[Autofobia]

"paura di essere soli o di se stessi"

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    « Professore..? » La vocina sottile di Thimotee Patel, un Tassorosso del terzo anno, lo desta da quello stato di trance nel quale sembra esser precipitato. « Sì, caro? » Risponde un Tarrant Crouch particolarmente..Rilassato. Sta fissando una grossa tazza di..Uno strano intruglio dall'odore piuttosto forte da diversi minuti ormai, la bacchetta puntata contro la porcellana da così tanto tempo, da far ribollire quel liquido verdastro e diremmo non poi così invitante al suo interno. « Non pensa sia un po'...Illegale? » La luce della bacchetta si spegne. La ceramica della tazza sembra avere un leggero crepitio. Un lampo di luce sinistra attraversa lo sguardo dell'uomo. Thimotee Patel trasalisce. « Oh » Trapela, dopo attimi di un interminabile quanto raccapricciante silenzio, agli occhi del piccolo Patel. Gli piace, il professor Crouch! Gli piace davvero! Piace un po' a tutti, d'altra parte, lì al castello. Ma di tanto in tanto, -e non così raramente come vorremmo ben sperare- quell'uomo riesce ad esternare quella nota di..Terrore puro, che persino un tipo come il Barone Sanguinario, in suo confronto, parrebbe un innocuo ed inoffensivo cucciolo di pigmea. « Non mi sembra ci sia scritto in nessun regolamento, che un professore non possa concedervi da bere, o sbaglio? » Per fortuna, nota Thimotee, con un respiro di sollievo, quello strano quanto oscuro alone sembra esser svanito, repentino così com'è sopraggiunto. Adesso è una smorfia di buffa confusione, come sempre, quella che aleggia sul volto del professor Crouch. Ciò dona al Tassorosso la forza di ribattere uno squittente, anche se leggermente titubante.. « Sì, ma non vodka.. » « ..Mi offendi, Tim » Asserisce, Terry, l'indice ed il medio della mano sinistra che vanno a sistemarsi gli occhiali sul naso. « Davvero pensi che darei mai della vodka da bere ad un mio studente? » Lo incalza « E' gin. Mi sembra ovvio » E a quel punto scuote la testa, con un'espressione da era chiaro, Patel, mi deludi. Davvero. Mi deludi. « Beh..E' la stessa cosa? » A quel punto, la bocca dell'uomo si spalanca, un'espressione di puro raccapriccio e sconcerto assieme a contorcergli i lineamenti del viso barbuto. « E' la stessa..-Ma cosa vi insegnano, al giorno d'oggi?! » Si porta una mano sul petto, tanto è lo sconvolgimento. « Non starò quì a spiegarti la differenza, davvero. Dovrebbe esser compito dei tuoi genitori. » E dicendo ciò agguanta la bottiglia di vetro dal liquido biancastro, per versarne un po' all'interno della tazza. « ..Credo che comunque dargli da bere non sia il metodo migliore per farlo star meglio.. » « Oh beh, se pensi ci sia un modo migliore per far riprendere il signor Pickwell, dimmi pure » Ebbene, ecco che si profila dinnanzi ai vostri occhi la figura piuttosto..verdognola, diremmo, del signor Pickwell. Stavano illustrando le peculiarità delle mandragore, quando il Grifondoro era precipitato a terra, svenuto. Non una novità, certo, che qualcuno perdesse i sensi dinnanzi al pianto di quelle graziose -Terry le trovava davvero adorabili!- creaturine, ma da quando si era ripreso, Pickwell, non aveva smesso di vomitare, neanche per un istante. Per fortuna sua, e del povero Thimotee Patel, che, amico di Gregoir non se l'era sentita di lasciarlo da solo lì, in quelle condizioni, Tarrant era a conoscenza di così tanti incantesimi per ripulire un simile scempio (sempre tornati utili, durante o dopo le serate trascorse assieme a Pervinca -o da solo, inutile negarlo-) che la sua aula continuava ed avrebbe continuato a profumare di erbette aromatiche come sempre. Ma ciò non escludeva certo il fatto che, Pickwell, non ne volesse proprio sapere di smetterla. Le aveva provate tutte, Crouch, davvero! Proprio tutte! Ma nella magia guaritiva, chissà poi perchè, non se l'era mai cavata granchè. Da che ne avesse memoria, in verità, era la magia bianca in genere a non fare proprio per lui. Ogni qualvolta vi si accingesse, per questa o quella necessità, era come se la sua bacchetta lo respingesse, rendendo i suoi incantesimi molto deboli, o talvolta addirittura inefficaci.
    « Su, bevi » Era per questo che dunque, alla fine, aveva deciso di mettere del gin nell'infuso di erbe curative preparato per il povero disgraziato. Giusto qualche goccetto non avrebbe fatto del male a nessuno! Lo dava ogni giorno alle sue piantine, dopotutto, e quelle crescevano magnificamente, non a caso! « Ti farà stare meglio » E dicendo ciò, dopo aver aiutato il signor Pickwell a bere, si era piegato leggermente, per osservarlo meglio. « Visto? » Squittisce a quel punto, balzando di nuovo in piedi e dando una pacca sulla spalla al ragazzo. « Che ti dicevo? Come nuovo! » Ma non ha nemmeno il tempo di completare la frase che, con uno slancio quasi sovrumano, ecco che Greg torna a vomitare. Patel urlacchia, Terry sospira « Per Merlino, Pickwell! » Esordisce, ormai esasperato « ..Tra tutti i posti, proprio sui miei vestiti? » Sbuffa, riacciuffando la bacchetta da sopra la scrivania in legno massiccio. « Tim, per piacere, vammi a chiamare la professoressa di Pozioni » Dice, mentre con le dita affusolate della mano libera, si sbottona la camicia. « E non proferirne parola con nessuno. Chiaro? » Inizia a ripulirsi, mettendo a nuovo ogni cosa « Pensala come..Un giallo! Se mi tradisci col nemico, muori. » « ..C-c-cosa? » « ..Andiamo scherzo, Patel. Su dai muoviti, non abbiamo tutto il giorno, quì! » E dicendo ciò, solo dopo che lo scatto della porticina aldilà delle spalle di Tim ne preannuncia la sua uscita di scena, torna ad osservare il povero Greg. « Certo che è strano, il tuo amico, eh? » Gli dice, attendendo una risposta che non arriva « Ah giusto, non riesci a parlar- AH!! Ho appena ripulito, non ti permettere eh! » Per fortuna, almeno per stavolta, i conati del poveretto sembrano un falso allarme, e mentre quest'ultimo resta lì, sulla sedia, lui -dal suo canto- si avvicina al piccolo specchietto riposto sopra lo scaffale con le piantine d'erba cipollina. Si lancia una rapida occhiata, giusto per accertarsi di essere in ordine. ..Il suo concetto d'ordine, s'intende, ma sorvoliamo.
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    Una mano fra i capelli, a spettinarli ancor più del solito, le dita a sistemare gli occhiali sul naso ed infine un'occhiata ai vestiti. Puliti, impolverati certo, anche un po' sporchi di terra come sempre, ma puliti. Sta per rigirarsi, dunque, quando il suo sguardo viene catturato da quel lembo di carne scoperto, al di sotto della camicia. Resta lì fermo, per qualche momento, le pupille che si dilatano, tanto è l'attenzione che dedica a quel dettaglio. Tatuaggi. Il suo corpo è pieno zeppo di tatuaggi. Non che gli siano mai dispiaciuti, da che ne abbia memoria, ma il problema che sorge è proprio questo: non ne ha memoria. Non sa quando li abbia fatti. Perchè, come, con chi. Quale significato abbiano, a cosa si riferiscano. E tutto questo lo trova..degradante. Deprimente. Gli sembra quasi, a volte, di star vivendo la vita di un'altra persona. Una persona con un passato. Una storia. Un significato. Tutto ciò che a lui sembra mancare, ormai.
    Sta sospirando, quando un rumore alle sue spalle, preannuncia la presenza di qualcun'altro, nella serra. A parte Gregoir Pickwell, s'intende, che adesso sembra star sonnecchiando. « Oh eccoti, finalmente! » Annuncia, prima di girarsi. E rendersi conto che..« Tu non mi sembri il signor Patel » No, decisamente no. « Ti ricordavo meno..- » Fa delle mosse con le mani, gesticolando « -Watsonoso. Signorina Watson! Cosa ci fa quì? » Batte le palpebre due o tre volte, confuso. Prima di ricordarsi della situazione. Lo sguardo corre immediatamente verso Pickwell, poi di nuovo sulla Watson, poi ancora Pickwell ed infine la Watson un'altra volta. Alza le mani, come in segno di resa « Non sono stato io! » Squittisce, immediatamente, prima di abbassare la voce « Non sono stato io » Sussurra « Non svegliamolo. Ho appena ripulito tutto. ..E poi sarebbe davvero da maleducati, vomitare di fronte ad una signora... » Sospira, scostandosi gli occhiali dal viso per strofinarsi gli occhi con le dita, l'aria piuttosto provata. « Non riesco a capire cos'abbia. Stavamo utilizzando le mandragore, ed è svenuto. Immagino dunque avesse messo male il paraorecchie. Il problema è che da quando si è risvegliato, non ha smesso neanche per un momento di vomitare. Ed è..così. Non le sembra un po' verdino? » Si rimette gli occhiali, passandosi adesso una mano fra i capelli, per scostarli dalla fronte. « Vorrei evitare di portarlo in infermeria. Tra me e la signorina Jackson..Non scorre buon sangue. » Per non dire che penso si sia fatta fare un ordine restrittivo nei miei confronti. « Secondo lei cosa può essere? Ho provato ogni incantesimo guaritivo. Ma la mia bacchetta..E' come se li respingesse. Forse dovrei cambiarla » E dicendo ciò la estrae dalla tasca dei pantaloni, mostrandogliela. « Crede sia guasta? » La fissa, sbattendo le ciglia, come un bambino in cerca d'aiuto. « La prego, non mi tradisca correndo dalla signorina Jackson.. » Mi fido di te.
     
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    I am a lioness, I will not cringe for them.


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    Alice sighed wearily. « I think you might do something better with the time, » she said, « than waste it in asking riddles that have no answers. »
    « If you knew Time as well as I do, » said the Hatter, « you wouldn't talk about wasting it. It's him. »

    Alice Watson, nell’interminabile lista lunga più o meno quanto un rotolone regina di problemi caratteriali che s'impegnava a nascondere sotto al tappeto con risolutezza - in cima alla quale si stanziavano certamente impulsività ed irascibilità - ne annoverava uno che le stava dando tanti problemi da poter superare in lunghezza la suddetta lista: non era minimamente in grado di sporgersi un po' più in là del suo orgoglio per chiedere aiuto. Presuntuosa e cocciuta, andava dritta per la sua strada pensando di poter giungere a chissà quale traguardo da sola, al massimo allungando la mano dall'alto della sua silenziosa fierezza per porgerlo, ma mai per ottenerlo. Era grasso che colava se v'era al castello qualcuno come Pervinca Branwell nella sua vita, una strega di grande intelligenza e lungimiranza, che stava avendo l'accortezza di sorvolare su questo suo difetto, riuscendo così parzialmente a sopperire alle richieste d'aiuto che non era in grado di formulare sulle sue labbra rosee e carnose. Un difetto che faceva fare alla Grifondoro mille giri inutili e vani prima di giungere alle ferme decisioni di farsi avanti, di concordare con sé stessa che in fondo non c'era nulla di male ad abbassare le penne, farsi un po' più piccola e giungere da chi ne doveva sapere certamente più di lei su qualcosa; e non era raro, che vi fosse qualcuno in grado di farle risparmiare tempo semplicemente dandole quella dritta di cui era alla ricerca, che l'aiutasse a schiarire i pensieri. C'era voluta qualche lacrima di troppo a svuotarla e delle confessioni giunte allo stremo dei suoi nervi, per convincerla che forse non si sarebbe spinta troppo oltre, se avesse trovato il coraggio di andare a trovare il Professore di Erbologia per richiedere dei semplici rimedi naturali che l'aiutassero ad affrontare quelle lunghe notti che le rubavano il sonno da troppi cicli lunari. Era stato il primo pensiero a balenarle in testa ed era l'ultimo appiglio al quale si stava per rivolgere: aveva finalmente fatto pace con l'esigente modalità rituale dei rapporti umani, che non faceva sconti a nessuno, figuriamoci a lei. Se aveva parzialmente alleggerito il carico emotivo sulla sue spalle minute, pesante come una delle Torri del Castello - probabilmente la più alta - non poteva essere in grado di risolvere i suoi dilemmi alla radice, sradicandoli dal suo cuore e dalla sua mente: v'era bisogno di un ulteriore mano in più, che fosse più... pratica, almeno per il momento. Sì, di fatto era stato il suo primo pensiero: s'era detta di spingersi a spron battuto sino ad uno delle sue ali preferite del castello, dove vi avrebbe certamente trovato un uomo con cui aveva stretto un rapporto di natura positiva - seppur un po' enigmatica e a tratti conflittuale - e gli avrebbe chiesto il favore di regalarle qualche pianta soporifera dalle scorte a cui solo a lui era concesso accedere. V'erano però due dettagli ben precisi che l'avevano condotta come prima scelta nella Torre di Divinazione, tra le braccia calde e rassicuranti della professoressa Branwell - oltre al posto d'onore che occupava nella classifica personale di Alice Astrid: il Professor Tarrant Crouch non era un usuale ed abituale confidente delle giovani anime sperdute e nemmeno un distributore di piante che, pensava, sarebbero dovute essere destinate a scopi ben diversi che allietare il sonno degli studenti. In più, il professore era considerato strano. Anche se di fatto sarebbe stata una richiesta meno invadente di quanto esagerasse nel pensare, non se l'era sentita, a primo acchito, di rompere quel muro di disparità che ci dovrebbe essere tra allievo ed insegnante, muro già profanato nel caso del rapporto che, inevitabilmente, non aveva potuto fare a meno di stringere con l'affascinante insegnante di Divinazione. Si sentiva già abbastanza privilegiata, potendo raccontare alle sue compagne di casata che era di ritorno dall'ufficio della Branwell con qualche chilo in più di saggezza e maturità, dopo una delle loro lunghe chiacchierate in cui investiva molto di sé stessa e dei suoi lati segreti più sentimentali, accessibili a pochi. Insomma, aveva titubato sino all'ultimo, quando poi, quel pomeriggio nella sua stanza nella Torre dei Grifondoro, era crollata di fronte all'evidenza che forse valeva la pena anche solo provare a far leva sulla pietà dell'insegnante, che sembrava essere in ogni caso parecchio accondiscendente, anche se utilizzava metodi originali e ben poco tradizionali per aiutare gli adolescenti a portare a termine i loro compiti. Come l'ultima volta, quando s'era ritrovata otto ore chiusa nella Serra con il Caposcuola di Corvonero, Louis Paciock caro: il professore s'era messo in testa che Alice non era un pezzo di facile assemblaggio, che fosse incapace di fare gruppo e l'aveva costretta a portare a termine le sue direttive in compagnia del ragazzo, riuscendo nell'intento prefissato. Doveva ammetterlo, aveva realizzato il tutto a posteriori; alll'inizio lo scopo dell'esercizio non le era sembrato così geniale. « Oh eccoti, finalmente! » esclamò l'insegnante all'arrivo della grifoncina, compiuto di soppiatto e con estrema cautela, pensando di aver scelto pomeriggio in cui erroneamente aveva creduto di trovarlo libero. Era evidente che Alice dovesse smetterla con i voli pindarici mentali, perché qualunque piano architettonico elaborasse, succedeva poi sempre qualcosa di inaspettato, come la presenza anche un po' indesiderata di quel Picwell del terzo anno, semi morto in un angolo della serra. Alice lo guardò con un'espressione turbata che aveva un po' dello schifato, involontariamente: sembrava fosse sopravvissuto ad un lunghissimo e torturante incantesimo Mangia Lumache, che erano soliti scagliare quelli più piccoli - come lei qualche anno prima, del resto! - perché riusciva a scaturire svariate emozioni repellenti nei confronti di chi lo subiva e degli astanti; un pago uno prendo tutto dello sfregio adolescenziale, in pratica. Notò subito il colorito tutt'altro che umano del giovane, il quale faceva assomigliare la sua faccia ad una delle zucche che crescevano in una delle altre serre circostanti, che il professore o chi per lui avrebbe intagliato il prossimo Halloween per decorare la Sala Grande... Insomma: era tutt'altro che un bello spettacolo. Con la stessa espressione, Alice spostò lo sguardo verdastro sull'insegnante, che parve più sorpreso del presumibile della sua apparizione. Cosa aveva interrotto? « Tu non mi sembri il signor Patel » Per impulso e per l'estrema fiducia che riponeva nella figura dell'insegnante intesa come figura, appunto, le venne spontaneo palparsi i connotati per vedere se erano mutati in quelli di un tredicenne bassino e pieno di acne, ma così non era: poteva ancora riconoscere i suoi zigomi alti, le sue ciglia lunghe, la forma dei suoi occhi grandi decisamente poco comune. Non aveva mai smesso di essere lei, purtroppo. « No professor Crouch, non credo. Voglio dire... Ho una "V" dove lui dovrebbe avere un "P", di norma... » disse la Grifondoro spezzando la voce con ironia, cercando di essere più coincisa possibile riguardo la natura del maggiore tratto distintivo che rendeva impossibile il paragone col giovane Tassorosso, disperso chissà dove con chissà quale compito affidatogli dal Professore. Alice lo guardava, il professore, mettendolo a fuoco: intravide per un attimo un tatuaggio richiamare attenzione da un lembo scoperto della camicia, ma distolse subito lo sguardo, riallacciandolo ai suoi occhi nocciola di un fascino molto malinconico. Era inconfutabile il perché tutte le studentesse dei suoi corsi stravedessero per lui. « Ti ricordavo meno...Watsonoso. Signorina Watson! Cosa ci fa qui? » All'ultima domanda, si rizzò rigida e circospetta, immaginando di dover trovare delle spiegazioni valide per giustificare la sua presenza, evidentemente indesiderata. Sorrise poi, pensando al fatto che il professore si fosse preso la licenza poetica di coniare un aggettivo con il suo cognome: avrebbe dovuto estenderlo a Percy e Theo, un giorno qualunque. Sai che sei più Watsnonoso del solito? Stentò a riuscire a smettere di sorridere, mentre formulava una risposta che non facesse sembrare il suo alibi non sufficientemente forte per farsi perdonare per essersi trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. « Professore niente, ero venuta per chiederle se può fornirmi giusto un po' di valeriana... Sa, a causa di sonni poco tranquilli. Lei ne fa mai? » disse Alice rivolgendo lo stesso quesito che turbava lei stessa, alla ricerca di un po' di empatia per riuscire nel suo intento, tuttavia un po' titubante: chissà se il professore avrebbe deciso di fornirgliela o meno! Non conosceva storie particolarmente significative riguardo la tirchieria dell'insegnante nel donare le sue piante, né al contrario sapeva di atti estremi di generosità; era in mano al suo buon cuore e alla voglia che egli avrebbe voluto di ascoltarla ed aiutarla. « Non sono stato io! » esclamò il professore alzando il tono della conversazione di almeno cinque-sei note, riportandola sulla questione del ragazzino svenuto. Era così abituata ad essere l'ultima superstite in una classe di pigri e piantagrane ragazzi vittime dei loro stessi incantesimi, che invero aveva dimenticato per un attimo la condizione del povero giovane; in effetti però, la sua superava di gran lunga ogni risultato mai raggiunto in classe in precedenza in sua presenza. Tutto il verde della serra non sarebbe bastato a superare quello della faccia del giovane, accasciato su sé stesso. Gli rivolse un'altra occhiata preoccupata, tornando poi ad incrociare gli occhi dell'insegnante: si rese conto che non avrebbe saputo leggerli con facilità e questo rendeva la sua personalità ancora più affascinante di quanto già non fosse.
    « Non sono stato io » « Non è stato lei, va bene, ci credo » gli disse per rassicurarlo, non riuscendo a trattenere una risata mentre terminava la frase, volta ad alleggerire quel carico di tensione che aveva iniziato ad esserci da quando aveva messo piede nella serra. « Non svegliamolo. Ho appena ripulito tutto... E poi sarebbe davvero da maleducati, vomitare di fronte ad una signora... » Sì, ecco, in realtà non ci aveva neanche pensato a svegliarlo, proprio per il motivo che aveva appena menzionato l'insegnante; Alice era talmente fissata con l'ordine e la pulizia, che di certo non sarebbe voluta uscire di lì con più problemi di quanti ne avesse quando vi era entrata ed il rischio di vomitare sul vomito. Guardava il professore, con la faccia impaziente di chi sta aspettando delle spiegazioni: l'agitazione del professore puzzava di bruciato ed adesso era lei a volerne sapere di più. « Non riesco a capire cos'abbia. Stavamo utilizzando le mandragole, ed è svenuto. Immagino dunque avesse messo male il paraorecchie. Il problema è che da quando si è risvegliato, non ha smesso neanche per un momento di vomitare. Ed è..così. Non le sembra un po' verdino? » Madragole, certo. Era stata una delle uniche a non rimetterci l’udito, due anni prima, a causa di quelle piantine sfonda-timpani che avevano inevitabilmente causato danni seri all'apparato uditorio alla maggior parte degli studenti che erano passati per Hogwarts, nella storia, ne era convinta. « Non credo di aver mai visto un persona così verde in tutta la mia breve vita, se devo essere brutalmente sincera con lei » disse a Tarrant, indirizzandogli uno sguardo corrucciato: non voleva offenderlo, in nessun modo, ed era rimasta per quello in dubbio fino all'ultimo se palesarglielo. Alla fine aveva pensato che forse era meglio puntualizzare, magari sarebbero arrivati il prima possibile alle soluzioni che stavano cercando. « Secondo lei cosa può essere? Ho provato ogni incantesimo guaritivo. Ma la mia bacchetta..È come se li respingesse. Forse dovrei cambiarla. Crede sia guasta? » Si pietrificò Alice, all'istante, non sapendo in alcun modo cosa fosse meglio ribattere nella sua situazione. Insomma, lui era un professore, lei semplicemente una Grifondoro che si era spinta in via ufficiosa nelle serre non in orario di lezione, chi e cosa le consentiva di elargire dei consigli sulla bacchetta del suo insegnante? Quello fu il sentore che si trovasse in una circostanza di cui era meglio rimanessero a conoscenza loro due soltanto: se qualcuno l'avesse saputo, per qualsiasi tipo di scopo malizioso gliel'avrebbe fatta pagare. E non sarebbe stata lei a rimetterci, non più di tanto almeno. « Non saprei dire, professore. Magari non risponde più a lei, non so... Ha cambiato orientamento di recente? Avevo letto da qualche parte che può influire sulla fedeltà di chi modifica la propria, in qualche modo, ma non saprei dire esattamente » gli domandò, iniziando a girare nella serra con fare lento e felino, pensierosa, giocherellando con la sua bacchetta di melo che aveva estratto poco prima e che a lei, di problemi effettivi, non ne aveva mai dati. Fu una domanda strana quella di Alice, equivoca all'attenzione dei più: anche un po' in maniera eccessiva, si era messa a giocare al detective di cui portava indifferentemente il cognome, riferendosi senza neanche troppo volerlo ad un passato o ad una famiglia d'appartenenza che nessuno conosceva, se si parlava di Tarrant Crouch. Si sapeva che era un uomo di uno charme incredibile, capace di avere qualsiasi donna se solo l'avesse voluto, nonostante l'atteggiamento un po' stramboide; ma di amici, gusti personali, orientamento politico... Il nulla. « La prego, non mi tradisca correndo dalla signorina Jackson.. » Se il professore la stava addirittura pregando, forse era giusto attribuire alla circostanza la giusta importanza: che fosse il caso di fargli pagare lo scherzetto con Paciock di qualche mese prima? Ci stava pensando ma... non capiva perché, c'era una parte di lei che le stava suggerendo di mostrarsi clemente, di restare lì zitta e quieta e non denunciare l'accaduto né il suo negligente operato. In fondo, perché avrebbe dovuto volere il suo male? Era pur sempre uno dei suoi insegnanti preferiti. « Non andrò dalla signorina Jackson » sentenziò Alice, guardando quel povero ragazzetto che ormai aveva preso a russare sonoramente, indizio che fosse caduto in un sonno molto più profondo di quanto non le fosse sembrato all'inizio. « Non la denuncerò, ma lei potrebbe concedermi anche qualche altra pianta dalla sua scorta personale, oltre alla valeriana... Per puro scopo accademico, ovvio. Sa che sono una delle migliori nella sua materia » gli disse la grifoncina, guardandolo con quel sorrisetto furbastro che la contraddistingueva e che suggeriva sempre un'inclinazione maliziosa, nel quadro di una personalità già esplosiva come la sua. Passò vicino a un muro dov'erano posizionate diversi tipi di piante ed iniziò a guardarle una ad una, iniziando a stimolare la propria fantasia. « Potrei anche non so, decidere di farle provare la mia bacchetta se ritiene di voler testare se è la sua ad essere il problema » Continuava ad agitare la sua bacchetta, Alice, sperando che il professore avrebbe accolto la sua richiesta improvvisata sul momento, alimentata dall'allentante idea di arricchire il suo inventario per future eventuali marachelle. Lo guardava, Alice, pensando per un attimo di poter tessere i fili per l'esito di quell'incontro quando non c'era storia, con un individuo così controllato e torbido sarebbe sempre stata solo e soltanto la pedina di un gioco che egli avrebbe sempre saputo giocare meglio di lei. Lui la guardava con occhi grandi, da cucciolo, da vittima, quando la vittima era solo e soltanto lei. Lo poteva sentire. « Affare fatto? » Attenzione Alice. Certo che sì, esisterebbe anche una via di mezzo, tra il non saper chiedere aiuto e ricattare un professore di Hogwarts...
     
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