Now I gotta cut loose

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    Le probabilità più compatibili con l'evenienza di sorprendere una Beatrice Morgenstern a una serata danzante del Suspiria, comprendevano solo ed esclusivamente ipotesi assurde e irrealistiche come ad esempio una commozione cerebrale, una sfida dello Shame, un caso piuttosto evidente di passaggio a una realtà parallela oppure una quasi-plausibile forma di regressione mentale scatenata da un generale senso di inadeguatezza. Non era stata Tris a trovare quella serata; era stata la serata a trovare lei e il senso di inadeguatezza aveva di certo giocato un ruolo fondamentale nel recarsi nel locale quella sera. Una semplice serata organizzata per i collegiali, forse per scongiurare le ultime vicissitudini avvenute nel campus negli ultimi tempi, oppure semplicemente come ultimo, inesorabile campanello di rientro alla realtà. La vita va avanti, anche se ci piove merda addosso da ogni lato. Avrebbe voluto mandare un messaggio a Dean o Malia, dire loro che sarebbe passata, ma se si fosse decisa a passare una normale serata in compagnia dei suoi amici, come ai vecchi tempi, il suo smartphone, aveva smesso di funzionare già da una settimana. Non aveva avuto le forze per ribellarsi anche a quel divieto imposto dal Ministero, occupata com'era a pensare a come districarsi tra i suoi personali problemi. Inverness non era più Inverness; non come deciso in seguito al lungo processo della Restaurazione, e non lo era più neanche in un senso più pragmatico: le persone iniziavano a perdere la propria fiducia. Stavano perdendo la fede, forse addirittura la lealtà. Sapeva che avrebbe dovuto reagire in qualche maniera, eppure, tutto ciò a cui riusciva a pensare nelle ultime settimane era l'immagine del corpo esanime di Eric Donovan, ora disperso chissà dove, nelle mani di chissà chi. Ne era rimasta in un certo qual modo paralizzata. Tris aveva assistito a diverse perdite; si era dimostrata fredda e spietata nel suo metro di giudizio, ma in fondo, doveva ammettere di essere comunque niente più che una ventenne, che di fronte alla macabra realizzazione di aver visto il suo ex ragazzo perdere la vita durante un viaggio di piacere, che si era trasformato in poco più di qualche ora in un incubo, le sue reazioni si erano omologate a quelle di qualunque giovane adulta a cui veniva tolta ogni certezza. Sapeva che per molti, più della tragica morte di Eric, era contata l'esperienza. Molti avevano parlato di un secondo lockdown. La giovane Morgenstern dal canto suo, non aveva avuto né il tempo, né il modo di veder materializzare nella propria mente quell'ipotesi. Forse perché, in fondo, lei il lockdown l'ha vissuto in maniera differenza da molti altri. Aveva avuto ben poche volte paura, tra le mura del castello; non si era mai scompigliata, quasi come se, per quell'esperienza, fosse stata preparata psicologicamente prima ancora di doverla affrontare. Ciò a cui non aveva fatto caso invece, era la guerra di logoramento; quel continuo vedersi colpire pur non abbassando mai la guardia, pur non tenendo mai il fianco scoperto, pur impegnandosi sempre e comunque, a mantenere qualunque cosa sotto controllo. E quindi eccola lì, completamente noncurante di chi potesse sorprenderla in un ambiente a cui non apparteneva più; un posto colmo zeppo di suoi coetanei, un gruppo con cui sembrava non avere proprio nulla in comune. « Ti va di ballare? » L'atmosfera all'interno del locale appare normale; un comune sabato sera in un campus pieno zeppo di giovani studenti alle prese con la prima esperienza di vita lontani da casa, senza regole particolarmente pressanti. Il ragazzo che si ferma di fronte al suo tavolino, è certa di non averlo mai visto; ha un accento straniero. « Perché? » Chiede in compenso la giovane Morgenstern sulla difensiva. Lui le sorride stringendosi nelle spalle. « Perché ti ho notata » Le indica un tavolo attorno al quale ci sono diversi ragazzi. Stanno osservando la scena con un certo interesse. Nessuno di loro sembra riconoscerla, e lei dal canto suo è certa di non conoscere nessuno di loro. « Sei sola da parecchio. Aspetti qualcuno? » Tris solleva un sopracciglio con fare sarcastico, osservando il moro con aria disinteressata. Ha il perfetto cipiglio del rimorchiatore seriale. La personificazione di un individuo di cui normalmente non si fiderebbe. « No. » Risponde francamente, gettando un'altro sguardo in direzione del gruppo da cui il giovane proviene. « Io sono Aaron. » Le allunga la mano, prima di rivolgerle un cenno eloquente in direzione della pista. Tris resta a osservarlo per qualche istante piuttosto titubante. Un tempo avrebbe chiuso quella faccenda con un sonoro levate dalle palle, simile a quello utilizzato anche nei confronti di alcuni studentelli, che erano riusciti a intercettarla non più lontano di qualche settimana prima. Si morde il labbro inferiore e alla fine afferra la mano di Aaron, alzandosi. « Theo. Piacere mio. » Butta lì il primo nome che le viene in mente, lasciandosi trascinare sulla pista.
    Dopo un paio di birre, tutto appare più semplice. Il gruppo di Aaron è olandese. Sono arrivati per uno scambio per un corso di aggiornamento. Condividono insieme una casetta piuttosto affollata a Hogsmeade e ai loro venticinque anni sembrano vivere la migliore delle vite. Quel gruppo pullula di entusiasmo e di voglia di conoscere. Vogliono conoscere Theo. Tra un giro alla roulette, e una chiacchiera, Tris si accorge di essere stata letteralmente rimorchiata, ma per una volta sembra ignorare di proposito i segnali che le indicano il fatto che a breve dovrà scomparire in una nuvola di fumo prima che sia troppo tardi. Tra battute e racconti vari, la giovane Morgenstern si distrae. Ride e scherza in compagnia di questi forestieri entrando perfettamente nel personaggio che si è stabilita per la serata. Un momento sospeso nel tempo in cui nessuna tra queste persona sa chi è, cosa fa nella vita, o quanto terribile sarà il rientro alla vita di tutti i giorni. Complice il sovraffollamento del locale, per un po', si scorda persino di dover stare attenta. Dimentica, Tris, che in qualunque momento uno dei suoi conoscenti potrebbe irrompere nel suo angoletto di felicità fittizia, rovinandole il momento di gloria. E' un anestetico potente, quello che esercita il gruppo su di lei, a tal punto che il sorriso della giovane alfa è davvero genuino. E' come se fossi qualcun altro. Probabilmente lo è per davvero. In un certo qual modo, si accorge, che in compagnia delle persone che conosce non riesce a lasciar andare i propri freni inibitori, non riesce a non essere la stessa copia di se stessa che ha sempre presentato a tutti sin da quando aveva a malapena quattordici anni. Tris è la bambina inflessibile, la giovane dalla lingua tagliente, irriverente alle regole ma al contempo rigida ed estremamente puntigliosa. E' la lycan ligia al dovere e fedele alla causa. La regina di un tempio sacro sospeso nel tempo sull'orlo di una crisi politica. Non so per quale ragione non sono riuscita a essere così nemmeno lontana da casa. Si ricordava bene la vacanza in America con la migliore amica. Nemmeno allora, Tris è riuscita a lasciarsi andare. Forse in fondo il problema non sono io. O forse lo sono. Ma lo sono anche gli altri. Si aspettano determinate cose da parte mia, ed io, non riesco a fare a meno di mostrare loro esattamente ciò che si aspettano. Da imprevedibile, Beatrice Morgenstern, si rese conto di esser diventata la persona più prevedibile sulla faccia della terra. Chiunque con un briciolo di intelligenza avrebbe potuto anticipare le sue mosse, le sue reazioni, il modo in cui si sarebbe posta in una situazione piuttosto che in un'altra. Aaron alzò di scatto la posta in gioco, posandole una mano sul fianco, sotto lo sguardo attento di uno de suoi amici dall'altra parte del tavolo. Tris non si scostò, volgendo tuttavia lo sguardo dal lato opposto rispetto al ragazzo. E fu allora che il suo sorriso svanì. Di colpo il richiamo alla realtà. Un campanello che la obbligò ad abbassare lo sguardo e deglutire. Seduta a un tavolino dall'altra parte della sala, in compagnia di quelle che immaginava potessero essere alcune sue compagne di corso, c'era niente meno che Fawn Byrne. Tentò di dissimulare per qualche istante, ma poi, i loro sguardo si incrociarono nuovamente. Fu allora che Beatrice si irrigidì sulla sedia, allontanò la mano del ragazzo e si portò la bottiglia di birra alle labbra. Per quella che sembrò un'eternità racchiusa in un istante, pensò di ignorare la presenza della ragazza. Stasera poi permettertelo. Stasera sei Theo. Ma il richiamo della coscienza la portò ben presto a indicare con un cenno veloce del capo alla Byrne il bancone, dove vi si diresse, con una scusa stupida, portandosi dietro la birra.
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    Attese che la ragazza l'affiancasse. Sospirò e infine si rivolse al barista. « Possiamo averne altre due? » Offro io. E dicendo ciò allungò in direzione dell'uomo un paio di galeoni, gettando uno sguardo in direzione del tavolo a cui era seduta fino a poco fa, evitando di proposito lo sguardo della ragazza. Si sentiva come una bambina, colta con le dita nel barattolo della Nutella a tarda ora. Come una sociopatica qualunque, Tris si era fatta di persone quella sera, risucchiando tutta il loro buonumore per farlo proprio. Senza poi molti risultati. « Ti sarei molto grata se non menzionassi questo episodio a nessuna delle persone che conosciamo. » Asserì infine a bassa voce, mantenendo una posizione di rigidità e freddezza. Tutto sintomo di una vergogna intrinseca; della paura che qualcuno era riuscito a carpire una sfumatura che doveva restare segreta. « Ho solo alzato un po' il gomito. Non c'è bisogno che la gente pensi che faccio anche queste cose. » Cose assolutamente normali. Sedersi in un bar in compagnia di altri giovani. Ridere e scherzare. Forse nella sua posizione il tutto appariva piuttosto scomodo, specie perché Beatrice sembrava piuttosto ostinata a relegare qualunque forma di svago di quella natura a perfetti sciocchezzuole che né lei, né i suoi amici, potevano permettersi. « Ti va di fumarci una sigaretta fuori? Sempre che le tue amiche non si offendano.. » Non vede Fawn da Berlino. L'ha intravvista sulla banchina della stazione in compagnia del suo ragazzo. Non aveva una bella cera ai tempi, ma d'altronde nessuno di loro sembrava particolarmente in sé. « Dopo credo che andrò comunque via, quindi non ti ruberò troppo tempo. »



     
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    Costringerti a mantenere un profilo basso non è poi così difficile, quando non hai più voglia di nulla. Una massima che Fawn Byrne aveva imparato a proprie spese, e che stava confermando in quel momento, seduta ad un tavolo con quattro compagne di corso, il cui invito aveva accettato non perché ne avesse voglia, ma perché si era detta, dopo un rapido esame delle possibilità a sua disposizione, che quella fosse la scelta che avrebbe fatto in condizioni normali. Le capitava sempre più spesso di prendere questa o quell'altra decisione pensando alla propria vita come a quella di un'altra persona. Come guardandosi da fuori. Non voleva destare sospetti. Una condizione forse normale, addirittura lecita, se questo suo modus fosse stato circoscritto a coloro i quali rappresentavano per lei una minaccia, considerata la sua situazione. Ma non era così. L'americana aveva esteso la cortesia del mantenere una facciata di normalità a tutto il mondo, senza distinzione, impedendo a chiunque di fare breccia nel suo spazio personale, magari scoprendo che non ci fossero altro che cocci, a quel punto. Era sempre stanca. E non ad un livello fisico - costringersi ad alzarsi al mattino non era mai stato un problema, come non lo era mai stato portare a termine i propri doveri - quanto a quello psicologico. Sembrava non le importasse più. Forse non le importava più. Forse, se ne avesse avute le facoltà, si sarebbe resa conto di star proponendo al mondo esterno la versione slavata di sé stessa, appena una controfigura in grado di portare a termine i propri compiti, ma che sembrava mancare della scintilla che l'aveva sempre contraddistinta. La Byrne era sempre stata una ragazza piena di vita, in grado di trovare del buono in qualunque situazione. Persino durante il lockdown, in qualche maniera, era riuscita a tenere alto lo spirito di chi aveva portato avanti le ricerche in biblioteca, insieme a lei e Dean. In quel periodo però, era come spenta. Quella controfigura propinata al mondo, proponeva a coloro che la circondavano risposte che avevano tutta l'aria di essere preregistrate, ma mai abbastanza da causare sospetti veri. Era brava a dissimulare. Brava a far finta. Diceva spesso di essere stanca; di fatto quel "non è niente, dovrei dormire di più" era diventata la frase che pronunciava più spesso a seguito di quei pesanti silenzi nei quali si trincerava a cadenza regolare. Ogni tanto le pareva di cogliere l'ombra del dubbio nello sguardo di coloro che la conoscevano particolarmente bene. C'erano momenti in cui si sentiva la coscienza sporca per quella sua incapacità di esprimere quel che le si agitava nel cuore. Specialmente quando si rendeva conto che lo sguardo preoccupato era quello di Erik perché non le piaceva mentirgli, sapeva fosse ingiusto. Eppure, se anche ci pensava, realizzava fosse per lei impossibile spiegare cosa le si agitasse davvero nell'animo perché le sembrava che tutti i suoi sentimenti si fossero amalgamati tanto da confondersi e diventare il nulla. E come avrebbe potuto spiegare il nulla? Non si spiega e basta. Non ci sono parole sufficienti a descrivere un buco nero. Perché un abisso diventi comprensibile, si era ripetuta, bisogna che l'altro lo tocchi con mano. E questo non era uno sgarbo che fosse disposta a fare. Non alle persone alle quali sapeva di voler bene.
    « ...Fawn? Che ne pensi? » huh? Lo sguardo dell'americana saettò sul viso di Ellie. Una ragazza tutta lentiggini, con una nuvola di capelli castani, sul cui visino troneggiava l'espressiojne di chi si aspetta una risposta. Aveva esposto un concetto di massima importanza? La rosso-oro, ad onor vero, non le aveva prestato troppa attenzione. Sebbene avesse annuito di tanto in tanto al suo racconto, per dare l'idea di star ascoltando, non poteva dire di averlo fatto sul serio. Per sommi capi, sapeva fossero lì perché Ellie aveva problemi col suo ragazzo ed aveva deciso di convocare una specie di summit per decidere sul da farsi. Sempre per sommi capi, sapeva che la giovane avesse passato l'ultima ventina di minuti in un rant ai danni del poveraccio.
    « Dana ha già detto tutto quello che c'è da dire, no? » Aveva stirato un sorriso, annuendo in direzione della bionda alla sua sinistra. « Poi vabbè, lo sai - sono dalla tua parte a prescindere. » Prese un sorso dal proprio bicchiere, aspettando di capire se la sua interlocutrice fosse o meno soddisfatta della risposta che le aveva dato. Considerato che non solo assunse un'espressione tronfia, ma ci mise poco a riprendere la propria filippica, concluse che quel salvataggio in corner fosse andato a buon fine. Distolse lo sguardo, riprendendo a sorseggiare il liquido all'interno del proprio bicchiere con svogliatezza, e lasciò che le iridi vagassero per il Suspiria. Ad onor del vero, non si aspettava di incontrare nessuno che conoscesse. Non che avrebbe fatto chissà quanta differenza, comunque.
    Quando vide Tris poco lontano, all'inizio non riuscì nemmeno a registrare quell'informazione. La vide distogliere lo sguardo e decise che quella sera la
    Morgenstern fosse impegnata in altro. Non si pose subito domande riguardo il perché fosse in un posto per lei così insolito solo perché a quel punto molti stimoli li registrava quasi a scoppio ritardato, come se tra lei ed il mondo ci fosse una patina che qualunque concetto doveva attraversare prima di giungere a quella parte del suo encefalo ancora connessa al mondo. Era chiaro che, per esempio, la possibile rottura di Ellie non fosse abbastanza importante perché lei si sforzasse di formulare un'opinione vera. O una risposta.
    Quando, tuttavia, notò che Beatrice Morgenstern le avesse fatto un cenno discreto di raggiungerla, qualcosa parve risvegliarsi. Tris non era la qualunque. La Morgenstern aveva una sua importanza nella vita di Fawn, tanto che ignorarla del tutto sarebbe in realtà stata una vera cafonata.
    « Scusatemi un attimo, ragazze. Torno più tardi. » Si gettò il cappottino sulle spalle, ringraziando di essere l'unica fumatrice in un gruppo di salutiste, appuntandosi mentalmente che sarebbe stato il caso di uscire a fumare a prescindere, dopo. Per credibilità. Quante erano le cose che ormai faceva per credibilità? Aveva smesso di contarle.
    « Possiamo averne altre due? » Aveva intanto raggiunto la giovane Morgenstern, e non aveva avuto il tempo di dirle alcunché che si era trovata davanti una birra. Poco male - pensò mentre ne prendeva un sorso generoso - almeno non devo subito pensare a cosa dire. Fu la stessa Tris, a sollevarla dall'onere di inventarsi un argomento di conversazione. « Ti sarei molto grata se non menzionassi questo episodio a nessuna delle persone che conosciamo. » L'americana inclinò appena il capo, osservando la figura dell'amica. Sembrava a disagio. Fawn, dal canto suo, era stata presa un po' in contropiede da quella richiesta. « Ma non c'è problema, Tris. Mi conosci, non - » sono cose che faccio. Un'affermazione, tuttavia, che non ebbe il tempo di completare perché la sua interlocutrice ci aveva aggiunto un: « Ho solo alzato un po' il gomito. Non c'è bisogno che la gente pensi che faccio anche queste cose. » Fawn, che aveva mandato giù un'altra sorsata di birra nel frattempo, poggiò il bicchiere ormai semivuoto sul bancone. « Va bene. » Le rispose, convenendo con sé stessa che rassicurarla sul fatto che quell'informazione non sarebbe uscita di lì fosse la miglior mossa da fare in quel frangente. « Non che ci sia nulla di male nel berti una birra, comunque. Ma va bene, non dirò niente se questo ti fa stare più tranquilla. » Le scoccò un piccolo sorriso che, per quanto stanco, era comunque affabile. Atto a suggellare il piccolo patto che avevano stretto. Passò qualche attimo di silenzio e la Byrne ne approfittò per finire quel che restava della sua birra. Era così fuori fase in quel momento, così tanto psicologicamente esausta, che non riusciva neppure a partorire uno starter di conversazione. Di nuovo, fu Tris a salvare inconsapevolmente la situazione, un attimo prima che quel silenzio diventasse troppo pesante. « Ti va di fumarci una sigaretta fuori? Sempre che le tue amiche non si offendano.. Dopo credo che andrò comunque via, quindi non ti ruberò troppo tempo.» Avrebbe voluto dirle tante cose, tipo: non sono mie amiche. Anzi, preferisco non uscire con le amiche in questo periodo perché almeno queste qui non mi conoscono troppo e quindi una differenza tra una risposta di circostanza ed una ponderata, non la conoscono. Se uscissi con le mie amiche, invece, capisci anche tu che diventerebbe un pochino problematico, alla lunga...
    Invece, si limitò ad annuire e, ad uno stranamente secco: « Stiamo sviscerando i loro problemi da due ore. E per due ore non mi sono mossa di lì - se si offendono, se la faranno passare. Altrimenti, beh...» Fece spallucce, quel altrimenti possono anche andarsene a fanculo restò ad aleggiare tra loro, espresso dallo sguardo eloquente e duro della mora. Un atteggiamento forse insolito per lei, sempre così incline a trovare un modo per far contenti un po' tutti. Non in quel momento. Non quando si sentiva già prosciugata. Con un sorriso appena abbozzato, dunque, fece cenno a Tris di seguirla all'esterno, aprendo loro la strada in mezzo alla gente che affollava il locale quel giorno. Le tenne aperta la porta e, solo una volta fuori e lontane da orecchie indiscrete (si erano allontanate di diversi metri da altri gruppetti di studenti intenti ad incatramarsi i polmoni) Fawn tirò fuori il pacchetto di sigarette dalla tasca, facendo cenno all'amica di favorire. Poi ne prese una per sé, l'accese, e lasciò che il chiacchiericcio lontano riempisse il tempo della prima boccata. Poi spostò lo sguardo, che aveva lasciato vagare davanti a sé, sulla figura atletica di Tris. Esalò una nuvoletta bianca. « È tanto che non ci vediamo. » E un po' dispiace non vederti. « Come stai, Tris? » Non era molto. Forse nemmeno la metà di quel che Fawn avrebbe normalmente detto. Era quasi sicura che, in un altro momento, nemmeno il loro tragitto dall'interno all'esterno sarebbe stato silenzioso: sarebbe stata la Byrne a riempirlo col suo entusiasmo. L'avrebbe quasi sicuramente stritolata in un abbraccio, incurante del fatto che la Morgenstern potesse non gradire quelle dimostrazioni d'affetto. Ora, invece, aveva fatto meno della metà. E la mano libera la teneva in tasca. Però, almeno, non stava fingendo.





    Edited by anagapesis - 19/3/2020, 08:44
     
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    Uscire all'aria aperta la fece rabbrividire. Non ricordava quando era stata l'ultima volta che si era sinceramente divertita. Forse durante la sua ultima vacanza. Quei tempi sembravano davvero lontani dalla situazione attuale. Seppur ai tempi lo sconvolgimento totale delle loro vite fosse già in atto, nessuno avrebbe potuto intuire che le cose sarebbero andate così in là, che tutto quanto sarebbe diventato nuovamente così complesso e complicato da afferrare. Una serie infinita di domande poste di fronte ai propri occhi, e nessuna risposte pronta a chiarire qualcuno dei tanti dubbi che sembravano imperlare le vite di tutti loro. Non appena Fawn tirò fuori il pacchetto di sigarette, Tris le sorrise debolmente e afferrò una delle sue bionde portandosela alle labbra. Si prese quell'istante per osservarla con attenzione. Piccola e minuta, la giovane Byrne aveva sempre dimostrato una forza d'animo impressionante; Tris l'aveva più e più volte darsi sempre da fare, nonostante tutto. Ha fatto i suoi errori in passato, come tutti loro, ha preso decisioni che non a tutti sono andate bene sempre, decisioni scomode e difficili, ma nonostante ciò era ancora lì, e nonostante tutto, la giovane Morgenstern doveva ammettere che, sembrava ancora una delle poche costanti in mezzo a un mare pieno di pesci che continuava a mutare costantemente, spesso e volentieri senza ragioni di senso compiuto. « È tanto che non ci vediamo. Come stai, Tris? » L'aveva vista quando erano scesi dal treno, si erano viste spesso - incrociate, più che altro - ma effettivamente non avevano più modo di parlare da molto tempo. Tris e Fawn si passavano un anno di differenza. Quando Tris era al sesto anno, l'ultimo che ha passato all'interno del castello, Fawn stava navigando nella landa sconsolante dei GUFO. Stessa sala comune, spesso e volentieri stesse compagnie, stesso lato della barricata. Eppure per un motivo o per un altro, sembrava che le loro vite si fossero distanziate sempre di più. Mi sorge spontaneo chiedermi come scatta di preciso il passaggio dal condividere gli stessi spazi per anni al non sentirsi mai. E' la vita, se ne rende conto Tris, e specie di quando il destino della Byrne si era legato durante la ribellione, a quello di un membro dell'Inquisizione, mantenere un rapporto umano era diventato sempre più complesso. Anche quando il tutto era finito, seppur molti sembravano essersi scordato di quanto era accaduto poco più di qualche mese prima, Tris non è riuscita ad andare avanti con altrettanta facilità. Continuava a provare un senso di repulsione viscerale verso l'ex Inquisizione, verso ciò che avevano rappresentato, verso ciò che credevano, verso le persone che avevano servito. Forse, colti sul momento, non hanno avuto gli strumenti per percepire quanto fosse sbagliato ciò che stavano facendo, ma io delle scuse o una semplice stretta di mano in segno di pace non l'ho mai ricevuta. Probabilmente, da alcuni di loro non l'avrebbe neanche mai voluta; sarebbe stato impossibile sistemare quelle faccende con molti di loro, considerato quanto lontano si erano spinte entrambe le fazioni, ma il fatto che non ci fosse stato nemmeno un tentativo in merito, la portava a pensare che forse c'era chi pensava che gli ex vertici del Ministero poi tanti torti non ce li avevano. Per alcuni continuano ad avere ragione. Loro pensano di avere ragione. E allora io sento di dire che di ragione ne ho ancora di più. Perché Tris sa contro cosa ha lottato, contro cosa tutta la Ribellione ha lottato. Sa cosa ha visto oltre. Tutto ciò ha giocato un ruolo fondamentale nei rapporti interpersonali con molte persone, Fawn compresa. A quel punto però, non sapeva più nemmeno con chi prendersela o come risolverla. Per certe questioni, dopo un po', è difficile stabilire di chi sia la colpa, seppur io, un'idea in merito continuo ancora ad avercela. Butta quindi il fumo della sigaretta fuori dalle labbra e sospira.
    « Più o meno come se un treno mi stesse passando sopra di continuo. » Non ha problemi ad ammettere che sia così. Probabilmente non ci si aspetterebbe una risposta differente da lei, specie dopo gli eventi che l'hanno vista protagonista sul treno. Ma il problema per Tris non è il treno; la questione in sé, potrebbe anche accettarla. Se sommato tuttavia ai troppi attacchi che ha subito la sua gente, agli attacchi personali subiti da parte dello Shame, alle amicizie che sbiadiscono, al perpetuo moto insensato che sta prendendo la sua vita, il paradigma sembra cambiare non di poco. « Mi sono un po' illusa che una serata.. lontana.. un po' da tutto.. servisse a farmi dimenticare. Ma in realtà credo che dovrei entrare in coma etilico per stare apposto. » E non è proprio la cosa più auspicabile. Almeno non per la mia salute. Si stringe nelle spalle con naturalezza. « Ordinaria amministrazione. Decreti.. treni che scompaiono nel nulla.. ex ragazzi che crepano.. Non so più com'è fatto un libro, l'ultimo esame l'ho dato a settembre, e credo di aver persino dimenticato come si segue una lezione. Gli amici stanno giustamente evaporando, presi dai loro problemi, la gente continua ad andare avanti.. e quuuuindi.. » E quindi, tutto nella norma. Sta cercando di sdrammatizzare, seppure farlo risulta davvero patetico. Ma in fondo non ha poi molto altro da fare a meno che non dovesse decidere di punto in bianco di buttarsi dal palazzo più alto di Londra. « Potrebbe andare peggio.. insomma. No? » Pausa. Deglutisce mentre le rivolge uno sguardo colmo di amarezza. « Credo. » Si porta alle labbra la sigaretta e ispira affondo, mentre osserva i gruppetti di ragazzi lontani dal punto in cui si trovano. Per loro non sembra essere cambiato molto. Sembrano piuttosto trovarsi in una situazione quanto mai agevole. Non si accorgono di cosa accade loro attorno, o se se ne accorgono, preferiscono guardare dall'altra parte. E' sempre più semplice farlo, pensare che una questione piuttosto che un'altra non li riguarda. In fondo lo capisce, Tris. Anche lei vorrebbe distogliere lo sguardo, chiamare il suo ragazzo e chiedergli di prendersi una vacanza. Ma ora non possiamo nemmeno più chiamarci. Se anche volessi, dovrei aspettare un suo gufo di risposta. « E tu? Come te le passi? Ti ho vista.. a Berlino. Ma come immaginerai.. non era il momento migliore per.. prenderci una birra e rammentare i bei tempi andati. » Io, te, Eric e Percy. Sembra l'inizio di una barzelletta. Aggiungiamoci anche Sam e Malia, più qualcun altro dei vecchi, e siamo la perfetta comitiva degli orrori venuti su male. « Albus mi ha detto che ti hanno assegnato a Hogwarts. » Il giovane Potter era ancora una qualche forma di contatto tra lei e il mondo civile, seppur, ultimamente nemmeno lui se la passava poi molto bene. Le loro chiacchierate erano sempre concise, semplici. Non dovevano fingere, né tentare di trattarsi coi guanti o porre su una faccia di un certo tipo. Quella loro accoppiata funzionava proprio perché sembrava non funzionare affatto. Una lunga scia di rapporti disfunzionali, quella che preservava nella propria vita, la giovane Morgenstern. « Come sta andando là dentro? Dico tra i piccoli. Sta arrivando qualcosa, di tutta questa follia? » Non sapeva se sperare in una risposta positiva o negativa. Se fosse ancora al sesto anno, vorrebbe sapere cosa sta accadendo nel mondo. Ma in fondo, una parte di lei, spera ancora che almeno i più giovani preservino ancora un po' della propria innocenza. Ne hanno viste sin troppe col Lockdown.



     
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    Ma poi perché quest'ostinazione a far finta che tutto vada bene come prima, quando è evidente che non sia così? Fawn se l'era chiesto più di una volta da quando aveva percepito il cambiamento dentro di sé, da quando l'ottimismo che la contraddistingueva era stato rimpiazzato da una sorda e pulsante ansia che le si agitava dentro, aggrovigliandole le interiora. Quella sera in particolare, per esempio, dal momento che il suo umore era tutto meno che buono, avrebbe forse fatto meglio a restarsene a casa, andare a dormire presto e sperare in uno stato d'animo migliore al proprio risveglio. La risposta, sebbene non si fosse mai premurata di esplicitarla, era piuttosto semplice: non solo non aveva idea quando le cose sarebbero tornate alla normalità, ma ormai era anche arrivata al punto dove non sapeva neppure se sarebbe mai accaduto. Ed allora aveva scelto di aggrapparsi a quella parvenza di quotidianità, alle uscite con le colleghe che però non erano sue amiche per non rischiare di sentirsi scoperta a fingere, alla routine che scandiva le proprie giornate. Si illudeva di farlo per gli altri, per non destarne la preoccupazione, ma alla fine lo faceva per sé. Lo faceva per non sprofondare in un baratro dove la fiammella delle sue speranze non solo non era più visibile ad occhio nudo, ma nel quale era sicura nemmeno esistesse. Quella testardaggine, nonostante tutto in lei fosse come spento, serviva a tenerla a galla in un mondo che le sembrava costantemente intenzionato a metterle i bastoni tra le ruote. Un discreto tentativo di sfidare chiunque fosse a tirare i fili della sua sorte senza per questo farlo in maniera troppo palese. Un modo come un altro per sperare di restare a galla. Un salvagente al quale aggrapparsi quando non aveva più le forze di arrabattarsi in quelle acque che volevano portarla sul fondo.
    Un ulteriore tiro di sigaretta mentre osservava Tris con la coda dell'occhio e si stringeva simultaneamente nel cappottino che si era gettata sulle spalle poco prima. « Più o meno come se un treno mi stesse passando sopra di continuo. » A quelle parole dell'amica, gli angoli della bocca di Fawn scattarono verso l'alto in un sorriso amaro. Il treno. L'ultima volta che si erano incrociate era stato a Berlino, e sul treno dove si trovavano entrambe, si era consumata una vera e propria tragedia. « Mi sono un po' illusa che una serata.. lontana.. un po' da tutto.. servisse a farmi dimenticare. Ma in realtà credo che dovrei entrare in coma etilico per stare apposto. » L'americana, di tutta risposta, inclinò la testa appena di lato: « Forse il punto è un altro. » Fece spallucce, spostando lo sguardo negli occhi di lei. Una risposta piuttosto criptica la sua, diversa probabilmente da quella che l'ex Caposcuola si sarebbe aspettata. In un altro momento - o per meglio dire con una persona che non fosse Tris - Fawn si sarebbe probabilmente sforzata di dire qualcosa per alleggerire l'atmosfera. Ma, in tutta onestà, sottoporre la Morgenstern allo stesso trattamento che aveva riservato agli altri nell'ultimo periodo, la finzione cioè, le sembrava un po' una mancanza di rispetto verso il legame che avevano avuto un tempo. Una sorta di ostinazione a voler relegare anche quel loro incontro ad un livello superficiale. « Prima di poter davvero dimenticare bisogna accettare, altrimenti credo sia solo un mettere quella stessa cosa da parte. Puoi ignorarla, ma una parte di te saprà sempre dove si trova e com'è fatta. » Un'aggiunta piuttosto semplice alla sua osservazione di poco prima. Non che volesse criticare il modo di Tris di affrontare i problemi. Il tono era stato tranquillo, caratterizzato forse soltanto da una punta di amara ironia, quasi trovasse del divertente nel fatto che si fossero ritrovate entrambe in quel bar e si fossero colte in fallo a vicenda, impegnate a fare la stessa cosa: cercare di evadere, dimenticare, o comunque si potesse definire quel loro tentativo di rendere la realtà più sopportabile per una sera. « Ordinaria amministrazione. Decreti.. treni che scompaiono nel nulla.. ex ragazzi che crepano.. Non so più com'è fatto un libro, l'ultimo esame l'ho dato a settembre, e credo di aver persino dimenticato come si segue una lezione. Gli amici stanno giustamente evaporando, presi dai loro problemi, la gente continua ad andare avanti.. e quuuuindi.. Potrebbe andare peggio.. insomma. No? Credo. » Peggio di così? « Sì, potrebbe andare peggio. » Concesse alla fine. Un po' perché non voleva mettersi a scavare nell'animo di Tris, riportando i suoi pensieri verso frangenti più cupi, e un po' perché se c'era una cosa che la Byrne aveva imparato era che, nell'istante esatto in cui si convinceva che una cosa non potesse andare peggio, la dea bendata la prendeva come una sfida personale e si impegnava a dimostrarle il contrario. Una cosa, insomma, della quale nessuna delle due aveva bisogno in quel momento. « Dietro l'angolo ci potrebbe pur sempre essere un'Idra o qualcosa del genere, meglio non rischiare. » Un modo, quello, per dare tregua ad entrambe. Non che non avesse notato lo sguardo di Tris ma, allo stesso tempo nella sua indole non c'era la tendenza a forzare la mano. Non solo: una parte di lei, neanche troppo piccola, si rendeva conto che forse quello di scavare ed insistere, non fosse propriamente un suo compito. D'altronde, per quante cose potessero aver condiviso in passato, era anche vero che sembrassero aver imboccato due strade differenti. E, pur provando per la Morgenstern un sincero affetto, Fawn non se la sentiva ancora di valicare determinati confini, di premere perché si aprisse proprio con lei. Se avesse voluto farlo non si sarebbe certamente ritratta, ma non pretendeva che accadesse né voleva fare finta che quella di vuotare il sacco proprio con lei, visto lo stato delle cose, rappresentasse la reazione più naturale che l'altra potesse avere. Il bene a volte non basta, un'affermazione quanto mai veritiera nel loro caso. Sapeva di aver fatto, in passato, scelte che avevano portato il rapporto suo e di Tris a cambiare, ma sapeva anche cosa l'avesse portata a fare una cosa anziché un'altra, e non le sembrava né il momento, né la sede per discuterne. In più quelle scelte le aveva fatte con cognizione, non se ne pentiva, per cui dubitava che rinvangare il passato avrebbe realmente portato ad un qualche risultato. L'unica direzione possibile è avanti. Partire da quello che abbiamo adesso, vedere in cosa può evolvere. « E tu? Come te le passi? Ti ho vista.. a Berlino. Ma come immaginerai.. non era il momento migliore per.. prenderci una birra e rammentare i bei tempi andati. » Un altro tiro. Uno bello lungo, sentito, che portò la quantità di cenere su quella sigaretta che stava lentamente diventando un mozzicone ad aumentare di parecchio. Fawn, che aveva distolto lo sguardo per il tempo necessario a capire come rispondere, esalò una nuvoletta di fumo bianco e la guardò salire e diradarsi. Poi sospirò e si voltò di lato, verso Tris. « Lo capisco, non devi spiegarti. E non credo avessi bisogno proprio di me in quel frangente. » Le disse con semplicità. Per quanto il concetto espresso potesse sembrare duro, in quelle sue parole non c'era astio. Stava constatando un fatto ed il tono pacato sottintendeva che non le stesse recriminando niente. Era convinta, forse in virtù del rispetto che nutriva per una persona con la quale aveva comunque condiviso anni della propria vita, che la sincerità fosse una via migliore di un commento magari più diplomatico, ma che entrambe avrebbero saputo non essere vero. Avrebbe potuto, ad esempio, affermare di non averla vista o di aver versato in condizioni troppo pessime per parlarci. Tuttavia sarebbe stata una volontaria omissione del reale stato delle cose. E non se la sentiva di contaminare il loro rapporto con osservazioni di circostanza, per quanto forse più piacevoli all'orecchio. « Io non l'ho mai conosciuto. » Si fece più seria, lo sguardo ancora puntato in quello della Morgenstern. « Non oso immaginare come tu ti sia sentita, però. » O come ti senta tutt'ora. « Mi dispiace molto. » Per quanto scarne nel contenuto, nelle sue condoglianze era comunque stata sincera. Sapeva che Tris e Donovan fossero stati insieme e, a prescindere da tutto il resto, non doveva essere stata una passeggiata per lei. Dopotutto, dietro quella corazza di compostezza, per come Fawn la ricordava, Tris era sempre stata una persona con molti più sentimenti di quanti non volesse ammettere. Forse un po' restia a condividere cosa celasse nel cuore, era sempre stata però pronta ad accorrere in aiuto dei suoi pulcini quando era Caposcuola, o dei suoi amici. Magari i suoi metodi non erano sempre i più delicati, ma l'americana era convinta che non fossero i metodi, il punto. Ed anche in questa situazione, per quanto vertesse attorno ad un tipo di relazione diversa, immaginava che il più dei sentimenti di Beatrice si trovassero molto al di sotto della superficie. Ed era anche per questa ragione che la Byrne non se l'era sentita di condire le proprie parole di inutili fronzoli: era una maniera, la sua, di dimostrare rispetto per l'altra ed il suo dolore. Per evitare che si sentisse come se dovesse parlargliene per forza o scavare in quella ferita ancora fresca.
    « Io? Sto. » Pausa. Lo sguardo di nuovo fisso davanti a sé. « Come tutti gli altri, immagino. Tiro avanti perché sono consapevole di non potermi permettere di fare altrimenti. » Non aveva un posto dove andare o qualcuno con cui potesse crollare. Non perché non si fidasse di una o dell'altra persona nel proprio cerchio, ma perché aveva maturato la convinzione di doversi guadagnare la compagnia altrui e di non poter essere un peso morto e basta. Non c'era nessuno, nella sua vita, tenuto a scontarle i suoi errori o le sue debolezze solo perché era lei. Che la cosa le andasse a genio o no - doveva andare avanti finché ne avesse avuto le forze. « Ma non sono tranquilla. » Un'ultima boccata, poi lasciò cadere il mozzicone. In un gesto automatico ne prese un'altra, un po' perché ormai limitarsi ad una sigaretta soltanto non faceva parte delle sue abitudini ed un po' perché, sotto sotto, voleva prolungare quella loro chiacchierata. « Non mi piace non sapere dove mettere le mani, mi conosci. Mi manda molto più in crisi la prospettiva di non sapere cosa fare che non quella di farmi un mazzo enorme per risolvere un problema. » E adesso, con in ballo una forza in grado di soggiogarci e uccidere chiunque di noi a suo piacimento, mi sento più persa che mai. E per più ragioni di quante non penseresti. « Albus mi ha detto che ti hanno assegnato a Hogwarts. » L'americana annuì, invitandola tacitamente a proseguire con quel semplice cenno. « Come sta andando là dentro? Dico tra i piccoli. Sta arrivando qualcosa, di tutta questa follia? » Si fece più assorta, inclinando il capo di lato nel riflettere su quella domanda. « Dipende dai piccoli. » Le rispose alla fine. « Alcuni sono più scossi di altri perché si trovavano sul treno, o magari su quello stesso treno avevano un qualche parente. Altri ancora, invece, si lamentano perché rivorrebbero i cellulari. O la parvenza di uno svago. Il livello di consapevolezza varia, ma quelli che hanno parlato con me, non mi sembravano troppo felici della situazione attuale, mettiamola così. » Fece una breve pausa per permettere alla compagna di assorbire le informazioni che le stava fornendo. « Quella di togliere loro ogni libertà non è stata una bella mossa in più di un senso. » Ora sono agitati, arrabbiati, spaventati e vai a capire che altro. « Ma, ammettiamolo, non mi sembra un periodo carico di belle mosse, questo. » Sottintendeva, ovviamente, i decreti ministeriali. Decreti che avevano toccato direttamente Inverness, e dunque anche Tris e tutti coloro che con essa avevano tangenze. « Tu che ne pensi di quel che sta succedendo? » Puntò lo sguardo chiaro nel suo, interrogativa. Come la stai vivendo? « Io, ormai, spero nel meno peggio. » Un sorriso amaro nel distogliere lo sguardo. Un altro lungo tiro. E se me lo chiedi, questo 'meno peggio' non so nemmeno quale sia.


    Edited by anagapesis - 7/4/2020, 03:48
     
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3 replies since 1/3/2020, 21:48   174 views
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