to be or not to be?

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    «Ha un minuto, signorina Mortimer?» Wednesday temporeggiò davanti alla porta dell’aula, per poi girarsi in direzione della professoressa. La donna la stava fissando, aldilà degli occhiali rettangolari. Il colore della montatura ricordava quello dello zucchero a velo al luna park. «Si, Miss Peregrine?» La donna posò i gomiti sul tavolo, incrociando le dita e poggiandosi sopra il mento spigoloso. «Volevo congratularmi per il compito su Grogan Stump. Ho trovato molto interessante la parte della integrazione degli Spiriti nelle sue classificazioni.» Stump fu Ministro della Magia dal 1811 al 1819. Egli si impegnò nella creazione del Dipartimento per la Regolamentazione e il Controllo delle Creature Magiche. Inizialmente creò la divisione tra Esseri e Bestie, decretando che: "«Un essere è ogni creatura che ha abbastanza intelligenza da capire le leggi della comunità magica e da assumersi le proprie responsabilità modellate da quelle stesse leggi»!, chiudendo con queste parole un lungo dibattito sulla classificazione che vi era dal XIV secolo. In seguito aggiunse anche la categoria Spiriti per le proteste dei fantasmi. Questi ultimi, infatti, si erano infuriati per essere stati inizialmente esclusi da questa classificazione e, per ripicca, si erano mossi in branco infestando il Ministero della Magia per tre giorni. Il signor Stump fu costretto a cedere alla contrattazione a causa delle continue lamentele dei dipendenti disperati. «La ringrazio, professoressa.» Nonostante la donna le stesse sorridendo compiaciuta, Weed non ricambiò. Aveva fatto semplicemente il suo lavoro, questo si disse. Con i nuovi decreti agli studenti di Hogwarts era proibito uscire dal castello durante la settimana, ciò significava che la mezzana di casa Mortimer non si sarebbe potuta recare presso l'attività di famiglia. Tutto questo si tramutava in un sacco di tempo libero che Wednesday si trovava costretta a riempire per evitare di cadere vittima dell'accidia. «Mi piacerebbe proporle un incontro che terrò sabato alle 14, in quest'aula. Non è nulla di formale, ancora, ma mi piacerebbe creare un gruppo di studenti meritevoli per poter parlare di questioni che vanno oltre il programma scolastico. Una sorta di potenziamento. In previsione dei M.A.G.O. del prossimo anno..» Aveva un punto debole, Wednesday Mortimer, un qualcosa a cui proprio non sapeva resistere: l'adulazione. Le piaceva terribilmente quando qualcuno faceva leva su ciò in cui lei era particolarmente brava e la ragazzina non faceva assolutamente nulla per smentire tali osservazioni. Alzò il mento, come un pavone che si preparava a sfoggiare i colori brillanti della sua coda. Partecipare al corso significava non andare all'Onoranze Funebri, significava non vedere mamma e papà, significava stare chiusi dentro un'aula mentre gli altri erano fuori a godersi i primi caldi raggi di sole che riuscivano con prepotenza a perforare la coltre di nebbia invernale dalla quale Londra era ricoperta. Si mordicchiò leggermente le labbra, riflettendo. «Potrei farle sapere in questi giorni? Dovrei avvertire i miei genitori.» La professoressa annuì, poggiandosi allo schienale della sedia ed accavallando le lunghe gambe ricoperte da collant scuri. «Ovviamente. Aspetto sue notizie, allora, Miss Mortimer.» Weedy annuì, per poi uscire dall’aula, in silenzio.
    Mamma aveva insistito tanto per convincerla a partecipare a quel corso. “Cerca di capire. E’ un terribile onore, mostriciattolo.” le aveva scritto nell’ultima lettera che le aveva mandato. L’Antico ti ha concesso un grande intelletto. Onoralo per questo. Avevano ragione, terribilmente ragione, e lei lo sapeva. Ciò che però non pensava, ciò a cui non era veramente pronta, era che il resto degli “studenti meritevoli” fossero un branco di idioti. La professoressa Peregrine aveva annunciato che avrebbe voluto allestire questo suo corso come una sorta di classe di dibattito dove, a turno, qualcuno avrebbe tirato fuori un argomento e tutti avrebbero dovuto argomentare e difendere il proprio punto di vista. Se ne stavano tutti seduti intorno ad un tavolo. La professoressa aveva portato una tazza di thè per tutti quanti. Susan Richworld era stata designata alla scelta del tema giornaliero e lei, con un enorme sorriso stampato in faccia, aveva sfilato dalla propria borsa una copia dell’”Amleto”, di William Shakespeare, autore preferito di Wednesday. «Tre giorni da ho cominciato questo. Devo dire che è carino. Per ora mi piace.» Il cuore della piccola Mortimer perse un battito. Definire “carino” “Amleto” di Shakespeare era più o meno come dire che Hogwarts somigliava ad una casetta di montagna, simile a quelle che si trovano nelle Alpi Svizzere. Weed inspirò a fondo mentre Viktor Chissàqualecognomeaveva prendeva la parola con un’alzata di mano. Vennero fuori discorsi banali e noiosamente prevedibili. Qualcuno tirò fuori il complotto sulla storia che Shakespeare, come Omero, fosse un insieme di più persone, qualcun altro sosteneva vivamente che non fosse mai esistito e il nome fosse stato inventato per dar autore a brani sconosciuti. Weed si posò le dita sulla tempia destra, chiudendo gli occhi e sperando che quelle voci sparissero il più velocemente possibile. Fu la voce della professoressa a farla precipitare duramente alla realtà. «Miss Mortimer, è dei nostri? Vorrebbe aggiungere qualcosa alle parole dei suoi compagni?» Weedy aprì gli occhi, sollevandosi in posizione eretta.
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    «Forse è meglio di no.» Eveline e una bionda di Grifondoro si lanciarono uno sguardo d’intesa, sulle labbra un sorriso divertito. Weedy finse di non vederle. «Coraggio, Wednesday, non sia timida. Scommetto che si è fatta una sua opinione dopo tutti questi discorsi.» La ragazzina sospirò, guardandosi intorno. Era stata in silenzio fino a quel momento, ma probabilmente era venuto il momento di dire la sua. Fece un profondo sospiro. «La cultura è uno degli aspetti che distingue la nostra specie poiché dota ciascun individuo dell’Io: siamo cioè autoconsapevoli della nostra esistenza e di come essa si svolge. Artisti come Dante o Shakespeare appunto, rappresentano l’Io con una intensità piuttosto rara così come è rara più in generale la cultura letteraria. Ma il loro pensiero evoca riscontri molto più moderni e tuttavia assai significativi: Nietzsche, Freud, Leopardi, Edgar Allan Poe e molti altri per non parlare dei lirici greci, da Saffo ad Alceo. Shakespeare è il più moderno di questa cultura e la sua modernità è espressa da alcuni personaggi estremamente importanti che abbiamo già nominato. Amleto è il più significativo e non a caso il suo finale è d’esser portato verso la tomba celeste sulle spalle dei soldati di Fortebraccio. E' un personaggio al tempo stesso generoso, coraggioso, sessualmente attratto dalla madre. Se dovessimo scegliere che cosa è che distingue Shakespeare da tutti gli altri scrittori credo che potremmo limitarci appunto ad Amleto. Ed è per questo che secondo me William Shakespeare è il miglior drammaturgo della storia.» Silenzio. Wednesday percepì gli occhi dei presenti addosso, ma non ne provò vergogna. Tenne lo sguardo fisso sulla professoressa che le sorrise. Fu proprio lei a rompere il silenzio. «Bene, per oggi è tutto, miei cari. Ci vediamo lunedì a lezione. Vi auguro un buon weekend.» Weedy fu la prima ad alzarsi. Sorrise, prese il suo borsone mettendoselo in spalla e lasciò l’aula. Era una bella giornata di sabato pomeriggio. Troppo tardi per far qualcosa di troppo impegnativo e troppo presto per tornare nel dormitorio. Scese fino all’ingresso principale per poi uscire dal portone del castello, chiudendo gli occhi ed inspirando la frizzante aria marzolina. Le strade di Hogsmeade brulicavano di gente, quasi come se il mondo si fosse appena risvegliato. Le venne in mente la favola della Bella Addormentata nel bosco, una storia che le leggeva spesso sua nonna quando era piccola. La principessa si punse il dito nel fuso e tutto il castello cadde in un sonno profondo. Poi arrivò un principe, senza macchia e senza paura, che sfidò mille avversità per giungere infine dalla sua amata, baciarla e risvegliare lei e chiunque si trovasse all’interno di quelle mura. Aveva voglia di bere qualcosa. Wednesday era stata cresciuta come una ragazzina indipendente, che non aveva bisogno di troppe persone intorno per stare bene. Prima di tutto stava bene con sé stessa, poi venivano gli altri. Passava molto tempo da sola, a fare lunghe passeggiate o anche dentro un bar. Le piaceva andare a “I Tre Manici di Scopa” e fu lì che si recò anche quella volta. Quando non era occupato, ambiva ad un tavolino strategicamente posto vicino alla finestra. Da lì si vedeva il corso principale della cittadella, le persone che passeggiavano ed i loro sguardi sulle vetrine. Quando entrò nella locanda il suo sguardo corse subito al solito tavolo. Tirò un sospiro di sollievo nel vederlo libero. Affrettò il passo. Era lì, lì vicino. Ci siamo! Ma fu in quel momento, quando poggiò la mano nello schienale della sedia, che qualcuno fece lo stesso con l’altra sedia di quel tavolino. Weed alzò lo sguardo, severamente, ritrovandosi davanti una giovane dai capelli scuri. Ci fu un attimo di silenzio durante il quale Wednesday rimase a guardarla. I capelli corvini le incorniciavano il viso, la pelle olivastra che creava un contrasto con gli occhi chiari. Ma... «Maria?» Dubitava che la ragazza si chiamasse davvero così, ma per l’Antico se non era lei! «Tu hai interpretato Maria in “West side story” a scuola!» Oh, si era certa! Quella ragazza era proprio Maria.



    Edited by wilted flower. - 18/4/2020, 09:58
     
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    Questo pomeriggio mi riservo il sacrosanto diritto di starmene per conto mio. Eccola, la decisione che Fawn Byrne aveva preso appena sveglia, forse perché conscia di essere un po' satura del trascorrere il suo tempo in mezzo alla gente. La sua settimana, come ormai tante settimane prima di quella d'altra parte, era stata scandita dalla solita routine. Una routine che ruotava attorno alle persone perché, in fin dei conti, se si escludevano le lezioni - dove comunque era costretta a condividere il proprio spazio personale con una quantità di colleghi disperati quanto lei -, per quanto i suoi doveri fossero svariati, includevano tutti il contatto col pubblico. Tra la carica di senior ed il tipo di posizione assegnatale in quanto tirocinante, il tempo che le restava per sé stessa era più o meno nullo. Il che aveva certamente i propri risvolti positivi: per esempio, avendo sempre qualcosa da fare e qualcun altro di cui occuparsi, non aveva modo di restare da sola coi propri pensieri, che di quei tempi erano diventati cupi e insolitamente rumorosi. Tuttavia, proprio perché la Byrne non versava nella migliore delle condizioni psicologiche, tutto quel socializzare aveva cominciato a darle ai nervi. Non che lasciasse trasparire quelle crepe, comunque. Aveva scoperto che, quando portata allo stremo, quello di recitare era per lei un riflesso naturale. Posso non essere arrivata a Broadway, ma il lupo perde il pelo e non il vizio. Il fatto che fosse in grado di portare avanti una pantomima credibile, in ogni caso, non rendeva meno urgente il suo bisogno di ricaricare le batterie. Ho bisogno di un paio d'ore soltanto, poi tornerò operativa come prima, si era detta. E così, con una certa naturalezza ed il migliore dei sorrisi sulle labbra, aveva combattuto per il suo sacrosanto diritto di starsene per i fatti propri. Il mondo, ovviamente, aveva sentito la necessità di metterle i bastoni tra le ruote. Prima nella forma di un ragazzino indeciso, che aveva prolungato il loro colloquio all'impossibile, snocciolando con pignoleria le sue possibilità post diploma. Una cosa buona, questa, se soltanto non avesse cambiato idea almeno quattro o cinque volte e non avesse sentito il viscerale bisogno di ripercorrere la strada a ritroso, quasi qualcuno gli avesse puntato una pistola alla testa e avesse dovuto scegliere in quel preciso istante cosa farne della propria carriera accademica, pena la morte. Poi erano arrivati dei colleghi - quattro o cinque tutti assieme -, che le avevano fatto perdere tempo, troppo tempo, appena dopo pranzo. Volevano organizzare un gruppo studio per la settimana a venire. Ovviamente, dopo una ventina di minuti di sana discussione, nessuno aveva concluso nulla. E Fawn, un po' inacidita dallo scorrere degli eventi in generale, aveva quasi pensato - nel tentativo di prevenire altri fuori programma - di girarsi sui tacchi, raggiungere casa propria e barricarcisi dentro, abbracciata all'ennesima dispensa. Ma non ne aveva voglia. Sapeva già, per quanto paradossale potesse suonare, che costringersi tra le mura domestiche, si sarebbe rivelato infruttuoso e frustrante; aveva bisogno di stare sola, dopotutto, ma non troppo sola.
    Così, come qualunque animale di città che si rispetti, aveva scelto la strada più ovvia - quella di dirigersi verso il primo luogo affollato a sua disposizione e sedersi in un angolino, sperando che il chiacchiericcio di fondo facesse il suo, aiutandola sia a confondersi tra la folla che a quietare i propri pensieri abbastanza da potersi concentrare su qualcosa di utile.

    Una volta arrivata ai Tre Manici, si rese conto che il locale fosse zeppo di persone. Prevedibile. Nel week-end, vi si riversavano gli studenti di Hogwarts. D'altra parte, a seguito dei nuovi decreti ministeriali, non c'erano altre circostanze in cui potessero farlo. E la mora, in una certa qual misura, di quell'andirivieni di persone, era anche piuttosto felice. Perlopiù, dopotutto, i piccoletti sembravano viaggiare in comitiva; questo voleva dire che a nessuno di loro, fortuna permettendo, sarebbe mai venuto in mente di attaccare bottone. Lei d'altro canto, come si è già detto, aveva varcato la soglia della locanda con un obiettivo ben preciso: trovare un tavolo libero, occuparlo, e sprofondare nella lettura del primo testo accademico avesse pescato dalla borsa. Magari avrebbe anche ordinato un caffè. Più per giustificare la propria presenza lì dentro che perché le andasse veramente; quanti ne avrò presi solo oggi? Non ci voglio neppure pensare. Aveva dovuto farsi spazio, talvolta sgusciando letteralmente in mezzo a gruppetti più o meno numerosi, al fine di individuare un posto che facesse al caso suo. Ci aveva messo un po' di tempo, a trovare una postazione che l'ispirasse abbastanza, ed ora non aveva davvero alcuna intenzione di farsela soffiare da nessuno. Se avesse notato che qualcuno si stesse muovendo verso il punto da lei scelto? Con la sua visione periferica, sì. Forse sarebbe stato più carino da parte sua, più gentile, fare dietrofront e lasciare che fosse la sua controparte, di chiunque si trattasse, ad occupare quel tavolino. Ma no, decise che non avrebbe ceduto. Le falcate leggere dell'americana si fecero più rapide - una corsa al posto, davvero Fawn? - e si rese conto forse troppo tardi del fatto che lei e la sua avversaria fossero giunte al punto d'arrivo assieme, puntando due sedie diverse. Ci fu un attimo di silenzio. Una sorta di muto stallo alla messicana, con tanto di sguardi che si incrociavano e microespressioni poco felici di entrambe. Attimi che la minuta rosso-oro, avvolta nel suo cappottino rosso di repertorio, si prese per osservare la ragazza che aveva di fronte. Dov'è che ho già visto quei capelli? Una domanda, quella, che di fronte alla chioma biondo platino della giovane, non aveva potuto fare a meno di porsi. E, sebbene non avesse ancora lasciato la presa sulla sedia, l'espressione di Fawn mutò, facendosi più pensosa, quasi stesse tentando di acciuffare un ricordo per il bavero. Era certa di non conoscerla personalmente, sempre in virtù del fatto che dei capelli così vistosi non li avrebbe certamente dimenticati, né avrebbe faticato ad associare il viso della proprietaria ad un nome, qualora le fosse mai stato fornito. Lo sguardo appena più sottile, sempre nel tentativo di rammentare quel famoso momento in cui l'aveva vista, inclinò la tesa di lato in maniera quasi impercettibile. Considerò persino di dire qualcosa, magari ponendo la domanda fatidica alla diretta interessata, ma questa decise di batterla sul tempo. Era una sorta di giocoso testa a testa con una sconosciuta, quello. Uno dove il vantaggio veniva determinato da letterali frazioni di secondo. In quel caso, la bionda sembrava averla avuta momentaneamente vinta. «Maria?» Lo sguardo della Byrne, dopo un millesimo di secondo di genuina confusione, parve accendersi improvvisamente. Forse ho capito! «Tu hai interpretato Maria in “West side story” a scuola!» Sì, ho decisamente capito. Le scoccò dunque un mezzo sorriso: « Stavo giusto tentando di capire dove ti avessi vista prima. » Ammise dunque in tono morbido, dalla sfumatura cordiale. « Eri seduta ai posti davanti la sera della prima, mi sbaglio? » Le domandò, sapendo benissimo di non sbagliarsi. In fondo, la ragazza in questione non le era rimasta impressa soltanto per il colore insolito dei suoi capelli. C'era anche un'altra ragione, da quel che ricordava. « Durante il primo atto, accanto a te, c'era un ragazzino che continuava a mangiare caramelle. Al secondo atto, non so come, è magicamente sparito. Non so come tu l'abbia convinto a levare le tende, ma mi hai fatto un favore. » Cantare con il rumore delle cartacce sotto, non è piacevole per nessuno dopotutto. « Beh, a questo punto devo proprio chiedertelo: che te ne è parso dello spettacolo? » Scostò la sedia, facendo quindi cenno alla nuova conoscenza di fare altrettanto, qualora avesse voluto. « Fawn, comunque. » Aggiunse. « Anche se Maria non mi dispiaceva. »




     
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    « Stavo giusto tentando di capire dove ti avessi vista prima. » Quella voce. Era lei, sicuramente. Wednesday se la ricordava perché si rammentò di aver pensato che avesse una voce molto bella, ma particolare. Era certa che la giovane con cui competeva per il tavolino accanto alla finestra, non fosse nata in Inghilterra nonostante fosse pomeriggio e si avvicinasse l’ora del thè. « Eri seduta ai posti davanti la sera della prima, mi sbaglio? » Wednesday strabuzzò di poco gli occhi, piacevolmente impressionata dalla memoria di Maria. «Si ero io. Possiedi anche tu una memoria eidetica?» le chiese sento spuntare sulle labbra un piccolo sorriso. Ricordava perfettamente la serata durante la quale quel musical era andato in atto. Weedy conosceva molte delle battute dello spettacolo, avendolo visto più volte a teatro. La piccola Mortimer era fatta così, difficilmente qualcuno l’avrebbe convinta a mettere piede su di un palcoscenico, ma per quanto riguardava la conoscenza, in questo campo era ferratissima. La prima volta che mamma e papà l’avevano portata a teatro aveva cinque anni e, al Novello Theatre di Covent Garden proponevano il “Macbeth”. Alla biglietteria, l’uomo seduto dietro il vetro, fece notare ai coniugi Mortimer che forse non era uno spettacolo adatto ad una bambina di quell’età, ma loro insistettero dicendo che la loro Weedy non era una tipetta facilmente impressionabile. La Corvonero ricordava ancora l’espressione titubante dell’uomo, dietro i suoi enormi baffi a manubrio. Il numero dei posti li aveva portati ad un palchetto piuttosto centrale dove si vedeva perfettamente l’intero palcoscenico, ancora chiuso da un sipario di velluto rosso. Subito la bambina si arrampicò sulle ginocchia del padre e la mamma cominciò a raccontarle che, secondo una superstizione di origine anglosassone, diffusasi in tutto il mondo, si ritenga che mettere in scena questo dramma Shakespeariano porti molta sfortuna e, per questa ragione, gli attori evitavano di pronunciarne il nome quando si trovano dentro un teatro, sostituendolo con l'espressione "Il Dramma Scozzese". Allo stesso modo, si crede che bisognerebbe evitare il più possibile di recitare i brani del dramma che contengono gli incantesimi pronunciati dalle tre streghe. A queste parole, la donna pizzicò la punta del naso della bambina e lei scoppiò in una risatina. Wednesday ricordava bene l’emozione di quella sera perché era la stessa che l’aveva accompagnata in tutti quegli anni, ogni volta che sedeva a teatro e vedeva il sipario ancora chiuso, vibrante di adrenalina, pronto a schiudersi ovunque ci fosse una storia da raccontare. « Durante il primo atto, accanto a te, c'era un ragazzino che continuava a mangiare caramelle. Al secondo atto, non so come, è magicamente sparito. Non so come tu l'abbia convinto a levare le tende, ma mi hai fatto un favore. » Un sorriso inaspettato si creò sulle sue labbra. Ricordava bene quel ragazzino, il mangiacaramelle. Aveva scartato la prima che lo spettacolo non era ancora cominciato. Wednesday era sempre stata una ragazzina piuttosto riflessiva che prima di agire studiava ogni punto di vista, prendendo in considerazione le varie alternative. Raramente agiva d’impulso, era una cervellotica, lei. Eppure ricordava perfettamente che quella sera aveva dovuto impegnarsi parecchio per evitare di prendere una di quelle caramelle e ficcarla in gola al povero malcapitato. Ricordava di aver seguito male il primo atto perché troppo impegnata a rammentarsi che, sfortunatamente, l’omicidio era illegale e punibile per legge. Quando il sipario si era chiuso, annunciando la fine del primo atto, coperta dal suono degli applausi, Weed si era sporta verso il ragazzino sussurrandogli all’orecchio che se non l’avesse finita di fare confusione gli avrebbe strappato via gli occhi dalle orbite ed avrebbe riempito i buchi vuoti con quelle stupide cartacce. Il giovane studente l’aveva guardata terrorizzato e si era alzato di corsa, facendo cadere a terra tutti gli involucri colorati delle caramelle che si era mangiato. Da allora non lo aveva più visto.
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    «Non credo di essere stata molto carina con lui. Non credo che verrà a vedere il vostro prossimo spettacolo, mi dispiace..» e in contrasto con le sue parole e il suo tono tutt’altro che rassicurante, il sorriso sulle sue labbra si allargò da parte a parte, quasi a toccarle le orecchie. « Beh, a questo punto devo proprio chiedertelo: che te ne è parso dello spettacolo? » Abbassò lo sguardo quel tanto che bastava per vedere la ragazza dai capelli bruni scostare leggermente la sedia ed invitarla a fare lo stesso. Le si sedette di fronte, per poi sbottonarsi il cappotto, un bottone dopo l’altro. « Fawn, comunque. Anche se Maria non mi dispiaceva. » La Mortimer annuì. «Wednesday. Anche se “scaccia mangiatori di caramelle” non mi dispiaceva.» Stai cercando di essere socievole, Weed? Bhè, dopotutto la cerbiatta l’aveva pacificamente invitata a condividere il tavolino con lei, quindi essere accondiscendente era l’unica cosa che poteva fare. O almeno provarci. «Fawn mi piace molto di più di Maria.» Weedy si sfilò in cappotto, poggiandolo sullo schienale della sedia in legno, sistemandosi i polsini del pullover blu cobalto, per poi rialzare lo sguardo e vedere una cameriera venire nella loro direzione. Una taccuino e una Penna-Prendi-Appunto levitavano all’altezza della spalla della donna, che le guardò con espressione annoiata. «Desiderate?» Il suo tono era mononota. Non pareva molto felice di essere lì e Weedy decise di non biasimarla. «Un thè all’ortica ed un muffin ai mirtilli, grazie.» Rivolse poi lo sguardo sulla giovane seduta difronte a lei, attendendo che anche lei ordinasse e che la cameriera tornasse dietro il bancone. «Per quanto riguarda lo spettacolo tutto sommato è andata bene, ma ci sono cose che non mi sono piaciute affatto.» Ed eccola là, la disarmante sincerità di Wednesday Mortimer e il suo non essere per nulla imbarazzata nel dire certe cose. Il suo sguardo si spostò dalla cameriera a Fawn, sbattendo le palpebre ed ergendosi dritta sulla schiena. «In primis il volume delle voci. E’ chiaro che tu non sia fresca di palcoscenico, porti la voce molto bene, sono certa che ti sentissero pure dalle ultime file. Qualcuno invece spariva come il ragazzo che faceva Bernardo e persino Tony in certe occasioni. Tra l’altro mi ha dato l’idea di essere uno che un po’ se la tira, dico bene?» Fece una piccola risatina e proprio in quel momento arrivò la cameriera che posò sul tavolo le ordinazioni della ragazza. Weed, prese due zollette di zucchero con l’aiuto del cucchiaino, per poi tuffarle nel thè fumante. «Anita ha stonato un paio di volte in “America”, ma è stata brava a non farlo notare.» Mescolava, guardando la ragazza. Per come lo stava descrivendo non sembrava che lo spettacolo fosse andato bene. Valutazione errata perché era stato accolto molto calorosamente dal pubblico, con scroscianti applausi. Wednesday aveva visto molte studentesse con il fazzoletto in mano e gli occhi arrossati. Si era parlato per giorni di quello spettacolo, soprattutto tra le ragazze visto il successo ricevuto dal ragazzo che interpretava Riff. Semplicemente la Corvonero diceva ciò che pensava, senza peli sulla lingua. «La mia compagna di stanza si è presa una cotta per il ragazzo che faceva Riff. Devo dire che è stato davvero bravo.» Strinse la tazza tra le mani, portandosela alle labbra e bevendone un sorso. «Hai una voce paurosamente interessante. Mi chiedo perché tu ti limiti a farla ascoltare durante le recite scolastiche. Mi pare un po’ uno spreco.» commentò arricciando le labbra in un sorriso. «Se ti sarà possibile congratulati da parte mia con chi si è occupato dei costumi. Risvegliavano i morti da quanto erano ben fatti.» Fu in quel momento che le venne in mente un’altra cosa. «Giusto per curiosità.. C’era la ragazza che interpretava Consuelo che un paio di volte ti ha lanciato delle occhiatacce. Più che altro sembrava sul punto di sperare che tu inciampassi da un momento all’altro.. Scommetto che puntava a fare Maria, mhm?»
     
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    Non era raro che i programmi che la Byrne faceva venissero stravolti in tronco dal caso, e quella volta non aveva fatto eccezione. Per quanto avesse spergiurato di volersi dedicare a sé stessa per prendersi una pausa alla fine, prevedibilmente, l'americana si era ritrovata seduta allo stesso tavolino di quella ragazzina dai capelli candidi, con un sorriso sulle labbra. In fondo, per quanto in partenza il pensiero di condividere il proprio pomeriggio con qualcuno potesse non averla esaltata per i motivi più disparati, quando messa davanti alla realtà dei fatti, Fawn preferiva sempre mostrarsi affabile al prossimo. In più, a ben guardare, quella che avrebbe scoperto chiamarsi Wednesday le sembrava una ragazza peculiare, ad una prima occhiata affatto il tipo di persona la cui presenza risulta molesta. Quando questa le chiese della memoria, la Byrne scosse appena la testa, prima di chiarificare: « Mi sei rimasta impressa per i tuoi capelli. Sono molto particolari. » Abbozzò un mezzo sorriso, come a sottintendere un: "mi piacciono" rimasto inespresso. « E le circostanze hanno fatto il resto. Forse non sembra, ma dal palco facciamo molto caso a come reagisce il pubblico. Diciamo che... » Qui assunse un'espressione ironica, il tono della voce adesso più confidenziale. « ... sapere che qualcuno stesse prestando più attenzione al cibo - per quanto sia indubbiamente importante - che non a quello che stavamo mettendo in scena, non lasciava ben sperare. In generale, non è mai bello sapere che qualcuno si annoi ad una rappresentazione. » Fece spallucce, certa che ulteriori digressioni sull'ego ferito di chi di quella produzione si era occupato, sacrificando ore del proprio tempo libero che avrebbe potuto impegnare altrimenti, non fossero necessarie. «Non credo di essere stata molto carina con lui. Non credo che verrà a vedere il vostro prossimo spettacolo, mi dispiace..» Trovò così divertente il contrasto tra le parole della bionda, ed il tono di voce e l'espressione che non potè a meno di sbuffare una mezza risata. « Te lo dico in via del tutto confidenziale: non penso mancherà a nessuno. Meglio pochi, ma buoni. » Sottolineò il tutto con un occhiolino ironico, prima di sedersi più composta, le mani giunte sul tavolo. Annuì, nell'apprendere il nome della compagna. « Ci avrei scommesso che non avessi un nome ordinario. Avrebbe stonato con - » In uno svolazzante gesto della mano sinistra indicò la stessa Wednesday. « - te, presumo. » Ed in effetti, ad osservarla meglio, non erano soltanto i capelli della giovane, a renderla particolare. C'era qualcosa di indefinito, nella sua aria in generale, che faceva supporre che l'altra non fosse esattamente una ragazzina ordinaria. Possedeva, - questo era un dettaglio che non sfuggì all'occhio attento della mora, abituata per più di una ragione a badare alla postura propria ed altrui - una compostezza particolare. Ricambiò dunque il complimento qualche attimo prima. « Mi piace. C'è un qualche diminutivo o preferisci che non venga alterato in alcun modo? » Quando l'altra si sedette, l'americana drizzò le orecchie - la netta sensazione che la nuova conoscenza avrebbe avuto parecchio da dire riguardo lo spettacolo cui aveva assistito. Dopotutto, se si ricorda di Maria a mesi di distanza, almeno un po' lo spettacolo deve esserle rimasto impresso, no? Non restava che scoprire se in senso buono o meno. Bisogna dire che nel porre questo genere di domande, l'americana non si aspettasse obbligatoriamente un riscontro positivo. Anzi, la sua tendenza al perfezionismo, tendeva a recepire commenti privi di critiche costruttive come un contentino. Dopotutto, proprio perché le loro rappresentazioni erano alla fine amatoriali, qualcosa che andava storto c'era sempre. Inoltre, per come la vedeva lei, era importante comprendere cosa il pubblico non avesse apprezzato in modo da evitare di riproporglielo. «Desiderate?» Concentrata com'era ad attendere un responso, Fawn dovette trattenersi dal sobbalzare. Spostò tuttavia lo sguardo sulla cameriera - in America non ti farebbero servire ai tavoli con quell'aria - che tutto sembrava meno felice di prendere la loro ordinazione. Quando fu il suo turno di ordinare, tuttavia, scoccò alla giovane un largo sorriso. « Un caffè. Americano. E una fetta di cheesecake ai frutti di bosco, grazie. » Quando quella si fu allontanata, si rivolse nuovamente alla nuova conoscenza: « Ricordami di lasciarle la mancia. Magari, l'ordinazione di quelli che vengono dopo di noi, non la prende con la morte nel cuore. » Si sistemò dunque una ciocca scura dietro l'orecchio, prima di scoccarle un'occhiata tinta di curiosità - sulle labbra un sorriso appena accennato - come invitandola ad esprimere quella sua tanto attesa opinione. «Per quanto riguarda lo spettacolo tutto sommato è andata bene, ma ci sono cose che non mi sono piaciute affatto.» Fawn annuì, facendo di nuovo un cenno con la mano, quasi ad invitarla a vuotare il sacco. Gli occhi, puntati in quelli grandi della controparte, sembravano esprimere un solo concetto: tipo?
    «In primis il volume delle voci. E’ chiaro che tu non sia fresca di palcoscenico, porti la voce molto bene, sono certa che ti sentissero pure dalle ultime file. Qualcuno invece spariva come il ragazzo che faceva Bernardo e persino Tony in certe occasioni. Tra l’altro mi ha dato l’idea di essere uno che un po’ se la tira, dico bene?» Fawn si prese un attimo per riflettere mentre, a sua volta, zuccherava la bevanda da lei ordinata. Se da un lato, ovviamente, sentiva il proprio ego raddrizzare metaforicamente la schiena, dall'altro doveva ammettere che le critiche di Wednesday fossero... poco banali, oltre che parzialmente veritiere. Ancora una volta, si trovò ad osservarla attentamente, nel farle un breve cenno col capo, annuendo tra sé. «Anita ha stonato un paio di volte in “America”, ma è stata brava a non farlo notare.» Che sono cose che, a teatro, capitano - inarcò appena le sopracciglia, emettendo un versetto assorto, ma ancora non l'interruppe. Optò per un sorso del proprio caffè nel lo sguardo. «La mia compagna di stanza si è presa una cotta per il ragazzo che faceva Riff. Devo dire che è stato davvero bravo. Hai una voce paurosamente interessante. Mi chiedo perché tu ti limiti a farla ascoltare durante le recite scolastiche. Mi pare un po’ uno spreco. Se ti sarà possibile congratulati da parte mia con chi si è occupato dei costumi. Risvegliavano i morti da quanto erano ben fatti.» Di qui fece quasi per prendere la parola, già pronta a controbattere punto per punto - facendo luce su determinati particolari dei quali la ragazza non poteva materialmente essere al corrente. Per esempio, il fatto che dietro l'apparente tirarsela di Lucas, che poi era l'interprete di Tony, ci fosse in realtà l'ansia da prestazione. Per lui, dopotutto, quella versione di West Side Story aveva rappresentato un debutto, un'occasione per la quale aveva sudato nonostante si trattasse, in fondo, solo di uno spettacolo di collegiali. E si sa, ognuno affronta il nervosismo a modo suo. Tuttavia, la difesa a spada tratta del proprio compagno, venne stroncata sul nascere da altre, interessanti osservazioni. «Giusto per curiosità.. C’era la ragazza che interpretava Consuelo che un paio di volte ti ha lanciato delle occhiatacce. Più che altro sembrava sul punto di sperare che tu inciampassi da un momento all’altro.. Scommetto che puntava a fare Maria, mhm?» L'aria decisa di Fawn sfumò in una mezza risata genuinamente divertita. Più che dal concetto in sé, però, lo era dalla tranquillità con cui era stato espresso. Nel prendere un pezzetto dalla cheesecake, dunque, buttò lì un: « Mi trovo costretta a confermare quest'indiscrezione. » Fece saettare lo sguardo in quello della compagna, sollevando le sopracciglia un paio di volte per sottolineare quanto l'altra ci avesse visto giusto. « Tu parti dal presupposto che il mondo del teatro sia brutale, aggiungici che è stata una guerra all'ultimo sangue ai provini e... beh, diciamo che non serve che io dica molto altro. » Si strinse appena nelle spalle, prima di aggiungere: « La verità è che non aveva l'estensione giusta. Non è che non volessimo farle fare Maria, sarebbe stato solo complicato arrangiare tutto ex novo - non ne avremmo avuto il tempo materiale. Già capita spesso di doverci spartire le cose da fare, oltre le parti da studiare s'intende... capisci da te che non fosse fattibile. » Lasciò quelle parole ad aleggiare tra loro per qualche istante, approfittandone per sorseggiare dalla propria tazza. « Per quanto riguarda il resto: ti ringrazio, ho studiato canto per parecchi anni. » Piegò le labbra in un sorriso appena nostalgico, abbassando lo sguardo sul tavolo. « Ti dirò: avevo anche pensato di continuare gli studi in quell'ambito. » Ed il sogno nel cassetto c'è sempre; niente mi rende più felice di quanto non faccia il palcoscenico. « Alcuni fattori, però, mi hanno portata a desistere per forza di cose. » Si lasciò sfuggire un sospiro. Poi, quasi ricordandosi di essere in pubblico, le scoccò un mezzo sorriso. « Per il resto... riferirò i complimenti a chi di dovere e vedrò di rendere noto che il sound sia da implementare. » Pausa. « Avremmo potuto usare un Sonorus, ma secondo me toglie di magia al tutto. » Puntò dunque, di nuovo, lo sguardo in quello dell'interlocutrice - sorridendole. Ora è il mio turno di fare domande. « Mi pare d'intuire che ti interessi di teatro, comunque. Hai un'opera preferita? Un genere? » Un altro sorso a scandire la breve pausa necessaria a riprendere fiato e non far sentire la bionda troppo bombardata di domande. « E soprattutto: mai pensato di recitare? »

     
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    « Mi sei rimasta impressa per i tuoi capelli. Sono molto particolari. » Le piaceva che Fawn avesse usato il termine “particolari” anziché “strani” per descrivere i suoi capelli. Le era capitato di chiedersi come mai avessero quella sfumatura più tendente all’argento che al biondo. Le piaceva la versione di sua madre, quella che le aveva raccontato qualche volta, prima di addormentarsi. L’idea di essere stata maledetta da una strega cattiva aveva un che di affascinante. Dubitava fosse la verità. Probabilmente si trattava di genetica, magari una sua antenata, non lo sapeva. Aveva persino imparato ad ignorare lo sguardo curioso della gente e con il tempo nessuno sembrava più farci molto caso. Annuì alla sua affermazione. Immaginava cosa potesse significare trovarsi su di un palco, con l’adrenalina a mille, con il desiderio di coinvolgere il pubblico trascinandolo in quell’atmosfera fatta di suoni, parole ed arte. E poteva percepire perfettamente, dalle parole di Fawn, il fastidio che si provava nel sentire qualcuno interessato più a delle caramelle piuttosto che a ciò che si stava svolgendo sul palco. Non era facile rimanere concentrati con quel rumore in sottofondo. C’era seria possibilità di distrarsi, per l’attore, dimenticando una battuta o creando imbarazzanti silenzi che qualcuno poi si sarebbe affrettato a riempire, così, anche andando fuori dal copione, solo per salvare la scena. Doveva essere terribilmente fastidioso. « Te lo dico in via del tutto confidenziale: non penso mancherà a nessuno. Meglio pochi, ma buoni. » Si strinse nelle spalle, allungando i lati della bocca verso l’alto, mentre un mugolino divertito si infrangeva sulle sue labbra. «Purtroppo l’arte non è per tutti.» Si lasciò sfuggire con tono arrendevole, scuotendo impercettibilmente la testolina. L'arte scuote dall'anima la polvere accumulata nella vita di tutti i giorni. Dove aveva letto quella frase? Non se lo ricordava. Sicuramente in qualcuno dei suoi libri. Si ricordava di aver pensato che fosse esattamente ciò che pensava. Picasso! Ecco chi era. L’arte che purifica, elevandoci, insegnandoci a volare. « Ci avrei scommesso che non avessi un nome ordinario. Avrebbe stonato con - » La ragazzina seguì con lo sguardo il gesto che Fawn stava facendo per indicandola. « - te, presumo. » Sbattè un paio di volte le palpebre, piegando in parte la testolina come se le servisse per guardare meglio la cerbiatta davanti a sé. Nonostante non avesse mai conosciuto nessun altro con il suo nome, non si era mai interrogata sul fatto che fosse peculiare o meno. Le piaceva che le appartenesse, che fosse poco condivisibile con gli altri, suo. Tornò con la schiena dritta, stringendosi per un attimo nelle spalle e spingendo appena infuori le labbra, in un’espressione non particolarmente colpita. «Non ci ho mai badato molto, in realtà. Io e i miei fratelli ci chiamiamo tutti come il giorno della settimana in cui siamo nati.» Scosse di poco la testa, come a dare a quella frase un tono fin troppo leggero. Si era sempre detta che trovava più particolare il suo secondo nome, piuttosto che il primo: Allegra. Forse, nel darglielo, mamma e papà speravano che la loro bimba diventasse uno spruzzetto di felicità? Quello si che sarebbe stato strano.. « Mi piace. C'è un qualche diminutivo o preferisci che non venga alterato in alcun modo? » La Corvonero si strizzò un poco tra le spalle minute. «Qualcuno mi chiama Weed. Scegli la formula che preferisci.» le sorrise sinceramente, come a volerle dare campo libero per quel genere di scelta. Le piaceva il suo nome, amava che ci fosse un punto di connessione tra lei e i suoi fratelli, qualcosa che li unisse in modo indissolubile. Ma nel suo cuore, sapeva che non erano solo i loro nomi a legarli per la vita. Sperava di riuscire a fargli trovare anche la Fede in ciò in cui i Mortimer credevano ciecamente da sempre, così che sarebbero potuti rimanere uniti non solo nella vita terrena, ma addirittura per l’eternità. « Ricordami di lasciarle la mancia. Magari, l'ordinazione di quelli che vengono dopo di noi, non la prende con la morte nel cuore. » Qualcosa di simile ad una risata le risalì su per la gola, costringendola a stringere appena gli occhi e ad addolcire la sua espressione di solito così austera. Fawn aveva decisamente ragione. Quella cameriera aveva lo stesso entusiasmo che Weedy avrebbe avuto trovandosi ad una festa di compleanno a sorpresa: con la sensazione che qualcosa non stesse andando come era nei piani.
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    Le era sempre piaciuto dare la propria impressione sugli spettacoli che vedeva. Le piaceva confrontarsi anche con chi aveva avuto un’idea completamente diversa dalla sua, quasi prendendola come una sfida nel vedere se sarebbe riuscito a farle cambiare idea. Il confronto e il dibattito erano un qualcosa su cui era particolarmente ferrata. A volte, pensava che se non avrebbe preso le redini dell’impresa di famiglia avrebbe potuto avere un’ottima carriera d’avvocato o anche nel mondo della politica. Afferrò la piccola forchettina da dolce, affondandola sul muffin e dividendolo circa a metà. Ne inforcò un pezzetto, portandoselo in bocca. Una zolletta di zucchero nel thè. Girava. Ma nonostante sembrasse impegnata sulle leccornie portate al tavolo dalla stessa entusiasta cameriera, in realtà cercava di non perdersi neppure una sfumatura di passaggio nel viso della giovane cantante che aveva di fronte. Wednesday era cresciuta con l’idea che usando i guanti di velluto si potesse dire qualsiasi cosa. Non si era mai vergognata nel dire la verità, anche quando questa poteva essere dura da accettare. Non le piaceva che le persone le mentissero. Mamma e papà l’avevano capito subito. Si chiamava Poppy ed era il pesciolino rosso più bello dell’acquario. A Weedy piaceva osservarlo nuotare, muovendo la sua doppia coda. Quando morì, i signori Mortimer non le raccontarono che lo avevano liberato in un bel laghetto di montagna dove sarebbe stato felice per sempre. Semplicemente le dissero che era morto, e lei lo capì. Capiva anche gli occhi di Fawn, intuiva facilmente quali commenti colpissero la ragazza più nel profondo e a quali avrebbe voluto immediatamente rispondere. Perché si sa, le critiche aiutano a crescere, ma allo stesso tempo cerchiamo di difendere ciò che amiamo con le unghie e con i denti, anche se consapevoli della presenza di quelle piccole imperfezioni. Non aveva intensione di offendere Fawn, la sua passione o il suo spettacolo, anzi. Le era piaciuto, davvero, ma come nella maggior parte delle cose la giovane Mortimer vedeva pro e contro, studiando ogni sfaccettatura. Wednesday era fatta così: diceva tutto ciò che le veniva in mente, senza malizia, senza il pensiero di poter ferire qualcuno con le sue parole. Solo dopo la domanda sulla competizione don l’interprete di Consuelo, il viso della brunetta davanti a lei si era un po’ addolcita, quasi trovando un po’ di divertimento in quella domanda. « Mi trovo costretta a confermare quest'indiscrezione. Tu parti dal presupposto che il mondo del teatro sia brutale, aggiungici che è stata una guerra all'ultimo sangue ai provini e... beh, diciamo che non serve che io dica molto altro. » Weed annuì, sorridendo un po’ e portandosi la tazza di thè alle labbra. Annuì mentre Fawn parlava di estensione canora, qualcosa che sicuramente a lei non mancava. Maria aveva un’estensione vocale notevole e di sicuro si era più che meritata quel ruolo. « Ti dirò: avevo anche pensato di continuare gli studi in quell'ambito. Alcuni fattori, però, mi hanno portata a desistere per forza di cose. » Annuì, comprendendo la situazione. «E’ un vero peccato. Sei molto dotata.» Il quartiere di Covent Garden nella Londra Babbana non era certo Broadway ma aveva molti teatri meritevoli che a suo parere avrebbe fatto piacere provinare una voca come quella della giovane donna seduta di fronte a lei. « Mi pare d'intuire che ti interessi di teatro, comunque. Hai un'opera preferita? Un genere? » Wednesday annuì, masticando un boccone di muffin. Deglutì. «Portrà sembrarti banale, ma sono una vera appassionata di Shakespeare. I miei genitori hanno cominciato a portarmi a teatro da quando ero solo una bambina. La mia rappresentazione preferita.. Penso “MacBeth” anche perché è la prima che ho visto, quindi deve esserci un qualcosa di sentimentale, suppongo..» « E soprattutto: mai pensato di recitare? » Weed scosse la testa per poi bere un altro sorso di thé. «Mai. Non credo di essere particolarmente dotata nella recitazione. Non quanto mi troverei bene a lavorare dietro le quinte. Sono indubbiamente brava ad organizzare e a far sì che tutto proceda per il verso giusto. Con ogni mezzo possibile Suonava quasi come una minaccia, ma era vero. Wednesday era una perfezionista, attenta ai particolari, con l’occhio critico che ispezionava ogni cosa. «Inoltre ho una voce che risveglia i morti. E credimi, si sveglierebbero solo per venire a tapparmi la bocca.» Disse con una risatina. «Tu invece? Hai una rappresentazione preferita?» Un altro morso al muffin. «E avete in programma qualche altro spettacolo? O replicherete con questo?»
     
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