Ma se dovessimo spiegare, in pochissime parole...

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    Prosegue da qui

    « Beh, è andata bene. » Il tono secco di Émile è la prima cosa che rompe il silenzio della stanza n. 69 del dormitorio maschile di Tassorosso. I due proprietari si sono incrociati casualmente nei sotterranei, sulla via di ritorno, e dopo un breve cenno di saluto colmo d'imbarazzo hanno proseguito fianco a fianco, lo sguardo basso e la tensione palpabile nell'aria. A Émile sembra perfino di aver dimenticato il motivo di quell'astio reciproco: è iniziato da qualcosa di sicuramente stupido - come sempre d'altronde - ma il risultato è stato trascorrere una serata in cui avrebbero dovuto trovarsi in compagnia, tra risate, commenti e battute varie, seduti invece ai due poli opposti della Stanza delle Necessità. La cosa veramente fastidiosa è che non si tratta di un caso isolato, bensì dell'ennesima volta che si trovano a discutere nel corso delle ultime settimane. Émi è in grado di riconoscere di essere stato un po' distratto, soprattutto a causa della nuova piega che sta prendendo la sua vita scolastica e sociale, ma è pur vero che Otis è stato poco comprensivo. O, meglio, rompicoglioni. Il giovane Caposcuola non è solito riempirsi la bocca con parolacce di questo calibro, ma ha sentito Derek pronunciarla un paio di volte e si è convinto a voler vedere che tipo di effetto fanno su di lui. L'altro giorno a pranzo, ad esempio, gli è capitato di lamentarsi di quanto stronzo fosse stato Morgernstern per aver assegnato ben due relazioni sugli Avvincini, e ha avuto l'impressione che un paio di ragazze del suo anno gli sorridessero, subito dopo. Insomma: un legame doveva esserci per forza. È così ha iniziato a esercitarsi con queste sue piccole trasgressioni verbali allo specchio, sfruttando le docce di Otis. Il quale, per tornare al punto, si sta comportando da vero rompicoglioni. Ma ciononostante Émile è comunque convinto di possedere una parte della colpa per il litigio di stasera, e dunque si sente in dovere di rompere il ghiaccio, quanto meno.
    « C'erano un sacco di persone. Ci scriverai tanti begli articoli per il giornalino. » Si sta sfilando quella ridicola cravatta che ha trovato in fondo al baule, mantenendo lo sguardo basso, e quasi non si accorge di quanto il suo tono possa sembrare piccato. Sbuffa, buttandosi a peso morto sul letto, e cercando dal basso lo sguardo dell'amico. A nessuno dei due piace litigare con l'altro. Quando non si parlano per giorni, per qualcuna delle loro idiozie, per Émile è un po' come essere costretto a fare a meno di un braccio, e di quello buono per giunta. Oppure come quando ti dicono che non dovresti mai toccarti la faccia con le mani, ché sono sempre sporche e ti fanno venire ancora più brufoli: semplicemente non ce la fai, e devi stare lì a concentrarti ogni secondo per evitare: ecco, quando non si parlano Émile è in serie difficoltà perché non sa proprio come evitare di rivolgergli la parola. Si stropiccia un occhio, con fare assonnato, nel tentativo di mascherare il lieve imbarazzo che prova. Sospira. « Ce l'hai con me? »
     
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    Era stata una serata terribile. Brutta dall'inizio alla fine, e certo quella non era una sorpresa: tutta quella settimana – no, di più, le ultime due – erano state terribili. Verifiche su verifiche, lo stress per l'organizzazione dell'evento, il Ministero che bandiva i cellulari e amplificava i controlli, la situazione a casa, con Inverness ufficialmente diffidata (e lui ancora aveva troppa vergogna di chiedere cosa significasse)... Era un miracolo che si reggesse ancora in piedi, mentre teneva la giacca di tweed marrone ripiegata attorno al braccio e si avvicinava al tavolo dove aveva lasciato, a inizio serata, il mazzo di fiori, incantati in modo da non appassire mai, che non sarebbero stati regalati a nessuna ragazza. Di nuovo, non era una sorpresa: Otis non aveva veramente sperato di poter incontrare qualcuno alla serata, in primis perché qualcuno lui l'aveva già trovato, e in secundis perché lui, in quelle faccende amorose, era una vera frana. A giugno avrebbe fatto 17 anni e a lui non fregava molto di seguire i percorsi di crescita che i suoi compagni stavano percorrendo: sapeva che ognuno ha i propri tempi, che non esiste davvero nessuna "tappa" da raggiungere entro una certa età... Ma nonostante ciò a volte si sentiva un po' solo. Così, mogio mogio, dopo aver salutato tutti i suoi compagni del giornale e aver ricevuto qualche pacca gratulatoria – un po' troppo energetica – sulla spalla, aveva raccolto le sue cose e rifiutato l'invito a unirsi a qualche ultimo festeggiamento prima di andare a dormire, come suo solito. Normalmente, quando si sentiva così, poteva contare sul braccio di Emi, che gli avrebbe avvolto le spalle in modo un po' fastidioso, sì, ma in fondo rincuorante. Sapeva tirarlo su senza bisogno di fare domande o stare lì a parlare, e Otis sapeva fare lo stesso con lui. Invece si erano solo salutati freddamente, prendendo due strade diverse, come se non fossero diretti allo stesso posto: camera 69.
    Era entrato nella stanza dopo l'amico, che invece era già intento a spogliarsi, pronto per andare a dormire. «Beh, è andata bene.» Otis aveva risposto scrollando le spalle, lasciando la giacca appesa sullo schienale della sedia per non stropicciarla, e svuotando un portapenne di legno sulla scrivania dalle cianfrusaglie che conteneva. Dava le spalle all'amico, perché non aveva voglia di parlargli. Anche lui ci si era messo a preoccuparlo e abbatterlo, e Otis sapeva che gli amici non dovrebbero mai fare così. Sapeva anche che tutti hanno dei periodi di allontanamento, di maggiore distanza, che le amicizie funzionano anche con alti e bassi, ma non per questo non facevano male, i bassi. Era proprio giù di morale.
    «Aguamenti». Un piccolo flusso di acqua spuntò dalla bacchetta di Otis, riempiendo il portapenne: i fiori non sarebbero appassiti, ma avrebbero comunque avuto bisogno di un po' di acqua, per nutrirsi; o almeno, così pensava.
    «C'erano un sacco di persone. Ci scriverai tanti begli articoli per il giornalino». Continuò a trafficare con il mazzo di fiori, sistemandoli con eccessiva meticolosità. «Sì... Sicuramente diventerò un grande giornalista di fama mondiale per aver scritto della sorte di coppie di sedicenni formate a San Valentino...» Aveva risposto con tono più autoironico che non passivo aggressivo, ma forse Emi avrebbe potuto fraintendere. Si voltò, quindi, per lasciare intendere che quella non voleva essere una risposta ostile, poggiando le mani contro il bordo della scrivania, dietro di lui, tenendo però la testa china. Avrebbe voluto parlargli, però era troppo arrabbiato e offeso per potersi permettere di cominciare lui. Otis non era orgoglioso, ma sapeva che ultimamente avesse cercato fin troppo spesso spiegazioni e chiarimenti dall'amico, per cui sentiva che adesso fosse il suo turno, e che fosse più saggio aspettare che fosse lui ad aprire il discorso. Non voleva, oltretutto, sembrare pesante.
    «Ce l'hai con me?» Otis sospirò, tentando di sfilarsi il farfallino. «Un po' sì.» Perché negarlo? Era evidente, e Pervinca gli aveva sempre insegnato ad esprimere le sue emozioni sinceramente, quando interrogato in merito, invece di tenere tutto dentro e fare il dispettoso. «Ultimamente mi sembra che tu non voglia più essere mio amico, quasi. Quasi che... Quasi che preferisci stare con gente più grande e più figa per sentirti pure tu più grande.» Si era stretto nelle spalle semplicemente, allargando le braccia e lasciandole ricadere debolmente. Aveva finalmente guardato l'amico, le labbra imbronciate in un'espressione triste.
     
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    Otis, lo abbiamo già ampiamente specificato, Émile lo conosce come le proprie tasche, e già da un po' ha capito che nell'amico c'è qualcosa che non va, che supera il diverbio idiota di quel pomeriggio sui tronisti. Che Emi se la fosse un po' presa per non essere stato scelto da lui come tronista per la serata era vero, ma la sua era più un'arrabbiatura che porta ad un silenzio stampa di tre, massimo quattro ore. Otis doveva avere qualcos'altro, perché quella sua arrabbiatura - o freddezza, distanza, quello che era - stava durando oltre i limiti concessi dalla loro amicizia. Esisteva un tacito accordo non scritto tra i due, per cui nel momento in cui una litigata superava le settantadue ore, allora poteva essere dichiarato come qualcosa di serio. La cosa frustrante di questa situazione, però, è che, per quanto si protragga da giorni, non è il risultato di nessuno scatto di rabbia, nessun diverbio, nessuna partita a Black Market finita male, nessuna discussione sui turni del bagno o simili. È una situazione strana. Diversa. A conti fatti, non è successo nulla, eppure nel giro di qualche giorno sono finiti a comportarsi come se ogni cosa fosse diversa. « Sì... Sicuramente diventerò un grande giornalista di fama mondiale per aver scritto della sorte di coppie di sedicenni formate a San Valentino... » Assottiglia lo sguardo Emi, e studia l'espressione del compagno di stanza nel tentativo di capire la natura di quelle parole. Ma presto le sensazioni del Tassorosso si rendono ben più manifeste, quando è lui per primo a confermare i sospetti di Otis. « Ultimamente mi sembra che tu non voglia più essere mio amico, quasi. Quasi che... Quasi che preferisci stare con gente più grande e più figa per sentirti pure tu più grande. »
    Émile fa spallucce, spostando lo sguardo in un punto imprecisato oltre la spalla dell'amico. L'ha preso un po' in contropiede, perché non era questo il tono che s'immaginava Otis avrebbe avuto: era già tutto pronto a rinfacciare cose, recriminargli questo e quell'altro, elencando ogni minimo sgarbo sulla punta delle dita, che nell'udire
    quelle parole, pronunciate con quel tono mesto e quell'aria impotente, si blocca per qualche momento, interdetto. Otis ribalta un po' le carte in tavola, perché, se nella sua mente la vittoria di quel litigio era praticamente scontata, adesso non sa esattamente come rispondere, così, su due piedi. « Ma certo che voglio essere amico tuo. » Inizio deboluccio. Aggrotta la fronte, a voler sottolineare l'assurdità che per lui rappresenta l'affermazione appena fatta da Otis. « Sei il mio migliore amico, O'! Solo che... A me pare che i miei nuovi amici proprio non ti piacciano. Cioè, a me fa piacere stare con te, ma ogni tanto mi fa piacere stare anche con loro. E sarebbe bellissimo poter stare tutti insieme, però, ecco... Tu sei sempre chiuso e mi sembra che Derek, e Friday, e tutti gli altri ti stiano un po' antipatici. » Afferma, in tutta sincerità, mentre si tortura le dita sulle proprie ginocchia. « Mi sbaglio? » Inarca le sopracciglia, curioso di scoprire la risposta. « E non è vero che sto con loro perché voglio sentirmi più figo. Non c'è niente di male a stare con quelli più grandi. Cioè, non è che posso sempre avere solo amici della mia età, no? Che due palle, dai! »
     
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    L'ha detto male. Il punto non era neanche quello, era un altro, non c'entrava molto questa cosa dell'amico; Otis sapeva che Emi e lui fossero amici e che quello fosse solo un passaggio temporaneo, non sapeva perché avesse detto così, era arrabbiato con lui, e invece adesso doveva solo fargli pietà. «Ma certo che voglio essere amico tuo. Sei il mio migliore amico, O'!» Strinse la presa attorno al legno della scrivania, pronto a sentire un ma che non voleva veramente dover ascoltare: non era quello il punto, e sapeva che qualunque cosa avesse detto l'amico l'avrebbe solo ulteriormente e inutilmente ferito. «Solo che... A me pare che i miei nuovi amici proprio non ti piacciano. Cioè, a me fa piacere stare con te, ma ogni tanto mi fa piacere stare anche con loro. E sarebbe bellissimo poter stare tutti insieme, però, ecco... Tu sei sempre chiuso e mi sembra che Derek, e Friday, e tutti gli altri ti stiano un po' antipatici.»
    Otis incrociò le braccia al petto, incerto su come rispondere. A lui di quei ragazzi non fregava proprio niente. Non era un tipo geloso, anzi; il Tassorosso amava la sua individualità e libertà, e non richiedeva attenzioni costanti da parte degli altri, come quello che aveva appena detto poteva far trasparire. Eppure un fondo di verità nelle parole dell'amico c'era, e Émile glielo stava confermando: “tu sei sempre chiuso”, aveva detto. E chissà, forse per la sua suscettibilità quella sera, forse perché sapeva che era proprio colpa di quella sua introversione se a volte, come ora, si sentiva solo al mondo e con nessuno a capirlo veramente – nemmeno il suo migliore amico – ma si sentì mortificato, vedendo le sue insicurezze confermate dalla voce che più di tutte valutava. In realtà, Otis sapeva di essere chiuso, e quella non era di certo una rivelazione nuova per lui; ma, per qualche motivo, lì per lì alle sue orecchie quella parola suonò quasi come una cosa brutta, un insulto, un difetto spiattellatogli davanti agli occhi. «Mi sbaglio?» Sbuffò, stanco, mentre si sbottonava la camicia con una certa enfatica rabbia. Quella stupida camicia che si era messo per fare una buona impressione su chissà chi, poi, che nessuno lo degnava di uno sguardo. «E non è vero che sto con loro perché voglio sentirmi più figo. Non c'è niente di male a stare con quelli più grande. Cioè, non è che posso sempre avere solo amici della mia età, no? Che due palle, dai!» «EMI! Non me ne frega niente dei tuoi amici più grandi!» Sbottò alla fine, colpendo il piumone con la mano aperta. Doveva darsi una calmata, perché non sarebbe stato giusto sfogare frustrazioni accumulate nel tempo sull'amico tutte in una botta, in quell'umore. Avrebbe dovuto inspirare, espirare, e lentamente esprimere i propri sentimenti, articolandoli in modo da renderli comprensibili all'altro e senza lasciare l'ira prendere il controllo – questo gli diceva la voce di Pervinca, che l'aveva educato a comunicare nel modo più efficiente possibile, durante i conflitti. Ma purtroppo, ormai, complice la stanchezza, Otis aveva perso la pazienza.
    Così rimase in piedi accanto al letto, dopo aver furiosamente infilato il pigiama.
    «Non me ne frega niente dei tuoi nuovi amici, se sono più grandi, più fighi o più simpatici di me. Puoi passarci anche tutto il giorno!!! Però non mi sta bene che non mi dici più le cose, non mi dici più la verità, mi eviti persino!!! Dici parolacce una continuazione, ti arrabbi con me per delle scemenze come i criteri con cui abbiamo scelto i tronisti!!! Sei cambiato, e questa versione di te non mi piace per niente!!!» Marciò verso il suo comodino, da cui estrasse una scatola di carte da Black Magic – quella confiscata qualche mese prima. La lanciò sul letto di Émile. «Se fossi venuto a pranzo, ieri, ti avrei detto che sono riuscito a recuperarla.» La voce si era fatta più bassa, ma era sempre tremante. «Ero contentissimo di essere riuscito a trovare un accordo con il prof Weasley, che ci teneva talmente tanto a partecipare alla serata di San Valentino che in cambio di accettare di farlo condurre mi ha permesso di riaverlo. Volevo giocarci con te, nel pomeriggio, ma tu non c'eri.» Alzò la testa, rivolgendogli uno sguardo duro e rancoroso.


    Edited by the educator - 3/3/2020, 22:43
     
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    « EMI! Non me ne frega niente dei tuoi amici più grandi! » Otis non alza spesso la voce. I suoi toni sono sempre pacati e tenui, tanto che spesso Émile è addirittura costretto a chiedergli di ripetere le cose, perché gli risulta difficile sentirlo. Questa volta invece lo sente eccome, e gli è impossibile non accorgersi della collera che gli adombra il viso. Hanno appena iniziato a discutere e il Tassorosso, solo a vederlo, sembra già esausto da quella conversazione, come se fra loro ci fosse per la prima volta qualcosa d'incomunicabile. E se si fosse stancato di me? è la prima risposta che balena nella mente del giovane Carrow, colpendolo con la stessa furia di un pugno sullo stomaco. Affonda i denti nel labbro inferiore, mentre serra i pugni lungo i fianchi, volendo sfogare da qualche parte quella tensione montante dentro di lui. La prospettiva di avere esasperato l'amico, come crede di avere fatto nelle ultime settimane, lo rende più inquieto. « Non me ne frega niente dei tuoi nuovi amici, se sono più grandi, più fighi o più simpatici di me. Puoi passarci anche tutto il giorno!!! Però non mi sta bene che non mi dici più le cose, non mi dici più la verità, mi eviti persino!!! Dici parolacce una continuazione, ti arrabbi con me per delle scemenze come i criteri con cui abbiamo scelto i tronisti!!! Sei cambiato, e questa versione di te non mi piace per niente!!! » Quelle parole colpiscono Émile con una forza che gli pare sovrannaturale, tanto che senza quasi accorgersene gli sembra quasi di perdere l'equilibrio. Le ginocchia perdono la forza di sostenerlo e lui atterra col sedere sul proprio materasso con un leggero puff, accompagnato dal cigolio delle molle del suo letto, le uniche a rispondere a quella provocazione. Quando accanto a lui atterra il mazzo di carte lanciato dal compagno, Émile non sa bene cosa dire. Fissa per qualche secondo interminabile la piccola scatola scura, mentre una specie di broncio gli increspa le labbra. « Come le hai riprese? » riesce solo a dire, mentre tiene gli occhi scuri puntati sul pacchetto, incapace di sollevarli e fronteggiare quelli dell'amico. « Se fossi venuto a pranzo, ieri, ti avrei detto che sono riuscito a recuperarla. Ero contentissimo di essere riuscito a trovare un accordo con il prof Weasley, che ci teneva talmente tanto a partecipare alla serata di San Valentino che in cambio di accettare di farlo condurre mi ha permesso di riaverlo. Volevo giocarci con te, nel pomeriggio, ma tu non c'eri. »
    Il ragazzo sospira, a denti stretti, mentre passa a torturarsi le mani, ferme sulle proprie ginocchia, incapace di rispondere. Tiene lo sguardo basso, e continua a sfilarsi e infilarsi quel nuovo anello dorato che da qualche mese si è aggiunto al suo abbigliamento quotidiano, e che Otis ha già etichettato come "pacchiano". Guarda la piccola chiave incisa sul gioiello, e sospira pesantemente. Il fatto è che, purtroppo, un problema di incomunicabilità esiste eccome, fra loro. Perché - e questo Émile comincia a realizzarlo solo adesso - non sarà più in grado di raccontare la verità al suo migliore amico per filo e per segno. Quando ha stretto forte il braccio di Derek, quella notte d'inizio settembre, e ha pronunciato la promessa inderogabile del Clavis Aurea, non aveva messo in conto proprio tutto quanto. Non aveva pensato al fatto che avrebbe dovuto nascondere una parte sempre più consistente
    della sua vita alle persone per lui più importanti. Non aveva pensato che avrebbe dovuto iniziare a inventarsi menzogne poco credibili per giustificare le follie della confraternita. Semplicemente non pensava che sarebbe stato così difficile.
    Affranto, si ritrova a coprirsi il viso con le mani, come se una parte di sé volesse sfuggire da quel posto. « Mi dispiace per ieri » bofonchia, col volto ancora coperto. « Stavo... » cazzeggiando alla Domus Aurea. Avresti il diritto di prendermi a calci anche se ti dicessi la verità. « Non mi sentivo bene, te l'ho detto. » Si stringe nelle spalle, e finalmente solleva lo sguardo, puntandolo in quello dell'amico. « Mi spiace se non ti piaccio più. » C'è un velo di tristezza nei suoi occhi, che tuttavia viene accompagnato dal suo sguardo deciso. Per quanto possa riconoscere, dentro di sé, di avere una parte della colpa, non è disposto a farsi additare ogni cosa dall'amico. Allarga le braccia. « Questo sono io, però. Sto crescendo, e non puoi arrabbiarti se qualche volta mi scappa una parolaccia. Se all'improvviso ti faccio così schifo forse dovresti smettere di essere mio amico, no? » Ferito, ecco come si sente. Tra tutte le cose che avrebbe potuto sopportare di sentirsi dire da Otis, quella sequenza di parole da lui scelta è forse stata la peggiore. Perché Émile in questo periodo sente di star facendo i salti mortali per essere migliore, più piacevole e simpatico per tutti, e proprio quando si sforza di essere apprezzato, proprio il suo migliore amico arriva a disdegnarlo in questo modo! « Forse ho cominciato a evitarti e non dirti le cose perché mi sento giudicato da te in ogni cosa che faccio. Se me la prendo per qualcosa è una scemenza, se invece non ci faccio caso sono io ad essere troppo strafottente. Niente che faccio ti va mai bene! E questa cosa mi ha stancato. » Incrocia le braccia al petto, con determinazione, senza mai distogliere lo sguardo da quello di lui.
     
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    Otis non si arrabbiava mai. La sua pazienza era talmente tanta che a volte suo fratello più piccolo Stanley si divertiva a testarne i limiti punzecchiandolo ripetutamente, persino per una settimana intera: canticchiava sempre la stessa canzone, masticava rumorosamente, fingeva di fargli accidentalmente cadere le cose e di inciampare scontrandosi contro di lui; era il suo personalissimo esperimento, sondare i limiti della pazienza di un ragazzino che sembrava il più saggio e calmo del mondo. Rimanendo assorto nel proprio mondo, intento a scrivere una relazione, o ascoltare la lezione, o a giocare ai videogiochi, reagiva alle sue provocazioni semplicemente rimediando agli inconvenienti da lui ingegnati. Così il più grande dei fratelli Branwell, tutto serio, chiedeva gentilmente a Stan di abbassare la voce, raccoglieva i libri che gli aveva fatto cadere, e gli chiedeva scusa quando era stato evidentemente lui a finirgli addosso, pur premurandosi di raccomandargli di fare più attenzione a dove andava. Era un autentico spettacolo della natura.
    Ma è chiaro che tutta quella frustrazione dovesse andare da qualche parte – anche se spesso lui neanche si sentiva infastidito, da quelle minuzie. Quando però qualcosa riusciva effettivamente a irritarlo, a superare quella coltre di indifferente benevolenza, proprio perché si trattava di un evento più unico che raro, Otis non sapeva bene come gestirsi. E sceglieva di fare la cosa più semplice: non parlarne fino a quando non diventava un autentico problema per lui, e fino a quando parlare significava, molto probabilmente, sbottare. Magari poteva persino sembrare più arrabbiato di quanto non fosse veramente, e, se ne rendeva conto adesso, Emi quel lato di lui, probabilmente, non l'aveva mai visto.
    Lo vide indietreggiare, veramente mortificato per quanto gli avesse detto, sebbene Otis non sentisse, in quel momento, di aver esagerato con lui. Ripassò mentalmente quanto appena pronunciato, e sentì che rispecchiasse quello che veramente pensava. Però forse aveva sbagliato il modo.... No, no! Lui era arrabbiato, per una volta in vita sua! Poteva dire le cose come gli veniva! Era un suo diritto, no? Rimase vicino all'amico, a braccia conserte, un po' imbronciato. «Mi dispiace per ieri. Stavo... Non mi sentivo bene, te l'ho detto.»
    Otis scosse la testa. A lui quel tipo di fesserie non poteva raccontarle: lo conosceva fin troppo bene. Merlino, sapeva persino a che ora usava il bagno!
    «Mi dispiace se non ti piaccio più» aggiunse poi l'amico, e l'espressione dura sul suo viso, inevitabilmente, si incrinò. Forse, dopotutto, aveva davvero esagerato. Emi non gli piaceva più, ma solo perché gli stava mentendo: se avesse detto la verità, invece di essere così evasivo, e se avesse ripreso a essere il suo solito sé, tutto sarebbe tornato come prima. Voleva dirglielo, che quel suo discorso non voleva dire che Otis non volesse più essergli amico, ma il Caposcuola lo precedette. « Questo sono io, però. Sto crescendo, e non puoi arrabbiarti se qualche volta mi scappa una parolaccia. Se all'improvviso ti faccio così schifo forse dovresti smettere di essere mio amico, no?»
    «No, Emi, non è questo che voglio dire... Tu non mi fai schifo!»
    «Forse ho cominciato a evitarti e non dirti le cose perché mi sento giudicato da te in ogni cosa che faccio. Se me la prendo per qualcosa è una scemenza, se invece non ci faccio caso sono io ad essere troppo strafottente. Niente che faccio ti va mai bene! E questa cosa mi ha stancato». Stavolta fu Otis a retrocedere, colpito da quelle parole. Emi le pensava davvero? Veramente sentiva che ci fosse quella disparità nel loro rapporto? E lui si comportava davvero da moralista, con l'amico? Otis aggrottò la fronte, confuso, spiazzato, lo sguardo che si spostava ora a destra, ora a sinistra, incerto. Da dove venivano fuori quelle accuse?
    «Beh, mi dispiace se ti sei sentito giudicato. Forse... Forse è perché non sono abituato a vederti così, e non riesco a stare al passo! Scusa tanto se il resto del mondo non è capace di adattarsi ai tuoi cambiamenti repentini, Em. Forse non riesco a starti dietro, forse vai troppo veloce per me.» Si strinse nelle spalle, la bocca imbronciata, lo sguardo basso.
    Tra i due ragazzi cadde il silenzio, che riempì la stanza come forse non era mai accaduto prima, in tutti quegli anni. Non voleva che quella discussione finisse così, quasi a implicare che, insieme con la conversazione, stesse per finire anche la loro amicizia. Otis provò ad alzare un po' la testa, per cercare lo sguardo dell'amico, e capire come si sentisse. «Io però voglio rimanere tuo amico...» Provò, un piede coperto dalle pantofole a forma di folletto della Cornovaglia che strofinava sul pavimento freddo. «Sei il mio migliore amico, Em... Anche se mi fai arrabbiare e sei sbadato e certe volte ti dimentichi di me e mi dici bugie – perché sono sicuro che me le dici. Questa cosa non cambia. Almeno da parte mia, non cambierà mai.» La sua espressione si fece solenne, il mento alzato e lo sguardo fiero. «Da parte tua?» Mantenne quella solennità anche mentre glielo chiedeva, quasi come un soldatino, come a dire anche se mi dici di no mi va bene lo stesso, sono forte e tutto d'un pezzo. Però, in fondo, sperava dicesse di sì, e che avrebbero potuto trovare un modo per rimediare a tutta quella brutta faccenda.


    Edited by the educator - 13/3/2020, 17:10
     
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    A vederli da fuori, per chi non li conosceva bene, c'era quasi da chiedersi per quale motivo Émile ed Otis fossero amici. Come poteva il loro legame essere così profondo quando, a conti fatti, i due giovani Tassorosso erano agli antipodi? Uno silenzioso e riservato, l'altro rumoroso ed espansivo; uno coscienzioso e dai modi pacati, l'altro per lo più inopportuno. Due caratteri opposti che per qualche stramba ragione riuscivano a sposarsi alla perfezione, creando un'amicizia che era forse qualcosa di più, una fratellanza quasi. E se avessero dovuto tentare di spiegare, in qualche modo, quali fossero i pilastri fondanti di quel legame, nato per caso la sera del primo cenone a Hogwarts, i due amici sarebbero stati costretti a riflettere per qualche minuto, prima di raggiungere una risposta esaustiva. Condividevano interessi simili, certo, ma non erano il Black Market né tutti gli altri passatempo a rendere indissolubile quell'amicizia. Émile non era un tipo che perdeva tempo con riflessioni di questo tipo, ma se l'avesse fatto si sarebbe dato una spiegazione semplice, seppur efficace: lui e il suo compagno di avventure erano come lo yin e lo yang, quel cerchio coi colori diversi, col pallino nero dentro a quello bianco e vice versa, che insieme si univano e facevano una figura unica. Insomma, tutta quell'epopea lì che i giapponesi (o cinesi?) si erano inventati per spiegare che alla fine nel mondo la risposta è completarsi, non riconoscersi.
    E nonostante ciò, nonostante l'intensità del loro legame che scomodava perfino il misticismo asiatico, il suo yin (perché lui è decisamente più uno "yang", è ovvio) se ne sta lì, diritto in piedi davanti a lui, a confessargli che non gli piace più. E forse Émile salta un po' presto alle conclusioni, ma la sua mente da teenager quindicenne ancora incapace di riconoscere le sfumature non vede poi tanta differenza tra il non piacere e il fare schifo: per questo l'affermazione di Otis è un duro colpo da incassare, tanto che subisce tutto il resto a sguardo basso, seduto sul proprio letto, come in posizione difensiva. Perfino quando l'amico tenta di rassicurarlo che le cose non stanno propriamente come le ha messe lui, che c'è una bella differenza tra quei due concetti, Émile non sembra sentirlo davvero. Gli faccio schifo, riecheggia nella sua testa, mentre un misto di desolazione e rabbia monta dentro di lui. È arrabbiato, sì, perché lui non si fa schifo in questo periodo, e al contrario si piace più del solito, e l'idea che a Otis questa versione migliorata di lui non vada giù può soltanto farlo imbestialire.
    « Beh, mi dispiace se ti sei sentito giudicato. Forse... Forse è perché non sono abituato a vederti così, e non riesco a stare al passo! Scusa tanto se il resto del mondo non è capace di adattarsi ai tuoi cambiamenti repentini, Em. Forse non riesco a starti dietro, forse vai troppo veloce per me. » Nell'udire quelle parole, il Tassorosso prova una punta di rammarico. Inizia a rendersi conto che nella sua testa potrà cercare di giustificarsi in ogni modo, inventando le scuse più assurde - ma la verità è che Otis è sempre lo stesso, con le stesse aspettative e gli stessi desideri, e, per quanto lui possa voler continuare a riconoscere all'eccessiva stazionarietà dell'amico parte della colpa, se le cose tra loro stanno cambiando ciò è principalmente dovuto a lui: al suo improvviso cambio di abitudini, alle sue nuove amicizie, alle sue aspirazioni che crescono sempre di più. In sostanza, quel litigio ha un nome ben preciso: Clavis Aurea. Il giovane sospira stancamente, alzandosi dal letto e dirigendosi a passo pesante verso la propria scrivania. Si versa un bicchiere d'acqua fino all'orlo, che beve tutto d'un sorso, come se questo potesse sortire un effetto calmante su di lui. Sta cominciando a realizzare davvero le conseguenze delle sue azioni - delle sue promesse - e capisce che non è per niente facile come credeva. « Io però voglio rimanere tuo amico... » No, non è per niente facile. Sospira, abbassando lo sguardo sulle assi di legno del pavimento, e ritrovandosi a sbattere più velocemente le palpebre per ricacciare indietro il velo di lacrime che affiora. « Anch'io voglio rimanere tuo amico. » E ci crede fermamente, in ciò che dice, per quanto il suo tono tentennante possa far trasparire dell'altro. Ma Émile sta avvertendo per la prima volta il peso di quel segreto, la serietà di quello che gli è stato chiesto di fare. O meglio, di non fare. E realizza, in quel frangente, mentre il suo migliore amico lo guarda dall'altra parte della stanza con la speranza negli occhi, che quello è il punto di svolta: che esattamente in quel momento, in quella stanzetta piccola e disordinata dei sotterranei di Hogwarts, l'universo sta segnando una pietra miliare dell'amicizia di Émile ed Otis, sancendone la chiusura di un capitolo. Volevo che tutto cambiasse. Volevo essere più divertente, popolare, apprezzato. Però questo... proprio questo doveva restare com'era. « Sei il mio migliore amico, Em... Anche se mi fai arrabbiare e sei sbadato e certe volte ti dimentichi di me e mi dici bugie – perché sono sicuro che me le dici. Questa cosa non cambia. Almeno da parte mia, non cambierà mai. Da parte tua? » Sospira a fondo, prima di sollevare lo sguardo e ruotare leggermente il corpo, fino a fronteggiarlo. Si appoggia alla propria scrivania con il bacino, e punta gli occhi nocciola in quelli chiari dell'amico. È nervoso, scosso da quell'improvvisa consapevolezza. Sta cambiando tutto quanto, ed è colpa mia. « No. Cioè sì... Voglio dire no- Mi sono perso, Otis. » Per un attimo alza gli occhi lanciando uno sguardo esasperato verso il soffitto, come a voler chiedere al cielo una mano. « Sei il mio migliore amico, Otis. Questo non cambia. Non deve cambiare. » Quelle ultime parole le pronuncia in tono quasi supplichevole, come delle scuse anticipate per tutte le mancanze che già sa avrà nei suoi confronti. Perché, alla fine, il punto è sempre quello: non potrà far altro che mentirgli, fino alla fine della scuola. Negli ultimi giorni si è ritrovato a fantasticare l'immagine di Otis che finalmente entra a far parte del Clavis Aurea, e lo trova lì, in quello sgabuzzino puzzolente dove avviene l'iniziazione, e finalmente capisce. Si è immaginato guardarlo fiero, abbracciarlo forte e dirgli: Capisci, ora? Capisci perché ho dovuto mentirti tutto questo tempo? Ma tutte le volte che si è beccato a vagheggiare in questo modo, è stato costretto a tornare coi piedi per terra, ricordandosi che questa fantasia è ben poco realizzabile. Ha parlato delle sue frustrazioni anche con Derek, il quale gli ha spiegato i motivi delle regole di ammissione della Confraternita assai rigide, ma l'ha anche rassicurato del fatto che, col tempo, anche queste ultime diventeranno meno ferree. Dalla sua, ha un progetto ben chiaro nella mente: lavorare sodo per acquisire popolarità all'interno della Confraternita, ed essere eletto Presidente. Dopodiché, avrà un'influenza tale da poter scegliere chi far entrare e chi no, e Otis sarà senza dubbio il primo, e lo nominerà suo Vice. Ma fino ad allora, la risposta per mandare avanti la loro amicizia - senza rischiare di crepare nel frattempo - è una, e una sola: continuare a mentire, spudoratamente e senza rimorsi. Sospira, cercando di raccogliere un po' di coraggio. « E... hai ragione tu.
    Non sono stato onesto con te. »
    Le scuse dello stare male e dell'essere impegnato non reggono, l'ha capito - non a lungo andare, questo è ovvio. Ha bisogno di un qualcosa di più solido, sensato, che possa convincere Otis della sua buona fede. « È vero che scappavo via la notte, che sono stato distante, e ho avuto altro nella testa. Mi dispiace se ti ho mentito. L'ho fatto perché... » perché??? Pensa, Emi, pensa! « ...non volevo che ti sentissi escluso. La verità è che - indugia, un momento, prima di puntare gli occhi scuri in quelli di lui. Mi crederà? Avrà senso? O la va o la spacca! - Mi sono fidanzato. » Deglutisce rumorosamente. Ecco. Ormai il danno è fatto. Tienitelo buono! « La notte lasciavo i dormitori per vedermi con... la mia ragazza. Sì, proprio lei. E anche l'altro giorno... Ero con lei. Sai, stiamo ancora da poco tempo insieme e vogliamo sfruttare tutti i momenti possibili. Però, ecco, spero che questo non sia un problema. Lo sai che io ti voglio bene e mi diverto a passare del tempo con te. Non voglio che questa cosa cambi. Va bene? » Che faccia di culo che sei, Em!


    Edited by (icarus) - 11/3/2020, 13:06
     
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    «No. Cioè sì... Voglio dire no- Mi sono perso, Otis» L'espressione fiera e solenne che Otis rivolgeva verso l'alto venne inevitabilmente incrinata da quelle parole, per qualche secondo. Si era perso? Cioè, si era smarrito lungo quel percorso tortuoso che era diventata la loro amicizia?! Lo stava “lasciando”?! Il piccolo Tassorosso non potè fare a meno di strabuzzare un po' gli occhi, saettati sul volto dell'amico, lasciando trapelare puro panico al sentire quelle parole. No? In che senso no? “No, non voglio più esserti amico” oppure “no, non cambierà mai”? Mentre Émile rivolgeva uno sguardo al cielo, esasperato, Otis registrò mentalmente che quella fosse la fine della loro amicizia. Proprio quella notte, tra il 14 e il 15 febbraio del 2020, fu annoverata in quell'istante la più brutta, orrenda, schifosa, terribile serata della sua intera vita. Annuì, cercando di ricomporsi, per fingere una diplomazia e maturità che credeva fosse opportuno mostrare in queste situazioni. Un po' come si immaginava andassero le rotture tra due fidanzati, no? Ci si stringe la mano, ci si ringrazia per il tempo speso insieme e i bei ricordi, si fa ammenda per quanto si ha sbagliato e si va avanti. Inspirò, pronto a porgere la mano al suo ex migliore amico, ma lui lo precedette.
    «Sei il mio migliore amico, Otis. Questo non cambia. Non deve cambiare». Otis emise un sospiro di puro sollievo, che poi tentò di nascondere prendendo a tossicchiare in modo sommesso. «Bene, bene, sono contento che siamo d'accordo.»
    Però quella facciata un po' indifferente non riuscì a scrollarsela di dosso, e questo perché in fondo Otis era ancora ferito e un po' arrabbiato per quel cambiamento improvviso nel loro rapporto – che comunque Emi non aveva ancora giustificato. D'altro canto, però, lui non avrebbe ulteriormente insistito, e avrebbe cercato di fare del suo meglio per adattarsi al nuovo stile di vita dell'amico, non senza, però, una certa quantità di rammarico.
    Otis era una creatura abitudinaria, un ragazzino che nelle tiepide acque della comfort zone ci sguazzava più gioioso che mai: violare le regole, rompere le proprie metaforiche barriere verso il mondo esterno, fare un passo fuori dalla bolla di protezione che si era creato... Tutti questi concetti sembravano così faticosi e sopravvalutati. Insomma, perché cambiare una cosa se funziona perfettamente? Questa era la sua filosofia di vita, questo il motivo per cui indossava quasi sempre gli stessi abiti, quando non era in divisa scolastica; questo il ragionamento dietro a praticamente buona parte della sua intera vita: le cose nuove sono, molto spesso, decisamente peggiori di quelle vecchie. E con lo spirito conservatre di un nonnino, piuttosto che quello innovatore e progressista di un giovane di 16 anni, conduceva la sua vita nel rispetto delle regole, delle routine, delle abitudini. Si trovava bene così, e qualsiasi cambiamento, Émile lo sapeva bene, gli costava decisamente più sforzo rispetto agli altri, e più tempo – ma alla fine ci arrivava sempre.
    «E... hai ragione tu. Non sono stato onesto con te.» Otis annuì, andando a recuperare Elvis, il suo ranocchio, per accarezzarne il dorso viscido e scivoloso, seduto a terra, la schiena poggiata contro le gambe del letto – in posizione d'ascolto. Elvis gracidò un paio di volte, per poi tornare quieto e starsene pigramente nel grembo del padrone.
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    «Sappi che qualsiasi cosa sia puoi dirmela... Proverò a non giudicarti, davvero, lo prometto. Parola di Berretto Rosso.» Accompagnò quella promessa a tre dita alzate.
    «È vero che scappavo via la notte, che sono stato distante, e ho avuto altro nella testa. Mi dispiace se ti ho mentito. L'ho fatto perché non volevo che ti sentissi escluso. La verità è che mi sono fidanzato». Otis ebbe l'assoluta certezza che il rumore che aveva prodotto deglutendo si fosse sentito in tutta la stanza – forse persino fuori.
    «Oh! Oh... Fidanzato...» Chinò la testa, fingendo di star guardando Elvis, rimanendo però a fissare un punto sul pavimento.
    «La notte lasciavo i dormitori per vedermi con... la mia ragazza. Sì, proprio lei. E anche l'altro giorno... Ero con lei. Sai, stiamo ancora da poco tempo insieme e vogliamo sfruttare tutti i momenti possibili. Però, ecco, spero che questo non sia un problema. Lo sai che io ti voglio bene e mi diverto a passare del tempo con te. Non voglio che questa cosa cambi. Va bene?»
    Annuì, forse più per convincere se stesso che non l'amico. Quella sì che era una botta improvvisa. Un cambiamento che non avrebbe dovuto sconvolgerlo più di tanto, sebbene fosse pur sempre un cambiamento, perché in fondo aveva una ricaduta minima sulla sua vita. Ma nonostante ciò Otis rimase interdetto per qualche secondo, per poi sentirsi, improvvisamente, avvolto da una forte tristezza, amplificata dalla sensazione che avrebbe dovuto sentirsi felice per lui. Non era invidioso dell'amico, e non era per quello che si sentiva triste. In fondo, era decisamente entusiasta per lui – sempre che ciò che aveva detto fosse la verità. Ma quella era la serata sbagliata per quella nuova notizia. Al sapere che anche il suo migliore amico si era fidanzato, il senso di solitudine che lo aveva seguito tutta la notte lo raggiunse e lo abbracciò stretto. Le sue spalle un po' si abbassarono sotto il peso di quella scoperta, e lo sguardo vagò per qualche secondo sulle assi del pavimento. Sono rimasto solo io single? Cos'ho che non va?
    «Sono veramente contento per te, Em. Veramente.» Si alzò, riponendo Elvis nella sua teca, prima di accarezzarlo un'ultima volta sulla testa e sul dorso. «Chi è lei? La conosco?» Cercò di concentrarsi su di lui, e su come quella nuova fase della sua vita doveva farlo sentire; immedesimandosi nei panni dell'amico riuscì a dimenticarsi un po' della sua solitudine di quella sera, e pian piano cominciò a rincuorarsi. «E lei non era gelosa che tu partecipassi alla serata di San Valentino?» Aveva chiesto poi, non tanto per verificare la sua storia quanto genuinamente curioso sul loro rapporto. «E lei era lì? Se c'era... Perché non siete usciti insieme?» Lo interrogò infine, sbadigliando pigramente, e ciabattando di nuovo verso i piedi del letto, per sedersi.
     
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    « Oh! Oh... Fidanzato... » Sì. Fidanzato. Émile annuisce con finta convinzione a quelle parole, e la sorpresa evidente negli occhi chiari dell'amico lo persuade a credere di aver scelto la scusa più giusta. C'è qualcosa, tuttavia, nell'espressione di Otis, che lo perplime. Sembra... deluso? Émile si allontana dalla propria scrivania, trascinandosi dall'altra parte della stanza, fino al proprio letto. Più guarda l'amico e meno ne comprende la reazione: che Otis davvero potesse non approvare una notizia di questo tipo? Che fosse geloso di lui a tal punto da rammaricarsene? Trattiene il respiro, la fronte corrugata e la lingua stretta tra i denti, mentre implora mentalmente l'amico di dire qualcosa. « Sono veramente contento per te, Em. Veramente. » Le labbra del Tassorosso s'incurvano in un ampio sorriso, fino a mostrare le due file di denti bianchi. Non saprebbe spiegarne il motivo, eppure in quell'istante riesce ad avvertire come un peso alleggerirsi sul suo petto. Poco importa che quella storia sia inventata di sana pianta, e che non esista, di fatto, nulla di cui essere lieti: il sentimento di gioia che Otis dimostra è genuino, e ciò è sufficiente a rincuorare il giovane Caposcuola. Per lui rappresenta quasi una piccola prova del nove, che gli assicura che adesso è di nuovo tutto a posto, e che forse possono sperare di ricostruire un rapporto per lo più normale, quanto il più possibile simile a quello solito - menzogne e omissioni di Émile a parte. Otis gli regala, insomma, un sospiro di sollievo prima della doccia fredda: « Chi è lei? La conosco? » Il Tassorosso strabuzza gli occhi, prima di distoglierli dall'amico e ritrovarsi improvvisamente impegnato a disfare le coperte del proprio letto. Oddio, e ora? Si dà dello stupido, in quel frangente, perché non esisteva niente di più ovvio e prevedibile di quella domanda, alla quale però lui non aveva una risposta pronta. I suoi occhi saettano da una parte all'altra, mentre cerca di ragionare in fretta. Non può non rispondergli, è chiaro: l'amico s'insospettirebbe ancora di più, e tutti i suoi sforzi sarebbero vani. Deve tirare fuori un nome: dovrebbe inventarsene uno a caso? O tirare in ballo qualcuno che conoscono, per rendere la cosa più credibile? Nel frattempo, come se lo stress non fosse abbastanza, il compagno di stanza lo riempie di tutte le sue curiosità in merito. « E lei non era gelosa che tu partecipassi alla serata di San
    Valentino? E lei era lì? Se c'era... Perché non siete usciti insieme? »
    Si asciuga la fronte, il nervosismo evidente nei suoi occhi. Capisce di star perdendo tempo, e di apparire ogni secondo che passa sempre meno credibile. Un nome, Emi, tira fuori un nome! Uno a caso ma dillo! « Veronica Rigby. » SÌ MA NON QUESTO!!! Si accorge di aver scelto forse la peggiore candidata tra le studentesse di Hogwarts nel medesimo istante in cui quel nome lascia le sue labbra, e lui nota l'espressione dell'amico mutare. In preda al panico, i suoi occhi si sono posati su una parete di fronte a lui, accanto alla scrivania del compagno, dove una sua foto insieme alla Grifondoro ha colto la sua attenzione, tanto da spingerlo a pronunciare quel nome. « Sì, insomma... Sto con Veronica. » Tra tutte le ragazze del castello, proprio la migliore amica di Otis? Si morde il labbro inferiore, con tanta forza da iniziare a sentire il sapore rugginoso del proprio sangue. Sei un idiota, ecco cosa sei! Studia attentamente la reazione del suo interlocutore, mentre si sforza di controllare i danni e attenuare l'impatto di quella notizia, che ormai non può più rimangiarsi. « Stiamo insieme da poco, però. E Veronica non vuole che si sappia. Ecco perché non ci hai visti in giro. Quindi, ecco, magari non gliene parlare per favore. Sai com'è lei... » Perché tu, Emi, che ci hai parlato tipo tre volte in vita tua, di sicuro non lo sai com'è Veronica. Respira a fondo. « Insomma, è molto riservata per questo genere di cose » aggiunge, sparando completamente a caso. Ci può stare? Ha senso? Forse no ma ormai è andata. « Questa sera non siamo usciti perché lei aveva da fare... Sai... Con le sue cose... » Le sue cose cosa? Ma poi che fa Veronica Rigby nella vita?! Deglutisce rumorosamente, mentre è intento ad allargarsi con le dita il colletto del pigiama di flanella. « Beh, lei è un po' gelosa in effetti, ma io alla serata sono voluto venire comunque, perché era organizzata dal giornalino... E poi era una cosa importante per te. Se qualcuno mi avesse scelto avrei... Ecco, ci sarei uscito in amicizia. San Valentino dopo tutto è anche la festa dell'amicizia no?! » Ci tiene a ricordarglielo, quest'ultimo dettaglio, mentre solleva entrambe le sopracciglia e lo guarda con fare eloquente, come a volergli dire: ti prego non mi uccidere proprio adesso.
     
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    Albus Silente, nel piccolo cerchio in cima alla lancetta dell'ora dell'orologio da polso di Otis, si mosse fino al numero 12. In quel preciso istante, o forse qualche attimo prima, un fulmine illuminò il cielo buio e minaccioso fuori dalla finestra della camera dei Tassorosso. I temporali, in qualche strana maniera, sembravano rassicurarlo. Si portò le gambe al petto, improvvisamente avvertendo freddo, ma deciso a rimanere per terra per non dare l'impressione di voler andare a dormire – sebbene un po' il sonno cominciasse a sopraggiungere. Cinse le ginocchia con le braccia, e poggiò il mento nell'incavo tra le gambe piegate. Era veramente felice per Emi – non aveva mentito. C'era solo stato un breve attimo in cui la parte peggiore di sé, quella più gelosa, segretamente possessiva e un po' invidiosa aveva fatto capolino, stringendogli appena la bocca dello stomaco in un moto di sconforto. Ora però era già sparita, e le guance arrossate del giovane Branwell ne parevano quasi la testimonianza, come quando, dopo aver pianto, finalmente si trova la calma.
    «Veronica Rigby». E la calma sparì. «Sì, insomma... Sto con Veronica.»
    Non disse niente in quel momento, Otis, strabuzzando gli occhi e indeciso su come reagire – principalmente perché ancora incapace di registrare pienamente l'informazione che gli era stata data. Era felice per loro? I suoi due migliori amici insieme? Era invidioso? Spaventato che lo tagliassero fuori, presi dalle loro smancerie da fidanzatini? No, conosceva entrambi, e per quanto non fosse certo che Emi avrebbe mantenuto un comportamento dignitoso e avveduto, sicuramente V non era tipa da dimenticarsi di lui perché improvvisamente innamorata: l'amicizia con entrambi poteva dirsi salva. E allora perché quell'agitazione nel petto? «P-Perché non mi avete detto niente?» Fu la naturale risposta, ad alta voce, a quella domanda.
    «Stiamo insieme da poco, però. E Veronica non vuole che si sappia. Ecco perché non ci hai visti in giro. Quindi, ecco, magari non gliene parlare per favore. Sai com'è lei... Insomma, è molto riservata per questo genere di cose». Sì, ma anche con me? E poi, prima di fidanzarsi con qualcuno ci dev'essere un periodo in cui ci si frequenta, e un periodo ancora precedente in cui ci si piace, ci si nota, si pensa all'altro... Un po' come faceva lui con Maddie, ecco. Ma nessuno di loro due era mai venuto da lui a parlare, a confidarsi, a sfogarsi. Completamente tagliato fuori.
    Chinò la testa, rammaricato dalla constatazione che i suoi unici due migliori amici sulla faccia del pianeta avessero tenuto un segreto così con lui.
    «Questa sera non siamo usciti perché lei aveva da fare... Sai... Con le sue cose...» Ormai Otis ascoltava solo in parte le parole dell'amico, mentre cercava di mettere insieme i pezzi di quel puzzle e di cercare di capirci di più, di realizzare le implicazioni di quella confessione. Si passò una mano sul volto, un po' provato, prima di espirare rumorosamente.
    «...San Valentino dopo tutto è anche la festa dell'amicizia, no?!» Annuì distrattamente, mordicchiandosi le labbra. «Mi serve un po' di tempo per digerire questa cosa... Però sono contento... Per voi... Sì... Uhm... Scusa, mi serve solo elaborarla un po'» mormorò tirandosi su, facendo leva su una delle colonnine del letto a baldacchino. Non voleva dare all'amico l'impressione di essere geloso o invidioso, o troppo preso da sé per poter essere felice per lui, in un momento importante nella sua vita come quello, ma non voleva neanche mentire e nascondergli la propria perplessità ed esitazione allo scoprire quanto entrambi i suoi più cari amici gli avessero tenuto nascosto per chissà quanto tempo. Sebbene non fosse il tipo di persona da lasciar trasparire ogni emozione e cambiamento di umore, perché convinto che non sia sempre legittimo e corretto farlo, Otis non volle e non riuscì a fingere. Prima o poi sarebbe riuscito ad essere sereno, ma quello non era il momento.
    E mentre augurava all'amico una buona notte, ripensò al viso di Maddie, sorridente verso Tuesday Mortimer, e si chiese dove fossero in quel momento, e stessero ancora insieme all'appuntamento o se fosse già finito, e se magari lei aveva il cuore che batteva forte per lui, dopo quella serata. Si chiese anche perché tutti fossero così ossessionati dall'amore, lui compreso; perché non si può fare a meno di trovarsene circondati, e come mai, per quanto uno voglia tirarsene fuori e non averci niente a che fare, questo ogni volta trovi un modo per scivolare sul pavimento e colare dalle pareti fino ad avvolgerli tutti, inesorabilmente. Un tuono si udì proprio mentre Otis si addormentava, con la fronte corrucciata e un solo pensiero in testa: io lo odio, l'amore.
     
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