La strategia dell'auto-sabotaggio.

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    «Ti prego, basta!» Sbuffò Daffy abbandonandosi contro lo schienale della sedia, infilando la piuma sul calamaio e lasciando le braccia ciondolanti lungo i fianchi. Aveva come la sensazione che la mano le si staccasse da un momento all’altro, facesse le valigie e se ne andasse da quella casa. Se la immaginava, pure un po’ indignata, mentre abbandonava per sempre l’abitazione, gridando “Non ci si comporta in questo modo, da un giorno all’altro!” Fissò il soffitto bianco sul quale, quando si era trasferita, aveva appiccicato delle stelle di carta che di giorno catturavano la luce solare proveniente dalla finestra per poi rilasciarla quando si faceva buio. «Uccidimi.. Oppure, vuoi dei soldi? Ti darò dei soldi, ma non chiedermi di scrivere un’altra singola parola... Ti preeeego...» piagnucolò la Cacciatrice, girando la testa verso destra dove trovò la figura di Samuel Scamander intento a fissarla. «Eddai, Daffy, manca poco. Hai quasi finito. Potresti consegnare persino in anticipo.» La ex-Grifondoro cambiò posizione, abbandonando la testa sopra il tavolo, con la guancia poggiata sulla scrivania, il labbro inferiore sporto infuori, come una bambina. «Oh, andiamo! Sono una con non troppe pretese, mi va benissimo un voto sopra la sufficienza. E poi ”Daffy Baker” e “in anticipo” non sono mai nella stessa frase, a meno che nel mezzo non ci sia un “non è mai”.» bofonchiò con una leggera alzata di spalle. «E poi tra poco è ora di cena. Non senti il mio pancino che borbotta? Sto praticamente morendo di fame » Qualcuno bussò e Daffy si voltò verso l’ingresso della stanza, posando l’altra guancia sulla scrivania e posando lo sguardo su Juniper che sostava sulla porta. «Scusate il disturbo, secchioncelli, ma ci sarebbe da preparare la cena. Sam ti fermi da noi?» «Bhè, se proprio insistete..» Non c’era bisogno di guardarlo per capire che stava sorridendo. Fu solo a quel punto che Daffy si rialzò, incrociando le braccia al petto e guardando l’ex Serpeverde con uno sguardo di rimprovero. «Fammi capire: i tuoi coinquilini cucinano da schifo o io e Junie siamo la compagnia migliore del mondo?» Un attimo di silenzio. «Scommetto che è la seconda.» Concluse con un enorme sorriso sporgendo appena la testa in avanti. Come darti torto.
    «Dopo cena facciamo una partita a Risiko?» Daffy rallentò la masticazione del boccone, dando il tempo a Sam di rispondere per primo. «Vuoi davvero perdere anche stasera, Rosier?» «Tanto lo so che voi due vi siete alleati contro di me.» Junie arricciò le labbra, come se stesse dicendo la cosa più scabrosa al mondo. «Noi? Te lo stai immaginando, Junie. Dico bene, Daffy?» La ragazza annuì, continuando a masticare. «Vedi?» La cena si era trasformata in una partita di tennis fatta di botta e risposta, nella quale Daffy era il giudice che seguiva la pallina con occhi attenti. Cazzo, davvero. Prendetevi una stanza, ragazzi! «Comunque certo che ci sto. La mia armata è sempre pronta a sconfiggere la tua. Come sempre, chi perde lava i piatti.» «E sia.» Capisco. Devo fare tutto io, qui. Oh, Santa Daffy da New York, così mi ricorderanno dopo la mia morte! Con tutto ciò che sto facendo come minimo la vostra primogenita dovrete chiamarla Daphne. O Daphno, se sarà un maschio. «Ah.. Caspita. Stasera, mhm?» Strinse i denti, inspirando l’aria in un sibilo, esibendo una faccia esageratamente dispiaciuta. Anche meno, Baker. «Mannaggia.. Ho la maratona di “CSI New York” a casa della solita amica babbana! Eh, che vogliamo farci, sapete quanto mi manca la mia città. E vederla con tutti quei crimini per le strade è così realistico!» Sospirò con aria sognante. C’era qualcosa che le puzzava, ed aveva constatato – di nascosto e più di una volta – che non si trattava di lei. Proveniva da quei due, ma non era un odore reale. Era qualcosa che aleggiava nell’aria e Daffy sospettava di sapere cosa. Lo aveva fatto presente a Junie durante la festa di Halloween e l’unica cosa che aveva ricevuto come risposta erano delle risate isteriche ed una serie di frasi sconclusionate. E, coraggio, c’era sicuramente un motivo se Sam pareva essere il terzo coinquilino di quella casa! La situazione continuava a puzzare e quei due c’erano dentro fino al collo. Del perché, ormai da mesi, la situazione fosse in stallo nessuno lo sapeva. Chi lo sapeva cosa girava nella testa di quei due. Non era facile entrarvici e preferiva non intromettersi troppo. CHERAZZADIBUGIARDA! Ok, non era proprio così, in realtà era interessatissima a questa cosa, forse anche troppo. Era questo il motivo per cui spesso evadeva di casa lasciando la scena del crimine senza la sua presenza. «Mi dispiace ma non posso essere dei vostri. Sam: falle il culo anche da parte mia.» «Per fortuna non eravate alleati!» Daffy sbatté le ciglia, con aria innocente, prendendo un altro boccone. «Parlerò solo in presenza del mio avvocato.»
    Quanto durava una maratona di “CSI NY”? Non lo sapeva, forse perché non vedeva un televisore babbano da chissà quanto tempo. Si ricordava quella serie perché quando viveva nella Grande Mela lo adorava! Forse era per questo che da piccola voleva fare la detective. Scese le scale di corsa, guardandosi i piedi per paura di inciampare. Sam e Junie erano ancora seduti intorno all’isola, in cucina. Le stoviglie erano state riposte nel lavandino, in attesa che il perdente di turno le insaponasse ben bene. «Signori. E’ stato un onore suonare con voi stasera.» declamò esibendosi in un inchino fin troppo profondo. «Non è quello che disse il musicista prima che il Titanic affondasse?» Daffy le fece un occhiolino, schioccando la lingua di lat. «E’ questo uno dei motivi per cui viviamo insieme.» Arrivò alla porta, afferrò il cappotto più se lo infilò, lasciando la zip aperta sul davanti. Non si era vestita particolarmente bene. Aveva dei jeans, un paio di scarpette da ginnastica ed una camicetta a quadri blu. Infondo stava semplicemente andando a casa di un’amica, non poteva certo sfoggiare i suoi abiti migliori! «Sam, mi raccomando, vacci piano!» Afferrò la borsa e se la posò in spalla per poi allungare le mani verso il gancio dove teneva le chiavi. «Pace e amore, fratelli Si richiuse la porta alle spalle, per poi inspirare a fondo l’aria della notte, rilassando finalmente i muscoli. Scosse le spalle, quasi volersi sciogliere da tutta quella tensione da attrice che aveva sfoderato dalla cena in poi. L’aria era piacevole, quella sera. Non faceva troppo freddo per essere quasi le nove di sera. Daffy sfilò una sigaretta dalla borsa, posandosela sulle labbra ed accendendola. Aveva meditato tanto sulla vera destinazione di quella serata ed alla fine aveva optato per “I Tre Manici di Scopa”. I motivi erano tre: 1. Avevano l’alcool; 2. Ingressi in bagno illimitati nel caso bevesse troppo; 3. (Non meno importante) C’erano molte probabilità che Dean fosse in turno. Bhè, non sarà CSI, ma di sicuro vedrò qualcosa di molto interessante, stasera! Che poi, conoscendosi, non avrebbe fatto un granché. Il suo vero io era ben diverso dalla femme-fatale che era nella sua immaginazione. Anche perché “Auto-sabotaggio” era tipo il suo secondo nome. Daphne Auto-sabotaggio Baker. Come minimo avrebbe fatto la figura della scema per un po’ e poi si sarebbe messa in un angolino a bere gin e chiedendosi dove e cosa avesse sbagliato della sua vita. Aprì la porta della locanda e subito fu investita da un piacevole tepore unito dall’odore di cibo di cui il locale pareva intrinseco. E fu allora che lo vide. Si muoveva a rallentatore, o forse stava accadendo solo dentro la sua testa. Questo avrebbe spiegato anche le luci colorate intorno a lui e quella musica accattivante in sottofondo. Rimase lì, per un attimo, sull’orlo della porta, finchè il povero Dean -sentendosi forse osservato- si voltò nella sua direzione.
    Daffy sorrise, agitando la mano, cominciando a camminare nella sua direzione. E fu a quel punto che il suo secondo nome ebbe la meglio. L’ex Grifondoro colpì la sedia dove era seduto un energumeno, inciampando sui suoi stessi piedi e riprendendosi al volo prima di planare faccia a terra sul pavimento. «SCUSISCUSISCUSI!» ripeté a raffica, stringendosi nelle spalle, ed agitando le mani in direzione dell’uomo, che la guardava con le sopracciglia aggrottate. Colpendo la sedia aveva fatto cadere la giacca in pelle (umana, ne era sicura) dell’omaccione e si prestò a raccoglierla. «Ecco.. Ehm.. Questo è suo..» la poggiò sullo schienale della sedia, dandole un paio di colpetti come per pulirla dagli eventuali residui di polvere che poteva aver raccolto nel suo impatto con il pavimento. Fu allora che notò il tatuaggio che il gigante teneva sull’enorme bicipite: un cuore con su scritto “Mom”. «Oh, bel tatuaggio! Pensavo di farmene uno simile! Anche io adoro mamma! L-La mia naturalmente, non la sua!» balbettava, parlando velocemente e mangiandosi metà delle lettere. Fece una risatina isterica, per poi farsi seria ed indicare il bancone alle sue spalle. «Ecco... Io andrei... Le auguro buona serata..» Si voltò, trattenendo il fiato e facendolo uscire piano piano, muovendosi come un soldatino di piombo in direzione di Dean. Rimase con le labbra serrate finchè no si sedette sullo sgabello di legno davanti a lui, per poi poter finalmente ricominciare a respirare. «Ciaaaaaao..» Avrebbe voluto prendere una pala, scavare una grande buca e nascondercisi dentro. Ne sarebbe uscita forse tra un paio di anni. «Ti prego... Dimmi che non l’hai visto...» Ceeeerto, Daffy. Ceeerto che non l’ha visto. Hai praticamente dato spettacolo a tutto il locale. Bel lavoro, Baker. Davvero.

     
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    Era quello del barista il lavoro che Dean si immaginava per il resto della propria vita? No, decisamente no. Ma gli piaceva, e Dio solo sapeva quanto fosse bravo a svolgerlo. Non si trattava soltanto di preparare drink che non avessero il sapore di morte, ma di avere il cosiddetto physique du rôle. La sua indole naturalmente estroversa e il suo sorriso smagliante sembravano attirare i clienti come falene alla fiamma, condizionandoli a ritornare perché il barista simpatico li aveva fatti sentire come se fossero clienti speciali. Era quello il trucco: farli sentire a casa fin quando quel luogo, per loro, una casa lo diventava sul serio. Dean conosceva tutti i clienti abituali, e per chi non lo era si trattava solo di una questione di tempo prima che salisse di grado. A questa seconda categoria, il giovane Moses rivolgeva saluti entusiasti come fossero amici da una vita; appellativi quali capo, dottore, avvocato, carissimo e quant'altro scivolavano dalle sue labbra con naturalezza impressionante, nascondendo abilmente il fatto che semplicemente non si ricordasse quali fossero i loro veri nomi. Cinque sere a settimana sono tante: non ti puoi ricordare i nomi di tutti gli stronzi che entrano. Alla fine, però, l'americano voleva bene a quegli sbandati e alle storie che portavano al suo bancone; per questo era nato il mitologico Tre Manici By Night: non un luogo, ma un sentimento, una famiglia. Nulla di speciale. Ogni esercizio commerciale doveva chiudere i battenti per legge alle due di notte sotto l'ordinanza del sindaco di Hogsmeade e le pressioni di alcuni abitanti anziani che mal tolleravano gli schiamazzi notturni. Dean a quella legge teneva fede..ma a modo proprio. Alle due spaccate faceva evacuare tutti e abbassava la saracinesca del locale, rimanendo al suo interno con i pochi fedelissimi clienti che ormai si erano conquistati di diritto il posto all'interno della bislacca famiglia de I Tre Manici. Da lì in poi era un gozzovigliare fino alle prime luci dell'alba, fumando, giocando a stupidi giochi inventati e non, ma soprattutto bevendo alcolici su cui rigorosamente non veniva fatto lo scontrino. Una cosa nata un po' per caso, ma che si era velocemente stabilita come un'abitudine consolidata a cui era stato affibbiato addirittura un nome: quello di Tre Manici By Night, appunto. Di solito a rimanere era sempre il gruppetto di spagnoli del Suspiria, qualche amico di lunga data e un paio di vecchi tanto arzilli quanto innocui (veri e propri personaggi della vita di Hogsmeade). Già li aveva individuati tutti, quella sera, tra la folla, pronti alla chiusura delle saracinesche per dare inizio al vero divertimento. E fu tra la stessa folla che la sua attenzione venne catturata dalla figura di una Daphne Baker tutta sorridente e intenta a salutarlo con una mano. In tutta risposta, le rivolse uno dei suoi famosissimi sorrisi a trentadue denti, invitandola con un cenno ad avvicinarsi al bancone, solo per poi scoppiare in una fragorosa risata quando questa, nella sua passerella, inciampò sulla sedia di un omone lì vicino. Scosse il capo tra sé e sé, finendo di preparare un mojito a una bionda cinquantenne con un vestito leopardato che poco si addiceva alla sua età.
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    « Ciaaaaaao.. Ti prego... Dimmi che non l’hai visto...» Mise su un'espressione stupita, come se non fosse certo riguardo a cosa Daphne si stesse riferendo nella precisione. « Cosa? Il volo dell'angelo? No, mi è sfuggito. » disse con ironica semplicità, incurvando le labbra all'ingiù in una smorfia che doveva sottolineare la propria indifferenza ai fatti. Scioltosi poi in una veloce risate, le scoccò un veloce occhiolino, armeggiando con lo shaker per ripulirlo dai residui del precedente cocktail. « Tranquilla. Può sembrare un mastino, ma Gavin è un omone dal cuore d'oro. Da quando la moglie l'ha lasciato ha adottato un coniglio e si è dato al giardinaggio, attività che a detta sua lo gratifica molto. Chiedigli delle sue begonie e bouganville e sarà tuo per sempre. » O almeno fino a quando a te non verrà voglia di buttarti dall'edificio più alto pur di non sentirlo più parlare. Persino la mia proverbiale grande pazienza viene sfidata dai suoi lunghi discorsi sul giardinaggio. Chissà cosa ci sarà stato prima, che ha convinto la moglie a lasciarlo. Si strinse nelle spalle tra sé e sé, come a rispondersi a quella domanda che non aveva comunque formulato ad alta voce. « Allora? » chiese, accompagnando la domanda con un cenno del mento mentre poggiava entrambi i palmi sul legno un po' appiccicaticcio del bancone. « Stasera sei in solitaria oppure aspetti qualcuno? » Nel chiederglielo, le rivolse un'occhiata di sottecchi, come a volerne scrutare l'espressione. Un modo come un altro per capire se avesse un appunto o se la giovane Baker fosse ancora terreno libero. « Intanto ti posso fare qualcosa da bere. Qualcosa di speciale. Se mi dici i tuoi gusti in fatto di alcolici posso uscirmene con un drink ad hoc. Sempre che tu ti fidi, sia chiaro. » Sorrise, concedendole l'opzione della poca fiducia con un cenno del capo di lato, poco prima che Diego - uno dei personaggi principali della comitiva spagnola - entrasse tutto baldanzoso dalla porta principale, attirando l'attenzione del biondo con ampi gesti che indicavano la sua intenzione di piazzarsi già al piano inferiore per il dopo-serata. In risposta, Dean annuì, chiaro sintomo del fatto che quella sera non avrebbe fatto eccezione alle altre. « ¿Hay alguien debajo? » Di norma, sarebbe dovuto essere lui, parlante inglese, ad aiutare gli stranieri ad imparare la lingua locale. Ma si trattava pur sempre di Dean Moses, e dunque era più lo spagnolo che aveva imparato lui dell'inglese che avevano imparato loro. Si sa com'è fatto l'americano: pur di ampliare il bacino della gente con cui parlare, sarebbe capace di imparare in quattro e quattrotto pure il cinese. « Maya, Juan y un par de clientes habituales. » « Esta bien. Para mi una cerveza. » « Le digo a Dana que te la traiga. » Detto ciò e chiesto all'altra barista di preparare una birra grande da portare al piano inferiore, riportò l'attenzione a Daphne, stringendosi nelle spalle. « Vengono qui tutte le sere..sono simpatici. » Si guardò dunque intorno con aria furtiva, sporgendosi in avanti verso la Baker come se le stesse per confidare un segreto di stato. « Il che mi fa pensare.. » cominciò, facendole cenno con la mano di avvicinarsi un po' di più per farsi sentire solo da lei. « Alle due noi dobbiamo chiudere la saracinesca, no? Però alcuni fedelissimi rimangono sempre dentro. Si gioca a biliardo, freccette, anche roba inventata sul momento, beviamo qualcosa e facciamo quattro chiacchiere. Anche la birra si paga di meno. » Nel dirlo, le fece l'occhiolino, come a lasciarle intendere il motivo per cui il prezzo calasse. « Se volessi rimanere, mi farebbe piacere. C'è sempre da divertirsi. » Sorrise, riprendendo lentamente la distanza. « Però dovresti sapere che a tutti i nuovi arrivati è richiesto di cantare Africa dei Toto al karaoke. Sorry, I don't make the rules.» E invece sì. Le faccio io e sono bellissime.

     
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    « Cosa? Il volo dell'angelo? No, mi è sfuggito. » Una risatina roca e per niente coinvolgente salì su per la sua gola, mentre si stampava in faccia il sorriso più falso della storia. No, l'idea che l'intero locale -Dean compreso- avesse assistito al suo carpiato da medaglia di paglia non la entusiasmava affatto, ma.. Ai ragazzi piacciono le ragazze autoironiche, mhm? Porco Merlino. Iniziamo alla grande. « Tranquilla. Può sembrare un mastino, ma Gavin è un omone dal cuore d'oro. Da quando la moglie l'ha lasciato ha adottato un coniglio e si è dato al giardinaggio, attività che a detta sua lo gratifica molto. Chiedigli delle sue begonie e bouganville e sarà tuo per sempre. » La Baker alzò un sopracciglio, cominciando a girare con il busto e cercando di sbirciare l'omone dal tatuaggio mammone seduto aldilà della stanza. L'uomo stava tracannando un boccale di birra e Daffy ebbe l'impressione che non bevesse da mesi. Fu allora che il suo sguardo forse troppo insistente attirò l'attenzione di Gavin -così Dean l'aveva chiamato- che si voltò proprio verso di lei con l'espressione truce di prima stampata in faccia.
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    In una frazione di secondo l'ex Grifondoro si era già rigirata verso il bancone con la schiena dritta, lo sguardo in avanti e le dita aggrappate al ripiano di legno. «Si si, ti credo in parola.» Ti prego, fa che si sia rigirato! «Anche se più che con un coniglietto lo vedrei bene andare a spasso con un mastino infernale tenuto al guinzaglio.» Teneva gli occhi leggermente sgranati, l'impulso impellente di voltarsi ancora per accertarsi che l'omone non la stesse più guardando. Eppure, le sembrava di sentire ancora quello sguardo sulla schiena. « Allora? » Mhm? « Stasera sei in solitaria oppure aspetti qualcuno? » Soffocò una risatina isterica passandosi una mano tra i capelli e grattandosi la nuca. Stava per rispondere, ma lui fu più veloce. « Intanto ti posso fare qualcosa da bere. Qualcosa di speciale. Se mi dici i tuoi gusti in fatto di alcolici posso uscirmene con un drink ad hoc. Sempre che tu ti fidi, sia chiaro. » Sorrise sinceramente, sentendo le spalle che si rilassavano, dimenticando immediatamente Gavin, il suo tatuaggio e il suo coniglietto. «Ok. Diciamo che mi fido..» borbottò con tono indifferente, sventolando una mano in aria rigirando il polso, l'espressione un po' seria nel chiaro intento di prendere il giro il giovane barista. «Stupiscimi!». Poggiò le braccia nude sul bancone, sporgendosi un pochetto in avanti e sciabolando le sopracciglia. Dopodichè tornò al suo posto, chiedendosi perchè dovesse sempre comportarsi da buffona e non la Regina delle Fregne. Cominciò ad osservare i movimento di Dean mentre questo le preparava da bere, per poi ricordarsi della domanda che lui le aveva fatto. «No, stasera sono solo in compagnia di me stessa.» Stasera.. Ieri no, mhm? Da quando al College aveva unito la Squadra, il suo tempo libero si era ridotto drasticamente. «Mi sa che avete il frigo vuoto a casa, perchè il tuo coinquilino è rimasto a cena da noi anche stasera.. E lì l'ho lasciato..» Un lato della sua bocca si sollevò verso l'alto e gli occhi si assottigliavano appena. Probabilmente somigliava ad uno di quei maniaci che si incontrano sul Nottetempo. «Con questo non voglio dire che tu debba rendere a me e a Junie la parte dell'affitto che Sam paga al mese, ma.. Immagino che la sua sia un'enorme bocca in meno da sfamare, mhm?» Samuel Scamander e il suo stomaco senza fondo. Ma ha anche dei difetti. E per fortuna. Perchè ormai le colazioni con panino alla salsiccia e cipolla erano qualcosa a cui non aveva intenzione di rinunciare e Sam pareva condividere con lei uno stomaco in grado di digerire anche le pietre, pure di prima mattina. «Quindi minimo-minimo ci aspettiamo un mega regalo di Natale quest'anno!» Si abbandonò ad una mezza risata prima di essere interrotta da un tipo che si era precipitato verso il bancone cominciando a parlare con Dean in una lingua di cui Daffy non capì inizialmente neppure mezza parola. Momento, momento, momento, momento.. "Clientes"? C'è la "s" in fondo, sicuro è spagnolo o poco ci manca! Mamma mia che spirito di osservazione, Baker! Mai pensato ad un futuro nel RIS magico? Il suo sguardo seguiva il bocca e risposta, rimbalzando da Dean all'altro tipo, come in una movimentata partita di ping-pong. Quando l'altro si allontanò, lei lo seguì con lo sguardo prima di essere riportata alla realtà dalle parole di Dean. « Vengono qui tutte le sere..sono simpatici. » «Si, hanno delle facce simpatiche..» Anche perchè basarsi su quanto era stato detto non era un lavoro semplice, visto che non aveva capito una cippa. Fosse stato per lei, quel tipo si sarebbe pure potuto esibire nel pezzo più comico ed esilarante del mondo che lei non lo avrebbe capito. Eppure, si trovò a pensare, che quella fosse una lingua estremamente sexy. Forse le avrebbe fatto comodo imparere una parola o due..« Il che mi fa pensare.. » Eeeeehy, vade retro, Moses! Ma sei matto ad avvicinarti così pericolosamente e senza avvisare, per giunta! Lo dico per il tuo bene, eeeeh! Nonostante quei pensieri e la concentrazione con cui cercava di non diventare paonazza, Daffy rimase immobile senza fare un fiato. Anzi, quando lui le fece cenno di avvicinarsi, lei ubbidì pure. « Alle due noi dobbiamo chiudere la saracinesca, no? Però alcuni fedelissimi rimangono sempre dentro. Si gioca a biliardo, freccette, anche roba inventata sul momento, beviamo qualcosa e facciamo quattro chiacchiere. Anche la birra si paga di meno. » Sbuffò sorridendo quando lui le fece l'occhiolino. «Accidenti, Moses. Che ragazzaccio!» Sorrise poggiando le braccia sul bancone. Era una proposta? Ti prego, fa che sia una proposta! « Se volessi rimanere, mi farebbe piacere. C'è sempre da divertirsi. » MA SIII! MA DAAAI, MA VIEEEENI! No, no, no, non farti vedre troppo emozionata! Indifferenza Baker, indifferenza! L'amo va ritirato moooolto lentamente altrimenti il pesce non abbocca! Perchè diamine stava pensando alle lezioni di pesca di suo padre, questo non lo sapeva proprio. Si rese conto troppo tardi del sorriso -forse un po' troppo ebete- che le era spuntato in faccia. «Mi piacerebbe. Anche perchè il mio obiettivo sarebbe tornare a casa il più tardi possibile. Dico, mi sono inventata una maratona di CSI NY pur di lasciargli via libera. Mica pizza e fichi!» « Però dovresti sapere che a tutti i nuovi arrivati è richiesto di cantare Africa dei Toto al karaoke. Sorry, I don't make the rules.» COOOOOOOME, SCUSA!?«E' uno scherzo, vero?» Lo guardò dritto negli occhi, cercando un qualcosa che le facesse capire che Dean stava scherzando. «Tu mi chiedi di cantare "Africa" dei Toto?» No, mi sa che non sta scherzando. Si alzò i lembi di un colletto immaginario per poi spolverarsi la spalla da una polvere invisibile. «Dean Moses preparati ad ascoltare la miglior versione della tua vita di quelle canzone.» Ondeggiò un po' a destra e a sinistra scrocchiando le dita come una vera regina del ghetto. Si sciolse infine in una risata, posando i gomiti sul tavolo. «Mio padre era a dir poco fissato con i Toto. Lui ha -sai, hai presente?- un giradischi babbano e dei vinili. Ogni tanto li metteva e cominciava a ballare intorno a mia madre che cucinava e lei lo mandava al diavolo.» Sorrise, ricordando come la donna lo cacciava via con il mestolo cercando di nascondere le risate. «Brandiva quel mestolo agitandolo in aria, ma lui non si arrendeva e continuava ad esibire le sue pessime doti da ballerino. Credo di aver ereditato da lui la mia grazia nel ballo.» Lanciò uno sguardo all'orologio. Mancava poco all'ora di chiusura, pochi minuti e la sua esibizione sarebbe cominciata. «Credo comunque che per conquistare il pubblico mi serviranno almeno un paio di drink in circolo!»
     
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