Wilderness Waltz

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    Hogsmeade era un catalizzatore di nostalgia. Non solo perché ad ogni angolo Joyce poteva rivedere lui e Moses intenti a fumare erba -custodivano una collezione di fumate di tutto rispetto- ma anche perché il villaggio era così vicino ad Hogwarts da essere un allegato dello stesso. Era infatti impossibile camminare tra quelle vie, circondate da casette dai tetti a punta e storti, senza che la mente corresse al castello e a tutto il cosmo ad esso collegato. Si trattava di un passato distante sia nel tempo che nello spazio, considerati gli anni trascorsi lontano dal Regno Unito. Un passato complesso e allo stesso tempo custode di ricordi positivi sufficienti a non lasciarlo indifferente. Lezioni, misteri, sale comuni. La vita nel castello funzionava in un modo tutto suo, con regole che sembravano appartenere ad un altro universo. I sette anni tra quelle mura erano una fiaba con un linguaggio esclusivo, un’avventura che prendeva per mano dei bambini e li rendeva giovani adulti da gettare fuori senza ripensamenti. Hogwarts, come un genitore severo ma presente, amava insegnare tramite le difficoltà e, dopo aver svolto il proprio dovere, smettere di curarsi di chi ne aveva abitato le mura. E Aidan, dal canto suo, non aveva intenzione di corrergli dietro né di confrontarsi con la sua precedente versione di sé. Non aveva voglia di pensare al suo Io più spensierato, non aveva in effetti voglia di pensare a nulla: da anni aveva sviluppato paura nei confronti della propria mente ed escogitava i più svariati modi per tenersi impegnato. Così non fremeva dalla voglia di rivedere il castello, né aveva allungato lo sguardo nel tentativo di scorgerne la sagoma oltre i confini del villaggio magico. Ai suoi occhi sarebbe apparso enorme, una creatura mitologica pronta a divorarlo non appena avesse messo piede oltre i suo cancelli. Oltretutto non aveva alcun motivo concreto per tornare lì, alcuna scusa da utilizzare per non confessare a sé stesso la semplice voglia di tuffarsi per qualche ora nel passato, e ciò rappresentava un evidente problema per uno come lui -che piuttosto che ammettere di star facendo una visita nostalgica avrebbe preferito piantarsi un pugnale in petto. Recarsi ad Hogsmeade, in quel momento, rappresentava dunque la sua massima concessione. L’aveva già fatto una singola volta prima di quella sera, quando si era trattato di ritrovare Dean al College, e stava ripetendo l’esperienza per motivi legati alla sua costante caccia selvaggia. Le creature della notte, pregne d’oscurità e pronte ad abbracciarla, sapevano nascondersi ovunque. Esprimevano la propria natura, attratte sia dai luoghi abitati dai babbani sia dai villaggi magici, predando e portando distruzione. Qui entravano in gioco i cacciatori. Si trattava tuttavia di qualcosa di più complesso di una banale lotta tra il bene e il male: Joyce si era ritrovato ad interrogarsi più volte sulla questione negli anni precedenti. Spesso ricoperto del sangue del suo bersaglio, misto al proprio, e di ferite che sarebbero diventate le cicatrici attuali. Ne aveva concluso che il concetto di male dipendesse dal punto di vista. Per quelle creature, la cui natura e non la scelta implicavano omicidio e distruzione, il male erano gli individui come lui.
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    Così aveva cominciato a tralasciare il peso morale delle proprie azioni e ad avanzare lungo quel sentiero perché semplicemente era stato addestrato fin da bambino a farlo, perché nel rischiare la propria vita sentiva il profumo della redenzione per i suoi peccati, perché l’adrenalina del sopravvissuto gli piaceva. Era, in definitiva, un altro modo per non restare solo con la propria mente. Come era legato Hogsmeade a tutto ciò? Un indizio. Presso la Testa di Porco aveva incontrato un tale con delle informazioni su un essere che si aggirava nelle terre scozzesi. Ottenerle non era stato difficile e nemmeno troppo caro: nella miglior tradizione di corruzione, Aidan aveva preferito investire su un paio di bottiglie di Whisky Incendiario - di cui lui ne aveva bevuta solo mezza - piuttosto che su una sacca di galeoni. Il tale a fine serata aveva cantato come un usignolo e probabilmente adesso si trovava ubriaco fradicio steso da qualche parte. Non era importante. Il nostro invece, avanzava in direzione del Suspiria all’interno dei confini di un semplice senso di leggerezza alcolica. Il suo riflesso sulle vetrine restituiva l’immagine di una figura slanciata, avvolta da un cappotto scuro e sbottonato sopra ad una maglietta bianca fin troppo leggera. Un paio di jeans ricoprivano le gambe terminando in un paio di anfibi stretti. La musica del Suspiria gli accarezzava i timpani ovattata dalle pareti della struttura. Non aveva idea di che ora fosse, ma il buio era talmente denso da poter essere afferrato.
    Un paio di voci si alzarono dal punto in cui, dietro l’angolo della strada che stava percorrendo, avrebbe dovuto trovarsi il locale. Una ragazza comparve dal nulla e i loro sguardi si incrociarono per una manciata di istanti, poi si infilò in un vicolo laterale. La conosceva? La sua mente associò in modo vago il viso ai sotterranei dei Serpeverde, ma il contatto era durato troppo poco per averne la certezza. Inoltre ebbe l’impressione che il filo infrangibile che connetteva ogni Lycan fosse stato tirato. Altri tre tizi, trafelati e intenti a guardarsi intorno, fecero capolino poco dopo. Gli parve di notare un labbro spaccato. «Hey tu, hai visto una stronza brunetta passare di qui?» Li studiò dall’alto, con una mano nella tasca del cappotto e l’altra abbandonata su un fianco. Nessuna brunetta, ma posso dirti dove ho incontrato tua madre. Quella fu la prima risposta con la sua mente gli suggerì, una provocazione del tutto gratuita che sarebbe stata del tutto nel suo stile. I presenti gli suscitavano infatti una spontanea antipatia, ma la condizione di leggerezza regalata dal Whisky gli suggeriva di non avere voglia di scatenare una l’ennesima‌ rissa. Non quella notte. D’altro canto aiutare il prossimo non era uno dei suoi cavalli di battaglia, sopratutto in un contesto di quel tipo: la colpa della fuggitiva non era importante, in contesti di quel tipo lui avrebbe sempre empatizzato con gli outsider, i sovversivi, le stronze brunette. Non gli fregava proprio nulla di farsi coinvolgere nella ricerca. «Di là» affermò con una sicurezza che non lasciava spazio al dubbio. Alzò la mano sinistra e indicò le sue spalle, ovvero la strada da cui proveniva e in cui ovviamente non aveva incontrato proprio nessuno. Il trio non perse tempo e riprese la corsa scomparendo nella notte. Rimasto solo sulla via principale, il lupo squadrò il vicolo dove la fuggitiva si era infilata ed ebbe una consapevolezza improvvisa: quello era uno dei famosi luoghi in cui lui e Moses avevano fumato. Nello specifico, un vicolo cieco. Non una gran scelta della strega come via di fuga, a meno ai tempi lui non si fosse perso qualche passaggio segreto. Osservò le tenebre. «Non farai molta strada, da quella parte» commentò con un volume medio. Il vicolo, per ciò che ricordava, non sarebbe stato abbastanza profondo da portarla fuori dal range della sua voce scura e graffiata. Rimase così ad osservare le tenebre di quella stradina che la luce del lampione, per questione di geometrie, non riusciva a conquistare. Aspettandosi che l’oscurità la rigettasse indietro come un boccone indigesto
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    « Dovremmo solo essere più gentili col prossimo » I ragazzi seduti in cerchio si guardarono l'un l'altro con cipiglio interrogativo, e Theo trattenne a fatica una fragorosa risatina fra le labbra. « Sì, già, niente facce da triglie » Bofonchiò il signor Dorian Dawson da sotto il suo asimmetrico paio di baffi, rivolgendo gli occhi porcini e taglienti a tutti i presenti. Alzò addirittura il dito indice a mezz'aria, quasi a sottolineare la propria severa intransigenza. « Quello che è successo è un fatto gravissimo, dovreste essere più solidali e buoni! Altrimenti qui cosa ci venite a fare, per imparare che cosa? » - « In realtà veniamo qui perchè ci obbligano a venire » Trasalì una ragazza con i capelli rosa, a tre posti di distanza rispetto quello di Theo. Forse era molto più piccola di lei. « ...o questo stupido corso o il riformatorio! Lei al posto nostro cosa avrebbe scelto? » Alcuni ragazzi risero, altri applaudirono lasciando sollevare un vociare di volgari assensi in sottofondo. Theo non sapeva cose fosse accaduto e non conosceva nemmeno il motivo per cui Dawson si stesse facendo fumare le orecchie in quel modo, ma il contesto la divertiva alquanto. Quasi rimpiangeva di essere l'ultima arrivata. Era il primo giorno che partecipava a quegli incontri di etica morale, e avrebbe dovuto farlo per almeno altre tre settimane se voleva scontare la propria condanna, dopo essere stata beccata a rubare in uno dei negozi di Hogsmeade. L'ennisima volta in soli sei mesi. Insomma, come al solito era finita nei guai e, come al solito, doveva correre ai ripari con la falsa promessa di non trasgredire mai più. « ...Ah, la mettete così? Benissimo, perfetto, peggio per voi! Vi sistemerò per le feste, e vedrete se non diventerete delle persone migliori! » Un mese in più di corsi morali a chi non sarebbe riuscito a portare a termine, per la settimana successiva, il compito che Dawson aveva assegnato. Un esperimento sociale, per così dire, il quale sarebbe stato in grado di responsabilizzare i ragazzi, renderli più inclini a rispettare il prossimo e blabla, tanti saluti. Un qualcosa che aveva a che fare con la solidarietà, una qualità che sembrava peccare fra le giovani menti moderne considerate scapestrate e private del buon senso che i piú anziani possedevano in abbondanza. In poche parole, un modo come un altro per far comprendere il secondo principio della dinamica applicato alla vita di tutti i giorni: "ad ogni azione corrisponde una reazione pari e contraria". Perchè, in fondo, nessuno rifletteva mai su come le proprie azioni si espandessero su un raggio maggiore di eventi. No. Qualunque cosa venisse fatta, qualunque decisione venisse presa, si andava a scatenare un effetto domino di situazioni che, all'origine delle proprie azioni, non venivano affatto considerate. Ad esempio, se Theo fosse riuscita a rubare quelle pergamene incantate al Ghirigoro senza farsi beccare, forse, per causa sua, un commesso avrebbe potuto perdere il posto di lavoro. Magari una persona non abbiente, con dei figli da far mangiare o con un affitto da pagare. Sì, magari si tratta di un'estremizzazione eccessiva per un fatto che effettivamente avrebbe potuto chiudersi lì, senza troppe complicazioni, ma chi poteva escludere potesse accadere una cosa del genere? Effettivamente nessuno. Se Theo, come tutti gli altri ragazzi come lei, avessero riflettuto in precedenza sui danni che avrebbero potuto causare - almeno per ciò che credeva il baffuto Dawson - , si sarebbero trattenuti dal compiere i propri deplorevoli sbagli. E poi è gratificante essere solidali ed aiutare le persone! Seppur Theodora Watson fosse appena arrivata e, stranamente, non c'entrasse nulla con qualunque cosa fosse successa nel gruppo, anche a lei venne consegnata una ricordella. Sì, avete capito bene: una stramaledettissima ricordella che, al proprio interno, tratteneva un acceso fumo rossastro. L'obiettivo? Riportarla indietro vuota. « Vedete il fumo? Ecco, fate finta che quello sia un favore che dovete restituire a qualcuno in difficoltà. Fate un favore e, puff, il fumo sparirà » Nulla di così infattibile, se ci si pensa, benchè dietro si nascondesse ovviamente l'inganno « Peeròò, la cosa non finisce qui: semmai adempirete al vostro compito, la ricordella si spegnesse e voi doveste ricevere un favore prima di rincontrarci...beh, a quel punto la ricordella si accenderà nuovamente. Passa il favore! » Già, la cosa più logica da fare sarebbe stata quella di compiere quel cavolo di favore e poi rinchiudersi in casa per una settimana intera pur di non rischiare di tornare al punto di partenza, ma Theo era convinta di non correre alcun pericolo in questo senso. Riceveva raramente favori, se la cavava sempre da sola, senza andare ad elemosinare l'aiuto di nessuno, e quello per lei era un punto di forza; lo era sempre stato, un motivo di vanto ed orgoglio, seppur alla fin fine non rappresentasse la realtà dei fatti. La temibile Theodora Watson, donna forte ed indipendente - nonchè alcolizzata e mentalmente instabile -, riceveva favori di continuo, ma era così egoista ed egocentrica da non vederli. Sicuramente le si sarebbe prospettata una settimana interessante.
    A due giorni dall'incontro, la mora si trovava ancora nella situazione di non aver concluso nulla. La solidarietà non era proprio il suo forte, anzi, faticava addirittura a comprendere cosa fosse. Non le era ancora capitata fra le mani l'occasione di poter aiutare qualcuno, ma fortuna volle che proprio quella sera si imbattesse in uno spiacevole episodio lungo le stradine buie e desolate di Hogsmeade: tre massicci omuncoli, all'incrocio che conduceva alla Stamberga, stavano martoriando un esile ragazzino il quale piagnucolava rannicchiato a terra. Il suono secco dei calci e delle imprecazioni, per quanto fossero ovattate, rimbombavano nel silenzio assoluto. In altri casi la ragazza avrebbe cambiato strada, o sarebbe filata via col paraocchi tra l'assoluto monefreghismo ed indifferenza ma, egoisticamente, in quell'occasione si fermò a seguire la vicenda. Interessata. «Che c'è, le vuoi anche tu, bambolina? Sparisci!» C'erano un'infinità di buone azioni che Theodora Watson avrebbe potuto compiere, cose più facili d'affrontare, sicuramente più adatte ad uno scricciolo di ragazzina di diciannove anni, ma per quale motivo doveva privarsi di tanto divertimento? Fu un attimo quello che separò la frase dell'uomo dalla saetta fiammante che guizzò fuori dalla bacchetta della giovane, andando a colpire il gruppo. Ne seguì una seconda, atta a far fuggire il ragazzino e a confondere maggiormente le carogne che si lanciarono occhiate infuriate, mentre i loro sederi se ne stavano ben piantati sul terreno. « Ti facciamo ricordare stasera finchè campi, prega di rimanere viva » L'unica cosa che le venne in mente di fare, a quel punto, fu scappare e correre più veloce che potesse. Grazie alle dure lezioni impartite al corso di duelli, Theo avrebbe potuto benissimo fermarsi ed annientare i tre senza alcun problema di sorta, ma dalla parte della ragione sarebbe potuta passare dalla parte del torto. Ve la immaginate a dover affrontare un processo per lesioni personali o, addirittura, omicidio? Avrebbero buttato via le chiavi della sua cella pur di non rimetterla in libertá: aveva troppi precedenti penali. Col fiato corto, si diresse verso il Suspiria, lì dove sapeva che avrebbe potuto benissimo confondersi tra i ragazzi della movida notturna. Sarebbe stato più semplice dileguarsi e far perdere le proprie tracce. Svoltò un paio di volte prima di raggiungere la lunga strada principale, iniziando a sentire l'eco smorzato della musica e distinguendo la figura scura di un corpo slanciato che si voltò istantaneamente verso di lei. Theo non prestò attenzione al breve scambio di sguardi che per un attimo ebbero il potere di lasciare intersecare due universi contraddistinti, ficcandosi nel primo vicolo buio che le capitò a tiro. Non ce la faceva più a fuggire, aveva il cuore in gola. Poggiò la schiena contro ad un muro, allora, boccheggiando in cerca d'aria ed attendendo trepidante di potersi considerare salva. Tirò un sospiro di sollievo solamente nel momento in cui osservò i passi sfilare davanti ai suoi occhi senza fermarsi, perdendosi in lontananza. Ce l'aveva fatta, incredibilmente, inoltre la ricordella che tirò fuori dalla tasca della giacca sembrò essersi spenta. Si sentì estremamente fiera a quel punto e, impettita d'orgoglio, avanzò di qualche passo, pronta a saltare fuori dal nascondiglio. Ma senza alcuna fortuna. « Che diamine. » Sbottò a denti stretti, affacciandosi oltre lo svincolo. I tre uomini stavano domandando al ragazzo che si era voltato a guardarla, se avesse visto dove fosse finita. Theo a quel punto si disse di dover trovare assolutamente un'altra via di fuga, ed anche velocemente, altrimenti si sarebbe ritrovata a dover fare i conti con tre uomini contro i quali aveva poche possibilitá di vincita. Tornò indietro, allora, scoprendo però di essere un topo in trappola: quella strada era un fottutissimo vicolo cieco. Le restó solamente da sperare e pregare, in parte imprecando.
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    «Non farai molta strada, da quella parte» Un sibilo roco che spezzò la pesante attesa. Theo aggrottò le sopracciglia con sospetto, socchiudendo gli occhi non appena comprese cosa fosse accaduto: gli uomini che la rincorrevano avevano ricevuto una falsa pista da seguire, per questo non erano tornati indietro. La ricordella prese nuovamente a bruciare fra le dita. « Beh, grazie. Grazie mille! » Brontolò senza perdere tempo a sgusciare nuovamente sulla stradina principale, visibilmente scocciata. « Davvero complimenti, la prossima volta però sarebbe meglio se ti facessi gli affari tuoi, okey? » Morale della favola: la giovane Watson aveva corso e rischiato la pelle per nulla. Quel suo atto caritatevole, di infinito altruismo, era stato gentilmente vanificato da uno sconosciuto che probabilmente aveva voluto giocare a fare l'eroe. Una perdita di tempo! Gli occhi le fiammeggiavano mentre si avvicinava al tipo, falcata dopo falcata, stringendo in un pugno la ricordella rilucente ed ancora una volta accesa. Dopotutto Dawson era stato chiaro sulle funzionalità dell'oggetto: un favore per un altro favore. Theo aveva appena ricevuto un favore e, adesso, avrebbe dovuto ricominciare tutto da capo. « Me l'ero perfettamente cavata da sola! Se tu li avessi semplicemente ignorati avrebbero proseguito da loro senza lontanamente pensare di tornare indietro, che cazzo. » Finì col piazzarsi sotto la luce fioca e tremolante di un lampione, mostrando il volto latteo ed il naso arricciato per il disappunto. Una felpa lunga le arrivava fin sulle ginocchia, lì dove si nascondevano le cosce velate da un paio di rozze calze a rete dalle maglie larghe. Con gli anfibi aveva centrato in pieno una pozzanghera. « Non mi guardare come se fossi pazza, tu non hai idea di quanto possano girarmi le palle in questo momento, mi hai ficcata in un casino che già avevo risolto ed adesso dovrò risolvere di nuovo. » Sostenne lo sguardo del ragazzo con una certa intensità, soppesando i lineamenti spigolosi di quel viso che, pian piano, cominciava addirittura a risultarle vagamente familiare. Familiare come quella sensazione che iniziava ad avvertire nel bel mezzo del petto, la stessa che provava in compagnia di Beatrice o del fratello. Io ti conosco? Non ricordava proprio dove lo avesse visto prima, e questo fu sufficiente a scoraggiare le ricerche tra la moltitudine di ricordi che le affollavano il cervello. Dopotutto per lei non era una prioritá trovare una collocazione spazio-temporale a quella faccia, non era assolutamente nel suo interesse. Erano le persone a ricordarsi di lei, non accadeva mai viceversa. L'unico interesse che al momento la ragazza sentiva di avere, era quello rivolto alla ricordella ed alla risoluzione del suo dramma, il quale avrebbe potuto costarle tre settimane in piú di stupidi discorsi sul perchè non bisognasse rubare, raccontare bugie o dire parolacce ai propri genitori. Passarono ancora una manciata di secondi prima che all'ex Serpeverde venisse in mente la cosa piú ovvia da fare: visto che era stato quel ragazzo a rovinare tutto, sarebbe stato proprio lui a rimediare. Cosí, in un batter d'occhio, Theo gli fu davanti - stavolta ad una distanza minima -, e prese a rovistare senza troppe cerimonie nelle tasche del suo cappotto. Messi a confronto la mora risultava essere molto piú bassa dello sconosciuto: i due si passavano qualche spanna d'altezza, tanto che, immersi nel buio totale, Theo sembrava essere parte integrante dell'outfit del ragazzo. Al termine del proprio rovistare, la collegiale gettó a terra il paio di chiavi ed il portafogli che trovò, inarcando le sopracciglia con visibile dispiacere. « Accidenti, credo ti sia caduto qualcosa dalle tasche » Sì, se ve lo state chiedendo lo aveva fatto di proposito. Beh, quello poteva essere considerato verosimilmente un favore, e Theo pensò ingenuamente di poter raggirare la magia della ricordella con quella trovata astuta. Si chinò a raccogliere la roba con la solita superficialità che la caratterizzava, poi la smollò frettolosamente tra le mani del ragazzo. Assolutamente con poco garbo. Successivamente inspirò a fondo, puntando le iridi chiare verso l'oggetto che non aveva mai abbandonato la sua attenzione fino a quel momento, in attesa che la nube rossastra potesse dissolversi per una seconda volta. Non lo fece, l'artefatto sembrò essere molto più furbo di lei. « La tua inutilità è sorprendente » Commentò spietata fra le labbra, poco prima di roteare gli occhi con una sorta di visibile arrendevolezza. « mi dovresti almeno delle scuse per esserti intromesso in cose che non ti riguardavano minimamente » e ne era fortemente convinta, tanto da assumere una posizione d'attesa: braccia incrociate al petto, punta del piede che ticchettava ritmicamente a terra, orecchie tese e fronte corrucciata. Ricapitolando: quel povero malcapitato che sicuramente non aveva capito un accidenti di tutto quello che era appena accaduto, era sfortunatamente capitato nel raggio di azione di una squilibrata.
     
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    La voce che emerse dalle tenebre rese immediatamente evidente che la scelta compiuta gli avrebbe creato soltanto problemi. E ancora una volta un grande postulato dell’esistenza di Joyce si confermò veritiero: il caos gli aveva baciato la fronte da bambino e gli aveva sguinzagliato dietro i propri segugi per assicurarsi che la tranquillità fosse sempre il concetto più lontano del mondo da lui. Per quanto a volte questa tendenza gli risultasse fastidiosa, non aveva un reale motivo per lamentarsene: molto più di frequente sapeva intrattenerlo come poco altro. « Me l'ero perfettamente cavata da sola! Se tu li avessi semplicemente ignorati avrebbero proseguito da loro senza lontanamente pensare di tornare indietro, che cazzo. » Okay. E' il momento di smaterializzarsi dalla parte opposta del paese, Joyce. L’ombra lamentosa si fece mano a mano più definita e prese forma completa sotto la luce. Theo venne allora squadrata in tutta la sua figura, partendo dagli anfibi fino ad arrivare ai tratti del viso e agli occhi chiari. Vi si soffermò mentre veniva osservato a sua volta, e le sensazioni del corpo gli confermarono nuovamente di trovarsi davanti ad una Lycan. Che lei lo stesse avvertendo o meno - come ogni cosa, anche quel tipo di percezione poteva essere allenata - la sua concentrazione sembrava rivolta a tutt’altra questione. « Non mi guardare come se fossi pazza, tu non hai idea di quanto possano girarmi le palle in questo momento, mi hai ficcata in un casino che già avevo risolto ed adesso dovrò risolvere di nuovo. » Era così che la stava guardando? Non ne era del tutto sicuro. Poteva invece affermare come non la stava guardando: come qualcuno felice di incontrarla. In quella fase era più che altro in bilico tra l’indifferenza e la curiosità su dove volesse andare a parare. «Hai proprio ragione, avrei dovuto indicargli il vicolo. Così il resto sarebbe stato un problema soltanto tuo». Non era dell’idea che il semplice ignorarli avrebbe potuto placare dei tizi del genere: la via era vuota e lei era scappata proprio da quella parte. Per convincerli di non aver visto nulla sarebbe servito fargli saltare qualche dente. Cosa che, come sappiamo, non aveva voglia di fare. E oltretutto anche così, visto il complesso meccanismo nel quale Theo si era infilata, non era da escludere che la Ricordella lo avrebbe classificato come il principe azzurro della situazione intento a proteggere l’indifesa. Aidan si era trovato nel posto sbagliato al momento sbagliato, insomma. «Hai una Giratempo a portata di -» quando la loro distanza divenne minima e le mani di lei si infilarono nelle tasche esterne del cappotto, il lupo avvertì chiaramente l’istinto di tirarle una ginocchiata in pieno stomaco. Quando l'addestramento alla guerra veniva protratto per anni e fin da bambini, entravano in gioco meccanismi di autodifesa automatici, basati sulla memoria muscolare e particolarmente propensi ad attivarsi quando entità sconosciute superavano i confini dello spazio personale. Non era rilevante che avessero occhi celesti e lunghi capelli scuri. Dopo essersi trattenuto, riprese il filo della frase «-mano?» che concluse spazientito.
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    Non inclinò il viso per inquadrarla, ma alzò gli occhi al cielo e poi continuò a guardare davanti a sé, in uno spazio che al momento era reso vuoto dalla loro differenza di altezza, mentre il profumo della folta chioma lo raggiungeva. Questa si è fumata qualcosa di pesante. Conoscerà Dean? Pensò mentre la sconosciuta continuava a rovistare. «Abbiamo finito?» Quando reputò che fosse sufficiente, le afferrò i polsi con entrambe le mani e li trascinò fuori dalle proprie tasche, interrompendo la ricerca del tesoro. L’aveva lasciata fare fino ad allora solo perché non c’era nulla di importante lì dentro;‌ la bacchetta e le altre armi erano nelle tasche interne. Aveva in effetti un piccolo arsenale da tirarle dietro nel caso in cui avesse provato a scappare con il bottino. Ma non fu necessario, poiché questo finì in terra e poi di nuovo tra le sue mani, creando solo altra confusione. Lanciò un’occhiata a quella Ricordella che pareva essere il fulcro dell’intero processo. Era piuttosto inusuale che qualcuno della loro generazione se ne portasse in giro una. In bella vista, soprattutto. « La tua inutilità è sorprendente. Mi dovresti almeno delle scuse per esserti intromesso in cose che non ti riguardavano minimamente» . Silenzio. Tra loro abitarono solo i suoni leggeri del vicolo e la musica ovattata del Suspiria. Aidan la fissò aspettandosi che si decidesse a annunciargli la fine del gigantesco scherzo, ma non giunse nulla del genere. Quando realizzò che la sincerità che animava la sua aspettativa scoppiò a riderle in faccia, esorcizzando le varie forme di tensione che si erano venute a creare in quei pochi minuti. Si era intrattenuto abbastanza. «Senti. Non ho idea del perché abbiano deciso di svuotare il reparto psichiatrico del San Mungo, ma qualsiasi cosa tu stia facendo… Non sono interessato a farla» Sì, erano entrambi dotati di un incantevole tatto. E lui in particolare non sembrava intenzionato a guardare oltre l’apparenza e scoprire se si trovasse davanti ad una vera pazza o soltanto ad un'altra creatura baciata dal caos. La colpa per non essersi spiegata era solamente sua. Ancora più ironico era il fatto che a quegli incontri di etica morale, se qualcuno si fosse messo a valutare la sua vita, avrebbe dovuto essere il primo a partecipare. «Ho agito per me stesso, non per te. E se ti aspetti delle scuse resterai delusa.». Ci teneva a precisarlo, quasi come se l’altruismo nella loro realtà distorta fosse diventato un grave insulto. Eppure la Ricordella, a sua insaputa, si era espressa sulla vicenda in modo limpido. «Anzi, ora che ci penso sei tu che dovresti scusarti per avermi fatto perdere tempo». Sospirò. «Ma in realtà nemmeno questo mi interessa, quindi fai cosa vuoi». Accennò un sorriso sibillino, poi distolse lo sguardo. «Ora se non hai nulla in contrario me ne andrò al Suspiria. Stammi bene» Si congedò con tono tranquillo e con formule abitudinarie che si riservano alle vecchie conoscenze. Tra le sue labbra il tutto suonò come una ulteriore presa in giro. E nonostante l’idea di mollarla lì fosse concreta, se ne rimase in piedi per una questione di orgoglio e banale principio. Non sarebbe stato lui a fuggire da quell’incontro nel cuore della Hogsmeade notturna, deviando per superarla. Era lei ad essergli piombata davanti e per questo avrebbe dovuto essere la prima ad andarsene. Guida su come complicarsi la vita in modo gratuito, Aidan Joyce.


     
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    Per Theo non era scontato riconoscere un lycan quando ne aveva uno davanti. Era cosí poco avvezza, cosí inesperta, che quella campanella che avrebbe dovuto lanciarle l'allarme se ne restava assopita in un angolo remoto della sua testa. A volte in realtá si ricordava anche di suonare, ma Theo era cosí poco allenata e cosí negazionista, da prestarle un livello di attenzione pressocchè nullo. Non amava la sua natura, non amava la condizione per la quale dovesse sentirsi un mostro, ancor piú di quanto non si sentisse normalmente. Troppo strana, troppo sbagliata per quel mondo che giá faticava ad accettarla per com'era: problematica ed incomprensibile. Detestava addirittura parlarne, che fosse con Percy o con Beatrice, o con chiunque altro del branco; lei non si sentiva una di loro e giurava che mai ci si sarebbe sentita. Si comprimeva come un gas dentro ad una bottiglietta, pensando erroneamente che, a forza di insistere, il problema sarebbe semplicemente scomparso dalla sua vita e non le avrebbe dato più grane. Che fosse ingenua dopotutto non era una novitá, ed in quel preciso istante, dinanzi a quello sconosciuto, lo era forse dieci volte di piú. Ingenua ed incredibilmente folle. La parte razionale di Theo, seppur ovattata, stava iniziando a reagire in modo coerente vista la situazione, preparandosi forse al peggio - come un gatto che si arruffa difronte ad una potenziale minaccia. Però, c'era anche da dire che, l'altra parte dominante - quella strafottente, suscettibile ed orgogliosa - non voleva far altro che continuare a dare filo da torcere al ragazzo. Al povero malcapitato di turno che, sorprendentemente, aveva atteggiamenti fin troppo simili a quelli della Watson: nemmeno ci provava a nascondere il fatto di essere davvero molto scocciato. Il suo sguardo corrucciato vagava nel buio, dando cosí poco peso alla presenza di Theo tanto da farla imbastardire all'ennesima. Questo era un comportamento che anche la mora avrebbe adottato a ruoli invertiti, se il pazzo della situazione fosse stato lui, e proprio questo era il motivo che la convinse a non lasciar correre e a non dargliela vinta. Dopotutto era stato lui ad iniziare, prestandole un aiuto non richiesto. Poi, come se non bastasse, scoppiò anche a riderle in faccia per sbeffeggiarla, quindi a maggior ragione doveva perseverare. Non lo avrebbe lasciato stare, questa era una promessa velatamente increspata fra le pieghe armoniche del suo volto da ragazzina «Senti. Non ho idea del perché abbiano deciso di svuotare il reparto psichiatrico del San Mungo, ma qualsiasi cosa tu stia facendo… Non sono interessato a farla» - « ...Scusami? » Borbottó di rimando, aggrottando la fronte prima di posare le mani sui fianchí, a chiedergli in maniera minatoria di ripeterle ciò che aveva appena detto « dico, ma ti sei visto? » Se io sono uscita da un manicomio, tu sei sicuramente uscito da Azkaban. Faccia da schiaffi. «Ho agito per me stesso, non per te. E se ti aspetti delle scuse resterai delusa.» Ho agito per me stesso, tipica scusa da presuntuoso fanatico. Tipica risposta da Theo. « Tesoro, conosci il detto "non puoi rubare a casa del ladro"? Questa scusa si può dire che l'abbia praticamente inventata io, quindi non me la bevo a meno che tu non debba prendere la prima comunione. Ritenta!» Commentò sarcasticamente, assottigliando lo sguardo in due strisce sottili e fulgide. Davvero credeva di farla fessa? E poi c'era tanto di ricordella a testimoniare l'accaduto. Change my mind!«Anzi, ora che ci penso sei tu che dovresti scusarti per avermi fatto perdere tempo». « Se il tuo tempo era così prezioso avresti dovuto pensarci due volte prima di fermarti a giocare a nascondino - » «Ma in realtà nemmeno questo mi interessa, quindi fai cosa vuoi» « - già faccio quello che voglio » «Ora se non hai nulla in contrario me ne andrò al Suspiria. Stammi bene» « Ma chi ti ferma. Ciao. » Il botta e risposta avvenne in modo così rapido che
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    alla fine restò spazio solo per il silenzio ed il ronzio del lampione sulle loro teste. Nessuno dei due si mosse di un centimetro, ma entrambi distolsero lo sguardo in attesa che l'altro fosse il primo ad abbandonare l'arena. Passarono una manciata di secondi prima che gli occhi di Theo, pregni di strafottenza, tornarono a sorreggere quelli del ragazzo « Bhè? Hai deciso di mettere le radici o ti muovi? Mi blocchi il passaggio.» Riuscire a prendere la parola per prima fu una piccola - eccitante - vittoria. Uno smacco che la lasciò impettire e le diede silenziosamente il diritto di potersi sentire un gradino sopra di lui, per il momento. Se era vero che i due si somigliassero, anche in minima parte, sarebbero passati pochi istanti prima di una sua replica. La mora inspirò profondamente per poi lasciar schioccare la lingua contro il palato: le avevano detto che fosse impossibile provare antipatia per uno sconosciuto, che non fosse moralmente corretto, nè educato, partire da un pregiudizio maturato su deduzioni affrettate e non riscontrabili; eppure lei già sentiva di detestarlo. Si voltò per guardarsi indietro, lì dove la scintillante insegna del Suspiria brillava in lontananza. Sei qui per bere in solitaria o hai un appuntamento? Non che le interessasse saperlo, in realtà, ma sicuramente rimanere e continuare a rovinargli la serata sembrava molto più allettante che ritornarsene a casa; e poi c'era tutto un contesto che Theo non poteva fare a meno di ignorare. Aveva l'impressione di conoscerlo, così come aveva l'impressione di vivere nella sua stessa bolla. Quando alla fine arrivò a comprendere che quell'atteggiamento arrogante non l'avrebbe portata da nessuna parte - le sembrava di discutere davanti ad uno specchio -, la Watson abbassò di poco la guardia. Certo, questo non voleva dire che sarebbe diventata docile di punto in bianco, non sarebbe stato assolutamente da lei. « Puzzi di incendiario. Scadente, per giunta.» Sentenziò con una punta acida, ficcando entrambe le mani nelle tasche della felpa per poi sorpassarlo in un paio falcate feline. Quell'odore non l'aveva percepito prima; adesso invece sembrava infiammarle le narici. Per essere più precisi, ogni cosa attorno a lei aveva assunto un aspetto differente: i suoni erano diventati affilati, le luci accecanti e, seppur non ci fosse nemmeno un filo di vento ad agitare le foglie degli alberi, lei poteva sentirlo accarezzarle la pelle. A Theo capitava raramente che le sensazioni si acuissero in quel modo, ma quando accadeva lei non era in grado di controllarle. Se ne ritrovava in completa balia, ed a volte combinava grandi disastri per questo. Non devo pensarci. « Comunque è il tuo giorno fortunato, mio eroe. Mi è venuta voglia di un drink, e visto che tu non vuoi scusarti per i tuoi modi davvero sgarbati...indovina un po'?» Un sorriso sornione si allargò da zigomo a zigomo, scavandole due fossette « Tranquillo, però. Giusto il tempo di trovarmi il divertimento per la serata e filo via, non vorrei complicarti ulteriormente la vita. Sembra già fare abbastanza schifo di suo.» Lo anticipò, sgattaiolando per prima dentro il locale, affondando in uno dei divanetti rossi. La musica le sembrava più alta del solito, e Theo si sentiva esattamente come se ubriaca lo fosse già. Era massacrante. « Sai, a volte mi piace essere estremamente limpida...» e lo guardò, portando avanti il capo per poggiarlo sul palmo chiuso della mano « Mi stai sul cazzo, e non te lo avrei detto se non fosse che non vorrei darti l'impressione sbagliata. Insomma: ti fai "salvare" da una persona, ci discuti perchè ti ha salvata e poi ti fai offrire un drink. Non vorrei risultasse equivoco, capisci? » Si strinse leggermente fra le spalle prima di tirare fuori la ricordella accesa, osservandola intensamente prima di darle una spintarella per farla roteare fino a lui, lungo il tavolo. Invece di toglierla dai guai, quell'oggetto gliene aveva soltanto procurati. Fare la buona samaritana non sarebbe stato mai nel suo stile; al signor Dawson poteva sempre raccontare di essere stata derubata « Fammi un favore, tienila. Non la voglio più vedere e nemmeno mi metterò a raccontarti cosa ci sia dietro. Tu tienila e basta, senza fare domande. Tanto sembri un tipo di poche parole, quindi non ti riuscirà complicato, immagino » No, escluso che Theo si mettesse di nuovo alla ricerca di qualcuno da poter aiutare, ormai ci aveva perso le speranze. « Per ciò che vale, io sono Theo e sono assolutamente non felice di fare la tua conoscenza.» e credo che il sentimento sia reciproco.
     
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    «Tesoro, conosci il detto "non puoi rubare a casa del ladro"? Questa scusa si può dire che l'abbia praticamente inventata io, quindi non me la bevo a meno che tu non debba prendere la prima comunione. Ritenta!» La guardò di sottecchi. «Per averla inventata, te li porti bene gli anni». Prendere sul serio un’espressione fantasiosa e utilizzarla per smontare il mittente era uno degli atteggiamenti ricorrenti del giovane; anche il minimo strumento a sua disposizione era utile per guastare l’interazione e tenere gli altri lontani. Fu senza dubbio ammirevole la reattività con cui venne affrontato a viso aperto nel successivo botta e risposta. Se un terzo individuo fosse stato lì ad ascoltarli, non sarebbe stato difficile per lui pensare di trovarsi nel mezzo di una prova di recitazione a due: le loro frasi si incastravano l'una sull'altra come fossero frutto della medesima penna. Nei secondi che seguirono, mentre ancora lo sguardo accigliato veniva rivolto altrove, il moro rimase a riflettere su questo e non fece particolare caso all’immobilità dell’altra. Lui, come già anticipato, non si sarebbe mosso per principio. « Bhè? Hai deciso di mettere le radici o ti muovi? Mi blocchi il passaggio.» C’era forse fierezza nella sua voce? Non avrebbe saputo identificare la piccola vittoria che l’altra sentiva d’essersi presa. Approfittò anzi del suo voltarsi verso l’insegna per tornare a osservarla. Poi allargò le braccia come a voler evidenziare qualcosa di evidente. «Non siamo in un fottuto corridoio. Se vuoi andartene passami di fianco.» Proprio come Theo aveva immaginato, la replica arrivò puntuale. Non era da escludere che qualcuno avesse davvero piantato uno specchio magico nel mezzo della strada. A quel punto li divideva, mostrandogli una versione di loro stessi di sesso opposto. Ma non poteva che essere una visione superficiale: nelle due creature fallate doveva nascondersi una personalità molto più sfaccettata. Come sempre. Gli parve che la sconosciuta stesse elaborando qualcosa e – benché lui avesse soltanto voglia di farsi gli affari suoi – rimase in attesa di scoprire di cosa si trattasse. «Puzzi di incendiario. Scadente, per giunta.» Se la ritrovò alle spalle. L’odore dei suoi capelli lo investì una seconda volta, offerto al suo olfatto sensibile dal movimento della lycan. «Complimenti» annunciò. Riconoscere la qualità di un alcolico tramite il solo odore era notevole anche per il loro naso. O forse, la signorina aveva fatto un’altra delle sue sparate. «Ah no, dimenticavo che mi sei saltata addosso per cercare chissà cosa. Da così vicino ci sarebbe riuscito chiunque». Era prematuro il tempo dei complimenti sentiti. «Comunque è il tuo giorno fortunato, mio eroe. Mi è venuta voglia di un drink, e visto che tu non vuoi scusarti per i tuoi modi davvero sgarbati...indovina un po'?» Cos'altro ho vinto? «Tranquillo, però. Giusto il tempo di trovarmi il divertimento per la serata e filo via, non vorrei complicarti ulteriormente la vita. Sembra già fare abbastanza schifo di suo.» La prima cosa a cui Joyce pensò fu che l’altra avesse ragione, ma dirlo ad alta voce non rientrò nel copione che era stato scritto per loro. «Ora in effetti mi sento molto più tranquillo». Questo suonava molto più adatto al contesto. Rimase ancora un po’ avvolto dall’aria pungente della notte, braccato dall’oscurità, considerando se andarsene per la sua strada. Magari a trattenerlo furono i suoi occhi familiari, magari un vago interesse per il finale della sceneggiatura. Certo era che non aveva altri piani per quella notte attraverso cui l’alcol lo stava trascinando. Varcò l'ingresso. Tutti i lycan sono legati da una gigantesca ragnatela. Al centro, non un ragno, ma una Mano colossale. Parole frutto di labbra di cui non ricordava più il nome. Seduto su un divanetto, con un braccio disteso lungo lo schienale, le gambe distese ed un tavolino a separarlo da lei, trovò ovviamente più interessante qualsiasi forma di vita che non fosse la lycan. Gli occhi registrarono dettagli sul locale mai visto prima, la mente corse a valutare cosa avrebbe potuto bere per compromettersi ancora un po’, pur mantenendo un controllo che per lui era diventato essenziale.
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    «Sai, a volte mi piace essere estremamente limpida...Mi stai sul cazzo». Forse per la prima volta si soffermò a guardarla e lo fece davvero. Piantò gli occhi grigi sui suoi, ma sarebbe stato meglio dire attraverso. Il suo sguardo – pregno di un’intensità che si sarebbe potuta definire violenta – parve intenzionato a trascinarla verso il buco nero dell’anima spezzata che ne abitava il corpo. L’uscita di lei, più che offenderlo, ebbe lo strano effetto di farlo accorgere della sua presenza. «… E non te lo avrei detto se non fosse che non vorrei darti l'impressione sbagliata. Insomma: ti fai "salvare" da una persona, ci discuti perché ti ha salvata e poi ti fai offrire un drink. Non vorrei risultasse equivoco, capisci?» Un sorrisetto gli curvò le labbra, ma il suo parere in merito alle ultime confessioni rimase inespresso. Continuò a dedicarle ogni grammo della sua attenzione per una decina di secondi, danzando tra le geometrie e i cristalli dei suoi occhi azzurri, poi fermò con l’indice tatuato la ricordella che gli venne spedita, e come nulla fosse accaduto si dedicò alla palla di vetro. Il vigore con cui poco dopo la lanciò in aria diede l’impressione che si sarebbe schiantata contro il soffitto. In realtà si fermò qualche centimetro prima, e fece il percorso inverso fino ad atterrare nel palmo immobile della sua mano. La sfera misurò il tempo come la lunga oscillazione di un pendolo. Quando tornò al sicuro tra le sue dita, la vita nel locale ricominciò a scorrere alla comune velocità. «Cosa dovrei farmene di un inutile giocattolo per bambini?» Affermò con semplicità. Fu chiaro fin da subito che non le avrebbe fatto quel favore senza cogliere l’occasione per ottenere qualcosa. Intanto il fumo all’interno della ricordella si agitò nella consapevolezza che, tra le dita del moro, non avrebbe mai trovato la pace. «Io non so ancora se essere felice o no di fare la tua conoscenza, Theo. Ma a questo punto non mi sembri più scappata dal San Mungo.» La sua attitudine corrosiva era troppo costante e coerente per essere frutto della follia. Lo sapeva perché, ancora una volta, gli ricordava la sua e al tempo stesso ne rappresentava una variante: lei dava l’idea di farsi trascinare dalle sensazioni del presente mentre lui, nonostante le provocazioni che era solito rivolgere al prossimo, appariva schiavo dell’indifferenza. Theo. Sentito quel nome, pur con la nebbia che offuscava i ricordi di Hogwarts, l'aver condiviso il verde e l'argento nei sotterranei di Serpeverde divenne una certezza. Dal canto suo, tuttavia, non avvertì la necessità abitudinaria di ricambiare la presentazione. «Quindi… Cosa stavi facendo prima?» Aggredirlo verbalmente per averla “aiutata”, rovistargli nelle tasche e buttare a terra il loro contenuto, studiare la ricordella come in cerca di risposte: era stato un susseguirsi di eventi così fuori dall’ordinario da non poter passare inosservato. «Spiegamelo, oppure ringraziami per averti liberata da quegli scarti dell’umanità. E io ti farò questo gigantesco favore.» Così magnanimo da offrirle addirittura due opzioni. Fece scorrere di nuovo la sfera di vetro verso la mittente, aprendo le dita e applicando una spinta leggera. «Altrimenti tienila tu e non annoiarmi più facendomela vedere». Si adagiò sullo schienale e osservò la ragazza un altro po’, poi una delle cameriere li raggiunse. «Due di qualsiasi cosa prenda lei» annunciò con spirito di iniziativa e con una fermezza nella voce che, più che indecisione, suggerì la volontà di mettere alla prova i gusti dell’intenditrice di whisky incendiario. Il locale a primo impatto non gli dispiaceva: nel mezzo della musica, tra un tavolino e l’altro, ognuno sembrava intento a farsi i fatti suoi nelle infinite possibilità della lunga notte. Spesso l’unica fase della giornata in cui Joyce esisteva.


     
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    Queste tue manie di protagonismo finiranno per ucciderti! Non ricordava con precisione chi glielo avesse detto, nè in quale occasione, ma quella frase d'allora ronzava spesso nella testa di Theo. Iniziava a far capolino quando la lycan capiva di aver calcato troppo la mano, quando iniziava a sentire uno strano pizzicore dietro alla nuca e lo stomaco le si stringeva in un pugno. Giá, purtroppo Theo era un'esibizionista nata, non era decisamente il tipo di ragazza che se ne stava per i fatti suoi e preferiva passare inosservata, rimanendo semplicemente oscurata dalla penombra. No, Theodora Watson sentiva l'impellente necessità di strafare pur di guadagnarsi un podio e sentirsi messa sul piedistallo, diventando un vero e proprio buco nero affamato di attenzioni. Lei doveva essere il centro, il fulcro, la mosca bianca tra l'immensitá di banali mosche nere, e cazzo se ci si metteva d'impegno per esserlo. Anche inconsciamente, perchè il copione si ripeteva cosí frequentemente che ormai i suoi comportamenti si erano imposti come meccanismi psicologici di routine. Anche quella volta, seppur il suo obiettivo principale non fosse stato quello di imporsi nell'interesse dello sconosciuto, Theo si ritrovò a dover fare i conti con l'improvvisa presa di coscienza, da parte del ragazzo, della sua presenza. Nel giro di un nanosecondo la mora si era ritrovata a dover fare i conti con un paio di occhi scuri che ora imperversavano nei suoi. L'insistenza con cui l'altro si stava imponendo quasi la metteva a disagio, ma non per questo decise di cedere e concedergli una rivalsa. Restò con lo sguardo piantato nel suo per tutto il tempo che serví a non farlo dubitare della sua ostinazione e, solo in un secondo momento, scelse di passare ad altro, quasi a dirgli che non ci fosse nulla di particolarmente interessante per cui rimanere a guardare. Peccato che invece non fosse realmente cosí, ma pervicacia batte curiositá. «Cosa dovrei farmene di un inutile giocattolo per bambini?» Ormai la ricordella roteava placidamente fra le dita del ragazzo « Potrebbe aiutarti a ricordare una splendida serata passata in compagnia di una splendida ragazza che con ogni probabilitá non vedrai mai piú. Sai, mi piace lasciare il segno… Oppure potresti prenderlo come monito per farti gli affari tuoi, la prossima volta » Sorrise brevemente, tentando con tutta sè stessa di non tornare ad osservarlo, lasciando il capo poggiato sul palmo della mano. Era cosí tentata di voltarsi che dovette necessariamente affondare i denti nel labbro inferiore pur di non soccombere. Perchè lo sentiva cosí affine? «Io non so ancora se essere felice o no di fare la tua conoscenza, Theo. Ma a questo punto non mi sembri più scappata dal San Mungo.» Una risata cristallina le scappò genuina dalle labbra. « Sei già tornato sui tuoi passi? Strabiliante come si possa impiegare poco a conquistarti. Basta un sorriso, una battutina intelligente e subito passi dall'essere la paziente fuggita dal reparto psichiatrico del San Mungo, all'essere una persona di cui quasi è interessante farne la conoscenza » Il fatto che lo sconosciuto non ricambiò il favore di presentarsi lasciò un po' di amaro. Ti aspetti che sia io a chiederti il nome? Sarebbe potuta diventare dello stesso colore dei divanetti, ma per quant'era vero Merlino, a costo di chiamarlo "coso" per tutta la serata, non si sarebbe sbilanciata cosí tanto. Visto che lei aveva l'impressione di averlo giá visto da qualche parte, poteva essere che lo sconosciuto fosse giá riuscito a fare due piú due, ed adesso attendesse solamente una conferma. O magari immaginava che Theo si stesse arrovellando il cervello pur di capire quello che lui era giá arrivato a comprendere: "senza il mio aiuto non vai da nessuna parte", sembrava dire l'espressione spigolosa che la ragazza carezzò nuovamente sotto gli occhi cerulei. Era come se la tenesse in pugno. «Quindi… Cosa stavi facendo prima?» Theo sbuffò sonoramente, cosí da dare tutta l'impressione di una persona non molto incline ad andare a raccontare gli affari suoi ad un forse sconosciuto «Spiegamelo, oppure ringraziami per averti liberata da quegli scarti dell’umanità. E io ti farò questo gigantesco favore.» - « Davvero mi stai dando un ultimatum per una ricordella? » - «Altrimenti tienila tu e non annoiarmi più facendomela vedere» "Non annoiarmi piú". Noiosa. Le aveva dato della noiosa mentre la ricordella ripercorreva lo stesso tragitto dell'andata per tornare fra le sue dita smilze, adornate di anelli. Quello fu il preciso momento in cui Theo spezzó quel sottile equilibrio che la teneva sbilanciata sul filo dell'ostinazione. Ormai non le interessava piú mantenere il profilo della finta disinteressata, ora voleva salire un gradino in piú e non perchè si ritesse offesa per quel aggettivo magari buttato a caso nella frase. No, voleva semplicemente giocare ad armi pari seppur giá dal primo istante in cui provò a reggere il suo sguardo, si sentí praticamente disarmata. Senza difese, quasi intenzionata ad indietreggiare sulla remissiva. C'era qualcosa in quegli occhi che le diceva
    chiaramente che lei appartenesse ad un livello inferiore, una legge non scritta che sembrava percepire e comprendere fin troppo bene. Qualcosa le sibillava: io ho esperienza, tu non ne hai. Era la stessa sensazione che provava quando guardava Beatrice o lycan piú ferrati di lei. Cazzo, tu sei come me, una presa di coscienza improvvisa che le fece accapponare la pelle. Ebbene sì, il cervello intorpidito di Theodora Watson arrivò a comprendere che davanti a sè avesse un'altra creatura magica, un altro lycan. Uno che però non aveva mai visto ad Inverness. « Sto scontando una condanna per furto. » Replicò dopo un po', stringendosi brevemente fra le spalle « Insomma, non è proprio una condanna, però devo tipo seguire questo fantomatico "percorso" riabilitativo e questa ricordella fa parte di un compito per la settimana prossima » Sì, ma io adesso voglio sapere tu chi sia. Lo scrutò ancora, tentando di rivangare il passato, ed alla fine qualcosa riaffiorò: una storia narrata spesso, una storia che Theo ricordava così vagamente che le sembrò essere più una leggenda che un qualcosa di veramente accaduto. E se quello sconosciuto che adesso si ritrovava davanti fosse stato Aidan Joyce? Lo stesso Aidan Joyce con cui aveva condiviso la casata dei serpeverde in quel di Hogwarts, anni prima. «Due di qualsiasi cosa prenda lei» La sua voce la ridestò dal torpore della ricerca di lineamenti familiari nel suo volto, lineamenti da bambino che ormai erano divenuti slanciati e spigolosi. Ed ecco, alla fine, che la sua testa iniziò finalmente a collaborare. « Girone dei dannati. Doppio. Paga lui.» Uno degli shot più distruttivi ed alcolici che ci potessero essere. Theo lo chiamava lo spacca fegato, perchè era impossibile reggerlo sia a livello di testa che a livello di stomaco. O quasi. Quando il cameriere scivolò via con l'ordinazione, Theo sogghignò beffardamente come un giocatore di poker pronto a fare all-in, sicuro della sua vittoria. « Hai sbagliato a far scegliere a me, Aidan. » Schioccò il suo nome contro il palato con una chiarezza appositamente voluta. Quasi lo enfatizzò. « Se tentavi di mettermi alla prova credo di averla superata egregiamente, per di più regalandoti un doppio effetto a sorpresa visto che ricordo esattamente dove abbia già visto il tuo faccino. Serpeverde anche tu, e nemmeno ai tempi eri simpatico. Riservato, sempre sulle tue...» Theo non menzionò la storia dei lycan per scelta, visto che non voleva assolutamente spostare la discussione su quel piano. Non avrebbe retto. « Lo stesso che credo di aver stracciato a duelli, una volta. Ma magari nemmeno te lo ricordi, o non vuoi semplicemente ricordarlo. Possiamo sempre far finta non sia mai accaduto, giusto per non ferire i tuoi sentimenti. » Cinguettò, accogliendo fra le dita il bicchierino verde acido che le venne servito poco più tardi. Nemmeno il colore sembrava promettere nulla di buono. « Alla tua Theo bevve lo shot tutto d'un fiato, contraendo successivamente l'espressione. Non ricordava facesse così schifo. « Spero tu sia anche eventualmente pronto a riaccompagnarmi a casa visto che stasera hai deciso di donarti alla carità »
     
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    «Potrebbe aiutarti a ricordare una splendida serata passata in compagnia di una splendida ragazza che con ogni probabilitá non vedrai mai piú. Sai, mi piace lasciare il segno… Oppure potresti prenderlo come monito per farti gli affari tuoi, la prossima volta.» L’attitudine dell’altra continuò a essere nelle sue corde. Rispondergli per le rime era di sicuro uno dei metodi più efficaci per conservare la sua attenzione, dal momento che la sua esistenza sembrava allergica alla serenità, ai dialoghi costruttivi, e più in generale a quel tipo di aperture che avrebbero permesso di creare legami duraturi. In fondo era davvero più semplice così, per una creatura fatta di buchi neri avvolti da spine: evitare di prendersi troppo sul serio, provocare il prossimo ed essere tenuti a propria volta a distanza. Soprattutto perché mostrare l’interno non avrebbe portato ad alcun risultato. Chiunque ne sarebbe risultato semplicemente sommerso, disgustato. L’accettazione del suo passato era stata soltanto personale, e non aveva ancora preso forma nel coraggio di vestirsene e mostrarla pubblico. Dimenticare la realtà dei fatti, nelle interazioni sociali, era uno dei pochi modi per sopravvivervi. Così apprezzò il modo in cui Theo sostenne il suo sguardo senza tirarsi indietro. Allo stesso tempo, quando si ostinò a guardare altrove, non ne risultò turbato, limitandosi a cogliere qualche dettaglio come il morso del labbro inferiore. Funzionava così. La realtà scivolava addosso al corpo di Joyce senza trovare punti d’appiglio, destinata a cadere a terra ed essere dimenticata di volta in volta come la muta di una serpe. Non si aspettava nulla, dal prossimo, che non riguardasse la disintegrazione che lui stesso generava. «Mi sembra un po’ una cazzata, ho incontrato solo una ragazza modesta stasera. E per quanto riguarda il monito… La situazione ti ha davvero ingannata: semmai avrei bisogno di un incoraggiamento». Ammise senza senso di colpa. «Sei già tornato sui tuoi passi? Strabiliante come si possa impiegare poco a conquistarti. Basta un sorriso, una battutina intelligente e subito passi dall'essere la paziente fuggita dal reparto psichiatrico del San Mungo, all'essere una persona di cui quasi è interessante farne la conoscenza». Si adagiò sullo schienale, soddisfatto, e la risposta gli danzò tra le labbra con prontezza. «Hai proprio ragione. Attenta o di questo passo ti troverai con un anello al dito prima di avere l’occasione di sparire.» Parole che suonarono prive di peso. E quando l’altra tornò a guardarlo fu semplice intercettare la sottile presa di coscienza che manifestò. Di cosa ti sei accorta, Theo? Le possibilità erano svariate. «Sto scontando una condanna per furto.» La frase ed il breve resoconto che ne seguì lo trascinarono in un terreno inesplorato. Non si trattava del contenuto della risposta, ma dell’esistenza della risposta stessa. Questa volta mantenne il silenzio per una bolla di tempo più ampia. Non era in vena di giudicare la confessione o sputarci sopra veleno. Avvertì invece la necessità di rosicchiare un altro piccolo tassello del puzzle. Ma non lo fece subito. Ad ogni modo non aveva mai sentito parlare di un uso del genere per le Ricordelle. E non poteva escludere che l'altra lo stesse prendendo in giro. Di sicuro, per quanto avesse attribuito a lui il ruolo di fuggitivo da Azkaban, aveva anche lei qualche storiella da raccontare. «Girone dei dannati. Doppio. Paga lui.» Fece spallucce. «Modesta, per nulla aproffitatrice... Migliori sempre di più.» Nonostante il commento non apparve intenzionato ad opporsi alla cosa. «Hai sbagliato a far scegliere a me, Aidan.» Si chiese dove stesse andando a parare tra il ghigno malefico e la generale enfasi che le dipingevano il viso. Non era così strano che conoscesse il suo nome, visto che lui stesso era convinto di averla già incrociata in precedenza. Al contrario guadagnò punti, senza nemmeno saperlo, risparmiandogli la noia di doversi presentare. La noia, esatto. «…Lo stesso che credo di aver stracciato a duelli, una volta. Ma magari nemmeno te lo ricordi, o non vuoi semplicemente ricordarlo. Possiamo sempre far finta non sia mai accaduto, giusto per non ferire i tuoi sentimenti. » Fu quell' affermazione, invece, a superare la volontaria apatia e sorprenderlo visibilmente. I ricordi di Hogwarts erano confusi. Ma grazie all’appiglio, gettato come un amo nel mare delle sue memorie, il frammento di passato abboccò e venne trascinato in superficie. I momenti salienti dell’incontro si susseguirono come diapositive. Realizzò di ricordare soprattutto lo sguardo di Theo, animato da una frenesia con cui desiderava escludere qualsiasi cosa non riguardasse il duello, e in grado di affettare palco e spettatori muovendosi da una parte all’altra come un’immensa falce. Questo è il mio momento, suggeriva ogni sfumatura negli occhi della ragazzina. Per quanto riguardava lui, riemerse l’orgoglio bruciato per la sconfitta ad opera di una studentessa di un anno più piccola. Eppure, fu soltanto la superficie. «Adesso me lo ricordo! Era stato intenso… Per quanto possa esserlo uno scambio di incantesimi per delle bestie come noi». La parola “stracciato” doveva essere un’esagerazione che faceva parte del modo di porsi di Theo Watson. Dal suo punto di vista il confronto era stato molto più combattuto, anche se poteva trattarsi di un meccanismo di revisionismo mnemonico della sua psiche. In ogni caso fu la prima volta, e con assoluta leggerezza, che fece un riferimenti esplicito alla loro natura in comune. Sembrò un commento privo di finalità, frutto di una consapevolezza che, al contrario della Watson, dava per scontata. Ai tempi non erano ancora dei lycan, ma le sue esperienze successive al risveglio filtravano ogni circostanza di scontro precedente. «E così scopro uno dei tuoi -pochi- talenti. Che fatica». Sarebbe stato scandaloso non provocarla anche nel mezzo di un complimento. Non desiderava di certo farla adagiare sugli allori. L’origine del complimento era abbastanza ovvia: se qualcuno aveva battuto lui in un campo nel quale se la cavava bene, l’unica spiegazione accettabile era che avesse una dote fuori dal comune. «Alla tua!» La faccia della ragazza, quando bevve il fantomatico girone dei dannati, disse tutto. Lui portò il bicchierino al naso e tradusse il contenuto tramite l’olfatto sviluppato. Scoprì che sarebbe stato meglio non fare nulla del genere, vivere nell’ignoranza. «Questa roba fa anche più schifo del mio whiskey incendiario. Prossimo giro un po' di Ossofast corretto, e sarà un miglioramento» Ne era convinto ancora prima di assaggiarlo. Ed era un traguardo importante visto che il gusto orrido della pozione ricostituente gli era rimasto scolpito nelle papille gustative. «Spero tu sia anche eventualmente pronto a riaccompagnarmi a casa visto che stasera hai deciso di donarti alla carità» Scoppiò a ridere.
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    «Strabiliante come si possa impiegare poco a conquistarti, disse lei prima di passare dal voler sparire al voler dare il suo indirizzo dopo un solo drink» Questa gliel'aveva proprio offerta su un piatto d'argento. «Comunque è una speranza irrealizzabile, quindi vedi di non ubriacarti» Distolse un po’ lo sguardo, rapito da chissà quale fonte di interesse o pensiero. «In più stiamo bevendo la stessa cosa, magari dovrai riportarmi a casa tu» Joyce era cresciuto in un ambiente dalla mentalità aperta, ed in particolare con una madre abituata a governare un’intera stirpe. Di conseguenza era libero dalle catene sociali che portavano l’uomo a temere – o interpretare come attacchi al proprio valore – determinate prese di posizione femminili e capovolgimenti delle comuni dinamiche. Non gli interessava affatto, ancora meno quando poteva trarre benefici dall’eventuale iniziativa altrui. Detto questo, le finalità della sua affermazione rimanevano ambigue. Fece ruotare il bicchierino con le dita. Il liquido al suo interno ne seguì la fisica e oscillò verso destra e verso sinistra come un piccolo specchio. «Che cosa stavi rubando quando ti hanno beccata?» Forse prima di bere voleva dare un’occhiata agli effetti collaterali della sostanza tossica sulla ragazza che aveva di fronte, oppure aveva deciso di aver trattenuto abbastanza la curiosità di sbirciare il tassello successivo.


     
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