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    L'amicizia è uno dei primi sentimenti con cui entriamo in contatto: ne avvertiamo infatti l'importanza sin dall'infanzia. Nei primi anni di vita, i bambini considerano gli amici come dei semplici compagni di gioco ed è molto facile stringere nuove amicizie. Crescendo, poi, si comincia a fare dei distinguo fra amici, semplici conoscenti e compagnie che non si vuole continuare a frequentare. Durante l'adolescenza, spesso, gli amici sono più importanti dei propri genitori: quando si ha bisogno di qualcuno per sfogarsi, parlare di un problema, fare i compiti o divertirsi, il primo pensiero va proprio all'amico del cuore, al quale si può dire qualsiasi cosa. Crescendo, l'amicizia diventa importante anche sul posto di lavoro, per avere qualcuno con cui condividere un caffè o fare quattro chiacchiere. Infine, da anziani, si torna all’amico come un compagno di giochi, proprio come nell’infanzia. Cicerone, parlando dell'amicizia, scriveva: "Tutti sanno che la vita non è vita senza amicizia, se, almeno in parte, si vuole vivere da uomini liberi". Una affermazione che, seppur d’antica datazione, esprime un messaggio ancora moderno. Invece Plauto diceva: "Dove sono gli amici, là sono le ricchezze” sottolineando che l'amicizia per essere una ricchezza deve essere vissuta, costruita e non contemplata come una sorta di meraviglia naturale. Savannah Hamilton era sola. Rannicchiata nel bagno della sua stanza, la testa posata sulle ginocchia. Aveva la fronte imperlata di sudore. L’aveva fatto di nuovo. La seconda volta in dieci giorni. Era diventato un modo per cacciare via i pensieri, quegli stupidi pensieri che le riempivano la testa. Avrebbe voluto prenderli, gettarli via, lontani. Un po’ di silenzio. Non desiderava altro. Cercava di concentrarsi sul respiro e non sul pessimo sapore che aveva in bocca. L’unico rumore che sentiva erano i battiti del cuore che le ovattavano le orecchie. Respira. Vivere dentro il castello non era mai stato difficile come in quel momento. Savannah Hamilton era come un fiore ed bisogno della luce del sole per crescere rigoglioso, ma lei, in una bizzarra forma di autolesionismo, se ne stava privando. La sua mania di perfezionismo, quella feroce bestia che la spingeva costantemente a chiedere di più, a volere di meglio, l’aveva portata in quella strada ormai da anni. Era il suo piccolo segreto, la sua vergogna, il modo che aveva l’universo per ricordarle che era solo un essere umano. Aveva resistito con tutta sé stessa, ma alla fine era stato più forte di lei. Si era intrufolata nelle cucine della scuola, sgraffignando dei muffin al cioccolato da un vassoio che un Elfo Domestico aveva faticosamente posato su di un tavolo. Ne aveva presi più che poteva, riempiendo la borsa griffata ed era scappata via prima che qualcuno la vedesse. Era un misto di colpa ed eccitazione: ormai non riusciva a pensare ad altro. Era tornata nel dormitorio, si era chiusa in camera e li aveva mangiati. Tutti. Ingurgitava senza neppure sentirne il sapore mentre gli occhi cominciavano a bruciarle e la vista le si offuscava appena. Non riusciva a fermarsi. E si odiava. Si detestava terribilmente per quello che stava facendo, per come si stava comportando. Quella volta non ci fu neppure bisogno di infilarsi lo spazzolino in gola. Non appena ebbe finito di ingurgitarsi il suo stomaco si ribellò, costringendola a correre in bagno per vomitare tutto. Do you ever feel like a plastic bag drifting thought the wind wanting to start again? Do you ever feel, feel so paper thin like a house of cards one blow from caving in? Do you ever feel already buried deep six feet under scream but no one seems to hear a thing? Ti sei mai sentita come una busta di plastica, Saw? Di quelle gettate via velocemente da un bambino perché contengono il loro giocattolo preferito. Un involucro vuoto che viene sollevato in aria da qualche folata di vento per poi essere nuovamente sbattuto a terra, inerme. Non hanno la forza di muoversi da sole, non possono farlo. Hanno bisogno del vento, o semplicemente di qualcuno che le raccolga e le metta da un’altra parte. Era quella la sensazione con la quale la più piccola di casa Hamilton non aveva ancora imparato a convivere. Si sentiva vuota, sola e apatica. Era difficile spiegare a parole ciò che sentiva. Forse perché, semplicemente, non sentiva niente. E di nuovo il buio le avvolgeva gli occhi. Il suo segreto. La verità bella e buona era che Savannah Hamilton non era affatto così perfetta come si voleva far credere. Riaprire gli occhi era la parte più difficile. Era un vero e proprio sforzo contro sé stessa, contro quella parte bambinesca che voleva starsi a crogiolare ancora per un po’. Si alzò in piedi, aggrappandosi al lavandino con le mani e facendo forza sulle braccia. Evitò forzatamente di guardarsi allo specchio ed aprì il rubinetto. Si chinò, raccogliendo l’acqua gelida con le mani unite a formare una coppa ed infine si sciacquò il viso. Si lavò i denti, strofinandoli con forza, quasi come se volesse cancellare tutto ciò che era successo poco fa. Andò avanti per minuti finchè l’unico sapore che sentì in bocca fu quello del mentolo. Fu solo allora che trovò lo sguardo di guardarsi allo specchio, ricambiando l'occhiata di quella ragazza bionda che sembrava giudicarla aldilà della superficie trasparente. Si spazzolò i capelli, aggiustò il colletto della divisa e mise quel rossetto rosso che le piaceva tanto e la faceva stare bene. Fu solo molti minuti dopo, quando fu certa che tutto fosse apposto, che uscì dal bagno e sgattaiolò fuori dai corridoi.

    Le aveva mandato un biglietto, incaricando un ragazzino con la divisa dei Tassorosso di consegnarglielo. Aveva passato le ultime settimane ad evitarla, escludendo lei così come aveva fatto con tutti gli altri. Non era mai stata così tanto tempo senza le sue amiche accanto. Era sempre stata sicura che qualsiasi cosa fosse accaduta loro sarebbero state al suo fianco. Era un qualcosa che le faceva male. Bruciava come il fuoco, in ogni sua terminazione nervosa. Si sentiva presa in giro e questa era la cosa che la faceva più arrabbiare. Detestava quando gli altri la trattavano come una bambina, come una stupida. Lei non si sentiva stupida. Magari non aveva il cervello di Maeve, o l’acutezza di Max e neanche la logica di ferro di Nana, ma non si considerava una buona a nulla. Solo perché le piacevano le cose frivole e si comportava con leggerezza, non significava che non avesse il cervello per capire. Ma questo le persone non riuscivano a comprenderlo. Cercò di rilassarsi, guardando il centro della laguna.
    Rumore di passi, passi leggeri, di quelli di Max abituata a calcare le passerelle. Li avrebbe riconosciuti tra mille. A volte, ridendo, le diceva che aveva la camminata più bella che avesse mai visto. Rideva, ma lo pensava davvero. Non si voltò, non finchè la giovane compagna di Casa non fu al suo fianco. Prese un respiro, distogliendo finalmente lo sguardo dalle profondità della Laguna per piantarli su qualcosa di altrettanto profondo, gli occhi della Picquery. Per un attimo ebbe la sensazione di crollare, ma si fece forza, serrando la mascella ed irrigidendo le spalle. «Ho saputo che mi cercavi.» Non aveva mai usato quel tono con lei. Un tono altezzoso, che mascherava prepotentemente le sue vere emozioni, proteggendole da qualsiasi cosa potesse mandarle in frantumi. Non era stato difficile capire che Max voleva parlare con lei, anche senza qualcuno che glielo dicesse. Evitarla era diventato una specie di doloroso hobby in quei giorni. Ma adesso basta. «Immagino tu abbia qualcosa da dirmi, allora.» Non cedere. Neanche per un momento. Sei Savannah Hamilton. Non può ferirti. Non può farti male. Ma non era vero. Faceva male già da troppo tempo.
     
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    Deglutisce, a fatica, perché quel nodo alla gola sembra non voler scivolare giù. Gli occhi che vagano nuovamente dal bigliettino al comodino. Lei seduta per terra, ai piedi del letto, in attesa che qualcuno prendi una decisione al posto suo. Finalmente ha ricevuto sue notizie. E' pronta a vederla e gliel'ha scritto in quel pezzetto di carta, dai bordi ormai sgualciti tanta è la pressione che vi esercitano sopra le dita della piccola Serpe, da quando un Tassorosso, dal viso rubicondo, gliel'ha consigliato. L'ha riletto più e più volte, mettendo la massima attenzione ad ogni particolare, alla ricerca di qualche indizio tra quelle poche parole con la sua solita grafia elegante e rotondeggiante. Cerca qualcosa, tra una a dalla pancia più gonfia del solito, in una l che non ha il suo solito cappello tondeggiante, tra una s la cui coda non è lunga come è solita farla Savannah. Si convince, la mora, che abbia scritto il tutto di fretta, magari controvoglia, in un raptus di chissà quale sfumatura di frustrazione nel ritrovarsi Max sempre dove non doveva stare, lì, pronta a guardargli le spalle e magari provare a scambiarci qualche parola. Si convince di essere indesiderata, mentre appallottola il foglietto e i suoi occhi tornano a mettere a fuoco, lentamente, il comodino. Come in una scena di un film. Lì dove, illuminata dalla luce di una candela dalla cera colata, c'è una bottiglia di vino che è riuscita a sgraffignare dalle cucine. L'ha rubata ancor prima di leggere effettivamente il contenuto del messaggio di Saw, in preda al panico, convinta che solo con in circolo dell'alcol potesse essere abbastanza coraggiosa da leggerlo. Ma sono pulita da quasi un anno. Si tartassa la mente, mentre la fissa con decisione, mentre la desidera con una bramosia senza pari. Perché quando si ha paura, ogni scappatoia, ogni via di fuga diventa allettante, ancor meglio se sul piatto d'argento c'è una buona dose di coraggio liquido, quello di cui sente di essere priva, in quel momento. L'ansia l'assale e vorrebbe soltanto che la sua psicologa le rispondesse alle lettere, magari convenendo con lei nel dover ricominciare la terapia farmacologica. Si distrugge le mani, torturandosele, andando a tirare anche alcune pellicine intorno alle unghie, mordicchiandole fin quando non sente il sapore del sangue esploderle in bocca, così come la fitta dolorosa che parte dal centro della carne viva. In questo oblio di incertezze, con l'occhio di bue puntato sulla bottiglia di vino, le crede di rimanerci per delle ore intere, per quelle che le appaiono come delle ere interminabili, eppure quando controlla l'ora, è ancora in perfetto orario per andare all'appuntamento con Saw. E' forse quell'accumulo di ansia che non la fa respirare, tanto è spaventata, che alla fine la costringe a tirarsi in piedi, continuando a fissare incerta ciò che pensa essere la soluzione migliore a tutti i suoi problemi in quel momento. Nana è ad una di quelle riunioni da Caposcuola, la camera è deserta e lei potrebbe semplicemente lasciarsi andare per far sì che la paura le scivoli addosso, così come il vino farebbe con i suoi pensieri, per lei così gravosi e bui. Decide di darsi una sistemata prima, cambiando la camicetta della divisa, lisciandosi poi le varie pieghe della gonna, sempre più corta dello standard generale consentito dalla scuola. Si guarda giusto un attimo allo specchio, passando le dita tra i capelli corti, come a voler dar loro una forma che non hanno alcuna voglia di avere perché, infatti, ricadono verso il basso, senza dar segni vitali. E poi eccola nuovamente lì, davanti alla bottiglia. Lì che si sente debole come non mai, con la mano che si allunga esitante verso il freddo vetro. Le dita tremano mentre si stringono intorno al collo ed è probabilmente nell'avvertire quella scarica d'adrenalina, quella stessa adrenalina che le mette paura per la prepotenza con cui la invade, quell'adrenalina che la porterebbe nuovamente giù in un secondo, che corre in bagno, lasciando che il vino rosso cada indisturbato dentro il lavandino. La bottiglia scivola via dalle sue dita e cozza contro il marmo bianco del lavabo, mentre lei scappa via, velocemente, per allontanarsi prima possibile da quella tentazione alla quale, inauditamente, resiste, decidendo di affrontare in maniera lucida Savannah. Non commettendo l'ennesimo sbaglio, lo stesso nel quale è caduta con suo fratello. Cerca di rimettere insieme le parole, di architettare un gran piano, mentalmente, mentre raggiunge la laguna, trafelata e con il fiato corto. E' solo quando la vede di spalle, intenta a guardare la distesa di fronte a sé che rallenta, quasi a fermarsi, conscia di non sapere assolutamente cosa dirle. Per un istante, avverte il classico prurito della paura che la vorrebbe a girare i tacchi per tornarsene verso il castello, di gran carriera. Ma è lo stesso impulso che usa come catalizzatore per andare avanti. Il peggio che può succedere? Che mi urli addosso come faccio schifo, una cosa che già so alla perfezione. Si convince di essere inattaccabile, di essere consapevolmente pronta a tutto tanto da non poter essere effettivamente ferita da nulla che la bionda le potrebbe dire. «Ho saputo che mi cercavi.» Pronta un cazzo. Pensa, nel sentirsi già ferita dalla freddezza, assolutamente preventivata, che avverte nel tono di voce di lei. Decide comunque di tenere il mento alto, di non abbassare le spalle e chiudersi a riccio, lasciando trapelare tutta l'ansia e la fragilità di cui è rivestita in quell'istante. « Oh, l'hai saputo..e da chi esattamente? » La vecchia strategia della fuga discorsiva, quella
    tumblr_inline_pjlac3uRUi1t8d1vp_540
    sempre un po' carica di sarcasmo da poter essere vista o come battuta divertente o come una frecciatina bella e buona. Perché Saw non l'ha saputo da nessuno, lo sanno bene entrambe. Ha evitato tutti, è vero, eppure Max è certa che la bionda li abbia visti tutti i suoi sforzi per cercare di braccarla, di fermarla anche solo per provare a scambiarci una parola in più rispetto al classico e cortese saluto mattutino. «Immagino tu abbia qualcosa da dirmi, allora.» Non può che annuire senza però dire nulla. Guarda di fronte a sé, lasciando che i suoi occhi si riempiano della visione della laguna baciata dalle ultime ore di luce diurna. Le dita corrono al pacchetto di sigarette incastrato tra la pelle e il bordo della gonna, ne prende una per poi accenderla con la punta della bacchetta. Poi allunga verso di lei l'involucro bianco, decorato da qualche foto qua e là, con qualche scritta che dovrebbe aiutare a farti perdere qualsiasi voglia di fumare, facendole segno di servirsi. Come a volerle implicitamente darle un antistress con il quale cominciare a calmarsi, già da ora. « Beh, immagini bene. » Prende a dire, lasciando che una boccata di fumo fuoriesca insieme alle sue parole. « Comprendo perfettamente il tuo voler del tempo, per ragionare, per stare da sola con te stessa..e sono contenta che alla fine mi abbia dato almeno la possibilità di parlarti. » Di spiegarmi, probabilmente per l'ultima volta.., nella sua testa, una vocina la corregge infastidendola non poco. Cerca di ragionare da dove voler partire, decidendo di lasciar fuori dalla conversazione qualsiasi coinvolgimento di Derek e quel suo farle leggere le lettere che proprio Saw le ha mandato. Decide di essere se stessa, dicendo le cose come stanno, dritta al punto, senza tergiversare troppo o continuare a girarci intorno all'infinito. « L'anno scorso sono andata a letto con Derek. » Si sente di respirare quasi con più leggerezza dopo aver finito di pronunciare quella frase. La sua grande confessione, il suo grande segreto. « Non me lo sono ricordata fino a quando non l'ho rivisto alla festa di Halloween e tuttora non me lo ricordo nemmeno troppo bene. Ho solo dei flash piuttosto sbiaditi. » Butta fuori una boccata di fumo, prendendo tempo. « E non te l'ho mai detto perché..- già, perché? -..perché c'è una ragione se non sono stata smistata a Grifondoro e avevo paura. Una paura fottuta. » E' solo allora che, con uno sforzo sovrumano, alza lo sguardo a ricercare quello di lei, deglutendo. « Di perderti per una cazzata di cui non ricordo nemmeno bene i connotati, che non ha avuto alcuna importanza. Che non è stato assolutamente niente se non un grosso sbaglio. » Stringe ancora le labbra intorno al filtro, mentre l'altra mano ricade lungo il fianco, con il palmo aperto. Inerme. « Ma sono stata una stupida perché non ti ho dato la possibilità di dimostrare il contrario. » Per la mia insicurezza gratuita, per paura che ti saresti incazzata a tal punto da non parlarmi più, ti ho lasciato pensare che ti stessi trattando esattamente come pensi che ti trattino tutti: come una bambina viziata che ha bisogno di essere protetta dalla verità. « Io.. non ho scusanti, questo è chiaro. So quanto possano valere poco le parole, in confronto ai fatti, ma mi dispiace essermi dimostrata un'amica tanto di merda e non essere stata sincera prima, quando dovevo esserlo davvero. » Dice a fior di labbra, riabbassando lo sguardo a fissare le punte delle sue sneakers, dai colori sbiaditi ormai dal tempo. Il suo paio preferito, uno degli ultimi regali di suo padre. Si sente così in colpa da sentire la nausea farsi sempre più presente intorno alla bocca del suo stomaco. Avrà mai fine quest'agonia? « Ti prego, dì qualcosa.. » questo silenzio mi uccide.
     
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    « Oh, l'hai saputo..e da chi esattamente? » Savannah serrò la mascella, irrigidendo le spalle, senza staccare gli occhi dalla compagna di Casata. Non rispose a quella domanda. Non ce n’era bisogno. Sapevano entrambe che Savannah non lo aveva saputo da nessuno. Erano palesi i tentativi della Picquery di ritagliare un momento solo per loro due, cosa che la Hamilton non si era mai sentita di voler fare fino a quel momento. Aveva bisogno di starsene da sola, per un po’, lontana dalla vita e le persone che conosceva. Solo così avrebbe avuto modo di pensare, di ascoltarsi come mai si era soffermata a fare prima di allora. Lo aveva fatto per loro, lo aveva fatto per lei. Era perfettamente conscia di cosa sarebbe accaduto se si fosse fiondata da Max o da Maeve o da suo fratello prima di prendersi del tempo per sé stessa. Li avrebbe attaccati. Gli avrebbe urlato contro tirando fuori parole pesanti come macigni, parole di cui solo in seguito si sarebbe pentita. Ed avrebbe voluto. Avrebbe dato qualsiasi cosa per sputargli contro tutto il veleno che aveva nello stomaco e che per giorni aveva cercato di corroderle ogni organo vitale. Ma loro non erano gli altri. Di loro le importava. Veramente. Non poteva permettersi di fare cose di cui poi si sarebbe pentita. Scosse la testa, stringendosi le braccia intorno al petto nel momento in cui la Picquery le allungò il pacchetto di sigarette, invitandola a servirsi. Erano diverse settimane che non fumava. L’ultima era stata a fine febbraio. Ricordava il suo sapore amaro, ponderoso, che aveva raggiunto in pochi attimi le terminazioni nervose del suo cervello, procurandole solo un gran mal di testa. L’aveva gettata via e da allora non ne aveva più accese altre. « Comprendo perfettamente il tuo voler del tempo, per ragionare, per stare da sola con te stessa..e sono contenta che alla fine mi abbia dato almeno la possibilità di parlarti. » Non trattarmi come una bambina. Era quello che avevano sempre fatto tutti. Si mostravano arrendevoli, dicendole che non aveva sbagliato anche quando era palese che non fosse così. Non era una poppante alla quale dare un contento. Non era un magnate generoso. Era solo una ragazzina momentaneamente arrabbiata con il mondo, infastidita da tutto, anche dall’aver ragione. Non voleva il torto, non voleva la ragione. Non sapeva neppure lei cosa volesse in quel momento. Vuoi ascoltare la tua amica, le disse una vocina. Finora è stata l’unica con le palle di affrontare a viso aperto la capricciosa Savannah Hamilton. Già. « L'anno scorso sono andata a letto con Derek. » Iniziò così. Senza girarci intorno, mostrando tutte le carte che finora aveva lasciato capovolte sul tavolo. Le ci volsero alcuni secondi per metabolizzare quella frase. La prima cosa a cui pensò furono le parole che suo fratello le aveva scritto in quello scambio di lettere che avevano avuto dopo la serata nella Stanza delle Necessità. Derek era probabilmente la persona a cui voleva più bene al mondo e lui le aveva mentito, senza farsi problemi, scrivendole quelle parole senza ripensamenti. Un nodo si era formato all’altezza della sua gola, rendendole difficile deglutire. Involontariamente strinse ancora di più le braccia attorno al suo esile corpo, quasi a volersi proteggere dal dolore che quella consapevolezza le aveva inflitto. Il secondo pensiero fu che aveva ragione. C’era un motivo se quella sera Derek aveva premuto quel campanello spegnendosi per la Picquery. Non era semplice gusto personale, come poi aveva provato a riflettere più avanti, né altro. L'anno scorso sono andata a letto con Derek. Era questo il motivo, e lei non era paranoica. Aveva ragione. Ma quella consapevolezza non riuscì neppure lontanamente a farla stare meglio. « Non me lo sono ricordata fino a quando non l'ho rivisto alla festa di Halloween e tuttora non me lo ricordo nemmeno troppo bene. Ho solo dei flash piuttosto sbiaditi. » Si morse forte il labbro inferiore perché la Savannah impulsiva scalpitò dentro di lei, pregandola disperatamente di farla uscire. Non aveva mai parlato a nessuno dei problemi di Max dell’anno precedente. Aveva provato in ogni modo a proteggerla, mettendo a tacere tutti coloro che osavano anche rivolgerle una parola sgradevole. Ed è così che vieni ripagata, Savannah? Prese un profondo respiro cercando di cacciare via quella voce nella sua testa. Non è colpa sua. Cercava con tutta sé stessa di tenere a bada quella parte istintiva che le fremeva nel petto, quella parte che si era costretta a mettere da parte, imprigionandola da qualche parte dentro la sua testa. « E non te l'ho mai detto perché... perché c'è una ragione se non sono stata smistata a Grifondoro e avevo paura. Una paura fottuta. » Paura. Gli occhi di Savannah si allargarono appena, impercettibilmente, puntati in un punto di fronte a sé che non stava neanche guardando. Max ha paura di te. Paura delle sue reazioni infantili, del suo modo di umiliare le persone quando si metteva sul piede di guerra. Si sentiva frastornata, come se la notizia appena ricevuta l’avesse completamente sconvolta. Non pensava di essere così, o almeno non con le sue amiche. Ma a quanto pareva neanche loro si fidavano del suo carattere autoritario. « Di perderti per una cazzata di cui non ricordo nemmeno bene i connotati, che non ha avuto alcuna importanza. [...] Ma sono stata una stupida perché non ti ho dato la possibilità di dimostrare il contrario. » Si, Max. Sei stata davvero una stupida! Avrebbe voluto dirlo, ma si accorse di avere la gola secca e la bocca completamente asciutta. Si chiese cosa avrebbe fatto se Max glielo avesse detto subito. Sembrava una realtà così lontana, eppure volle fare lo sforzo di farlo. Probabilmente le avrebbe chiesto cosa cazzo le diceva la testa, ma poi in un secondo mento si sarebbe pentita di quell’affermazione. Lei l’aveva vista. Lei sapeva in che stato vivesse Max in quel periodo. I pochi momenti di lucidità si alternavano ai momenti di buio dai quali riemergeva a fatica. Si sentiva in colpa per non aver fatto di più per lei. « Ti prego, dì qualcosa.. » Se quella al suo fianco fosse stata una persona di cui non le importava assolutamente niente, a quel punto, dopo aver saputo come stavano le cose, Savannah avrebbe girato i tacchi e se ne sarebbe andata senza dire una parola.
    Ma lei era Max. Max, una delle sue migliori amiche. Non era una persona di cui non le importava assolutamente niente. Si voltò verso di lei, cozzando contro il suo sguardo che le provocò lo stesso impatto di un pugno sullo stomaco. Strinse la mascella, cercando di non avere un attimo di cedimento. Prese un profondo respiro, umettandosi le labbra e lasciando le parole fluire. «Sai qual è la verità, Max? Che finchè sono gli altri a trattarmi da bambina stupida, non me ne importa niente, perché per me il loro punto di vista equivale a zero. Ma quando a trattarmi così sono le persone a cui tengo, tu e mio fratello in questo caso.. Bhè, allora comincio a pensare che il resto delle persone abbiano ragione. » Rimase lì, a fissarla, le labbra dischiuse in quella frase che le face più male del previsto. «Ho scritto delle lettere a Derek per chiedergli delle spiegazioni e sai cosa mi ha risposto lui? Che era un sospetto che non stava né in cielo né in terra, che io avevo tirato fuori quella pazza storia solo perché lui aveva deciso di uscire con una mia amica, che io ero semplicemente gelosa e che io non sapevo rispettare la libertà altrui.» Le braccia si erano sciolte ed ora erano posate lungo i suoi fianchi. Aveva stretto i pugni e sentiva le unghie premere dolorosamente contro i palmi delle mani. «Mi ha trattata come se fossi una stupida, in piena crisi premestruale, che si era impuntata perché secondo lui volevo privarlo della sua libertà personale.» Prese fiato. Aveva alzato di poco la voce. «Poi, come se non fosse abbastanza, sono arrivate anche le lettere di Maeve dove sosteneva che io fossi arrabbiata perché in quel momento tutto il mondo non stava girando intorno a me e tirando fuori falsi complotti dove credeva che io volessi usare tua cugina Ella per farla ingelosire e poi eliminarla dal gruppo!» Fece un passo verso di lei. Ormai la sua voce aveva superato il livello di una conversazione normale. «E infine arrivi tu! Tu, Max, una delle persone a cui voglio più bene su questo mondo che mi dice di non avermi detto di essersi fatta mio fratello perché pensava che l’avrei crocifissa in croce per una cazzata del genere!» Avrebbe voluto fermarsi, ma non ci riusciva. Tutto ciò che in quei giorni le era passato per la testa ora stava fluendo dalle sue labbra, svuotandola completamente come un palloncino. «E’ questo che pensate quando mi guardate? Oh, è arrivata Savannah, ricominciate a parlare di cose stupide, tanto altrimenti lei non capirebbe!» Civettò rendendo la voce un po’ più stridula come se stesse interpretando un altro personaggio. «Bhè, sai una cosa. Savannah ne ha le scatole piene di questa storia!» Aveva riabbassato la voce. Ora il suo tono viaggiava su note più basse, che le provenivano dal fondo della gola, grattandola. «Sai qual è la cosa che fa più male? Che io non ti avrei mai voltato le spalle, neppure se mi avessi detto di aver ucciso qualcuno.» Incrociò nuovamente le braccia al petto, come se in quel momento avesse avuto bisogno di protezione, di sentirsi al sicuro da tutto il resto del mondo. «Soprattutto con il periodo che stavi vivendo.» La sua voce tremò appena. Si sentiva come se si fosse liberata di un grosso perso che per tutto quel tempo l’aveva schiacciata dolorosamente. Passarono alcuni secondi, poi decise di parlare di nuovo. «Chissà cosa pensavate di ottenere con questa rivelazione. Forse credevate che avrei fatto scoppiare la terza guerra magica.» Fece una pausa, ridacchiando di quella affermazione, ma senza divertimento. «Ma voi non siete come gli altri.» Sospirò. «Ma forse per voi non è così.»


    Edited by bubblegum bitch; - 6/5/2020, 21:13
     
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    «Sai qual è la verità, Max? Che finchè sono gli altri a trattarmi da bambina stupida, non me ne importa niente, perché per me il loro punto di vista equivale a zero. Ma quando a trattarmi così sono le persone a cui tengo, tu e mio fratello in questo caso.. Bhè, allora comincio a pensare che il resto delle persone abbiano ragione. » L'unica cosa che può fare è fissarla a sua volta, scuotendo la testa energicamente, pronta a smentirla, con prove alla mano, con evidenze che non può assolutamente ignorare. Perché non può credere davvero di essere una bambina stupida e viziata. Max non può permetterlo e non perché abbia contribuito anche lei a farcela credere, quanto perché sa perfettamente quanto tutto ciò sia lontano anni luce dalla verità. Perché Saw non è la persona superficiale, frivola, che sembra sempre pensare alla moda e a tutto ciò che di più superfluo c'è nel mondo. E' una ragazza intelligente, dalla media quasi perfetta, una sportiva, una mente aperta con la quale è facile parlare di mille e una cosa, un'amica disposta - Max ne è sempre stata certa - a seppellire il corpo di un probabile omicidio commesso dalle altre, senza dire una parola, senza tradire la fiducia. Così è pronta a ribattere, ma la bionda è più veloce. Così ascolta prima lo sfogo riguardo suo fratello, non con una certa difficoltà, avendole effettivamente già lette quelle lettere, poi quello riguardo Maeve. Rimane in silenzio tutto il tempo, mentre le dita tornano automaticamente alle labbra, dopo qualche istante, lasciando che il filtro si incastri tra di loro, con il fumo che le riempie la bocca, scende lungo la gola per poi ricacciarlo fuori, ormai privo di quel suo colore pieno trasformandosi in una nuvola quasi accennata. Continua a fumare mentre il suo tono si fa decisamente più alto e le si fa vicina, come a volerla mettere con le spalle al muro. Stringe il pugno della mano libera, mentre prende un gran respiro, cercando di rimanere lì, ancorata a quel pezzo di terra, senza indietreggiare come la sua ansia le sta dicendo di fare. Sciocca di una ragazzina, scappa, vattene prima di crollare a pezzi davanti ai suoi occhi. La sua mente la inganna ogni giorno, sussurrandole verità sibilline, distorcendo la realtà per farle vedere un mondo diverso da quello che ha di fronte a sé, cercando di accrescere quel peso che si sente costantemente sopra il petto, un macigno che non la fa respirare a pieni polmoni da tanto, che le dà quel senso di incertezza senza la sua dose di coraggio trovato in altro, che siano droghe, antidepressivi o alcol. «E infine arrivi tu! Tu, Max, una delle persone a cui voglio più bene su questo mondo che mi dice di non avermi detto di essersi fatta mio fratello perché pensava che l’avrei crocifissa in croce per una cazzata del genere!» Gli occhi di Max si sgranano appena nel sentire raccontata la verità della bionda, così come la vive lei, completamente diversa da quella che invece ha sempre visto la moretta. Com'è possibile che vediamo due facce così slegate della stessa storia? «E’ questo che pensate quando mi guardate? Oh, è arrivata Savannah, ricominciate a parlare di cose stupide, tanto altrimenti lei non capirebbe! [..] Soprattutto con il periodo che stavi vivendo.» E quell'ombra di cui non le parlano mai lei e Nana, forse per paura di innescare la reazione sbagliata in Max, eccola che cala su di loro, pesante come un mantello di broccato pregiato, ricamato con dei diamanti veri. Ma non è altrettanto bella, non è altrettanto elegante, non è altrettanto pregiata. No, il mantello di Max fa schifo, così tanto che le sue labbra si schiudono in un'espressione di sorpresa. Oh, aspira fuori, senza aggiungere altro perché non sa cos'altro dire. «Ma voi non siete come gli altri. Ma forse per voi non è così.» Ma forse per voi non è così. Quelle sette parole la feriscono come solo un coltello dalla lama affilata, che lentamente cala tra le carni vive, potrebbe fare. Deglutisce, guardando altrove. E questa volta il passo indietro lo fa, come a voler prendere le distanze da quelle parole, mai risultate meno vere come in quel momento. Ormai la sigaretta ha fatto il suo corso, il mozzicone è arrivato al filtro e lo butta via, lanciandolo chissà dove. Il tutto mentre sente fin troppe emozioni crescerle dentro, un uragano continuo e disconnesso che le danno la stessa sensazione di annegamento o di soffocamento. Si sente impotente di fronte a quella montagna invalicabile formata dalla pura delusione che ha sentito nelle sue parole e ha visto negli occhi chiari di Savannah. Anche se dovessimo riprovare a far tornare tutto alla normalità, l'amaro in bocca le rimarrà per tutta la vita. « Io non ti ho mai visto come una stupida bambina, frivola e viziata dalle mille opportunità che la vita ti ha dato. » Dice infine, dopo istanti interminabili di quel silenzio talmente spesso da poter essere tagliato con la punta di un coltello. « Mai, nemmeno una volta l'ho pensato. » In quel momento, il flash del loro primo incontro, veicolato da Domiziana Dragomir, la sua nuova compagna di stanza in quel posto che destava al pari di sua madre, probabilmente perché nella sua testa era la personificazione dell'allontanamento dal padre. E a lei, con gli occhi ancora pieni di rabbia e frustrazione per essere in quel castello invece che a casa sua, in America, Savannah aveva sorriso, facendole un complimento su come aveva deciso di dare una modernizzata al suo vestiario. La Max di allora era stata al gioco, sorridendo come le circostanze avevano voluto, come le era stato insegnato a fare, con una battuta delle sue, convinta che i suoi problemi di fiducia nei confronti delle persone non si sarebbero di certo risolti con quelle due. Ma il tempo le avrebbe dato estremamente torto. « Ma la mia testa è un posto davvero brutto in cui vivere, Saw. Mi fa credere cose, me ne fa vedere delle altre. Mi fa desiderare cose che non posso avere e mi crea scenari che mi mettono paura. »
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    La voce va stridendosi, come un gessetto raschiato contro la lavagna di un'aula. « Razionalmente so che probabilmente mi avresti pure riso in faccia, tanto era una cazzata, ma inconsciamente le cose sono diverse. Cosa mi succede qua dentro, ogni giorno, è un qualcosa che non augurerei a nessuno, nemmeno a mia madre. » Si picchetta la tempia, mentre quell'appellativo le sfugge di bocca, senza riuscire ad afferrarlo un secondo prima e tutta la tensione sembra volersi riversare fuori come un fiume in piena che continua a minacciarla di sgorgare dai suoi occhi. Ma stringe i denti, un po' per frustrazione per quell'intera situazione che l'ha fatta stare più male del previsto, un po' perché è stufa di essere quella del "Attenzione, pacchetto fragile, maneggiare con cura." E' stufa marcia di essere la debole di turno, con una testa che le rema contro ogni volta che prova ad andare avanti, a fare anche solo un minimo passetto verso la vita normale di una qualsiasi diciassettenne. « Avevo pensato di dirtelo, a Novembre, ma poi ho visto degli scenari orribili, me li ha fatti vedere tutti e non ho più pensato razionalmente. Così ho perso la prima occasione e ogni volta che rimandavo, immaginavo la delusione e l'amarezza con cui mi avresti guardata quando te l'avrei rivelato. Quando sarebbe passato troppo tempo tanto da diventare un "ormai è tardi". » Deglutisce, rialzando gli occhi verso di lei. « Le stesse che vedo ora. » Confessa, con un sorriso triste che si allarga sulle sue labbra. « Con questo non voglio aggrapparmi ad alcuna giustificazione, quel che è fatto è fatto. » I miei problemi mentali non possono essere la scusa al fatto che ho ceduto alla paura di perdere uno dei pochi legami veri che ho. « Ma io lo so chi sei, Saw. Io ti ho sempre vista. » Una lacrima, alla fine, le solca il viso e lei cerca di nascondere la cosa con una passata veloce di mano sopra la guancia. « So che non sei solo ciò che dai a vedere. Non saresti diventata amica mia, altrimenti. Non potevi voler essere amica mia solo per i posti in prima fila alle Fashion Week. Posti a cui saresti arrivata comunque, con o senza il cognome di Cassandra. C'era dell'altro per farti vedere al fianco di una come me. » Si stringe nelle spalle, cercando di infondere al suo sguardo verdognolo una qualche sembianza di luce. « Per me non sei mai stata la persona con cui parlare di cose stupide perché altrimenti non avresti capito. » La fissa, stringendo le labbra, avanzando di quel passetto che aveva fatto all'indietro, poco prima. « Tu sai del mio periodo perché io con te ho sempre parlato di tutto proprio perché sei molto di più. Perché hai visto il mio peggio e sei rimasta. » E ho ascoltato le voci sbagliate, tanto da dimenticarmi quanto io mi fidi di te. Fa un ulteriore passo nella sua direzione, per poi allungare una mano verso di lei. Il palmo aperto rivolto verso l'alto, pronto a carezzare quello di lei, se solo lo vorrà. « Uno dei primi passi nella riabilitazione di un tossicodipendente è saper chiedere scusa alle persone alle quali si è fatto del male. » Le lancia un'occhiata, con la mano ancora tesa. « Il secondo è quello di ricordare a se stessi quanto sia importante avere accanto delle persone fidate e io di te mi fido, Saw, e la sola idea di non averti più al mio fianco, in futuro, mi spaventa perché sei diventata fondamentale. » Tira su con il naso. « Perché io ti voglio bene, ma davvero..non è tanto per dirlo, è così, punto. »
     
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    In tutta la sua vita, Savannah aveva conosciuto solo quello che si potrebbe definire un surrogato dell’amore, qualcosa che sicuramente gli somigliava, ma sul quale non si era mai interrogata. Fin dalla nascita era la cocca di papà e lui e la mamma le avevano sempre dimostrato quanto lei contasse per loro comprandole tutto ciò che una bambina potesse desiderare, ed anche di più. La coprivano di regali più che di abbracci e le avevano sempre insegnato quanto può essere fondamentalmente importante l’apparenza sia fuori che dentro le mura domestiche. Era sempre stata particolarmente gelosa delle persone che le ruotavano attorno, considerandole quasi una sua proprietà, dimostrando gelosia nei loro confronti, desiderando quasi chiuderle in una teca di vetro per nasconderle dal resto del mondo. Non amava condividere, soprattutto le persone a cui teneva. Anche per quanto riguardava le sue relazioni sentimentali, negli anni non si era mai chiesta se amasse o no il tipo che si portava a letto. Di solito si dimostravano una divertente distrazione delle lezioni scolastiche e coloro con i quali si era legata avevano sempre le stesse cose in comune: erano belli e popolari. Su Savannah, i tipi del genere, avevano lo stesso effetto di un nuovo Chanel esposto in vetrina. Più le persone gli vorticavano attorno, più in lei nasceva il desiderio di averlo solo per sé, magari stancandosene qualche settimana dopo. Nei confronti di Roman aveva scatenato una gelosia reciproca che non faceva altro che separarli e poi farli ricadere tra le braccia l’uno dell’altra costantemente. Era stato così finchè lui non aveva deciso che era meglio finirla. Le aveva fatto male. Tanto, troppo, più di quanto lei si fosse mai aspettata. Lo amava? Nonostante tutto non se l’era mai chiesto. L’unica cosa assolutamente sicura era che in quei giorni passati ad evitare le sue amiche si sentiva come se fosse stata improvvisamente privata di un arto. « Io non ti ho mai visto come una stupida bambina, frivola e viziata dalle mille opportunità che la vita ti ha dato. Mai, nemmeno una volta l'ho pensato. » Le si era formato un nodo in gola, che le impediva di ribattere con il solo obiettivo di avere ragione. Si morse le labbra, lasciando vagare lo sguardo sulle acque della laguna, senza fissare un punto preciso. Si sentiva come se qualcosa comprimesse i suoi polmoni, limitandole la capacità respiratoria. Alzò il mento, inspirando piano, avendo la sensazione che centinaia di aghi le bucassero il petto. « Ma la mia testa è un posto davvero brutto in cui vivere, Saw. Mi fa credere cose, me ne fa vedere delle altre. Mi fa desiderare cose che non posso avere e mi crea scenari che mi mettono paura. » Avrebbe voluto allungare una mano per cercare quella di Max e stringergliela forte, ma qualcosa pareva totalmente paralizzata dalla testa ai piedi. Forse era il freddo che le aveva avvolto le ossa o forse quel briciolo di orgoglio che la costringeva a tenere duro ancora per un po’. L’unica cosa che riuscì a fare fu abbassare lo sguardo, in un punto del lago più vicino a loro, quel punto che rispecchiava le due figure dai volti sciupati e l’anima in tumulto. Con lo sguardo percorse ogni centimetro del riflesso di Max cercando di cogliere le sue espressioni, seppur non guardandola direttamente. Stava cercando una via alternativa al guardarla direttamente negli occhi per paura di cedere da un momento all’altro, più in fretta di quanto avrebbe mai immaginato, mostrando la sua debolezza spudorata. « Avevo pensato di dirtelo, a Novembre, ma poi ho visto degli scenari orribili, me li ha fatti vedere tutti e non ho più pensato razionalmente. [...] » Avrebbe voluto chiederle cosa avesse visto. Le sarebbe piaciuto sapere cosa la sua mente le avesse mostrato di così terribile. La cosa peggiore che Savannah potesse fare era non rivolgerle più la parola e parlare a tutti dei suoi segreti. Cosa che la Hamilton avrebbe fatto a chiunque ma certamente non alle sue amiche. Continuava a sentirsi incompresa, come se nessuno riuscisse veramente a capire come si sentiva e perché aveva reagito in quel modo. « Ma io lo so chi sei, Saw. Io ti ho sempre vista. » Si morse la guancia così forte che in pochi attimi si lesionò la pelle e la sua bocca percepì i sapore ferroso del sangue. Ultimamente neppure lei sapeva più chi fosse. C’erano delle ombre che si posavano sulla sua testa costringendola a comportarsi in un determinato modo, facendole credere che alcune erano le cose giuste da fare anche quando non era così. Eppure era certa che Max stesse dicendo la verità. Non c’era traccia di menzogna nelle sue parole e nel tono della sua voce. « Tu sai del mio periodo perché io con te ho sempre parlato di tutto proprio perché sei molto di più. Perché hai visto il mio peggio e sei rimasta. » Con la coda dell’occhio vede qualcosa muoversi nella sua direzione. Max le stava porgendo la mano, sperando che lei la prendesse. Rimase a guardarla, con la coda dell’occhio. Nei suoi occhi si potevano leggere tutti i suoi dubbi, le sue incertezze, cosa avrebbe comportato decidere di stringere quella mano oppure no. « Uno dei primi passi nella riabilitazione di un tossicodipendente è saper chiedere scusa alle persone alle quali si è fatto del male. Il secondo è quello di ricordare a se stessi quanto sia importante avere accanto delle persone fidate e io di te mi fido, Saw, e la sola idea di non averti più al mio fianco, in futuro, mi spaventa perché sei diventata fondamentale. » Il suo labbro inferiore cominciò a tremare involontariamente. Avrebbe voluto posarci una mano sopra per farlo smettere, ma non ci riuscì. Inghiottì a vuoto, alzando il mento, continuando a fissare la mano di Max, incapace di dire una sola parola.
    « Perché io ti voglio bene, ma davvero..non è tanto per dirlo, è così, punto. » Non ce la fece più. Si voltò verso di lei, gettandole le braccia al collo e nascondendo il viso sulla sua spalla, la strinse a sé. Avrebbe voluto fare la sostenuta ancora per un po’, avrebbe voluto aggrapparsi a quell’orgoglio con tutte le sue forze, ma le parole di Max erano state come un fuocherello nel suo petto. Le aveva sentite accendersi ed infine divampare, sciogliendo quel ghiaccio che per troppi giorni aveva avvolto il suo cuore. «Vorrei tanto riuscire a tenerti il muso ancora per un po’!» Piagnucolò senza alzare il volto, le parole che si infrangevano sul tessuto della sua divisa. «Ti detesto per aver pensato che avrei potuto farti qualcosa di male per una cosa del genere.» Non è vero. Non la detesti. Si staccò da lei, tornando al suo posto, passandosi le dita sotto un occhio, proprio dove aveva sbavato l’eyeliner. Tirò su col naso, fissandola con un’espressione severa, mentre continuava a singhiozzare ed il suo labbro inferiore a tremare. «Certo l’avrei fatto a tante persone, ma tu non sei tante persone!» Lo disse come se fosse la cosa più elementare del mondo, un pilastro dell’equilibrio naturale delle cose. «Ti prego, ti prego, TI PREGO.. Non fare mai battute sulle performance sessuali di Derek.» Nonostante gli occhi arrossati, sul suo volto apparve il cenno divertimento. Non era certo la battuta più divertente del mondo, ma rispecchiava la verità. «Mi dispiace.» Quelle parole le uscirono dalle labbra con una tale naturalezza che sorprese anche lei. «Evitarti è stata una delle cose più difficili che abbia mai fatto. Ma ne avevo bisogno. Mi ha aiutata a pensare. Non ero pronta ad affrontarti subito. Mi sarei ritrovata a dare di matto e a dire cosa che non penso.» Le sorrise tristemente. Entrambe sapevano che era la verità. Tirò fuori dalla tasca uno specchietto rotondo. L’aprì controllando la situazione. «Guarda che macello mi hai fatto fare..» Il tono era serio, ma anche scherzoso. Tirò fuori un fazzolettino e cominciò a passarselo là dove il trucco era colato. «Sembro un panda!» Brontolò continuando a tamponare. «Non credevo che Derek fosse.. Il tuo tipo.» Le lanciò un’occhiata al di sopra dello specchietto. Lasciò cadere là quella frase, come una battuta, ma che forse voleva essere anche altro.
     
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    La sensazione che intercorre tra il momento in cui chiude la bocca e quello in cui rialza per puntarli verso la bionda, che le dà le spalle, la fa sentire impaziente, spaventata e allo stesso tempo elettrizzata. Sente una stretta forte allo stomaco, che viene scongelata immediatamente nel momento in cui Saw si volta e le se fionda addosso. Il corpo della mora vacilla per un attimo, compiendo un passo all'indietro, nell'accogliere l'abbraccio della miglior amica. Inspira forte, affondando il viso tra i suoi capelli, permettendosi di piangere uno o due di quelle lacrime che ha ricacciato indietro fino a quel momento. La tensione l'abbandona, lasciandola lì ad essere sinceramente emozionata nel poterla nuovamente stringerla forte a sé. «Ti detesto per aver pensato che avrei potuto farti qualcosa di male per una cosa del genere. Certo l’avrei fatto a tante persone, ma tu non sei tante persone!» Saw si stacca e lei si ritrova lì, con quell'espressione confusa, un po' un misto tra il riso e il pianto, dove esattamente non sa bene cosa fare né cosa dire. Alla fine, il corpo fa da sé e dalle sue labbra esce fuori una risata che rispecchia quel rilassamento generale che la sta cogliendo. « Forse è che io e te non litighiamo mai davvero. Non pesantemente almeno. Dovremmo testare di più la flessibilità e i limiti della nostra relazione. » Si ritrova a dire, più per scherzo che per effettiva voglia di cominciare a farla davvero, quella prova. Non ricorda però, effettivamente, di averci mai litigato. Forse qualche battibecco riguardo quello e l'altro capo di alta moda ritenuto fantastico per l'una quanto non degno di alcuna nota per l'altra. Qualche screzio riguardante i lavori in coppia assegnati loro, dove di solito la prassi era il poter constatare l'impegno totale della bionda quanto il menefreghismo e il fancazzismo assoluti della mora. Ma non le viene in mente altro. Non perlomeno qualcosa di grosso come la litigata furente che ricorda a tratti, per ovvie ragioni, avuta con Nana, qualche anno prima, dopo essersi sparata in vena l'ennesima dose di eroina successivamente all'aver promesso che la precedente sarebbe stata l'ultima. "Non lo faccio più, non ne ho più bisogno" e poi se l'era ritrovata a vagare, senza meta, con quel sorriso beota sul volto e gli occhi sognanti, a toccare altri mondi distanti. «Ti prego, ti prego, TI PREGO.. Non fare mai battute sulle performance sessuali di Derek.» Non può che soffocare una risatina a quella constatazione, alzando le mani in totale segno di resa. Non che mi ricordi comunque chissà cosa. Pensa, eppure sa che non è propriamente così. Il volto di Derek è sfocato nei suoi ricordi frammentari, ma la sensazione di profondo disagio..quella è vivida. Sa perfettamente di essersi sentita fuori luogo, di aver provato quella bizzarra percezione di essere dove non sarebbe dovuta essere. E no, non perché Derek è il fratello di Saw, quello era ormai un livello di conoscenza abbandonato sotto tutti gli strati di droga. No, è un'impressione piuttosto ricorrente, che ha provato fin dalla sua prima volta con Flint. «Mi dispiace.» La voce di Saw spezza il filo di quei pensieri, per fortuna, riportandola con i piedi a terra. «Evitarti è stata una delle cose più difficili che abbia mai fatto. Ma ne avevo bisogno. Mi ha aiutata a pensare. Non ero pronta ad affrontarti subito. Mi sarei ritrovata a dare di matto e a dire cosa che non penso.» Annuisce, conoscendo un po' quel lato furente e dalla rabbia cieca di Saw, avendolo visto sbattersi contro molti studenti, durante quegli anni. Sa bene quanto le sue parole, pensate o meno che siano, possano risultare come coltelli affilati, pronti a tagliare ogni strato di tessuto per arrivare lì dove la carne è più debole e fragile. Lì dove è facile fare più male. «Guarda che macello mi hai fatto fare..Sembro un panda!» Scrolla la testa, divertita, guardandosi poi intorno prima di adocchiare un sasso che sembra fatto appositamente per sedersi. Lo raggiunge per poi appollaiarvisi sopra, andando ad incrociare le gambe, decisamente non nel più elegante dei modi. « Ma smettila che sei sempre meravigliosa. Anche quando piangi, com'è possibile? » Le rivolge con un mezzo sorriso, prima di lasciar vagare gli occhi, ancora una volta, verso l'acqua. «Non credevo che Derek fosse.. Il tuo tipo.» Lei le lancia un'occhiata che Max coglie, ma che sembra non capire. O non vuole capire. « Solo perché Flint, Matt, Tobias, Lucas, Cedric e tutti i flirt che mi sono stati affibbiati finora non sono mori, questo non vuol dire che non mi possano piacere. » Alza le sopracciglia con fare eloquente, mentre cerca di allontanare da sé quella fastidiosa impressione che la bionda, in realtà, si volesse riferire a tutt'altro. Il tuo tipo. « Che poi okay, generalmente li preferisco biondi, al massimo rossi, ma questo non vuol dire che ho tipo un modello preimpostato in testa quando decido di finirci a fare sesso. » Si stringe nelle spalle, alzando appena un sopracciglio a farle capire quanto quel discorso le sembra un po' campato per aria. « Perché scusa, tu hai un tipo? » Il miglior attacco è difendere il territorio, rispondendo ad una domanda con una domanda per sviare il tutto. Una delle prime regole del manuale di Max Picquery, che ha incominciato a scrivere quando le domande di sua madre si facevano sempre più insistenti riguardo le occhiaie violacee onnipresenti sotto i suoi occhi verdi tanto simili ai suoi e i sempre più appariscenti lividi che andavano a tempestare la candida pelle di Max, gli stessi per i quali, di solito, la spiegazione era sempre quella o l'altra caduta accidentale, quella e l'altra botta improvvisa data contro il mobilio di quella casa tanto ricca quanto asettica. "Lo sai che sono come papà, goffa e sbadata. E' anche per questo che l'hai lasciato solo a marcire come un cane, no?" Allunga una mano verso la bionda, invitandola ad avvicinarsi per prendere posto di fianco a lei, mentre riprende il pacchetto di sigarette dalla tasca della gonna, cominciando a rigirarlo tra le dita. Sa benissimo di aver recitato con lei nient'altro che il ruolo dell'evasiva. Eppure si era ripromessa di essere sincera, di provare veramente ad esserlo, fregandosene delle conseguenze che la sua mente paranoica e spaventata le cala davanti agli occhi. Ma forse non è nient'altro che questo, intendeva proprio dire ciò che ha detto. Le dice la testa, eppure ha quel sesto senso che sembra aver preso a farla entrare in piena paranoia, facendola costringendola a domandarsi quanto ci sia effettivamente sotto le parole di Saw. Magari se n'è
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    accorta di quanto sono strana con i ragazzi. Non ho mai avuto una storia vera, che andasse oltre la scopata. Mai.
    « Mh, forse non intendevi proprio tipo, vero? » Si stringe il labbro inferiore tra i denti, come a volersi frenare, come a voler mettere fine sul nascere a quel flusso di coscienza che ha bisogno di uscire e che sa di non poter essere esplicitato a voce alta se non con lei. « Forse intendevi altro? » Deglutisce, visibilmente, mentre si volta a guardarla, costringendosi a stendere le labbra in una parvenza di sorriso. « Non lo so, non credo di aver capito perfettamente quale sia il mio tipo, a dire il vero. » Gli occhi tornano a vagare, di pari passo all'ansia che riprende a cavalcarle le vene, risalendole il corpo fino alla gola, minacciandola di chiudergliela definitivamente. E non sa nemmeno lei perché nella sua testa ci sia così tanta paura nell'affrontare questo argomento, una specie di tabù che non riesce a valicare. Lei che invece è sempre stata pronta a scavalcare qualsiasi cosa, dal giudizio altrui fino alle convenzioni e la moralità sociali. « Anzi no, credo di saperlo da quando avevo dodici anni, quando tutte le ragazzine ad Ilvermorny parlavano di Scott McPearson, il più figo del secondo anno e a me non smuoveva niente dentro, ma trovavo estremamente bella Monica Carlton, invece. » Si stringe nelle spalle, un po' come a volersi giustificare di quelle parole, come a volerle sminuire, scaricarle di tutta quell'importanza che si sente di star loro dando. Ma in effetti sono importanti, a tutti gli effetti, perché è la prima volta che ne parla, a voce alta, a qualcun altro che sia se stessa. « Tutti quelli che sono venuti poi sono solo una conseguenza del "E' solo confusione adolescenziale, deve provare prima a stare con un ragazzo e sicuramente cambierà idea". E' un discorso che ho sentito fare una volta ad una delle amiche di mia madre, mentre beveva il tè in salotto e parlava della sua figlia disorientata. E allora ci ho provato anche io, perché mi sembrava un'ottima soluzione per sentirmi..normale, come tutte le altre. » Prosegue in quel discorso a cuore aperto, senza riuscire propriamente a fermarsi più. « E diciamocelo: non è andata poi così bene. Nulla togliere alle loro performance - che per carità, alcune davvero strambe sotto ogni punto di vista -, ma non mi sono mai sentita davvero a mio agio. Ho sempre sentito che ci fosse qualcosa di sbagliato che non mi piaceva. » In fondo, non è una vera e propria coincidenza il fatto che le volte in cui è andata a letto con un rappresentante del sesso maschile ci fosse droga o alcol in circolo nel suo organismo. Non è mai stato davvero un caso. Si volta verso di lei, con il mento poggiato sopra la propria spalla. « Tu..da quanto lo sai? » Le domanda allora, con il tessuto della divisa davanti alla bocca che distorce le sue parole, facendole risultare simili ad un bofonchio da appena sveglia. « E' così evidente? »
     
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    « Forse è che io e te non litighiamo mai davvero. Non pesantemente almeno. Dovremmo testare di più la flessibilità e i limiti della nostra relazione. » Una risata uscì con prepotenza dalle sue labbra, quasi in modo incontrollabile, mentre si asciugava una guancia con il polso. Si sentiva come se avesse appena corso una maratona. Si sentiva completamente svuotata, come se tutto quel peso che trasportava dentro da giorni fosse totalmente sparito. Non pensava più a Maeve e a Derek. Nei suoi pensieri c’era solo Max, il suo viso e i suoi modi buffi di smorzare la tensione. Forse la verità era che non erano così diverse come avrebbe potuto dire un osservatore poco attento. Avevano dimostrato entrambe che la loro amicizia era più importante dello stupido orgoglio. SI potevano dire tante cose su Savannah, molte delle quali erano vere, altre no come quella che la vedeva protagonista di aver incenerito un ragazzino di Tassorosso perché questo le aveva solo chiesto l’ora. Era vero che in alcuni momenti si comportasse come una bambina viziata alla quale nella vita non era mai stato detto un no. Era esageratamente scenica, amava le cose in grande stile, comprese le sfuriate e le litigate, che sembravano direttamente uscita da una telenovela argentina. Non faceva nulla se ciò non le avrebbe portato un resoconto personale. Ma questo non con tutti. Il castello pullulava di persone che se si fossero trovate con i capelli in fiamme e Savannah avesse avuto un bicchiere d’acqua in mano, lei quel bicchiere se lo sarebbe bevuto. Molte cose non meritavano la pena di ricevere la sua attenzione, ma non le sue amiche. Se si era trovata inizialmente scettica del fatto che avrebbe potuto trovare qualcuno a cui affidare un pezzetto del suo cuore, si era dovuta ricredere. Era accaduto giorno dopo giorno, come una formichina laboriosa che mette pazientemente da parte le provviste per l’inverno. Dopo tanto tempo si era ritrovata a dover fare i conti non solo con il benessere personale, ma anche con quello di altre persone. « Ma smettila che sei sempre meravigliosa. Anche quando piangi, com'è possibile? » Savannah sollevò lo sguardo sopra lo specchietto, incontrando gli occhi color foglia di Max, che intanto si era seduta in uno dei grandi sassi sulla riva. Cercò di sembrare più seria possibile, scuotendo appena la chioma bionda come se fosse la protagonista di una pubblicità dello shampoo. «Geni Hamilton. Purtroppo non sono in vendita.» enunciò con un torno assolutamente privo di modestia. Dopodichè si lasciò andare ad una risatina, continuando a cancellare il trucco colato nelle guance, anche dopo che il discorso aveva preso una svolta completamente diversa da quella precedente. « Solo perché Flint, Matt, Tobias, Lucas, Cedric e tutti i flirt che mi sono stati affibbiati finora non sono mori, questo non vuol dire che non mi possano piacere. » Il tono di Max si era fatto impercettibilmente più acuto, come se qualcosa le fosse rimasto incastrato in gola, impedendole il completo passaggio dell’aria. Probabilmente un ascoltatore inesperto non ci avrebbe fatto caso, ma non Savannah, non una come lei costantemente attenta ai dettagli. Decise di far finta di nulla, la bionda, di non farglielo notare e rimase in silenzio, continuando a guardare una porzione della sua immagine riflessa nel piccolo specchio rotondo che teneva in mano. Era qualcosa di invisibile, eppure un non so che era calato sulle loro teste, rendendo l’aria più sensibile. Era come se Savannah riuscisse perfettamente a percepire il cuore di Max palpitarle nel petto, leggermente più veloce di quanto in verità avrebbe dovuto fare. « Perché scusa, tu hai un tipo? » La Hamilton alzò le spalle chiudendo di scatto lo specchietto e infilandolo nuovamente nella tasca della gonna. Andava bene così. Magari per tutto questo tempo si era soltanto sbagliata. O forse aveva solo deciso di rispettare il suo silenzio. Accettò la mano della mora, prendendo posto vicino a lei, leggermente più avanti, quel tanto che bastava per tenere i piedi poggiati a terra. I suoi occhi vagarono per un attimo sulle acque del lago, per poi posarsi su quelli della compagna di Casata. «Bello, ricco e magari non incredibilmente stupido.» Sollevò leggermente le spalle, incredibilmente seria, più di quanto lo fosse in realtà. «Non chiedo molto, in realtà. Peccato che tutti quelli che ho trovato mancavano di una delle qualità richieste.» Tranne Roman. Già. Pensare a lui le faceva ancora male, molto più male di quanto in realtà volesse dare a vedere. Quando si erano lasciati, per l’ennesima volta, Savannah era tranquilla perché ormai certa che sarebbe andata come ogni volta: sarebbero tornati insieme. Il fatto che lui, però, si fosse gettato a capofitto sul corteggiamento di Maddie Carrow, le era arrivato addosso come una doccia fredda alla quale non era preparata. Poi quello shock si era tramutato in rabbia. Ma quella sua collera non era altro che un modo di nascondere un dolore al quale non si era arresa, impedendole di mostrare a chiunque quanto in realtà fosse rimasta ferita. Anche alle sue migliori amiche. Ma stava girando pagina, e questo era l’importante. « Mh, forse non intendevi proprio tipo, vero? Forse intendevi altro? » Savannah rimase immobile, gli occhi fissi sulla superficie della laguna increspata dal soffio del vento. Rifletteva il sole come un’enorme sfera luminosa, dipanandone i contorni come in un dipinto. Per un attimo aveva persino smesso di respirare. Sembrava temere che un suo singolo movimento avrebbe potuto scatenare una tempesta. Il suo viso non tradì nessuna emozione. Aveva la mascella serrata, e la lingua premeva contro i denti, percependone le scalinature. Era come se avvertisse l’anima di Max spogliarsi accanto a lei, pezzo dopo pezzo, privandosi della sua corazza e mettendo a nudo il suo punto più debole. « Non lo so, non credo di aver capito perfettamente quale sia il mio tipo, a dire il vero. » Un passo alla volta, come i bambini quando imparano a camminare. Savannah si sentiva come se stesse invadendo qualcosa di incredibilmente sacro, puro e per un attimo ebbe come l’impressione di non meritarselo. Le pareva di avere tra le mani una sfera di cristallo, così forte ma allo stesso tempo terribilmente fragile. Bastava stringere i polpastrelli attorno al vetro per mandarlo in mille pezzi. Max era il globo e si stava mettendo volontariamente nelle mani dell’amica, concedendo a Savannah la scelta di come reagire a quella notizia che sembrava sul punto di darle. « Anzi no, credo di saperlo da quando avevo dodici anni, quando tutte le ragazzine ad Ilvermorny parlavano di Scott McPearson, il più figo del secondo anno e a me non smuoveva niente dentro, ma trovavo estremamente bella Monica Carlton, invece. » Lo aveva detto. Senza girarci intorno, arrivando dritta al punto, senza dar spazio ad ulteriori possibili interpretazioni. Non ha bisogno di guardarla. La sente. Percepisce perfettamente il suo sentirsi in imbarazzo, quasi le avesse confessato qualcosa di terribile, di scabroso, che aveva combinato e di cui si vergognava. Restò in silenzio, senza interromperla. Sembrava che Max avesse il bisogno di liberarsi di un peso, di qualcosa di estremamente greve che le pesava sull’anima e pareva avesse scelto proprio lei come suo sacerdote confessore. Gli occhi della piccola Hamilton vagavano sul lago, con estrema lentezza. Il vento le carezzava la pelle, sparpagliandole sul volto ciocche bionde alle quali non diede peso. Ascoltava. Metabolizzava. Qualcosa dentro di lei stava trovando il giusto posto. Era come avere la conferma che qualcosa di estremamente raro e prezioso esisteva e non era una sua immaginazione. Non voleva che Max si giustificasse con lei per qualcosa di male che non aveva fatto. Perché lì, di male, non c’era proprio niente. « Tu..da quanto lo sai? » Quella domanda scatenò davanti agli occhi della Hamilton tanti piccoli scenari, pescati quasi a caso da sprazzi della loro vita quotidiana. Le lezioni, le feste, le giornate di shopping e le chiacchiere durante i pigiama party. Non era un momento, ma molteplici piccole gocce che a lungo andare avevano finito per creare uno specchio d’acqua. «Da un po’.» Afferrò una ciocca tra indice e medio, percorrendola per tutta la lunghezza, per poi portarsela dietro l’orecchio. « E' così evidente? » Passò un secondo, o forse un minuto. Era come se il cervello di Savannah cercasse di elaborare l’informazione con razionalità, per poi rendersi conto che non aveva bisogno di ciò per qualcosa di così delicato. Poggiò entrambe le mani ai lati dei fianchi, con i palmi rivolti a contatto con l’enorme masso sul quale erano sedute. Piegò le ginocchia, usando come perno i calcagni per farsi scivolare indietro, fino ad arrivare accanto alla compagna di Casata, rannicchiata su sé stessa. Pareva una bambina. Una bambina pronta ad andare in frantumi da un momento all’altro. Quasi temeva di toccarla.
    «No. Non lo è. E puoi star certa che non lo saprà nessuno. Fino a che non lo vorrai.» Si gira a guardarla, alzando il dito indice e tracciando una croce lì, all’altezza del cuore. Guardò gli occhi della Picquery leggendoci dentro tante cose, prima tra tante il pulsante e palpabile desiderio di non essere giudicata. Cosa che Savannah non avrebbe mai fatto. «Ma.. Non sforzarti di essere normale, come tutte le altre. Guardati, Max! Non c’è niente di normale in te!» Alzò le spalle, sbarrando gli occhi, scuotendo appena la testa. Rigirò un palmo della mano, come a volerla indicare. «Hai una bellezza fuori dal comune. Un’intelligenza sopraffina, un’anima discorde dai sciocchi canoni che si vedono in giro. Cosa ti fa pensare che dovresti abbassarti ad essere come tutte le altre Scosse il capo, come se fosse quella l’unica questione inconcepibile delle parole che Max aveva pronunciato poco fa. «Ti piaceva Monica Carlton. Ok. E allora Si sporse leggermente in avanti, verso il viso dell’amica, alzando un sopracciglio come se non riuscisse a capire il problema. «Di cosa hai paura, Max? Di quello che dirà la gente?» Dubitava fosse una cosa del genere. Max le era sempre piaciuta perché il parere della gente glielo ficcava in posti illuminati dal sole solo nei mesi estivi. «O quello che ti preoccupa è solo il parere di una persona..» Calcò la frase, di poco, quel tanto che bastava per farle capire che lei immaginava qualcosa, ma non c’era bisogno di parlarne se lei non voleva. Abbassò lo sguardo, individuando le dita sottili della Picquery. Savannah posò la mano su quella della compagna di Casata, stringendola appena. «Nessuno può dire cosa sia o non sia la normalità. Penso solo che fare qualcosa di normale sia fare qualcosa con cui siamo in pace con noi stessi. Se andare con quei ragazzi ti è sembrato sbagliato è perché probabilmente lo è..» Alzò lo sguardo, piantandolo sugli occhi di Max. No, si era sbagliata. Lei non era fragile. Infondo aveva scelto consapevolmente di affrontare Savannah Hamilton e questo sicuramente le faceva onore. «Di cosa hai paura, Max?» Apriti con me.

     
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    «Bello, ricco e magari non incredibilmente stupido. Non chiedo molto, in realtà. Peccato che tutti quelli che ho trovato mancavano di una delle qualità richieste.» Assottiglia lo sguardo, Max, ritrovandosi a rimuginare sopra quelle parole e allo sguardo sperso di Saw subito dopo. Sta pensando a Roman, per forza. Così guarda altrove, la moretta, come a volerle dare spazio dentro il quale potersi permettere di avere una qualsiasi reazione senza avere spettatori indesiderati. Senza alcun giudizio. « E "non stronzo" non ce lo mettiamo nel pacchetto? Non ne abbiamo già avuto abbastanza? » Si ritrova a borbottare quella considerazione, con un mezzo sorriso che si accavalla sopra le sue labbra. Lo stesso che va dissolvendosi non appena capisce la direzione che sta prendendo quella loro conversazione. Qualcosa d'inaspettato che le sembra rivoltarlesi contro in una maniera totalmente spiazzante. Perché si sente talmente al sicuro con Savannah, la sente così vicina a sé da potersi permettere di abbassare l'asticella della sua guardia costante per lasciare fluire fuori quel fiume in piena che è rimasto lì per fin troppo tempo. E mentre parla, mentre si confida, mentre la rende partecipe di quel suo segreto scabroso, si sente più leggera sì, ma anche rattristata. Forse perché vorrebbe che fosse lì anche suo padre, che si facesse anche lui custode fidato di quell'ulteriore tassello che va a comporre la sua variegata personalità. Ma seppur triste da una parte, si rende conto, non appena fa un'ulteriore domanda alla bionda, ciò che ha appena fatto. Coming out. Indirizzata ad una singola persona soltanto, ma è la sua prima volta. Il confermare a parole ciò che ha sempre sentito nel profondo del suo cuore e questo, per lei, è probabilmente uno dei passi avanti più importanti mai fatti in vita sua. «No. Non lo è. E puoi star certa che non lo saprà nessuno. Fino a che non lo vorrai.» Gli occhi le si inumidiscono nuovamente, ma questa volta per colpa della risata che il suo fare la croce all'altezza del cuore, a mo' di promessa, le provoca. «Ma.. Non sforzarti di essere normale, come tutte le altre. Guardati, Max! Non c’è niente di normale in te! Hai una bellezza fuori dal comune. Un’intelligenza sopraffina, un’anima discorde dai sciocchi canoni che si vedono in giro. Cosa ti fa pensare che dovresti abbassarti ad essere come tutte le altre? Ti piaceva Monica Carlton. Ok. E allora Tira su con il naso, mentre si ostina a guardarla fissa negli occhi, senza abbassare lo sguardo. Forse perché in cuor suo sa di avere così bisogno di quelle parole, di quel conforto che solo lei può darle in quel momento. Cosa farei senza di te? Pensa, grata a Savannah di essere semplicemente Savannah, in tutto e per tutto. Schietta, senza peli sulla lingua, ma un'amica comprensiva e pronta a supportare. « E allora non lo so.. » bofonchia, messa di fronte a quelle domande decisamente pungenti e sottili. «Di cosa hai paura, Max? Di quello che dirà la gente?» Scuote la testa, decisa, come una bambinetta di fronte al cibo imposto che non le piace. « Lo sai che non me ne frega niente di ciò che dice la gente. » «O quello che ti preoccupa è solo il parere di una persona..» Ma fai sul serio? Lei abbassa gli occhi azzurri, per poi prenderle la mano con delicatezza e Max rimane così, a guardare il lago con sguardo inebetita. « Sai anche questo? » Domanda poi, con un filo di voce, quasi strozzata. Allora si schiarisce la voce con un colpo di tosse. « Com'è possibile? Sei una cazzo di veggente pure te? » Inarca un sopracciglio, combattuta sì, ma allo stesso tempo divertita dalla piega che sta prendendo quella sua rivelazione non così tanto rivelazione. « In pratica sapevi già tutto ancor prima che aprissi bocca. Decido di dirlo alla prima persona in vita mia e questa già sa tutto. Ti sembra giusto? Mi hai rovinato il momento. » Cerca di buttarla sullo scherzo, cercando di stemperare quell'atmosfera che, di per sé sé, ha cominciato ad essere troppo pesante per i suoi gusti. «Nessuno può dire cosa sia o non sia la normalità. Penso solo che fare qualcosa di normale sia fare qualcosa con cui siamo in pace con noi stessi. Se andare con quei ragazzi ti è sembrato sbagliato è perché probabilmente lo è..Di cosa hai paura, Max?» Per un attimo, immagina di poter accendere l'interruttore che ha in testa per far sì che l'abilità di leggere nel pensiero, che non padroneggia per niente bene, ma che potrebbe canalizzare su Saw, con sforzo, le faccia scoprire qualcosa in più sui pensieri della bionda. Ma ovviamente non lo fa, la Legilimanzia è un dono che le è stato fatto da suo padre ma con dei fini ben specifici. "Ti aiuterà a distinguere le menzogne dalle verità delle persone di cui non ti fidi a pelle." Un'abilità che, finora, ha utilizzato solo e soltanto su Cassandra, con risvolti talvolta inaspettati. « Non lo so di cosa ho paura. » Si ritrova a dire, dopo un loro sospiro, con le dita che si stringono attorno a quelle di lei, per portare il palmo della sua mano davanti agli occhi. Si perde dietro
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    l'inseguire l'andamento delle sue linee guida, come se effettivamente ci capisca qualcosa dell'arte della lettura della mano. « Forse sì, ho paura del parere di quella persona. » Continua. « Soprattutto ora che mi hai dato la prova che forse non sono stata poi così tanto brava a ricoprire le mie tracce. » Si stringe nelle spalle, con un sorriso. « Non lo so, Saw. E' la mia miglior amica. Che cazzo le dico? "Oh guarda, ho provato finora a essere etero, ma la verità è che mi piaci tu. Da tipo, boh, sempre." E se lei dicesse che non è la stessa cosa per lei? Dai, no. Non è una cosa fattibile, rischierei di perdere la sua amicizia e per cosa? Per tentare di coronare il grande sogno d'amore adolescenziale che ci hanno sempre inculcato? » Scuote la testa, disfattista e pessimista com'è nella sua indole, ma pur sempre con un'espressione gioviale sul viso, come se ormai fosse scesa completamente a patti con la sua realtà. « Cioè, capisci l'imbarazzo? Anche se facessimo finta che sia tutto okay, che non sia successo nulla, però sarebbe successo e niente sarebbe più come prima. Il disagio sarebbe palpabile per tutte e non voglio rovinare una cosa tanto bella. » La fissa, arricciando le labbra. « Quindi niente, me ne sto qui, aspettando che mi passi e che la mia testa decida d'indirizzarsi su qualcun'altra. » Convinta propria. « E quando questo accadrà - se accadrà, magari dovrei solo aspettare che si metta con qualcun altro - potrò tranquillamente tornare a fregarmene della gente, sbandierando ai quattro venti quanto io sia gay nel profondo. » Dirlo, ancora una volta, risulta essere una profonda liberazione per lei, tanto da costringerla a socchiudere le palpebre per godersi appieno quel momento. « Che ne dici? Io la trovo una strategia autodistruttiva con i fiocchi. La mia terapista sarebbe così fiera di me. » Inarca le sopracciglia ridendo di gusto, prima di allungarsi in avanti per circondarle il collo con le braccia. « Non avrei potuto scegliere persona migliore di te alla quale dirlo. » Le scocca un bacio sulla guancia, per poi tirarsi indietro. « Grazie anche se ti detesto tanto perché sei troppo intelligente e perspicace. » Che nel vocabolario al contrario della Picquery altro non vuol essere che una dichiarazione d'affetto profonda.



    Edited by namacissi; - 16/6/2020, 19:03
     
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    « E "non stronzo" non ce lo mettiamo nel pacchetto? Non ne abbiamo già avuto abbastanza? » Si ritrova a fare un sorriso triste, lo sguardo che si abbassa osservando le sue dita che giocherellavano tra di loro, come facevano sempre quando era nervosa. Si era ritrovata spesso a pensare cosa avesse Maddison Carrow in più di lei. Dall’alto del suo piedistallo, Savannah si era data sempre la stessa risposta: niente. Persino caratterialmente erano due poli opposti. Ed era questo che non capiva. Lei e Roman erano come due scintille che potevano causare un incendio. Ma non era questo a rendere il tutto più divertente? La Carrow, invece, era come uno sciatto fiumiciattolo di montagna, docile e cristallina. Cosa diamine ci trovava in quella? Ad un certo punto, aveva persino pensato di “non essere abbastanza”. Lei. Lei, che se la vanità avesse un nome sarebbe sicuramente Savannah Hamilton. Si, Roman era uno stronzo. Ma non perché l’aveva lasciata, ma perché l’aveva fatta sentire a disagio con sé stessa. Lo aveva capito, ma una vocina insolente le diceva che se lui fosse tornato, lei ci sarebbe cascata di nuovo. Era così difficile da spiegare.. «Sai una cosa? Adesso l’accetterei quella sigaretta.» Le sorrise, mesta, lasciando che Max gliene passasse una. Savannah non fumava. Teneva un pacchetto in un cassetto della propria scrivania, sul quale sembrava scritto “Aprire in caso di necessità”. Non era un vizio, solo un modo per sfogarsi una volta ogni tanto. Il fumo non faceva bene alla pelle e lei ci teneva a sembrare giovane il più a lungo possibile. Il primo tiro le raschiò la gola, procurandole un piccolo colpo di tosse. Il secondo andò già meglio. Riusciva a percepire i sentimenti di Max. Era la sensazione a cui pensava prima, quella di sentirsi sbagliata per colpa di qualcun altro. Ma in Max c’era molto di più, un oceano in tumulto nel quale lei cercava di tenersi a galla senza chiedere aiuto. Chissà da quanto tempo si teneva dentro tutta quell’immensità, così grande da far paura. Faceva male vederla così, con gli occhi lucidi e quell’espressione malinconica. Era come guardare un castello di carte. Sarebbe bastato un colpo di vento per farla crollare. Ma quel castello aveva fondamenta forti, forse anche troppo. « Sai anche questo? Com'è possibile? Sei una cazzo di veggente pure te? » La guarda, sorridendo, inarcando un sopracciglio. «Max Picquery, io non ci capirò nulla di Rune Antiche, ma in quanto a problemi di cuore ho sicuramente un sesto senso.» Scherzò facendole un occhiolino. «Inoltre, grazie, ma l’aver scoperto a sette anni di poter parlare con i serpenti mi ha già causato abbastanza traumi, quindi passo la palla per quanto riguarda la veggenza.» borbottò scuotendo leggermente la testa. Max e Nana erano forse le uniche persone a saperlo. Glielo aveva detto dopo la lezione di Cura delle Creature Magiche, l’anno precedente. Non ne aveva mai parlato con nessuno e già si immaginava i titoli dei tabloid se solo si fosse venuto a sapere. L’aveva trovato divertente per un po’, ma in realtà non credeva fosse così esaltante come dote. « In pratica sapevi già tutto ancor prima che aprissi bocca. Decido di dirlo alla prima persona in vita mia e questa già sa tutto. Ti sembra giusto? Mi hai rovinato il momento. » Rise con lei, un po’ perché Max l’aveva fatta ridere davvero, un po’ per cercare -insieme a lei- di smorzare un po’ di quella tensione che sembrava gravare troppo sulle loro testoline. Savannah si era accorta da un po’ degli sguardi che Max lanciava in direzione di una certa persona, sguardi che riservava solo a Lei e a nessun’altra. Non a Savannah, non a Maeve, non ad Elladora. Era qualcosa di estremamente sottile, quasi impalpabile, invisibile agli occhi di un osservatore poco attento. Era come un colore che si materializzava nell’aria, vibrando come la corda di un violino. « Non lo so di cosa ho paura. » Le stringe di poco la mano, volendo darle supporto in un momento come questo. Non riusciva ad immaginare cosa provasse veramente Max. Poteva percepirlo, ma la sua era solo una goccia nel mare. Rimase in religioso silenzio, ascoltando le parole che Max stava rovesciando fuori come se qualcuno avesse tolto un masso che reggeva in piedi la diga ed ora questa stesse straripando incapace di contenere ancora l’acqua al proprio interno. Sarebbe rimasta ad ascoltarla per tutto il tempo che lei avrebbe voluto. Infondo era la cosa più giusta che poteva fare. Savannah non aveva pregiudizi per quanto riguardava l’amore. Credeva nell’amore in ogni sua forma e dimensione. Il giudizio poteva spaventare, ma in certi casi era giusto essere egoisti e non ascoltare gli altri. Ma era chiaro come il sole che la difficoltà più grande di Max stesse nel problema di poter, nell’eventualità, rovinare un’amicizia. Si trovò a pensare che fosse quello il vero punto della situazione e che fosse un bel pasticcio. « Quindi niente, me ne sto qui, aspettando che mi passi e che la mia testa decida d'indirizzarsi su qualcun'altra. » Come se fosse facile... Indirizzarsi su un’altra persona. Com’è che l’essere umano è masochista di natura? Non era facile costringersi a riporre i propri sentimenti in qualcun altro, anzi, forse era proprio impossibile. Siamo divisi in due: mente e cuore, e nella maggior parte dei casi tutti e due vogliono cose diverse. Non c’era mai modo di metterli d’accordo. Se proprio quel famoso “qualcun altro” fosse spuntato fuori, prima o poi, l’avrebbe fatto quando nessuno se lo aspettava e non certo quando lo si desiderava ardentemente. Era tutto un gran casino. « Che ne dici? Io la trovo una strategia autodistruttiva con i fiocchi. La mia terapista sarebbe così fiera di me. » La sente ridere, ma non riesce a fare lo stesso. Le circondò il torace con le braccia, stringendola a sé, seppur non dicendo nulla. « Non avrei potuto scegliere persona migliore di te alla quale dirlo. Grazie anche se ti detesto tanto perché sei troppo intelligente e perspicace. » La guardò negli occhi, cercando di stirare un sorriso sulle sue labbra, un po’ commossa, un po’ rammaricata, decisamente emozionata. «Sono felice che tu ti sia confidata con me.» “Felice”, in realtà era riduttivo. «Il fatto che tu abbia deciso di aprirmi la tua anima è qualcosa dal valore inestimabile.» Era così. Qualcosa di inspiegabile, che sembrava proiettare la sua anima all’esterno, verso quella di Max. Aveva come l’impressione di fluttuare, immersa in quell’incontro che, come una nave in balia delle onde, aveva virato verso una direzione inaspettata. Arricciò il naso, scuotendo la testa velocemente un paio di volte, sorridendo e cercando di cacciare via le lacrime. «Non sono “terribilmente intelligente e perspicace”.. Semplicemente credo di non riuscire a non vedere certe cose. Più volte ho pensato di sbagliarmi, ma sono felice che tu me ne abbia dato la conferma.» Ci fu un attimo di silenzio. «Magari potrei lasciare l’idea di fare la stilita e buttarmi nel mondo dell’investigazione. Credo che sarei molto brava nel risolvere crimini passionali. Inoltre la divisa mi dona molto. E adoro mettere le manette a qualcuno..» Sollevò le mani in aria, unendo i pollici e gli indici, chiudendo le altre dita, fingendo fossero una pistola. Si concesse una risata, come non succedeva da tempo. Si sentiva più leggera, in ogni senso possibile. Quella risata si spense, piano piano, come
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    se qualcuno avesse abbassato il volume. Ci furono alcuni secondi di silenzio, durante i quali Savannah soppesò le parole che le ronzavano in testa. «Sinceramente, Max? Credo che il tuo piano sia molto stupido.» Lo disse come se fosse la cosa più naturale del mondo, certa che la Picquery non se la sarebbe presa per quel suo solito modo di dire esattamente ciò che pensava. «E inoltre la tua terapista non capisce un cavolo.» continuò roteando gli occhi verso l’alto e stringendosi nelle spalle. «Non si può decidere consapevolmente verso chi indirizzare il nostro interesse. Non si può scegliere chi amare.» Magari fosse così facile.. «E’ anche il bello della cosa, mhm? Non sai mai dove può portarti. Il cuore è più forte della mente ed è questo il disastro. Non puoi scegliere di smettere di amare qualcuno. E’ solo un gesto auto-lesionista..» Già. «Non sono la persona più brava a dare certi consigli.. Anzi, forse in questo momento dovrei proprio essere l’ultima a parlare.. Ma mi sento di dirti che se lo farai almeno ci avrai provato. Se invece te ne starai in disparte non avrai nessuno da biasimare, se non te stessa.» Piegò le ginocchia, avvolgendole con le braccia, lasciando lo sguardo vagare nella laguna. «Prova un attimo a pensare alla tua vita.. Tra venti, trent’anni.. Come ti vedi?» Sospirò alzando le spalle per poi rigettarle all’indietro. «Felice o piena di rimpianti?»


     
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    «Sono felice che tu ti sia confidata con me. Il fatto che tu abbia deciso di aprirmi la tua anima è qualcosa dal valore inestimabile.» Ed eccola qui, la vera Savvanah, quella per pochi, quelli che non tutti si meritano di poter vedere, troppo presi nel fermarsi alle spicciole e inutili apparenze che non dicono nemmeno la metà di quello che davvero la bionda è. «Non sono “terribilmente intelligente e perspicace”.. Semplicemente credo di non riuscire a non vedere certe cose. Più volte ho pensato di sbagliarmi, ma sono felice che tu me ne abbia dato la conferma. Magari potrei lasciare l’idea di fare la stilita e buttarmi nel mondo dell’investigazione. Credo che sarei molto brava nel risolvere crimini passionali. Inoltre la divisa mi dona molto. E adoro mettere le manette a qualcuno..» Max si passa la lingua sul labbro inferiore prima di mordicchiarselo per camuffarvi dietro una risata aspirata, con la spalla che si spinge verso l'amica a darle una leggera spintarella. « Dai Saw, non dirmi queste cose che poi la mia fantasia, ormai libera da ogni vergogna, galoppa davvero forte. Ti conviene? » Sciabola le sopracciglia, permettendosi quella prima e vera battuta sul suo orientamento sessuale, facendola sentire ancora più leggera e priva da qualsiasi giudizio. Un passo più vicina all'essere effettivamente me stessa. Pensa con un mezzo sorriso, fissando la bionda mentre osserva l'incresparsi delle piccole onde contro gli scogli che formano una cornice naturale a quel piccolo angolo di paradiso. « Che poi, in tutta onestà, ti vedo davvero bene come investigatrice privata. Magari una di quelle con il cappottone lungo che carezza le caviglie ad ogni passo sopra i stiletti. Rigorosamente Prada, dai toni scuri del viola. Senza macchina fotografica perché la tua memoria eidetica fa già tutto il lavoro. » Le azzarderebbe il paragone con Jessica Jones, per le capacità investigative, ma è abbastanza certa che la bionda non sia troppo vicino al mondo babbano dei fumetti e delle serie televisive per cogliere appieno la bellezza di quel possibile paragone. « Poveri fedifraghi, non avrebbero alcuna salvezza e o via di scampo con te nei paraggi. » Un sorrisetto sghembo si profila sulle sue labbra piene, prima di tornare al loro status naturale non appena l'amica prende nuovamente parola, intristendola, senza volerlo. «Sinceramente, Max? Credo che il tuo piano sia molto stupido.» Io lo trovo ben costruito e assolutamente infallibile, invece vorrebbe borbottare di sottofondo, in risposta a quelle parole. «Non si può decidere consapevolmente verso chi indirizzare il nostro interesse. Non si può scegliere chi amare.» Il suo tono di voce non è distaccato e lontano come quando parla di cose che non la riguardano. Max riesce a percepirne le sfumature del coinvolgimento mentre si tortura l'interno della bocca con i denti. «E’ anche il bello della cosa, mhm? Non sai mai dove può portarti. Il cuore è più forte della mente ed è questo il disastro. Non puoi scegliere di smettere di amare qualcuno. E’ solo un gesto auto-lesionista..Non sono la persona più brava a dare certi consigli.. Anzi, forse in questo momento dovrei proprio essere l’ultima a parlare.. Ma mi sento di dirti che se lo farai almeno ci avrai provato. Se invece te ne starai in disparte non avrai nessuno da biasimare, se non te stessa.» Ed è proprio quello il punto focale della questione: Max ha perfettamente accettato quella conclusione perché è così brava a biasimare se stessa, sempre pronta ad essere sfacciata e coraggiosa ogni qualvolta la vita glielo richiede, ma non in quella situazione. No, con Domiziana non riesce ad essere impavida, ci ha provato più di una volta, senza ottenere nulla di concreto. Un pugno di mosche strette tra le dita quando a Bora Bora, stese sul letto dell'amica, ne aveva tratteggiato il profilo del fianco, risalendo fino alla nuca, prima di scostarsi di scatto, rigirandosi dall'altra parte, con il cuore che batteva a mille dentro il petto. Un nulla cosmico alla festa di Halloween, quando ballavano e lei aveva sentito l'ennesima scarica elettrica percorrerle la schiena che l'aveva costretta a fare un passo in avanti, fin quando i loro nasi non erano stati abbastanza vicini da toccarsi e nella sua testa aveva preso a squillare la consueta sirena che la richiamava all'ordine. "E' la tua miglior amica, che cazzo fai?" Deglutisce, sforzandosi di non far crollare tutti i suoi buoni propositi in quel momento, mentre segue l'esempio della bionda nell'osservare l'orizzonte farsi via via più scuro. «Prova un attimo a pensare alla tua vita.. Tra venti, trent’anni.. Come ti vedi? Felice o piena di rimpianti?» Morta. E' il primo e unico pensiero che le attraversa la testa, in quel momento. Perché quando si è una tossicodipendente come lo è lei, ci possono essere momenti sani, lucidi, positivi sì, ma fin quando la determinazione e la forza di volontà saranno abbastanza forti. E Max pensa di non poterlo essere alla lunga, vagamente rassegnata alla
    possibilità di ricaderci di nuovo e forse peggio di prima, in totale accettazione di un futuro piuttosto incerto e fumoso, nel suo caso. Si stringe nelle spalle, con una smorfia che le arriccia le labbra. « Sei ottimista a darmi più di trent'anni, apprezzatissimo davvero. » Le scocca un'occhiata che ha del divertimento silente in essa, decidendo di percorrere quella via piuttosto che darle un dispiacere nel confessarle ciò che ha veramente nel cuore. « Non penso mai al futuro. » Ammette però, probabilmente capendo solo in quell'istante perché non ha mai pensato a cosa vorrà fare da grande, se vorrà avere una famiglia, se vorrà tornare in America oppure andare a vivere in Italia. « Però in un mondo ideale, vorrei essere felice, sempre che questo non mi renda la classica che inforca gli occhiali rosa e vede il mondo davanti pieno di unicorni e nuvole di zucchero a velo colorato. » Ancora una volta, la miglior arma è barricarsi dietro una battuta che fa ridere soltanto lei, in quell'accenno arrochito che le risale la gola, graffiandola come il fumo di una sigaretta. « Perché, tu ci pensi? » Le domanda, rivolgendo il capo verso di lei, lasciando strusciare la guancia sopra la pelle nuda delle ginocchia. Un brivido di freddo le percorre la schiena non appena un po' di brezza proveniente dal lago sale ad accarezzarle. « Ci hai pensato quando dovevi capire cosa fare..con lui? » Entra in quel discorso in punta di piedi, senza pronunciare nemmeno il suo nome, timorosa di procurarle ancora più male nel farlo. Ha bisogno però di quel confronto, accorgendosi di quanto, in tutta onestà, entrambe sembrano essere sulla stessa barca in aperto mare in tempesta. O forse lei ha già raggiunto la riva a nuoto, salvandosi. « Perché sembri parlare per esperienza e non so, tu ci hai mai davvero provato? » Va contro i suoi stessi interessi, sapendo bene di detestare Moriarty con ogni fibra del proprio corpo, dalla prima all'ultima, ma vuole capire, provare a comprendere da che parte cominciare a fare qualcosa, se qualcosa deve fare. Ma tu hai fin troppo da perdere, lei e Roman non erano amici. Una voce nella testa le fa presente, seppur gli occhi verdognoli della mora riescano a percepire nei lineamenti dell'amica come effettivamente qualcosa l'abbia perso. « Non so, a me il biasimare me stessa non ha mai fatto paura. E' quasi liberatorio alle volte perché sono io a deludermi prima che possa farlo chiunque altro. » Quelle parole la portano a stringere le dita a pugno, con le braccia che si serrano ancora di più intorno alle ginocchia. Sente le unghie affondare nella carne dei palmi e quel lineare fastidio che le provoca è quasi consolatorio. « Non posso incolpare davvero nessun'altro al di fuori di me, il che mi fa sentire più padrona della mia vita di quanto potrei mai esserlo nel lasciare che qualcun altro possa ferirmi, lasciandogli la possibilità di potermi scombinare la vita. Nessuno ha più potere di me su me stessa. » Quello so farlo perfettamente da sola. Una filosofia che ha sempre seguito alla lettera, si ritrova a comprendere davvero in quel momento. « Una cosa molto stupida? Sicuramente, ma al momento non c'è nulla che mi potrebbe far cambiare idea, nemmeno la possibilità che possa andare bene se ci provassi, perché non vedo altro che quel numero, quella percentuale secondo la quale andrà tutto di merda. » Triste ma vero. Sospira a fondo, decisamente stanca, come se avesse corso per delle ore intere. « Ti va di bere? Io vorrei bere. Giusto un bicchierino. » La fissa, decidendo di darsi una mini tregua. « Dobbiamo festeggiare i nostri coming out, in fondo. » Alzata di sopracciglia. « Io riguardo chi mi piace, tu riguardo le tue abilità investigative da far invidia. »

     
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    « Dai Saw, non dirmi queste cose che poi la mia fantasia, ormai libera da ogni vergogna, galoppa davvero forte. Ti conviene? » Scoppia a ridere, portandosi una mano davanti alle labbra, sentendosi leggera e per nulla a disagio. C'era una parte di lei che sapeva già e cercava solo conferma. Era sempre Max, la solita Max. Non c'era niente di diverso il lei. Si voltò a guardarla. Un momento, pensò, forse qualcosa è cambiato. Aveva un'espressione tranquilla, come qualcuno che si è appena tolto un grosso peso dalla pancia, ma allo stesso tempo riconosceva in lei quell'aria malinconica ed affascinante che l'aveva sempre caratterizzata, che le aveva sempre aleggiato attorno come un'aurea. «Credimi, Max, saresti la cosa migliore che mi può capitare, visti gli ex di merda che mi ritrovo sulle spalle..» Rise ancora ricambiando la leggera gomitata che l'amica le aveva inferto precedentemente. «Pensavo di scrivere un libro: "Casi umani e dove trovarli". Pensi che venderebbe?» Si sentì di alleggerire l'aria, facendo una piccola smorfia all'amica e scuotendo leggermente la testa come a voler dire "tutte a me!". Fece un profondo sospiro, inspirando ed espirando dalle narici, l'aria salmastra della laguna che le pizzicava il naso. Si sentiva stranamente leggera, ma anche un po' vuota, come se quel posto dove per troppo tempo era stata serbata la rabbia insieme al ranore si fosse finalmente svuotato, lasciando al suo posto uno spazio vuoto da riempire. E Savannah sapeva già con che lo avrebbe colmato. Perchè della giovane Hamilton se ne potevano dire tante, ma non che abbandonava le amiche in difficoltà. Si paragonava ad un pianeta influenzato, nei suoi cambiamenti, da alcune lune. Una di quelle era Max. « Sei ottimista a darmi più di trent'anni, apprezzatissimo davvero. » Si voltò di scatto, lanciando un'occhiataccia alla moretta al suo fianco. Avrebbe voluto darle uno scappellotto sperando che l'avrebbe aiutata a rinsavire, ma non si mosse, constatando che dietro lo sguardo divertito della Picquery si nascondeva la verità. non stava scherzando. « Non penso mai al futuro. » «Dovresti, invece.» Rivolge nuovamente lo sguardo all'orizzonte, là dove riva e sponda si confondono in un'unica linea orizzontale, rendendo impossibile capire dove finisca una ed inizi l'altra. «Metti che questo stronzo di destino decide di non farti finire all'altro mondo com'era nei piani. Oh, una vera disdetta, Max. Ed ora che si fa?» Cercava di tenere un tono scherzoso, ma non ci riuscì. Evitò di guardarla negli occhi, di farle capire quanto non fosse felice dei suoi piani a breve termine. «Non ho intenzione di sentirti dire certe cose, Max.. Non è da te.» Inspirò a fondo per poi svuotare i polmoni con altrettanta lentezza. Fu solo allora che trovò il coraggio di voltarsi a guardarla. Sostenne il suo sguardo con sicurezza ed un pizzico si severità. «Non è da te comportarti da egoista e sparire dalle nostre vite senza dirci niente, decidendo che è l'ora di andarsene e privandoci della tua presenza. Non te lo perdonerei mai.» Era la verità, in tutto e per tutto. « Però in un mondo ideale, vorrei essere felice, sempre che questo non mi renda la classica che inforca gli occhiali rosa e vede il mondo davanti pieno di unicorni e nuvole di zucchero a velo colorato. » Ridacchiò, unendosi alla sua mezza risata, allungando le gambe davanti a se ed inarcando la schiena all'indietro. «Saresti tipo una Ella con i capelli mori.» commentò paragonandola alla cugina. « Perché, tu ci pensi? » Passa un attimo di silenzio, nel quale Savannah cerca di raccogliere le idee. Costantemente. E non c'era cosa che la spaventasse di più di non essere all'altezza delle proprie aspettative. Stava per risponderle, ma Max fu più veloce. « Ci hai pensato quando dovevi capire cosa fare..con lui? Perché sembri parlare per esperienza e non so, tu ci hai mai davvero provato? » Fu come se il suo stomaco avesse cominciato a contorcersi, provocandole dolorose fitte che si ripercuotevano nelle sue tempie, come una scarica elettrica. Respirò lentamente chiedendosi cosa sarebbe successo se si fosse messa di nuovo a stuzzicare una ferita ancora non del tutto rimarginata. Forse avrebbe ripreso a sanguinare. O forse no. Decidere di parlarne era un salto nel vuoto. Era diverso tempo che il suo nome veniva evitato, come la peste, come una maledizione che se pronunciata ad alta voce avrebbe portato a terribili conseguenze.
    Ma se c'era una persona con cui poteva parlarne liberamente, senza pregiudizi, quella era sicuramente Max. Si strinse leggermente nelle spalle, facendosi coraggio. «Mi credi se ti rispondo che ancora non l'ho capito?» Ridacchiò di sé stessa, solo con la bocca, ma non con gli occhi. Quelli continuavano a guardare in avanti, temendo di vedere cosa avrebbe potuto leggere negli occhi di Max se solo si fosse voltata verso di lei. «A volte mi sembra di non averla ancora superata, altre dico "Sai cosa? Fottiti, Moriarty!".» Una vocina le diceva che poteva avere di meglio, l'altra le diceva che quel pensiero era solo una stronzata. Voleva essere sincera con lei. Se le avesse detto che l'aveva superata, che adesso stava benissimo, che quando lo vedeva passare per i corridoi le era del tutto indifferente, avrebbe mentito spudoratamente. Le faceva male, ogni volta. Una piccola fitta al cuore. Si sentiva dannatamente stupida, ma più si spronava a reagire, più si ritrovava con la testa infilata nel water. Magari Max aveva ragione. Il tempo sistema tutto. «Ma questa cosa fa male solo a me, a quanto pare. Perchè in questo caso la cosa è diversa, Max: lui non mi vuole più e me ne sto facendo una ragione. E' chiaro come il sole. Ma per te.. Tu non sai cosa Nana può provare per te.» Era sempre difficile quando in mezzo c'era un'amicizia, profonda e con solide fondamenta, come quella tra le due Serpeverde. In realtà, Max aveva tutto da perdere. Nel caso ci fosse stato un rifiuto da parte della Dragomir, Savannah temeva per come la mente della Picquery avrebbe reagito. Sarebbe stato un colpo incredibilmente grosso da incassare. « Una cosa molto stupida? Sicuramente, ma al momento non c'è nulla che mi potrebbe far cambiare idea, nemmeno la possibilità che possa andare bene se ci provassi, perché non vedo altro che quel numero, quella percentuale secondo la quale andrà tutto di merda. » La bionda si mordicchiò una guancia. «Siamo in un bel casino, allora.» Qualcosa di simile ad una risata salì su per la sua gola. Aveva un gusto amaro, ma fu solo allora che si voltò alla ricerca degli occhi dell'amica, cercando di leggerci dentro qualcosa che neppure lei sapeva. « Ti va di bere? Io vorrei bere. Giusto un bicchierino. Dobbiamo festeggiare i nostri coming out, in fondo. » Socchiuse un po' gli occhi chiari, in un'aria interrogativa mista ad un sorriso. « Io riguardo chi mi piace, tu riguardo le tue abilità investigative da far invidia. » E solo a quel punto si lasciò andare ad una risata. Era come se fosse servita a liberarla, una sorta di esorcismo che alleggeriva la tensione. Premette le mani sul sasso in cui erano sedute, facendosi scivolare in avanti e raggiungendo il suolo con un piccolo salto. Si spolverò la divisa per poi allungare una mano verso Max per aiutarla a scendere, consapevole che non aveva bisogno fisicamente. Quella mano significava molto di più. «Andiamo. Non vedo l'ora di scoprire se ad Hogsmeade vendono cappotti lunghi che carezzano le caviglie e stiletti rigorosamente Prada.» Le sorrise, facendo riferimento alla precedente descrizione che Max aveva fatto di lei. Le sorrise ancora. Il pensiero di averla ritrovata la faceva sentire più felice che mai.


     
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