C'mon, show me what you've got

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    «E ricordate,» incalzò l’occhialuto assistente che quel giorno sostituiva il professore, «è il potere del mago a rendere un quadro ciò che è. Più questo sarà grande, più forte sarà la magia insita nel quadro stesso. È un concetto piuttosto semplice. Sono gli incantesimi che il mago pronuncia una volta terminata la tela, a permettere ai soggetti del dipinto di muoversi, di parlare e di spostarsi. Tuttavia,» fece una pausa, in cui abbracciò con lo sguardo l’intera aula, per poi sistemarsi meglio gli occhiali sul naso, «in alcuni casi il livello di interazione con lo spettatore, il modo in cui il soggetto ritratto comunica con esso, deve molto, se non tutto, al potere del mago o della strega rappresentati. Basta prendere ad esempio i quadri dei precedenti Presidi di Hogwarts.» Aleksej sollevò gli occhi dagli appunti che stava prendendo, indirizzando uno sguardo interessato verso l’assistente. Aveva sempre amato quei quadri, tutti i quadri di Hogwarts in verità, ma quelli dell’ufficio del Preside in particolare. «Ma quelli sono solitamente un’eccezione alla regola, essendo creati per consigliare e aiutare il direttore in carica. Generalmente, è la visione e la conoscenza soggettiva dell’artista riguardo questo o quel soggetto, a determinarne la resa finale. Ed è per questo che per i vostri progetti dovrete rappresentare delle persone reali. Così da poter valutare non solo la resa dei vostri incantesimi, ma quanto sarete in grado di mettere del vostro nella tela che presenterete.» L’ex-Tassorosso arricciò il naso. Non aveva ancora trovato un soggetto per quel compito per il quale era evidentemente terribilmente indietro. Tutto ciò che aveva fatto fino a quel momento era stato leggicchiare qui e lì qualche informazione, ma il tempo iniziava a stringere e lui non aveva ancora nulla tra le mani. «Per oggi è tutto, andate pure.» Un rumore di sedie spostate seguì quelle parole, assieme ad un chiacchiericcio sommesso e allegro che invase l’aula. Aleksej raccolse le sue cose, infilandole alla bell’e meglio dentro lo zaino, per poi caricarselo su di una spalla. «Ehi, vieni a mangiare qualcosa con noi?» Si voltò, incrociando lo sguardo di Tayler Locke e dei suoi amici. Una combriccola piuttosto piacevole, a cui si univa volentieri tutte le volte che ne aveva l’occasione, ma quel giorno non era una di quelle. «Grazie, ma ho già un impegno. Magari la prossima volta.» Vide Tayler mettere su un sorrisetto allusivo e sciabolare le sopracciglia con fare ridicolo, ma anche divertente. «Un appuntamento?» Chiese, occhieggiandolo con fare compiaciuto. Aleksej sbuffò una mezza risata, sistemandosi meglio lo zaino sulla spalla. «Esatto, ma non come lo intendi tu. Ora devo andare, ci si vede, ok?» Sollevò la mano per indirizzare loro un cenno di saluto, ma questo non bastò a frenare bisbigli e risatine che lo seguirono anche mentre imboccava la porta dell’aula. «Fatti onore, Zaytsev!»


    Non aveva mentito a Tayler. Era vero che si trattava di un appuntamento, ma decisamente non di quel tipo. Lui e Leena avevano iniziato a vedersi regolarmente per condividere quella comune passione, dopo quei likes scambiati alle foto dell’una o dell’altro. Era iniziata così, quasi come un gioco, dopo aver parlato un po’ e compreso il comune interesse per la fotografia. Aleksej aveva riconosciuto subito il grande talento della ragazza e non era riuscito a farsi gli affari suoi, quando lei gli aveva fatto capire di non considerare quel suo hobby come molto di più. Anzi, di non considerarsi poi così brava, addirittura. E questo aveva fatto scattare qualcosa, nella testa del ragazzo, qualcosa sulla linea del ‘’se non riesci a vedere da sola quanto sei brava, ci penserò io ’’. Represso istinto da cheerleader, o qualcosa del genere. La verità era che non ce la faceva a starsene con le mani in mano quando qualcuno con tante potenzialità si sminuiva a quel modo, e lui sapeva, ne era certo, che Leena avrebbe potuto fare molto di più con la sua passione per la fotografia. Le serviva solo una piccola spinta. Quindi aveva deciso di intervenire, a modo suo, per la precisione sfidandola a dare il meglio di sé in una bonaria competizione tra fotografi. Se non ricordava male, era iniziata con un suo commento ad una sua foto, in cui le faceva i complimenti, ma le diceva che avrebbe dovuto osare di più, perché quell’effetto di luce/ombra avrebbe reso senza dubbio meglio se avesse usato diverse impostazioni. E poi quella piccola sfida a chi avrebbe fatto la migliore foto-ritratto in bianco e nero. Andava avanti da allora, con un tema scelto di settimana in settimana e quegli incontri in cui confrontavano le proprie foto, scegliendo a vicenda la migliore tra quelle dell’altro, dando consigli e suggerimenti, critiche e amichevoli provocazioni. Quella settimana era toccato a ‘’la pioggia’’, e lo aveva scelto lui, il che significava che ora stava a lei scegliere il prossimo tema.
    In ogni caso, era in ritardo, come al solito. Percorse la strada che lo avrebbe condotto al castello praticamente corredo, con dei sacchetti di carta sottobraccio e lo zaino che gli ballonzolava sulla schiena. Si fermò solo quando fu davanti alla ragazza che già lo aspettava. Le aveva chiesto di incontrarsi in uno dei corridoi del terzo piano, semplicemente perché i quadri che lo popolavano lo rendevano uno dei suoi preferiti e anche perché era relativamente tranquillo, soprattutto a quell’ora. «Sono in ritardo, lo so, mi dispiace.» Affannato, Aleksej si chinò appena per riprendere fiato, ma poi afferrò i sacchetti di carta e li sventolò davanti alla faccia di lei. «Ho portato qualcosa per farmi perdonare però.» Affermò, con un ampio e vivace sorriso sul volto, di quelli che rendevano difficile il poter essere arrabbiati o il tenere il broncio per i suoi immancabili ritardi. «Qualcosa per cui mi adorerai.» Quel qualcosa, per l’esattezza, era il pranzo. Dritto dritto dalle cucine dei Tre manici di scopa. Si lasciò cadere sul davanzale di pietra di una delle grandi finestre, poggiando lo zaino a terra e passandole uno dei due sacchetti in cui c’era un enorme panino, patatine al formaggio e una bottiglia piccola di coca cola. Ormai si frequentavano abbastanza da sapere della sua predilezione per il cibo spazzatura, che il ragazzo assecondava più che volentieri. «Allora, che ne dici? Perdonato?» Le indirizzò un piccolo sguardo pestifero, per poi tirare fuori dal sacchetto il proprio panino e addentarlo con davvero poca grazia. In poche parole, prima si mangia, poi si parla di fotografia. Chiuse gli occhi e sul suo volto si dipinse un’espressione estasiata. «Che meraviglia. Avevo una fame che non immagini, non metto qualcosa sotto i denti più o meno da quattro ore Dal modo in cui lo disse, sembrava stesse parlando di giorni. «Oh e spero non sia un problema se ti ho chiesto di vederci qui. Mi sono sempre piaciuti questi quadri. E inoltre, se resto nei paraggi della biblioteca magari avrò meno scuse da accampare quando dopo dovrò mettermi a fare ricerche. Se non trovo qualcosa di utile nemmeno qui, posso direttamente buttarmi dalla torre di astronomia.» Sbuffò, più in maniera teatrale che altro, mentre con gli occhi seguiva la danza di tre fanciulle in uno dei quadri che aveva di fronte. Si portò il pollice alla bocca, leccando via la salsa sfuggita al panino. «Allora, come è andato il tema della settimana? Hai fatto delle buone foto?» Le chiese, indirizzandole un’occhiata curiosa e divertita al tempo stesso, che però si affievolì appena, quando ricordò le disposizioni ministeriali in merito alla tecnologia. «Questa storia dei social è una gran bella rottura. Non che mi dispiaccia tornare a stamparle e a tenerle dentro qualche album, a dir la verità l’ho sempre preferito, ma postarle online era decisamente più facile e veloce, e permetteva una maggiore comunicazione. Se non ci fossero stati i social noi non ci saremmo mai conosciuti. Questo divieto è-,» fece una pausa, durante la quale le labbra si piegarono in una piccola smorfia contrariata, ma subito dopo sembrò sgonfiarsi in un sospiro, per poi scuotere la testa, «è assurdo. E contro la libertà personale. Comprendo le sue premesse e motivazioni, ma non è con divieti e limitazioni che si risolvono i problemi.» Semmai, era esattamente il modo per crearne.
     
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