Τάρταρος - Mortimer's Manor

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    Chinnor, un piccolo villaggio nel South-Oxfordshire, tra Oxford e Londra, immersa nella lussureggiante e rigogliosa campagna inglese, si erge il maniero dei Mortimer (1 - 2), ormai conosciuta nel mondo magico come Tartaro, essendo anche la sede operativa della Mortimer Funeral Services (dalla quale vi si può anche accedere tramite un Armadio Svanitore il cui gemello si trova negli uffici amministrativi al centro di Londra) e da poco entrata a far parte della top 10 delle case più infestate d'Inghilterra. E' un'abitazione che ha più piani, dallo stile squisitamente gotico e dal gusto romanticamente decadente. E' possibile accedervi tramite un' entrata maestosa, sulla cui arcata maggiore è impresso il motto di famiglia "Sic gorgiamus allos subjectatus nunc". Voci narrano che, in tempi addietro, per poter accedere alla casa vi fosse bisogno di un pedaggio di sangue, leggenda, questa, che ancora sembra spaventare gli ospiti. Gli esterni della casa rendono perfettamente l'idea di stile della famiglia, con l'aspetto quasi lugubre, con i suoi rosoni, le sue guglie, le sue vetrate e i suoi giardini incastonati tra le rovine di vecchie ale del palazzo, nella quale, se abbastanza fortunati da poter aver testimoniato la morte con i propri occhi, è possibile incontrare gli amorevoli Thestral (1 - 2 - 3 - 4).
    Negli interni, come all'esterno, il colore predominante è il nero, con la straordinaria partecipazione di un rosso sangue, un nobiliare dorato e un elegante grigio, di tanto in tanto. Nel seminterrato (1 - 2) vi sono le segrete, usate un tempo per torturare, ad oggi in parte come camera mortuaria nella quale far riposare e preparare i defunti della clientela, in parte, completamente off limits a chiunque al di fuori dei coniugi Mortimer, ancora per torturare. Appena si entra nel palazzo, una scala maestosa accoglie i visitatori (1 - 2), che va a rafforzare l'idea di atmosfera che aleggia in casa. Sparse per casa vi sono sale e salotti, con tanto di librerie e luoghi dove poter riposare o conversare (1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6), numerose scale nelle quali poter ammirare i dipinti di famiglia e dove è piuttosto solito incontrare gli svariati fantasmi (tra cui nonna Verbena, un'amabile donna impicciona e nonno Adam, più burbero ma estremamente buono) che infestano la casa (1 - 2), svariate ali della casa ormai in decadenza, martoriate dal tempo e, in parte, dai bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale Babbana (1 - 2), ampi corridoi illuminati da candelabri, dai soffitti alti e dalle volte decorate nei minimi dettagli che sembrano quasi ricordare un'antica chiesa gotica.
    Dietro la tenuta, camminando attraverso i giardini che hanno trovato vita e indipendenza tra le rovine e le architetture ormai in rovina, per poi oltrepassare un lungo viale, si può arrivare al cimitero di famiglia.
    Poco distante, in un complesso altrettanto gotico e decadente, si incontrano le serre. Ospitano diversi tipi di piante rare ed esotiche, spesso velenose o carnivore, e i diversi ambienti sono regolati in base al clima necessario per una crescita rigogliosa. L’ultima stanza è stata adibita a laboratorio, un ambiente poco illuminato da fonti naturali ma ben organizzato: tavoli, alambicchi, calderoni, provette e tutto il necessario per la distillazione di veleni, pozioni e concentrati.

    Questa discussione rientra nel progetto quotidianità


     
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    Il viale che l’avrebbe portata al cimitero di famiglia era composto da pietre squadrate, ma perfettamente incastrate tra di loro, come in un mosaico di soli pezzi grigi. Wednesday guardava i suoi piedi, stando attenta a non calpestare le crepe. Lo faceva fin da quando era bambina. Era una cosa stupida, ne era consapevole, ma a volte non riusciva a farne a meno. Tra le mani stringeva dei fiori. Uno per nonna Verbena ed uno per nonno Adam. Era solita vederli in giro per il maniero, ma si era sempre preoccupata del fatto che anche nelle loro lapidi non mancasse mai un fiore. Le sembrava una forma di rispetto, un modo per omaggiare il loro corpo che diventata un tutt’uno con la terra. Memento, homo, quia pulvis es, et in pulverem reverteris. Passò così il resto della mattinata, Wednesday Mortimer, a ripulire dalle erbacce le lapidi dei nonni, per poi abbellirle con un fiore fresco. Adorava le calle. La loro consistenza le ricordava quella di un abito primaverile. Tornando indietro salterellò da una pietra all’altra, anche stavolta senza calpestare le crepe. Trovò Morgana ad attenderla davanti all’ingresso del Maniero. La gatta sembrava non amare troppo la compagnia di Hannibal, il gatto del padre, e per questo pareva essere diventata un tutt’uno con la padrona. Wednesday si chinò, prendendola tra le braccia ed accarezzandole la testolina. Entrò, ritrovandosi davanti alla maestosa scalinata che portava ai piani superiori. Si guardò intorno, non vedendo anima viva. I Mortimer erano una famiglia numerosa e Weed aveva sempre impressioni diverse su quel maniero: a volte le pareva troppo grande, altre volte troppo piccolo per contenere così tante personalità eclettiche. Salì un paio di scalini, per poi sedersi a terra. «Dove sono tutti, piccolo bocciolo di rosa?» Sua nonna sbucò da una parete. Morgana si ritrasse verso la padrona, soffiando al fantasma di Verbena. La donna parve non farci caso. «Speravo sapessi dirmelo tu.» Era o no lei quella che poteva volare ovunque trapassando le pareti? «E’ quasi ora di pranzo, probabilmente si stanno preparando. Se li vedo gli dirò che sei qui.» Weedy annuì e la donna svanì nella stessa parete dalla quale era apparsa. La giovane Corvonero accarezzò la gatta che, dopo essersi ripresa dall'apparizione del fantasma, si era acciambellata sulle gambe della ragazzina, iniziando a ronfare pacatamente.
     
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    Nella penombra rischiarata unicamente dalle candele sistemate nei bracci gotici, conficcati nelle pareti di pietra come inquietanti rami secchi, Belladonna avanzò di qualche passo verso il muro, gli occhi cristallini che ne studiavano la parete, i quadri esoterici che rallegravano l’ambiente e la scarsa mobilia. « Mio Ade, non trovi anche tu che sia tutto così… noiosamente sobrio? » Inclinò lievemente il capo di lato, accompagnata dal morbido movimento dei lunghi capelli. « Credo che sia giunto il momento di aggiungere qualcosa. Un altare wicca, qualche iscrizione in lingue antiche… » Allungò la mano verso destra, senza nemmeno voltarsi e, come di consueto, trovò quella calda di Felix ad accoglierla. « Tu che ne pensi? » Quando si voltò nella sua direzione, l’uomo aveva già cominciato a depositarle piccoli baci lungo il braccio, a partire dal dorso della mano, pallido e freddo. Nonostante Bella fosse ormai abituata a quelle attenzioni da parte del marito, si ritrovò ad abbassare lo sguardo, con un misto di malizia e timidezza che talvolta si equilibravano, talvolta si annientavano l’un l’altra. Da sempre, le segrete del Maniero costituivano il loro rifugio, un luogo in cui poter ritagliare qualche momento privato, senza disturbare o essere interrotti dalla loro nutrita progenie. « Oh, siete qui. » Verbena attraversò la parete, pallida e incorporea. Volteggiò attorno a loro, osservandoli con la solita espressione malinconica. « La vostra quartogenita vi sta aspettando al piano di sopra. È tutta sola, povera cara. » E, senza aggiungere altro, scomparve nuovamente attraverso il soffitto. Bella trascinò delicatamente Felix sino alle scale, il portamento esile reso più sinuoso dal morbido abito lungo che indossava. « Temo che dovremo rimandare la ristrutturazione a più tardi, i bambini ci aspettano. » Bambini. I piccoli Mortimer erano ormai degli adolescenti, eppure per Belladonna sarebbero sempre rimasti i suoi spauriti corvetti. Raggiunsero il primo piano e si avvicinarono a Weed, seduta alla base delle scale. « Weed, tesoro. La nonna ci ha detto che eri qui. » Le sorrise, gettando una rapida occhiata all’orologio. « Hai fame, cara? Il pranzo dovrebbe essere pronto, ormai. Devo solo recuperare il centrotavola ed il vino. Vieni con me? » Porse alla figlia la mano libera, per aiutarla ad alzarsi. Accarezzò il palmo della mano del marito e lentamente lasciò andare le sue dita, con un’ultima carezza. « Ti spiace radunare gli altri pipistrellini? » Chiese, lanciando un’occhiata al piano superiore, da cui provenivano rumori soffocati.


    Edited by persephone. - 30/4/2020, 18:53
     
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    Si sfrega mentalmente le mani, mentre la sua adorata Bella parla di questo e l'altro cambiamento d'apportare ai sotterranei del maniero. Lui, ovviamente, avendo un po' di tempo in più grazie alle festività, ha tutt'altro per la testa e infatti, non appena la moglie gli porge la mano, lui prende a fare uno dei suoi classiconi: baci sentiti ma veloci lungo tutto il dorso della mano. Mossa n°1 del personalissimo rito d'accoppiamento di Felix Norman Mortimer. « Sì, mia Persefone, mettiamo tutto quello che vuoi. Dove lo vuoi. Quando lo vuoi. » Smanioso, dice tra un bacio e l'altro, risalendo il profilo del braccio destro della donna. « Però, se vuoi che partorisca qualche idea anche io, lo sai che penso meglio dopo aver giocato. » Sciabola le sopracciglia, con la smorfia da birbante sul viso mentre porta una mano dietro la sua schiena per avvicinarla a sé. E via con le danz- ah no, certo, figurati se Verbena ci lascia un minuto da soli. La ficcanaso si intromette, passando attraverso il muro, per poi informarli che Weedy li sta aspettando. Proprio ora, pipistrellina del mio cuore? Non potevi aspettare mezz'oretta? « Ma veramente..potremmo almeno..dai, mia Persefone, venti minuti, solo venti..» Lei lo trascina, con la sua solita grazia, nel riemergere dalle tenebre delle segrete mentre lui protesta, contrariato, come un bambino, per rimanere in tema, che fa le bizze. Alla fine, giusto in tempo per non farsi vedere dalla figlia, si ricompone, tornando ad essere il padre di famiglia e non il marito che vorrebbe passare tutto il giorno a letto con la moglie. « Per purissimo caso, questa piccola peste sa dove sia finito il mio Hannibal? E' tutta la mattina che lo cerco, ma niente. » Ormai era nota a tutti l'avversione che la micia che, in quell'istante, Fel prova ad accarezzare senza successo, dato il suo ritrarsi infastidito, prova nei confronti del suo frugoletto. « Hai capito. Le vengono pagati e passati pure gli alimenti ed è questo il ringraziamento. » Sfida la gatta con lo sguardo che, per tutta risposta, si alza, si stiracchia e si acciambella nuovamente sulle gambe della figlia, attenta a rivolgere verso di lui il suo regale deretano. Annuisce alle parole della moglie, salendo le scale a due a due con balzi atletici. « Eredi, miei cattivissimi eredi, dove siete? » Prende a dire, mentre attraversa uno dei sontuosi corridoi che porta alle camere da letto. La voce rimbomba grazie ai soffitti alti. « Non ditemi che state giocando all'Impiccato senza di me anche questa volta. Non vale se non sfidate direttamente il campione in carica. » L'Impiccato = gioco molto praticato in famiglia, da coloro che non hanno più la Traccia, che consiste nel castare Levicorpus a caso, su qualsiasi essere vivente presente in casa. Ogni essere vivente ha un suo punteggio. I famigliari valgono 10 punti, gli animali da 30 a salire, a seconda della loro capacità di sfuggire e dileguarsi durante la caccia. Il primato lo detiene, ovviamente, ancora Felix, dopo essere riuscito ad appenderci anche uno dei suoi ultimi clienti, il signor Griffin. Clienti = 50 punti a salire, in base all'età. Più il cliente è anziano, più risulta essere raro e dal punteggio inestimabile.
     
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    « Non essere impaziente, Dorian, il pranzo arriverà presto. » Il giovane Mortimer ammonì il suo serpente, mentre gli strisciava tra le gambe piuttosto famelico. Solo tra le mura di quel maniero Friday si sentiva pienamente a suo agio a parlare in Serpentese al suo amico fidato. Ad Hogwarts non gli era permesso, perché non era visto di buon grado il poter parlare con i serpenti, sebbene fosse una cosa davvero affascinante. Le persone parlavano molto della sua famiglia e non voleva che quell’immagine di mistero che l’avvolgeva si sarebbe trasformata in una sorta di odio o di paura. Questi sentimenti non si sarebbero sposati bene con le sue aspettative sociali. Voleva fare della sua vita un’opera d’arte, non di certo brutta e con poco stile. Eppure capiva come si sentiva il suo tenero serpente. Alla fin dei conti, quando era a casa, era sempre affamato. Ormai gli elfi domestici di famiglia avevano imparato fin troppo bene come accontentare ogni componente della famiglia, quindi non vedeva l’ora di potersi sedere a tavola con i suoi cari. Dorian avrebbe pranzato in camera: gli elfi lo avrebbero accontentato servendogli una variegata selezione di squisiti topolini. Gli piaceva passare del tempo a casa: aveva modo di stare con la sua sorella preferita e fare gli esperimenti con il sangue insieme a lei. Doveva ammettere però che si era adirato un sacco il giorno prima perché aveva macchiato la sua camicia preferita e anche se sua sorella aveva provato a ripulirla, Friday poteva ancora sentire l’odore del sangue. Si era allenato a scherma quella mattina proprio in quanto tale attività lo aiutava a bilanciare il suo umore. Era un gioco di intelligenza, di tattica e di precisione e questo significava imparare a contenere i propri sentimenti, anche sotto stress, anche sotto impeti di rabbia. Anche se perdeva la pazienza, cercava sempre di contenere il tutto. Aveva fatto una doccia dopo l’allenamento, proprio per essere pulito per il pranzo. Si stava guardando nello specchio, mentre infilava con attenzione i bottoni nelle asole, quando sentì la voce di suo padre che richiamava tutti. Si sistemò la camicia, riordinando poi velocemente i capelli già impeccabili. « Buon pranzo, Dorian. » Lo salutò, uscendo dalla sua camera. Ridacchiò nel sentire le parole di suo padre. Sfortunatamente lui aveva ancora la Traccia, quindi non gli era permesso di usare la magia al di fuori della scuola. Quindi ciò significava che molto spesso si trovava a testa in giù con i suoi capelli decisamente scombinati. In realtà non gli piaceva particolarmente quel gioco, dal momento in cui non poteva difendersi. « Ciao, padre. Mi stavo preparando. » Friday si avvicinò a suo padre, sistemandosi ancora le maniche della sua camicia. Si fermò all’improvviso, senza avvicinarsi ulteriormente, abbassando lo sguardo sulle tasche di suo padre, per capire dove fosse la bacchetta. « Hai intenzione di farmi finire a testa in giù? » Chiese, quasi intimorito dalla sua risposta. Ringraziava solo che non avesse ancora mangiato.
     
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    Morgana ronfava sulle sue ginocchia ossute, muovendo i baffetti in modo impercettibile quando Weedy posava la mano sulla sua testolina. Il rumore di passi la obbligò ad alzare lo sguardo, facendolo scontrare con le figure dei suoi genitori che si dirigevano verso di lei. I lati delle sue labbra si incurvarono verso l’alto, non troppo certamente, ma di più rispetto al modo in cui era solita fare tra le mura scolastiche. Qualcosa di simile ad una risatina salì lungo la sua gola quando suo padre provò a carezzare Morgana che, percependo la presenza di qualcun altro, si era destata dal suo sonno, schivando la mano dell’uomo e soffiando nella sua direzione, mostrando i denti. Annuì quando sua madre le chiese se aveva fame. «Morgana non ha colpe del fatto che Hannibal sia un fifone commentò alla domanda del padre enfatizzando l’ultima parola, come a voler prendere in giro il micetto del padre. Era carino, si, ma Morgana era la regina indiscussa della casa. Hannibal al massimo poteva aspirare alla figura di ciambellano. «Comunque è salito di sopra. Scommetto che è andato in camera di Monday. Hannibal adora farsi le unghie sui suoi peluches.» dichiarò stringendosi nelle spalle. «Vedi? Morgana non si lascia andare a certe frivolezze. E’ sicuramente un essere superiore, ammettiamolo.» Sorrise al padre, buttando là quella frase provocatoria, giusto per divertimento, nonostante fosse ciecamente convinta di ciò che stava dicendo. Adorava entrambi i suoi genitori in modo indescrivibile. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per loro, ma per suo padre aveva un debole particolare. Si era sempre detta che se mai un giorno avesse deciso di condividere il resto della sua vita con qualcuno, avrebbe voluto che quel qualcuno avesse tutti i pregi del padre. Afferrò la gatta, poggiandola a terra e si alzò in piedi aiutata dalla mano che la madre le stava porgendo. Si sfilò il cappotto, infilando la bacchetta nella tasca posteriore della gonna a quadri. Seguì sua madre nella sala da pranzo dove era già stato tutto apparecchiato per la famiglia. «Ho incontrato la signora Robinson al cimitero l’altro giorno. Era andata a trovare suo marito. Si congratula con te perché nonostante sia passata una settimana le tue composizioni floreali sono ancora le più belle dell’intero cimitero.» informò la madre, scorrendo con occhio attento il resto della tavolata. «Sai.. Mi chiedevo.. » Sistemò un paio di posate in modo che fossero perfettamente in linea. «Erbologia non è una delle mie materie preferite, ma potresti farmi cambiare idea. Non so nulla sui fiori, se non farli apparire con un colpo di bacchetta. Scommetto che farei morire anche il fiore più longevo.»

     
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    Lasciò che Weedy finisse di parlare e la aiutò ad alzarsi, divertita da quella piccola rivalità tutta felina. Sin da quando Weed era bambina, lei e Felix avevano avuto creato un modo tutto loro di comunicare, un piccolo mondo personale che ne caratterizzava il profondo legame familiare e che, inevitabilmente, rendev Bella sempre più orgogliosa di suo marito: non avrebbe potuto immaginare nessuno che si sforzasse tanto quanto Felix di condividere interessi comuni con ognuno dei loro numerosi rospetti. « Forse Hannibal è salito nella torre, ogni tanto si diverte a cercare di prendere Vlad. » Ipotizzò, riferendosi alla sua adorata volpe volante che, di giorno, riposava nella torre diroccata del maniero. Osservò Felix salire le scale con la stessa spensieratezza di un bambino e, con l'ombra di un sorriso sulle labbra, precedette Weed in sala da pranzo. La tavola era già lugubremente apparecchiata, con candelabri di argento di foggia gotica e un tovaglia di seta nera. Mancava solo il centrotavola, una graziosa composizione di simboli pagani, rovi e crisantemi, il fiore dei morti per eccellenza. « Oh, Emma Robinson! Che donna deliziosamente tetra. » Era un complimento, ovviamente. « Avete conversato un po', tesoro? » Essendo la più interessata all'azienda di servizi funerari, nonchè la più predisposta per natura, Weed aveva imparato molto su come trattare con i clienti - passati e futuri - solamente osservando ed aiutando Felix. « Se la dovessi rincontrare ringraziala da parte mia. E ricordale che la aspettiamo per il thé, così potremo discutere nei dettagli la corona di fiori per lei. » Non era mai troppo presto per occuparsi di simili questioni e l'intera famiglia Mortimer era famosa per accontentare ogni capriccio dei clienti, in vita e nella morte. Si diresse verso il cassettone in legno scuro, dove aveva lasciato a riposare la composizione floreale, e la sollevò con attenzione, aggirando l'ampia tavolata per sistemarla al centro. « Ti piace? » Chiese, inclinando il viso di lato per studiarla da diverse prospettive. « Forse ho un pochino esagerato, stavolta. Ma finalmente siete a casa per qualche giorno, volevo che ci fosse la giusta atmosfera. » Non era da lei lasciarsi andare apertamente a troppi sentimentalismi, ma l'intero Maniero era sempre troppo silenzioso quando i piccoli Mortimer si trovavano ad Hogwarts e, spesso e volentieri, tanta quiete risvegliava in Bella una profonda nostalgia per il passato che l'aveva spinta più volte a considerare l'ipotesi di concepire un altro pipistrellino. Cercò Weed con lo sguardo, nell'istante di esitazione della piccola Corvonero. Un leggero sorriso si aprì sulle labbra di Bella e la donna annuì. « Ma certo, ragnetto. Può essere una materia complicata, ma non è poi così difficile riuscire a memorizzare le proprietà di ogni pianta, se sai come farlo. » Le si avvicinò e le sistemò delicatamente il cerchietto, leggermente storto. « Sono sicura di avere diversi manuali che potrebbero esserti utili, forse anche il mio vecchio erbario. Se ti va, possiamo guardarci prima di cena. Magari nelle serre, così nessuno ci disturberà. » Le propose, entusiasta. Aveva sempre incoraggiato ognuno dei suoi figli a seguire la strada per cui si sentivano più portati, anche se lontana dal suo interesse o dalla sua comprensione, ma quando qualcuno di loro si rivolgeva a lei per un aiuto o un consiglio, piccolo o grande che fosse, Belladonna ne era sempre felice. « Chissà cosa stanno facendo tuo padre e i tuoi fratelli, di questo passo pranzeremo all'ora del thé. » Sollevò gli occhi verso il soffitto, come se potesse scrutarvi attraverso e intravedere le figure del resto della famiglia, ma non era infastidita. « Stasera pensavamo di organizzare una piccola seduta spiritica. C'è qualche omaggio che desideri rendere? Qualcuno in particolare che vorresti contattare? » Tutti i partecipanti avrebbero avuto voce in capitolo ed era necessario organizzarsi per tempo.
     
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