Memento III - Bromance

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    Joyce sta leggendo un’interessante - ma soltanto per lui - disamina su quali ingredienti, in una pozione, siano i più adatti ad amplificare le proprietà di specifici veleni. Davanti a lui si trova un piccolo calderone sopra un fuoco acceso, nel quale bolle una sostanza nerastra e poco invitante. Con la sinistra è intento a mescolare in maniera distratta il liquido con un mestolo, con l’altra si appoggia al banco di una delle aule secondarie dei sotterranei. Gli occhi scorrono tra le righe di un piccolo libro. C’è un Grifondoro, poco distante da lui, dedito a fare tutt’altro e a pensare a tutt’altro. Non è uno degli esaltati che Aidan appenderebbe alla lancia di un gargoyle: nonostante sia figlio di Godric, ha saputo avvicinarsi a lui più della quasi totalità dei Serpeverde e rappresenta una delle rare persone in grado di sopportare la sua essenza lunatica. Dean Moses. «Stavo pensando che si avvicina San Valentino e siamo soli come un cane. Cioè, non che voglia mettere su famiglia, sia chiaro, però una ragazza con cui uscire non mi farebbe male. Cioè, anche solo per non fare la figura del pollo quando il quattordici Febbraio la scuola sarà invasa da coppie» segue un silenzio meditativo. «Magari potrei corromperne una solo per quel giorno, non credi?» La parole dell’amico impiegano diversi secondi ad essere afferrate: gli uomini non sono in grado di prestare attenzione a più di una cosa alla volta, lo sanno tutti. Il mestolo ruota un altro paio di volte, poi la risposta arriva e il cacciatore si volta ad osservare l’alleato. «Trovane una che ti piace, chiedile di uscire» dritto al punto, nemico dei giri di parole. Debole al fascino femminile e poco incline a precludersi una qualsiasi conoscenza, il nostro non ha particolare interesse nel non farsi vedere da solo nel giorno degli innamorati. Al contrario l’idea di non dover regalare nulla a nessuno e poter passare la giornata in qualsiasi modo desideri gli trasmette un particolare senso di libertà. Ma, se volesse muoversi in tal senso, seguirebbe la semplice linea del proprio consiglio. Dean riflette e annuisce tra sé. «Non sei stupido, Joyce, lo riconosco. Con il tuo cervello e il mio fiuto per gli stupefacenti potremmo tranquillamente trasferirci in Messico e mettere giù un giro di droga che, te lo dico, saranno le ragazze per prime a buttarsi ai nostri piedi!» Aidan non ha ben chiaro cosa, all’interno della sua breve frase, abbia confermato la propria intelligenza. Ma ha imparato da tempo, per una sana e spensierata convivenza con mister Moses, a non porsi più domande del dovuto. Il resto della frase, in ogni caso, ha generato in lui una spontanea risata. «Non ne dubito. Magari ne riparleremo un’altra volta…» conclude, prima di tornare a concentrarsi su pozione e manoscritti. Il futuro, probabilmente intento a ridere sotto i baffi mentre li ascolta, avrà in serbo qualcosa di molto differente per entrambi.

    *



    Il polo universitario di Hogsmeade si aprì davanti ai suoi occhi. Un luogo alieno che non aveva mai avuto occasione di esplorare. Era spontaneo domandarsi quanto la conoscenza magica sapesse spingersi in profondità da quelle parti. Forse persino uno come lui, fin da Hogwarts poco collaborativo nelle materie reputate di scarso interesse e invece pronto ad assorbire tutto il possibile da quelle apprezzate, avrebbe potuto trovare un suo percorso. Qualcosa riguardante le pozioni, la storia, le creature magiche che cacciava. Ma ciò che contava in quel frangente riguardava il filo sottile che, una volta tornato nel Regno Unito, aveva seguito per ritrovare le tracce di Moses spingendosi fino a lì. Non era del tutto convinto che fosse la strada giusta, considerato il soggetto in questione; se ad Hogwarts entrambi non avevano avuto molta scelta, la sfera universitaria richiedeva la precisa volontà di prolungare gli anni dedicati all’apprendimento attraverso libri persino più massicci. Certo, all’interno di un sistema come il College esisteva anche una forte componente sociale che, per quanto ne sapeva, poteva esser stata determinante nella scelta dell’amico. O magari Dean aveva sempre covato, in realtà, un acerbo interesse per la conoscenza poi maturato negli anni a seguire. O ancora, l’intera pista avrebbe potuto rivelarsi un falso. Infine il punto era proprio questo: cosa ne sapeva, lui? Sparito nel nulla dopo un breve messaggio che non conteneva nulla di concreto, divorato dagli abissi della propria natura e dalle conseguenze della proprie azioni. Non sapeva assolutamente nulla di colui che un tempo aveva considerato non diverso da un fratello acquisito, pur senza mai arrivare a confessargli i segreti più profondi né richiederne in cambio. Dean Moses.
    Una ragazza affermò di ricordarsi quel nome e gli suggerì di guardare tra le aule legate agli studi di Lingue e Culture Magiche. Luogo che trovò semi-deserto e privo di lezioni, mettendosi fin da subito in testa di smetterla di perder tempo e trovare un altoparlante tramite cui chiedere direttamente a Dean di saltare fuori. Non fu necessario: come ad Hogwarts, il nome dell’amico non era tra quelli che passavano inosservati. Probabilmente avrebbe ricevuto delle informazioni anche se le avesse domandate ai muri della struttura, un tipico caso de “se solo i muri potessero parlare”. Inoltre c’era qualcosa di ipnotico nel camminare in quell’ambiente così diverso da lui. Tutto dai volti all’abbigliamento altrui generava la brezza spensierata di un’esistenza ancora in bilico tra la protezione accademica e la vita nel mondo. Anche i volti più preoccupati e i corpi più contorti dall’ansia non si spingevano a raggiungere la vera disperazione. Ma non solo, condividevano una storia che li univa e a cui lui non aveva preso parte. Muovendosi in mezzo a loro, ricomparso dal nulla, aveva l’impressione di venire da un universo parallelo. Le esperienze vissute, le azioni compiute, le scelte da prendere e gli abiti scuri con cui copriva le cicatrici, ogni cosa contribuiva a farlo sentire fuori contesto, un lupo selvatico gettato nel mezzo di un allevamento domestico. Si trattava di una situazione ben diversa da quella provata nel periodo di Hogwarts: lì sentiva di essere un lupo in mezzo ad un branco di pecore, in diritto di fare qualsiasi cosa desiderasse. Era entrato in quella struttura fin nelle sue fondamenta, si era divertito, l’aveva dominata.
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    Ora, mutato dalla concretezza gelida del mondo esterno, non riusciva a scorgere nel College quelle stesse possibilità. Gli sembrava d’essere immerso in una fiaba, qualcosa da cui prima o poi tutti gli studenti si sarebbero risvegliati. In entrambi i casi appariva evidente la centralità con cui interpretava la sua presenza nel mondo, una realtà rimasta costante nel tempo. Principi di solipsismo.
    Si accorse di essersi spinto fino al Parco della Liberazione, poco distante da un’altra studentessa. Quando le chiese di Moses, questa si limitò ad alzare il braccio e indicargli uno specifico punto senza nemmeno alzare gli occhi dal volume massiccio che stringeva tra le mani. Joyce seguì la traccia con lo sguardo e la sagoma dell’americano entrò nel suo campo visivo, migliorandogli di colpo l’umore. Se ne stava seduto ad un tavolino di legno con due panche, una triade bloccata in un’unica struttura. Leggeva qualcosa all’aria aperta, prendeva degli appunti. Un sorrisetto curvò le labbra del Lycan. Non gli sembrava cambiato molto in quegli anni, e la stessa cosa avrebbe potuto dire di sé stesso, anche se nella realtà la maturità doveva aver mutato i loro tratti. Avanzò fino a raggiungerlo, rimase in piedi. «Quando mi hanno detto che ti avrei trovato in questo Campus ero convinto che mi stessero prendendo in giro» si annuncia, volgare come allora, continua ad osservarlo. Ciao Dean, sono vivo? Quanto tempo che non ci vediamo, ti trovo in forma? Hai dell’erba? Scusa se mi sono smaterializzato fuori dalla tua esistenza da un giorno all’altro? Sarebbero state frasi normali -in realtà solo l’ultima- proprio per questo non gli passarono nemmeno per l’anticamera del cervello. Il peggio era che questo suo modo di ricomparire dal nulla non era parte di un grande piano per un entrata in scena ad effetto, quanto piuttosto il frutto di una tendenza alla provocazione ormai totalizzante. «Eppure sei qui, sufficientemente identico al Dean che conoscevo, intento a studiare senza che nessuno ti stia puntando contro una bacchetta» probabilmente, un tempo, una delle poche cose che sarebbe stata in grado di motivarli. «Qual è il trucco?» disse incuriosito. Non riuscì ad essere troppo serio, nonostante tutto. Mantenne il vago sorriso. La possibilità di rivolgergli di nuovo la parola prevaleva sulle dinamiche della scomparsa, sulla distanza - non solo geografica - che gli anni sapevano generare tra due individui. E nessuno avrebbe trovato troppo strano se il giovane Moses, trovandosi d’improvviso davanti quella figura, si fosse convinto di essere davanti ad una proiezione della sua mente, una sorta di distrazione offerta dalla stessa per cinque minuti di meritata pausa. Il fantasma (in ritardo) di un San Valentino passato
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    Edited by The Disaster Artist - 26/2/2020, 12:27
     
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    Nella vita di Dean Moses sembrava ormai essersi definita una costante ineludibile: vedere la gente intorno a sé uscire completamente fuori di testa. Quando il club di teatro aveva organizzato la festa di Capodanno, l'ex Grifondoro aveva sparso il verbo come al suo solito, promettendo agli amici grandi avventure e sorprese indimenticabili se avessero presenziato a quella cena sulla quale lui per primo aveva lavorato con grande dedizione. Inutile dire che, nel ritrovarsi di fronte a una sala completamente vuota, c'era rimasto decisamente male. Aveva provato a chiamarli per ore senza ricevere risposta alcuna, ritrovandosi persino a piantonare l'ufficio Auror dalle sei del mattino del primo Gennaio. Sulle prime, lo avevano guardato con compassione, trovando le perifrasi più sottili per dirgli che, probabilmente, i suoi amici gli avevano solo dato buca per fare qualcos'altro. Ma Dean non ci credeva. E se anche fosse (cosa che comunque riteneva poco plausibile), non si spiegava il motivo per cui nessuno, a parte gli organizzatori, si fosse presentato all'evento: la gente aveva cominciato a iscriversi con largo anticipo, prenotandosi come se si trattasse di un concerto dei Queen per la speciale resurrezione di Freddie Mercury. Che qualche defezione avvenisse, era calcolato - ma fino a questo punto? Solo dal giorno successivo, il suo allarme era stato finalmente accolto, mobilitando le forze del Ministero che presto avevano tracciato i movimenti dei suoi compagni fino alla Germania. Da lì, era successo tutto troppo velocemente per lasciare a Dean il tempo di capire cosa fosse avvenuto. Sapeva solo che in tutto quel circo, Eric Donovan aveva perso la vita e i suoi amici erano stati messi sotto interrogatorio. Malia, Tris, Sam, Fawn - tutti quanti, dal primo all'ultimo, erano stati sballottolati da una parte all'altra dei due Ministeri nel tentativo di ricostruire gli eventi di quella notte. Le versioni erano tutte identiche, ma i dettagli da loro riportati sembravano del tutto inesistenti. Non erano stati in pochi ad ipotizzare che i ragazzi avessero mentito per coprire chissà cosa, ma il giovane Moses era dotato di quello speciale tipo di lealtà che lo portava a credere sulla fiducia a qualsiasi cosa quelle persone dicessero. Anche perché era certo che, seppur avessero mentito, lui sarebbe stato comunque tra i primi a venire a conoscenza della verità.
    I giorni erano passati e, paradossalmente, tutto era tornato alla normalità. Anche a dispetto degli stringenti criteri ministeriali, il campus sembrava aver cominciato ad ignorare quella ferita a cuore aperto, quel mistero sul quale si era spettegolato per qualche giorno prima di metterlo nel dimenticatoio. La sessione invernale era arrivata, e con sé aveva portato altri problemi, altre cose di cui parlare. Gli accadimenti di Capodanno erano velocemente passati in secondo piano, vivendo ormai soltanto nella memoria di chi li aveva vissuti, o sulle labbra di pochissimi studenti. Gli argomenti del giorno erano diventati presto la Wiznet, gli esami, San Valentino, il Coronavirus dei giornali babbani e così via. Di quel treno fantasma ci si era dimenticati piuttosto alla svelta. Lo spettacolo doveva continuare.
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    Come sempre durante la sessione, le aule studio erano sature di studenti in preda al panico per gli appelli che incombevano su di loro. Per prendere un posto dovevi come minimo accamparti in nottata, imponendoti sin dall'apertura senza poi più schiodarti di lì - o quantomeno, lasciando un guardiano pronto ad incenerire chiunque osasse spostare i tuoi libri da una postazione. Dean non era mai stato un tipo mattiniero, e la sua routine quotidiana consisteva nell'alzarsi verso le dieci, facendosi il pellegrinaggio di tutte le aule studio del campus solo per bestemmiare ogni volta che le trovava piene (ovvero sempre). Così, anche a dispetto del freddo un po' pungente, si era sistemato su uno dei tavolini del parco: libro e quaderno aperti e un bel bibitone di caffè americano preso da Starbucks. Fondamenti di letteratura babbana era un esame che indubbiamente stuzzicava le sue corde nella migliore delle maniere: era il suo elemento, e per quanto potesse sembrare divertente il solo pensiero, in quella materia era decisamente il primo della classe. Da questo punto di vista, il suo libretto stellare aveva di certo dimostrato ciò di cui andava parlando da sempre: che lui l'impegno era sempre disposto a mettercelo nelle cose..a patto che fossero nella sua sfera di interesse e che non gli si stesse troppo col fiato sul collo. « Quando mi hanno detto che ti avrei trovato in questo Campus ero convinto che mi stessero prendendo in giro. » Fosse stata una voce diversa, Dean l'avrebbe ignorata - troppo concentrato sul suo libro e convinto che chiunque fosse, probabilmente non era a lui che si stava rivolgendo, non si sarebbe nemmeno disturbato ad alzare gli occhi dalle pagine. Però lui, quella voce, la conosceva eccome. La conosceva sin troppo per confonderla con una qualsiasi. Sollevò lo sguardo, sgranando le iridi cerulee come se avesse visto chissà cosa. « Sogno o son desto? » citò, portandosi drammaticamente una mano al petto mentre gli angoli delle sue labbra si incurvavano in un sorriso che tradiva l'intento di quelle parole. « Eppure sei qui, sufficientemente identico al Dean che conoscevo, intento a studiare senza che nessuno ti stia puntando contro una bacchetta. Qual è il trucco? » Rimase in silenzio per qualche istante, osservando l'amico come stesse cercando di decretare se fosse davvero lì oppure no. « Aidan Joyce che compare di fronte ai miei occhi come il fantasma del defunto re di Danimarca. » disse, chiudendo il libro e appoggiando meglio la schiena contro il legno della panchina. Scandì ogni parola sull'orlo di quel suo sorriso sornione che da sempre lo connotava. « Stai per caso cercando di rivelarmi il tuo assassino per lanciarmi in una quest di vendetta personale? » Sollevò un sopracciglio per sottolineare quella domanda, solo per poi scoppiare in una di quelle sue belle risate fragorose che venivano dal cuore, alzandosi in piedi e assestando una fragorosa pacca sulla schiena all'amico. « Joyce, Joyce, Joyce..è proprio vero che l'erba cattiva non muore mai, eh! Lo vedi? Te ne sei andato e io sono diventato uno studente modello. Non fosse che ho preso il diploma per il rotto della cuffia direi che eri tu la cattiva influenza nella mia vita. » Gli rivolse un occhiolino giocoso, facendogli cenno col capo di mettersi a sedere su uno dei posti vuoti intorno al tavolo. Aidan era stato a lungo il suo migliore amico, il compagno di scorribande col quale aveva avuto modo di stringere tutte le amicizie che anche adesso erano parte integrante della sua vita. Beh, tranne Sam. Sam era arrivato dopo, quasi provvidenzialmente. Però quel cipiglio caustico del giovane Joyce gli era indubbiamente mancato, creando un vuoto nei suoi affetti che non aveva mai davvero sostituito. Si mise a sedere, battendo le mani in un colpo solo, come un'incitazione. « Beh, allora? Che sono questi ritorni da redivivo? Cazzo, Aidan, se non mi racconti pure i peli del culo di tutti questi anni dovrò trarre la conclusione che per te ero solo una botta e via. Dai, dimmi tutto. Hai messo incinta qualche squinzia e sei scappato in Messico? Infame, potevi coinvolgermi. Lo sai che quello era il mio di sogno. » Dean Moses: passano gli anni, passano i traumi, ma rimane sempre lo stesso.


     
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    «Sogno o son desto?». Mentre studiava la reazione dello storico amico, si scoprì a domandarsi quale sarebbe stata la sua reazione se le parti fossero state inverse. Forse non avrebbe sgranato gli occhi -l’espressività, a patto che non riguardasse il suo famoso muso lungo, non era mai stata il suo forte- ma per il restò immaginò che si sarebbe comportato in modo simile, ricorrendo alle infinite risorse offerte dal sarcasmo e dell’ironia. Dean aggiunse agli ingredienti una dose di teatralità che il Lycan trovò di grande intrattenimento. Sincronizzò il proprio silenzio con quello altrui e si sottopose alla sua ispezione visiva. Allargò un po’ le braccia come a voler rispondere alla domanda che non era stata fatta. Non so per quanto ancora, ma sono vivo.«Aidan Joyce che compare di fronte ai miei occhi come il fantasma del defunto re di Danimarca.» Il riferimento non trovò terreno fertile tra gli scompartimenti della sua memoria. Era cresciuto a metà tra il mondo purosangue del padre e l’eredità da cacciatrice della madre, dunque grandi opere babbane come l’Amleto non avevano avuto modo di entrare nei suoi radar. Suo malgrado, sarebbe da aggiungere, considerato che nella capacità di Shakespeare di penetrare e svelare l’animo umano avrebbe trovato oggetto di grande interesse. «Stai per caso cercando di rivelarmi il tuo assassino per lanciarmi in una quest di vendetta personale?» Sarebbe stato improbabile: un eventuale fantasma di Joyce, per l’irrequietezza che lo animava, non avrebbe mai potuto presentarsi in una forma tanto umana. Sarebbe stato un’essenza demoniaca intenta a flagellarsi nel tentativo di rubare qualcosa ai vivi. Le esistenza dannate hanno violenta fine. «La porteresti avanti, una quest del genere?» domandò stando al gioco, mentre Moses spezzava le distanze con del contatto fisico. Con un vago sorriso, Aidan gli afferrò una spalla e poi lo spinse via applicando una leggera pressione. Una eventuale quest per la sua redenzione nell’aldilà avrebbe riguardato, più che una vendetta, una serie di buone azioni nei confronti di coloro che Joyce aveva maltrattato negli anni. Una missione decisamente lunga, che tuttavia avrebbe calzato meglio i panni di Dean.
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    Il linguista immerso nelle culture moderne. Per quanto ai tempi di Hogwarts non aveva mai abbandonato il nostro quando si era ritrovato a scatenare risse e duelli magici, la violenza non gli era mai appartenuta davvero. E forse tale divergenza era una delle cose li aveva avvicinati: due colori rendono un quadro più ricco rispetto ad uno solo. «Io ero la tua influenza negativa» confermò con convinzione. «Hai solo impiegato più del previsto a liberarti della mia firma. Sono orgoglioso di te». Scambio di battute escluso, una parte di lui lo credeva davvero e pensava la stessa cosa dell’influenza dell’altro sulla sua carriera scolastica. Si erano dati a vicenda molte cose in quegli anni, ma raramente un esempio positivo in ambito di impegno accademico. Sedette al tavolo in uno dei posti frontali rispetto al compagno. Non voleva perdere occasione di osservarlo dritto negli occhi. Concentrato a catturare la sua voce, allungò la mano sinistra -che sotto la luce dell’esterno mostrò una cronologia di piccoli tagli e perforazioni cicatrizzati- verso il libro e lo fece scivolare verso di sé, aprendolo infilando l’indice e medio alla sua metà. Ne lesse il titolo e qualche riga in maniera distratta, poi tornò a dedicarsi all’amico. «Beh, allora? Che sono questi ritorni da redivivo? Cazzo, Aidan, se non mi racconti pure i peli del culo di tutti questi anni dovrò trarre la conclusione che per te ero solo una botta e via. Dai, dimmi tutto. Hai messo incinta qualche squinzia e sei scappato in Messico? Infame, potevi coinvolgermi. Lo sai che quello era il mio di sogno.» Scoppiò in una risata spontanea intorno alla metà della frase. Come ho fatto a sopravvivere tutti questi anni senza un idiota del genere? Avrebbe dovuto domandarselo concretamente. Richiuse il volume e lo restituì al proprietario, concedendosi quel tempo per riordinare i pensieri. Aveva ragione: gli doveva qualche risposta. «La verità è che eri l’esatto opposto di una botta e via. Mi sono innamorato di te e ho dovuto allontanarmi prima di fare danni». Era rinomata, in quel di Hogwarts, la sua scarsa capacità di gestire i legami. Lo disse con tono serio e occhi poco seri. Quando anche questi ultimi persero le tonalità del gioco, fu palese l’inizio del vero racconto. «Non aspettarti nulla di entusiasmante» anticipò. «Quando a metà del settimo ti ho lasciato quel messaggio, ero venuto a sapere di una malattia che aveva colpito mia madre. Ero confuso: l’avevo sempre considerata dotata di una forza incredibile, in grado di reggere sulle sue esili spalle il peso di una complicata famiglia. Una figura invincibile.» Ricordava la precisa sensazione provata la prima volta che l'aveva vista combattere durante un addestramento: c'era del disumano in quei movimenti. Non si era mai aperto molto con l’amico circa le proprie origini, ma quel poco era bastato a fargli sapere di fare parte di una stirpe secolare di cacciatori di creature. «Non fui in grado di accettare la notizia. Mi convinsi che fosse uno scherzo di pessimo gusto, ma l’impellenza di trovarne l’autore e staccargli la testa mi portò a scappare dal castello alla prima occasione e fare ciò che ero stato addestrato a fare: muovermi tra le ombre senza lasciare tracce. Arrivai così nel villaggio magico Norvegese che da alcuni anni era sede dei Redmoon». Una pausa. Avrebbe evitato di ammorbare il giovane uomo con i retroscena politici che avrebbero spiegato perché famiglia e alleati si fossero spostati da Inverness al nord Europa. «Scoprì che la notizia non era un fottuto scherzo, decisi di restare lì per un po’». Poggiò i gomiti sul tavolo e si protese lievemente verso l’altro. «Non sapevo dare un nome alle sensazioni che provavo, e pensavo che eventualmente avrei avuto modo di parlartene faccia a faccia. Per qualche mese te la saresti cavata anche senza di me…» Accennò un sorriso. Sembrava averlo fatto davvero, dopotutto. Il loro non era mai stato un rapporto basato sulle grandi confessioni, i fatti avevano contato sempre più delle parole. «Il tempo passò velocemente. Completai gli studi in privato e mi diplomai a Durmstrang. Le condizioni di mia madre si stabilizzarono in una condizione cronica e pensai di tornare. Ma quell’estate accadde qualcos’altro». Titubò sulla decisione di mettere sul piatto anche il successivo elemento, ma non in modo eccessivo: il percorso affrontato in quegli anni l’aveva portato ad accettare se stesso nelle proprie debolezze, spigolosità, ma soprattutto nella propria natura sovrannaturale. Oltretutto, nonostante l’incapacità di dimostrarlo adeguatamente, di Moses si era sempre fidato. «Insieme agli altri cacciatori, risvegliai il gene dei Lycan». Prestò particolare attenzione a cogliere le conseguenze dell’informazione sul viso ormai adulto dell’americano, poi spostò gli occhi su un punto alle sue spalle. «Per me non fu un dono sceso dal cielo, ma una dannata condanna. E a causa degli eventi che ne seguirono, da quella notte, persi la mia libertà». Contattare o meno l’altro, a quel punto, aveva smesso di essere una sua scelta. Portò avanti questa volta la mano destra, il cui dettaglio più evidente erano i tatuaggi giapponesi che ricoprivano le dita. Afferrò il caffè lungo, lo avvicinò al viso e ne ispirò l’aroma. «Per ora non ho voglia di scendere in altri dettagli» diretto come era tipico del suo stile. Sapeva che il mago non si sarebbe offeso troppo né per il paletto né per il furto del caffè. Ne bevve un paio di sorsi per rinfrancare la gola; un tale monologo poteva considerarsi un traguardo storico considerato il soggetto. La necessità fisiologica di gettare fuori informazioni rimaste intrappolate troppo a lungo nei suoi spazi mentali doveva aver contribuito. Posata la bevanda sul tavolo, decise di alleggerire il clima, per quanto la sua espressione rimase inevitabilmente legata al racconto. «Tu, caro il mio narcos mancato, hai qualche novità per me oltre a quelle che vedo? Ma soprattutto, dell’erba da offrirmi Non ebbe il riguardo di abbassare il tono di voce nella conclusione della frase. Nel presente ancora meno che un tempo, mancava in lui il timore di rispondere al mondo delle proprie azioni. A rispondere del suo, spesso catastrofico, essere se stesso
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    « La verità è che eri l’esatto opposto di una botta e via. Mi sono innamorato di te e ho dovuto allontanarmi prima di fare danni. » Si portò una mano al petto con impeto drammatico, mimando un "ouch" con le labbra prima di scoppiare in una delle sue note risate di cuore. Dean Moses non era un tipo rancoroso: difficilmente avrebbe fatto il sostenuto con un amico, alzando il naso e voltando la testa di lato in attesa di scuse per una tale assenza. Qualunque cosa fosse accaduta, era piuttosto certo che Aidan avesse i propri validi motivi per svanire nel nulla. « Certo certo, lo so che dici a tutte così, PUTTANA! » rispose poi, dandosi un tono decisamente più effeminato, a partire dalla voce sino ad arrivare allo schiaffetto blando che diede al braccio dell'amico. Da come si comportava l'americano, sembrava quasi che quegli anni non fossero mai passati - come se Aidan fosse sempre stato lì, insieme a loro, a vivere ogni momento. Non c'era spazio per modi affettati o movimenti rigidi: Dean era semplicemente fatto così, prendere o lasciare. Una volta entrato nel suo circolo di affetti, era difficile che ti lasciasse andare, che si freddasse. Per lui Aidan sarebbe sempre stato il migliore amico con cui si era scolato in segreto le bottiglie di incendiario a tarda notte. « Non aspettarti nulla di entusiasmante. » A quelle parole, il biondo si fece più serio, pronto ad ascoltare la storia dell'ex Serpeverde. Racimolò l'occorrente per rollarsi una sigaretta, mettendosi un filtro tra le labbra mentre iniziava i preparativi. « Quando a metà del settimo ti ho lasciato quel messaggio, ero venuto a sapere di una malattia che aveva colpito mia madre. Ero confuso: l’avevo sempre considerata dotata di una forza incredibile, in grado di reggere sulle sue esili spalle il peso di una complicata famiglia. Una figura invincibile. » Annuì. La fronte corrucciata mentre si sfilava il filtrino dalle labbra per posizionarlo sullo spazio vuoto della cartina, rollandola velocemente con le dita e poi chiudendola. Un colpo di bacchetta, e lo sfrigolio della combustione prese il posto di quella breve pausa di silenzio. « Non fui in grado di accettare la notizia. Mi convinsi che fosse uno scherzo di pessimo gusto, ma l’impellenza di trovarne l’autore e staccargli la testa mi portò a scappare dal castello alla prima occasione e fare ciò che ero stato addestrato a fare: muovermi tra le ombre senza lasciare tracce. Arrivai così nel villaggio magico Norvegese che da alcuni anni era sede dei Redmoon. » Il tuo branco. Se scoprire la natura di Tris non era stato un boccone facile da digerire, venire a conoscenza del fatto che questa fosse condivisa anche da un altro dei suoi migliori amici lo lasciò piuttosto perplesso. Ricordava di essersi a più riprese lamentato ironicamente con Malia di quanto loro due fossero gli unici normali del gruppetto. Normale, a quel punto, sembrava essere quasi diventato un insulto. Col tempo si erano scoperti i cacciatori, i lycan, poi i sin eater e gente che aveva fatto patti con le logge. La cerchia si era stretta sempre di più fino a lasciare persone come lui e Malia a fare i conti con una realtà in cui non sembravano poi così importanti. Non che Moses ne soffrisse granché: non provava invidia nei confronti di chi vomitava melma nera, ne' tanto meno verso quelli che si spezzavano ogni osso in corpo per trasformarsi in lupi. Lui, la propria utilità, l'aveva trovata coi libri, con giornate chiuso in biblioteca assieme a Fawn per venire a capo del complesso sistema religioso e mitologico che faceva da scheletro alla loro realtà. Inutile dire che ormai, Dean era diventato un esperto del settore. E per questo, nel sentire il nome Redmoon - incontrato svariate volte nei libri - non ci mise molto a fare due più due. « Scoprì che la notizia non era un fottuto scherzo, decisi di restare lì per un po’. Non sapevo dare un nome alle sensazioni che provavo, e pensavo che eventualmente avrei avuto modo di parlartene faccia a faccia. Per qualche mese te la saresti cavata anche senza di me… » Sorrise appena, inclinando il capo di lato. E poi sono diventati anni. Dean, di abbandono, ne sapeva qualcosa. Sin da bambino se l'era sempre cavata da solo, facendo proprio il motto "tutti sono utili ma nessuno è indispensabile". Esperienze di vita, quelle, che erano alla base della sua naturale leggerezza nel prendere gli eventi e le persone un po' come venivano, senza farsi troppi piani o domande. Aveva imparato presto, Dean, a non aspettarsi nulla da nessuno - a non richiedere nulla -, e senza quel peso..lui viveva benissimo. Altre persone, al posto suo, sarebbero probabilmente entrate in un circolo di insoddisfazione; da un lato avere amici predestinati a uno scopo da un volere superiore, dall'altro vederli tutti accoppiarsi tra loro e rimanere lì a reggere il lume. Eppure a lui tutto ciò non era mai pesato: non si era mai sentito frustrato, o non considerato a dovere. Si era semplicemente fatto da parte quando doveva, per essere presente quando invece di lui c'era bisogno. « Il tempo passò velocemente. Completai gli studi in privato e mi diplomai a Durmstrang. Le condizioni di mia madre si stabilizzarono in una condizione cronica e pensai di tornare. Ma quell’estate accadde qualcos’altro. Insieme agli altri cacciatori, risvegliai il gene dei Lycan. » Parole profetizzate, da cui non rimase particolarmente sorpreso. A quel punto della propria vita, Dean era talmente abituato ad essere circondato da lycan e creature di ogni genere, che non si sarebbe scomposto più di tanto nemmeno se l'amico gli avesse confessato di essere un folletto. Si portò dunque la sigaretta alle labbra, prendendone un lungo tiro e annuendo piano, come a intimarlo a continuare. « Per me non fu un dono sceso dal cielo, ma una dannata condanna. E a causa degli eventi che ne seguirono, da quella notte, persi la mia libertà. » Sospirò, spostando per qualche istante lo sguardo in un punto imprecisato del parchetto. Se potessi capire la citazione, ti chiederei dov'era Gondor quando cadde l'Ovestfalda. Perché se Aidan era un lycan, doveva necessariamente aver sentito la chiamata del branco. Eppure non c'eri. Ma d'altronde, tanti altri lupi erano rimasti con i propri branchi di origine, a combattere per arginare la situazione dai rispettivi paesi. Fece quindi schioccare la lingua sul palato, prendendo un altro tiro. « Per ora non ho voglia di scendere in altri dettagli. » Si limitò ad annuire, in silenzio, mentre la sua testa continuava a macinare le informazioni appena ricevute. « Tu, caro il mio narcos mancato, hai qualche novità per me oltre a quelle che vedo? Ma soprattutto, dell’erba da offrirmi? »
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    Aprì appena le labbra, strabuzzando gli occhi come a sottintendere con quell'espressione quanto ovvia fosse la risposta alla sua ultima domanda. Infilò una mano nella tasca del giacchetto poggiato accanto a sé, estraendone una bustina di plastica che fece scivolare sul tavolo insieme all'occorrente per le sigarette. Prese poi un lungo respiro, rilassando la schiena contro la panchina. « Sicuramente le mie novità non sono poi così interessanti in confronto. » disse, prima di prendere un'altra boccata di fumo. « Dopo il diploma sono tornato in America. Mi ero iscritto al College babbano per studiare Letteratura ma..beh..sono morti tutti nel giro di pochi mesi, quindi direi che non è andata proprio benissimo. Allora sono tornato qui. Dovevo essere il nuovo bibliotecario di Hogwarts, ma non ho neanche avuto il tempo di dire "posto fisso" che la scuola si è chiusa ed è diventata una trappola mortale in cui è morta la metà della gente. » Strabuzzò appena gli occhi nel dirlo. « Cazzo, a dirle tutte di fila suonano proprio deprimenti. » Ma Dean Moses non era tipo da deprimersi. Anzi, lui era quello che nel bel mezzo del lockdown si era organizzato con gli altri americani presenti per festeggiare il giorno del ringraziamento. Quando si dice: vedere il bicchiere mezzo pieno. « Poi c'è stata la guerra. Sono rimasto con i ribelli, e per lo più ho cercato di rendermi utile con le ricerche. La biblioteca di Inverness è un qualcosa di inimmaginabile. Ormai sono un pozzo di scienza sulla questione logge. » Sulla teoria, quanto meno. Si strinse nelle spalle, allargando appena le braccia. « Ed eccomi qui. Studio, lavoro ai Tre Manici, faccio il coglione..praticamente non è cambiato nulla. Sono come un cazzo giunco, Aidan: il vento mi piega ma non mi spezza. » Strinse un pugno, sbattendolo sul tavolo con aria teatrale prima di sciogliersi in una risata. Il silenzio si frappose tra loro per qualche istante, colmo di ellissi, prima che l'americano potesse piantare gli occhi in quelli dell'amico. « Perché non sei tornato? » Pausa. « Quando ti sei trasformato, dico. Quando hai sentito gli altri. » Il suo tono di voce era tranquillo: non c'era giudizio, ne' tanto meno astio, quanto piuttosto una sincera curiosità. E Moses non era proprio il tipo da lasciarsi indietro dubbi inespressi. « Forse sarebbe stata meno una condanna..con noi. »

     
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    «Certo certo, lo so che dici a tutte così, PUTTANA!» Nonostante le premesse ci fu della sorpresa sul viso di Joyce. La causa non si nascondeva dietro a delle inaspettate qualità attoriali o all'appellativo nello specifico, ma alla ulteriore spontaneità che gli venne riversata addosso mandando in frantumi la sottile barriera di vetro che la mancanza di interazione aveva generato. Avvertì, per un attimo, la piacevole sensazione di non essersene mai andato via da lì; di poter ignorare i paradigmi di una distanza che, in maniera più o meno radicata, diventano tipici di rapporti che non sono stati sufficientemente oliati nel tempo. Interdetto, si limitò ad alzare le mani in segno di resa per i suoi facili costumi. A seguire i toni si fecero più seri, e durante il racconto il lupo intervallò il contatto visivo con l'osservazione delle abilità di rollata dell'amico. Fissare gli occhi dell'interlocutore e aprire in contemporanea determinate delle porte del passato sarebbe stata un'impresa complessa persino per un individuo poco timido come lui. Apprezzò il fatto di non essere interrotto e venne incuriosito dall'apparente consapevolezza che permeava l'apparire dell'amico. Non era difficile immaginare che il mondo Lycan gli fosse già piombato addosso attraverso Tris. Il modo di parlare di Malia, ritrovata per prima, gli aveva suggerito che il rapporto del quartetto - ormai terzetto - fosse rimasto solido durante gli anni. Per quanto riguardava invece i Redmoon, nemmeno nelle sue più rosee aspettative Aidan si sarebbe aspettato di trovarsi davanti qualcuno di preparato. Non poteva averne la certezza, ma l'espressività di Moses non lasciava molto spazio all'incomprensione. Hai sempre rispettato il potere dei libri, tu. Considerò tra sé e sé. I ruoli si invertirono davanti alla richiesta di erba: la sorpresa tornò in mano a Dean. Il Serpeverde sorrise sconsolato e osservò il pacchetto, senza la premura di nasconderlo agli occhi indiscreti. «Sei proprio un Grifondoro» commentò con misurato disprezzo, allontanando le ombre legate al racconto. «Non intendevo qui e adesso. Ma a questo punto ti amerei se potessi anche girarmene una. Sono un po' fuori allenamento». Frase che non suonò come una battuta e nemmeno portò con sé qualche indizio di pigrizia. Certo, girare una sigaretta non richiedeva una laurea al college, ma dopo tanto tempo di digiuno il bruno avrebbe preferito fumarsi qualcosa dall'aspetto dignitoso. Spinse il kit in un punto a metà tra di loro, così che l'altro potesse adoperarsi oppure imboscarlo senza sdraiarsi sopra il tavolo, quindi poggiò il gomito sinistro sul legno e sorresse il mento con il palmo della rispettiva mano. Una posa da pensatore con cui si dedicò all'ascolto. «Sicuramente le mie novità non sono poi così interessanti in confronto.» Interessanti. Aidan aveva sempre considerato il dramma come molte cose, ma difficilmente interessante. Al contrario, pur mettendo sul piatto le componenti che lo attraevano o gli generavano sofferenza, reputava la realtà drammatica per lo più banale; incastrata in una serie di meccaniche destinate a ripetersi con ingranaggi che si assomigliavano e protagonisti differenti. Il male aveva in genere poca fantasia. Per questo Joyce ignorò la premessa e prestò la dovuta attenzione alle successive parole dell'amico. In ciò che poteva definirsi normale, talvolta, si nascondevano le piccole sfumature originali che avrebbero davvero potuto definirsi interessanti. Moses oltretutto si poteva considerare un artista in merito: visto a primo impatto come un Grifondoro classico destinato alla cartella "soggetti ignorati" come il resto della sua casata, aveva saputo mostrargli anno dopo anno peculiarità in grado di renderlo un dipinto stratificato, da osservare e studiare con attenzione, che nulla aveva da invidiare a quello di coloro che si aggiravano per il castello dotati di poteri sovrannaturali. Dean Moses era in particolare ciò che Aidan avrebbe sempre avuto difficoltà ad essere: un individuo costante e resistente, con una serie di valori che a lui sfuggivano di continuo tra le dita. Un veliero che resiste alla tempesta. Laddove lui, al contrario, sarebbe stato la tempesta stessa. «Dopo il diploma sono tornato in America. Mi ero iscritto al College babbano per studiare Letteratura ma..beh..sono morti tutti nel giro di pochi mesi, quindi direi che non è andata proprio benissimo. Allora sono tornato qui. Dovevo essere il nuovo bibliotecario di Hogwarts, ma non ho neanche avuto il tempo di dire "posto fisso" che la scuola si è chiusa ed è diventata una trappola mortale in cui è morta la metà della gente. Cazzo, a dirle tutte di fila suonano proprio deprimenti.» Emerse la preannunciata sfumatura originale, nella forma di "bibliotecario di Hogwarts". Una passione cresciuta sempre di più nella fase scolastica e ora portata al suo potenziale più elevato. Se te lo chiedessero, Joyce, quale sarebbe la tua passione? Rischiare la vita per fare a pezzi creature oscure? «Poi c'è stata la guerra. Sono rimasto con i ribelli, e per lo più ho cercato di rendermi utile con le ricerche. La biblioteca di Inverness è un qualcosa di inimmaginabile. Ormai sono un pozzo di scienza sulla questione logge.» Degli eventi drammatici, intrinsecamente legati alla narrazione di Dean, aveva sentito parlare sia in Oriente che nel Nord Europa, a casa. Gli mancavano i dettagli riguardanti più espressamente il Regno Unito, e si trovava probabilmente davanti ad una delle persone più indicate a fornirglieli, ma per il momento fu sufficiente per lui navigare attraverso il flusso degli generale degli eventi. In un primo incontro ciò che riguardava strettamente loro aveva la priorità sulle domande di carattere storico; proiettando l'amico in mezzo alla distruzione degli ultimi anni, era semplicemente contento che fosse ancora lì davanti a lui. In merito alle logge, invece, aveva già ascoltato più che a sufficienza durante l'esilio. «Ed eccomi qui. Studio, lavoro ai Tre Manici, faccio il coglione..praticamente non è cambiato nulla. Sono come un cazzo di giunco, Aidan: il vento mi piega ma non mi spezza.» Quasi come se avesse potuto sbirciare nella sua testa, Dean confermò ad alta voce i suoi precedenti pensieri sulla sua capacità di resistenza. Annuì. Se l'americano si fosse scoperto Legilimens, in quegli anni, glielo avrebbe spiattellato in faccia o si sarebbe prima divertito un po'? Pensò alla seconda opzione, motivo per cui, mentre la risata altrui riempiva l'aria, richiamò alla memoria una delle volte in cui l'aveva visto a torso nudo durante una lezione acquatica di Cura delle Creature Magiche, piazzando l'immagine bene al centro nella fronte e osservando le sue reazioni. «Pensi che ritornerai sul progetto della biblioteca quando le acque si saranno calmate? Quel luogo ha sempre avuto bisogno di rinnovarsi. Reputare i libri una noia inutile è fin troppo facile in quegli anni, se poi ad attenderti al bancone c'è una vecchia strega che a malapena riesce a stare in piedi gli incentivi scendono sotto lo zero». Parlò con la fermezza di chi ha vissuto certe sensazioni sulla propria pelle. Cosa che per Dean non sarebbe stata una novità da scoprire, in effetti. Il grande piano per scoprire se la sua mente fosse sotto attacco venne abbandonato quando la domanda successiva trascinò via la sua attenzione. «Perché non sei tornato?» Silenzio. «Quando ti sei trasformato, dico. Quando hai sentito gli altri. Forse sarebbe stata meno una condanna..con noi.» Lo fissò, il viso ancora poggiato sul palmo della mano. Poi lentamente rialzò la testa e di istinto fece arretrare la mano tatuata fino a coprirla con il braccio sinistro.
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    Con le braccia incrociate appoggiate al tavolo, sospirò e si sporse un po' in avanti. Aveva detto poco prima di non voler aggiungere altre informazioni, e tuttavia la domanda non lo trovò ermetico. Ciò che si trascinava dietro, davanti a quell'amico capace di farlo sentire a casa, premette per emergere. Le labbra si mossero in uno spontaneo e raro momento di pura sincerità. «Sì, lo sarebbe stata di meno». Osservò il cielo, poi tornò ad abitare gli occhi dell'altro. «Ma la parola condanna non si riferisce alla mia natura di Lycan, piuttosto a ciò mi ha permesso di fare». Dare la colpa ai suoi geni era stata la prima mossa della sua mente per riuscire ad emergere dal baratro. L'accettazione era arrivata molto dopo, ma adesso gli permetteva di parlare in termini di ciò che quel mezzo gli aveva permesso di fare; uno strumento da lui utilizzato, non una forza a lui estranea. «Rispondere alla chiamata non avrebbe risolto nulla, e anzi avrebbe creato ulteriori danni: avevo davanti un sentiero che portava soltanto il mio nome ed era essenziale percorrerlo». Riordinò i pensieri, poi la sua espressione si fece più concentrata. «Almeno questo è ciò che sono in grado di dirti oggi, con il senno di poi. Ma la risposta più sincera è che in quel momento non ero nelle condizioni di poter decidere nulla, né di andare dove avrei potuto pensare di andare». Privo della libertà a livello materiale, prima ancora privo della forza mentale di esercitarla. Un guscio vuoto. Rimase in bilico, indeciso se aggiungere o meno un'altra tessera al puzzle, poi continuò dopo aver rubato dell'altro caffè. «Conosci l'origine della parola berserk, bibliotecario?» La cultura generale dell'interlocutore si era dimostrata fino a quel punto un'ottima impalcatura per permettergli di non dover introdurre tutte le fondamenta del proprio mondo e potersi così concentrare sulle dinamiche più personali. Si domandò se anche in quel frangente l'esperienza si sarebbe ripetuta.


     
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