Cat Attack.

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +5    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    201
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    La Pozione Aguzzaingegno era in grado di accrescere le capacità intellettive e di memoria di chiunque la assumesse. Erano in tanti gli studenti che ne facevano uso, in modo particolare durante gli esami di metà corso. L’avevano studiata durante il quarto anno e crearla era del tutto legale. Wednesday Mortimer afferrò il lungo mestolo di legno cominciando a girare la brodaglia che ribolliva dentro il calderone. Due giri a destra e due giri a sinistra, finchè la pozione non assumeva una colorazione azzurro brillante. Un uovo di Runespoor, scarabei ben sminuzzati e polvere di radice di zenzero. L’ultimo ingrediente era la bile di armadillo, tenuta ben custodita in una boccetta dal collo allungato accanto al libro aperto sul tavolo. Altri due giri a destra e due a sinistra. La piccola Mortimer era sempre stata particolarmente portata nella preparazione delle Pozioni. Fin da piccola amava tener compagnia a sua madre nel laboratorio. Se ne stava seduta sopra uno sgabello, uno di quelli con la seduta girevole, ad osservare la mamma che mescolando un po’ di questo e un po’ di quello creava sostanze dai colori brillanti che poi distillava dentro piccole ampolle di vetro. Qualcuno di quei colori era simile a quello dei suoi pennarelli. Creare pozioni, diceva Belladonna Mortimer, era un rito, un artificio nel quale servivano pazienza e precisione. A Weedy, ancora troppo piccola, non era permesso toccare nulla se non sotto stretto controllo della madre. Per questo se ne stava sul suo sgabello, buona buona, osservando la mamma e Sunday che mescolavano il calderone scoppiettante. Erano sempre state loro quelle più brave in certe cose, quelle che con dei gesti apparentemente del tutto casuali erano in grado di creare qualsiasi pozione. Due giri a destra e due giri a sinistra, lo sguardo fisso sul liquido che piano piano pareva avviarsi sempre di più verso la colorazione indicata. La prima ed unica volta che aveva preparato quella pozione, durante la lezione di due anni prima, era in coppia con Susan McEwett, una Tassorosso dai lunghi capelli biondi e la faccia cosparsa di efelidi. Susan, chissà per quale motivo, pareva non gradire la sua compagna di laboratorio. Se ne stava praticamente sempre in silenzio, rintanata nel suo lato del bancone, lanciando di tanto in tanto qualche occhiata a Weed, come se la stesse studiando con timore, come si fa con un animale selvatico. Dal lato suo, Weedy aveva deciso di ignorare i modi della giovane Tassorosso. Mescolava il suo calderone, con tranquillità, portando a termine in modo brillante il proprio compito. Se c'era una cosa che saltava subito all'occhio guardando Wednesday era quanto fosse diversa dalla maggior parte delle ragazzine della sua età. Portava i capelli a caschetto, all’altezza delle spalle, perfettamente ordinati, che le incorniciavano il viso pallido dove dominavano due enormi occhi color foglia. Le labbra sottili, le sopracciglia quasi sempre ripiegate in un'espressione per niente sorpresa. Lo sguardo sembrava essere troppo maturo per appartenere a quella che, nonostante tutto, era ancora poco più di una bambina. Aveva l'aria di chi non ha bisogno di nessuno e lei stessa se ne convinceva ogni giorno che passava. Non aveva bisogno di Susan McEwett e di nessun altro. Destra e sinistra. La pozione aveva finalmente raggiunto la colorazione desiderata e, a quel punto, la Corvonero tolse il tappo di vetro all’ampolla e versò con cautela la bile di armadillo. Una nuvola di fumo scura di levò dalla brodaglia bollente. Continuò a mescolare, con diligenza, mentre la pozione si colorava di una sfumatura di blu. Aveva chiesto il permesso di usare l’aula di pozioni al professore, quella stessa mattina ed aveva scritto il suo nome nel foglio appeso all’ingresso, quello dove gli studenti potevano prenotarsi per usufruire dell’aula. Il dado è tratto. Quella frase attraversò la mente della giovane Mortimer nel momento in cui la pozione assunse finalmente la colorazione blu accesa di cui parlava il manuale e che le pareva di ricordare dall’ultima volta. Smise di mescolare, estraendo il mestolo e battendolo due volte sul bordo del calderone. Afferrò la bacchetta e spense il fuoco sotto il calderone fumante. L’ultima cosa che le era rimasta da fare era aspettare che la pozione si freddasse, per poi poterla versare dentro le ampolle da lei stessa acquistate in un negozietto ad Hogsmeade. La porta si spalancò e Weedy alzò di poco lo sguardo vedendo entrare un ragazzino. Si chiese se fosse già finito il suo tempo e non dovesse liberare l’aula. Lanciò uno sguardo all’orologio che teneva allacciato al polso destro. No, era ancora troppo presto. Decise di non badarci. Riportò lo sguardo verso le sue ampolle. Ne afferrò una e tolse il tappo, somigliante ad un rombo di vetro trasparente. «Sei tu Wednesday Mortimer?» La Corvonero alzò la testa, lentamente. Il ragazzino le si avvicinò, titubante, cercando di stirare un sorriso sulle labbra, inutilmente. Weedy percepiva il suo disagio già ad un paio di metri di distanza. «Si.» Posò la boccetta ed il tappo sul bancone di legno, accanto alle altre. Stampato sulla divisa, all’altezza del petto, lo studente aveva ricamato lo stemma dei Tassorosso. Wednesday lo guardò dritto in faccia, stringendo appena gli occhi, mettendo a fuoco i lineamenti arrotondati del ragazzo. Doveva essere di qualche anno più piccolo di lei ed era certa di non averlo mai visto. Il Tassorosso inghiottì a vuoto, lo sguardo basso, rigirandosi qualcosa tra le mani che, in quel momento, Weedy notò fosse un biglietto. Le guance del Tassorosso parvero andare in fiamme. «Mi è stato riferito di darti questo.» consegnò il foglietto alla ragazza dai capelli argentati e non appena lei lo prese, scappò via a passo rapido, quasi correndo, richiudendosi dietro la porta con un tonfo. Weedy rimase a fissare l’ingresso per qualche secondo. Aveva un ciglio inarcato e l’espressione di chi, in tutta quella situazione, non aveva capito nulla, ma una vocina le suggerì che presto tutto le sarebbe stato chiaro. Abbassò lo sguardo sul foglietto e lo aprì. Era piegato in quattro parti, in una pergamena liscia e senza righe. Una scrittura frettolosa declamava queste parole: "Se vuoi rivedere Morgana sana e salva presentati davanti alla Sala Comune di Serpeverde alle ore 17. Per riaverla indietro, in cambio voglio uno dei tuoi preziosi cerchietti. Segui le istruzioni e a Morgana non accadrà nulla." Firmato F.A.M. Cosa diamine era quella roba? Confusione. Le ci volsero alcuni secondi per mettere a fuoco l’intera situazione. Qualcuno aveva preso Morgana. Qualcuno aveva osato prenderla in giro, divertirsi con lei andando a toccarla in una delle cose che amava di più: la sua gatta. Morgana era quasi sicuramente una delle gatte più viziate dell'intero pianeta Terra e Weedy, come una mammina premurosa, si accertava di non farle mai mancare nulla. Era una gatta che amava la tranquillità a passava la maggior parte delle sue giornate acciambellata sopra il letto della padrona. Non dava confidenza a nessuno. Aveva a malapena imparato a sopportare la presenza di Cassie, compagna di stanza e cugina di Weed. F.A.M., Serpeverde. Era solo uno il nome che le veniva in mente: Friday Azrael Mortimer. La Corvonero rimase a fissare quelle tre lettere mentre la rabbia, che di solito teneva sepolta dentro, ribolliva nelle sue viscere finendo per arrossarle le guance di una sfumatura color pesca.
    Strinse il bigliettino nella mano, riducendolo ad una pallina di carta. I suoi piedi si mossero automaticamente, sempre più rapidi, diretti verso l’ingresso del dormitorio dei Serpeverde. Procedeva a passi spediti, rigida come un soldatino di latta, le mani strette a pugno. Davanti al muro di pietra che, spostandosi, le avrebbe concesso l’ingresso alla Sala Comune del fratello, c’erano due ragazzini che parlavano. Al collo tenevano annodata la sciarpa dai colori verde-argento. «VOI! FATEMI IMMEDIATAMENTE ENTRARE!» Arrivò al viso di uno dei due, preso alla sprovvista. «N-Non puoi entrare, non è la tua Casa.» L’occhio della piccola Mortimer vibrò appena. «Non mi interessa della vostra stupida Casa, ho bisogno di parlare con Friday Mortimer. Immediatamente.» Si impegnò a parlare lentamente, stampandosi in faccia un sorriso inquietante. Il Serpeverde boccheggiò, senza dare una risposta. Weedy roteò gli occhi, per poi posizionarsi davanti alla parete di pietra, le braccia incrociate al petto, le guance paonazze. «FRIDAY MORTIMER ESCI IMMEDIATAMENTE DI QUI O GIURO CHE SFONDO LA PARETE E POI NIENTE POTRA' IMPEDIRMI DI SPEZZARTI LE GAMBE!»


     
    .
  2.     +2    
     
    .
    Avatar

    Junior Member
    ★★

    Group
    Member
    Posts
    79
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Alcune volte avere una memoria fotografica poteva essere davvero frustrante. Friday Mortimer lo sapeva fin troppo bene. Si ritrovava a dover attendere che gli altri passassero ore e ore sui libri per potersi mettere in pari con lo studio, prima di potergli dedicare qualche minuto del loro tempo, per fare qualcosa insieme. Era davvero frustrante che dovesse aspettare, quando era abituato a stare semplicemente al centro dell’attenzione. Non gli piaceva che dovesse attendere: era sempre abituato ad avere tutto e subito mentre tutto quello non faceva altro che snervarlo. Da quando tutti erano diventati così studiosi? Era l’anno dei suoi G.U.F.O. eppure si era già messo in pari con tutto il programma in tutte le materie. Perché risultava così difficile agli altri far muovere le rotelline del loro cervello? Poteva sembrare misantropo in alcuni momenti, ma non c’era nulla di più sbagliato. Lui amava le persone, amava la vita ed era per questo che aveva bisogno di relazionarsi con esseri umani piuttosto che con libri. Perfino parlare con il suo amatissimo Dorian alcune volte gli dava fastidio. Insomma, che cosa poteva fare di entusiasmante con un serpente? Come poteva un essere che strisciava sulla sua pancia aiutarlo a rendere la sua vita un’opera d’arte? Insomma, non fraintendetelo, Friday amava indiscutibilmente il suo adorabile animale da compagnia, ma davvero Dorian non poteva far nulla pur di alleviare la sua noia. Un altro problema del giovane era che aveva sempre bisogno di fare cose nuove. La monotonia non gli apparteneva: di certo non era quella che aiutava a rendere la sua vita indimenticabile. Non era nemmeno affetto da deficit dell’attenzione o dell’iperattività, era semplicemente dipendente dal vivere bene. Friday alla fine era una persona a modo: era una persona eclettica, ma forse un po’ troppo diversa dagli altri componenti della sua famiglia. Non era poi così macabro e oscuro e non parlava nemmeno con i morti. Probabilmente, molti lo consideravano un tipo strano, ma solo perché aveva passioni ed interessi diversi. A volte sembrava che stesse correndo fin troppo, che assumesse comportamenti che non caratterizzavano molti della sua età. E alla fin dei conti era vero. Sebbene volesse vivere per sempre e non voleva diventare adulto, Friday non voleva essere considerato un ragazzo, anche se alla fin dei conti era solo un quindicenne. Si considerava più maturo di molti della sua età, probabilmente perché non si precludeva dal fare esperienze di ogni genere. Eppure, anche se era un venticinquenne intrappolato nel corpo di un adolescente, ogni tanto il suo spirito da bambino aveva la meglio.
    Alla fin dei conti era ciò che era successo quel freddo pomeriggio. I suoi migliori amici avevano deciso di dedicarsi allo studio, o almeno era ciò che gli avevano detto. A nulla erano servite le sue deboli proteste di convincerli a fare altro piuttosto che tenere il naso incollato ad un libro. E allora, aveva scelto come occupare il suo tempo. Solitamente non era bravo con gli scherzi: era un po’ troppo snob anche solo per impegnarsi a pensare a qualcosa che potesse infastidire gli altri. D’altronde, se voleva davvero far innervosire qualcuno, gli bastava la sua presenza, in quanto il suo sguardo accusatorio il più delle volte provocava disagio. L’idea gli era venuta pensando proprio a sua sorella. Sebbene vivessero nello stesso castello, erano sempre troppo pochi i momenti che passavano insieme. A volte sentiva davvero la mancanza del tempo passato al maniero, in cui tutti i fratelli Mortimer potevano semplicemente dare sfogo alle loro passioni più oscure. La vita lì ad Hogwarts gli piaceva, ma era diverso. Lì i freni erano fin troppi, non aveva tutte le libertà di quando era a casa. Non si considerava uno scapestrato, anzi, pensava di essere abbastanza responsabile e maturo per la sua età. Però gli capitava avere dei momenti down in cui aveva solo bisogno di sentirsi nuovamente vivo. Era quasi ironico dal momento che tutta la sua famiglia decantava la morte. Aveva scritto un piccolo messaggio su una pergamena, con la sua calligrafia frettolosa ma elegante. Il messaggio era piuttosto chiaro ed era convinto che sua sorella non avrebbe impiegato più di cinque secondi a capire chi era quel F.A.M.. La verità era che Friday non si era avvicinato nemmeno minimamente a Morgana. Sapeva quanto era scostante la gatta di sua sorella e l’unico modo per poterla catturare sarebbe stata pietrificarla o immobilizzarla. Alla fin dei conti, però, non era minimamente nelle sue intenzioni di farsi odiare da quella gatta ancora di più. Morgana sembrava davvero insofferente nei confronti del genere umano e poteva capire che lui e quella gatta avevano molto in comune, sebbene Friday non odiasse davvero le persone. Quindi, il suo piano era semplicemente scrivere un messaggio a sua sorella, farglielo recapitare e metterla in allerta, fino a farla arrivare a lui. Insomma, com’era che si diceva? Se Merlino non va dal calderone, il calderone va da Merlino… Non aveva fatto altro che uscire dalla sua sala comune e fermare un ragazzino che aveva fatto un passo indietro non appena lo aveva visto avvicinarsi. Faceva davvero così paura? Un sorriso malizioso si dipinse sulle sue labbra nel notare il disagio del ragazzino. « Consegna questa a Wednesday Mortimer. » Non era una richiesta, ma un ordine ben preciso. Allungò la mano per consegnare la pergamena ben piegata, aspettando che il giovane
    tumblr_inline_op0mwvY8Z81rifr4k_540
    Tassorosso la prendesse. Lo sguardo di Friday non aveva lasciato per un secondo il suo volto. Gli piaceva incutere timore e lo divertiva mettere a disagio le persone. Si inumidì le labbra con la punta della lingua, cercando di ricordare il nome di quel ragazzo. Sebbene avesse una memoria fotografica, non era così bravo con i nomi delle persone, semplicemente perché non gli poteva interessar di meno. « Il più presto possibile. » Aggiunse, dandogli poi le spalle e facendo ritorno nel suo dormitorio. Sapeva che il ragazzino avrebbe eseguito il suo ordine, d’altronde perché non avrebbe dovuto farlo? Non aveva nemmeno avuto il coraggio di protestare quando gli aveva chiesto di portare la lettera a sua sorella.
    Si sedette su uno dei divanetti della sala comune, giocando distrattamente con il suo anello magico che segnava la sua appartenenza al Clavis. Si chiedeva quanto tempo avrebbe impiegato Weed a decifrare quel piccolo messaggio e a capire che fosse proprio lui. «FRIDAY MORTIMER ESCI IMMEDIATAMENTE DI QUI O GIURO CHE SFONDO LA PARETE E POI NIENTE POTRA' IMPEDIRMI DI SPEZZARTI LE GAMBE!» La voce soave di sua sorella arrivò fino all’interno della sala comune. Non poté fare a meno di ridacchiare, mentre lo sguardo dei presenti si spostò su di lui, abbastanza perplessi. Si alzò dal divano e lentamente si diresse all’uscita, ritrovandosi una furiosa Wednesday Mortimer che sembrava voler incenerire chiunque non la facesse arrivare al collo di suo fratello. Un sorriso sincero comparve sul viso di Friday, non appena si ritrovò a poco più di un metro dalla sua adorata sorella. « Buon pomeriggio, mia adorata sorella. Come posso esserti utile? » Le chiese gentilmente, incrociando le braccia al suo petto e ostentando la sua classica tranquillità. Sebbene sua sorella sembrava sul punto di commettere un omicidio nei suoi confronti, era davvero felice che fosse lì, un po’ meno e leggermente più deluso dal fatto che aveva bisogno di questi stratagemmi affinchè lei gli dedicasse un po’ del suo tempo. « Mi è sembrato udire i tuoi toni…soavi. »

     
    .
  3.     +1    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    201
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Quando aveva visto per la prima volta Morgana, questa non era che una piccola palla di pelo alla quale era stato legato con attenzione un fiocco bordeaux attorno al collo. Era la sera del 31 agosto e il giorno seguente, Weedy sarebbe stata accompagnata a King’s Cross, avrebbe attraversato il muro per il binario 9 ¾ , salutato i gemelli, mamma e papà e sarebbe salita sul treno con Monday e Tuesday, pronta a partire per il suo primo anno ad Hogwarts. Tux le aveva raccontato che per essere smistati nelle varie Case, i nuovi studenti avrebbero dovuto combattere tra di loro all’ultimo sangue. Ma la piccola Wednesday, che aveva già letto il libro “Storia di Hogwarts“, sapeva tutto del Cappello Parlante e il suo particolare modo di scavare dentro la personalità dei novizi. La cena era pronta. Stavano solo aspettando il rientro di Felix per potersi sedere tutti quanti a tavola. Per tutto il pomeriggio, Weedy era rimasta seduta sull’altalena in giardino, dondolandosi di tanto in tanto, quella che mamma e papà avevano sistemato per Sunday quando era piccola. Anche se fingeva che non gliene fregasse nulla, non riusciva più a nascondere l’agitazione che le strisciava dentro, come un serpente velenoso, sussurrandole all’orecchio tutto ciò che l’indomani sarebbe potuto andare storto. Quando suo padre tornò, stringeva una scatola tra le mani sulla quale erano stati fatti dei buchi grandi quanto uno zellino. L’aveva posata davanti alla bimba dai capelli con i riflessi argentati e lei, incuriosita dagli strani rumori che provenivano da lì dentro, si era inginocchiata davanti alla scatola, per poi aprirla con attenzione, quasi come se fosse di vetro. Ciò che la colpì immediatamente furono i suoi occhi incredibilmente grandi, forse anche troppo per una testolina così piccola. Avevano la pupilla allungata, simile ad un rombo, e l’iride di un color giallo pallido, con una sfumatura di grigio. «E’ una femmina.» Aveva detto Felix. La bambina aveva allungato una mano, rendendosi conto solo successivamente di averlo fatto troppo velocemente. La gatta si schiacciò contro la parete della scatola, allungando la zampa e cacciando fuori le unghie. Il piccolo graffio era tutt’ora marchiato nella pelle di Weedy, sul dorso della mano, apparendo come tre striscioline bianche e sottili. La gatta aveva soffiato, drizzando il pelo sulla schiena. Ci erano voluti alcuni secondi, secondi fatti di una lunga osservazione, per convincere nuovamente la piccola Mortimer ad allungare nuovamente la mano, stavolta più lentamente. La gattina si fece prendere, Weed sentì il suo piccolo corpicino irrigidirsi tra le mani. Posò quel batuffolo peloso tra le gambe, cominciando ad accarezzarla lentamente. Sembravano entrambe condividere lo stesso timore, come due animaletti selvatici privi di capacità di socializzazione. Si studiarono, a lungo, osservando ogni particolare l’una dell’altra. Quella notte, per la prima volta, Morgana dormì acciambellata ai piedi di Weed. Il signor Mortimer conosceva sua figlia: anche se lei non voleva darlo a vedere le piaceva l’idea di avere qualcuno con cui condividere l’ansia da primo giorno. Da allora erano state inseparabili. Morgana era una gatta intelligente, prudente, che se ne stava bene anche da sola. Osservava il mondo passarle davanti, le cose accadere, studiandole, decidendolo solo dopo attenta valutazione se impelagarsi o no nelle situazioni. Lei e Weedy si andavano a genio perché si somigliavano in modo sorprendente. Nessun membro della sua famiglia avrebbe mai fatto del male a Morgana ed il biglietto di Friday non le aveva comunque tolto quella consapevolezza. Ad infastidirla, a dire la verità, era il pensiero che Morgana si fosse avvicinata volontariamente a suo fratello. Si era sempre vantata del fatto che la gatta avesse sempre e solo dato confidenza a lei e l’idea che prendesse dimestichezza con qualcun altro la rendeva gelosa. « Buon pomeriggio, mia adorata sorella. Come posso esserti utile? » La figura di Friday era sbucata dalla parete di pietra, aveva le braccia incrociate al petto ed un sorriso beffardo dipinto sulle braccia. Lei e suo fratello minore non si somigliavano particolarmente, né fisicamente né caratterialmente. Sua madre le aveva sempre detto che lei era la fotocopia della sua bisnonna, quella di cui in quel momento non ricordava il nome. Friday era un tipo piuttosto popolare nella scuola. Una volta Susan Brown le chiese di consegnargli un bigliettino da parte sua. Weedy la mandò a quel paese, dicendole che non era il suo gufo. Wednesday invece, era solo Wednseday. «Lo sai benissimo.» sibilò a denti stretti, lo sguardo incollato sugli occhi di lui, così simili ai suoi. « Mi è sembrato udire i tuoi toni…soavi. » Una risatina soffocata raggiunse le orecchie della Corvonero. I muscoli del suo collo si irrigidirono. Le ci volse una grande forza interiori per decidere di non saltare al collo di chiunque fosse stato. Si voltò, lentamente, ritrovandosi davanti i volti dei due ragazzini ai quali aveva precedentemente chiesto di farla entrare dentro il Dormitorio. Inspirò con il naso, trattenendo l’aria per qualche secondo, in modo che l’aria ossigenasse il suo cervello, impedendogli di annebbiarsi. I due studenti smisero di ridacchiare nel momento esatto in cui Wednesday posò gli occhi su di loro. Nonostante ciò, sulle loro facce, era comunque dipinta un’espressione divertita. «Mi fareste gentilmente il favore di lasciarci soli?» Un altro sibilo. Ormai sembrava che i sui denti fossero incollati tra di loro. Scandì le parole con lentezza, pensando che così facendo forse quei deficienti non avrebbero tralasciato il significato di nessuna parola. Uno dei due diede una leggera gomitata all’altro e, continuando ad esibire quelle facce, diedero le spalle ai fratelli Mortimer. Weedy li seguì con lo sguardo, finchè questi non sparirono infondo al corridoio. Dopodichè, l’attenzione tornò nuovamente su suo fratello. «Avanti. Ridammi Morgana.» Iniziò a tamburellare il piede a terra, impaziente, scandendo i secondi che passavano in silenzio. Poi ci fu qualcosa. Conosceva troppo bene la sua gatta e conosceva bene anche suo fratello. Morgana non si sarebbe mai fatta avvicinare senza un reale motivo e, allo stesso tempo, era strano che Friday si abbassasse a fare degli scherzi così popolani. Wednesday assottigliò lentamente lo sguardo, ispezionando con curiosità il viso del fratello, quel sorriso beffardo e l’aria straordinariamente tranquilla. «.. Tu non hai Morgana, dico bene?» Lampante.
    Weed sentì i muscoli del viso rilassarsi, in un tempo che parve infinito. Come aveva fatto ad arrivarci solo in quel momento? Che sciocca che era. Si era lasciata travolgere dalle emozioni, come un’adolescente qualsiasi. Era una sensazione nuova, che aveva preso alla sprovvista pure lei. Forse neanche la giovane Mortimer era esente dai turbinii adolescenziali. Che lo volesse o no, stava succedendo qualcosa, qualcosa che non riusciva a capire. E questo la faceva sentire disarmata, confusa ed impulsiva. «Non capisco, Friday..» Non capire era un qualcosa che le dava sempre incredibilmente fastidio. Era sempre stata una tipa sveglia Wednesday Mortimer. Gli insegnanti lo dicevano sempre, fin da quando era bambina. Risolveva con facilità qualsiasi quesito le venisse presentato, anche quelli più complicanti che, in genere, venivano assegnati ai bambini più grandi. A volte si arroventava il cervello, ma non si arrendeva mai, trovava sempre la risposta giusta. «Perché mi hai mandato quel biglietto?» Sbatté le palpebre, portandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. «Scommetto di essere la prima che te lo dice in questo contesto, ma non si scherza così con i sentimenti delle ragazze!» Cercò di essere seria, ma quella frase la fece sorridere. La rabbia era completamente scemata. Ciò che restava ora, era la curiosità di una ragazzina insolita.

     
    .
  4.     +1    
     
    .
    Avatar

    Junior Member
    ★★

    Group
    Member
    Posts
    79
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    La famiglia Mortimer amava circondarsi dagli animali. Sin da bambino, Friday era cresciuto a stretto contatto con gli animali più inusuali, come ad esempio gli amanti Thestral che vivevano nel loro giardino. Solitamente i ragazzi non scoprivano che le carrozze di Hogwarts non erano trainate da nessuno solo in tarda età. Quell’alone di mistero e magia che avvolgeva le storie di quelle carrozze a Friday e agli altri giovani Mortimer non era mai stato concesso. Non ricordava nemmeno chi aveva visto morire. Era poco più che un poppante quando sua madre lo aveva portato nel reparto degenze terminali al San Mungo affinchè assistesse alla morte di qualcuno. Era cresciuto con la consapevolezza che quegli animali dall’aspetto quasi macabro vivessero tra di loro. Aveva passato molto tempo ad ammirare quei cavalli neri scheletrici, con le ali da pipistrello. Non aveva mai pensato che fossero brutti, aveva sempre pensato che fossero una sorta di amici. Venivano giudicati per il loro aspetto, ma erano più dolci di quanto la gente pensasse. Alla fin dei conti, pensava che anche i Mortimer fossero come i Thestral: anche loro sembravano strani, la gente tendeva ad evitarli perché avevano un’impresa di pompe funebri. Anche loro erano associati alla morte, proprio come quei cavalli alati che vivevano nel giardino di casa sua. Eppure, erano molto più di quello. Insomma, Friday non poteva dire di certo che erano normali oppure ordinari, ma senza alcun dubbio erano molto legati. Nella sua famiglia, nessuno veniva messo in disparte o veniva considerato come la pecora nera. Tutti condividevano quella sorta di rispetto e affetto reciproco. Era nato e cresciuto in un ambiente amorevole, circondato da delle persone fantastiche che l’avevano aiutato a crescere e diventare l’uomo che era ora. Non era poi diverso da altre molte persone. Anzi, probabilmente i Mortimer erano più uniti di metà delle famiglie del mondo magico. Non diceva questo soltanto perché era stato viziato non poco in tutta la sua infanzia. Non appena aveva scoperto il suo dono, sua madre gli aveva regalato un serpente che era diventato poi il suo migliore amico. Non aveva costruito una casa per Dorian, né aveva mai provveduto a cercare il cibo per lui. Avere la possibilità di parlare con un serpente significava insegnargli tutto ciò di cui aveva bisogno e di capire anche le necessità dell’animale. Molte volte si era spaventato nel vederlo inerme, dopo un pranzo. La realtà era che aveva scoperto che i serpenti avevano bisogno di molto tempo per digerire le loro prede e che quindi il loro processo digerente impegnava molti sforzi. Comunque, amava incredibilmente Dorian, anche perché era davvero l’unico con cui poteva parlare, senza essere giudicato o senza che il serpente iniziasse ad urlargli contro. E così come lui era legato al suo serpente, anche il resto della sua famiglia era legato ai proprio animali. Weed era profondamente innamorata della sua Morgana. Avevano un legame particolare, soprattutto perché erano molto più simili di quanto si potesse immaginare. Entrambe erano abbastanza schive e diffidenti nei confronti delle persone e preferivano passare il loro tempo per conto loro, piuttosto che cercare di socializzare o importunare la gente. Sul quel frangente, i due fratelli Mortimer erano decisamente diversi: Friday voleva conoscere persone, voleva essere al centro dell’attenzione e voleva che tutti sapessero chi fosse; Weed, d’altro canto, preferiva starsene per conto suo. Friday non la colpevolizzava, né la giudicava. Semplicemente, pensava che dovesse fare esperienze, che non dovesse rimanere chiusa in una sorta di involucro protettivo, senza vedere davvero il mondo in cui vivevano. Friday la voleva spingere a crescere, come aveva fatto lui, magari troppo presto. La vita era imprevedibile, lo sapeva bene, e semplicemente desiderava che sua sorella si rendesse conto di ciò che si stava perdendo ora e non quando sarebbe stato troppo tardi. Insomma, erano ancora adolescenti, avevano ancora tempo per sbagliare, ridere e divertirsi. Ma più il tempo passava, più si avvicinava il tempo delle responsabilità, delle pressioni e delle scelte da fare. Quindi, perché non poteva semplicemente lasciarsi andare ora che era completamente libera? Era quello ciò che cercava di farle capire, ma non sembrava avere poi molti risultati.
    tenor
    E anche ora che sua sorella era lì di fronte a lui, furente, si rendeva conto che stava reagendo in modo sproporzionato per una cosa che era stata abbastanza divertente. Insomma, seriamente pensava che avrebbe potuto fare del male a Morgana? Non era poi un mostro. E poi, aveva chiesto come forma di riscatto un cerchietto, che cosa poteva farsene lui di un cerchietto se non metterlo ad una delle ragazze che scopava? Insomma, sarebbe stato anche decisamente strano perché le avrebbe ricordato sua sorella, e fortunatamente Friday non era poi così malato. Quindi, sin dall’inizio, sua sorella poteva ben capire che tutto quello fosse soltanto uno scherzo. «Lo sai benissimo!» Ridacchiò inclinando leggermente la testa da un lato. Sì, sapeva benissimo perché sua sorella era lì, ma non sapeva perché stava urlando. Insomma, dall’alto del suo metro e cinquanta in quel momento sembrava quasi minacciosa. Era davvero adorabile. Alla fin dei conti era fiero di lei, significava che non si sarebbe fatta mettere i piedi in testa da nessuno. « So solo che se continui a stressarti ti usciranno le rughe e sei ancora troppo giovane per averle. » Quasi rabbrividì alla parola rughe. Insomma, era ciò che lo terrorizzava più di ogni altra cosa, invecchiare. Aveva quindici anni, quindi ciò significava che aveva massimo altri sette anni per trovare con sua sorella una pozione per l’immortalità, altrimenti doveva trovare un vampiro nel giro di questo arco di tempo e convincerlo a dargli un piccolo morso. Era l’unico modo per preservare la sua pelle bellissima e evitare che diventasse anche lievemente raggrinzita. Ventidue anni era già una data massima in quanto aspettare ulteriormente significava lasciare comparire sulla propria pelle le rughe d’espressione. Non voleva nemmeno quelle. Continuò a sorridere mentre cacciava quei due ragazzi, rivelandosi molto più autoritaria di ciò che pensava. Oh, quanto era orgoglioso di sua sorella. «Avanti. Ridammi Morgana.» Friday la guardò, senza dire nulla, limitandosi ad incrociare le braccia al petto con un sorriso divertito. Scosse appena la testa, aspettando che sua sorella arrivasse da sola alla conclusione che tutta quella rabbia e nervosismo erano davvero infondati. Sua sorella era intelligente, non avrebbe impiegato più di un minuto per rendersi conto che lui non aveva davvero la sua gatta. E, infatti… «.. Tu non hai Morgana, dico bene?» Friday sghignazzò, piegando leggermente la testa in avanti in un cenno d’assenso. Bingo. Sua sorella aveva colto nel segno ed ora poteva benissimo vedere la confusione nei suoi occhi. Insomma, doveva capirlo dal primo momento che non avrebbe mai sequestrato la gatta di sua sorella. Alla fin dei conti, non era assolutamente nel suo stile fare degli scherzi del genere, doveva capire dal primo momento che c’era qualcosa di strano in tutto quello. «Scommetto di essere la prima che te lo dice in questo contesto, ma non si scherza così con i sentimenti delle ragazze!» Scoppiò a ridere di cuore non appena disse quella frase. Come aveva detto lei, aveva sentito quelle parole innumerevoli volte, ma non in quel contesto, quindi rendeva tutto quello ancora più esilarante. Si avvicinò a lei, cingendole appena le spalle in quello che doveva essere un piccolo abbraccio. Si scostò quasi subito, in quanto voleva comunque mantenere la distanza sociale. « Mia cara sorellina, ti rendi conto che è solo minacciandoti che mi dedichi un po’ del tuo tempo? » L’accusò in modo bonario, con un sorriso sulle labbra. Non voleva farle pesare la cosa. D’altronde, sperava che il vero motivo per cui non passasse più del tempo con lui era perché aveva di meglio da fare, come ad esempio scopare. Ci sperava davvero. L’avrebbe baciata se fosse stato quello il motivo. « Ma io non stavo giocando con i tuoi sentimenti… E’ solo che tu sei speciale e quindi, ora sono confuso. » Tentò in modo serio, utilizzando la scusa che usava sempre con le povere malcapitate. Scoppiò a ridere, passandosi la mano tra i capelli, in modo da spostare un ciuffo che era finito davanti ai suoi occhi. « Facciamo una passeggiata per i sotterranei? Non sono come le segrete di mamma e papà, ma non sono male. »
     
    .
  5.     +2    
     
    .
    Avatar

    Member
    ★★★

    Group
    Member
    Posts
    201
    Reputation
    0

    Status
    Anonymes!
    Nel corso degli anni era diventata più lasciva per quanto riguardava i contatti umani, in special modo con i membri della sua famiglia. I Mortimer erano tipi molto fisici e Wednesday in prima persona non sapeva spigarsi da dove provenisse quale su carattere restio. Forse da nonno Adam, quell’uomo scorbutico che ora si aggirava per il Maniero sottoforma di fantasma. Le piaceva passare del tempo con lui. Se ne stavano entrambi in silenzio, senza dirsi una parola, passeggiando per i giardini fioriti di casa Mortimer. Il suo corpo non si irrigidì quando suo fratello l’abbraccio, seppur non avesse mosso un muscolo per ricambiarlo. Un passo per volta, ripeteva a quella vocina che le suggeriva che poteva lasciarsi andare di più. Era certa che almeno i suoi familiari si fossero in qualche modo abituati al suo modo di essere e ciò la faceva stare più tranquilla. Si sentiva leggermente confusa, come se la sua mente ancora cercasse di capire cosa stava accadendo. « Mia cara sorellina, ti rendi conto che è solo minacciandoti che mi dedichi un po’ del tuo tempo? » A quelle parole ebbe la sensazione che qualcosa l’avesse colpita allo stomaco. Piazzò gli occhi color caramello in quelli del fratello realizzando, in modo immediato, che lui aveva ragione. Quando erano nati i gemelli, Wednesday non aveva neppure dieci mesi. Contrariamente ai suoi fratelli più grandi, si era goduta ben poco il fatto di essere la piccoletta di casa. Il fatto di avere subito alle calcagna qualcuno di più piccolo di cui prendersi cura l’aveva fatta crescere in modo frettoloso, non perché costretta in qualche modo da mamma e papà, semplicemente perché si sentiva in dovere di farlo. Non poteva essere “la sorella più grande” se si comportava anche lei come una poppante. Quella sua consapevolezza si era insinuata troppo precocemente in lei, facendola arrivare al punto di auto-privarsi dei divertimenti più fanciulleschi. Nel corso degli anni, Wednesday si era lasciata avvolgere da una scorza robusta che voleva farle credere che lei non aveva bisogno di nessuno. E Weedy, ingenuamente, ci credeva. Seppur le piacesse tanto essere la cocca di papà, si era sempre sentita a disagio nel mostrare ciò che provava davvero. In momenti del genere si sentiva vulnerabile e una vocina le bisbigliava all’orecchio che gli altri non aspettavano altro che lei abbassasse la guardia per poi poterla colpire, ferendola. Era una sensazione che la faceva sempre stare sull’allerta, insinuando il sospetto in chiunque le si parasse davanti. Ma la verità era che Wednesday era solo una bambina che spesso indossava responsabilità troppo grandi, fingendo di riuscire a cavarsela benissimo da sola. Era uno dei motivi per cui aveva pochi amici. Risultava spesso troppo saccente, vittima inconsapevole del suo stesso carattere chiuso e restio. Perché aveva quel brutto vizio di allontanare le persone? Finché si trattava di conoscenti o persone che aveva visto poche volte non le interessava molto, ma adesso si trattava della sua famiglia. Prima i suoi genitori, poi Tux, ora anche Friday. Come si dice? Due sono una coincidenza, tre fanno una prova. A quanto pareva stava veramente troppo per conto suo. «Hai.. Ragione..» Quelle parole suonarono come un’autentica consapevolezza di quella situazione. Non voleva essere una pessima sorella. Erano una famiglia numerosa e la loro forza proveniva esattamente da quello. «Mi dispiace, Friday.» « Ma io non stavo giocando con i tuoi sentimenti… E’ solo che tu sei speciale e quindi, ora sono confuso. » La ragazzina piegò la testolina di lato, alzando un sopracciglio ed arricciando appena il naso in un’espressione ingarbugliata. «Davvero, Fry Incrociò le braccia al petto, battendo piano il piede a terra, come se fosse in attesa di qualcosa. «E’ questa la scusa che propini alle povere malcapitate? Come donna mi sento davvero presa in giro.» Scosse leggermente la testa, facendo roteare gli occhi verso l’alto. «E scommetto che loro sono troppo stupide per non crederci. Ti piacciono le prede facili, mhm?» Tra tutti i suoi fratelli, forse Friday era quello con il quale si somigliava meno. Non solo fisicamente, ma anche caratterialmente. Il minore dei Mortimer sembrava prediligere particolarmente i luoghi affollati, colmi di gente con la quale rapportarsi. Aveva una vita sociale attiva, era impossibile non aver mai sentito parlare di lui e del suo gruppo di amici. Una volta, un Serpeverde di cuoi non conosceva il nome l’aveva fermata in corridoio chiedendole se fosse sicura che uno tra lei e Friday non fosse stato adottato. A risposta negativa della giovane, Weedy si era sentita domandare “E con un fratello come lui, tu come fai ad essere così noiosa?”. Non lo aveva mai detto a suo fratello, non era una che piagnucolava. Non le interessava il parere delle persone, in special modo di un Serpeverde di cui non sapeva neanche il nome. « Facciamo una passeggiata per i sotterranei? Non sono come le segrete di mamma e papà, ma non sono male. »
    tumblr_inline_ph89zieFvy1tu4a1b_500
    Annuì, ormai rasserenata dal fatto che Morgana fosse probabilmente al sicuro acciambellata sul suo letto. Cominciò a camminare con suo fratello al suo fianco. Perché nonostante fosse il fratello minore era così dannatamente più alto di lei? Era come se il suo corpo non crescesse. Molte delle sue coetanee avevano curve da capogiro ed un vitino sottile da vespa che parevano appena uscite dalla passerella di qualche sfilata. E poi c’era lei, Wednesday Mortimer che sembrava appena uscita dall’asilo. Scosse impercettibilmente la testa concentrandosi di nuovo sulle parole che suo fratello aveva detto poco prima. «Vuoi dirmi che tu sei stato nelle segrete di mamma e papà?» Sbarrò gli occhi, voltandosi verso di lui e boccheggiando appena come se quelle parole l’avessero sconvolta. «Ma.. Ma è vietato Calcò quella parola con un saccente tono da maestrina. Non le era mai venuto in mente di scendere nelle segrete. Mamma e papà avevano detto che loro non potevano e a lei non aveva mai pensato di mettere in dubbio la loro autorità. Weedy era probabilmente la figlia che ogni genitore avrebbe voluto. Era come un soldatino, tutto ciò che dicevano i suoi era legge. Mai e poi mai si sarebbe sognata di trasgredire alle loro regole. Non giudicava Friday per averlo fatto, anzi! La cosa la incuriosiva particolarmente. «Immagino di essere l’unica che abbia ubbidito alla regola, mhm?» Figuriamoci se Tux non c’era stato! Anzi, era quasi probabile che fosse stato proprio lui a portare Friday laggiù, insieme al resto della comitiva. «Perché non mi coinvolgete mai nelle vostre cose divertenti?» Arricciò appena le labbra, sovrappensiero. «Per l’Antico, sono davvero così.. Noiosa Non sapeva se lo stava chiedendo al fratello oppure a sé stessa. «Non faccio solo cose noiose. La settimana scorsa ho visitato il British Museum -» per la terza volta «- e lì hanno le mummie! Le mummie vere!» Solo a lei era parsa una cosa entusiasmante? Starsene lì, in mezzo ai Babbani dove nessuno la conosceva, ad ammirare come gli antichi Egizi erano riusciti a celebrare la Morte? Trovava tutto ciò incantevole. Spesso usciva di lì che ormai era quasi buio. E tu gli hai mai chiesto di venire nei musei con te? Una domanda che risuonò nella sua testa, lasciandola senza parole. No, non l’aveva mai fatto. Immaginava che i suoi fratelli considerassero soporifere cose del genere. E a dirla tutta, starsene lì per tutto il tempo che voleva e senza qualcuno che la incoraggiasse a muoversi, le piaceva. Era come se fosse un momento totalmente suo, del quale andava gelosa e che custodiva con avidità. Ma forse, si disse, doveva mollare un po’ il freno a mano e premere sull’acceleratore. «Tu vai ad un sacco di feste, mhm? Perché non mi porti con te una volta?»
     
    .
4 replies since 22/3/2020, 16:37   151 views
  Share  
.