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    «Quindi questa è la cosa migliore che tu sia riuscita a scrivere?» Eveline Norton lasciò cadere i fogli di carta sopra la scrivania, abbassando il mento così da poter osservare Ninfadora da sopra i suoi spessi occhiali da vista. Aveva l’aria distratta, come se quello che aveva appena letto l’avesse annoiata terribilmente. La collegiale si mordicchiava l’interno della guancia, senza pensare che se avesse continuato così probabilmente avrebbe lacerato la carne. «Ho saputo dell’incarico solo ieri sera.. E’..» il meglio che ho potuto fare in così poco tempo «.. Piuttosto scarno, me ne rendo conto, ma non ho avuto tempo di cercare altro materiale.. Avrei saltato la consegna, altrimenti..» Era partita decisa, ma verso la fine la sua voce si era ridotta quasi ad un sussurro, un una drammatica iperbole discendente simile a quella che Eveline Norton stava facendo fare alla sua carriera. Quella donna la metteva sottopressione. E pensare che non era neanche lei il Direttore del giornale. Era una segretaria che dopo anni di insoddisfazioni dietro una macchina da scrivere, era stata promossa a supervisore ed ora metteva al vaglio tutto ciò che i giovani scrittori in erba portavano prima di disturbare il grande capo. Si sentiva importante e potente dall’alto del suo piedistallo. «Ti stai forse lamentando, mia cara?» Il suo tono somigliava ad una caramella acida, ricoperta da un involucro di zucchero. Dory scosse la testa, spalancando gli enormi occhi castani, ingoiando quel nodo che le si era formato all’altezza della trachea. «N-No di certo, Miss Norton. E’ solo che..» «Non consegnerò questo lavoro al Direttore. Sarebbe solo una perdita di tempo. Rimpiazzeremo lo spazio con un altro articolo. Hai perso un’occasione, Miss Weasley.» Mentre parlava le sue dita sistemavano sul tavolo le foto che Dory aveva portato. Ritraevano i Falcons ed i Cannons durante la loro ultima partita. Aveva le unghie smaltate di rosa, piuttosto lunghe, che generavano un ticchettio ogni volta che venivano battute sul tavolo. «Nonostante ciò, le foto sono piuttosto carine..» ”Piuttosto carine”? Dory si morse il labbro per evitare di farsi sfuggire un commento acido. Ma chi diamine l’aveva messa lì? Una maglia è “piuttosto carina”. Un paio di scarpe possono essere “piuttosto carine”, ma di sicuro non quelle foto. Non per puro egocentrismo, ma si era fatta in quattro per correre a destra e a sinistra dello stadio per scattare da ogni angolazione possibile. Le sembrava di essere presa in giro. Neppure un bambino avrebbe usato un gergo simile. Nonostante i suoi muscoli si fossero irrigiditi, il suo viso rimase perfettamente giacchiato in quell’espressione di falsa tranquillità. «Sei fortunata, Weasley. Non tutto il tuo lavoro è stato inutile.» Ci fu un attimo di silenzio durante il quale Eveline sistemò le foto e le infilò dentro una cartellina di carta ocra. «Non da prima pagina, questo è chiaro. Anche perché le dimissioni del Ministro Flamel fanno ancora vendere un sacco.» Una risatina sfuggì dalle sue labbra esageratamente riempite di rossetto color mattone. «Spero il tuo prossimo articolo sia più interessante di quest’ ultimo.» C’era qualcosa di strano nella sua voce. Dory aveva l’impressione che avrebbe potuto anche scrivere l’articolo migliore che il mondo del giornalismo avesse mai tirato fuori, e quella donna sarebbe riuscita a stroncarla comunque. «Certo Miss Norton. Grazie per il suo tempo.» Dory le voltò le spalle, sistemandosi la borsa sulla spalla e roteando gli occhi verso il cielo, incamminandosi verso l’uscita. Le sembrava di aver ripreso finalmente a respirare. Eveline pareva circondata da un’aurea capace di succhiare la voglia di vivere a chiunque le si avvicinasse. Più si allontanava da lei, più le pareva di sentirsi meglio. Era arrabbiata. Con Eveline, con il giornale, con sé stessa. Era certo che quello non fosse il miglior articolo che avesse tirato fuori. Era comunque un siparietto sulla partita di Quidditch e di come si erano comportati i giocatori durante la partita. Non aveva raccolto nessuna intervista seppur il suo migliore amico giocasse nei Cannons e suo fratello fosse il portiere dei Falcons. Aveva provato a contattare Oliver, ma il suo telefono sembrava irraggiungibile. Non aveva fatto lo stesso con Rudy, però. Si era detta che probabilmente era stanco e che non avrebbe avuto tempo per lei. La verità era che non sapeva il vero motivo per cui non aveva provato a mandargli neppure un gufo. Da quando era tornato non avevano mai parlato a quattr’occhi. Si erano limitati a qualche frase di cortesia, sempre in compagnia di qualcun altro, mai da soli. Da una parte c’era Olympia, sua cugina e sua migliore amica da quando erano bambine. Dall’altra c’era Rudy, sangue diverso ma comunque suo fratello. Si sentiva come se stesse camminando su delle uova. Le pareva di dover procedere con estrema lentezza, calcolando tutto nei minimi dettagli prima di essere sicura di poter compiere un altro passo. Era difficile fuggire via da quella situazione, far finta che tutto stesse andando per il verso giusto. Per fortuna Arthur si era rilevato un ottimo coinquilino. L’appoggiava pienamente nell’evitare il discorso e faceva di tutto per coinvolgerla in altri pensieri. Lo apprezzava. Infondo non si riteneva molto brava ad affrontare le situazioni. Ne aveva parlato anche alla sua terapeuta, qualche giorno fa. Come ti fa sentire tutto questo? Come potevano sei semplici paroline metterla così tanto in difficoltà? Far uscire fuori tutto quanto era qualcosa che si era sempre vietata di fare. L’ultima volta, durante la seduta, non avevano neppure parlato di Warren. Hogsmeade brulicava di gente quel pomeriggio. I bambini gridavano per strada, rincorrendosi tra la folla e Dory fu costretta a spostarsi di colpo per evitare di essere travolta da una ragazzina dai capelli biondi e scompigliati. Non voleva tornare a casa. Sapeva che non avrebbe trovato Arthur. Glielo aveva detto quella mattina, mentre facevano colazione. Doveva sbrigare qualcosa al Quartier Generale e la cosa sembrava scocciargli particolarmente. ”Non tutti i lavori sono facili come scattare un paio di foto e buttare giù un paio di righe!” le aveva detto scherzando. Lei lo aveva colpito con il mestolo dei pancake. Si disse che sarebbe stata una buona idea farsi una birra. L’alcool era probabilmente il modo in cui la maggior parte dei suoi colleghi riusciva a tollerare la presenza di Eveline. Aveva bisogno di togliersi di dosso quella sensazione umiliante che la donna pareva averle appiccicato addosso con la colla. Entrò ai Tre Manici di Scopa. L’aria era calda e profumava di patatine fritte. C’era un tavolo vuoto vicino alla finestra. C’erano due bicchieri di vetro vuoti ed una cameriera li posò sopra un vassoio, per poi pulire il tavolo con una spugna umida. Dory sorrise alla ragazza dall’aria stanca ed i capelli incredibilmente ricci, mentre questa se ne andava lasciando libero il tavolo, la sua spugna stretta in mano. Appese la borsa allo schienale della sedia e si sfilò il giacchetto e finalmente si sedette. «Salve. Vuole ordinare?» Alzò lo sguardo, trovandosi faccia a faccia con la ragazza dai capelli ricci di prima. Non aveva più una spugna in mano, ma un blocchetto per gli appunti. Dory e rivolse uno sguardo gentile, cercando di non far caso al fatto che le avesse appena dato del “lei” nonostante avessero approssimativamente la stessa età. «Una Punk IPA, grazie.» annunciò senza neppure consultare la lista delle birre disponibili. La cameriera segnò l’ordine, annuendo e se ne andò verso il bancone. Non sembrava essere particolarmente contenta del suo lavoro. Forse era un pessimo giorno per tutti quanti.
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    Passarono alcuni minuti. Lo sguardo della giovane si perse aldilà del vetro, sfiorando con lo sguardo i profili dei negozi e i volti dei passanti. Quando erano piccole lei ed Olympia osservavano le persone e dai loro vestiti e il loro modo di muoversi, le bambine cercavano di indovinare la vita dell’ignaro passante. Non avevano mai la certezza di aver indovinato, ma era divertente provarci. Era tanto che non faceva quel gioco con lei. «Ecco qua.» La cameriera era tornata ed aveva posato una bottiglia di birra sul tavolo. «Un galeone e 15 falci.» Dory annuì, tirando fuori il borsello dalla tasca della giacca e posando gli spiccioli sulla mano della ragazza che senza aggiungere altro se ne andò verso un altro tavolo. Prese la bottiglia tra le mani, ispezionandone l’etichetta colorata, rigirandola tra le dita tenendola per il collo. Infine prese un bel sorso. Senza pensare alzò lo sguardo verso l’ingresso e fu lì che lo vide. Inghiottì il sorso, riconoscendo immediatamente la figura che era entrata. Posò la bottiglia sul tavolo, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso, mentre lui si rendeva conto di essere osservato. Lo guardò a lungo, studiando la sua espressione nel momento in cui lui la vide. Si apprestò a rivolgergli un sorriso, un po’ tirato, alzando la mano ed agitandola in segno di saluto. Stai passando da maleducata, sai? Con un gesto indicò la sedia vuota davanti a lei, invitandolo ad avvicinarsi. Rudy stava venendo nella sua direzione e lei cominciava a sentirsi agitata. «Hey..» Hey!? «Ciao.» E’ il meglio che sai fare, mhm? «Prego, siediti.» Quanto tempo era passato dall’ultima volta che si erano ritrovati a parlare di stupidaggini girando intorno al nocciolo della situazione? Non gli aveva ancora chiesto il perché del suo gesto. E neppure del suo ritorno. Non gli aveva neppure chiesto come stava. Non era evitando il discorso che le cose sarebbero migliorate. Si accorse di essere rimasta in silenzio per troppo tempo. «Prendi qualcosa?»
     
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    Non si faceva vedere in giro da un po'. Non che fosse una novità, invero, per Rudolph Black. Nonostante quanto si dicesse in giro di lui, e nonostante quell'inaspettata fama che -ormai- sembrava calzargli più stretta ogni giorno che passava, a Rudy non piaceva mostrarsi granchè in pubblico. Un altro, al suo posto, avrebbe probabilmente (e senza nemmeno avere tutti i torti, diciamocelo!) sfruttato molto più di quanto non facesse lui -che era davvero poco- quella sua nuova vita. Ma Rudy era diverso, lo era sempre stato e di certo il successo, o com'è che vogliamo chiamarlo, non lo avrebbe cambiato. A Rudy le feste non piacevano, così come non piacevano -in particolar modo- le persone. Per questo motivo aveva proferito tanti no, quell'estate, persino a persone a lui amiche perchè, conoscendosi, probabilmente gli sarebbe bastato davvero poco per rivelarsi un peso che, fin troppo in ritardo, si sarebbero accorti che era meglio non portarsi appresso. E dunque torniamo a quelle che erano state le sue vacanze estive. Alla stregua di una casalinga disperata costretta a godere dei divertimenti altrui, tramite l'ebrezza che dei fin troppo pettegoli social potevano regalarle. Persino sua sorella, Elladora, l'aveva abbandonato, in quei mesi. Per quanto non gli andasse granchè a genio, non era riuscito a dirle di no, investito da quel suo entusiasmo che aveva spesso del contagioso. Stesso entusiasmo che aveva rivisto, in tempi leggermente più recenti, nelle promesse -poi non mantenute- del suo amico Samuel Scamander. Con qualche ti prego e moina degna di lui, l'ex Serpeverde l'aveva infine convinto, a recarsi assieme -che poi assieme non era stato- a quel tanto decantato rave. Già, il rave. Quello che si prospettava come, a detta di alcuni, un evento epocale, si era infine rivelato come il reale motivo per il quale -al di là di tutto- Rudolph Black non si era fatto più vedere in giro per un po'. Perchè sì, quel rave epocale alla fine lo era stato, ma in un senso assai differente.
    « Cerca di non fare il matto » Ed eccolo qui, infine. Tra le mani il guinzaglio in cuoio del suo Regulus. Reggie. Sta crescendo a vista d'occhio, quel cucciolo, facendo aumentare di giorno in giorno la forza esercitata dal padrone per poterselo trascinare dietro. E non sarebbe certo un problema per lui, se non fosse che, quella graziosissima palla di pelo di circa trenta e passa chilogrammi, continua ad avere la mentalità del cucciolo quale è. Almeno internamente. E' per questo motivo infatti che la sua attenzione viene attirata, ogni secondo che passa, da una novità sempre nuova. Che sia una foglia svolazzante, un altro cane a incrociare il suo cammino, o qualsiasi altra cosa. Tante sono le persone a cui Rudy ha dovuto chiedere scusa, lì ad Inverness, per essersi ritrovati quel segugio infernale in casa, entrato da chissà quale porta lasciata socchiusa, o in maniera ancora più diretta addosso, a sbavare sopra i vestiti, tutto scodinzolante.
    « Ne hai ancora per molto? » Chiede, in un sospiro che ha dello scocciato. Assieme ad una nota di stanchezza. Decidere di fare un giro più lungo, questa volta, sino a giungere alle porte di Hogsmeade, non dev'esser stata una gran bella idea. E se ne accorge adesso, Rudy, che inizia a percepire i primi segnali di un fisico sì forte, quale il suo, ma danneggiato, suo malgrado. Sta guarendo, dalla notte del rave, ed anche piuttosto velocemente, ma ciò non toglie che fare sforzi, con quella ferita al costato fasciata che si ritrova, non sia proprio il massimo. Come non sia stata il massimo la scelta del luogo da visitare. Hogsmeade. Era da un po', che non ci andava. Forse l'ultima risaliva a circa un anno fa, quando era stato aggredito da Shannon Plenty, un'ipotetica amica di Olympia pronta a rivendicare torti subiti che di certo non erano affar suo. E' sempre un po' restio, Rudolph Black, a camminare in mezzo a luoghi piuttosto affollati. Riguardo gli assalti da parte di amiche impazzite non dovrebbe correre più il rischio ormai da un po', ma non capita più raramente -ormai- che la gente lo riconosca per strada, come il portiere dei Falmouth Falcons. E si sa quanto il mondo magico sia orgogliosamente fissato con il quidditch.
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    « Reggie dove diavolo - Ha giusto il tempo di dire, Rudy, prima che quel pestifero di Regulus gli sfugga dalle mani, in un momento di distrazione e, accodandosi a delle persone intente ad entrare ai Tre Manici di Scopa, fare a sua volta il suo ingresso. - Maledetto » Borbotta l'ex Grifondoro, ormai costretto a seguirlo. Il profumo speziato di chissà quale miscuglio di pietanze e bevande lo investe in pieno, mentre lui -dal canto suo- cerca di individuare la codina (non poi così ina, in verità!) scodinzolante del suo cane. E lo individua, alla fine, ad annusare una confezione di snack alla zucca lasciata a metà su di uno dei tavoli. Così poco prevedibile, Reggie. Agguantato nuovamente il guinzaglio dunque, sta quasi per girare i tacchi ed andarsene, Rudy, se non fosse per.. « Ma tu sei.. » Cristo, no. « Ahem..Ciao » Una ragazzetta dai capelli ricci, che a giudicare dal vestiario dev'essere quasi sicuramente una cameriera, lo fissa dal basso -parecchio basso- verso l'alto, coi grandi occhioni scuri. « Scusa, immagino il cane non possa..- » « Non ci credo, sei Black, quello dei Falcons! » « Già. - Ma il cane.. » « E sei davvero per come dicono! » « Immagino di..sì? Comunque, stavo per andarmene e..- » « Ma certo che c'è posto. Vieni, vieni, offre la casa! » schiude le labbra come per ribattere, il poverino, ma desiste ben presto dall'impresa, comprendendone da solo quanto possa rivelarsi inutile. La cameriera, infatti, è già intenta a trotterellare abilmente attraverso i tavoli, probabilmente intenzionata a rifilargli il posto migliore. E Rudy -seppur suo malgrado- la seguirebbe pure, giusto per non offenderla, se non fosse per due occhi scuri tra i tanti, al momento fissi su di lui. Ricambia quello sguardo, il lupo, e la riconosce dopo qualche minuto: Dory. Esita qualche momento, prima di alzare la mano per ricambiarne il saluto. Reggie, invece, sicuramente non del suo stesso avviso, è già bello che pronto per sfrecciarle contro. Trascinato dunque da quel cucciolo dello stesso peso di un bambino grassottello, Rudy si ritrova ad acconsentire all'invito della..sorella di sedersi assieme a lei. Stringe per qualche istante gli occhi, in una smorfia di fastidio, le bende al costato che premono dolorosamente sulla ferita. « Ahem..grazie » Mormora, una volta respirato a fondo. « Reggie, sta' buono! » Annuncia, tirando a sè il guinzaglio del grosso cane, che ruzzola per terra in un ammasso di peli svolazzanti, rimettendosi poi a sedere, evidentemente imbronciato « Scusalo. Credo tu gli sia..- Esita -Mancata » Sostiene lo sguardo della ragazza per qualche istante, poi distoglie il proprio, d'istinto, fissandolo sulla cameriera che -probabilmente indispettita del vederlo seduto assieme ad una ragazza, li osserva da lontano-. Certo è che Rudy e Dory si siano visti, almeno qualche volta, da quando è tornato in Inghilterra, ormai un anno fa, o poco più. Ma, difficile a credersi probabilmente, non si sono mai scambiati più di qualche saluto o frase di circostanza, in tutto questo tempo. Non sa esattamente perchè, Rudy. La verità è che forse qualcosa si è spezzato, tra di loro. Ed è infatti per questa consapevolezza che non ha mai voluto aprire il discorso con lei. Per paura di una risposta che potesse confermare le sue paure. Perchè ci tiene a Dory, Rudy, lo ha sempre fatto. Ma forse non glielo ha dimostrato mai abbastanza. «Prendi qualcosa?» E forse, chissà, è giunto il momento di rimediare. « Io.. » Borbotta, titubante dapprima « Prendo la stessa tua birra. Tu vuoi dell'altro? Offro io » Annuisce, un sorriso a distendergli le labbra solitamente imbronciate « Ah-ah. No. Se fai complimenti mi offendo! » e la ammonisce, poi, conoscendola fin troppo bene, dopotutto. « A casa come va? Non sono riuscito a passare in queste ultime settimane. Ho avuto alcuni..- contrattempi » Se con contrattempi intendiamo uno squarcio sul petto che avrebbe fatto morire d'infarto Hermione Granger. « Mamma e papà stanno bene? » Mamma e papà. Due appellativi a prima vista così semplici, ma che Rudy non ha mai usato, da quando era stato adottato. « Ahem..cioè, Hermione e Ron » Si corregge, come se si sentisse in torto di vantarli come propri genitori, -e di fronte alla loro legittima figlia- dopo quanto ha fatto loro, in passato. « Ed Hugo? Non lo vedo in giro da..Un bel po' » In realtà credo mi stia evitando da parecchio tempo, ormai. Una nota di rammarico, misto a tristezza, attraversa il suo sguardo scuro come pece. Suo fratello, ormai alla stregua di un fantasma per lui, è uno dei numerosi tasselli che -nonostante il tempo- non è ancora riuscito a rimettere al proprio posto. « E invece di te cosa..-Cosa mi dici? Il college ed il lavoro come vanno? » Le sorride. O almeno ci prova. « Una raccomandazione nell'ambito non te la offro nemmeno, so che spacchi già di tuo. Sbaglio? »
     
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    « Ahem..grazie » Il suo sguardo si posò sul grosso e peloso cane tenuto che Rudy teneva al guinzaglio. «RAGGIE!» cinguettò scivolando giù dalla sedia, accovacciandosi quel tanto che bastava per ritrovarsi il muso del cagnolone davanti. Tuffò le mani nel pelo dell’animale, cominciando a grattarlo all’attaccatura dell’orecchie, sorridendo nel guardare la sua espressione estasiata. «Chi è un bel cagnolone? Tu lo sei, oooh, si che lo sei!» chiosò con una vocina incredibilmente stupida. Era un tono molto acuto che tirava fuori solo con due determinate categorie: animali e bambini. Dory aveva sempre desiderato un cane, ma temeva la sua Puffola Parker non avrebbe gradito particolarmente quel tipo di cambiamento. Così, per il momento, si limitava a coccolare tutti quelli in cui si imbatteva. Non riusciva proprio a trattenersi. « Reggie, sta' buono! Scusalo. Credo tu gli sia..- «No, non mi da fastidio.. Vero che non dai fastidio, ehhh?» continua a borbottare grattando il mento di Raggie. -Mancata » La mano si fermò di colpo. Alzò lo sguardo, sostenendo quello del fratello finchè non fu lui a distogliere il suo. Fu come se qualcuno le stesse premendo con forza sullo stomaco. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma la verità era che non ci riuscì. Le sue labbra rimasero perfettamente sigillate. Persino il respiro pareva essersi arrestato per alcuni istanti. Si alzò in piedi, facendo un passo indietro e sistemandosi nella stessa sedia in cui era seduta poco fa. « Io.. Prendo la stessa tua birra. Tu vuoi dell'altro? Offro io. Ah-ah. No. Se fai complimenti mi offendo! » Continuava a fissarlo. Ora le sue labbra si erano leggermente schiuse. Sembrava sul punto di dire qualcosa, ma non lo fece. In un istante aveva realizzato che quella era la conversazione più lunga che stavano avendo da quando era tornato. Cosa è successo, Rudy? Aveva pensato tante volte a quel momento. Si era scoperta spesso a rimuginare su cosa avrebbe voluto dirgli non appena si fossero ritrovati faccia a faccia, da soli. Nel corso di quei mesi, la sua mente aveva elaborato vari scenari. Nel primo lei stava urlando. Gridava e a momenti lo colpiva pure, rovesciandogli addosso tutta la sofferenza tutto quello che aveva sopportato, urlandogli quanto era stato difficile consolare gli altri quando, farsi vedere forte, quando in realtà dentro stava morendo. In un'altra versione stava in silenzio. Aveva adottato al tecnica del non aprir bocca nonostante le domande che lui avrebbe potuto rivolgerle. Voleva ferirlo. Non più con i pugni, ma dentro, nell’anima. Voleva fargli provare ciò che aveva provato lei, quando lui era sparito e nessuno aveva saputo rispondere ai suoi quisiti. C’era anche un altro scenario, uno dove lei parlava con estrema calma, esponendo tutti i suoi dubbi e le sue incertezze, ma spesso alzava la voce e quindi doveva rimproverarsi e cercare di riprendere da dove aveva lasciato, aggrappandosi con le unghie ad un piccolo barlume di lucidità. Per Morgana, Dory! Ti prego, dì qualcosa. Qualsiasi cosa!
    «Grazie. Sono apposto così.». Pronunciò quelle parole con lentezza, seppur alla fine, non senza sforzo, avesse provato a sorridergli. Impegnati di più. Portò la birra alle labbra, bevendone un sorso. Aveva come l’impressione che le sue mani fossero diventate due inutili appendici e non aveva la minima idea di dove metterle. Ripiegò posandole sulle ginocchia. « A casa come va? Non sono riuscito a passare in queste ultime settimane. Ho avuto alcuni..- contrattempi » Annuì piano. Contrattempi. Avrebbe voluto sapere cosa intendeva per “contrattempi”. « Mamma e papà stanno bene? » Sono sopravvissuti. Erano tutti dei sopravvissuti, infondo. Conosceva i suoi genitori. Chissà quante volte Hermione aveva ripercorso i suoi ricordi a ritroso, cercando di capire quale fosse stato l’attimo che aveva cambiato le cose, incrinando tutto il resto. Lo aveva fatto anche lei. Più e più volte. «Stanno bene.» gli disse infine. Le sue labbra si incresparono in un sorriso. «Papà è sempre il solito. Sembra ci provi quasi gusto a far infuriare continuamente la mamma.» Era il loro modo per dirsi che si amavano. Era chiaro agli occhi di tutti, anche a quelli di un osservatore poco esperto. « Ed Hugo? Non lo vedo in giro da..Un bel po' » Come posso biasimarlo, Rudy? L'abbiamo fatto tutti. Anche lei. Se in un primo momento il suo desiderio era stato quello di gettarsi tra le sue braccia per chiedergli spiegazioni, prima di rendersene conto era successo qualcosa di diverso, che l’aveva fatta indietreggiare ai lati della stanza, restando in disparte come una spettatrice esterna. Aveva pensato che fosse meglio così. Aveva bisogno di riprendersi, di ritagliarsi uno spazio per sé stessa e chiedersi “come stai, Dory?”. In terapia non ne aveva mai fatto parola, seppur la sua psicologa avesse provato più volte a solcare l’argomento. «Oh, è.. Molto impegnato. Sai.. La scuola e tutto il resto..» In quelle parole, Dory non stava giustificando soltanto il comportamento del fratello, ma anche il suo. Aveva avuto bisogno dei suoi tempi e, pensò rendendosi conto fino in fondo della situazione, forse non era ancora pronta. Forse, si disse, non lo sarebbe mai stata, quindi tanto valeva farlo ora. « E invece di te cosa..-Cosa mi dici? Il college ed il lavoro come vanno? Una raccomandazione nell'ambito non te la offro nemmeno, so che spacchi già di tuo. Sbaglio? » Non essere codarda. Prese un profondo respiro, silenziosamente, quasi in modo impercettibile, e poi sorrise. O almeno ci provò di nuovo. «La scuola va bene. Gli ultimi esami sono stati tremendi, ma sono andati. Per fortuna, direi. Avrei preferito cavalcare un Ippogrifo imbizzarrito piuttosto che ridarli.» scosse la testa. Rabbrividì al solo pensiero, cercando di ricordare quanti litri di caffè avesse ingerito in quel periodo. «Il lavoro va così..» si strinse un poco nelle spalle. «Sono ancora l’ultima arrivata e mi rifilano sempre gli articoli più noiosi, ma stringo i denti. Sono un modo per tenersi in allenamento nell’attesa del grande salto Ninfadora Weasley era entrata alla Gazzetta in punta di piedi, cercando di fare meno rumore possibile. Aveva passato l’infanzia davanti agli obbiettivi, mentre i giornalisti cercavano di accaparrarsi il pezzo su come crescessero i figli del Golden Trio. Ma lei aveva sempre preferito stare dall’altra parte. Si poteva dire che Dory fosse una di quei Weasley che se ne stavano ai margini. Probabilmente qualcuno non ricordava neanche il suo nome. Era solo “la figlia di Ron ed Hermione”, e a lei andava benissimo così. Guardò il volto di Rudy, con attenzione minuziosa, cercando il quel viso anche il più piccolo dei particolari. Era sempre lui, ma diverso. «E tu.. Come stai?»


     
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