il capo. Nonostante ora fosse libero, non si mosse in alcun modo dalla posizione in cui lei l’aveva trovato. La questione era sfociata nel principio, nella volontà di mostrare di trovarsi lì per scelta e non per imposizione o circostanze. Parlarle di fronte ad un pubblico non sembrava impensierirlo. «No, sono esattamente dove volevo essere» distolse lo sguardo da Tris e prese a massaggiarsi i polsi. Le corde restavano un trattamento di lusso rispetto al tipo di costrizioni che aveva subito in precedenza. Si accorse di avere male alla schiena e un mal di testa pulsante, un caloroso ricordo dello Schiantesimo subito. Se ne rimase in silenzio per un po’. «Il nostro problema è sempre stato non essere in grado di interagire… Non avere tanta fretta di vedermi sparire di nuovo. Avverrà in ogni caso» la seconda aggiunta gratuita, ma inevitabile. Nonostante fosse cresciuto troppo in fretta a sua volta, se in un contesto del genere avesse evitato di lanciare frecciatine, più che una persona maturata sarebbe stato un’altra persona. Ciò che è selvatico non si addomestica con facilità. «Vedi, non avevo idea di dove fosse casa tua. Ho chiesto un po’ in giro, ma non sono mai stato bravo ad ispirare fiducia. Quindi ho preso… Una scorciatoia più movimentata». Non aveva intenzione di esprimersi su ciò che il tempo l’aveva reso, la Morgenstern sarebbe stata libera di costruirsi una propria idea. Tuttavia aveva reputato essenziale precisare di non essere entrato ad Inverness con il desiderio di fare casino a tempo perso. Non ancora almeno. Per l’appunto, era esattamente dove voleva essere. «Fossi in te sarei lusingato» con puntualità arrivò anche la terza aggiunta gratuita. Ancora in ginocchio, senza insofferenza a discapito della sua natura orgogliosa, rimase ad osservarla nel tramonto rosso e poi strinse le spalle. D’un tratto intenzionato a non perdere, né farle perdere, altro tempo. «Veniamo al punto: ti farò il piacere di comportarmi bene se farai sparire questi due e mi inviterai ad entrare. Altrimenti le mie ombre, in questa città, serviranno tutto tranne che la luce». Una pausa. «Fino a quando non mi dedicherai il tuo tempo o mi bandirai ripetendo la storia». Quella che aveva riguardato Richard Morgenstern e i Redmoon, ora stanziati nel Nord Europa. Non lo affermò con atteggiamento minaccioso, ad onor del vero. Sembrava piuttosto che nella sua voce graffiata trascinasse la consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto secondo semplici meccanismi di causa-effetto, suggeriti da una conoscenza di sé piuttosto approfondita. Poiché andarsene insieme alle guardie e attendere un momento più adatto non avrebbe rappresentato alcun problema, in realtà, se solo nel frattempo avere la sua immediata attenzione non fosse diventata a sua volta una questione di principio. In merito alle ombre, aveva riadattato all’occasione uno dei principali dettami del Credo, sapendo che l’altra avrebbe colto il riferimento
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    Edited by The Disaster Artist - 3/3/2020, 17:13
     
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    « Vedo che non sei più una ragazzina » Una constatazione che Tris liquidò mentalmente con un rumoroso quanto infastidito non sono mai stata una ragazzina. Una realtà fattuale che, a conti fatti la pizzicava con una precisione chirurgica. Che Tris abbia dimostrato in passato un ampio spettro di comportamenti immaturi era innegabile, ma dal suo punto di vista molti non l'avevano mai capita fino in fondo. Lo sforzo di aderire alle circostanze in cui è stata impiantata in maniera brusca e del tutto innaturale, l'aveva spesso portata a risultare sopra le righe, a tratti troppo adulta, a tratti troppo ragazzina; stridente, fuori luogo. Si morse di conseguenza la lingua nel sentir ricalcare ciò; seppur Aidan non potesse saperlo, allo stato attuale, accostarla a una figura prossima per eccesso all'età dell'innocenza, significava entrare in un territorio che facilmente risvegliava nella giovane Morgenstern un numero non indifferente di antichi rancori. Più e più volte, la società civile l'aveva definita acerba; la leader infante. Una ragazzina che aveva per le mani un potere difficilmente gestibile; una minaccia per i maghi che giocavano secondo regole prestabilite. « Quelli come noi crepano giovani o crescono troppo in fretta, portandosi dietro alcune di queste. A volte materiali, a volte no » Nonostante fosse pronta al rientro, era chiaro che Aidan Joyce non aveva concluso la sua arringa, e quindi, quasi per riflesso, provocata forse da quella sua prima affermazione, si voltò nuovamente nella sua direzione, incrociò le braccia al petto, e appoggiatasi a una delle colonne del porticato della grande magione alle proprie spalle, inclinò la testa di lato ascoltandolo con apparente disinteresse. Lo sguardo tagliente saettò lungo la cicatrice sul collo, abbassando per un istante gli occhi, in un muto cenno di assenso. Dove vuoi arrivare? Non glielo chiese esplicitamente, ma immaginava che un punto ci fosse. « Forse sei tu ad avere qualche vuoto di memoria: questa non è mai stata casa mia. Per fortuna. Anche se mi accompagnassero alla vecchia magione dei Redmoon. Che interesse dovrei avere per quattro fottute mura ammuffite e due mobili impolverati? » In tutta risposta Beatrice alzò le spalle sospirando platealmente. Non è che non ti sto seguendo; è che non voglio seguirti; un imposizione quella, che venne resa abbastanza palese dal suo sguardo impassibile. La postura tutto sommato rilassata, priva della verve sulla difensiva che assumeva un tempo di fronte a qualunque situazione che potesse risultarle anche minimamente scomoda. Aveva imparato a scegliere le proprie battaglie. E questa è una battaglia che non ha senso di combattere adesso. Non così. Non secondo i tuoi termini. Un tempo lottava e si agitava per qualunque cosa; si ribellava persino alla parola leggermente storta di un suo compagno. Viveva di provocazioni e al contempo era così semplice da provocare. Ma ora, il giovane Joyce avrebbe scoperto che se lo desiderava così ardentemente, avrebbe dovuto scontrarsi con qualcosa di diverso di una semplice tempesta estiva. « No, sono esattamente dove volevo essere. Il nostro problema è sempre stato non essere in grado di interagire… Non avere tanta fretta di vedermi sparire di nuovo. Avverrà in ogni caso » Si umettò istintivamente le labbra prima di sorridere con un velo di sarcasmo scuotendo la testa. Una battuta infelice, quella di Aidan, che costrinse Tris ad alzare un sopracciglio storcendo il naso con disappunto. « Vedi, non avevo idea di dove fosse casa tua. Ho chiesto un po’ in giro, ma non sono mai stato bravo ad ispirare fiducia. Quindi ho preso… Una scorciatoia più movimentata » « Mi chiedo come mai.. » Quel commento fuoriuscì dalle sue labbra in un sussurro istintivo, rinnegando in quell'unico istante la sua capacità di frenare la lingua. Suscitò di conseguenza vilipendio nell'animo di uno dei ragazzi che lo affiancava, costringendolo a spostare il volto di lato per soffocare una leggera risata che si riflesse in un sorriso di scherno sul volto candido di lei. « Fossi in te sarei lusingato » Non aveva distolto lo sguardo nemmeno per un istante, da quando aveva iniziato a parlare, costringendosi volutamente a non mostrargli crepa alcuna in quei modi austeri. Se tiri troppo la corda, si spezza. Ma ti dovrai impegnare molto di più se ci tieni così tanto a farmi incazzare.
    « Veniamo al punto: ti farò il piacere di comportarmi bene se farai sparire questi due e mi inviterai ad entrare. Altrimenti le mie ombre, in questa città, serviranno tutto tranne che la luce. Fino a quando non mi dedicherai il tuo tempo o mi bandirai ripetendo la storia » Scoppiò a ridere; in quelle circostanze non avrebbe potuto fare altro. La politica della provocazione non ti ha proprio abbandonato in tutti questi anni. Tris dal canto suo aveva smussato i propri angoli. Non abbastanza da restare calma e pacata in qualche situazione, non abbastanza da risultare lucida e in controllo di fronte a qualunque vicissitudine più o meno programmata che la vita frapponesse lungo il suo percorso, ma sufficientemente da agire con criterio, tentando di perdere il meno terreno possibile. Aidan voleva forzarle la mano. Aveva fatto di tutto per tentare di ottenere una qualche reazione avventata, qualcosa che forse potesse dargli la dimensione di trovarsi nella sua confort zone. La loro confort zone. Quella dello scontro perenne, del continuo vorticarsi attorno senza mai concludere di fatto niente, né nell'ottica dei doveri che andavano al di là del loro rapporto personale, né tanto meno in un'ottica più intima. Un fuoco di paglia, quello dei giovani Aidan e Tris, che al momento da fuocherello era diventato una fiamma fredda, caricata dei rancori e dei quesiti senza risposta alimentati dagli anni di lontananza. Una lontananza quella, che Tris non si era mai spiegata fino in fondo. Aveva tentato di snocciolarla in compagnia dei suoi amici, di trovarne una logica spiegazione, senza mai raggiungere effettivamente una conclusione di significativo rilievo, finché messa l'anima in pace, non aveva dovuto abbandonare completamente quella strada per scontrarsi con altre questioni di urgenza più immediata. Le era letteralmente passata di mente la sua esistenza, seppur, più di una volta si era ritrovata a rispolverare il ricordo di quell'antica rivalità. Un rammentare che, aveva sempre avuto un sapore amaro fino a sfociare in una cruda quanto necessaria freddezza di fondo. « Potete darci un momento? » La sua voce sembrò miele nel rivolgersi ai suoi confratelli, a cui rivolse un cenno d'intesa del capo, prima di vedere le due figure tinte di nero volgerle le spalle, allontanandosi di parecchi metri. Non era certa di quanto avrebbero potuto percepire dalla distanza presa rispetto alla scena madre di quell'incontro, ma in fondo non le importò neppure. L'indomani tutti quanti avrebbero comunque saputo del ritorno in patria della pecorella smarrita, e a dirla tutta, in fondo, delle parole che gli avrebbe rivolto, non aveva comunque nulla di cui vergognarsi. La sua richiesta, aveva più un sapore di formalità; ti concedo qualcosa, seppur non è ciò che ti saresti aspettato, e infondo, forse Tris per prima voleva parlargli senza avere ulteriori presenze attorno a sé. « Alzati.. » Asserisce sull'orlo di un sospiro mentre volge lo sguardo verso l'alto a mo di attesa. Su, finiamola con questa sceneggiata. « Mi sembra comunque una contraddizione rispetto ai tuoi toni. » Non intendi nemmeno un briciolo dell'umiltà che ostenti restando lì. Incrocia le braccia al petto stringendosi nella camicia di flanella, mentre avanza nella sua direzione fino a percorrere tutte le scale che separano il porticato dal resto del selciato. « Sinceramente non capisco cosa vuoi da me allo stato attuale, Aidan, ma ad essere onesta se dal tuo punto di vista minacciare di mettere a ferro e fuoco casa mia ti sembra una saggia idea e il modo giusto per ottenere qualunque cosa ti stia passando per la testa.. » Si stringe nelle spalle allargando istintivamente le braccia con fare perplesso. « -fallo! » Pausa. « Hai ragione, sai? Io e te non siamo mai stati in grado di interagire, ma a ben guardare questo melodramma, sto iniziando a comprendere meglio di chi fosse il problema più grosso. Insomma, vieni qui, mi minacci, fai quattro battute infelici e poi pretendi pure che io faccia a modo tuo? Dopo tutto questo tempo? » Tris è sinceramente perplessa di fronte a ciò che le sue orecchie hanno sentito quella sera, e non intende nascondere la contraddizione in termini del comportamento del ragazzo, seppur ciò potrebbe in qualche maniera far traballare la sua aura di mistero. Il punto di forza di Aidan, ma anche una delle sue più grandi debolezze: essere l'uomo del mistero. Sempre impenetrabile, sempre sulle sue, mai pronto a concedere confidenza alcuna quasi a nessuno, quasi come se, una qualunque forma di legame al di là della sua sfera racchiusa in un cerchio estremamente ristretto, potesse in qualche maniera nuocergli gravemente alla salute psicofisica. Aidan non si sbilanciava; celava fino allo strapiombo qualunque cosa - positiva o negativa che fosse - dietro a una spessa cortina di sarcasmo e indifferenza. Senza contare le maniere di un bulletto di periferia. No, questa volta non si fa a modo tuo.« Vuoi rompere qualche finestra? Azzuffarti con qualche lupo? Dare fuoco ai granai? Spaventare qualche cavallo? Fallo! Non ti bandirei comunque - se è questo ciò che ti aspetti.. » .. forse in ordine anche a un tuo ripulirti la coscienza. Sarebbe facile. Pulirsi la coscienza raccontandoti che sono stata cattiva e ingiusta con te. Insomma, che cosa vuoi che ti dica? « Questa però non è Hogwarts. Non puoi rompermi qualche fialetta davanti agli occhi e aspettarti che io m'incazzi e ti molli un pugno di riflesso. » Nonostante tutto, Tris sta cercando di farlo ragionare, e dopo tutto questo tempo, la cosa le appare mentalmente anche piuttosto divertente. « Quanti pensi di poterne combattere di preciso in contemporanea? Due? Tre? » Solleva un sopracciglio inclinando la testa di lato con fare eloquente. Sappiamo entrambi che la Città Santa non è Hogwarts. Non puoi fare come ti pare. E se anche volessi, cosa pensi di ottenere di preciso? « Non ho alcun problema! Possiamo fare a modo tuo; puoi tentare di forzare la mia mano, ma mi costringeresti solo a essere scorretta. » E' scorretto fronteggiare un one army man con la guardia cittadina. Oltre che una perdita di tempo. « Oltre a spaventare qualche bambino e vecchietto, mi daresti solo noia. » Posso permettermi di non sporcarmi più le mani e se mi costringi giuro che non mi vedi più. E nonostante sappia che i disordini di Aidan sarebbero un problema esclusivamente suo, Tris è pronta a portare quella linea fino in fondo, anche solo per dargli fastidio e non fare a modo suo. Se vuoi giocare sulla caparbietà, possiamo stare qui fino a domani mattina. « Mi sembra abbastanza controproducente, non pensi? Ecco quindi la mia controproposta: farò finta di non aver assistito alla tua sceneggiata. Non pretenderò nemmeno le tue scuse, visto che non sarebbero sincere in ogni caso. Andrai però coi ragazzi a casa; ti darai una ripulita e ti farai una bella dormita. » Pausa. « Domani ti aspetto qui a colazione. » Decide che in fondo, una piccola aggiunta sadica in quel compromesso è quanto mai salutare. « Sette in punto. » Una notte a Inverness non potrà mica ucciderti. E se ti uccide: un problema in meno per me. « La scelta è tua. Io sono pronta ad andare tanto in una direzione, quanto nell'altra. » Però spero che tu sia ancora abbastanza intelligente da capire quale delle due ti conviene.


     
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    Una risata in cambio di una risata. Era un prezzo onesto per quanto l’origine delle due fosse differente. La sua era stata spontanea, quasi infantile davanti alla visione della Nutella che rovinava la serietà dell’altra; quella di Beatrice suonava invece più volontaria, necessaria a disinnescare la tensione legata al momento e ai fatti a cui le parole del Lupo facevano riferimento. Un’ostilità, quella tra Morgenstern e Redmoon, che era scivolata da una generazione all’altra scavando nel terreno come radici di una gigantesca quercia, di cui loro stessi si erano fatti eredi proprio a causa della decisione politica che invece avrebbe dovuto legarli. In questo obiettivo la Signora dei Redmoon aveva fallito: era finito il tempo delle tradizioni più classiche dei cacciatori. Inverness ora sorgeva come un lampo di luce nell’oscurità di una élite corrotta dal potere e dalla volontà di esercitarlo sul prossimo. La Mano di Dio. Quando per la prima volta aveva udito quel titolo, Aidan aveva alzato gli occhi al cielo affermando di non avere voglia di ascoltare certe storie. Erano seguiti altri confronti, ma la sua posizione era rimasta in bilico, tanto da rendere l’assenza di chiarezza uno dei motivi del suo ritorno lì dove, come gli era stato suggerito, il sangue dei Lycan aveva ricominciato per primo a pulsare. E quanto era immersa Beatrice in quei misteriosi meccanismi di rinascita? Se ti conosco ancora, tu eri lì in prima linea. Una convinzione di cui faticò a dubitare. «Potete darci un momento?» Il tono dolce che riservò ai due non passò inosservato, ed anzi alle sue orecchie suonò così diverso da quello concesso a lui da sembrargli al voce di qualcun’altra. Sarebbe stato impossibile non notare il cambio di registro, nonostante gli anni trascorsi, per chi come lui coltivava l’Ego e necessitava dell’attenzione altrui per sentirsi interamente vivo. Ecco uno dei cardini che da sempre avevano causato il suo bisogno di provocare il prossimo e creare tensione negli spazi calmi. L’aggressività era il modo più facile per avere quell’attenzione. Inoltre, ricordandoci di quella volta in cui aveva fatto volare a terra un Serpeverde intento a fissare il fondoschiena di Tris durante una lezione di Volo, non serve aggiungere altro in merito alla sua scarsa propensione alla condivisione. Si limitò a distogliere lo sguardo e osservare con ostentata attenzione un particolare casuale della facciata di Villa Morgenstern, fino a quando lei non tornò a rivolgergli la parola. «Alzati… Mi sembra comunque una contraddizione rispetto ai tuoi toni». Inutile dire che ignorò la richiesta, pur restando ad ascoltarla con più dedizione adesso che metri di vuoto li separavano dagli altri esseri umani. La osservò scendere le scale, alzò il viso quel tanto che bastò a mantenere lo sguardo su di lei anche dal basso. Fallo? Un’affermazione che lo sorprese per una ragione che impiegò un po’ ad elaborare. «Hai ragione, sai? Io e te non siamo mai stati in grado di interagire, ma a ben guardare questo melodramma, sto iniziando a comprendere meglio di chi fosse il problema più grosso. Insomma, vieni qui, mi minacci, fai quattro battute infelici e poi pretendi pure che io faccia a modo tuo? Dopo tutto questo tempo?» Accennò un sorriso, fissandola di sbieco. Le labbra rimasero serrate dalla volontà di ascoltare quella voce sentita svariate volte in tonalità più accese, accorate, violente. Cercò di leggervi i modi in cui il tempo l’aveva cambiata, il modo in cui stava vivendo il momento in corso.
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    Era palese che fosse diventata un’avversaria più ostica per le sue stoccate, che avrebbe dovuto impegnarsi di più. Ma farla incazzare era davvero ciò che desiderava, in quel frangente? Si godette il centro della scena fino a quando il suo discorso non virò sui possibili scenari di un confronto tra lui e la città. «Quanti pensi di poterne combattere di preciso in contemporanea? Due? Tre?» La noncuranza espressa fino ad allora mutò verso un’espressione più seria, scura e profonda. Una tonalità in bilico tra la leggerezza trasparente dell’acqua della riva e la pesantezza densa del largo. Per la seconda volta Joyce distolse gli occhi, prese a massaggiarsi i polsi graffiati dalle corde con un’impellenza nervosa. Era un tasto dolente che lei non sapeva di poter toccare con tale precisione. Uno squarcio che il tempo avrebbe potuto rendere meno sanguinante, ma mai assente. Avrebbe davvero voluto avere il lusso di offendersi per quel minimizzare le sue possibilità in battaglia, un lusso che senz’altro avrebbe potuto prendersi se lo stesso confronto fosse avvenuto ai tempi di Hogwarts. Nel presente la consapevolezza della propria natura brutale lo corrose, ma anche tale variazione espressiva fu destinata a scomparire poco dopo, plasmata da pensieri che tornarono a concentrarsi su Beatrice e sulla sua controproposta. «La scelta è tua. Io sono pronta ad andare tanto in una direzione, quanto nell'altra». Rimase criptico, osservandola senza farlo davvero. Il punto era il suo essersi presentato lì senza un piano preciso, senza una precisa necessità o richiesta da soddisfare. Ne esistevano diverse, nessuna essenziale né meritevole di aspettativa. La diretta conseguenza era che qualsiasi cosa avesse ottenuto sarebbe stata accolta, e così tutto veniva catturato dalla sua mente senza fare selezione: gli occhi altrui puntati addosso, le fugaci scintille reazionarie malcelate dietro a frasi e parole come quel “mi chiedo perché”, il fuoco freddo di una inedita distanza. La proposta di dedicargli il suo tempo a patto di seguire differenti regole, poi, non sembrava altro che un rievocare in forma più matura la loro antica ostilità. Sotto questa prospettiva non esisteva alcun motivo valido per rifiutare. Eppure… Una risoluzione così lineare, per un improvvisatore patologico del suo livello, sarebbe stata un miracolo. Cominciò parlando con tono stanco, rievocando una sfuggente eco del suo precedente momento di debolezza. «Io che combatto contro i miei simili… È uno spettacolo che nessuno desidera vedere». Piuttosto esplicito il fatto che lui per primo fosse incluso in quel nessuno. Altro silenzio, poi la voce tornò a rilassarsi. Scosse la testa. «Non ho mai parlato di idee sagge o di metodi giusti.» Arrivati a questo punto sarebbe lecito aspettarseli da lui quanto aspettarsi la delicatezza di un Erumpent in una cristalleria. «Né ho mai detto di pretendere qualcosa.» Specificò, nonostante le minacce fino a prova contraria servano proprio a questo: esigere cose. «Questo era ciò che mi andava di fare, qualsiasi risultato è una conseguenza che non posso controllare». Le spiattellò in faccia l’essenza del suo agire con assoluta trasparenza, per una volta, senza vergognarsi di mettere sul piatto le proprie spigolosità. «Forse hai ragione. Non potrei fare altro che spaventare qualcuno prima che una manciata di guardie mi fermino, e tutto si risolverebbe con una dose di noia per te». Inclinò il viso. «O forse, durante questo confronto io potrei ferire gravemente uno di loro. Uccidere involontariamente prima di essere accerchiato e bloccato». Alzò le mani a rappresentare i due piatti di una bilancia. «Conosci le capacità dei guardiani. Ma non puoi dire lo stesso di me senza sapere cosa il mondo mi abbia riservato in questi anni né i frutti del nostro gene». E sapendo, allo stesso tempo, quanto il loro addestramento fosse stato dieci volte più rigido del norma per i cognomi che portavano. Un certo calore animò gli occhi, le pupille scavarono dentro quelle altrui. «Non puoi escludere nulla. Quindi davvero tu accetteresti un qualsiasi rischio solo per non concedermi una richiesta tanto semplice?». E per non darmela vinta, ovviamente. Ecco l’origine della precedente sorpresa, una fonte che aveva richiesto dell’elaborazione per essere trovata. Non poteva riconoscere, in quella presa di posizione, la Grifondoro reazionaria che si sarebbe volentieri presa una pugnalata nella schiena piuttosto che esporre un compagno ad un pericolo gratuito. «No, non tu. Stai bluffando quanto me». La espose e si espose, trovando di intrattenimento trascinarla insieme a sé verso l’occhio di quella spirale. Ne sembrò assolutamente convinto, una parte di lui forse lo sperò. «Il passato non ha un nulla da offrire. Io sono sparito, tu non mi hai cercato. È una sceneggiata mettersi a decidere ora di chi fosse il problema più grande». Citò espressamente la parola usata da lei, nutrì la nuova forma di ostilità meno esplicita. «Piuttosto mi concentrerei sul roseo presente: io sono qui, tu non mi vuoi bandire». Per ragioni a me sconosciute. Nonostante il velato sarcasmo, non era difficile credere che lo pensasse davvero. Poco dopo tuttavia infilò la mano destra tra il cappotto e il maglione, ed il discorso virò bruscamente. «Vuoi parlare di scorrettezza?‌ I tuoi pupilli hanno fatto un bel lavoro con la perquisizione, ma i cacciatori giapponesi hanno sviluppato una vera ossessione per gli scompartimenti nascosti tramite magia… Supera ampiamente la nostra». Finì a malapena la frase. Gli occhi si accesero in un lampo famelico e la mano emerse dal cappotto con l’indice ed il medio avvolti attorno ad uno spesso ago lungo una ventina di centimetri, che venne proiettato attraverso lo spazio con un gesto fulmineo del braccio e del polso. L’arma fendette l’aria e passò di fianco a Tris. Si piantò contro la parete esterna dell’edificio. Il suo sibilo fu perfettamente udibile, così come il basso lamento del muro colpito. Fu udibile da loro, fu udibile dai guardiani a diversi metri di distanza. Ci sono cascato di nuovo. «Scusami, Joy». Lo disse all’improvviso e per un attimo sembrò che non si stesse riferendo soltanto agli eventi in atto -doveva già aver avvertito l’allertarsi delle guardie-, ma che quella parola avesse un valore più ampio. Alzò le mani in segno di resa, anticipando i due ormai di nuovo pronti a bloccarlo. «Abbiamo sentito il sibilo di un’arma, ci sono problemi?» Seguì un’altra serie di azioni in pochi secondi. Il più vicino alle sue spalle venne afferrato mentre si rivolgeva all’Alfa e proiettato con un tonfo sordo contro il salciato nello spazio tra Aidan e Beatrice, sfruttando la forza e la leva concessagli dall’essere in ginocchio. Il busto del Lupo si allungò in avanti come le spire di un serpente, la mano destra settò verso il fodero. La lama venne estratta e puntata al collo del secondo -che nel frattempo era a malapena sul punto di estrarre la propria- in una rotazione del corpo con cui finalmente si alzò. Non potendo escludere un attacco di Tris, nonostante tutta la sua reticenza a sferrare pugni, completò quel movimento portandosi alle spalle del malcapitato, così da usarlo come ostaggio. Fu un agire quasi involontario, il frutto di una memoria muscolare costata sudore e sangue, di muscoli spezzati e poi ricostruiti un numero indefinito di volte. Non si trattò di un demerito dei due, ma di ciò a cui la costante necessità di sopravvivere aveva condotto lui. «Ah-ah, i ruoli si invertono amico mio». Gli parlò all’orecchio con un tono medio. Gli occhi rimasero su Tris. «La vostra Alfa sa difendersi da sola, soprattutto da me. Siamo lupi, no? Il trono non è mai stato una semplice eredità. Se vi chiede di lasciarci un momento, ascoltatela e basta. Cazzo». Commenta, con una certa insofferenza, quello che era tornato ad essere un assembramento. Mentre la lama restava poggiata alla gola dell’altro, la mano sinistra scese verso la cinta per estrarre la bacchetta con cui in precedenza era stato Schiantato. Una piccola vendetta personale. Per l’incantesimo, per la voce di miele. «Accetto». Disse alla volta della Lupa Bianca: una risposta curiosa da dare dopo quel casino. «Ma Hansel e Gretel qui credo non abbiano più voglia di avermi attorno. Andrò da solo». Rigirare la frittata. Liberò l’ostaggio e lo spinse in avanti, ora armato nella mano destra della spada dell’uno, nella sinistra della bacchetta dell’altro. Se Beatrice non lo fermerà in qualche modo, le restituirà solo quando gli verranno restituite le proprie. «E poi, le sette?». La studiò con fare capriccioso. «Mi ricorda quella volta in cui mi hai portato nella Stanza delle Necessità al canto del fottuto gallo, non vorrei diventare nostalgico». L’occasione in cui lei aveva provato ad insegnargli una vecchia tecnica di autocontrollo. Con scarsi risultati che erano probabilmente da imputare ad entrambi. Sorrise. «Ma se proprio vuoi...» Prese ad arretrare verso la strada, la bacchetta puntata in avanti e la spada poggiata su una spalla. Trovava difficile, per vari motivi, immaginare di poter dormire molto quella notte: tornare lì così presto non sarebbe stato poi troppo traumatico. Si arrestò dopo un paio di metri. «Ora posso andare a darmi una ripulita, ma’am?» Quel frangente avrebbe rappresentato l’occasione perfetta per rispedire al mittente la frecciatina informandola della Nutella all’angolo delle sue labbra. Sarebbe suonata più o meno così: comunque meglio una faccia sporca di sangue di un labbro sporco di cioccolato, per affrontare un discorso come il nostro. Per qualche ragione, invece, se ne rimase in silenzio
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    « Io che combatto contro i miei simili… È uno spettacolo che nessuno desidera vedere. Non ho mai parlato di idee sagge o di metodi giusti. Né ho mai detto di pretendere qualcosa. Questo era ciò che mi andava di fare, qualsiasi risultato è una conseguenza che non posso controllare. » Solo in quel momento giunse nella mente di Tris un'irrefrenabile curiosità riguardo ai suoi spostamenti degli ultimi.. - quattro? Forse cinque anni? Dove sei stato? Un tempo che nella sua mente appariva dilatato all'estremo. Si ritrovò come svuotata di tutte le reminiscenze relegante al periodo che avevano condiviso tra i banchi di scuola, come se di mezzo ci fosse stato un abisso. Un tumulto di vicissitudini che avevano trasformato Beatrice non nella migliore versione di se stessa, ma in una persona decisamente diversa. Da qualche parte nel tempo c'era stato un gap, qualcosa che che aveva trasformato quella ragazzina che disegnava e rideva di gusto, la creaturina avventata dagli occhi vividi e speranzosi, in una macchina di guerra, a tratti priva di empatia, a tratti priva di sogni, addirittura priva di aspirazioni personali. Beatrice remava dritta, lungo una linea ben prestabilita, camminando sul filo del rasoio, sempre intenta a ricercare un'inerzia che spesso e volentieri tradiva. Lungo quel tragitto, la retta via, il ricordo di Aidan si era inesorabilmente fermato, come se avesse reciso di netto l'idea della sua esistenza, persino l'idea che da qualche parte su quel vasto territorio inesplorato che era il mondo degli uomini, lui stesse ancora trascorrendo le sue giornate. C'era stato un prima e un dopo, ma il durante le appariva ovattato, come se la sua mente avesse di proposito corroso quei ricordi nell'intento di venir meno a una promessa fatta a se stessa: salvare quel ragazzino stupido e spavaldo, il Serpeverde ermetico che in un modo o nell'altro continuava a vorticarle attorno. Non l'ha cercato, Tris; nemmeno quando le prerogativa del branco le avrebbero permesso di farlo semplicemente chiudendo gli occhi, senza muovere un solo muscolo. Non l'ha cercato, alla stessa maniera in cui lui non ha cercato lei. Forse per orgoglio, o per superficialità, forse perché entrambi erano in un momento delle proprie esistenze in cui non avevano voglia di farlo, o forse semplicemente non l'hanno fatto perché qualunque tentativo sarebbe risultato fallimentare. Come fallimentare stava per diventare quello di tentativo. Eppure, c'è stato in un momento in cui di te c'era bisogno. In cui tutti avevano bisogno di te. C'è stato un momento in cui io avevo bisogno di te. Rimuginare sopra al latte versato, tuttavia, non è mai stata un'abitudine di Tris. Liquidò quindi quel suo discorso con un profondo sospiro che esalò dalle narici con un moto di nervosismo, ormai spazientita da quel suo atteggiamento supponente. « Stai bluffando quanto me. Il passato non ha un nulla da offrire. Io sono sparito, tu non mi hai cercato. È una sceneggiata mettersi a decidere ora di chi fosse il problema più grande. Piuttosto mi concentrerei sul roseo presente: io sono qui, tu non mi vuoi bandire. » Stringe i pugni istintivamente, osservandolo con una parvenza di sregolatezza, spazientita a dismisura, ma non sufficientemente da crollare in preda ad un raptus di rabbia. Non vuole dargli anche questa soddisfazione; che Tris ci sia rimasta male, lo era ovvio ai tempi, ed è ovvio forse anche adesso, considerata l'indifferenza che gli riserva. Aidan era un punto di luce in una dimensione ordinaria. Aveva avuto la capacità di sfidarla in un ambiente tanto ordinario quanto poco interessate come quello di Hogwarts. Entrambi due pesci fuor d'acqua, in quel amplesso artefatto, costruito a misura di mago, si erano in un certo qual modo trovati, nonostante le loro personalità difficili e la loro poca capacità di comunicare. Sarebbero stati complici, forse anche molto di più, se solo si fossero presi un attimo di respiro, se solo per un istante avessero mollato la presa. Ma ai tempi, tutto sembrava una questione di principio, e forse, in fondo, continuava a esserlo anche ora. Avrebbe voluto dirgli qualcosa, rispondergli, frenarlo dal peggiorare la situazione. In un certo qual modo, quell'inclinazione quasi spontanea di offrirsi come ancora di salvezza nei suoi confronti, era sempre lì; ma ciò che accadde in seguito, non lo anticipò, né se lo aspettò. Fu un lampo; uno a cui in condizioni normali avrebbe forse anche potuto rispondere, tanto psicologicamente quanto fisicamente. Ma non in quel momento. In quel momento restò a guardare, nella stessa maniera in cui non più lontano di qualche settimana prima, aveva osservato il cadavere del suo ex ragazzo a terra, nello stesso modo in cui osservò qualche mese prima i cadaveri crocifissi nel bel mezzo del Villaggio dei Sin Eater a Inverness. Restò paralizzata, nell'udire il frusciare di una lama quasi invisibile che saettò accanto a lei, andando a infrangersi alle sue spalle e restò paralizzata anche quando, in un batter d'occhio uno dei suoi venne scaraventato ai suoi piedi. Strinse i denti; le lame celate si materializzarono lungo le sue esili braccia, e scattarono quasi automaticamente. I pugni serrati in una morsa salda. Qualcosa, nel mentre, stava graffiando in profondità; quel tumulto di anime in guerra aperta, stava smuovendo lei; la fiera belva candida che coesisteva assieme alla giovane Morgenstern. La sua parte più animalesca. Superò istintivamente il proprio compagno che, intento rialzatosi, si preparava a sferrare un attacco. L'Alfa lo frenò, con uno sguardo che saettò famelico nella sua direzione. Nonostante Aidan mantenesse uno dei suoi come scudo e ostaggio, la giovane Morgenstern avanzò; pacata, calma, vigile. Non disse niente, né distolse lo sguardo da quello che ormai doveva immaginare fosse diventato ancora una volta un suo avversario. Non aveva la certezza che non avrebbe ferito nessuno, ma, l'istinto ebbe la meglio sulla logica delle dinamiche e gli diede fiducia. Lo osservò, silenziosa, grave, solenne. « Accetto. Ma Hansel e Gretel qui credo non abbiano più voglia di avermi attorno. Andrò da solo » Il prigioniero venne liberato, e il campo divenne un testa a testa. Più avanti lungo il selciato di casa sua, c'era nuovamente loro due; Aidan e Tris, lui armato di spada e bacchetta, lei, armata delle sue fidate lame che ritirò istintivamente, azzardando un eventuale passo nella sua direzione. Un quadro che in circostanze diverse, avrebbe persino potuto stuzzicare la sensibilità artistica di un buon pittore. Più che arrabbiata, Tris nel mentre, sembrava estremamente delusa; non che contasse effettivamente sul fatto che quello stato d'animo potesse fare breccia nel cuore del moro. Dopo tutto quel tempo non seppe cosa aspettarsi, e si rese conto per giunta che non era pronta ad affrontare quella situazione - una situazione che di certo andava al di là delle semplici problematiche relegate a Inverness e la sua leadership. Si trovò ancora una volta allo sbando, colta di sorpresa, impreparata, alla stessa maniera in cui continuava a sentirsi da un po' di tempo a quella parte. La sua giovane età e l'inesperienza, continuavano a essere il suo peggior nemico. Eppure, qualcosa doveva pur averla imparata se in quell'occasione, nonostante tutto, riuscì a mantenere il controllo. In altri tempi, secondo presagi differenti, lo avrebbe preso a pugni, insultato, forse lo avrebbe persino buttato fuori da casa sua, ma ora, la responsabilità del suo ruolo, era in qualche maniera entrata in circolo e quindi decise di accettare ciò che aveva visto e processarlo esattamente per quello che era - la brava di un novellino. Sapeva di non essere più solo se stessa, sapeva di dover lasciare da parte i suoi antichi rancori del tutto personali; era anche cosciente del fatto che, seppur Aidan non ne fosse consapevole, forse in fondo, anche lui ricercava una casa, guidato da quell'antico istinto che sembrava relegare tutti i membri del branco attirandoli tutti a confluire volenti o nolenti nella stessa direzione. Torniamo sempre qui. Ultimamente forse anche molto più di prima. Se non si abbandonò dunque a un raptus di rabbia improvviso, fu soprattutto per quel motivo. Perché nonostante tutto, Aidan restava uno dei suoi - che a entrambi piacesse o meno, erano incastrati. Non le sfuggirono certo le sue ultime battute - un ricordo quello, che ebbe un sapore amaro, triste, lontano nel tempo; talmente lontano che non ricordava nemmeno per quale ragione il suo spirito da crocerossina prevalesse così tanto su tutto il resto. No, non su tutto il resto. Lo facevo per te. Non l'avrei fatto per molti altri. « Hai ragione. Sto bluffando. » Asserì alzando le mani in segno di arresa. La traccia di una punta di veleno in quelle parole fredde. « E farò addirittura di più. Farò finta che stasera non è mai accaduta. Il contrario non ti piacerebbe in ogni caso, Aidan. E questa non è una minaccia. » E' un dato di fatto. Ho depennato persone per molto meno; non da Inverness.. piuttosto dalla mia vita. Da quelle parole, traspare con durezza tutta la delusione che in fondo prova per il modo in cui è andato quell'incontro. S'inumidisce istintivamente le labbra sospirando profondamente. « Non ho altro da dirti. Fai come ti pare. Ma bada bene - » Una pausa tempo in cui alza il dito a mo di ammonizione nei suoi confronti. « - dovrebbe importare più a te che a me se a.. Hansel e Gretel piaci o meno. » Pausa. « Nessuno ti può fare la guerra qui dentro. Ma continuando a fare il ragazzino, stai solo remando contro te stesso. » Contro la tua stessa natura. « Stasera non hai fatto un torto né a me, né a loro. L'hai fatto solo a te stesso. » Lapidaria, gli voltò le spalle a pugni stretti, dirigendosi verso la propria abitazione, sbattendosi la porta alle spalle senza guardarsi indietro nemmeno per un istante. Ne aveva abbastanza di Aidan Joyce per una giornata.

    Si era svegliata con la netta sensazione di un fastidio alla bocca dello stomaco. Era chiaro che non avesse gradito la comparsata della sera precedente, ma nonostante ciò si era imposta di vederla solo come un'ennesimo imprevisto. Non pensò né a ciò che comportava per il suo equilibrio, né a quanto risultasse inopportuno in quel momento della sua esistenza il ritorno di Aidan Joyce. Tris era sull'orlo di un precipizio; più domande che risposte all'attivo, un problema di leadership decisamente complesso per le mani, e una palese reticenza nell'affrontare i propri problemi - personali e non. Nemmeno la corsa mattutina, all'alba di un nuovo giorno, era riuscita a far sì che si schiarisse le idee. I passi si erano mossi in direzione della vecchia residenza dei Redmoon, una casa ormai in rovina, di cui nessuno si è curato per molti anni. Tante altre case gettavano nella stessa situazione, prima della nascita del branco, ma poi, lentamente i loro legittimi proprietari ne avevano ripreso le redini dando loro nuova vita. La città era lentamente rinata, brulicando di persone, famiglie; un tessuto urbano mirabolante, fatto di personalità diverse, a volte controverse, che tuttavia facevano scoppiare il suo cuore di gioia e di orgoglio intrinseco. Eppure nonostante ciò, le linee architettoniche di quella casa, non erano mai cambiate. Nessuno l'aveva rilevata, né aveva manifestato il desiderio di vederla rifiorire. Nessuno aveva appeso piante ai davanzali o tinteggiato le facciate, né ne aveva ripulito gli spaziosi interni. Si era chiesta forse qualche volta perché il giovane Joyce non aveva sentito mai lo slancio di tornare. Perché in quelle visite sfuggenti che molti appartenenti al branco avevano sperimentato, lui non c'era mai? Era dormiente? Si stava nascondendo? Sempre più domande iniziarono ad annidarsi nella sua mente durante quella corsa e nemmeno la musica sparata a massimo volume nelle cuffie era bastata per mettere a tacere quei pensieri.
    Tornata quindi a casa non si sentì più rilassata, semmai ancora più abbattuta e triste. Sconfitta. Nonostante la lunga doccia che si era concessa, non era riuscita a scrollarsi di dosso la netta sensazione di quel metaforico prurito che continuava a stuzzicarla. Era infastidita dal brulicare di pensieri che continuavano a investirla sin dalla sera precedente, come se un treno continuasse a colpirla, rigettandole addosso nuove consapevolezze. Continuava a rimuginare sui discorsi che aveva sentito, sui comportamenti a cui aveva assistito, sulla situazione decisamente fuori controllo di cui era stata passiva spettatrice e che per giunta aveva anche permesso con apparente indifferenza. Uno stato d'animo ascrivibile all'irrequietezza, che Tris decise di mitigare con una colazione abbondante. Poco prima delle sette, scese al pianterreno dell'abitazione, lasciò la porta di casa leggermente aperta, dando da intendere al suo indesiderato ospite che era il benvenuto - più o meno - e apparecchiò il tavolo della sala da pranzo per due. Non sarebbe stato difficile per l'ex Serpeverde trovare la propria strada, considerato il rumore di piatti e posate che cominciò a tintinnare già prima del suo arrivo. Sul lungo tavolo della sala formale, erano stati adagiati due piatti. Uno per se stessa, e l'altro per lui. Di fronte a sé una vasta scelta di marmellate e creme spalmabili e i pancakes che aveva preparato, e che scandivano da molto ormai l'inizio delle sue giornate. Quando il ragazzo fece infine il suo ingresso, la giovane Morgenstern se la prese con calma. Masticò il boccone cominciato sotto i denti, osservandolo con attenzione, quasi volesse tentare di carpire il suo stato d'animo dopo una nottata di sonno. Ma tutto ciò durò poco. La colazione è pur sempre il pasto più importante della giornata, e lo è a maggior ragione per una che soffre di nervosismo cronico e risulta in ogni circostanza un pozzo senza fondo. Continuò poi a tagliare nel proprio piatto una nuova porzione su cui versò dello sciroppo d'acero, portandoselo alle labbra. Se la prese insomma con estrema calma, affermando ancora una volta silenziosamente che la sua presenza non significava nulla per lei in quelle circostanze - specie dopo la sceneggiata del giorno precedente. Portatasi l'abbondante tazza di caffè alle labbra, gli rivolse un sorriso leggermente forzato. La schiena dritta, impostata, tipica di chi intendeva portare avanti un incontro formale. D'altronde era talmente seccata dal modo in cui aveva deciso di rimettere piede nella sua vita, che quello fu l'unico trattamento che si sentì di riservargli. Gli fece cenno di sedersi, prima di posare forchetta e coltello, incrociando braccia e gambe, spostando di poco il busto nella sua direzione. « Serviti pure, se ne hai voglia. » Disse prima di inumidirsi le labbra spostando lo sguardo per qualche istante fuori dalla finestra con fare pensieroso. Come sono arrivata di preciso a questo punto? Come ci siamo arrivati io e te in queste circostanze? Tutti noi.. dove cazzo stiamo andando? « Ti senti leggermente più civile, stamattina? » Gli chiese dunque sollevando appena un sopracciglio prima di assottigliare lo sguardo con fare indagatore. Da inguaribile curiosa, certamente Tris era molto impaziente di scoprire il motivo per cui si trovasse lì e cosa lo avesse spinto a bussare alla sua porta, ma nonostante ciò, il suo lato più razionale le urlò veemente di lasciar perdere. Forse certe ferite è meglio lasciarle esattamente come sono, cicatrizzate. « Oppure intendi riprendere da dove hai lasciato ieri sera? » Scosse la testa alzando gli occhi al cielo con fare esasperato. « Molto maturo, devo dire.. e oculato. Per fortuna eri tu il figlio di Salazar tra noi due. » L'astuzia l'hai gettata in qualche cesso in questi anni.



     
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    La fissò e ammirò l’ombra selvatica che le abitò gli occhi, mentre lo scattare delle lame gli faceva scorrere un brivido lungo la schiena. Non ti trattenere. Una parte di lui si agitò desiderosa di vedere compiersi quella provocazione che aveva cercando fin dal primo momento. Tris e le sue lame celate. Lui aveva sempre preferito impugnare le armi attraverso il palmo e stringerle tra le dita: erano rimasti strumenti, per lui. Talvolta strumenti verso cui provare affezione, ma mai prolungamenti di sé. Le lame di cui Tris faceva più uso sembravano invece uscire dalla sua stessa carne. Ma alla fine, in quell’occasione, si ritirarono insieme alla belva nascosta dietro la maschera umana. Ancora più che in precedenza, davanti alla resistenza mostrata, il cambiamento dell’altra apparve incontestabile. Il tempo premette sulle spalle di Aidan insieme alla forza di gravità, ma il suo sguardo non si scostò. Rimase ad osservarla con la stessa intensità, seppur qualcosa nella sua espressione si spense. L’adrenalina legata ai movimenti che lo avevano portato a riarmarsi si disperse e si ritrovò a essere curioso di capire se l’altra si stesse trattenendo per via della sua posizione o se ci fosse qualcosa di più. Inoltre la provocazione appena avvenuta, contrariamente a quelle che l’avevano preceduta, era stata soprattutto la conseguenza di un’esigenza: un cacciatore disarmato è incapace di sentirsi a proprio agio nel mondo. Joyce era quindi pronto a concludere quella caotica improvvisata, almeno per quel giorno, tanto più che il tramonto era ormai sul punto di annunciare l’addio. Beatrice, tuttavia, prese parola. Il mago la ascoltò con uno spiccato disinteresse e con il chiaro intento di rendersi impermeabile alla ramanzina in corso, abbassando a sua volta le armi, fino a quando l’Alfa non pronunciò una semplice sequenza di parole:‌ l'hai fatto solo a te stesso. Rimase interdetto per una manciata di secondi, fissandola con la sorpresa di chi, avvolto nella convinzione di avere la vittoria in pugno, viene sconfitto da un asso nella manica. Lo spazio ed il tempo vibrarono, due differenti realtà si frapposero. Distante da Inverness, si ritrovò in ginocchio e legato da catene rivestite d’argento, lo sguardo perso nel vuoto. La voce della madre tagliava la carne con una severità resa ancora più affilata da una malcelata emozione. Nessuno ti costringerà a restare nel posto in cui ti porteranno. Potrai provare a scappare, ma se te ne andrai, farai un torto solamente a te stesso. E ricordati… Non potrai mai tornare qui. Nel presente la bocca del suo stomaco venne afferrata da dita gelide che lo trascinarono verso quella notte. Distolse lo sguardo a fissò un punto alle spalle di Tris. Sospirò, poi se ne andò guardandosi bene dall’incrociare ancora una volta lo sguardo della lupa. In quell’occasione nemmeno il suo fedele ermetismo avrebbe saputo lavare via la paura dai suoi occhi.

    Dormire fu impossibile all’interno della magione dei Redmoon. Dopo aver camminato lì intorno e averla raggiunta per caso - le famiglie del Conclave originale vivevano tutte nella stessa zona - ne aveva attraversato le stanze vuote o occupate da misteriosi pezzi di arredamento coperti da lenzuola e polvere. Per la quantità di ragnatele che abitavano gli angoli e gli anfratti più bui, non si sarebbe sorpreso di vedere sbucare un’Acromantula. Un nido di creature oscure direttamente nel vecchio covo di una delle più note famiglie di cacciatori: sarebbe stato un capovolgimento del fato persino piacevole. La verità, tuttavia, era che lì dentro non c’erano né minacce né alcuna altra fonte di compagnia. Era solo tra mura silenziose che gli ricordavano i genitori, il fratello, tutti coloro che orbitavano intorno a quel nucleo. Di ciò era rimasto ben poco. Così, quando indovinò la sagoma di un divano sotto uno dei lenzuoli, in una delle sale del primo piano, e vi si sdraiò fissando il soffitto dipinto, un flusso costante di pensieri e ricordi continuò a infestarlo impedendogli di dormire. Probabilmente, dopo quella leggerissima giornata di viaggio e ritrovo con un incandescente passato, era anche troppo esausto per farlo. Si ritrovò dopo alcune ore in uno stato di dormiveglia che non fece altro che enfatizzare l’agitarsi degli spettri nella sua testa. Le parole di Tris, le parole di Elisewin e le parole di Takeshi, l’antico cacciatore con cui aveva trascorso gli ultimi anni. Voci e contenuti si mischiavano in un calderone bollente. Nessuno ti può fare la guerra qui dentro; Tutti gli altri hanno saputo controllarsi, la colpa è solo tua, accettalo e riuscirai a sopravvivere; Questa furia, questa forza distruttiva, non deve necessariamente portare caos. La puoi sfruttare; Stasera non hai fatto un torto né a me né a loro. L’hai fatto solo a te stesso. Si alzò di scatto, afferrò uno dei braccioli del divano e lo scaraventò contro la parete di fronte. Doveva andarsene da lì.
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    Circa un’ora più tardi era dentro la stanza di una locanda. Nonostante le sue condizioni mentali si era assicurato che non fosse la stessa visitata nel pomeriggio: non aveva alcuna voglia di dare spiegazioni. Si lasciò cadere di faccia sul letto a due piazze che si trovò davanti. Era senz’altro più morbido e fresco del divano dei Redmoon, ma soprattutto non sembrava avere alcuna storia da raccontargli. Rimase nella penombra della notte ad osservare i tatuaggi sulle dita, mentre l’ultimo vessillo dei ricordi gli sventolava tra le tempie, nella forma di una passata conversazione. Una voce profonda, autoritaria, un inglese marcato da uno spiccato accento orientale. Quando finirai questo percorso, cerca il tuo sin eater. Il peccato è nella nostra natura, ma fintanto che il nostro fine è servire la luce, ci viene concesso di non affrontarlo da soli. Guarda come hai cucito per bene questa storiella per scaricare sugli altri i tuoi problemi e guardarti serenamente allo specchio. Io sto benissimo così. Un modo interessante di stare bene… Cosa ti spaventa della tranquillità? Il lupo se n’era rimasto in silenzio. «Stupido vecchio…» disse a fior di labbra all’interno della stanza della locanda. Poi gli occhi gli si chiusero senza preavviso.

    Nell’insieme aveva dormito pochissime ore. Aveva chiesto al banco di farsi svegliare in orario, e così una campanella incantata aveva iniziato incessantemente a suonare fino a che non si era trascinato giù dal letto - non prima di aver provato a zittirla tirandole contro un cuscino. Si era lavato con acqua ghiacciata e poi era uscito senza rivolgere la parola a nessuno. Si era attivato mezz’ora prima dell’appuntamento per andare a recuperare i propri effetti personali, in quanto Lycan momentaneamente tollerato ad Inverness, e restituire quelli altrui. Insospettabilmente aveva messo da parte frecciatine e commenti scazzati, limitandosi alle frasi essenziali. Giunto sul posto superò la porta leggermente aperta e camminò lentamente attraversò l’abitazione dei Morgenstern. Riscontrò in quelle pareti l’impronta di una vitalità che era del tutto assente, a prescindere dall’arredamento, tra le mura Redmoon. Avvertiva quel luogo come il fulcro dinamico della città, laddove casa sua giaceva addormentata e sprofondata in tenebre che assorbivano la luce invece di rifletterla. Le due magioni erano come Materia e Antimateria. Seguì suoni e profumi fino a raggiungere la sala da pranzo, studiò il quadretto che l’altra aveva preparato per lui. Era convinto infatti che lì dentro non ci fosse della servitù: il tempo era in grado di mutare le cose, ma non di scardinarne le fondamenta. Gli occhi infine si soffermarono sulla strega, sostenendone lo sguardo indagatore. Per diversi secondi i due parvero intenti in una lotta a distanza che vedeva come trofeo le rispettive informazioni sulla nottata appena trascorsa. La figura di Joyce appariva per lo più identica al giorno prima, le differenze si trovavano nei dettagli: una viso ripulito dal sangue in cambio di una sfumatura d’occhiaie, abiti stropicciati in alcuni punti. Formale, Beatrice lo invitò a unirsi al tavolo. Lui prese tempo e non ricambiò il sorriso forzato. «Molto maturo, devo dire.. e oculato. Per fortuna eri tu il figlio di Salazar tra noi due.» Bisogna premettere che la carenza di sonno agiva in modo particolare sulla sua persona: lo rendeva più mite del solito, come se non disponesse di energie sufficienti ad alimentare la fornace dell’irrequietezza. Fu il motivo per cui, davanti alla battuta sulla natura dei Serpeverde, non le rinfacciò il fatto di essersene rimasta a guardarlo senza muovere un dito mentre disarmava le guardie, paralizzata come una creatura ben poco coraggiosa. Per arrivare a sedersi fece il giro largo, passandole alle spalle. «Esiste un detto che appartiene ad un’altra cultura, e che per l’occasione riadatterò così: a discapito delle apparenze, un ariete e un grimaldello potrebbero essere lo stesso strumento di astuzia» soppesò quelle parole non particolarmente convinto nemmeno lui, in generale, dai modi di dire giapponesi. Per il resto, un ariete da sfondamento sarebbe stato facilmente il suo Patronus se l’incanto avesse sfruttato le forme di strumenti di battaglia invece che di creature. «Forse è stato un ritorno un po’ troppo movimentato, ma alla fine siamo qui a fare colazione» questo era oggettivo. Si fermò mentre ancora si trovava alle sue spalle. «Insieme alla roba che mi hanno requisito c’era qualcosa per te» infilò una mano dentro il cappotto e ne estrasse un pugnale curvo, lungo intorno ai venti centimetri, avvolto dentro un fodero bianco intarsiato, con un nastro rosso in prossimità dell’elsa e lunghi filamenti di tessuto dello stesso colore stretti intorno all’impugnatura in modo da lasciare il legno sottostante visibile in una sequenza di piccoli rombi. Un tantō, una katana di piccola taglia. Le si avvicinò dal fianco sinistro e afferrò l’arma con due mani, facendola scorrere via dalla custodia. «Acciaio incantato, con il filo della lama in argento» i cacciatori e il loro fetish per le armi. «Piantalo nella carne di una creatura oscura e non riceverai in cambio gemiti di piacere» estrasse completamente il metallo e osservò Tris attraverso il riflesso dei loro occhi sulla stessa. Poi la fece roteare in aria e la piantò sul legno del tavolo, per la gioia di chiunque si fosse occupato dell’arredamento in quella sala. «Oppure in quella dei Lycan poco rispettosi». Il tono si colorò di un vago divertimento, ma la sua espressione rimase seria. Anche loro non avevano un rapporto molto roseo con le ferite da argento, in quella tavola non era necessario specificare l’ovvio. L’asciò l’arma piantata lì, senza fornire spiegazioni sul motivo di quel regalo, quindi completò il giro e se ne andò a sedere - lasciandosi cadere con ben poca grazia - nel posto preparato di fronte a lei. Analizzò in breve ciò che gli si offriva davanti. La fame non gli mancava, tuttavia tornò a guardare la compagna di colazione. «In effetti io e te dovremmo confrontarci lama contro lama uno di questi giorni, come da tradizione. Per sfogare la tensione?» domanda retorica, i filamenti elettrici che abitavano lo spazio tra di loro erano visibili ad occhio nudo. Della proposta invece sembrava convinto, e non aveva dubbi che lì ad Inverness disponessero ancora di un luogo adatto per farlo. «In merito agli altri due...» Rispetto ad Hansel e Gretel si trattava di un passo avanti. «Se lo vorranno, gli offrirò da bere» concluse così la questione ti senti leggermente più civile? La notte insonne, insieme al mood mite, aveva portato con sé anche la consapevolezza delle azioni compiute e delle conseguenze del fare ciò che gli andava. Un meccanismo mentale che avrebbe dovuto essere assolutamente normale e che Aidan aveva iniziato ad assimilare soltanto negli ultimi anni. Certo, anche in passato era emerso qualche debole germoglio in tal senso: proprio alla ragazza che aveva di fronte, ad esempio, si era presentato dopo una litigata esordendo con un sono un idiota. A quel punto le rivolse un’espressione che suonava come un “ora puoi anche toglierti la faccia da funerale”, si tolse il cappotto e iniziò a dedicarsi alla colazione versando della spremuta. Si adagiò allo schienale e bevve un paio di sorsi. «Allora, stai bene qui?» Prima che le labbra si schiudessero e la lingua si muovesse, la mente passò in rassegna diverse possibili formule con cui domandarle della situazione che la circondava, del suo ruolo. Ma in definitiva quell’argomento non avrebbe potuto che partire da lei, la stupida ragazzina che in una vita precedente aveva provato a tendere una mano verso di lui e salvarlo da sé stesso. La semi-sconosciuta città di Inverness, in quel dipinto, ne era il semplice sfondo
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    Edited by The Disaster Artist - 23/4/2020, 04:12
     
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    Si sentì a disagio, come se lo spazio che li divideva aveva sì un sapore famigliare, ma in un certo qual modo troppo estraneo e lontano perché potesse riconoscerlo del tutto. Quella in cui il giovane Joyce era piombato, era una dimensione decisamente differente dalla posizione in cui si erano lasciati. Erano cambiati; eppure, tra le pieghe di qualche ruga di espressione in più, sembrava si calassero le stesse personalità irriverenti e controverse che avevano reso possibile la dinamica che si era instaurata tra loro. A ben guardare, dopo tutti gli ostacoli che si erano frapposti lungo il suo cammino, Tris non sembrava nemmeno ricordarsi più la persona che Aidan aveva conosciuto, né lei sembrava avere una cognizione nitida delle pieghe che assemblavano la complessa personalità che le aveva pestato i piedi innumerevoli volte. « Esiste un detto che appartiene ad un’altra cultura, e che per l’occasione riadatterò così: a discapito delle apparenze, un ariete e un grimaldello potrebbero essere lo stesso strumento di astuzia » Non smise di mangiare Tris, nemmeno quando, l'ex Serpeverde decise di rompere il silenzio, concentrandosi invece ostinatamente sul proprio piatto con una certa devozione, quasi come se quel pasto potesse risultare l'ultimo boccone solido che avrebbe mai più ingerito. Sollevò tuttavia un sopracciglio, scuotendo la testa non particolarmente persuasa dalle parole di lui. Se erano delle scuse, erano a dir poco convincenti, seppur fosse abbastanza consapevole del fatto che potenzialmente potessero essere le uniche, per quanto fumose, che avrebbe in qualche maniera accettato da parte sua. Seppur volesse convincersi di essere ormai all'oscuro di qualunque cosa passasse per la testa di Aidan, il suo subconscio era pronto a convertire quelle sue incertezze in dati di fatto piuttosto evidenti. Sapeva esattamente chi aveva di fronte, ed era stato proprio questo il motivo per cui si era sforzata di non reagire la sera prima, seppur controvoglia. Mettere in castigo Aidan non significava martoriarlo, prendendolo a pugni. Semmai, un simile comportamento non avrebbe fatto altro che gonfiare il suo ego spropositato. Ignorare il suo sbracciare invece, voltare le spalle alle sue palesi richieste bislacche di attenzioni, era la più grande punizione che gli si potesse infliggere. « Lo terrò a mente. » Disse quindi stringendosi nelle spalle con indifferenza, prima di sollevare lo sguardo verso la sua figura, analizzando le sue reazioni e spostamenti. Gli diede quindi il tempo di raggiungere il posto da lei indicato, non calcolando che il ragazzo avrebbe seguito un percorso diverso da quello più logico. Le spalle di lei si irrigidirono appena mentre, puntato lo sguardo di fronte a sé, attese che la sua presenza si spostasse oltre la schiena di lei. « Forse è stato un ritorno un po’ troppo movimentato, ma alla fine siamo qui a fare colazione » « Non grazie a te. » Lo liquidò con una risposta pacata seppur tagliente, osservando con la coda dell'occhio lo spazio alle proprie spalle, senza spostare il capo neanche di un millimetro. « Insieme alla roba che mi hanno requisito c’era qualcosa per te » Osservò lo spettacolo che si districava di fronte ai suoi occhi con una punta di curiosità. Lo sguardo scese sull'arma, che riprese quota ben presto tra le mani del giovane, brillando sotto i raggi cangianti filtrati dalle ampie vetrate della sala da pranzo. Un momento che fece brillare il suo sguardo di una punta di avidità. Le armi sono il miglior amico di una ragazza - almeno di questa ragazza; e seppure Tris non avrebbe voluto provare un senso di fascinazione e di possessione verso la lama, ne restò comunque attratta. « Acciaio incantato, con il filo della lama in argento. Piantalo nella carne di una creatura oscura e non riceverai in cambio gemiti di piacere. Oppure in quella dei Lycan poco rispettosi. » Si inumidì istintivamente le labbra, inclinando appena la testa di lato, nell'intento di osservare con pacatezza, ma anche un grado di intensità insolito, la punta del'argento conficcata nel legno levigato dell'antico tavolo. Avrebbe voluto dire di avere un qualunque senso di attaccamento nei confronti dei suoi arredi, sufficiente da puntualizzare quanto poco gradita fosse quella mossa, ma la verità è che nel suo sangue non c'era una sola cella che non trovasse compromettente l'attaccamento verso i beni materiali che possedeva. Quella casa era vissuta, e le tracce dei cacciatori che ne avevano oltrepassato la soglia e che l'avevano visitata per breve o lungo periodo, erano innumerevoli. Quella di Aidan era solo l'ennesima traccia che sarebbe rimasta ai posteri. Qualcuno forse, in futuro, avrebbe osservato quella crepa con la stessa curiosità con cui lei si è interrogata su molte altre. Qualcuno forse si immaginerà che questo è l'ennesima prova di uno scontro diplomatico; e invece, è solo la traccia della stupidità di due ragazzini cresciuti troppo in fretta e contro la propria volontà. Non commentò quel presente, né gli mostrò troppo entusiasmo in merito. Decise piuttosto continuare il rituale della propria colazione, sorseggiando il proprio caffè in attesa che Aidan giungesse al punto. Perché in fondo, quei quesiti continuava ad annidarsi tra le pieghe della sua psiche: qual è il punto di tutto questo? Perché sei tornato? E dove sei stato? « In effetti io e te dovremmo confrontarci lama contro lama uno di questi giorni, come da tradizione. Per sfogare la tensione? » Fu la prima volta che Tris scoppiò a ridere; una risata spontanea, frutto dell'ilarità di cui Aidan aveva deciso di renderla partecipe - a modo suo. Non era certa fosse di buon umore, ma di certo, l'atmosfera risultava a suo avviso più distesa rispetto alla sera prima. « Credi ci sia tensione tra me e te? » Non ha problemi a punzecchiarlo, né tanto meno a estrapolare parole dal contesto. Lo sguardo si volge nella sua direzione mentre solleva un sopracciglio con aria scettica. « E' questo ciò che stavi tentando di fare ieri sera? Sfogare la tensione? » Abbozza un leggero sorriso che ha dell'amarezza, prima di stringersi nelle spalle. « Vedremo.. » Pausa. « Sono giunta ad un punto in cui sfodero le lame solo se necessario. » Sintomo quello di maturità, ma anche e soprattutto di una stanchezza che continuava a opprimere l'animo avventuriero della giovane Morgenstern ogni giorno un po' di più di quello precedente. « In merito agli altri due... Se lo vorranno, gli offrirò da bere » Accoglie quell'implicita offerta di pace con un cenno del capo che esprime un certo consenso nei confronti della sua decisione. « Sono certa che riuscirete a sistemare le vostre.. differenze. Nessuno ha mai rifiutato un buon bicchiere di Scotch a Inverness. E la nostra produzione ha il suo perché. » Non solo perché gli anziani lo producevano in casa, e delle loro riserve ne andavano piuttosto fieri, ma anche perché la dimensione collettiva delle feste, avevano una grande rilevanza nella collettività. A Inverness la gente amava stare insieme, bere insieme, raccontarsi, ricordare. Tris ci aveva messo parecchio per comprendere che, dietro le imponenti ombre dei cacciatori, si celavano persone vive, grondanti di aspirazioni e sentimenti a tratti addirittura estremizzati. Dietro la spessa coltre di mistero in cui era avvolto il loro percorso di addestramento, si celava una comunità pulsante e viva, molto meno rigida e anaffettiva di quanto si pensasse. Inverness era un organismo estremamente variopinto, il Credo al completo lo era; al suo interno vivevano come in un alveare, migliaia di celle tutte differenti, le cui esperienze e storie personali erano intense, e non di certo meno umane delle esperienze di qualunque mago o babbano.
    Erano esseri umani, fatti di carne, forgiati dai loro errori e dalle loro controverse personalità.
    A tal proposito, l'atmosfera sembrò distendersi, quanto meno in superficie. Tris tirò un lungo sospirò e tornò a sorseggiare pacatamente il proprio caffè, azzannando senza troppi complimenti una fetta di pane abbrustolita su cui vi stese della confettura di fragole. Anche lei sembrò estremamente umana in quel momento. Del volto della leader indifferente sembrò esserci ormai davvero poco. Era solo una ragazza, semplice, forse un po' troppo spartana a tratti, ma pur sempre grondante di incertezze e inquietudini. Una ragazza che stava semplicemente facendo colazione e la cui testa era tormentata da decine di quesiti ai quali, probabilmente non avrebbe mai avuto risposta alcuna. « Allora, stai bene qui? » La domanda la sorprende, a tal punto che sgrana appena gli occhi accompagnando lo sguardo colto da una palese parvenza di stupore a un'espressione interrogativa. Sto bene in questo momento? In generale? Non sa cosa rispondere, né se vuole rispondere. Una cosa è certa; Tris non è nel momento più roseo della sua esistenza - semmai un momento roseo nella sua esistenza c'è mai stato. Si stringe quindi conseguentemente nelle spalle, e alzatasi per raggiungere una credenza posta al lato rispetto al tavolo, estrae dal cassetto un pacchetto di sigarette, ponendosi una tra le labbra. Lascia infine, dopo essersela accesa, il pacchetto sul tavolo assieme all'accendino. Non è certa che Aidan fumi a quel punto, ma le sembra in ogni caso un'offerta doverosa. Lei, il vizio non lo ha più. Non più come ai tempi della scuola almeno. Le usa per stemperare i momenti di tensione; le usa per pensare, per sciogliere i muscoli; un mero piacere malsano ormai consacrato, sospeso da qualche parte nel corredo delle cattive abitudini che frequenta di rado. « Non ho molto tempo per pensare a come sto. » Compie una breve pausa, tempo in cui abbassa lo sguardo e si porta la sigaretta alle labbra, ispirando nuovamente. « Sto. Ci sono sempre imprevisti, cose che non mi aspettavo.. cose di cui occuparsi, ecco. » Stare dietro a questo posto è spesso un lavoro a tempo pieno. Ti risucchia. Ti divora dall'interno. « Però, credo ne valga la pena. Non tutti i giorni. Non quando.. » ..quando perdi di continuo persone. Quando non sai se stai facendo la cosa giusta o meno. « ..quando le cose non vanno, ecco. Però ha un senso. Ci ha dato un senso. Di certo lo ha dato a me. Ora ho un obiettivo.. anche se non capisco sempre quale sia. E' così.. questa vita; di solito lavori senza sapere precisamente perché lo stai facendo. Però.. lo fai. Prima o poi una risposta forse arriva » Stira un leggero sorriso rassegnato, sollevando lo sguardo nella direzione di lui. Vorrei avere più risposte, ma la verità è che ultimamente nemmeno io so cosa sto facendo. « Mi rendo conto che non deve sembrare uno stile di vita estremamente appetibile - specie per uno che se ne è lavato le mani alla velocità della luce. » Si schiarisce la voce, mordendosi il labbro inferiore, mentre posa i palmi sul tavolo, osservandolo con uno sguardo tutto sommato pacato, indipendentemente dalla battuta di poco spirito che ha appena fatto. « Tranquillo, non è un rimprovero. Non ne avrei nemmeno il diritto quindi.. immagino la mia sia solo una constatazione. » Ci tiene così a mettere le mani avanti, senza tuttavia riuscire a togliersi dalla testa la domanda più importante. « Che poi.. dove sei stato di preciso? Nessuno ha più sentito niente di te per.. anni? Mi stupisce che tu sia sfuggito al legame che ci univa tutti. Oppure.. » Oppure la verità è più semplice di quanto uno ci si aspetta. « ..oppure non sei sfuggito affatto, ma hai solo evitato sapientemente le persone che faceva comodo non trovare. » Qual è la versione ufficiale?



     
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    «Non grazie a te». Fu una frase che non riuscì a farsi scivolare addosso, alla quale avrebbe volentieri risposto di pancia e senza alcun filtro. Riuscì invece a controllare il riflesso incondizionato fino a quando l'arma non fu ben piantata nel legno. Era in procinto di sedersi quando le labbra si schiusero. «Nemmeno grazie a te. Sono stato io a tornare». Avvertì che l'altra avrebbe potuto ribattere a sua volta, ma non si premurò di mettere le mani avanti. L'assenza di reazioni visibili nei riguardi del regalo non lo sorprese, come non lo fece l'impassibilità di fronte alla lama piantata nel legno. Gli arredamenti tipici dei cacciatori erano rustici, eleganti solo se osservati attraverso il loro specifico filtro artistico. Spesso si trascinavano per secoli raccontando un'infinità di storie e acquisendo più valore se graffi e incisioni ne deturpavano le linee. Nonostante questo, conosceva la curiosità come una delle caratteristiche della lupa ed era convinto che, prima o poi, tale componente del suo carattere l'avrebbe spinta oltre il velo dell'indifferenza. E a quel punto lui sarebbe stato lì, diversamente ermetico, pronto a risponderle nel modo in cui sarebbe stato più ispirato a fare. La risata intercettò questa sua narrazione mentale come implicita conferma di un punto di contatto in costruzione. Gli sembrò meno distante di quelle che si erano scambiati diverse ore prima. «Credi ci sia tensione tra me e te?» di riflesso, i suoi zigomi si sollevarono in un sorriso destinato a non manifestarsi del tutto. «Non mi sorprenderei se la nostra Magia facesse esplodere uno dei bicchieri da un momento all'altro». Non ritrasse la mano né lo sguardo dopo aver lanciato il sasso. Aveva basi solide su cui appoggiarsi, dal momento che la sentiva letteralmente, ma in altre circostanze avrebbe risposto allo stesso modo bluffando senza ritegno. «E' questo ciò che stavi tentando di fare ieri sera? Sfogare la tensione?» Continuò ad osservarla, sospirò. Parve prendere la seconda domanda più seriamente di quanto, forse, avrebbe dovuto. «Vedremo... Sono giunta ad un punto in cui sfodero le lame solo se necessario.» Comprese il significato di tali parole ad un livello più profondo di quanto avrebbe potuto fare un interlocutore esterno ad Inverness. Il giudizio, la comprensione di quanto peso potesse avere il semplice gesto di estrarre una lama, era un passaggio che i cacciatori più anziani indicavano come tappa essenziale verso l'età adulta. Per creature che fin dalla giovane età avevano imparato ad usarle, infatti, le armi apparivano come la soluzione a qualsiasi problema con fin troppa facilità. Lei, prematuramente, dover aver raggiunto quella tappa in quegli anni di oscurità, e anche per questo vederla estrarre le lame celate di fronte a lui, la sera prima, lo aveva fatto sentire violentemente vivo. «Dovresti tenerti allenata proprio per essere pronta a sfoderarle quando serve. Vedremo, comunque, è qualcosa su cui si può lavorare». Parve soppesare i propri pensieri. «Non cercare una spiegazione logica per ieri sera. È partito tutto da un'idea semplice». Nell'affermarlo sembrò venire fuori all'improvviso tutta la stanchezza della notte insonne. Tracannò la spremuta e si riempì il piatto, cominciando a mangiare. «Sono certa che riuscirete a sistemare le vostre.. differenze. Nessuno ha mai rifiutato un buon bicchiere di Scotch a Inverness. E la nostra produzione ha il suo perché.» Annuì. Per quanto fosse poco consigliabile invitarlo a testare l'alcol della città, apprezzò che Tris non calcasse la mano sulla precarietà di quelle scuse. Gli piacque convincersi che ricordasse ancora quanto criticare il valore di un suo gesto altruistico lo portasse a ritirare immediatamente l'offerta, pur minima che fosse. Si trattava di sprazzi rari che era saggio cogliere per come arrivavano. Per il resto non poteva immaginare il microcosmo di socialità a cui l'Alfa alludeva con quelle semplici parole, quindi le prese come un comune inno alle abilità di bevuta dei Lycan. La sua mente era selettiva in merito alla informazioni su cui scavare rispetto a quelle da tenere ad un livello superficiale, e le dinamiche comunitarie della città-stato non rientravano, allo stato attuale, tra le sue priorità. Dedicò diversi minuti successivi a guardarla mangiare e parlare, azioni banali che sapevano raccontare un'infinità di storie, soprattutto su una persona che non si vedeva da anni. Ignorò la sorpresa che lesse sul suo viso, lasciò che fosse lei a decidere come interpretare l'ambigua richiesta sullo stare bene. Un pacchetto di sigarette venne frapposto tra loro, gli occhi grigi scesero ad intercettarlo. Da quanto il lupo non fumava? Con tutte le tendenze autodistruttive che avevano iniziato ad accompagnarlo negli ultimi anni, non era sicuro di voler aprire le porte ad un nuovo, possibile vizio. «Non ho molto tempo per pensare a come sto». Bevve un altro po' di spremuta e poi smise di dedicare attenzioni alla colazione, seguendo i flussi dell'articolata risposta. «...Però ha un senso. Ci ha dato un senso. Di certo lo ha dato a me. Ora ho un obiettivo.. anche se non capisco sempre quale sia. E' così.. questa vita; di solito lavori senza sapere precisamente perché lo stai facendo. Però.. lo fai. Prima o poi una risposta forse arriva.» Poteva seguire il filo del discorso più di quanto l'altra sospettasse. Una supposizione che trovò conferma quando, prima ancora che lui potesse aprir bocca, Tris aggiunse. «Mi rendo conto che non deve sembrare uno stile di vita estremamente appetibile - specie per uno che se ne è lavato le mani alla velocità della luce.» A primo impatto sentì il corpo irrigidirsi, il sangue salire alle tempie per innaffiare i germogli dell'insofferenza.
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    Gli occhi puntarono i denti bianchi intenti a mordere le labbra rosse. Poi salirono e trovarono un'insospettabile calma ad attenderli, insieme ad altre parole. Tra un solo una costatazione e un persone che faceva comodo non trovare il ritorno ai loro canoni tradizionali divenne troppo palese per perdere la calma. La morsa rigida si allentò, dalla bocca venne fuori uno sbuffo. «Vedo che non riesci a farmi una domanda senza gettare whisky incendiario sul fuoco». Un'altra cosa rimasta identica. «Se dire lavarsene le mani alla velocità della luce è diventata una costatazione devo arrendermi: non c'è proprio alcuna tensione tra di noi». Non si scomodò ad alzarle davvero, il sarcasmo poteva bastare. La postura rilassata e la cadenza delle sue parole esprimevano un'atmosfera leggera; a prescindere dal suo modo di punzecchiarlo, Beatrice era stata spontanea nel rispondere alla domanda. Gli aveva offerto una risposta arrovellata su se stessa e in un certo senso inconcludente, proprio per questo limpida nel rispecchiare la complessità dello stare bene. «Perché ti stupisce il mio sfuggire a quel legame?» La osservò. Non era una provocazione: era curioso di sentirglielo dire. «Visto che siamo in vena di speculazioni ho una teoria anche io: magari sei stata tu a non cercarmi perché ti faceva comodo non trovarmi». Dal canto suo, era un disegno più plausibile rispetto alla proposta opposta. Era sempre stato lui la fonte di caos nel loro gruppo, l'elemento di divisione che non aveva permesso loro di diventare un quartetto vero e proprio. La serpe tra i leoni. In ogni caso aveva ancora una domanda a cui rispondere. Non l'avrebbe usata come un'occasione per dirle più di quanto esplicitamente richiesto, ma nemmeno le avrebbe chiuso la porta in faccia. «Sono stato quasi esclusivamente in Giappone.» Alcuni indizi fino ad allora potevano averlo suggerito. Tuttavia, che lei li avesse letti o meno, l'assenza si era protratta per un periodo di tempo troppo ampio per supporre che fosse stata la sua unica meta. La domanda era lecita. Si prese del tempo prima di continuare. «Sopravvivendo, cacciando, imparando a conoscere la mia seconda natura». O dovrei dire la prima? Si fece più serio. «Ti piace abbandonare la tua maschera umana, Tris?» La mano destra smise di stringere il bicchiere di spremuta e si ritirò verso il corpo, il palmo rivolto verso il basso. Joyce osservò per l'ennesima volta i kanji che ne abitavano le dita. I suoni della stanza furono gli unici protagonisti per un po', poi collegò il discorso ad un'altra curiosità. «Mi è capitato di leggere un annuncio del Ministero di qualche tempo fa, dove si richiedevano studiosi e Lycan volenterosi per comprendere questa nostra specie dalla pericolosità massima. Mi chiedo cosa tu abbia combinato». In una differente realtà in cui loro fossero rimasti uniti, non faticava ad immaginare un'infinità di modi in cui uno come lui avrebbe potuto attirare quel genere di interesse istituzionale. In quella in cui vivevano, Beatrice Morgenstern non gli sembrava a capo di un'armata pronta a marciare sulla comunità magica. O almeno questo l'apparenza gli aveva suggerito.


     
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    « Vedo che non riesci a farmi una domanda senza gettare whisky incendiario sul fuoco. Se dire lavarsene le mani alla velocità della luce è diventata una costatazione devo arrendermi: non c'è proprio alcuna tensione tra di noi » A quel punto non si poteva dire nemmeno snervata; provava solo un profondo senso di amarezza che divenne evidente nel momento esatto in cui si rese conto che non solo Aidan non era lì per tentare di risolvere quel poco che poteva ancora essere risolto, ma intendeva anche tentare di avere ragione a tutti i costi. Fu proprio per questo che Tris decise di annuire, senza dire niente, alzando le sopracciglia a mo di arresa. A questo punto non capisco cosa vuoi; mi arrendo. Giunta ad un certo punto si rendeva conto che non voleva nemmeno ascoltare. Non voglio sentirti, non voglio vederti. Non hai imparato proprio niente in tutti questi anni. Se possibile, sei peggiorato. E allora perché mettere in chiaro che i due in passato non erano stati in grado di comunicare? Ai tempi poteva dare la colpa alla loro giovane età, all'impeto che sembrava bruciare negli animi irrequieti di entrambi. Il tempo aveva tuttavia smussato gli angoli di Beatrice, rendendo forse più spigolosi altri lati del suo carattere: la tolleranza di certo non era migliorata - specie la tolleranza per le cazzate. « Ok.. come ti pare.. » Commentò con indifferenza stringendosi nelle spalle prima di portarsi la tazza di caffè alle labbra. A quel punto sembrava tutto le scivolasse di dosso; e in definitiva non era solo ciò che riguardava Aidan a metterla in uno stato di totale disincanto. Forse Tris era semplicemente diventata disillusa in generale. Spegne di conseguenza la sigaretta nel proprio bicchiere di spremuta piuttosto seccata, incrociando le braccia al petto, convinta ormai che non c'è assolutamente nulla che lui possa dire o fare perché cambi una più che consolidata opinione che si è fatta di lui. « Perché ti stupisce il mio sfuggire a quel legame? Visto che siamo in vena di speculazioni ho una teoria anche io: magari sei stata tu a non cercarmi perché ti faceva comodo non trovarmi » Scoppia a ridere a quel punto, e la sua è una risata tutto fuorché di cuore. Le sembra tutto assurdo, paradossale, fuori da ogni logica. Non capisce fino in fondo, Tris, perché Aidan sente il bisogno comportarsi in quella maniera. Forse in fondo sei sempre stato così. Forse sono stata io a crearmi un'immagine idilliaca di te. Forse.. o forse ai tempi mi piaceva proprio questo. Ci è voluta una guerra e giusto una decina di situazioni al confine con l'altro mondo per rendermi conto che non ho tolleranza per le teste di cazzo. Complimenti a me! « Divertente.. davvero. » No. Non lo era affatto, e man mano che trascorreva altro tempo con lui nella stessa stanza, sentiva solo il bisogno di smetterla; voleva smettere con la sceneggiata diplomatica, con il senso di appartenenza e con l'illusoria convinzione che Aidan fosse tornato perché in fondo quella era casa sua, e perché, forse - solo forse - aveva bisogno di ricongiungersi ai suoi simili come tanti altri prima di lui. « Sono stato quasi esclusivamente in Giappone. Sopravvivendo, cacciando, imparando a conoscere la mia seconda natura » « Giappone, wow.. interessante. Esotico, oserei dire. » Già, interessante. Avrebbe voluto chiedergli a quel punto cosa avesse scoperto circa la sua seconda natura, ma si morse la lingua decidendo di lasciar perdere. Non erano ancora al punto in cui potevano effettivamente sedersi come due vecchi conoscenti di fronte a una tazza di caffè o un bicchiere di Incendiario, e parlare del più e del meno, delle vicissitudini che la vita aveva posto loro davanti, o degli obiettivi raggiunti nel tempo. Allo stato attuale tutto sembrava un campo minato, persino la cosa più stupida. « Ti piace abbandonare la tua maschera umana, Tris? » Sollevò un sopracciglio non capendo fino in fondo a cosa si riferisse quel quesito. Decise quindi di abbassare lo sguardo, roteando la punta dell'arma da lui offertale fino a scavare ulteriormente nel legno color mogano, osservando quel movimento con vivido interesse, perdendosi nelle pieghe irregolari della superficie ruvida. « Io non sono umana, Aidan. » Disse con semplicità e un velo di amarezza, rivolgendogli un sorriso ironico. Si strinse nelle spalle lasciando cadere il discorso, non volendo dare spiegazioni in merito alle sue affermazioni. Dio solo sa quanto è vero, e quanto è difficile convivere con questa consapevolezza. « Mi è capitato di leggere un annuncio del Ministero di qualche tempo fa, dove si richiedevano studiosi e Lycan volenterosi per comprendere questa nostra specie dalla pericolosità massima. Mi chiedo cosa tu abbia combinato » Sospira pesantemente ancora pensierosa. Tante immagini distinte saettano nella sua testa colta di fronte alla più semplice quanto scontata delle domande. Cosa hai combinato, Tris? Troppe cose. Troppi pesi per una ragazza che era appena giunta al traguardo dei vent'anni avevano fatto sì che Tris prendesse decisioni scomode. Molti continuavano a dire che era acerba, che era solo una ragazzina, ma le cicatrici che scorrevano sulla sua pelle d'avorio dimostravano il contrario; la consapevolezza che si annidava in quegli occhi ferini, era tutto fuorché accostabile all'irragionevolezza di una bambina con troppo potere per le mani. Molti non erano a conoscenza di tutto ciò che Tris aveva fatto, tanti altri ancora non potevano nemmeno intuire quanto in là si era spinta per tutti tranne che per se stessa. Forse, anche e soprattutto per questo, le parole di Aidan erano riuscite a ferirla nel profondo, là dove squarci ancora profondi, la piegavano a una condizione di perenne irrequietezza e paranoia. Riesce ancora a sentire le lame celate che affondano nella carne di Edmund Kingsley, riesce ancora a sentire il sapore salino del sangue degli Inquisitori morti durante l'assalto al castello di Hogwarts, può ancora percepire nitidamente il liquido color petrolio che sgorga dalle creature immonde che ha dovuto affrontare a più riprese nel Lockdown e durante il periodo del grigio totale. Può chiaramente sentire ancora quella voce che ha guidato i suoi passi per mesi, prima di potersene liberare; il suo doppio era rimasto aggrovigliato nella sua testa per molto e prima ancora che potessero anche lontanamente intuire l'esistenza di un Upsidedown, dei doppi e dei mostri che lo abitavano. Percepisce ancora il dolore del tradimento dei suoi amici, l'amarezza nel vedersi voltare le spalle ancora e ancora e ancora. Può ancora tastare nitidamente il senso di colpa dell'aver sacrificato suo padre per la causa e assieme a lui tutti i membri corrotti del Conclave. Cosa non ho combinato, piuttosto. « Sono una ragazzina a capo di un esercito che non si piegherà mai al cospetto di nessun governo al di fuori del proprio. Non ti sembra abbastanza? » L'ironia che traspare da quelle parole è evidente. « Ho fatto tante cose. Di molte non ne vado fiera.. ma sai, è la guerra. » Forse la cosa peggiore è che, in fondo, Tris non prova un vero senso di colpa nei confronti di tutte quelle azioni. E' la guerra, si racconta sempre; e quella che avevano combattuto, e che forse combattevano ancora alla cieca, era una guerra che non faceva prigionieri. Ha visto morire ragazzini; niente più che undicenni spezzati da una forza malvagia che sembrava trarre vantaggio tanto dalla loro linfa vitale quanto dal dolore di coloro che ne piangevano la scomparsa. « Eppure, per quanto io possa sentirmi in un certo modo in colpa per tante cose, c'è una cosa che proprio non accetto. » Il tono di voce pacato annuncia un cambio di rotta; nonostante la sua calma apparente, Tris non sarà più né gentile, né tanto meno rispettosa dei sentimenti di Aidan. « Quella tua teoria sai.. quella secondo cui non ti ho cercato perché mi faceva comodo. Credo che tu dovresti chiedermi scusa per averla menzionata. » Per quella e altre puttanate che hai deciso di sparare nell'arco delle ultime dodici ore. Una risata amara saetta fuori dalle labbra di lei. « Ti dà fastidio che io pensi che te ne sei lavato le mani? Perfetto. Diciamo anche che non ti sei lavato le mani, che avevi i tuoi motivi - e non fraintendermi ne avevi tutto il diritto e non dovevi assolutamente nulla a nessuno.. ma, spiegami allora che cosa avrei dovuto andare a cercare? » E' perplessa e sinceramente confusa da quelle sue parole. Che l'hanno colpita è evidente; Aidan resta certamente una questione inconclusa del suo passato. Ci ha fatto pace, il suo abbandono l'ha accettato ed è andata avanti, ma questo non significa che, una volta pizzicata non risponderà. « Continuiamo pure sulla strada delle speculazioni. Mi piace. Mi viene da pensare a questo punto che ti sei convinto che solo perché mi piacevi e avevo una palese quanto clamorosa cotta per te, io ti sarei venuta dietro come un cane randagio fino in capo al mondo. » È questo ciò che hai pensato? Non ha problemi ormai ad ammettere che una qualche forma di intesa tra loro c'è stata, che Tris ci si è aggrappata anche troppo, e che quando è sparito si è resa conto che al di là delle loro differenze, Aidan aveva fatto davvero breccia nel suo cuore. Erano solo dei ragazzini; forse la sua stessa cotta era stata solo una cotta adolescenziale, ma anche così è fiera di se stessa, e ammetterlo con così tanta franchezza al diretto interessato le dà la dimensione di quanto i tempi siano cambiati per lei. Quando i due trascorrevano ancora insieme le proprie giornate lungo gli stessi corridoi, quando condividendo gli stessi spazzi, guardandosi perennemente in cagnesco, Tris si sarebbe ben volentieri tagliata un braccio piuttosto che ammettere di avere un debole per lui. Ora, non solo lo ammetteva, ma non aveva nemmeno paura di metterlo in pubblica piazza. Mi piacevi. Ci sono rimasta male. Succede. Alla fine si cresce.
    « Cosa avrei dovuto inseguire di preciso? Il nulla? Sono sempre stata io a cercarti, a tentare di aiutarti.. sono stata addirittura io ad averti baciato. Avevi una così bassa considerazione di me da pensare che in virtù di ciò saresti stato in grado di trasformarmi in una cazzo di sottona? » E' calma Tris, amareggiata, ma pur sempre tranquilla - a modo suo; non le piace rinvangare il passato, tanto meno parlare di argomenti così remoti e delicati. Ma tu non la smetti. Tu vuoi per forza spingere il piede sull'acceleratore fino in fondo. « O forse pensi che la mia intera esistenza si basa sulla delusione della tua sparizione, e il conseguente sforzo cronico di non cercarti?' » Vorrei che fosse così, davvero. Sarebbe stato molto più semplice. « Beh lascia che ti renda la situazione molto chiara, Aidan. Non ti ho cercato perché non ho avuto tempo e probabilmente perché non mi andava neanche. Ma ti ho aspettato. Ho sperato che tornassi per parecchio e avrei avuto bisogno di te in più di un'occasione.. » Perché nonostante tutto, tanto Tris quanto Aidan, sono sempre stati consapevoli del fatto che, al di là di tutti i loro battibecchi, nel momento del bisogno nessuno dei due si sarebbe veramente sottratto dall'aiutare l'altro. Forse quel loro continuare a litigare su cose di cui non ne avevano piena consapevolezza - questioni di faide antiche e famiglie in rivolta - era il loro modo di connettere; in ogni caso, in fondo, Tris non ha mai odiato Aidan, né ha mai sperato che sparisse realmente dal suo raggio. « ..ma tu non c'eri. Con me però c'erano i miei fratelli - i tuoi fratelli - gli stessi con cui ora senti il bisogno di azzuffarti per cercare di farmi incazzare. Quindi risparmiami la recita del ragazzino provocatore con problemi di autocontrollo, perché quella strategia funzionava quando avevamo quindici anni. » Ora invece, se vuoi gettare benzina sul fuoco, riceverai solo una doccia fredda. « Se vuoi gettare il sasso e nascondere la mano fai pure, ma io non intendo vergognarmi né di me, né di come mi sono comportata con te, perché non credo di averti fatto poi questi grandi torti. » Si stringe nelle spalle ormai rassegnata. « Se l'ho fatto, ti chiedo scusa. » E porgo l'altra guancia. « Ma non accetto che tu mi manchi di rispetto a casa mia, senza avere la più pallida idea di cosa abbiamo passato perché tu potessi avere la possibilità di andare in giro per queste strade con la leggerezza con cui l'hai fatto da quando hai rimesso piede qui. »





    Edited by blue velvet - 3/7/2020, 00:44
     
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    «Io non sono umana, Aidan.» Una non-risposta che fu una risposta. Efficace abbastanza da farlo riflettere su quanto, in effetti, anche il loro aspetto attuale non fosse più così umano. La ascoltò attentamente, con cura. Seguì le mezze frasi, il suo parlare della guerra che combatteva, il suo costruire un’intera reazione su una semplice interpretazione. La sensazione di trovarsi davanti ad una persona che non conosceva derivò in particolare dalle espressioni di arrendevole circostanza, dall’indifferenza generata da risposte a cui un tempo non avrebbe sopravvalutato così, sfruttandole a sua volta come un modo per esplorare il loro rapporto. Il contesto non è dei migliori. Ma non sei l’unica ad aver affrontato l’oscurità. Una consapevolezza prese forma tra i pensieri: ad Inverness non avrebbe trovato Tris. La testa venne invasa da pensieri turbinanti e dannosi, il calore animò il corpo pizzicando la pelle della schiena e del petto.
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    Era lì, sapeva riconoscerlo: l’esatto momento in cui il suo Io più giovane avrebbe perso il controllo iniziando a sparare veleno. Si prese una manciata di secondi per recuperare il controllo. Poi la sua espressività perse ogni velleità di leggerezza, andò perduta ogni volontà di scherzare. Rimasero ad osservarla occhi privi di emozione. Ti senti attaccata, ma io non voglio attaccarti. Non ho più l’energia per affrontare i problemi che non esistono. Dopo una notte insonne ne ho ancora di meno. Un’entità gelida gli scivolo fin nelle viscere. Smise di mangiare e allontanò il piatto. La sua voce scivolò tra le sue labbra in tutta la sua graffiata apatia. «Devo essermi spiegato male… Beatrice. O siamo solo due sconosciuti che si sono illusi di poter fare colazione insieme» Cambiò il modo di chiamarla. Non la guardò nemmeno, convinto che le importasse solo qualcosa che lei – al contrario – attribuiva a lui: avere l’inutile ragione. Trovò interesse in un quadro alle sue spalle. «Visto che ti piace continuiamo… Supponiamo invece che mi sia accaduto qualcosa, che io non abbia scelto proprio nulla. Hai provato a pensarci? Direi di no. “Avrai avuto i tuoi buoni motivi, non dovevi nulla a nessuno”? Non esistono buoni motivi per sparire per anni, è una frase senza senso. Io vi dovevo qualcosa». E no, non ho mai desiderato spezzare il legame che ci legava tutti. Mi faceva stare bene. Sarebbe stato così difficile rispondere così alla domanda, in precedenza? Essere sincero, invece che cercare di tessere una ragnatela in cui farla scivolare per estrarle ancora più informazioni? Aidan sembrava aver sviluppato una cecità selettiva per i percorsi facili, la sua anima avariata disdegnava la tranquillità come un gatto l’acqua, a meno che non venisse messa con le spalle al muro o decidesse, per qualche ragione, di aprirsi. «Non mi aspettavo che mi saltassi al collo, ma nemmeno la freddezza che ho ricevuto. Non sei stata sorpresa, non sei stata curiosa; qualcuno che poteva essere morto è riapparso dal nulla e non te n’è fregato un cazzo. Ecco il mio unico problema» Malia e Dean al confronto avevano fatti i salti di gioia. La sua distanza era così seccante, così comprensibile visti i loro trascorsi. Una dualità insopportabile. «E oggi, prima ancora di avere il tempo di ascoltare e di farti un'idea, hai avuto l'urgenza di fare battute sul lavarsene le mani» Sospirò, decidendo di spostare di nuovo gli occhi sulla sua figura. «D'accordo, dopo ieri credevo il clima si fosse ammorbidito... Invece avevo frainteso: rispondendo in modo simile ho dovuto beccarmi la lezioncina sul rispetto. Da te che hai fatto la stessa cosa? Quanto ti prendi sul serio?» Scosse un po’ il capo. «Se pensi che io sia venuto qui a fare una recita in memoria dei vecchi tempi sei davvero fuori strada. O forse sei così impegnata a mostrarmi questa nuova te, adulta e distante e piena di espressioni di circostanza, da aver perso la voglia di rispedire al mittente qualche frecciatina con il poco peso che si merita. Il che è ancora peggio.» Non le nascose il suo disaccordo. Ma il suo tono di voce non si arricchì delle scintille che abitavano le discussioni di un tempo. Avendo fatto tutta quella strada, aveva solo deciso di dirle ciò che pensava. «Non ti ho mai accusata per non avermi cercato. Non mi sconvolge che tu abbia avuto altro da fare. Smettila di mettermi in bocca pensieri tuoi e, gentilmente, anche di definire i Lycan “miei fratelli”.» Siglò. Era una parola che non voleva sentire, tanto meno ad Inverness. Lo stray dog dei cacciatori giapponesi suonava sempre più profetico. La confessione di Tris sul loro rapporto dell’epoca non non fu sorprendente, ma nemmeno lo lasciò indifferente. Espressi ad alta voce quegli echi del passato rievocavano una strana sensazione, così come la consapevolezza di essere stato aspettato. «L'aveva capito ognuno dei quadri parlanti, dei muri e delle scale: giocavamo al cane e al gatto, ma avevamo occhi solo l'uno per l'altra ad un livello ridicolo. Serviva dirlo? Non voglio nascondere proprio nessuna mano: è da quando sono qui che ti tiro sassi addosso e con le mani bene in vista.» Seppur con la diplomazia di un drago, ogni azione dal suo arrivo era stata rivolta al cercare un contatto con lei. Joyce era ancora ermetico, imprevedibile, deleterio. Ma non più in vena di rinnegare l’evidenza. «Quindi fammi il favore di non avere una così bassa considerazione di te e di me da pensare di aver fatto tutto da sola, al castello, mentre io aspettavo sul trono. Che grande cazzata... Cotta o non cotta, Beatrice, non sei la tipa che insegue senza ricevere nulla e lo sai meglio di me. Sottona» Lo ripeté per soppesare meglio la follia comica della parola. Soltanto allora, ebbe la capacità di riguadagnare un minimo di espressività, un po’ di colore nella voce. Ma continuò ad ostinarsi a non chiamarla Tris. «Sapere di un tuo tentativo di cercami mi avrebbe fatto piacere? Sì. Ma finisce qui. Anche perché non mi avresti trovato». Come io non avrei saputo trovare me stesso. Anche se lei avesse potuto fare qualcosa per riportarlo indietro, non gli interessava. Non avrebbe voluto sobbarcarle mai più il compito di essere salvato. Silenzio. «Per quello che vale… mentre il mondo cadeva a pezzi avrei voluto essere con te.» Lo pronunciò con lentezza, lo avvertì con chiarezza. Allo stesso modo seppe quanto consegnarle ciò che stava per consegnarle l’avesse reso più irrequieto del solito fin dal giorno precedente. Siglava la rottura di ciò aveva sempre disprezzato, di uno dei principali motivi dei loro litigi, ma anche di ciò che era stato un porto sicuro. Un filo che non si sarebbe spezzato qualsiasi parola si fossero detti o azione avessero compiuto. Si alzò in piedi. Le poche ore trascorse tra quelle mura gli avevano reso evidente di non essere adatto a vivere lì. Si conosceva. Per la situazione attuale, non avrebbe saputo offrire da bere alle guardie senza che il suo veleno creasse altri malumori; non avrebbe saputo accettare di guardare la magione dei Morgenstern come un estraneo per colei che la abitava; non avrebbe sopportato di vivere tra le mura dei Redmoon. Il meccanismo era mutato, e nella nuova configurazione il suo ingranaggio, affilato e pesante, non aveva più collocazione. «Questa città non ha nulla da offrirmi, io non ho nulla da offrirle.» Parve pensarlo davvero, avvolto da quella nuova lucidità che ogni tanto prendeva piede. «E tu, mi dai solo l’impressione di avere di meglio da fare». Estrasse dal cappotto una lettera. «Va bene così». Abbassò gli occhi sulla carta bianca e nuda della busta. Tentennò in modo evidente, come preda di una lotta interiore, poi la tirò dalla parte opposta del tavolo, facendola scivolare in rotazione lungo la superficie di legno. E ora, sei libera dall’ultimo filamento di passato che ti legava a me. Avvertì un senso di smarrimento guizzante, immotivato dopo la lunga separazione, e che l’orgoglio afferrò con prontezza prima di stritolare sotto la sua morsa letale. Si mosse verso l’uscita dalla sala. La sua espressione, mentre le dava le spalle, rimase ignota. «Se ti venisse voglia di risponderle, non perdere tempo. La vecchia generazione si è fatta da parte». Siamo ragazzini abbandonati a noi stessi. Non commentò le due pagine riempite con una calligrafia elegante e nera. E che, non era necessario dirlo, aveva già letto. Erano separate, diverse abbastanza da suggerire fossero state scritte in due momenti differenti. Perché non le hai distrutte o tenute nascoste, Joyce? Continuò a camminare e se ne andò.




    Beatrice,

    Era facile governare il conclave per la mia generazione, facile per quelli che ci hanno preceduti. Bisognava occuparsi soltanto di spiarsi a vicenda, far fiorire i nuovi germogli, e gestire un meccanismo oliato da secoli.
    Tu vieni chiamata ad un compito di notevole differenza: ricostruire le fondamenta di una specie che ha riscoperto se stessa danzando sulla complessa linea di confine tra autoaffermazione e comunità magica. Da sola, troppo giovane per avere esperienza, ricoperta di sangue e minacciata da coloro che vedono un limite nel tuo essere una ragazza.
    In misura minore ho vissuto le stesse sensazioni. E per questo ti consegno alcune, semplici parole: decidi, affronta le conseguenze, non voltarti indietro e allo stesso tempo non temere il senso di colpa. Senza rimorso non siamo altro che animali. E la nostra sensibilità deve diventare un vantaggio.
    In questo terreno inesplorato non esisteranno mosse giuste o sbagliate a priori. Procedi un passo alla volta. Abbandona il peso del confronto con tuo padre e dei tuoi antenati.

    Ti scrivo da un letto.
    Vorrei che fosse lui a portarti questa lettera, ma non ho la certezza che vorrà mai tornare in questo luogo.
    Ho sempre visto in te una versione più giovane di me. Pensavo che imporvi un legame con l'autorità potesse risanare il conclave dal complotto dei Redmoon. Mai come ora comprendo di essere stata egoista, sciocca e insensibile. Forse vi sareste incontrati anche senza un destino intrecciato e le cose sarebbero andate in modo diverso per tutti. O forse, avrei potuto fermare il conflitto in un altro modo.
    Ormai è solamente una formalità –che avrai già dato per scontata per via del nostro esilio– eppure è necessaria: considera risolta la promessa siglata da me e da Richard Morgenstern. Nessun Redmoon avrà facoltà di esigere il rispetto del patto secondo la tradizione.
    Il futuro ti appartiene.

    Con affetto,
    Elisewin Redmoon.




    Edited by The Disaster Artist - 4/7/2020, 15:12
     
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