Unity is strength.

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    Daphne Baker aveva diciotto anni e frequentava il primo anno del Corso di Laurea di Giochi e Sport Magici. Era nata a New York, la città di luci, la città dove ogni cosa era possibile e si era trasferita a Londra all'età di quattordici anni, con uno scambio culturale, trascinandosi dietro l’intera famiglia quando il signor Baker andò in pensione. Non era mai stata una ragazza dentro gli schemi. Considerava i modelli comportamentali adatti alla gente noiosa. La sua media scolastica non era mai stata alta. Non le piaceva passare troppo tempo sui libri, parliamoci chiaro. Lei ci rideva su, dicendo che con tutte le feste a cui aveva partecipato e l’alcool che aveva ingerito i suoi neuroni, probabilmente, erano morti bruciati da un pezzo. Se l’era sempre cavata, però, in un modo o in un altro. Si faceva delle maratone durante le quali non metteva il naso fuori di casa, determinata a superare anche quell’anno scolastico e godendosi con il pensiero le decine di feste a cui avrebbe partecipato non appena quel tour de force sarebbe finito. Da quado le lezioni erano ricominciate, però, i suoi voti erano notevolmente peggiorati. Più del solito. Era anche dimagrita. Glielo aveva fatto notare pure l’allenatore delle Holyhead Harpies, quando si era presentata all’ultimo allenamento. ”Forse è meglio che la prossima partita tu faccia la riserva, Baker.”. Le aveva detto l’uomo dopo averla convocata nel suo officio. Portava sempre un fischietto attorno al collo. ”Almeno finchè non starai meglio..” Anche se quelle parole le facevano male, si rese conto che era la soluzione migliore. Si aggirava per i corridoi a testa bassa, trascinandosi da una lezione all’altra, evitando le domande della gente. Era stanca di sentirsi chiedere cosa fosse successo su quel treno perché in fin dei conti neppure lei lo sapeva bene. La sua mente sembrava burlarsi di lei, facendole dubitare persino di sé stessa. E meno domande la gente faceva più lei si sentiva in pace con il mondo. Se c'era una cosa che odiava era l'ipocrisia. Non c'è niente di peggio delle persone che vengono a chiederti come stai senza che gli importi veramente la risposta. Si limitavano a dire un banale "mi dispiace" o un "vedrai che si aggiusterà tutto" cercando inutilmente di essere il più convincenti possibile, cambiando discorso prima che tu potessi accennare un "grazie" di cortesia. Aveva diciotto anni e si sentiva stanca sia sotto l'aspetto fisico che psicologico. In classe, invece di prendere appunti passava il tempo facendo scarabocchi sulla sua pergamena. Poi minacciava qualcuno per farseli dare. Era capace di starsene ore intere stesa sul letto a fissare in silenzio il soffitto. Non c'era niente di affascinante nè tantomeno poetico in tutto questo. Se ne stava semplicemente lì, inerme, a contare in modo ripetitivo e compulsivo le cinque travi di legno e i centoventisei mattoni che componevano il soffitto della camera. Uno, due, tre, quattro, cinque.. Lo sguardo scorreva su e giù per la stanza senza tregua. Ogni tanto scopriva che un mattone presentava un nuovo buco. Ancora una volta pensò che prima o poi sarebbe morta schiacciata da tutti quei mattoni che non riusciva a smettere di contare. Sei, sette, otto, nove, dieci.. Avrebbe dovuto chiedere a suo padre di dare un’occhiata a quel soffitto. Undici, dodici, tredici, quattordici, quindici.. Era un modo per permettere alla mente di non assopirsi. Lo faceva inconsciamente come se il suo cervello la stesse pregando disperatamente di rimettersi in carreggiata. Ma lei non lo stava ascoltando minimamente. Ormai conosceva quel soffitto come se lo avesse fatto lei. Ora che era tornata a casa sua, almeno, sua madre avrebbe smesso di dirle costantemente di alzare il culo dal divano. Daffy non le aveva mai risposto seriamente. Era stanca di sentirsi dire che doveva reagire. L’avrebbe fatto, prima o poi. Le mancava solo la voglia. Riusciva a sviare sua madre cambiando discorso, approfittando della frivolezza della donna per i battibecchi nel quartiere. Allora lei si sdraiava nuovamente sul divano, rimetteva il cervello in standby e la lasciava parlare. Potevano passare ore prima che mamma Baker si accorgesse che la figlia non la stava minimamente ascoltando. La Torre dell’Orologio le era sembrato il posto giusto. Nessuno sale sulla torre dell’orologio a meno che non abbia voglia di gettarsi di sotto. Poco tempo fa era il punto d’incontro di alcuni trafficanti di roba. Si, il College era una sorta di piccolo regno organizzato e in ogni regno come si deve ci sono quelli che si fanno di sana felicità da fumare.Poi un uccellino aveva cantato e il giro era stato scoperto. Da quel giorno di più di due mesi fa non ci andava nessuno se non qualche coppietta particolarmente perversa e con poca paura delle malattie trasmissibili da quello schifo di posto. Il soffitto della sua stanza era diventato noioso, aveva bisogno di cambiare. E così, da una settimana a quella parte, la giovane Baker si ritirava lassù dove i topi e i pipistrelli erano la sua unica compagnia. Non erano male se si imparava a fare poco gli schizzinosi. Loro non ti danno fastidio. Sono animali e seguono la loro legge: tu non dai fastidio a me, io non do fastidio a te. Sono bestiole intelligenti, quelle. Anche quel pomeriggio Daphne si trovava là. Poggiata con le spalle contro la parete di pietra pregna d’umidità, fissava il panorama attraverso la sagoma del grande orologio. Il ticchettio preciso e ritmico era l’unico rumore che si udiva. All’inizio lo aveva trovato particolarmente fastidioso, poi, con il tempo, aveva imparato a farci l’abitudine. Tirò fuori di tasca una cartina, un filtro e quella poca Erballegra che le era rimasta. Posò la sigaretta fatta alla meglio sulle labbra e prese l’accendino. Un tiro e il peso che aveva sulle spalle si fece appena più leggero. Ritirò le ginocchia al petto e posò le braccia sopra. Indossava un cappotto forse troppo grande per lei, verde militare di quelli che una ragazza che segue le mode non indosserebbe mai e poi mai a meno che non lo dica una stupida rivista. Chiuse gli occhi ed inspirò nuovamente. Le persone reagiscono in mille modi diversi quando si sentono ferite. C’è chi si infila un paio di cuffie e passa giornate intere ad ascoltare musica triste, piangendo tutte le sue lacrime per poi sentirsi improvvisamente vuoto e privo di ogni preoccupazione. C’è chi si butta nella folla, sorridendo come se non fosse accaduto niente lasciandosi assorbire dal rumore finchè questo non si sostituisce a ciò che ci ha fatto soffrire. C’era, chi come Daffy, si rifugiava invece nel silenzio, quello più totale. Se si concentrava riusciva perfino a far zittire la vocina nella sua testa, quella che le stava dicendo che era una stolta a starsene lì a farsi di Erballegra quando poteva benissimo uscire a fare baldoria, bevendo così tanto da dimenticare persino il suo nome.
    Stava per ascoltare quella vocina. Si alzò in piedi, passandosi le mani sui jeans, strofinandoli dalla polvere e l’umidità, lasciando la sigaretta a penzolarle dalle labbra come un amo da pesca. Stava per dire “ok, adesso scendo e mi fiondo dentro il primo pub che trovo, e quel che succede là dentro rimane là dentro!” quando dalla porticina di pietra sbucò una figura conosciuta. La sua mano corse alla canna, sfilandosela dalle labbra e nascondendola poco velatamente dietro la schiena, mentre con lo sguardo cercava di mettere a fuoco quella figura. Se fosse stato un professore o qualcuno della squadra, sarebbe stata cacciata fuori in un attimo. Bene che le fosse andata si sarebbe beccata una bella punizione. Fu allora che lo riconobbe. «Sam?» Aveva conosciuto Scamander tramite Juniper, suppur avesse sempre avuto a che fare in qualche modo con lui, giocando a Quidditch a scuola. Inoltre Samuel l'aiutava con lo studio. Era diventato il suo tutor in base al fatto che il suo rendimento scolastico stesse decisamente precipitando. «Sei tu.» Una constatazione più che una domanda. Si sentì quindi in dovere di portarsi nuovamente la sigaretta alle labbra e fare un tiro. Aveva infilato una mano in tasca. Dondolava impercettibilmente avanti ed indietro, passando il peso dai talloni alle punte e viceversa. Dove hai lasciato le buone maniere? «Ehm.. Gradisci?» Allungò la mano, mentre del fumo bianco accompagnato da un odore dolciastro usciva dalle sue labbra. «Cosa giri da queste parti, mhm? Sei in cerca di un po’ di pace? Se vuoi ti lascio solo..» Si passò una mano tra i capelli. «.. oppure no.» Ecco, brava Daffy. Sei tu la prima ad aver bisogno di compagnia.


    Edited by peppermint. - 18/3/2020, 18:16
     
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    Non avere il cellulare per Samuel Benjamin Scamander è davvero un gran problema. Non solo una grandissima rottura di coglioni, no, è proprio un problema perché lui e quell'aggeggio, ormai non più funzionante, avevano stretto un rapporto simbiotico, tale da aver fatto sviluppare nel ragazzo un qualcosa di tanto simile ad una crisi d'astinenza. Il non poter più mandare messaggi istantanei, pieni di meme, gif e video stupidi pescati qua e là sui social, il non poter più vedere le serie televisive prima di dormire, il non avere più il semplice contatto fisico con il cellulare gli rompe non poco le palle, tanto da irritarlo peggio dei giorni pre luna piena - dove già, da solo, è veramente intrattabile e fuori fase. Ogni due per tre è un continuo ficcare la mano dentro la tasca destra dei pantaloni, lì dove non trova il cellulare e allora si impanica immediatamente perché "Ommioddio dov'è? Dove l'ho lasciato?" per poi ricordarsi, irrimediabilmente, che quel pezzo di cuore, ormai inutile, è ben riposto nel cassetto della biancheria, dentro un rotolo di calzetti perché "Non si sa mai, magari un giorno riprende a funzionare la wiznet e io non mi farei trovare impreparato". E tra una crisi d'isteria - sempre processata nel più profondo della sua interiorità perché farsi vedere fuori come un balcone per non avere più un cellulare con il quale fare cose gli sembra un tantinello eccessivo - e l'altra, la cosa che più gli manda in pappa il cervello è non avere una risposta istantanea quando dà appuntamenti tramite gufo. Ed è questo il caso di quel pomeriggio, lo stesso che ha completamente libero e quindi da poter dedicare alle "lezioni" da dare a Daffy. Ancora devo capire perché mi sono proposto per aiutarla a studiare, quando io sono il primo che all'idea di andare al college nemmeno c'ha pensato. Le ha scritto un breve messaggio, prima di decidere di apparire magicamente davanti alla porta di casa Rosier - Baker. « Non c'è. E' difficile da beccare ultimamente. » Ammette la mora, con la testa che si posa contro lo stipite dell'entrata, leggermente preoccupata. « Hai idea di dove possa essere? » Le chiede allora, leggermente preoccupato dal tono di voce di lei. Sembra che ci sia effettivamente qualcosa di cui preoccuparsi riguardo la piccola Baker ed è per quello che mette su un'espressione confusa, con le sopracciglia che si inarcano. « L'ho vista sgattaiolare verso la Torre dell'Orologio. » Gliela indica con un movimento del mento all'insù e gli occhi verdi seguono la traiettoria, annuendo appena. Quello è un posto poco raccomandabile, tutti i ragazzi del campus sanno che si va lassù per volare: o con la testa o di sotto. « Non è nemmeno la prima volta. » L'apprensione nella voce di June è palpabile e lui cerca di apparire tranquillo, per non spaventarla senza alcun motivo. « Dai, allora faccio un salto a farle compagnia. Magari poi ci prendiamo una pizza tutti insieme per cena? » Io vado, tu intanto pensaci. Sorride, salutandola prima di avviarsi verso la Torre. Dalla reazione quasi rassegnata della Rosier, Sam ha paura di cosa si ritroverà di fronte, una volta arrivato a destinazione. E più sale i gradini, più sente un senso d'angoscia pressargli forte sopra il petto. Una sensazione che solitamente non gli appartiene e per questo cerca di scacciarla via, ricordandosi chi è: ovvero un gran coglione, dalla battuta più o meno sempre pronta, anche nelle situazioni più disastrate. Potremmo riuscire benissimo a contenere la cosa. Alla fine, con un leggero accenno di fiatone, entra nella stanzetta in cima, lì dove sopra un cornicione di pietra, se ne sta Daffy, con gli occhi sgranati. E il battito cardiaco accelerato constata, nell'immediato. «Sam? Sei tu.» Sembra rilassarsi solo in quel momento, con la mano che scivola via da dietro la schiena, svelando una canna rollata alla perfezione che la mora riporta alla bocca, con nonchalance. « Pensa un po', qualche anno fa ero pure prof di Volo. Avrei dovuto pure riprenderti per una cosa del genere, in teoria. » Ridacchia nell'avvicinarsi a lei, per poi sedervisi di fronte, con la schiena poggiata contro il muro freddo. «Ehm.. Gradisci?» Lascia scivolare lo sguardo verso la canna e in quel momento decide che un po' di tregua ci vuole, può permettersela dopo settimane in cui ha tirato dritto, senza mai mollare un colpo, a denti stretti e testa bassa. Annuisce allora, raccogliendo il suo invito. Incastra il filtro tra le labbra e fa un tiro lungo. « E' quella di Dean? » Chiede, osservando la canna, come a poter capire di chi sono le mani di chi l'ha fatta crescere così bene. « Ti hanno fatto da poco gli esami specifici? » Le chiede poi, facendo un altro tiro. Non sa quanto siano rigidi i controlli nelle Holyhead Harpies, ma
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    se sono anche solo la metà di quelli che facevano nei Cannons, Daffy avrebbe avuto bisogno di usare la pozione "Ripulisci tutto" nell'arco di poco, giusto per non lasciar tracce. «Cosa giri da queste parti, mhm? Sei in cerca di un po’ di pace? Se vuoi ti lascio solo.... oppure no.» La osserva per qualche istante, accorgendosi immediatamente di quanto sia tutt'altro che lei. Ha il viso smunto, che sembra aver perso qualsiasi barlume di felicità. Di certo quella non è la Daffy Baker che ha imparato a conoscere stando fin troppo spesso - e fin troppo a scrocco - a casa sua. « Boh, mi sembrava proprio un bel posto e non c'ero mai stato. » Fa spallucce prima di ripassarle lo spinello, con una folata poco densa di fumo biancastro ad accompagnare le sue parole. « E' un bel panorama. » Osserva il villaggetto di Hogsmeade da dietro il vetro variopinto dell'orologio e le sue lancette di metallo, ormai scurite dal passaggio del tempo. « Anche se non ci fanno più affari, è uno dei luoghi d'interesse che consigliano gli spacciatori del college. » Torna a guardarla, prima di scoppiare a ridere, sperando di essere riuscito a strapparle almeno una delle sue rinomate risate contagiose. Anche un sorrisino andrebbe benissimo. « No, in realtà ti stavo cercando e ..- e non posso dirti che June sa dove ti vieni a nascondere per stare da sola - e immagino di essere stato solo molto fortunato? » Si stringe nelle spalle, con un sorriso che si apre sulle sue labbra. « Ti ho scritto per quella questione assurda dell'aiuto compiti. Quella roba che mi hai obbligato ad accettare. » La incolpa scherzosamente, puntandole contro l'indice, prima di sistemare meglio le spalle contro il muro in pietra. « Magari potremmo però stare soltanto qua, finire di fumarci quella canna e poi andare a fare qualche passaggio, tipo? » Propone il tutto senza troppo impegno. « ..oppure no! In fondo sono io quello che è venuto a disturbare e io mi atterrò alle tue disposizioni. »
     
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    « Pensa un po', qualche anno fa ero pure prof di Volo. Avrei dovuto pure riprenderti per una cosa del genere, in teoria. » Fa un sorriso, mentre lui le si avvicina, accettando il suo invito ad unirsi al club. Era sorpresa di vedere niente poco di meno che Samuel Scamander arrampicarsi fin in cima alla Torre dell’orologio. La stava cercando o era capitato lì per caso? Non lo sapeva, e forse lui non glielo avrebbe mai detto. Il fatto che si trattasse di lui, se da una parte le faceva piacere, dall’altra la metteva a disagio. Non le piaceva che le persone, soprattutto quelle che conosceva, la vedessero in quel modo, in quelle condizioni. Persino lei, erano giorni che evitava le superfici riflettenti. Temeva ciò che avrebbe potuto vedere, aveva paura di quello sguardo che avrebbe incontrato, uno sguardo deluso che, silenziosamente, le domandava come diamine si fosse conciata. Non voleva. Non aveva intenzione di essere costretta a guardare in faccia la realtà. Quando arriverà il momento, arriverà, si ripeteva. Era certa di poter essere patetica, ancora per un po’. « E' quella di Dean? » Una nuvola di fumo bianco fuoriuscì dalle labbra dell’ex-Serpeverde. Daffy rispose con un’alzata le spalle. «Può essere. L’ho confiscata ad uno del sesto anno l’altro giorno.» Si impegnava a proseguire con il tirocinio. Insegnare ai ragazzini del primo anno come sollevare una scopa da terra non era troppo complicato. Poteva farlo, tenere impegnata la mente per un po’, crogiolarsi nei ricordi dei suoi anni migliori all’interno della scuola. Ricordava la sua prima lezione di Volo, il suo ”Su!” ripetuto così tante volte da farle seccare la lingua. Fino ad allora aveva avuto a che fare con scope giocattolo che non avevano bisogno di concentrazione per alzarsi in volo. Il professore aveva tolto 5 punti ai Wampus perché lei e Barry Qualcosa, un suo compagno di Casa, erano stati gli unici due ad arrivare alla fine dell’ora senza essere riusciti a far sollevare la scopa da terra. Chissà cosa avrebbe pensato ora, il Signor Wright, nel sapere che ora era una Cacciatrice delle Holyhead Harpies. « Ti hanno fatto da poco gli esami specifici? » Daffy annuì, poggiandosi con la schiena alla parete di pietra. «Ieri.» Era stata particolarmente fortunata, in realtà. Quando ieri si era presentata agli allenamenti, Eleonor Wright l’aveva braccata negli spogliatoi. Qualcuno aveva spifferato, e la notizia ci aveva messo un attimo a girare. Erano settimane che Daffy non fumava Erballegra e non beveva. Si trascinava in giro come un’ameba, facendosi trascinare dalla corrente, lasciandosi sballottare dalle acque senza fregarsene più di tanto del resto. Era risultata pulita, per la prima volta in vita sua senza dover ricorrere a Pozioni dell’ultimo minuto per cancellare dal suo organismo tracce di quella robaccia. Daphne Baker non era proprio quella che si poteva definire “la sportiva per antonomasia”. Si era detta, però, che se un giorno fosse diventata qualcuno, sicuramente le avrebbero fatto fare qualche campagna anti-droga ed allora avrebbe dovuto tirar fuori dal cassetto la faccia da brava e tosta, quella che “dire no è il vero sballo”. Chissà quanti dei suoi amici si sarebbero messi a ridere nel vedere una cosa del genere. « Boh, mi sembrava proprio un bel posto e non c'ero mai stato. E' un bel panorama. » Daffy fece spalluccia, riprendendo tra le dita lo spinello che Sam le passa. Fa un tiro, guardando anche lei aldilà delle grandi lancette che segnano l’ora. «In effetti non è male.» Aveva guardato tante volte quel panorama, ma non si era mai soffermata a guardarlo davvero. Tra non molto sarebbe arrivata la primavera e qualcuno avrebbe dovuto pulire le erbacce rampicanti che si arrampicavano fin lassù, quasi cercassero di compromettere la funzione dell’orologio. Così grande ed imponente necessitava comunque di qualcuno che si prendesse cura di lui. «Certo preferisco altri tipi di panorama. Hai mai guardato una partita di Quidditch dei Norvegesi? E’ come vedere tanti Thor volare sulla scopa.» Cercava di fare una battuta? Si. Ci era riuscita? Non lo sapeva. Certa era che nella sua giovane vita avesse fatto battute ben peggiori di quella. Realizzò anche che trovarsi in una squadra interamente femminile, forse non le faceva bene. Ovviamente era sempre stata una grande sostenitrice del “Girls’ Power” e qualche sua compagna aveva veramente due chiappe invidiabili, ma non le sarebbe dispiaciuto avere a che fare con qualche fustaccione che cavalcava su di una scopa, ogni tanto. Durante l’allenamenti, l’unico uomo che si vedeva era Steve, un simpatico sessant’enne in pensione che si occupava del prato. « Anche se non ci fanno più affari, è uno dei luoghi d'interesse che consigliano gli spacciatori del college. » Daffy si girò lentamente a guardarlo. Rimase a fissarlo negli occhi per un paio di secondi, per poi fare uno sbuffo, seguito da un sorriso. «Oh, certo, Scamander. Ci fanno delle visite guidate quassù. Hai pagato il biglietto, spero!» Ridacchiò di quella stronzata che le era appena uscita dalla bocca.
    « No, in realtà ti stavo cercando e .. e immagino di essere stato solo molto fortunato? » Daffy annuì, anche se pensava che la fortuna c’entrasse ben poco. In ogni modo era felice di non essere sola in quel momento. Forse per stare meglio doveva smettere di allontanare le persone. La solitudine l’aveva portata lassù, in quel posto che sapeva di polvere ed umidità. Tanto valeva dare una chance anche all’altro lato della medaglia. « Ti ho scritto per quella questione assurda dell'aiuto compiti. Quella roba che mi hai obbligato ad accettare. » Daffy alzò le mani in aria, come se quell’indice che Samuel le stava puntando contro fosse un’arma pronta a far fuoco. «Ehy, non è di certo colpa mia se faccio schifo alle lezioni!» Si, certo.. E di chi sarebbe la colpa? «E il tuo nome è stato tra i primi ad essere pronunciato dal professor White. Cioè, almeno è ciò che ho recepito da quello che è uscito dalla sua bocca!» Il professor White aveva una sorta di errore di pronuncia ogni volta che emetteva la lettera “s”. Solitamente durante le sue ore di lezioni, era una gara a chi arrivava prima per potersi aggiudicare i posti infondo visto che le prime tre file necessitavano di un ombrello per evitare la pioggia di bava. Ascoltò le parole del ragazzo. Era carino a preoccuparsi per lei, a cercare di distrarla in qualche modo. Ma sospettava che ci fosse qualcosa sotto. «Ti ha costretto June a farlo, vero?» Una nuvola di fumo bianco uscì dalle sue labbra dopo l’ennesimo tiro, per poi allungare la mano e passare di nuovo la canna al giovane ex-Serpeverde. Non c’era del malessere o altro nel suo tono, solo la constatazione di un sospetto. «Sospetto che lei sappia che mi rifugio quassù qualche volta. E, Sam, nessuno sale quassù per caso Gli sorrise. Era un sorriso sincero misto ad un ringraziamento. «Le cose sono cambiate tra di noi da quando siamo scese da quel treno, a Capodanno. Lei si colpevolizza, pensa che è colpa sua se ho partecipato a quella serata, ma non è così..» Fece una pausa. Gli occhi di nuovo puntati sui tetti di Hogsmeade, in lontananza. «Vorrei solo che tornasse tutto come prima.» Fu solo dopo alcuni secondi che girò nuovamente la testa verso il giovane Scamander. «Ad essere sincera, mi andrebbero davvero un paio di passaggi.»


     
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    «Può essere. L’ho confiscata ad uno del sesto anno l’altro giorno.» Si ritrova a fare una smorfia di compiacimento, con un plauso a quella mossa da vera tirocinante. « E' una delle parti più..stimolanti e ricreative di tutta questa storia, ammettilo! Specie poi quando ti ritrovi a fumare roba per cui non hai nemmeno sborsato un galeone. » Si ritrova a dirle, ricordando quanto fosse divertente esercitare il potere che quegli scalini in più, rispetto agli studenti, dona ai tirocinanti e ai professori. Non sa nemmeno quanta erba ha confiscato lui, in quei pochi mesi in cui ha ricoperto la cattedra di Volo. E dopo quella, mille e uno scherzi comprati da Zonko o da Tiri Vispi, senza contare tutte le punizioni che ha potuto infliggere, qua e là, senza provare nemmeno una parvenza di rimorso. Sono un professore, lo studente sta sbagliando, cosa dovrei fare io, di grazia? Semplicemente seguire il corso naturale degli eventi, per poi ritrovarsi la sera, nel suo ufficio, al terzo piano, a fumarsi una bella canna in solitudine, sì, ma provando una certa quantità di goduria ad ogni tiro di ciò che non era effettivamente suo. Ah, il potere. Dopo aver fantasticato, ad occhi aperti, per qualche istante, prova a far cedere Daffy con una o due domande, ma lei è telegrafica. Lo capisce bene il perché. Per uno come lui, abituato ad essere sempre più concentrato sul proprio orticello che su quello altrui, il dover essere costretto a crescere, in maniera esponenziale, durante il Lockdown, l'ha portato a vedere al di là della propria recinzione. A notare i dettagli nei lineamenti altrui, come i cerchietti, appena accennati, sotto gli occhi cangianti di lei, il colorito particolarmente spento senza alcun accenno di trucco. Ma forse lei non è una ragazza che si trucca spesso? Si ritrova a domandarsi, mordicchiandosi il labbro inferiore nell'esatto momento in cui lei decide di mettere di fila più di due parole insieme. «Certo preferisco altri tipi di panorama. Hai mai guardato una partita di Quidditch dei Norvegesi? E’ come vedere tanti Thor volare sulla scopa.» Abbassa la testa, Sam, mentre si ritrova a ridacchiare di fronte a quella che deve essere un tentativo di battuta da parte della Baker. « Diciamo che abbiamo due visioni differenti riguardo il "bel panorama". Nulla togliere ai Thor, ma vuoi mettere con la squadra della Valchirie? Mai stato team bionde, ma porca troia, si impegnano sicuramente a farmi cambiare squadra ogni volta che vedo un loro match. » Continua a ridere, mentre decide di non esternare i soliti commenti che si raggruppano nella sala di casa sua quando il gruppo di maschi si riunisce per seguire le partite delle signorine dalla fluente chioma bionda, che riescono a risultare sensuali persino durante i placcaggi più estremi - che agli occhi dei tipici maschi appaiono più come veri e combattimenti in mezzo al fango.
    «Ehy, non è di certo colpa mia se faccio schifo alle lezioni!» Per un attimo, Sam viene catapultato nel mondo dello studio, lo stesso da cui è scappato appena ha potuto, non avendolo sfiorato, nemmeno per un istante, l'idea di provare anche solo ad iscriversi al college, sapendo già in partenza del disastro che ne sarebbe uscito. La proposta dei Falcons era ancora lì, come un anno prima, e lui non ci aveva pensato due volte prima di accettarla, sapendo perfettamente quanto tutto ciò sarebbe stato visto da suo padre. L'ennesima delusione. O così, perlomeno, è come si è sentito Sam i primi periodi, prima di capire che, seppur non pienamente d'accordo sul suo non continuare gli studi, James Scamander era sempre lì, pronto a tifarlo, senza tirarsi indietro. « Diciamo che non hai scelto prettamente il migliore in materia di studio. » E questo aveva tenuto particolarmente a specificarlo non appena lei, durante una serata estrema di Call of Duty a casa Rosier-Baker, con qualche cicchetto di troppo in circolo, se n'era uscita con la proposta del secolo, accolta con una grassa risata di June che l'aveva fatto non poco piccare, sul momento, tanto da farlo accettare quasi nell'immediato perché "Ma guarda tu questa qui che pensa pure che non ce la possa fare. Sono stato professore io eh, che ti credi? TSK." « Ma magari due teste che non amano lo studio potrebbero farne una intera, chi lo sa.. » E' così che si dice, statisticamente no? «Ti ha costretto June a farlo, vero?» Lui non si scompone a quella domanda. E' sempre stato un ottimo giocatore di poker proprio perché la sua espressione riesce a non crollare, ma a rimanere imperturbabile. Scuote la testa, senza rispondere, mentre si allunga a riprendere la canna per fare un tiro. Non vuole immischiarsi di certo nelle loro cose, non sa com'è la situazione tra di loro. Passa spesso del tempo a casa loro, ma con il suo carattere espansivo e piuttosto deficiente, ha sempre cercato di evitare qualsiasi possibile appiglio che potessero dare il la a qualsiasi tipo di litigio o discussione. «Sospetto che lei sappia che mi rifugio quassù qualche volta. E, Sam, nessuno sale quassù per caso Ahia, scoperto. « Che ne sai, magari mi volevo solo lanciare di sotto perché Rocket Dragomir mi ha preso di punta e non mi fa respirare un attimo, quando ci alleniamo. E mi ha pure mezzo minacciato che se non miglioro su una determinata posizione, la prossima partita la fa giocare a Preastley. Hai capito chi? Quel deficiente patentato di Logan Preastley. Il portiere panchinaro per eccellenza dei Cannons. Cioè, la società ha dovuto chiedere me ai Falcons tanto non lo volevano far giocare. Ecco, mi minaccia con lui. » Scuote la testa, sapendo bene che Rocky non lo farebbe mai, conscio, altrimenti, di una partita retta quasi totalmente sulle spalle di Lily e il suo essere quanto più che mai veloce nel prendere il boccino d'oro. « Quindi, magari, mi hai solo rovinato il suicidio ad effetto. Con tanto di orologio rotto. » Alza le sopracciglia, allusivamente sarcastico, prima di distendere le labbra in un sorriso. «Le cose sono cambiate tra di noi da quando siamo scese da quel treno, a Capodanno. Lei si colpevolizza, pensa che è colpa sua se ho partecipato a quella serata, ma non è così..Vorrei solo che tornasse tutto come prima.» Sam stringe le labbra, evidentemente rattristato dal venire a sapere cosa bolle in pentola tra le due. Prova a mettersi nei panni di entrambe, da una parte Daffy che ha già vissuto sulla propria pelle la furia e il dolore del Lockdown, dall'altro June, completamente priva di esperienza in merito, con il rimorso onnipresente nei confronti dell'amica. Come l'aveva avuto lui all'inizio, quando Hogwarts si era rinchiusa su se stessa e lui si era sentito impotente nel non poter far fuggire nessuno dei suoi amici. Fa un ultimo tiro, prima di lanciare via il mozzicone ormai mezzo spento. « E due tiri siano! » Le fa cenno con la testa verso la porticina dalla quale è entrata da qualche minuto. Salta giù dal muretto e aspetta che sia lei ad andare avanti, in un gesto strano di protezione nel guardarle le spalle. Rimangono in silenzio, fin quando gli occhi olivastri del giovane non si fissano sul vialetto della casetta. « Lo sai vero che non si può tornare al "come prima?" » Virgoletta le due parole, con un sorriso amaro sul volto, mentre cerca di rallentare il passo per starle accanto. « L'hai vissuto anche tu il Lockdown, sai che niente tornerà come prima. E' impossibile cancellare il ricordo. A meno che tu non voglia farti obliviare. » Le lancia un'occhiata di sottecchi, con un sopracciglio leggermente incurvato verso l'alto. E' così? Una domanda che non viene formulata perché Sam è già sicuro della risposta che potrebbe ottenere dalla Baker. No. « Sei una stramaledetta Arpia, Daffy. Hai grinta da vendere, coraggio che hanno pochi. Se ti servono questi giorni per metabolizzare, prenditeli, ma non allontanarti troppo dal mondo. Non nasconderti. Ti sei già alzata una volta, puoi riuscirci una seconda volta. » E una terza, una quarta e tutte le volte dopo. E' nella tua fibra, la resilienza. Sono ormai arrivati nel giardinetto sul retro della casa, quando lui allunga si blocca, fa un passo di lato per ritrovarsi di fronte a lei, così da bloccare anche lei. « Ce la farai. » Le mani che si allungano a posarsi sulle spalle di lei, come a volerla scrollare. « Ricordati soltanto chi sei. » La Daffy piena di vitalità e spirito, la Daffy dalla lingua senza peli, che se ti
    deve mandare a quel paese, ti ci manda senza troppe cerimonie. La Daffy che piange dal troppo ridere.
    Sam non è bravo con i discorsi d'incoraggiamento, l'ha potuto appurare in più di un'occasione, ma si sente di poterle parlare così apertamente perché lui, tutto sommato, seppur sempre un po' sottotono, continua a vivere. Che senso ha vivere da morto? Che senso ha dimenticarsi di vivere perdendo solo altro tempo che nessuno ti ridarà mai? Una lezione cruenta che ha imparato dalle esperienze di due anni prima, quando ragazzi della sua stessa età, ragazzi molto più piccoli di lui morivano come mosche, senza avere il tempo o il modo di poter abbracciare per l'ultima volta i propri cari. « Non sforzarti a fare di più, non calcare la mano sulla tua tristezza, ma pensa anche che più tempo sprecherai, meno ne avrai di prezioso da vivere. E' la legge. » Ne vale davvero la pena, alla fine? Non vuole risultare troppo crudo, così accenna un sorriso, prima di puntare la bacchetta verso la porta della serra, usata anche come ripostiglio delle attrezzature di Quidditch. Questa si apre e una pluffa prende a svolazzare verso di loro, richiamata da un incanto d'Appello, fin quando non ricade tra le mani di lui. « Per quanto riguarda June.. lei avrà bisogno di più tempo. » Dice, mentre soppesa la palla tra i polpastrelli, prima di allontanarsi di qualche passo da lei. « Non ha vissuto quello che abbiamo visto noi, per lei è tutto nuovo e ci sta provando davvero a superare lo shock. » Scrolla la testa, rassegnato e allo stesso tempo arrabbiato nel sentirsi parlare così. Perché non è giusto pensare che ormai sia normale che una cosa come quella di Capodanno sia nient'altro che routine. L'inevitabile ritorno del passato a farti visita. E' allora che tira la pluffa verso la mora, forse con più forza del dovuto. « Dovremmo semplicemente starle più vicino e non lasciarla da sola con le sue mille pippe mentali. » Alza le sopracciglia, allusivamente. La conoscono bene entrambi, così come entrambi conoscono il processo mentale che va intrigandosi dentro la testa della Rosier, creando un reticolato labiritico di paranoie e problemi che vede solo lei. « Sono fiducioso per entrambe. » Annuisce, più disteso nei lineamenti del volto. « E se questo non bastasse, sabato vi porto entrambe a fare una conoscenza ravvicinata del terzo tipo dei pavimenti dei Tre Manici dopo una serata passata a bere. » Ridacchia pregustando già la serata ideale un po' per tutti, insieme al fidato Dean e alle sue doti da perfetto barman. « Comunque, dopo questi passaggi, si studia. » Alza un indice nella sua direzione, provando ad assumere un'espressione perentoria da professore. Tentativo che fallisce miseramente non appena un sorriso gli sfugge. « Non possiamo mica perdere tempo prezioso. Cosa abbiamo in programma oggi, signorina Baker? »
     
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    « Diciamo che abbiamo due visioni differenti riguardo il "bel panorama". Nulla togliere ai Thor, ma vuoi mettere con la squadra della Valchirie? Mai stato team bionde, ma porca troia, si impegnano sicuramente a farmi cambiare squadra ogni volta che vedo un loro match. » Daffy si ritrovò ad annuire con un’espressione di piena consapevolezza stampata in volto. Più volte si era ritrovata a scherzare con Lily, Lympy e Junie che a forza di guardarle probabilmente avrebbe cambiato sponda. Daffy era fatta così, diceva sempre le prime cose che le vedevano alla bocca, con una sincerità a volte disarmante, al pari di quelle di un bambino ancora sprovvisto di filtri. « Diciamo che non hai scelto prettamente il migliore in materia di studio. Ma magari due teste che non amano lo studio potrebbero farne una intera, chi lo sa.. » «Ti avverto che qui c’è da compensare parecchio, Sam.» Ridacchiò, come a voler dire al il giovane Scamander che con sua testa avrebbe potuto farci ben poco. La Baker non era mai stata propensa allo studio, fin da piccola. Fuori dal campo da Quidditch, Daphne possedeva una scarsa concentrazione e pareva distrarsi con qualsiasi cosa le capitasse a tiro. Si sentiva costantemente circondata da persone più valide di lei, che con un semplice sguardo parevano volerla convincere che lei non era al loro livello. Con il tempo aveva finito per crederci e a quel punto, Daffy aveva finito per sentirsi un’emerita stupida. Ci aveva però fatto l’abitudine, convincendosi che lei non sarebbe mai arrivata al livello degli altri. Ci scherzava su, dicendo che probabilmente tutta l’erba che si era fumata in quegli anni aveva finito per corroderle il cervello, ma la verità era che a lei non mancava nulla se non la diligenza di applicarsi. Aveva finito per autoconvincersi che non ce l’avrebbe fatta solo per potersi giustificare con tranquillità nel momento in cui avrebbe fallito. E in qualche modo aveva finito per attirare anche gli altri in quel suo vortice. Quando aveva superato i M.A.G.O. i suoi genitori avevano festeggiato tutta la sera. Suo padre se l’era caricata in spalla e le aveva fatto fare il giro della cucina intorno alla tavola. “Non è che non credevamo in te, tesoro” aveva detto sua madre “è che sappiamo bene che gli esami sono molto difficili”. Ah-ah. Che iniezione di fiducia! Ma la minore di casa Baker non poteva dire nulla perché se avesse provato a cercare un colpevole per tutta quella storia si sarebbe solo dovuta guardare allo specchio. Si è per gli altri ciò che si vuole mostrare. «Fabian Harris, uno di Corvonero che mi fece da tutor due anni fa, si arrese dicendo che ero un caso perso. Ti assicuro che era colpa sua. Aveva due occhi da favola!» Ridacchiò. Fumare non le faceva più lo stesso effetto. Non la confondeva in modo particolare, semplicemente le regalava spesso una sana risarella ed era sempre in grado di distenderle i nervi, lasciandola comunque lucida. « Che ne sai, magari mi volevo solo lanciare di sotto perché Rocket Dragomir mi ha preso di punta e non mi fa respirare un attimo, quando ci alleniamo. [...] Ecco, mi minaccia con lui. » Daffy continuava a guardare davanti a sé. Allargò un sorriso sulla faccia sentendo parlare di Logan ScaldaPanchina Preastley. Lo aveva visto giocare una sola volta perché al portiere titolare era uscita la spalla in una parata che probabilmente sarebbe stata inserita in un libro sulle migliori performance del mondo del Quidditch. Era un giovanotto con il viso costipato da un’acne giovanile che aveva lasciato dei segni inesorabili sulla sua pelle. Daffy ricordava la sua espressione: sembrava che un Troll lo avesse masticato e poi sputato su quella scopa. Qualcuno, seduto dietro di lei, aveva notato a voce alta che Logan sembrava essere capitato lì per caso. Dubitava che un giocatore esperto come Dragomir, ora nei panni di un allenatore, non avesse notato il talento di Samuel. Se glielo avesse davvero detto era sicuramente per spronarlo. « Quindi, magari, mi hai solo rovinato il suicidio ad effetto. Con tanto di orologio rotto. » Fu solo a quel punto che spiò la faccia fintamente offesa dell’ex Serpeverde e questa la fece ridere. Pensò che era felice che Samuel l’avesse trovata. Confidarsi con lui sembrava essere straordinariamente facile, forse perché Samuel era così, limpido. Era un tipo schietto che non le mandava a dire e se Juniper si fidava di lui allora voleva dire che poteva fidarsi. « E due tiri siano! » Piegò appena la testa, come per ringraziarlo silenziosamente. Lanciò un’ultima occhiata a quelle mura di pietra e alle grandi lancette ferme dell’orologio. Non le piaceva percorrere le scale in discesa. Aveva sempre l’impressione che le avrebbe rotolate tutte se solo si fosse sporta in avanti più del dovuto. Le scale della Torre dell’Orologio, tra l’altro, erano particolarmente strette e pregne di quell’umidità di cui erano intrise anche le pareti. Era una fortuna che si fosse divisa lo spinello con Samuel, altrimenti avrebbe dovuto scenderle con il sedere, come quando era bambina e con Oliver mettevano un materassino gonfiabile in cima alle scale e poi scivolavano insieme, facendo infuriare la mamma. « Lo sai vero che non si può tornare al "come prima?" » Era una consapevolezza che si era fatta spazio nella sua testa da un po’ di tempo, la dura verità, così qualcuno la chiamava. Si era autoconvinta, però, che quella vocina fosse sbagliata. Certo che si poteva tornare al “come prima”. Un giorno si sarebbe svegliata e sarebbe stato tutto come qualche mese fa, o forse meglio. Non era così? Aveva recluso quella vocina in un angolino, come si fa con un bambino che dice le bugie e allora si mette in punizione. Sentire però che qualcun altro stava dando ragione a quel pensiero, le fece male, perché significava che tutto ciò che aveva fatto per allontanare quell’idea era stato inutile. Annuì, tenendo lo sguardo basso, fisso sulle sue scarpette da ginnastica vecchie e sciupate. Una soprattutto, quella destra, aveva un microscopico forellino sulla tela. Avrebbe dovuto buttarle. « [...] E' impossibile cancellare il ricordo. A meno che tu non voglia farti obliviare. » Alzò la testa di scatto, guardando Samuel, accanto a lei. Il pensiero le era balenato in testa dopo il Lockdown e subito l’aveva cacciato via. Era tornato a fare capolino subito dopo Capodanno, ma ancora una volta si era sforzata di cancellare quel pensiero dalla mente. No, non lo avrebbe fatto. Non avrebbe mai messo a repentaglio i suoi bei ricordi pur di cancellare quelli brutti. Sam aveva ragione. Ce l’avrebbe fatta. Avrebbe superato tutto quello. E per farlo aveva bisogno dei suoi amici, ora più che mai.
    « Ce la farai. Ricordati soltanto chi sei. » Daffy stese un sorriso triste sulla faccia, annuendo con decisione. «Grazie.» Fu l’unica parola che riuscì ad uscire dalla sua bocca. Sam aveva ragione. Era un’Arpia e se lo stava dimenticando. Mentre Sam recuperava la Pluffa, Daffy si chiese quand’era stata l’ultima volta che ne aveva presa una. Forse aveva perso l’abitudine. Magari non sarebbe riuscita neppure a tenerla tra le mani. « Per quanto riguarda June.. lei avrà bisogno di più tempo. » Già. Ne avevano bisogno tutti. A volte semplicemente bastava trovarsi all’aria aperta, con quel leggero sprazzo di sole che faceva capolino. Era una bella sensazione, il sole sul viso. Ci aveva mai fatto caso? Riabbassò lo sguardo appena in tempo per vedere Samuel che le tirava la palla. Le sue mani agirono prima del cervello, prima che potesse chiedersi ancora una volta se l’avrebbe presa. Prima che se ne rendesse conto, stava stringendo la Pluffa tra le mani. Ne tastò la consistenza, osservando le cuciture un po’ datate e in quel momento si chiese come avesse resistito tanto. Le piaceva avere quella palla tra le mani, era come se sprigionasse energia. La tirò nuovamente a Sam, usando solo la mano destra. « Dovremmo semplicemente starle più vicino e non lasciarla da sola con le sue mille pippe mentali. E se questo non bastasse, sabato vi porto entrambe a fare una conoscenza ravvicinata del terzo tipo dei pavimenti dei Tre Manici dopo una serata passata a bere.» Daffy ridacchiò, posandosi le mani sui fianchi, ed esibendo un’espressione pensierosa, come se stessa soppesando l’idea. L’idea di prendersi una bella sbronza le piaceva e sicuramente non era una che diceva “no” ad una serata del genere. In quale universo Daffy Baker rinunciava alla prospettiva di una bella sbronza come si deve? Poi, però, fece due conti. Si sforzò con tutta sé stessa per non farsi comparire un sorrisetto deficiente sulle labbra, cosa che forse le riuscì, ma non troppo. «Mi dispiace, Sam.. Ma penso che dovrete andare tu e Junie da soli, perché..» Perché non voglio reggere il moccolo tutta la sera. Ok, Baker, usa una scusa, però! «.. Danno la maratona di Sex and The City e ho un’amica Babbana che mi ha invitata a casa sua.» Ma se a te fa schifo, Sex and The City! Era vero, ma Sam non poteva saperlo. «Dai, sarebbe da matti perderselo!» Cosa poteva allestire in realtà? Non le serviva molto: una vasca da bagno colma di schiuma ed acqua bollente, una bella bottiglia di vino ed un bello spinello arrotolato alla perfezione. Forse Junie al rientro l’avrebbe ritrovata morta nella vasca, ma lei sapeva che Daffy sarebbe voluta morire proprio in quel modo ed avrebbe dovuto accettarlo. Guardò Sam, cercando di essere più convincete possibile. Era palese che qualcosa lì puzzasse. Aveva annusato qualcosa alla festa di Halloween, a Junie che evitava le sue domande, al fatto che sto tizio girellasse troppo spesso a casa loro. Era certa di non essere stata l’unica ad accorgersene. Forse gli unici ad averci le fette di prosciutto davanti agli occhi e a non essersi accorti di niente erano proprio loro che “Oh, no ma cosa dici? Oh, guarda che begli uccellini!” « Comunque, dopo questi passaggi, si studia. » Cooooooosa!? La mascella di Daffy cadde fino a terra. Metaforicamente parlando, naturalmente. « Non possiamo mica perdere tempo prezioso. Cosa abbiamo in programma oggi, signorina Baker? » «Eddai, no! Oggi no! Oggi è..» Che cavolo di giorno è? «..E’ venerdì! E lo sanno tutti che “Né di Venere né di Marte, non si sposa e non si parte”. L’ho studiato a Babbanologia! E fidati, secondo i Babbani grandi sfortune si abbatteranno su di te se infrangi queste regole!» Perché conosceva questo proverbio? Facile, lo usava come scusa per un sacco di cose. Martedì e venerdì, per lei, erano meglio della domenica. «Possiamo dire a Junie che ti fermi a cena da noi.» E io andrò a letto presto perché davveeeeero stanca. O ubriaca, vediamo come butta. «Mia mamma ci ha portato un dolce al cioccolato, stamani.»

     
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    «Mi dispiace, Sam.. Ma penso che dovrete andare tu e Junie da soli, perché..» La fissa, mentre un sopracciglio svetta verso l'alto, aspettando il possibile proseguimento di quella frase mentre le rilancia nuovamente la pluffa, servendosi solo del braccio destro. Poi accenna un'occhiata eloquente, come a volerle dire "..insomma?" «.. Danno la maratona di Sex and The City e ho un’amica Babbana che mi ha invitata a casa sua. Dai, sarebbe da matti perderselo!» Continua a guardarla, per qualche altro secondo in silenzio, prima di stringersi nelle spalle, con fare alquanto remissivo. « Sex and the City preferito ad una serata di freccette, biliardo e bisboccia.. » Lascia lì quella constatazione, velatamente giudicativa, mentre porta entrambe le mani ai fianchi, dopo averle fatto cenno, con le stesse, di continuare con i passaggi. « Sei perdonata soltanto perché fai la criminale trasgressiva nel cercare appoggio televisivo dagli amici babbani. Gran bella idea! » Sentenzia poi, annuendo, mentre scandaglia, mentalmente, tutta la lista dei suoi amici sul suolo inglese, alla ricerca di qualche amico babbano che possa fungere per lui da polo magnetico dal quale farsi attrarre ogni qualvolta la dipendenza da Netflix e Prime Video si fa troppo opprimente. Cazzo, ma non ho amici babbani? Com'è possibile? No, aspè, forse Matt Peterson, il figlio del portiere della palazzina dove abitava nonna quando io ero piccolo. Si ricorderà di me no? Ero quello che gli facevo sempre il culo a calcio, dopotutto. E anche quello che ha rotto la finestra del gabbiotto dove stava rintanato sempre suo padre. Ah, e pure quello che ha mezzo fatto cadere sua nonna dalle scale. No, forse è meglio evitare Matt. «Eddai, no! Oggi no! Oggi è..E’ venerdì! E lo sanno tutti che “Né di Venere né di Marte, non si sposa e non si parte”. L’ho studiato a Babbanologia! E fidati, secondo i Babbani grandi sfortune si abbatteranno su di te se infrangi queste regole!» Ora, Sam e Babbanologia sono sempre stati discreti amici, forse perché l'argomento gli è sempre interessato di più rispetto al resto - fatta eccezione per i capitoli sugli aerei, o come li chiama lui "gli aggeggi del diavolo" -, o più semplicemente perché il libro era di dimensioni nettamente inferiori rispetto a quelli delle altre materie. E ce n'era uno e uno soltanto, non ventiquattro. Quella tradizione su determinati giorni della settimana non gli dice proprio niente, eppure non ci pensa due volte prima di stringersi nelle spalle con un sorriso beffardo a piegargli le labbra. « E chi siamo per andare contro a simili leggende babbane? » La guarda con un non so che di spiritoso nei lineamenti del volto disteso. « Poi, già siamo sfigati di normale, l'evitare di andarla a cercare di proposito mi sembra solo un ottimo piano per la sopravvivenza di base. » Uno sguardo d'intesa è quello che si scambiano, prima che il gioco prosegua in un botta e risposta di lanci su lanci. «Possiamo dire a Junie che ti fermi a cena da noi. Mia mamma ci ha portato un dolce al cioccolato, stamani.» Gli occhi verdi di Sam si illuminano, così come accade, solitamente, quando si parla della cucina di sua nonna e del suo modo unico di fare il tacchino. Ma da un po' di tempo a questa parte, da quando la sua frequentazione di casa Rosier - Baker si è fatta più assidua, c'è un'altra piccola gioia che riesce a scaturire una
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    simile reazione: i dolci di mamma Baker. « Dimmi che è la Foresta Nera. Ti prego, dimmi che è quella. L'ultima volta che l'ho mangiata, fatta da lei, te lo giuro, sono andato a letto in uno stato di beatitudine che credo di non aver più avuto da quando avevo dieci anni. » Si ritrova a commentare, evidentemente su di giri e con un evidente languorino in bocca. « Di certo non posso dire di no ad uno dei dolci di mamma Baker. Sarebbe un affronto troppo grande. » Giustifica così quel suo ennesimo, forse pure noioso, stazionare a casa delle due, andando a monopolizzargli la serata, inequivocabilmente. Poi oh, questa volta sono stato invitato, sarebbe davvero scortese declinare. Le buone maniere prima di tutto. « A tal proposito, un giorno la devo per forza conoscere. Ora che gioco anche in squadra con Oliver, adoro i suoi dolci, faccio da tutor alla sua figlioletta deliziosa, cioè..ormai sono di famiglia. Mi pare doveroso perlomeno ringraziarla per tutte le carie che mi ha fatto venire, accolte ovviamente con assoluta gioia. » Ci scherza un po' su, continuando a mantenere quel tono giocoso per far sì che l'atmosfera non inglobi nuovamente la mora, ma che la faccia rimanere lì, presente e possibilmente alleggerita mentalmente, almeno per qualche ora. « Potremmo giocare a Risiko magico, dopo cena. » La butta lì, fissandola con gli occhi che sembrano già dirle tutto quello che vorrebbe rimanesse sottinteso. In fondo, June li ha accusati più e più volte di coalizzarsi contro di lei, durante le serate giochi. Magari questa volta le diamo una ragione per farlo? « Tanto alla fine la Rosier ha già fatto costruito un suo film mentale sull'asse Scamander - Baker. » Si stringe nelle spalle, con aria vagamente innocente, accompagnata da una smorfia che tradisce un sorriso al di sotto. « Potremmo aggiungere alle regole che ogni volta che si perde un carrarmato, si è costretti a bere un cicchetto. » Così, giusto per rendere più interessante la cosa. « E poi, i due che perdono si giocano a morra cinese il lavaggio dei piatti. » Nelle condizioni psicofisiche nelle quali si ritroveranno. Alza le sopracciglia. « Che ne dici? » Le domanda, rincarando la dose. « Magari mando un messaggio pure a Dean e Lily, così se ci sono, si uniscono e l'asse frontale diventa un bel quadrato di larghe intese e segreti sotterfugi. » Sempre tutto ai danni di June. « Dai, solo perché così beve, le si distendono i nervi, si rilassa e non pensa a..tutto il resto. Almeno per una serata. Non c'entra assolutamente il mio essere super competitivo e le sue ultime dichiarazioni d'affronto riguardo le mie - presunte, secondo il suo audace e non richiesto giudizio - scarse doti da portiere. » Scuote la testa, nel pieno della sua convinzione, al di sotto di un sorriso trattenuto a stento sotto i baffi, mentre sfarfalla le sopracciglia, cercando di fingersi un essere angelico, privo di qualsiasi intenzione che non sia linda e pura. « No di certo, davvero. E' solo per passare una bella serata tutti insieme, figurati. » Se poi faccio fuori tutta la sua armatina blu che cozza così tanto con la mia verde, beh, anche meglio.
     
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    « Sex and the City preferito ad una serata di freccette, biliardo e bisboccia.. » Ok, non ci stava credendo.. Suonava così tanto come una “stronzata alla Baker”? Oh, si, glielo leggeva negli occhi! Quegli occhi con cui Sam la stava squadrando con aria indagatoria. Era stata sgamata subito! Il povero Alberto Castagna non sarebbe affatto fiero di te, le suggerì una vocina facendo riferimento ad una vecchia trasmissione babbana che sua madre e le sue amiche guardavano a casa di una di quest’ultime. Perdonami Albertone nazionale. « Sei perdonata soltanto perché fai la criminale trasgressiva nel cercare appoggio televisivo dagli amici babbani. Gran bella idea! » Porco Merlino, ci aveva creduto! “Sex and the City” a quanto pareva era una garanzia. Doveva segnarsela, scriverla da qualche parte nel caso nel futuro le potesse servire ancora. O forse, semplicemente, Albertone l’aveva guardata dall’alto, benedicendola. Le piaceva pensare che fosse per questo motivo. « E chi siamo per andare contro a simili leggende babbane? » Un enorme sorriso si era allargato nel vedere la faccia divertita dell’ex Serpeverde. Le ci volsero alcuni secondi per rendersi conto che si sentiva meglio. Era come se Sam avesse trovato il modo di toglierle di dosso quel pesante macigno che le schiacciava il petto. Aveva come l’impressione di respirare meglio, di sentirsi più leggera. Le era sempre sembrato un tipo a posto, Samuel Scamander. Faceva parte del club di quelli giusti, di quelli che preferiscono i fatti alle parole e che dietro un sorriso nascondono molto più di quanto vogliano dare a vedere. Daffy conosceva quel tipo di persone perché lei era una di loro. Era una persona fisica, che lasciava le parole a coloro che ne conoscevano più di lei. Preferiva i fatti, agiva e raramente si fermava a pensare alle conseguenze delle sue azioni. Meglio chiedere il perdono che il permesso. « Poi, già siamo sfigati di normale, l'evitare di andarla a cercare di proposito mi sembra solo un ottimo piano per la sopravvivenza di base. » Daffy fece roteare la palla tra le mani, guardando il giovane Portiere ed annuendo come se le avesse appena svelato “la verità delle verità”. «E’ così, fratello.» Girò la palla sul palmo della mano per poi tirarla a Scamander. «La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo Sospirò, con una leggera alzata di spalle. Con entrambe le mani si portò i capelli dietro le orecchie, quasi volesse mettere meglio a fuoco la visuale della palla che le stava venendo rilanciata. «Dimmi che è la Foresta Nera. Ti prego, dimmi che è quella. L'ultima volta che l'ho mangiata, fatta da lei, te lo giuro, sono andato a letto in uno stato di beatitudine che credo di non aver più avuto da quando avevo dieci anni. » Daffy si posò le mani sui fianchi, esibendo un’espressione maliziosa e sciabolando velocemente le sopracciglia. «Oh, si Scamander. E’ proprio quella.» Mormorò con tono suadente. Rimase a fissarlo per qualche secondo per poi scoppiare a ridere. Sua madre era sempre stata una cuoca eccezionale, soprattutto se si parlava di dolci. Quando era piccola ed invitava degli amichetti a casa, l’odore di biscotti fatti in casa si sentiva per almeno due vicinati. E parliamo di New York, gente. Quanti odori possono esserci per le strade di New York? Bhè, quando la donna cucinava tutti i vicini sapevano il menù del giorno. Qualcuno si chiedeva come Daffy non fosse diventata una balenottera obesa, una di quelle che nei programmi babbani cercano di dimagrire perché un medico occhialuto dice loro che se continuano così moriranno. Per fortuna Daphne poteva vantare del metabolismo di suo padre. Nonostante si lamentasse dicendo che sua madre era un pochetto invadente, a Daffy faceva piacere che la donna cucinasse ancora per lei. «Tra poco la sottoscritta diventerà diciannovenne e mia madre sta facendo le prove per il gran giorno. Ha sempre fatto così, tutti gli anni. Non oso pensare cosa potrebbe succedere se in un futuro remoto dovessi sposarmi.. Ci sarebbe da mangiare per almeno un paio di generazioni!» Forse sarebbe la volta buona che risolviamo la fame nel mondo. «Già. La vecchiaia incombe. Forse un giorno mi ritroverò a chiederti quali cremine antirughe usi. Davvero, tesoro, nonostante l’età hai una pelle sublime! Quasi non si notano quelle zampe di gallina!» esordì indicandosi all’altezza degli occhi. «Di certo non posso dire di no ad uno dei dolci di mamma Baker. Sarebbe un affronto troppo grande. A tal proposito, un giorno la devo per forza conoscere. [...] » La Cacciatrice cercò di far girare la Pluffa su di un dito, come i giocatori di basket. «Sei sicuro, Sam? Giusto per farti capire, mia madre era terrorizzata dal fatto che la mia coinquilina facesse Rosier di cognome. Ora ogni volta che mi chiama, mi chiede come sta, cosa sta facendo, a volte persino si fanno delle chiacchierate insieme! Mia madre è.. Esuberante, diciamo così.» Tra i suoi amici era tipo una star.
    Una volta Francis Huston disse che – testuali parole – avrebbe avuto lui qualcosa da infornare per lei. Per poco non si prese un pugno in faccia da Daffy. «A tuo rischio e pericolo, Scamander. Rischi di essere adottato tipo come è successo a Junie.» Sgranò gli occhi, come se quelle parole fossero la raccomandazione di un vecchio saggio prima che l’ignaro eroe partisse per la pericolosa missione. « Potremmo giocare a Risiko magico, dopo cena. Tanto alla fine la Rosier ha già fatto costruito un suo film mentale sull'asse Scamander - Baker. » Si strinse nelle spalle, ricambiando il sorriso divertito del giovane. «Perché, si sbaglia forse? E’ praticamente palese che siamo alleati per farle le chiappette! E’ così divertente quando comincia ad insultarci in francese, anche perché non ho la più pallida idea di quello che dica!» « Potremmo aggiungere alle regole che ogni volta che si perde un carrarmato, si è costretti a bere un cicchetto. E poi, i due che perdono si giocano a morra cinese il lavaggio dei piatti. Che ne dici? » La Baker sbuffò, alzando gli occhi al cielo in un’espressione sarcastica. «Non mi piace lavare i piatti da sobria, figuriamoci da ubriaca! E poi i miei carrarmati non si toccano. Ci sono affezionata, ho dato un nome ad ognuno degli uomini che muove quei cosi. Sono soldati coraggiosi, quei tipi!» E non tardava a farlo notare, ogni volta che ne perdeva uno, gridando “Noooo! Jeremy, perché? PERCHE’? Eri un così bravo ragazzo!” oppure ”Addio Michael. Non preoccuparti, dirò alla tua famiglia che sono stati loro il tuo ultimo pensiero.” Benvenuti nella strana mente di Daffy. «Junie a volte deve minacciarmi.. Mi ricorda un po’ mia madre in effetti, e forse questo può significare solo due cose: o sono una mamma-dipendente che cerca in qualcun altro la rappresentazione stessa della sua genitrice oppure che senza qualcuno che mi sproni non mi va di fare un cavolo.» Un attimo di silenzio. «Spero più per la seconda.» « Magari mando un messaggio pure a Dean e Lily, così se ci sono, si uniscono e l'asse frontale diventa un bel quadrato di larghe intese e segreti sotterfugi. » PUFF! Daffy sentì chiaramente le guance avvampare nell’istante in cui Sam pronunciò “quel nome” (che per quanto le stesse simpatica non era “Lily”). Spalancò gli occhi, ammutolendosi di colpo. Dean. Dean Moses. Dean Figaccione Moses nel suo salotto a giocare a Risiko insieme a lei.. Ok, forse stava sognando. SVEGLIA BAKER! Si accorse che si stava perdendo le parole di Sam, standosene lì a fantasticare. « No di certo, davvero. E' solo per passare una bella serata tutti insieme, figurati. » Ritrova un po’ di contegno, Baker! «Oh, si. Certo, figurati!» commentò colta da un attimo di risarella, arricciando le labbra e facendo una smorfia, alzando le spalle in un gesto come per divere “Si, vabbè, niente di importante, dico bene?”. Ora. Daffy si trovava davanti ad una grande scelta, forse una delle più difficili della sua vita. Era chiaro che desiderava che Dean e Lily si unissero a loro, ma in quel caso addio piano “me ne vado perché sono stanca, ah, che sonno, sto proprio invecchiando!” (forse doveva trovare un nome più breve a questo piano). Era davvero un’ardua decisione. «Oh, ma ceeeeerto che puoi invitare anche Dean e Lily!» Complimenti, Daffy. Hai davvero una tenacia di ferro. Sbuffò cercando di nascondere l’imbarazzo dietro un’espressione alquanto stupida. «E dimmi, dimmi.. Come stanno? E’ dalla festa a casa di Joshua che non li vedo.» Che bugiarda! Come se non fosse mai passata “per caso” durante i turni al bar di Dean, palesandosi con le parole “Ma daaai, che coincidenza, eh!”. «Dovremmo avvisare Junie. Se ci presentiamo in branco a casa come minimo entra in iperventilazione. Ordiniamo cinese? O.. Pizza? A me va bene tutto.» E ti pareva! «Potremo fare un salto ai Tre Manici per vedere se hanno qualche bottiglia da venderci. Junie ha dei vini francesi che penso tenga solo per occasioni speciali. Dovrò fare delle ricerche, ma per me valgono anche un po’ di soldi. Non è stato facile contenersi. Una volta ho persino pensato di stapparne una, assaggiarla e richiuderla. Un giorno se ne sarebbe sicuramente accorta, ma forse allora sarei già scappata in Messico.»

     
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    «Oh, si Scamander. E’ proprio quella. Tra poco la sottoscritta diventerà diciannovenne e mia madre sta facendo le prove per il gran giorno. Ha sempre fatto così, tutti gli anni. Non oso pensare cosa potrebbe succedere se in un futuro remoto dovessi sposarmi.. Ci sarebbe da mangiare per almeno un paio di generazioni! Già. La vecchiaia incombe. Forse un giorno mi ritroverò a chiederti quali cremine antirughe usi. Davvero, tesoro, nonostante l’età hai una pelle sublime! Quasi non si notano quelle zampe di gallina!» Si porta entrambe le mani ai fianchi, con quel fare leggermente dittatoriale che si palesa sul viso di Lucille Scamander ogni qualvolta le sue volontà non vengono rispettate, specie quando i nipoti decidono di tenerle nascoste delle cose, dei segreti, soprattutto riguardo la loro vita amorosa. « Ohi, signorina, non è perché ora invecchi che devi tirare fuori l'acido con gli altri eh. » C'è un palese sorriso divertito tra le pieghe delle sue labbra, ma cerca di non cedere. « Le cremine le puoi benissimo chiedere alla tua amichetta, io non ne faccio uso perché sono splendido splendente già così. Non ne ho bisogno. Si sa che noi uomini abbiamo la fortuna di migliorare maturando... » Decide di non aggiungere quel "Non si può dire altrettanto di voi donne, la biologia insegna" che rimane incastrato dietro i denti, non appena serra la bocca per non proseguire. « Che poi è chiaro che ti vengono le rughe se ogni anno, per il tuo compleanno, tua madre ti ricorda che un giorno dovrai sposarti. Cioè, sarebbe stressato chiunque. E' comprensibilissimo. » Si stringe nelle spalle, evidentemente convinto di quelle parole. Lui a cui la sola parola "matrimonio" fa già drizzare i peli sulle braccia per l'angoscia di vivere che gli si va creando dentro. Scuote la testa. «[..]A tuo rischio e pericolo, Scamander. Rischi di essere adottato tipo come è successo a Junie.» La fissa, riportando le mani davanti a sé in attesa di ricevere la palla. « Beh e non saresti felicissima di avermi come secondo fratellone? Un affarone. Io mi riterrei fortunatissimo, fossi in te. » Quell'idea gli fa particolarmente strano, considerato quanto, da figlio unico, sia sempre stato abituato a crescere in solitaria. Lui i fratelli se li è sempre fatti vivendo. Se li è scelti, non per sangue, ma per il cuore e si ritrova a pensare, mentre osserva la mora, che in effetti lei ha tutti i parametri che, facendo due calcoli e tirando le somme, hanno coloro che lui reputa come i suoi amici più fidati. E in effetti è amicizia ciò che si sta instaurando tra di loro, da quando hanno preso a vedersi per quella cosa dell'aiuto compiti. Prima era "la sorella di Oliver Baker", poi "la coinquilina di June", ma da quando non si vedono più in presenza di terzi, ma sentendosi direttamente tra di loro per mettersi d'accordo, è diventata altro. Cazzo Baker, siamo amici. «Perché, si sbaglia forse? E’ praticamente palese che siamo alleati per farle le chiappette! E’ così divertente quando comincia ad insultarci in francese, anche perché non ho la più pallida idea di quello che dica!» A quel punto non può trattenersi dallo scoppiare a ridere, per poi prendere ad imitare, con tanto di gesticolamenti delle mani, i suoi famosissimi « Mon Dieu. Oh mon Dieu de la France! Merde! Putain! » in un accento inglese piuttosto marcato. «Non mi piace lavare i piatti da sobria, figuriamoci da ubriaca! E poi i miei carrarmati non si toccano. Ci sono affezionata, ho dato un nome ad ognuno degli uomini che muove quei cosi. Sono soldati coraggiosi, quei tipi!» Scuote la testa, ricordando fin troppo bene i melodrammi che solitamente la mora mette in scena non appena uno dei suoi carrarmati viene cancellato dal gioco. Mi dovrebbero dare la medaglia per continuare ancora a giocare con due regine del dramma. Pensa, senza contare minimamente alle sue scenate da puro competitivo, quando crede di stare per vincere e poi perde. Un qualcosa di davvero orripilante, soprattutto se quasi sotto luna piena. Non fa in tempo a mettere in mezzo il nome di Dean - lasciato cadere lì, volutamente non a caso - che Daffy sembra non essere più lì con lui, tanto da fargli pensare di lanciarle contro la pluffa per vedere se, così facendo, si risvegli in qualche modo. Beh, la botta sarebbe bella grossa. «Oh, ma ceeeeerto che puoi invitare anche Dean e Lily!» Come immaginavo. Non può che soffocare una risata, mentre le lancia nuovamente la pluffa. Ha notato l'affinità che sembra legare
    quei due, in ben più di un'occasione ormai. Eppure nessuno dei due ha ancora fatto il primo passo, seppur ai suoi occhi appaia abbastanza evidente l'interesse della mora per il suo miglior amico. «E dimmi, dimmi.. Come stanno? E’ dalla festa a casa di Joshua che non li vedo. » « Come? Non vi vedete da così tanto? » Com'è possibile? Non vi siete mai visti nemmeno di nascosto? Ma devo fare tutto io con voi due, mh? Rimane per un attimo stupito nell'apprendere quel piccolo particolare, che lo fa dubitare per un istante delle sue doti investigative in fatto di inciuci. « Comunque alla grande! Dean ha finito da poco la sessione invernale e abbiamo festeggiato bevendo come le merde in un pub babbano. - Il Purl, consigliatissimo. Sembra di stare in uno di quei bar clandestini del periodo del Proibizionismo. Cocktail folli, un po' di jazz e luci particolarissime. - Lily è sempre la solita Lily, seppur vagamente più radiosa, ultimamente. Deve essere il mio influsso e l'idea del Team Rocket finalmente riunito. » Ridacchia, con la testa che vola a pensare al vestiario coordinato che ha già messo in campo sua nonna, per tutta la famiglia, tutto cucito dalle sue manine di fata. "Era ora che uno di voi facesse un passo verso l'altro, così ora si potrà mangiare in santa pace la Domenica, senza far partire discussioni varie su chi si merita di vincere il campionato. E saremo tutti belli coordinati. Grazie, siete stati carinissimi a pensare a tutto il lavoro che mi avete risparmiato così." Le parole testuali della nonnina non appena era stata ufficializzata la notizia del suo passaggio ai Cannons. «Dovremmo avvisare Junie. Se ci presentiamo in branco a casa come minimo entra in iperventilazione. Ordiniamo cinese? O.. Pizza? A me va bene tutto.» « Magari le lasciamo un bigliettino, perché credo sia uscita. Come lo so? Non lo so, è chiaro, mica l'ho incontrata prima, ma ti pare? Intuito. » Sbuffa fuori, con una risata, per poi riprendere la palla che gli lancia, accompagnando il movimento con un leggero piegamento delle ginocchia. «Potremo fare un salto ai Tre Manici per vedere se hanno qualche bottiglia da venderci. Junie ha dei vini francesi che penso tenga solo per occasioni speciali. Dovrò fare delle ricerche, ma per me valgono anche un po’ di soldi. Non è stato facile contenersi. Una volta ho persino pensato di stapparne una, assaggiarla e richiuderla. Un giorno se ne sarebbe sicuramente accorta, ma forse allora sarei già scappata in Messico.» Si mordicchia il labbro inferiore, mentre tira fuori la bacchetta. La muove contro la pluffa, che si libra a mezz'aria, per poi lanciarsi verso la porta della serra che si richiude non appena questa sfreccia dentro. Un altro movimento di bacchetta e la sua giacca si alza da terra, lì dove l'ha lasciata qualche minuto prima, per finirgli tra le mani. « Andiamoci ora al Tre Manici che ci dovrebbe essere Dean di turno, così prendiamo due piccioni con una fava. » Le lancia un'occhiata di sottecchi, con un angolo delle labbra che si alza verso l'alto. Insomma? Non dici niente? Non scleri un po'? Dammi prove a sostegno della mia tesi, donna. « A Lily mandiamo un gufo passando per la Guferia. » Aggiunge dopo un po', dopo aver atteso che fosse lei a scrivere il bigliettino per June, giusto per avvertirla dell'invasione che l'avrebbe investita quella sera stessa. « Io direi che, assai molto democraticamente, sceglierò per tutti il menù della sera, ovvero cinese assortito per non scontentare nessuno perché sono un sovrano magnanimo. » Allarga le labbra in un sorriso ampio, avviandosi verso l'uscita del vialetto. « E comunque, se mai ti tornasse voglia di stapparti una delle bottiglie di June, basta che poi la riempi nuovamente e ne sigilli il tappo con la bacchetta. » Un sorriso sornione quello che le lancia mentre le si affianca. « Il succo ai mirtilli neri andrà benissimo, fidati di me. » Un occhiolino quello che accompagna le sue parole, prima di ridere. « Chissà poi quando se ne accorgerebbe. In alternativa, comunque, il Messico è stupendo. »
     
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